dossier APPALTI
--->
per il dossier APPALTI ANNO CORRENTE
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anni dal
2016 al 2019
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anni 2014-2015
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anno 2013
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anno 2012
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI sino al 2010
cliccare qui |
per
approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici)
<--->
Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario
dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario
di giurisprudenza) |
anno 2011 |
|
dicembre 2011 |
|
APPALTI: Appalti
fasulli, committente con potere di vigilanza.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 15615/2011, in
tema di appalti fasulli, ha stabilito che
l'esercizio di un potere di controllo da
parte del committente può essere compatibile
con un regolare contratto di appalto e
quindi deve ritenersi legittima la pretesa
da parte del committente dell'osservanza
delle modalità temporali e tecniche di
esecuzione del servizio o dell'opera oggetto
dell'appalto che dovranno essere rispettate
dall'appaltatore.
Nella fattispecie si trattava di un
contratto di appalto avente ad oggetto
servizi informatici che prevedevano lo
svolgimento dell'attività lavorativa dei
dipendenti della società appaltatrice presso
la struttura della committente con mezzi
materiali propri della stessa e in gruppi di
lavoro formati anche dai dipendenti della
società.
La società soccombente ha proposto ricorso
per Cassazione affermando che i dipendenti
della società appaltatrice erano in possesso
di conoscenze tecniche specifiche e
altamente qualificate in campo informatico e
sussisteva quindi il requisito
dell'organizzazione dei mezzi necessari
richiesto ai fini della genuinità del
contratto di appalto ai sensi dell'art. 29
dlgs n. 276/2003 (anche se l'attività
lavorativa era svolta all'interno di una
struttura della committente presso la quale
erano presenti anche altri lavoratori e con
mezzi materiali di proprietà della
committente).
La Corte ha ribadito che il divieto di
intermediazione di manodopera opera tutte le
volte in cui l'appaltatore mette a
disposizione del committente una prestazione
lavorativa senza che da parte sua ci sia una
reale organizzazione della prestazione
stessa finalizzata a un risultato produttivo
autonomo ed ha precisato che l'esercizio di
un potere di controllo da parte del
committente è compatibile con un regolare
contratto di appalto.
Sotto questo profilo può ritenersi legittima
la predeterminazione da parte del
committente anche delle modalità temporali e
tecniche di esecuzione del servizio o
dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno
essere rispettate dall'appaltatore.
Quindi non può ritenersi sufficiente, ai
fini della configurabilità di un appalto
fraudolento, la circostanza che il personale
dell'appaltante impartisca disposizioni agli
ausiliari dell'appaltatore, occorrendo
verificare se le disposizioni impartite
siano riconducibili al potere direttivo del
datore di lavoro oppure al solo risultato
delle prestazioni lavorative, il quale può
formare oggetto di un genuino contratto di
appalto
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
APPALTI: Bando
annullato, spese rimborsate. Cds:
è legittima l'autotutela dell'ente.
Bando di gara annullato dopo
l'aggiudicazione: l'Ati perdente è
rimborsata delle spese di partecipazione.
Legittima l'autotutela dell'ente se le
prescrizioni sono «ambigue», ma scatta il
danno da responsabilità precontrattuale.
È
quanto emerge dalla
sentenza
30.12.2011 n. 7000 della V Sez. del Consiglio di stato.
Il bando si rivela «ambiguo» soltanto dopo
l'aggiudicazione dell'appalto: è l'Ati
perdente che solleva la questione, con
fondati motivi, evidenziando come non sia
chiaro se i materiali dell'opera siano
fungibili o meno. E deve essere risarcita
del danno per le spese sostenute per la
partecipazione alla gara, mentre la perdita
di chance non scatta unicamente perché
l'azienda non riesce a dimostrare di aver
dovuto rinunciare ad altri contratti per
colpa della stazione appaltante, che si è
«rimangiata» il progetto.
Progettista incerto. Con quale materiale
devono essere realizzati i tubi per
convogliare l'acqua piovana? Non lo sa
neppure il comune che ha realizzato il
progetto per la costruzione delle condotte.
Ad aprire il fronte è l'Ati che ha perso la
gara: l'aggiudicataria -è la censura- ha
vinto perché ha proposto una variante
progettuale, evidentemente più economica, ma
non consentita. Il dubbio viene alla stessa
stazione appaltante, che pure ha provveduto
nel frattempo ad assegnare l'opera:
l'incertezza è oggettiva, non resta che
annullare gli atti di gara.
L'autotutela
risulta sì legittima, ma non esclude di per
sé il risarcimento all'impresa che ha
partecipato alla procedura. L'Ati perdente
ha riposto affidamento nel bando, che invece
non chiarisce se il materiale delle
tubazioni sia o no un elemento fondamentale
e imprescindibile dell'opera.
Sarà il
progettista, spiega il comune dopo
l'annullamento, a doversi schiarire le idee
e a dover chiarire la questione della
fungibilità: intanto l'Ati ottiene un
risarcimento di oltre 43 mila euro, relativo
ai costi sostenuti per la redazione
dell'offerta e per la partecipazione alla
gara; si tratta delle spese di
progettazione, consulenza, rilievi, analisi
prezzi, riepilogo dei versamenti per il
contributo all'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, oltre che
servizi e forniture, per la polizza
fideiussoria, valori bollati e per servizi
(articolo ItaliaOggi
Sette del 03.01.2011). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto per le società che
gestiscono servizi pubblici locali in virtù
di affidamento diretto di "acquisire la
gestione di servizi ulteriori" (art. 23-bis,
c. 9, del d.l. 25.06.2008, n. 112).
L'art. 23-bis del d.l. 25.06.2008, n. 112,
nel disciplinare i servizi pubblici locali
di rilevanza economica ha introdotto al c. 9
il divieto per le società che gestiscono
servizi pubblici locali in virtù di
affidamento diretto ad "acquisire la
gestione di servizi ulteriori".
Pertanto, nel caso di specie, è legittima la
mancata aggiudicazione di una gara per
l'affidamento, per un periodo di cinque
anni, del servizio di raccolta e trasporto
rifiuti urbani alle due società costituenti
l'a.t.i. per non aver dimostrato, così come
richiesto dalla stazione appaltante,
l'intervenuta cessazione degli affidamenti
diretti in corso mediante l'esibizione di
una lettera liberatoria dei Comuni
interessati (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.12.2011 n. 733 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Lavori, forniture, servizi: quando la P.A.
fa economia (link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Appalti pubblici, transazione (quasi) senza
limiti (link a www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara
d'appalto sono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una procedura
concorsuale per l'affidamento di un appalto
costituiscono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio
costituiscono -volendo utilizzare altra
terminologia- valutazioni tecniche;
tuttavia, a prescindere dalla terminologia
prescelta, è oggi pacifico che si tratta di
valutazioni pienamente sindacabili dal
giudice amministrativo, sia sotto il profilo
della ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità che sotto l'aspetto più
strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione
discrezionalità tecnica-merito insindacabile
a partire dalla sentenza n. 601/1999 della
IV Sezione del Consiglio di Stato, il
sindacato giurisdizionale sugli
apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi
svolgersi in base non al mero controllo
formale ed estrinseco dell'iter logico
seguito dall'autorità amministrativa, bensì
alla verifica diretta dell'attendibilità
delle operazioni tecniche sotto il profilo
della loro correttezza quanto a criterio
tecnico ed a procedimento applicativo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2011 n. 6980 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Il
concorrente legittimamente escluso dalla
gara non può impugnare l'aggiudicazione.
Con la sentenza della Adunanza Plenaria n. 4
del 2011 è stato precisato che, nel caso in
cui venga accertato che l'amministrazione ha
legittimamente escluso dalla gara un
concorrente, questi non conserva la
legittimazione ad impugnare l'aggiudicazione
al controinteressato.
Ciò in quanto la determinazione di
esclusione non annullata cristallizza
definitivamente la posizione sostanziale del
concorrente, ponendolo nelle stesse
condizioni di colui che sia rimasto estraneo
alla gara. Sono quindi da ritenere
improcedibili, per sopravvenuto difetto
all'interesse, le doglianze mosse contro
l'aggiudicazione di una gara ad altro
concorrente, da parte della ditta nei cui
confronti viene accertato che è stata
legittimamente esclusa dalla gara.
Ciò anche se le concorrenti in gara siano
solamente due, in quanto la riscontrata
assenza di una posizione legittimante in
capo al concorrente illegittimamente ammesso
alla gara è stato ritenuto che determini il
superamento della tesi proposta dalla
decisione della A.P. del Consiglio di Stato
n. 11/2008, secondo cui in tal caso esso
conserverebbe interesse alla rinnovazione
della procedura di gara
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6965 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
P.A. nelle gare pubbliche può richiedere
integrazioni documentali soltanto se esiste
un indizio circa il possesso dei requisiti.
Il rimedio della regolarizzazione
documentale, di cui all'art. 46, del d. lgs.
n. 163/2006, non si applica al caso in cui
l'impresa concorrente abbia integralmente
omesso la produzione documentale prevista
dall'art. 38 dello stesso d.lgs.; viceversa,
qualora la documentazione prodotta dal
concorrente ad una pubblica gara sia
presente, ma carente di taluni elementi
formali, di guisa che sussista un indizio
del possesso del requisito richiesto,
l'Amministrazione non può pronunciare
l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare e
chiarire il contenuto di un documento già
presente, costituendo tale attività
acquisitiva un ordinario “modus
procedendi”, ispirato all'esigenza di
far prevalere la sostanza sulla forma.
Il rimedio della regolarizzazione postuma è
attivabile solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante, risolvendosi in caso
contrario in una palese violazione della par
condicio rispetto alle imprese concorrenti
che abbiano rispettato la disciplina
prevista dalla "lex specialis"
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6965 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'annullamento
dell'aggiudicazione non determina
l'automatica inefficacia del contratto.
Dopo l'entrata in vigore delle disposizioni
attuative della direttiva comunitaria
2007/66/Ce, ora trasfuse negli art. 121 e
122 del codice del processo amministrativo,
in caso di annullamento giudiziale
dell'aggiudicazione di una pubblica gara,
spetta al G.A. il potere di decidere
discrezionalmente (anche nei casi di
violazioni gravi) se mantenere o meno
l'efficacia del contratto nel frattempo
stipulato; il che significa che
l'inefficacia non è conseguenza automatica
dell'annullamento dell'aggiudicazione, che
determina solo il sorgere del potere in capo
al Giudice di valutare se il contratto debba
o meno continuare a produrre effetti
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6965 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
automatica l'esclusione dalla gara per
l'impresa inaffidabile per gravi negligenze
nell'esecuzione di precedenti contratti con
la stessa P.A..
L'esclusione dalle gare pubbliche per
inaffidabilità delle imprese concorrenti per
grave negligenza e malafede commessa nel
corso di esecuzione di precedenti contratti
pubblici può essere pronunciata in termini
di automaticità soltanto quando il
comportamento di deplorevole trascuratezza e
slealtà sia stato posto in essere in
occasione di un pregresso rapporto negoziale
intercorso con la stessa stazione appaltante
che indice la gara.
In caso contrario, invece, il giudizio di
inaffidabilità professionale su un'impresa
partecipante ad una gara pubblica è
subordinato alla preventiva motivata
valutazione della stazione appaltante o
della commissione giudicatrice, che è tenuta
a valorizzare i precedenti professionali
delle imprese concorrenti nel loro
complesso, nonché a valutare gravità e
rilevanza sul piano professionale di
precedenti risoluzioni contrattuali
comminate da altre Amministrazioni.
Ciò che rileva a detti fini è che l'errore
ascritto sia espressione di un difetto di
capacità professionale e lo stesso, nella
sua obiettiva rilevanza, costituisca
elemento sintomatico della perdita del
requisito di affidabilità e capacità
professionale a fornire prestazioni che
soddisfino gli interessi di rilievo pubblico
perseguiti dall'ente committente. La
violazione deve quindi essere tanto grave da
escludere l'affidabilità
tecnico-professionale del potenziale
aggiudicatario, tale da costituire
violazione dei principi di correttezza e
buona fede, determinando il venir meno della
fiducia dell'amministrazione nella propria
fornitrice e della possibilità futura del
corretto svolgimento del rapporto
contrattuale.
A tal fine, il concetto normativo di "violazione
dei doveri professionali" abbraccia
un'ampia gamma di ipotesi, riconducibili
alla negligenza, all'errore ed alla
malafede, purché tutte qualificabili "gravi"
e richiede che la responsabilità risulti
accertata e provata con qualsiasi mezzo di
prova, sebbene senza la necessità di una
sentenza passata in giudicato.
Pertanto nell'apprezzamento dell'errore
grave nell'esecuzione di precedenti
forniture si deve procedere in maniera
particolarmente rigorosa, evidenziando tutti
i profili di specificità che consentano di
giustificare un giudizio complessivo di
inaffidabilità e di incapacità tecnica
dell'impresa che si intende escludere dalla
gara.
E’ quindi all'Amministrazione aggiudicatrice
che compete il potere di valutare la gravità
delle infrazioni commesse, con riferimento
alla specificità del rapporto, e reputare se
sia conseguentemente venuto meno il rapporto
fiduciario con la stessa impresa (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6951 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
caso di aggiudicazione a seguito di ricorso
giudiziale il ricorrente ha il dovere di non
concorrere ad aggravare il danno ritenendosi
risarcibili soltanto mezzi e manodopera
inutilizzati per altri lavori in quanto
necessari a dar corso all'esecuzione
dell'appalto oggetto del giudizio.
In sede di risarcimento dei danni derivanti
dalla mancata aggiudicazione di una gara di
appalto, il mancato utile nella misura
integrale spetta, nel caso di annullamento
dell'aggiudicazione e di certezza
dell'aggiudicazione in favore del
ricorrente, solo se il ricorrente dimostri
di non aver potuto altrimenti utilizzare
maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in
vista dell'aggiudicazione; in difetto di
tale dimostrazione, è da ritenere che
l'impresa possa aver ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori o servizi e, pertanto, in tale
ipotesi deve operarsi una decurtazione del
risarcimento di una misura per l'"aliunde
perceptum vel percipiendum”.
Deve inoltre evidenziarsi che ai sensi
dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un
puntuale dovere di non concorrere ad
aggravare il danno. Nelle gare di appalto,
l'impresa non aggiudicataria, ancorché
proponga ricorso e possa ragionevolmente
confidare che riuscirà vittoriosa, non può
mai nutrire la matematica certezza che le
verrà aggiudicato il contratto, atteso che
sono molteplici le possibili sopravvenienze
ostative.
Pertanto, non costituisce, normalmente, e
salvi casi particolari, condotta ragionevole
immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle
more del giudizio, nell'attesa
dell'aggiudicazione in proprio favore,
essendo invece ragionevole che l'impresa si
attivi per svolgere altre attività (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6951 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Onere
di immediata impugnazione delle clausole del
bando sui requisiti di ammissione.
Come statuito dall’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato con la decisione n. 1 del
2003, “nei pubblici appalti
l’impugnazione delle clausole e delle regole
della “lex specialis” della gara, diverse da
quelle che impediscano la partecipazione,
può essere effettuata contestualmente a
quella dell’atto che determina per il
concorrente l’esito negativo della
procedura: l’unico interesse del concorrente
è infatti quello al conseguimento della
aggiudicazione, mentre va esclusa la
sussistenza di un interesse autonomo alla
legittimità delle regole e delle operazioni
di gara”.
L’onere di impugnazione immediata riguarda
cioè solo le clausole del bando di gara o
della lettera invito concernenti i requisiti
di ammissione alla procedura e che
precludono la partecipazione alla selezione,
mentre l’eventuale illegittimità di altre
clausole può essere fatta valere in un
momento successivo, con l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione (massima
tratta da www.gazzettaamministrativa.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6937 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'impresa
esclusa non può impugnare gli esiti della
gara se non ha impugnato l’atto di
esclusione ovvero l'impugnazione sia stata
respinta.
Con la recente decisione n. 4/2011,
l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di
Stato ha avuto modo di precisare che in
materia di pubblici appalti, per configurare
una posizione sostanziale differenziata che
radica la legittimazione al ricorso non è
sufficiente il solo “fatto storico”
della iniziale partecipazione alla gara,
indipendentemente dalla successiva
esclusione, oppure dall’accertamento della
sua illegittimità.
La situazione legittimante costituita
dall’intervento nel procedimento selettivo,
infatti, deriva da una qualificazione di
carattere normativo, che postula il positivo
esito del sindacato sulla ritualità
dell’ammissione del soggetto ricorrente alla
procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o
l’accertamento della illegittimità della
partecipazione alla gara impedisce di
assegnare al concorrente la titolarità di
una situazione sostanziale che lo abiliti ad
impugnare gli esiti della procedura
selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti
i casi in cui l’illegittimità della
partecipazione alla gara è definitivamente
accertata, sia per inoppugnabilità dell’atto
di esclusione, sia per annullamento
dell’atto di ammissione.
L’Adunanza Plenaria, quindi, ha chiarito
che, nel caso in cui l’amministrazione abbia
escluso dalla gara il concorrente, questi
non ha la legittimazione ad impugnare
l’aggiudicazione al controinteressato, a
meno che non ottenga una pronuncia di
accertamento della illegittimità
dell’esclusione. Infatti, la determinazione
di esclusione, non impugnata o non
annullata, cristallizza definitivamente la
posizione sostanziale del concorrente,
ponendolo nelle stesse condizioni di colui
che sia rimasto estraneo alla gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna
legittimazione a contestare gli esiti della
gara al concorrente escluso dalla gara, che
non abbia impugnato l’atto di esclusione o
la cui impugnazione sia stata respinta
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6934 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: False
dichiarazioni o falsa documentazione nelle
procedure di gara: il Consiglio di Stato
chiarisce le novità introdotte con il
Decreto sviluppo.
Il quadro normativo di riferimento, per
effetto delle modifiche alla materia dei
contratti pubblici introdotte dal D.L.
13.05.2011, n. 70 (c.d. “Decreto sviluppo”)
e della relativa legge di conversione (L.
12.07.2011, n. 106), è profondamente mutato
per quanto attiene alla comunicazione ai
fini dell’inserimento nel Casellario
Informatico delle esclusioni ex art. 38 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nonché per
l’annotazione di tutte le altre notizie
ritenute utili. Infatti, la norma attuale
dell’art. 38 contempla un comma 1-ter che
stabilisce che in caso di presentazione di
falsa dichiarazione o falsa documentazione,
nelle procedure di gara e negli affidamenti
di subappalto, la stazione appaltante ne dà
segnalazione all'Autorità che, se ritiene
che siano state rese con dolo o colpa grave
in considerazione della rilevanza o della
gravità dei fatti oggetto della falsa
dichiarazione o della presentazione di falsa
documentazione, dispone l'iscrizione nel
casellario informatico ai fini
dell'esclusione dalle procedure di gara e
dagli affidamenti di subappalto ai sensi del
comma 1, lettera h), per un periodo di un
anno, decorso il quale l'iscrizione è
cancellata e perde comunque efficacia.
Pertanto, nell’assetto attuale, è indubbia
la valenza costitutiva dell’iscrizione da
parte dell’Autorità. Nell’assetto
antecedente, invece, prevale l’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale, quando
la legge prescrive in via automatica la
segnalazione di determinati dati
all'Osservatorio, senza alcuna possibilità
di valutazione discrezionale in ordine al se
della comunicazione e al contenuto della
stessa, si possono, come regola generale,
individuare equipollenti dell'avviso di
avvio del procedimento di iscrizione.
Diverso discorso va svolto per dati la cui
comunicazione non è automatica e dovuta, ma
frutto di valutazioni da parte della
stazione appaltante su dati opinabili; ciò
accade ad es. nel caso di segnalazione di
episodi di grave negligenza o grave
inadempimento, e nel caso di false
dichiarazioni (come nel caso di specie).
Infatti, in tali casi la stazione
appaltante, per effettuare la segnalazione,
deve valutare se vi è o meno grave
negligenza, grave inadempimento, falsità
della dichiarazione.
Sicché l'interessato non può sapere ex
ante se e quando tale valutazione verrà
svolta in senso affermativo e se vi sarà o
meno segnalazione all'Osservatorio.
Pertanto, tale segnalazione non può che
avere natura costitutiva, con la sua
conseguente immediata impugnabilità
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.12.2011 n. 6911 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Rotazione nelle gare: salva la deroga
saltuaria. L'eccezione al principio non
falsa la concorrenza. Consiglio di Stato.
Interpretazione innovativa sulla selezione
negli appalti.
L'episodica mancata
applicazione del principio di rotazione
relativo agli affidamenti mediante procedure
in economia non incide sulla selezione
dell'operatore economico, se la stessa è
stata svolta garantendo un confronto
trasparente.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 28.12.2011 n.
6906 ha fornito un'interpretazione
innovativa della gestione di questo
particolare principio, che costituisce il
contemperamento della deroga realizzata con
le procedure previste dall'articolo 125 del
codice dei contratti alle forme di più
aperto confronto concorrenziale (gare con
procedure aperte e ristrette).
Il criterio di rotazione ha come finalità
quella di evitare che la stazione appaltante
possa consolidare rapporti solo con alcune
imprese venendo meno così al rispetto del
principio di concorrenza. Questa situazione
verrebbe a prodursi in caso di affidamenti
replicativi (specialmente se in un breve
arco di tempo) di lavori, servizi o
forniture a favore di uno stesso operatore
economico. Il principio di rotazione
consente di non coinvolgere tale operatore
nelle procedure indette per un certo periodo
successivo, garantendo ad altre imprese
analoghe chance.
La sua gestione nelle procedure derogatorie
(negoziate con gara informale e cottimo
fiduciario) rispetto alla massima
concorrenza è stata analizzata sia dalla
giurisprudenza amministrativa (che ne ha
sempre dato un'interpretazione molto
restrittiva) sia dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici nella
determinazione 2/2011, la quale ha
evidenziato che in attuazione dello stesso
il soggetto che risulterà affidatario non
sarà invitato alle gare indette
successivamente con procedure in economia
nell'arco di un certo periodo di tempo.
La sentenza del Consiglio di Stato afferma
invece come la rotazione dei soggetti da
invitare nelle procedure negoziate sia
indubbiamente un principio funzionale ad
assicurare un certo avvicendamento delle
imprese affidatarie dei servizi con il
sistema selettivo del cottimo fiduciario, ma
proprio in quanto tale lo stesso non ha, per
le stazioni appaltanti, una valenza
precettiva assoluta.
Di conseguenza l'eventuale ed episodica
mancata applicazione del principio non
inficia gli esiti di una gara già espletata,
una volta che questa si sia conclusa con
l'aggiudicazione in favore di un soggetto
già in precedenza invitato a simili
selezioni (oppure già affidatario del
servizio).
Il Consiglio di Stato richiede tuttavia che
sussistano determinate condizioni, in
rapporto allo svolgimento del percorso
selettivo mediante procedura in economia,
affinché il mancato rispetto del principio
di rotazione non incida sulla procedura
selettiva. La consultazione degli operatori
economici deve essere svolta nel rispetto
del principio di trasparenza e di parità di
trattamento, nonché deve essere conclusa con
l'individuazione dell'offerta più
vantaggiosa per la stazione appaltante,
senza che nel giudizio comparativo tra le
offerte abbia inciso la pregressa esperienza
specifica maturata dalla impresa
aggiudicataria nella veste di partner
contrattuale della amministrazione
aggiudicatrice.
Pertanto il precedente affidatario di un
servizio o di una fornitura aggiudicata in
base all'articolo 125 del codice dei
contratti pubblici non ha una condizione
preferenziale per l'eventuale invito a un
ulteriore confronto con le modalità
semplificate.
---------------
In sintesi
01 | IL RICORSO
Il ricorso contro l'elezione a sindaco di un
cittadino già due volte eletto a primo
cittadino del Comune confinante è stato
respinto dal tribunale civile di Padova,
sez. II, con la sentenza 23.12.2011 n. 2902.
02 | LA NORMA
Il comma 2 dell'articolo 51 del Tuel
stabilisce che: «Chi ha ricoperto per due
mandati consecutivi la carica di sindaco (…)
non è, allo scadere del secondo mandato,
immediatamente rieleggibile alla medesima
carica».
03 | LA SENTENZA
Secondo i giudici, è eleggibile alla carica
di sindaco di un Comune il cittadino che ha
ricoperto per due mandati consecutivi la
carica di sindaco in altro Comune confinante
dal Tribunale. Il comma 2 dell'articolo 51
contiene un'eccezione, non è suscettibile di
applicazione analogica, e deve essere
interpretato restrittivamente (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: L’art.
38, comma 1, lett. g), del D.lgs. n.
163/2006 esclude dalle procedure di
affidamento di contratti pubblici i
concorrenti che hanno commesso violazioni
definitivamente accertate rispetto agli
obblighi di pagamento delle imposte e delle
tasse, secondo la legislazione italiana o
dello Stato in cui essi sono stabiliti.
Sull’interpretazione di tale regola, il
collegio intende aderire alla più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato, che
muove dalla chiara ratio della medesima la
quale, in attuazione dell’art. 45 della
direttiva 2004/18, risponde all’esigenza di
garantire l’amministrazione in merito alla
solvibilità e solidità finanziaria del
contraente. E’ stato pertanto escluso un
significato rigidamente preclusivo della
norma, nel senso della sua applicabilità nei
confronti di qualsivoglia inadempimento
tributario, giacché esso si tradurrebbe in
un irragionevole e non proporzionato
pregiudizio per il principio comunitario e
costituzionale di libera concorrenza, che
non può essere conculcato per il sol fatto
che si configurino, a carico di un’impresa,
debiti tributari definitivamente accertati,
dai quali non discenda un oggettivo pericolo
circa l’affidabilità e la solidità
finanziaria della stessa.
Dev’essere di volta in volta indagata la
vicenda relativa all’assolvimento degli
obblighi di pagamento di imposte e di tasse,
per accertarne la rilevanza, mirando la
necessaria verifica ad appurare non già la
sussistenza di una mera singola violazione,
ma la globale regolarità sul piano
tributario di ciascuna impresa partecipante
alla gara quale eventuale futura contraente
con la pubblica amministrazione, coincidente
con la sottesa correttezza delle scritture
contabili e del conseguente pagamento di
ogni correlata prestazione imposta, che si
renda a tal fine dovuta, capace di
accreditare anche sotto questo particolare
aspetto una regolare gestione finanziaria e
la conseguente solvibilità delle imprese.
L’art. 38, comma 1, lett. g), del D.lgs. n.
163/2006 esclude dalle procedure di
affidamento di contratti pubblici i
concorrenti che hanno commesso violazioni
definitivamente accertate rispetto agli
obblighi di pagamento delle imposte e delle
tasse, secondo la legislazione italiana o
dello Stato in cui essi sono stabiliti.
Sull’interpretazione di tale regola, il
collegio intende aderire alla più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato, che
muove dalla chiara ratio della
medesima la quale, in attuazione dell’art.
45 della direttiva 2004/18, risponde
all’esigenza di garantire l’amministrazione
in merito alla solvibilità e solidità
finanziaria del contraente. E’ stato
pertanto escluso un significato rigidamente
preclusivo della norma, nel senso della sua
applicabilità nei confronti di qualsivoglia
inadempimento tributario, giacché esso si
tradurrebbe in un irragionevole e non
proporzionato pregiudizio per il principio
comunitario e costituzionale di libera
concorrenza, che non può essere conculcato
per il sol fatto che si configurino, a
carico di un’impresa, debiti tributari
definitivamente accertati, dai quali non
discenda un oggettivo pericolo circa
l’affidabilità e la solidità finanziaria
della stessa (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
21.04.2010 n. 2226; id., 11.08.2009 n. 4928;
contra, tuttavia: Cons. Stato, Sez. V,
15.10.2009 n. 6325; TAR Abruzzo, Sez. I,
31.01.2011 n. 35).
Nessun valore, pertanto, è stato attribuito
all’assenza dell’aggettivo “grave”
nel testuale disposto della citata lett. g),
previsto invece per le infrazioni alle norme
in materia di sicurezza (lett. e), così come
per la negligenza, la malafede e gli errori
professionali (lett. f) e per le violazioni
alle norme in materia di contributi
previdenziali e assistenziali (lett. i).
Da tale assunto, il Consiglio di Stato ha
ricavato la conseguenza che dev’essere di
volta in volta in concreto indagata la
vicenda relativa all’assolvimento degli
obblighi di pagamento di imposte e di tasse,
per accertarne la rilevanza, mirando la
necessaria verifica ad appurare non già la
sussistenza di una mera singola violazione,
ma la globale regolarità sul piano
tributario di ciascuna impresa partecipante
alla gara quale eventuale futura contraente
con la pubblica amministrazione, coincidente
con la sottesa correttezza delle scritture
contabili e del conseguente pagamento di
ogni correlata prestazione imposta, che si
renda a tal fine dovuta, capace di
accreditare anche sotto questo particolare
aspetto una regolare gestione finanziaria e
la conseguente solvibilità delle imprese.
Non essendo una tale valutazione intervenuta
-e tenuto anche conto che l’Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici, nella
decisione del 25.11.2011 n. 218, depositata
dalla difesa comunale, ha archiviato la
procedura sanzionatoria a carico della
banca, dichiarando come la dichiarazione sul
possesso dei requisiti fiscali, fornita in
modo non veritiero, “si fondi su un
errore incolpevole, perciò scusabile”,
avendo l’istituto “dimostrato come
l’importo contestato si appalesi esiguo”-,
ne segue l’annullamento degli atti
impugnati, ai fini della rinnovazione
dell’attività amministrativa dal punto dove
essa si è interrotta
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 23.12.2011 n. 2078 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Anche nelle concessioni di servizi
è ammissibile l'avvalimento. Il Tar molise
ritiene la normativa comunitaria prevalente
sul codice dei contratti pubblici.
È illegittima per violazione del diritto
comunitario la limitazione del ricorso all'avvalimento
e della possibilità di partecipare alla gara
in raggruppamento.
È quanto afferma il TAR Molise con la
sentenza 23.12.2011 n. 990 rispetto a una
procedura di gara per l'affidamento di una
concessione di servizi da parte di un
comune.
Il bando di gara veniva impugnato
nella parte in cui non ammetteva la
possibilità di costituire associazioni di
più soggetti per la partecipazione alla gara
ed escludeva l'istituto dell'avvalimento per
la dimostrazione dei requisiti di capacità
tecnico-organizzativi ed
economico-finanziari. Le censura che veniva
portata davanti ai giudici molisani era
fondata sul mancato rispetto della normativa
comunitaria che (direttive 2004/18 e 17)
prevede in via generale sia la possibilità
di partecipare alle procedure concorsuali
pubbliche per ogni tipo di affidamento
(appalti e concessioni), singolarmente e in
forma associata, sia l'utilizzo dell'avvalimento.
A ciò si aggiungeva la censura di mancanza
di ragionevolezza e proporzionalità
nell'introduzione delle clausole restrittive
del bando di gara emesso dal comune. Il Tar
Molise accoglie integralmente il ricorso e
annulla gli atti di gara.
La sentenza, dopo
avere ritenuto pacifico che si tratti di una
concessione di servizi pubblici (gestione di
una piscina), analizza l'articolo 30 del
Codice dei contratti pubblici (dlgs
163/2006). In particolare la sentenza
evidenzia che la norma prevede che alle
concessioni di servizi non si applichino le
norme del Codice, fra cui vi sarebbe anche
l'articolo 49 sull'avvalimento.
In base alla
parte iniziale della disposizione esaminata,
effettivamente l'avvalimento non dovrebbe
essere applicato alle concessioni di servizi
e quindi non sarebbe possibile documentare e
provare requisiti di ordine
economico-finanziario e
tecnico-organizzativo facendo ricorso ad
altri soggetti. La restante parte della
disposizione fa però salve le disposizioni
di deroga del principio della generale
inapplicabilità delle norme del Codice
dettate nello stesso articolo.
Se si
osserva, dice la sentenza, il terzo comma
dell'articolo 30 si può quindi notare come
sia affermata esplicitamente l'applicabilità
dei principi del Trattato e di quelli
«generali relativi ai contratti pubblici e,
in particolare, dei principi di trasparenza,
adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità». Proprio con riguardo
all'applicazione e al rispetto di questi
principi i giudici ritengono in particolare
che i principi di non discriminazione e di
proporzionalità, postulino «senza dubbio che
sia consentita la facoltà di riunirsi in
associazione per soddisfare i requisiti di
partecipazione ovvero di avvalersi di altri
soggetti per conseguire lo stesso effetto».
Al riguardo la sentenza si richiama anche a
precedenti decisioni del Consiglio di stato
che, ancorché non specificamente su
affidamenti di concessioni, ha comunque
ritenuto applicabile a tutto tondo
l'istituto dell'avvalimento. In particolare,
la sentenza n. 9577 del 29.12.2010,
sezione sesta, ha affermato testualmente che
una norma restrittiva dell'avvalimento
«sarebbe contraria al diritto comunitario» e
che «non vi sono limiti legali quantitativi
al ricorso all'avvalimento, potendo lo
stesso essere utilizzato anche per le
percentuali di capacità minima richiesti
dalla legge per ciascun singolo mandante»
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Appalto
servizio fornitura pasti. Presupposti
procedura negoziata ex art.57, comma 5,
lett. b), D.lgs. n. 163/2006.
Nell'ambito dei
contratti delle pubbliche amministrazioni,
la procedura negoziata (senza previa
pubblicazione di bando di gara) è un
criterio di selezione dei concorrenti di
tipo eccezionale, utilizzabile nei soli casi
in cui la legge lo prevede, espressamente
elencati all'art. 57, D.Lgs. n. 163/2006.
Con particolare riferimento all'ipotesi di
cui all'art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs.
n. 163/2006, in correlazione all'art. 23, L.
n. 62/2005 (Legge comunitaria per il 2004),
abrogativo dell'istituto del rinnovo dei
contratti delle pubbliche amministrazioni,
il Giudice amministrativo ritiene che la
ripetizione dei servizi analoghi comporta un
nuovo e diverso vincolo contrattuale con un
diverso oggetto.
Con l'entrata in vigore della L. n.
136/2010, sono soggette all'obbligo di
richiesta del CIG, per il versamento dei
contributi di legge all'AVCP, tutte le
fattispecie contrattuali di cui al D.Lgs. n.
163/2006. Il CIG deve essere richiesto ad
ogni nuova procedura di scelta del
contraente.
---------------
L' Ente riferisce di aver indetto, nel 2009, una gara a procedura aperta
per la fornitura di pasti veicolati per il
triennio 2010-2012, di cui è risultata
aggiudicataria l'unica ditta partecipante,
la quale tutt'ora esegue il servizio.
Chiede l'Ente se per il triennio 2013-2015
sia possibile addivenire a procedura
negoziata con la suddetta ditta appaltatrice
per la ripetizione del servizio alle
condizioni in essere, ai sensi dell'art. 57,
comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006,
espressamente richiamato nel bando
originario, e se in tal caso debba
procedersi con nuovo contratto, nuova
acquisizione del CIG, nuovo versamento all'AVCP.
Il ricorso alla trattativa privata, senza
previa pubblicazione di un bando di gara,
oggi definita procedura negoziata nelle
direttive comunitarie e negli atti nazionali
di recepimento, è ammesso nei soli
tassativi[1] casi individuati dal
legislatore all'art. 57, D.Lgs. n. 163/2006,
trattandosi di procedura di carattere
eccezionale, in deroga all'ordinario obbligo
dell'Amministrazione di individuare il
privato contraente attraverso il confronto
concorrenziale[2].
Seguendo l'elencazione delle ipotesi
dell'art. 57 richiamato, il comma 5, lett.
b), indica tra gli ulteriori casi anche
quello: 'per nuovi servizi consistenti
nella ripetizione di servizi analoghi già
affidati all'operatore economico
aggiudicatario del contratto iniziale dalla
medesima stazione appaltante, a condizione
che tali servizi siano conformi a un
progetto di base e che tale progetto sia
stato oggetto di un primo contratto
aggiudicato secondo una procedura aperta o
ristretta; in questa ipotesi la possibilità
del ricorso alla procedura negoziata senza
bando è consentita solo nei tre anni
successivi alla stipulazione del contratto
iniziale e deve essere indicata nel bando
del contratto originario; l'importo
complessivo stimato dei servizi successivi è
computato per la determinazione del valore
globale del contratto, ai fini delle soglie
di cui all'articolo 28'.
La disposizione da ultimo richiamata ripete
il contenuto dell'art. 7, comma 2, lett. f),
D.Lgs. n. 157/1995[3], ora abrogato, in
relazione al quale il Giudice amministrativo
ha chiarito il riferimento ad una situazione
di nuova e diversa aggiudicazione[4],
affermando come all'intervento normativo di
cui all'art. 23, L. n. 62/2005, di
eliminazione della clausola dell'ordinamento
che permetteva il rinnovo dei contratti[5],
dovesse assegnarsi valenza generale, volta
ad impedire la rinnovazione di contratti di
appalto scaduti. Pertanto, era del tutto
inappropriato il richiamo dell'art. 7, comma
2, lett. f), D.Lgs. n. 157/1995, per
praticare il rinnovo dei contratti,
riferendosi questo, invece, alla diversa
ipotesi di una nuova aggiudicazione, come
risultante dalla sua esplicita e testuale
espressione contenuta nel primo periodo del
comma 2[6].
Le stesse considerazioni valgono per il
vigente art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs.
n. 163/2006, in ordine al quale il Giudice
amministrativo richiama la giurisprudenza
resa con riferimento alla previgente analoga
disciplina, per affermare come il ricorso ad
esso non possa risolversi in uno strumento
per aggirare l'ormai pacifico divieto di
rinnovo[7].
Mentre il rinnovo del contratto
(illegittimo), chiarisce il Giudice
amministrativo, si sostanzia nella
riedizione del rapporto pregresso e comporta
una ripetizione delle prestazioni per una
durata pari a quella originariamente fissata
nel contratto che si va a rinnovare, la
ripetizione di servizi analoghi, di cui
all'art. 57 del Codice dei contratti postula
una nuova aggiudicazione (sia pure in forma
negoziata e senza previa pubblicazione di un
bando) alla stregua di un progetto base e
comporta un nuovo e diverso vincolo
contrattuale, con un diverso oggetto[8].
Dal punto di vista letterale, osserva,
ancora, il Giudice amministrativo, l'art. 57
del codice dei contratti ha come oggetto una
nuova aggiudicazione di 'nuovi servizi':
si tratta, appunto, di servizi del cui
bisogno al momento dell'indizione della gara
originaria non vi è certezza, essendo lo
stesso, in quel momento, eventuale e di cui
solo successivamente può sorgere la
necessità. È per questo che la stazione
appaltante, pur prendendoli in
considerazione nel bando, non li assegna
all'esito della corrispondente procedura
concorsuale, ma si riserva la facoltà di
farlo nel triennio dalla stipula del
contratto[9].
Venendo al caso di specie, sembrano mancare,
invero, i presupposti legittimanti la
fattispecie di cui all'art. 57, comma 5,
lett. b), D.Lgs. n. 163/2006. In
particolare, la ripetizione di nuovi servizi
analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo
contrattuale con un diverso oggetto, mentre
l'ente ipotizza la procedura negoziata per
la ripetizione, per un successivo triennio,
del medesimo servizio di fornitura di pasti
veicolati, alle condizioni in essere.
Appare, dunque, opportuna, nel caso
prospettato dall'Ente, l'indizione di una
nuova procedura di gara, a garanzia dei
principi di libera concorrenza, parità di
trattamento, non discriminazione,
imparzialità e buon andamento[10].
Per quanto concerne l'aspetto contributivo,
con l'entrata in vigore della Legge
13.08.2010, n. 136, come modificata dal D.L.
n. 187/2010, sono soggette all'obbligo di
richiesta del CIG (codice di identificazione
della procedura di scelta del contraente),
per il versamento dei contributi di
legge[11] all'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture (AVCP), tutte le fattispecie
contrattuali di cui al D.Lgs. n. 163/2006.
Il responsabile del procedimento della
stazione appaltante provvederà ai necessari
adempimenti per l'acquisizione del CIG e per
il pagamento della contribuzione per ogni
nuova procedura di scelta del contraente che
dà vita, sia essa la gara, sia essa la
procedura negoziata (laddove consentita, nel
rispetto delle condizioni di legge) ad una
nuova aggiudicazione con un nuovo e diverso
contratto.
---------------
[1] Cfr. TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008,
che richiama il pronunciamento della Corte
di Giustizia CE, sz. II, n. 187/2005, con
cui il Giudice comunitario ha avuto modo di
ribadire che il ricorso alla procedura
negoziata senza pubblicazione preliminare di
un bando di gara è ammesso solo nei casi
tassativamente elencati dalle direttive
adottate in materia di procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici. La
normativa nazionale, osserva il TAR Lazio,
ha dunque ritenuto di adeguarsi, in
recepimento delle direttive comunitarie,
prevedendo anche tale strumento operativo,
purché contenuto nell'ambito indicato.
[2] Tra le tante, TAR Piemonte, n. 803/2011;
TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008.
[3] Si riporta il testo dell'art. 7, comma
2, lett. f), D.Lgs. n. 157/1995, oggi
abrogato e confluito nell'art. 57, comma 5,
lett. b), D.lgs. n. 163/2006: 'Comma 2. Gli
appalti del presente decreto possono essere
aggiudicati a trattativa privata, senza
preliminare pubblicazione di un bando di
gara:
f) per nuovi servizi consistenti nella
ripetizione di servizi analoghi già affidati
allo stesso prestatore di servizi mediante
un precedente appalto aggiudicato dalla
stessa amministrazione, purché tali servizi
siano conformi a un progetto di base per il
quale sia stato aggiudicato un primo appalto
conformemente alle procedure di cui al comma
3; in questo caso il ricorso alla trattativa
privata, ammesso solo nei tre anni
successivi alla conclusione dell'appalto
iniziale, deve essere indicato in occasione
del primo appalto e il costo complessivo
stimato dei servizi successivi è preso in
considerazione dall'amministrazione
aggiudicatrice per la determinazione del
valore globale dell'appalto'.
[4] CdS, sez. IV, n. 6426/2006; nello stesso
senso, CdS, sez. VI, n. 6457/2006.
[5] Il riferimento è all'art. 6, comma 2,
ultimo periodo, L. n. 537/1993, (articolo
oggi abrogato dal D.Lgs. n. 163/2006), che
ammetteva, a determinate condizioni, la
possibilità di rinnovare i contratti delle
pubbliche amministrazioni, entro i tre mesi
prima della loro scadenza, e di cui si
riporta il testo: 'È vietato il rinnovo
tacito dei contratti delle pubbliche
amministrazioni per la fornitura di beni e
servizi, ivi compresi quelli affidati in
concessione a soggetti iscritti in appositi
albi. I contratti stipulati in violazione
del predetto divieto sono nulli. Entro tre
mesi dalla scadenza dei contratti, le
amministrazioni accertano la sussistenza di
ragioni di convenienza e di pubblico
interesse per la rinnovazione dei contratti
medesimi e, ove verificata detta
sussistenza, comunicano al contraente la
volontà di procedere alla rinnovazione'.
[6] CdS, sez. IV, n. 6426/2006. il Giudice
amministrativo evidenzia come in conseguenza
dell'intervento normativo dell'art. 23, L.
n. 62/20005, non è, altresì, possibile la
previsione del rinnovo nel bando di gara e
nel successivo contratto, posto che la
natura imperativa ed inderogabile della
sopravvenuta disposizione legislativa che
introduce un divieto generalizzato di
rinnovazione dei contratti delle pubbliche
amministrazioni implica la sopravvenuta
inefficacia delle previsioni, amministrative
e contrattuali, configgenti con il nuovo e
vincolante principio, che non tollera la
sopravvivenza dell'efficacia di difformi
clausole negoziali.
[7] Cfr. CdS, sez. V, n. 2882/2009; TAR
Lazio, Roma, n. 3546/2008; TAR Lazio, Roma,
n. 4924/2008.
[8] CdS n. 2882/2009. La ripetizione dei
servizi analoghi comporta un nuovo e diverso
vincolo contrattuale, come a tacer d'altro
si ricava dal dato che la ripetizione può
aver luogo solo nel triennio successivo alla
stipula dell'appalto iniziale (vale a dire
persino in pendenza del contratto
originario, il quale può generalmente durare
fino a 48 mesi).
[9] CdS n. 2882/2009. L'art. 57 del Codice
dei contratti non fonda una nuova ipotesi di
generale rinnovabilità dei contratti di
servizi consistente nella ripetizione di
servizi analoghi a quelli affidati all'esito
di una gara, ma si riferisce soltanto ad
eventuali esigenze di servizi analoghi
sopravvenute nel triennio successivo alla
stipula del contratto.
[10] TAR Lazio, Roma, n. 3546/2008; TAR
Lazio, Roma, n. 4924/2008.
[11] L'art. 1, comma 67, L. n. 266/2005,
dispone che l'Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici, ai fini della copertura dei
costi relativi al proprio funzionamento,
determina annualmente l'ammontare delle
contribuzioni dovute dai soggetti, pubblici
e privati, sottoposti alla sua vigilanza,
nonché le relative modalità di riscossione.
Con deliberazione del 03.11.2010, l'Autorità
per la vigilanza ha stabilito le modalità e
l'entità secondo cui è dovuto il versamento
dei contributi per l'anno 2011
(23.12.2011 - link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Procedura negoziata ex art. 125 del Codice
dei Contratti: al fine di assicurare
l'invito ad almeno 5 ditte, vanno invitate
anche imprese non iscritte nell'elenco
appositamente predisposto dalla stazione
appaltante.
In presenza di una procedura negoziata (pur
procedimentalizzata), la lex specialis va
contemperata con i principi del favor partecipationis e della necessaria chiarezza
delle regole di gara, a tutela
dell'interesse pubblico alla massima
concorrenzialità e di quello privato
all'affidamento in base alle condizioni di
partecipazione enunciate dalla Stazione
appaltante (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 22.12.2011 n.
3153
-
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cosa sono le soglie comunitarie negli
appalti pubblici e qual è il loro importo?
Novità da gennaio 2012.
Le soglie comunitarie rappresentano un
meccanismo empirico di individuazione della
cosiddetta "rilevanza comunitaria".
Una procedura di appalto pubblico è
considerata di interesse comunitario se il
suo importo è superiore a determinate soglie
predefinite ed in tal caso vanno applicate
le direttive europee sugli appalti pubblici.
Sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità
Economica Europea è stato pubblicato il
Regolamento (CE) n. 1251/2011 del 30
novembre 2011 che modifica le soglie in
materia di procedure di aggiudicazione degli
appalti, come segue:
◊ negli appalti di forniture e di servizi la
soglia passa dagli attuali 125.000 Euro a
130.000 Euro;
◊ negli appalti pubblici di servizi la
soglia passa dagli attuali 193.000 Euro a
200.000 Euro;
◊ negli appalti pubblici di lavori la soglia
passa dagli attuali 4.845.000 Euro a
5.000.000 Euro.
La redazione di BibLus-net propone una
tabella riepilogativa con le nuove soglie,
le vecchie e il settore di applicazione
(22.12.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Il principio di tassatività delle cause di
esclusione non si applica ai bandi
pubblicati prima del 14.05.2011.
Il principio della tassatività delle cause
legali che legittimano l’esclusione dalle
gare di appalto ai sensi dell’art. 46, comma
1-bis, del codice appalti, come modificato
dal d.l. n. 70 del 2011 non è estendibile
alle procedure iniziate in data antecedente
al 14.05.2011, data di entrata in vigore
della predetta norma (v. Cons. Stato,
ordinanza 12.10.2011, n. 4497) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 21.12.2011 n.
2437 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La segnalazione all'Autorità per
la Vigilanza sui Contratti Pubblici può
essere effettuata anche nei casi di
esclusione dalla gara disposta per
l'accertata carenza dei requisiti di ordine
generale.
Per escludere un'impresa ritenendola in
collegamento sostanziale non bastano degli
indici meramente formali, ma occorre che la
stazione appaltante dia la prova concreta
dell'esistenza di un unico centro
decisionale che governi le due o più
imprese.
La segnalazione all'Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici va fatta
non soltanto nel caso di riscontrato difetto
dei requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale, trattandosi di esclusione idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
A seguito della sentenza della Corte di
Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007
che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art.
34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto
comunitario, non è più possibile sanzionare
il collegamento tra più imprese mediante
l'automatica esclusione dalla procedura
selettiva, sulla scorta di una presunzione
di "inquinamento" del confronto
concorrenziale concretatasi in
un'anticipazione della soglia di tutela,
occorrendo invece accertare se in concreto
tale situazione abbia influito sul loro
rispettivo comportamento nell'ambito della
gara. La disciplina interna deve essere cioè
intesa nel senso che il rapporto tra le
imprese può giustificare l'esclusione
soltanto se la stazione appaltante accerti
che tale rapporto abbia influenzato la
formulazione delle offerte, in modo che
dette imprese siano messe in grado di
dimostrare l'insussistenza di rischi di
turbative della selezione. Per escludere
un'impresa ritenendola in collegamento
sostanziale, quindi, non bastano degli
indici meramente formali, ma occorre che la
stazione appaltante dia la prova concreta
dell'esistenza di un unico centro
decisionale che governi le due o più imprese
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.12.2011 n. 1343 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
segnalazione all’Autorità di Vigilanza va
fatta non soltanto nel caso di riscontrato
difetto dei requisiti di ordine speciale in
sede di controllo a campione, ma anche in
caso di riscontrato difetto dei requisiti di
ordine generale, trattandosi di esclusione
idonea a segnalare una circostanza di
estrema rilevanza per la corretta conduzione
delle procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
-------------
A seguito della sentenza della Corte di
Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007
che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art.
34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto
comunitario, non è più possibile sanzionare
il collegamento tra più imprese mediante
l'automatica esclusione dalla procedura
selettiva, sulla scorta di una presunzione
di “inquinamento” del confronto
concorrenziale concretatasi in
un'anticipazione della soglia di tutela,
occorrendo invece accertare se in concreto
tale situazione abbia influito sul loro
rispettivo comportamento nell'ambito della
gara.
La disciplina interna deve essere cioè
intesa nel senso che il rapporto tra le
imprese può giustificare l'esclusione
soltanto se la stazione appaltante accerti
che tale rapporto abbia influenzato la
formulazione delle offerte, in modo che
dette imprese siano messe in grado di
dimostrare l'insussistenza di rischi di
turbative della selezione.
Per escludere un'impresa ritenendola in
collegamento sostanziale, quindi, non
bastano degli indici meramente formali, ma
occorre che la stazione appaltante dia la
prova concreta dell'esistenza di un unico
centro decisionale che governi le due o più
imprese.
E' Illegittima l’esclusione di una ditta da
una gara pubblica, motivata con riferimento
al fatto che è stata riscontrata una
situazione di collegamento sostanziale con
altra ditta concorrente, nel caso in cui la
situazione valutata dalla stazione
appaltante, in forza della quale è stato
ritenuto sussistente il suddetto
collegamento, sia obiettivamente ambigua, in
quanto caratterizzata da elementi e
coincidenze non idonei a configurare con
certezza quella situazione di collegamento
vietata dal bando e dall’ordinamento in
quanto distorsiva della concorrenza; in tal
caso, infatti, l’amministrazione deve
approfondire l’effettiva esistenza di un
reciproco condizionamento, tale da far
ritenere l’esistenza di un unico centro
decisionale, con la conseguenza che
l’esclusione disposta in difetto di tale
approfondimento e comminata sulla base di un
riscontro non sufficientemente probante è
illegittima.
L'esistenza di un collegamento sostanziale
tra imprese non può di per sé solo impedire
alle stesse di partecipare alla medesima
gara, dovendosi riconoscere a queste ultime
la possibilità di dimostrare che il detto
rapporto non ha influito sul loro rispettivo
comportamento nell'ambito della specifica
procedura d'appalto.
Parte ricorrente lamenta che la stazione
appaltante abbia disposto la segnalazione
dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza
sebbene l’art. 48 del D.Lgs. 163/2006
preveda l’obbligo di detta segnalazione
soltanto in relazione alle esclusioni
disposte per irregolarità concernenti i
requisiti di ordine speciale.
A sostegno della doglianza, parte ricorrente
richiama l’indirizzo giurisprudenziale, già
condiviso da questa Sezione, secondo cui
l'irrogazione all'impresa partecipante alla
gara pubblica della triplice sanzione
(esclusione dalla gara; escussione della
cauzione provvisoria; segnalazione
all'autorità di vigilanza) si riferisce alle
sole irregolarità accertate con riferimento
ai requisiti di ordine speciale di cui
all'art. 48, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, e non
anche a quelle relative ai requisiti di
ordine generale ex art. 38, sanzionabili
solo con l'esclusione dalla gara (TAR
Piemonte Torino, sez. I, 16.07.2010 , n.
3129).
La censura non può essere condivisa.
Va dato atto che l’indirizzo
giurisprudenziale richiamato dalla difesa
attrice è stato di recente rimeditato da
questa Sezione con la recente sentenza n.
1152 del 04.11.2011, pervenendosi
all’opposta conclusione che la segnalazione
all’Autorità di Vigilanza va fatta non
soltanto nel caso di riscontrato difetto dei
requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale, trattandosi di esclusione idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
In tal modo, la Sezione si è motivatamente
uniformata ai principi affermati dalla
prevalente giurisprudenza amministrativa,
ritenendoli maggiormente confacenti a canoni
di ragionevolezza e di interpretazione
sistematica del dato normativo (in senso
analogo, Cons. Stato, sez. VI, 13.06.2011,
n. 3567; sez. VI, 03.02.2011, n. 782; sez.
VI, 04.08.2009, n. 4905; sez. V, 12.02.2007
n. 554; sez. IV, 07.09.2004, n. 5792).
---------------
A seguito della
sentenza della Corte di Giustizia Ce, sez.
IV, 19.05.2009-C-538/2007 che ha ritenuto
l'incompatibilità dell'art. 34, d.lgs. n.
163 del 2006 con il diritto comunitario, non
è più possibile sanzionare il collegamento
tra più imprese mediante l'automatica
esclusione dalla procedura selettiva, sulla
scorta di una presunzione di “inquinamento”
del confronto concorrenziale concretatasi in
un'anticipazione della soglia di tutela,
occorrendo invece accertare se in concreto
tale situazione abbia influito sul loro
rispettivo comportamento nell'ambito della
gara.
La disciplina interna deve essere cioè
intesa nel senso che il rapporto tra le
imprese può giustificare l'esclusione
soltanto se la stazione appaltante accerti
che tale rapporto abbia influenzato la
formulazione delle offerte, in modo che
dette imprese siano messe in grado di
dimostrare l'insussistenza di rischi di
turbative della selezione.
Per escludere un'impresa ritenendola in
collegamento sostanziale, quindi, non
bastano degli indici meramente formali, ma
occorre che la stazione appaltante dia la
prova concreta dell'esistenza di un unico
centro decisionale che governi le due o più
imprese (TAR Lazio Roma, sez. III,
04.11.2010, n. 33167; TAR Calabria Catanzaro
sez. I 04.03.2011, n. 300; TAR Piemonte
Torino, sez. II, 04.11.2008, n. 2739).
In particolare, è stato affermato che è
illegittima l’esclusione di una ditta da una
gara pubblica, motivata con riferimento al
fatto che è stata riscontrata una situazione
di collegamento sostanziale con altra ditta
concorrente, nel caso in cui la situazione
valutata dalla stazione appaltante, in forza
della quale è stato ritenuto sussistente il
suddetto collegamento, sia obiettivamente
ambigua, in quanto caratterizzata da
elementi e coincidenze non idonei a
configurare con certezza quella situazione
di collegamento vietata dal bando e
dall’ordinamento in quanto distorsiva della
concorrenza; in tal caso, infatti,
l’amministrazione deve approfondire
l’effettiva esistenza di un reciproco
condizionamento, tale da far ritenere
l’esistenza di un unico centro decisionale,
con la conseguenza che l’esclusione disposta
in difetto di tale approfondimento e
comminata sulla base di un riscontro non
sufficientemente probante è illegittima
(Consiglio Stato, sez. VI, 06.09.2010, n.
6469).
Analogamente, è stato affermato che
l'esistenza di un collegamento sostanziale
tra imprese non può di per sé solo impedire
alle stesse di partecipare alla medesima
gara, dovendosi riconoscere a queste ultime
la possibilità di dimostrare che il detto
rapporto non ha influito sul loro rispettivo
comportamento nell'ambito della specifica
procedura d'appalto (TAR Sardegna Cagliari,
sez. I, 24.02.2011, n. 161)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza
21.12.2011 n. 1343 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, quando l'avvalimento riguarda
prestazioni eterogenee.
In
presenza di una clausola del bando di gara
d'appalto che imponga il possesso di un
requisito di partecipazione di cui il
concorrente sia privo, non necessita, ai
fini della legittimazione ad agire, la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Con
sentenza 21.12.2011 n. 1336, la
I Sez. del
TAR Piemonte ha affermato che in presenza
di una clausola del bando di gara d'appalto
che imponga, a pena di esclusione il
possesso di un requisito di partecipazione
di cui il concorrente sia privo, non
necessita, al fine di radicare nel medesimo
la legittimazione al ricorso, la previa
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, la quale si
risolverebbe in un inutile formalismo poiché
l'esclusione dalla procedura sarebbe certa.
Sotto altro profilo, i giudici piemontesi
hanno affermato che in tema di appalti
pubblici, l'istituto dell'avvalimento, il
quale sostanzia una facoltà per le imprese
partecipanti alle gare ed è inteso a
favorire ed ampliare le possibilità di
partecipazione alle stesse, non priva del
carattere escludente una clausola che
imponga a pena di esclusione un determinato
requisito di partecipazione, sia ai
concorrenti singoli che a quelli riuniti in
raggruppamento o consorzio, in quanto
altrimenti, l'utilizzo dell'avvalimento,
lungi dall'assurgere a strumento agevolativo
della partecipazione alla gara,
determinerebbe una ingiustificata
compressione della libertà di impresa e di
iniziativa economica, addirittura fungendo
non da strumento per agevolare il favor partecipationis, ma da congegno processuale
necessario a radicare l'interesse a
ricorrere a fronte di una siffatta clausola.
Per quanto concerne il bando avente per
oggetto assolutamente dominante la
riscossione della tassa automobilistica e in
via secondaria anche quella di una serie di
imposte comunali, si è ritenuto che tale lex
specialis è di per sé illegittima in quanto
accorpa in sé servizi tra loro eterogenei
che non consentono di formulare offerte
consapevoli e, comunque, non può richiedere
anche per la prima attività, a pena di
esclusione, il possesso dell'iscrizione
all'albo dei soggetti abilitati alle
attività di accertamento, liquidazione e
riscossione delle entrate degli enti locali
contemplato dall'art. 53 D.L.vo 15.12.1997 n. 446, in quanto altrimenti darebbe
corpo all'imposizione di un requisito
sproporzionato e in ultima analisi
determinerebbe una compressione della
concorrenza (Nella specie, le due tipologie
di tributo erano assolutamente diverse tra
di loro).
E' stato, infine affermato che, ai fini
della riscossione della tassa
automobilistica, il sistema on-line è quello
tipizzato dal legislatore ed è quindi
illegittimo il sistema off-line costituito
dal pagamento mediante utilizzazione del
bollettino mav.
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Il
bilanciamento tra il diritto di accesso
degli interessati e il diritto alla
riservatezza non è stato rimesso alla
potestà regolamentare o alla discrezionalità
delle singole amministrazioni, ma è stato
compiuto direttamente dalla legge che, nel
prevedere la tutela della riservatezza dei
terzi (nella specie il know how industriale
inerente all'offerta tecnica presentata in
sede di gara), ha fatto nel contempo salvo
il diritto degli interessati alla visione
degli atti ai procedimenti amministrativi,
la cui conoscenza sia necessaria per curare
o difendere i propri interessi.
Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti
finalità di pubblico interesse, costituisce,
a termini dell’art. 22, comma 2, L.
241/1990, principio generale dell’attività
amministrativa, al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne
l’imparzialità e la trasparenza, ed
attinente ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione.
La partecipazione a una gara comporta che
l'offerta tecnico-progettuale presentata
fuoriesca dalla sfera di dominio riservato
dell'impresa per porsi sul piano della
valutazione comparativa rispetto alle
offerte presentate da altri concorrenti, con
la conseguenza che la società non
aggiudicataria ha interesse ad accedere alla
documentazione afferente le offerte
presentate per la tutela dei propri
interessi.
Va legittimamente escluso l'accesso ai dati
contenuti in un’offerta che attengono al
"know-how" industriale in senso stretto,
vale a dire a quella esperienza
tecnico-industriale, frutto di sviluppo di
tecnologie specialistiche ignote alla
generalità degli operatori e che devono
rimanere nell'ambito del legittimo detentore
e rimanere sottratte alla conoscenza altrui,
poiché, in caso contrario, ciò si
tradurrebbe in un chiaro vantaggio illecito.
La ditta ricorrente chiede l’accesso agli
atti di gara, e specificatamente all’offerta
tecnica formulata dal raggruppamento
risultato vincitore, per l’affidamento del
Servizio manutenzione del sistema di
controllo e video sorveglianza dell'azienda
sanitaria locale di Pescara; chiede altresì
l'annullamento del diniego
dell'amministrazione a consentire detto
accesso.
In generale il bilanciamento tra il diritto
di accesso degli interessati e il diritto
alla riservatezza non è stato rimesso alla
potestà regolamentare o alla discrezionalità
delle singole amministrazioni, ma è stato
compiuto direttamente dalla legge che, nel
prevedere la tutela della riservatezza dei
terzi (nella specie il know how
industriale inerente all'offerta tecnica
presentata in sede di gara), ha fatto nel
contempo salvo il diritto degli interessati
alla visione degli atti ai procedimenti
amministrativi, la cui conoscenza sia
necessaria per curare o difendere i propri
interessi (Consiglio di Stato, sez. VI,
07.06.2006, n. 3418).
Occorre appena ricordare che il diritto di
accesso ai documenti amministrativi, attese
le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce, a termini dell’art.
22, comma 2, L. 241/1990, principio generale
dell’attività amministrativa, al fine di
favorire la partecipazione e di assicurarne
l’imparzialità e la trasparenza, ed
attinente ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione.
Va poi rammentato che, con regolamento
adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2,
della legge 23.08.1988, n. 400, il governo
può prevedere casi di sottrazione
all’accesso di documenti amministrativi ”...d)
quando i documenti riguardino la vita
privata o la riservatezza di persone
fisiche, persona giuridiche, gruppi, imprese
e associazioni, con particolare riferimento
agli interessi epistolare, sanitario,
professionale, finanziario, industriale e
commerciale di cui siano in concreto
titolari, ancorché i relativi dati siano
forniti all’amministrazione dagli stessi
soggetti cui si riferiscono”.
Il comma 7 stabilisce poi che deve comunque
essere garantito ai richiedenti l’accesso ai
documenti amministrativi la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici.
Ciò premesso, risulta peraltro fatto noto
che la partecipazione a una gara comporta
che l'offerta tecnico-progettuale presentata
fuoriesca dalla sfera di dominio riservato
dell'impresa per porsi sul piano della
valutazione comparativa rispetto alle
offerte presentate da altri concorrenti, con
la conseguenza che la società non
aggiudicataria ha interesse ad accedere alla
documentazione afferente le offerte
presentate per la tutela dei propri
interessi.
Va quindi stabilito se il diritto alla
riservatezza dei terzi costituisca o meno un
ostacolo all'esercizio del diritto di
accesso ai documenti amministrativi.
Le disposizioni in materia di accesso sono
infatti finalizzate a coniugare la ratio
dell'istituto, quale elemento di trasparenza
e garanzia dell'imparzialità
dell'amministrazione, con il bilanciamento
da effettuare rispetto a interessi
contrapposti e, più in particolare, a quelli
dei soggetti "individuati o facilmente
individuabili" che dall'esercizio
dell'accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza (art. 22, comma 1,
lett. e), legge n. 241 del 1990).
Ad avviso di questo Collegio, va
legittimamente escluso l'accesso ai dati
contenuti in un’offerta che attengono al "know-how"
industriale in senso stretto, vale a dire a
quella esperienza tecnico-industriale,
frutto di sviluppo di tecnologie
specialistiche ignote alla generalità degli
operatori e che devono rimanere nell'ambito
del legittimo detentore e rimanere sottratte
alla conoscenza altrui, poiché, in caso
contrario, ciò si tradurrebbe in un chiaro
vantaggio illecito (TAR Lazio Roma, sez. III,
03.08.2009, n. 7797).
Nel caso in esame il raggruppamento di
imprese nel partecipare alla gara ha
precisato nell'offerta tecnica che le
informazioni in essa contenute erano
riservate e in ogni caso dal punto di vista
tecnico industriale in grado, ove divulgate,
di porre la società stessa in una posizione
di svantaggio rispetto agli altri soggetti
che ne avessero avuto contezza.
In questo quadro, questo Collegio ritiene di
dover assumere un atteggiamento mediano,
consentendo l’accesso alla ditta ricorrente
a tutta la documentazione di gara, inclusa
l’offerta tecnica proposta dalla ditta
vincitrice della gara, con esclusione
peraltro di quella parte dell’offerta
tecnica, che, per la sua natura e contenuto,
risulta in grado di svelare eventuali
segreti industriali e di conseguenza di
compromettere la posizione nel mercato della
ditta vincitrice della gara. Spetterà
all’amministrazione compiere una ragionata e
motivata scelta discrezionale tra la
documentazione attinente all’offerta tecnica
escludendo le parti in grado di
compromettere la posizione del
raggruppamento vincitore; in questa
operazione l’amministrazione si potrà far
assistere dai propri uffici tecnici e -ove
lo ritenga necessario– anche dalla ditta
vincitrice della gara.
Il ricorso va quindi accolto in parte nei
limiti sopra indicati, per cui la resistente
amministrazione dovrà entro trenta giorni
dalla notificazione ovvero comunicazione
della presente pronuncia consentire –dopo
aver effettuato l’operazione di cernita
sopra indicata- l’accesso alla parte
dell’offerta tecnica come sopra specificata
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 21.12.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Modalità
di indicazione negli atti di gara dei costi
relativi alla sicurezza.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma
4, del Codice dei Contratti Pubblici
impongono, anche per gli appalti di servizi
e forniture, la specifica indicazione
nell’offerta economica di tutti i costi
relativi alla sicurezza.
In particolare gli oneri della sicurezza
–sia nel comparto dei lavori che in quelli
dei servizi e delle forniture– devono essere
distinti tra oneri, non soggetti a ribasso,
finalizzati all’eliminazione dei rischi da
interferenze (che devono essere quantificati
dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed
oneri concernenti i costi specifici connessi
con l’attività delle imprese che devono
essere indicati dalle stesse nelle
rispettive offerte, con il conseguente onere
per la stazione appaltante di valutarne la
congruità (anche al di fuori del
procedimento di verifica delle offerte
anomale) rispetto all’entità ed alle
caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma
4, del d.lgs. n. 163 del 2006 impongono la
specifica stima ed indicazione di tutti i
costi relativi alla sicurezza, tanto nella
fase della “predisposizione delle gare di
appalto” (e quindi nella predisposizione
della documentazione di gara) quanto nella
fase della formulazione dell’offerta
economica.
Peraltro, anche l’art. 26, comma 6, del
d.lgs. n. 281 del 09.04.2008 (recante norme
in materia di tutela della salute e di
sicurezza nei luoghi di lavoro), emanato in
attuazione della delega prevista dall’art.
1, comma 1, della legge n. 123 del 2007,
stabilisce che nella predisposizione delle
gare di appalto e nella valutazione
dell’anomalia delle offerte, nelle procedure
di affidamento di appalti di lavori
pubblici, di servizi e di forniture, gli
enti aggiudicatori sono tenuti a valutare
che il valore economico sia adeguato e
sufficiente rispetto al costo del lavoro ed
al costo relativo alla sicurezza, “che
deve essere specificamente indicato e
risultare congruo rispetto all’entità e alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi o
delle forniture”.
Ciò significa che, negli atti di gara,
devono essere specificamente indicati,
separatamente dall’importo dell’appalto
posto a base d’asta, i costi relativi alla
sicurezza derivanti dalla valutazione delle
interferenze, per i quali è precluso
qualsiasi ribasso (art. 86, comma 3-bis. e
comma 3-ter, del d.lgs. n. 163/2006),
trattandosi di costi ritenuti necessari per
la tutela dei soggetti interessati. Gli atti
di gara devono poi prevedere che,
nell’offerta economica, siano indicati gli
altri oneri per la sicurezza (da rischio
specifico) che sono variabili perché legati
all’offerta economica delle imprese
partecipanti alla gara.
A loro volta le imprese partecipanti devono
includere necessariamente nella loro offerta
sia gli oneri di sicurezza per le
interferenze (nella esatta misura
predeterminata dalla stazione appaltante),
sia gli altri oneri di sicurezza da rischio
specifico (o aziendali) la cui misura può
variare in relazione al contenuto
dell’offerta economica, trattandosi di costi
il cui ammontare è determinato da ciascun
concorrente in relazione alle altre voci di
costo dell’offerta
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 19.12.2011 n. 6677 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Falso
innocuo del concorrente nella procedura di
gara.
Le eventuali inesattezze delle dichiarazioni
rese dai concorrenti nell’ambito di una
procedura per l’affidamento di un contratto
pubblico rilevano solo se idonee,
effettivamente, ad incidere sullo
svolgimento della gara
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 19.12.2011 n. 6639 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'Amministrazione,
che intenda procedere al riesame in
autotutela del provvedimento di
aggiudicazione definitiva con il quale si
sia concluso il procedimento di affidamento
di contratti pubblici, è tenuta a comunicare
l'avvio del procedimento quantomeno nei
confronti dell'aggiudicatario la cui sfera
giuridica potrebbe essere incisa dagli
effetti sfavorevoli derivanti dall'adozione
dell'atto di revoca.
E’ del tutto pacifico, infatti, che
l'Amministrazione, che intenda procedere al
riesame in autotutela del provvedimento di
aggiudicazione definitiva con il quale si
sia concluso il procedimento di affidamento
di contratti pubblici, è tenuta a comunicare
l'avvio del procedimento quantomeno nei
confronti dell'aggiudicatario la cui sfera
giuridica potrebbe essere incisa dagli
effetti sfavorevoli derivanti dall'adozione
dell'atto di revoca (ex multis, TAR
Piemonte, sez. I, 23.04.2010, n. 2085, TAR
Sardegna, sez. I, 12.08.2008, n. 1721, Cons.
giust. amm. Sicilia, sez. giurisd.,
18.02.2008, n. 113, TAR Campania Salerno,
sez. I, 14.02.2008, n. 200)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 19.12.2011 n. 1252 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La dichiarazione sul possesso di requisiti
resa per conto di altri soggetti deve
contenere l'indicazione nominativa dei
soggetti stessi.
Il soggetto che rende le dichiarazioni di
cui all’art. 38 anche in relazione agli
altri amministratori muniti di legale
rappresentanza ed al direttore tecnico, deve
indicare quanto meno i nominativi di tali
soggetti, al fine di consentire la loro
identificazione e quindi la successiva
verifica del possesso dei requisiti (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 19.12.2011 n.
1025 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi turistico-culturali, può il Comune
affidare servizi senza gara d'appalto.
Domanda.
Può il Comune affidare direttamente alla
locale Pro Loco la gestione diretta dei
servizi turistico-culturali dal 2012 al 2016
senza alcuna gara di appalto?
Premesso che:
a) il Piano Finanziario presumibile
dell'intero pacchetto dei servizi supera
annualmente la somma di Euro 100.000,00
(I.V.A. compresa); b) l'intervento del
Comune a favore della Pro Loco, a fronte dei
servizi forniti è quantificato annualmente
in Euro ... ... ... (I.V.A. compresa), da
corrispondersi dietro presentazione di
regolare fattura da parte della stessa
Associazione; c) le entrate derivanti dalle
visite, vendite di gadgets e di prodotti
tipici, ecc., rimangono interamente alla
concessionaria.
Risposta.
Giova preliminarmente ricordare che le
Associazioni Pro Loco sono Enti associativi
di natura privatistica e senza finalità di
lucro che svolgono attività di promozione e
di valorizzazione del territorio e di
utilità sociale.
Il Comune può stipulare con questi Enti
Convenzioni che prevedono forme di
affidamento diretto di servizi
turistico-ricreativi e culturali, regolando,
se del caso, la concessione in uso a titolo
gratuito di spazi pubblici e il rimborso di
spese e/o l'erogazione di contributi
strumentali e coordinati all'erogazione ai
terzi di servizi (art. 7, L. 11-08-1991, n.
266; la stipula della Convenzione può
trovare un titolo di legittimazione
ulteriore anche nella partecipazione
dell'Ente Locale all'Ente Pro Loco: arg.
dall'art. 113-bis, comma 3, D.Lgs.
18-08-2000, n. 267).
La soluzione dell'affidamento diretto
mediante Convenzione all'Associazione Pro
Loco presuppone, peraltro, che l'attività
oggetto della Convenzione non sia
qualificabile come vero e proprio appalto di
servizi ovvero come concessione di servizi
pubblici, in cui si prevede,
rispettivamente, l'erogazione di un vero e
proprio corrispettivo da parte del
Comune-appaltante ovvero forme di
remunerazione degli investimenti mediante
acquisizione dei proventi della gestione.
L'affidamento di un appalto o di una
concessione a terzi, che postula la natura
imprenditoriale dell'attività demandata
all'appaltatore o al concessionario, deve
sempre essere oggetto di affidamento
mediante modalità concorrenziali -più o
meno strutturate- che consentano di
sollecitare adeguatamente la presentazione
di offerte da parte degli operatori
economici presenti sul mercato (art. 2, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 e s.m.i.).
Laddove, pertanto, il Comune intenda
affidare un vero e proprio servizio
all'esterno -nelle forme dell'appalto o
della concessione- la soluzione della
procedura di gara si palesa come
ineludibile.
I servizi culturali e turistici rientrano
nell'Allegato II B al D.Lgs. 12-04-2006, n.
163 e s.m.i. (v. TAR Sicilia-Palermo,
Sez. III, 06.05.2010 n. 6406) e il loro
affidamento è regolato dagli artt. 20 e 27,
del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 cit., laddove
l'affidamento a terzi configuri un appalto
di servizi, ovvero dall'art. 30, D.Lgs.
12-04-2006, n. 163, laddove l'affidamento a
terzi configuri una concessione di servizio
pubblico, norme che impongono di scegliere
il contraente mediante l'esperimento di una
gara, sia pure nelle forme della procedura
negoziata.
Nel caso di specie, la necessità o meno
della gara per l'affidamento a terzi
dipende, dunque, dalla qualificazione
dell'oggetto dell'affidamento -le
prestazioni rese al Comune e/o agli utenti
dei servizi- e, soprattutto, dell'"intervento
del Comune a favore della Pro Loco" (19.12.2011 - tratto da www.ispoa.it). |
APPALTI:
Sempre il modello GAP per
l'aggiudicazione di una gara d'appalto.
E' illegittima l'aggiudicazione di una gara
di appalto in favore di una ditta che ha
omesso di produrre il modello GAP, invero
richiesto al fine di accedere a notizie
riguardanti le imprese partecipanti alle
pubbliche gare.
La segnalata pronuncia affronta la questione
sulla legittimità, o meno,
dell’aggiudicazione di una gara di appalto
in favore di una ditta che ha omesso di
presentare la documentazione relativa alla
propria attività sotto i profili
organizzativi, finanziari e tecnici.
In particolare, la ricorrente, seconda in
graduatoria, ha impugnato gli atti inerenti
una procedura aperta indetta dal competente
Provveditorato interregionale per
l’affidamento di alcuni lavori pubblici,
nonché il decreto con cui il Provveditore
aveva disposto l’aggiudicazione definitiva
in favore di altra società.
Ha eccepito, oltre al resto, la violazione e
falsa applicazione dell’art. 1, comma 5, del
D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982,
degli artt. 38, comma 1, lett. c) e 40,
comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006, nonché la
violazione e falsa applicazione della
sezione del disciplinare di gara relativa
alla busta A ("Documentazione").
Segnatamente, ha lamentato che
l’aggiudicataria avrebbe omesso di allegare
alla propria offerta il "modello GAP
impresa partecipante", nonché
l’attestazione di insussistenza, in capo al
proprio legale rappresentante e al proprio
direttore tecnico, di sentenze di
applicazione della pena su richiesta e di
sentenze di condanna incidenti sulla
moralità professionale per le quali il
destinatario abbia goduto del beneficio
della non menzione, mentre, sempre con
riferimento agli anzidetti esponenti
aziendali, avrebbe esibito certificati del
casellario giudiziale e dei carichi pendenti
scaduti.
Il Collegio di Napoli, in via preliminare,
ha ritenuto che il giudizio poteva essere
definito con decisione in forma
semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.,
in considerazione dell’oggetto della causa,
dell’integrità del contraddittorio e della
completezza dell’istruttoria.
In punto di rito ha dapprima dichiarato la
tempestività del gravame sulla scorta della
considerazione per cui l’iniziale
comunicazione effettuata dal Provveditorato
interregionale, nel richiamare soltanto i
verbali di gara relativi all’esame della
documentazione amministrativa prodotta dalle
imprese concorrenti, nonché
all’aggiudicazione provvisoria in favore
della controinteressata, doveva intendersi
riferita all’aggiudicazione provvisoria e
non a quella definitiva.
Siffatta comunicazione, pertanto, a suo
avviso, non integrava gli estremi propri di
quella prevista dall’art. 79, comma 5, lett.
a), del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui: "in
ogni caso l'amministrazione comunica di
ufficio … l'aggiudicazione definitiva,
tempestivamente e comunque entro un termine
non superiore a cinque giorni,
all'aggiudicatario, al concorrente che segue
nella graduatoria, a tutti i candidati che
hanno presentato un'offerta ammessa in gara,
a coloro la cui candidatura o offerta siano
state escluse se hanno proposto impugnazione
avverso l'esclusione, o sono in termini per
presentare dette impugnazioni, nonché a
coloro che hanno impugnato il bando o la
lettera di invito, se dette impugnazioni non
siano state ancora respinte con pronuncia
giurisdizionale definitiva".
Di conseguenza, il giudicante, considerato
che la ricorrente aveva acquisito piena
conoscenza dell’aggiudicazione definitiva
attraverso il testuale richiamo a essa
contenuto nella successiva nota
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, ha proceduto all’esame del merito
della vicenda.
In proposito, ha osservato come, in termini
generali, l'onere di presentare il modello
GAP risponde a un’esigenza fondamentale di
tutela dell’ordine pubblico, consistente nel
consentire all'alto Commissario per il
coordinamento della lotta contro la
delinquenza mafiosa, l’accesso a notizie
riguardanti le imprese partecipanti alle
pubbliche gare e nell’apprestargli, per tal
via, un indefettibile strumento conoscitivo
per svolgimento delle sue funzioni (cfr.
Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n.
298/1998; TAR Lazio, Latina, n. 1067/2010).
Conseguentemente ha ritenuto che, nel caso
di specie, la rilevanza sostanziale
dell'interesse pubblico sotteso alla
clausola concorsuale prescrittiva di un
simile onere documentale, avrebbe dovuto
implicare l'esclusione dalla gara delle
imprese resesi inadempienti, pur in difetto
di espressa sanzione espulsiva da parte
della lex specialis e in virtù del
principio di eterointegrazione di
quest’ultima a opera della norma imperativa
di cui all’art. 1, comma 5, del D.L. n.
629/1982, conv. in L. n. 726/1982 (cfr.
Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n.
94/2003; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n.
313/2005; idem, Sez. III, n. 1173/2007 e n.
532/2008; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, n.
2024/2009; idem n. 1100/2010 e n.
1900/2011).
Quest’ultima disposizione, infatti, recita
testualmente che: “… a richiesta
dell'alto Commissario, le imprese, sia
individuali che costituite in forma di
società aggiudicatarie o partecipanti a gare
pubbliche di appalto o a trattativa privata,
sono tenute a fornire allo stesso notizie di
carattere organizzativo, finanziario e
tecnico sulla propria attività, nonché ogni
indicazione ritenuta utile ad individuare
gli effettivi titolari dell'impresa ovvero
delle azioni o delle quote sociali".
E così, ravvisata fondatezza del profilo di
doglianza dianzi scrutinato, il G.A.
partenopeo ha accolto il gravame, con
conseguente annullamento dell’impugnato
decreto del competente Provveditore
interregionale.
Tuttavia, non ha ritenuto sussistenti le
condizioni per dichiarare l’inefficacia del
contratto di appalto, atteso che la relativa
stipula non risultava avvenuta; né tampoco
ha accolto la domanda di risarcimento del
danno per equivalente monetario.
A quest’ultimo riguardo, ha infatti
evidenziato che attraverso l’annullamento
giurisdizionale dei provvedimenti impugnati
e l’effetto conformativo da esso derivante,
la ricorrente ha ottenuto esattamente il
bene della vita ambito, ossia la
classificazione al primo posto della
graduatoria concorsuale e la connessa
possibilità di aggiudicazione (commento
tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 16.12.2011 n. 5872 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
1. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Nozione - Natura commutativa - Differenze
rispetto alla nozione di appalto di lavori -
Corrispettivo.
2. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Domanda del concessionario di compensazione
dovuta all'aumento dei costi di costruzione
ex art. 133 D.Lgs. n. 163/2006 -
Ammissibilità.
3. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Domanda di compensazione per aumento dei
costi di costruzione ex art. 133 D.Lgs. n.
163/2006 - Accoglimento - Conseguenze -
Possibilità di mutare le condizioni delle
gestione previste nel PEF.
1. Sotto il profilo causale la concessione
di lavori pubblici costituisce al pari
dell'appalto di lavori, un contratto
sinallagmatico e si caratterizza solo per il
fatto che il corrispettivo per la esecuzione
dell'opera è dato dal diritto di gestirla
per un determinato periodo di tempo, anziché
dal pagamento di un prezzo in danaro.
2. Il fatto che la remunerazione del
concessionario consista anziché in una
prestazione pecuniaria nella attribuzione
del diritto di gestire l'opera realizzata
non incide sul riparto dei rischi relativi
alla costruzione. La maggiore alea che il
concessionario si accolla rispetto
all'appaltatore riguarda, infatti, la
gestione dell'opera: egli nel momento in cui
accetta che il proprio investimento venga
remunerato attraverso la concessione del
diritto di sfruttare economicamente il
manufatto realizzato si assume un rischio di
impresa che, normalmente, grava sull'ente
concedente.
A parte ciò il contratto di
concessione, in base alla sua stessa
definizione normativa (sia interna che
comunitaria), non presenta differenze
rispetto ad un comune contratto di appalto,
con la conseguenza che il rischio di
costruzione assunto dal concessionario
rimane nei limiti dell'alea normale tipica
dell'appalto di lavori.
3. Nel contratto di concessione di
costruzione e gestione l'adeguamento
dell'equilibrio contrattuale ai costi
eccedenti l'alea normale del contratto non
necessariamente deve avvenire attraverso il
pagamento di una somma di danaro. Essendo la
parte preponderante dell'investimento
remunerata attraverso il diritto di gestire
l'opera, appare conforme allo schema causale
del contratto che l'alterazione
dell'equilibrio contrattuale dovuta
all'aumento dei costi di costruzione per
effetto di eventi eccezionali ed
imprevedibili possa avvenire anche tramite
il mutamento delle condizioni della gestione
previste nel piano economico finanziario
(come la durata della concessione, il regime
tariffario, etc.).
Per tali ragioni,
nonostante l'art. 143 del D.Lgs. n. 163 del
2006 non annoveri fra le cause di revisione
del PEF l'aumento dei costi dei materiali o
della manodopera, appare pienamente lecita
una disciplina convenzionale che, invece,
includa tale evento fra i presupposti che ne
comportano la rinegoziazione; e, comunque,
anche in assenza di una specifica previsione
contrattuale, il concessionario che reclami
il compenso revisionale non potrebbe
rifiutare in buona fede l'offerta
dell'amministrazione di far fronte ai
maggiori costi attraverso modalità diverse
dal pagamento di una somma di danaro
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 16.12.2011 n.
3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: LA
MANOVRA MONTI/ Mini-enti insieme per gli appalti.
Acquisti e bandi tramite centrali di
committenza uniche. Vincoli di gestione
associata (unioni o convenzioni) per i
piccoli comuni.
I comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti dovranno a partire dal prossimo 31
marzo effettuare tutti gli acquisti di beni
e servizi e gli appalti di lavori pubblici
esclusivamente tramite centrali di
committenza costituite nell'ambito delle
unioni e/o attraverso convenzioni.
Questo
nuovo vincolo di gestione associata si
aggiunge a quelli dettati dalle manovre
estive del 2010 e del 2011 e in base alle
quali i comuni con popolazione superiore a
1.000 abitanti e inferiori a 5.000 devono
entro il 2011 gestire in forma associata
almeno due funzioni fondamentali ed entro il
2012 le restanti quattro, mentre quelli con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti
dovranno trasferire a partire dal turno
elettorale della primavera del 2013 tutte le
proprie funzioni e i propri servizi a unioni
o a convenzioni costituite tra centri che
hanno queste ridottissime dimensioni.
È
evidente che siamo in presenza di una chiara
volontà legislativa di obbligare in vario
modo i piccoli comuni alla gestione
associata. La relazione illustrativa del
decreto evidenzia che dalla centralizzazione
delle procedure di acquisto ci si possono
attendere significativi risparmi. Si deve
subito evidenziare che la mancanza di
esplicite sanzioni in caso di inadempienza
non deve indurre in errore: gli acquisti e
gli appalti effettuati direttamente dai
singoli comuni con popolazione inferiore a
5.000 abitanti saranno infatti illegittimi
e, in presenza di un ricorso, saranno
annullati, con tutte le pesanti conseguenze
di rimborso spese e di eventuale maturazione
di responsabilità amministrativa in capo ai
dirigenti inadempienti.
Nel caso di mancato
avvio della gestione associata sono previste
conseguenze negative in termini di riduzione
dei trasferimenti erariali ai piccoli comuni
attraverso il fondo sperimentale di
riequilibrio ed inoltre, in caso di
prolungata omissione, i prefetti potrebbero
provvedere allo scioglimento dei consigli
per violazione dei vincoli dettati dal
legislatore. Le nuove disposizioni non
modificano l'obbligo per cui tutte le p.a.
devono necessariamente ricorrere alle
convenzioni di acquisto Consip o richiedere
condizioni più favorevoli nel caso in cui
effettuino direttamente gli acquisti.
Le nuove disposizioni che obbligano i
piccoli comuni alla utilizzazione di
centrali di committenza associate costituite
nell'ambito delle unioni dei comuni o
tramite specifiche convenzioni per tutti gli
acquisti di beni e servizi e per
l'aggiudicazione di appalti sono dettate
nella forma della modifica del dlgs n.
163/2006, cioè del codice degli appalti. Il
legislatore impone questo vincolo in modo
assai ampio: non sono infatti previste
deroghe di sorta, vuoi per importi ridotti,
vuoi per tipologia, vuoi in presenza di
ragioni di urgenza. Per cui siamo in
presenza di una disposizione che deve essere
applicata come procedura ordinaria da parte
dei comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti.
Occorre chiarire il riferimento al
territorio provinciale contenuto nella
disposizione: il dettato legislativo non
sembra affidare i compiti delle centrali di
committenza alle province e sembra invece
richiedere che esse siano costituite tra
comuni che sono compresi nell'ambito dello
stesso territorio provinciale. Il che
determinerebbe la introduzione di un vincolo
a che le eventuali unioni di comuni siano
costituite esclusivamente tra municipi della
stessa provincia.
La disposizione rinvia con molta chiarezza
l'entrata in vigore delle nuove disposizioni
alle procedure d'acquisto indette a partire
dal prossimo 31 marzo, con il che si lascia
ai comuni un margine di tempo per dare
concreta applicazione al nuovo vincolo.
Ovvero, per tenere conto del nuovo vincolo
nell'ambito del processo di realizzazione
delle esperienze di gestione associata delle
funzioni fondamentali previsto dalle manovre
estive. Per cui i singoli comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti
devono non solo rispettare il termine del 31.12.2011 per dare vita alla gestione
associata di almeno due funzioni
fondamentali tramite unione o convenzione ed
a quello di estendere questa esperienza alle
altre quattro funzioni fondamentali entro la
fine del 2012, ma devono anche attivare le
centrali di committenza entro il prossimo
mese di marzo.
Sono evidenti le interferenze tra le
disposizioni istituzionali sull'obbligo
della attivazione della gestione associata e
quelle sugli acquisti: il legislatore sembra
spingere le amministrazioni dei comuni con
meno di 5.000 abitanti nella direzione di
dare corso a una unica forma di gestione
associata e non alla suddivisione tra vari
strumenti. Le centrali di committenza
dovranno gestire interamente ed
esclusivamente la fase dell'acquisto e/o
dell'appalto, sulla base degli input e delle
richieste formulate dalle singole
amministrazioni
(articolo ItaliaOggi del 16.12.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sicurezza: R.U.P. deve
sorvegliare anche durante la fase di
svolgimento dei lavori.
A carico del
responsabile unico del procedimento (R.U.P.)
grava una posizione di garanzia connessa ai
compiti di sicurezza non solo nella fase
genetica dei lavori, laddove vengono redatti
i piani di sicurezza, ma anche durante il
loro svolgimento, ove è previsto che debba
svolgere un'attività di sorveglianza del
loro rispetto.
E’ questo il principio ribadito dalla
Suprema Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
con la
sentenza 15.11.2011 n. 41993.
Nel caso di specie il giudice di prime cure
condannava per il delitto di cui all’art.
589 c.p. per omicidio colposo, il
responsabile del procedimento amministrativo
di lavori pubblici e responsabile dei
lavori, il coordinatore in materia di
sicurezza e il titolare della ditta
subappaltatrice, rispettivamente a 6 mesi di
reclusione il primo e a 5 mesi di reclusione
gli altri due con l’ulteriore risarcimento
danni in favore della parte civile. Ai tre,
infatti, era stato addebitato di avere
consentito, in violazione degli obblighi di
sicurezza a loro carico gravanti, che un
operaio, intento alla posa in opera della
copertura di una piscina, lavorasse in
totale assenza delle opere di protezione
collettiva previste dal piano di sicurezza e
senza precauzioni atte ad evitare la caduta
dall'alto. In tale frangente l’operaio
cadeva da un'altezza di circa 10 m.
decedendo per gravi lesioni al capo.
La situazione viene confermata anche in
secondo grado, ad eccezione del titolare
della ditta dichiarando l'estinzione del
reato a suo carico per morte dell'imputato.
Il ricorso per cassazione procede solo per
il responsabile del procedimento
amministrativo di lavori pubblici, in quanto
quello presentato dal coordinatore in
materia di sicurezza è dichiarato
inammissibile per presentazione tardiva.
Sul responsabile dei lavori, ai sensi
dell'art. 6 del d.p.r. 494 del 1996, incombe
l’obbligo delle verifica delle condizioni di
sicurezza del lavoro in attuazione dei
relativi piani (art. 4 ed art. 5, co. 1,
lett. a), d.p.r. cit.). Inoltre, il
responsabile del procedimento provvede a
creare le condizioni affinché il processo
realizzativo dell'intervento risulti
condotto nei tempi e costi preventivati e
nel rispetto della sicurezza e la salute dei
lavoratori, in conformità a qualsiasi altra
disposizione di legge in materia.
Sommando i diversi compiti a carico del
responsabile deriva quella posizione di
garanzia ai compiti di sicurezza non solo
nella fase genetica dei lavori, laddove
vengono redatti i piani di sicurezza, ma
anche durate il loro svolgimento, ove è
previsto che debba svolgere un'attività di
sorveglianza del loro rispetto.
Da ciò ne consegue che in ogni caso era
onere del RUP, a fronte di modifiche
progettuali, in adempimento degli obblighi
sopra richiamati, controllare la adeguatezza
dei piani di sicurezza alla salvaguardia
dell'incolumità dei lavoratori.
Né il lamentato comportamento negligente
della persona offesa (che non avrebbe
utilizzato le cinture), può escludere la
rilevanza causale della condotta omissiva
dell'imputato. Infatti, «la condotta
colposa del lavoratore infortunato non
assurge a causa sopravvenuta da sola
sufficiente a produrre l'evento quando sia
comunque riconducibile all'area di rischio
propria della lavorazione svolta».
La vittima ha subito l'infortunio mentre
svolgeva, senza alcuna abnormità di
condotta, la sua ordinaria attività di
lavoro. Da qui il rigetto del ricorso da
parte dei giudici del Palazzaccio e la
condanna al pagamento delle spese
processuali (link a www.altalex.com). |
LAVORI PUBBLICI:
Responsabilità del RUP e
posizione di garanzia nei lavori pubblici.
Responsabilità per omicidio colposo occorso
ad un lavoratore.
Furono imputati del reato il responsabile
del procedimento amministrativo di lavori
pubblici e responsabile dei lavori, il
coordinatore in materia di sicurezza, il
titolare della ditta subappaltatrice, per
aver consentito, in violazione degli
obblighi di sicurezza a loro carico
gravanti, che il lavoratore, intento alla
posa in opera della copertura di una
piscina, lavorasse in totale assenza delle
opere di protezione collettiva previste dal
piano di sicurezza e senza precauzioni atte
ad evitare la caduta dall'alto e in tale
frangente cadeva da un'altezza di circa 10
mt., decedendo per gravi lesioni al capo.
Condannati in primo grado, la Corte di
Appello di Genova confermava la pronuncia di
condanna per il Responsabile del
Procedimento e del coordinatore per la
sicurezza, dichiarando l'estinzione del
reato a carico del titolare della ditta
subappaltatrice per morte dell'imputato.
Ricorso in Cassazione
- Il ricorso proposto dal coordinatore per
la sicurezza è inammissibile perché tardivo;
La Corte rigetta invece il ricorso del
Responsabile del procedimento
amministrativo.
"La Corte afferma che va premesso che la
sua responsabilità è stata ritenuta sulla
base della qualità di "Responsabile del
procedimento amministrativo" e responsabile
dei lavori, figura che nei lavori pubblici
rappresenta il committente.
Sul responsabile del lavori incombe, ai
sensi dell'art. 6 del d.P.R. 494 del 1996,
l'obbligo della verifica delle condizioni di
sicurezza del lavoro in attuazione dei
relativi piani (art. 4 ed art. 5, co, 1,
lett a), d.P.R. cit).
Orbene ciò premesso, deve ricordarsi che ai
sensi dell'art. 7, co. 2°, del d.P.R. 554
del 1999 (Regolamento di attuazione della
Legge Quadro dei Lavori Pubblici), il
"Responsabile del procedimento" provvede a
creare le condizioni affinché il processo
realizzativo dell'intervento risulti
condotto nei tempi e costi preventivati e
nel rispetto della sicurezza e la salute dei
lavoratori, in conformità a qualsiasi altra
disposizione di legge in materia."
... In sostanza a carico del RUP
(responsabile unico del procedimento) grava
una posizione di garanzia connessa ai
compiti di sicurezza non solo nella fase
genetica dei lavori, laddove vengono redatti
i piani di sicurezza, ma anche durate il
loro svolgimento, ove è previsto che debba
svolgere un'attività di sorveglianza del
loro rispetto.
Orbene, nel caso di specie, come
correttamente rilevato dal giudice di
merito, l'imputato è venuto meno
all'adempimento degli oneri a suo carico
gravanti.
Per quanto detto, va ribadito che la
radicata posizione di garanzia in capo
all'imputato, rende rilevante causalmente la
sua negligente condotta omissiva, non avendo
l'imputato controllato l'adeguatezza e
specificità dei piani di sicurezza rispetto
alle loro finalità; nonché non avendo
vigilato sulla loro corretta attuazione.
Né il lamentato comportamento negligente
della persona offesa (che non avrebbe
utilizzato le cinture), può escludere la
rilevanza causale della condotta omissiva
dell'imputato. Nel caso di specie la vittima
ha patito l'infortunio mentre svolgeva,
senza alcuna abnormità di condotta, la sua
ordinaria attività di lavoro nel pozzo
citato, che era privo di presidi anticaduta
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 15.11.2011 n. 41993 -
link a http://olympus.uniurb.it). |
APPALTI:
Appalti pubblici e principio di
tassatività delle cause di esclusione.
Contrasta con l’articolo 46, comma 1-bis,
del d.lgs. 163/2006 la legge di gara che
chiede, a pena di esclusione, l’attestazione
notarile relativa ai poteri del funzionario
che rilascia la polizza fideiussoria; ed
infatti questa formalità non incide sul
contenuto formativo dell’offerta in quanto
non priva di certezza la provenienza della
garanzia, né impedisce a quest’ultima di
raggiungere il suo scopo.
Questo è il principio espresso dal TAR
Lazio-Roma, Sez. I-bis, con la
sentenza 15.12.2011 n.
9791.
Il ricorso veniva introdotto da un società,
esclusa da un appalto di servizi in quanto
il notaio non aveva attestato i poteri del
funzionario che aveva rilasciato la polizza
fideiussoria, inviata a garanzia
dell’offerta, in conformità alla clausola
della lettera di invito secondo cui “La
firma dei funzionari che rilasceranno la
polizza dovrà essere autenticata da un
notaio (pena l’esclusione dalla gara) il
quale dovrà, altresì, attestarne i relativi
poteri”.
Avverso questa esclusione, la società
contestava, tra l’altro, la nullità della
clausola in quanto contraria alle regole
previste dall’articolo 46, comma 1-bis, del
d.lgs. 163/2006.
Come noto, il comma 1-Bis è stato introdotto
dal decreto legge 70/2011 (convertito in
legge n. 106/2011) e prevede che “La
stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente
codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell'offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In merito alla ratio della recente modifica
il TAR Roma ha chiarito come “Il
Legislatore, ispirato anche dal principio
del favor partecipationis, ha limitato il
numero di esclusioni fondate su elementi di
carattere formale.
L’intento è stato quello di tutelare in modo
sostanziale e concreto il principio di
derivazione comunitaria della concorrenza
oltre quello, più squisitamente
politico-economico-sociale, di ridurre il
contenzioso in materia di appalti.
Secondo il nuovo testo del citato art. 46,
la stazione appaltante può escludere le
imprese dalla gara di appalto esclusivamente
in caso di:
- mancato adempimento a prescrizioni di legge
previste dal codice degli appalti, dal
regolamento attuativo (DPR n. 207/2010) e da
altre disposizioni legislative vigenti;
- incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi
essenziali;
- non integrità del plico contenente
l’offerta o la domanda di partecipazione o
altre irregolarità relative alla chiusura
del plico, tale da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte.
Queste cause di esclusione sono tassative ed
ogni altra prescrizione prevista dagli atti
di gara deve considerarsi nulla (nullità
testuale).
Il Collegio ritiene che, seppure lo sforzo
Legislatore sia apprezzabile,
l’interpretazione delle norme non possa
andare a discapito dell’altro fondamentale
principio della par condicio o della
certezza dell’agire della pubblica
amministrazione.
Si tratta di appurare, pertanto, se nel caso
concreto siano state o meno violate le norme
regolatrici dell’appalto ed insieme a queste
i cennati principi informatori della
procedura di gara”.
In base a queste considerazioni i giudici
del TAR Roma hanno annullato il
provvedimento di esclusione, dichiarando
nulla la clausola impugnata, in quanto la
mancata attestazione notarile, attenendo al
contenuto meramente formale della garanzia,
non poteva essere considerata come un
elemento integrativo co-necessario
dell’offerta e dunque non rendeva incerto il
contenuto sostanziale dell’offerta medesima.
Con questa decisione i giudici hanno dunque
chiarito come il principio della tassatività
delle cause di esclusione, debba essere
contemperato con gli altri principi
fondamentali, nell’ambito degli appalti
pubblici, della par condicio e della
certezza dell’agire della pubblica
amministrazione (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Integrazione
documentale nelle gare pubbliche.
Nelle gare pubbliche l'integrazione
documentale è ammissibile solo per la
documentazione attestante il possesso dei
requisiti di partecipazione, per cui non è
possibile rettificare, precisare o comunque
modificare gli elementi costitutivi
dell'offerta, e comunque essa non
costituisce un obbligo assoluto ed
incondizionato per la stazione appaltante,
ma incontra precisi limiti applicativi
ravvisabili nella necessità del rispetto
della par condicio, atteso che l'art. 6, l.
07.08.1990 n. 241 non può essere invocato
per supplire all'inosservanza di adempimenti
procedimentali significativi o all'omessa
produzione di documenti richiesti a pena di
esclusione dalla gara
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6602 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Interpretazione
delle clausole del bando di gara.
In sede di gara pubblica, le clausole poste
a pena di esclusione devono essere chiare e
puntuali e, nella eventuale incertezza
interpretativa, deve essere favorita, anche
nell'ottica della più ampia partecipazione
di concorrenti, una interpretazione meno
restrittiva delle stessa che, comunque, non
lede la par condicio tra i concorrenti
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6602 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
giudice di regola non può sindacare le
scelte discrezionali della commissione
giudicatrice.
Le valutazioni espresse dalle Commissioni
giudicatrici in merito alle prove di
concorso, seppure qualificabili quali
analisi di fatti (correzione dell'elaborato
del candidato con attribuzione di punteggio
o giudizio) e non come ponderazione di
interessi, costituiscono pur sempre
l'espressione di ampia discrezionalità,
finalizzata a stabilire in concreto
l'idoneità tecnica e/o culturale, ovvero
attitudinale, dei candidati, con la
conseguenza che le stesse valutazioni non
sono sindacabili dal giudice amministrativo,
se non nei casi in cui sussistono elementi
idonei ad evidenziarne uno sviamento logico
od un errore di fatto, o ancora una
contraddittorietà ictu oculi
rilevabile.
Ne consegue che il giudicante non può
ingerirsi negli ambiti riservati alla
discrezionalità tecnica dell'organo
valutatore (e quindi sostituire il proprio
giudizio a quello della Commissione), se non
nei casi in cui il giudizio si appalesi
viziato sotto il profilo della logicità,
vizio la cui sostanza non può essere confusa
con l'adeguatezza della motivazione, ben
potendo questa essere adeguata e sufficiente
e tuttavia al tempo stesso illogica
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Costituisce principio generale
regolatore delle pubbliche gare quello che
vieta la commistione fra criteri soggettivi
di prequalificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta.
Tale principio trova il suo sostanziale
supporto logico nella necessità di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
attengono all'offerta e, quindi,
all'aggiudicazione; detto canone operativo,
che affonda le sue radici nell'esigenza di
aprire il mercato premiando le offerte più
competitive ove presentate da imprese
comunque affidabili, unitamente al canone di
par condicio che osta ad asimmetrie
pregiudiziali di tipo meramente soggettivo,
trova in definitiva il suo sostanziale
supporto logico nel bisogno di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione.
A titolo esemplificativo del principio, che
requisiti soggettivi e di esperienza (come
fatturati precedenti o titoli curriculari)
costituiscono elementi che, attenendo
all'affidabilità dell'offerente e dunque
alla sua capacità tecnica di corretta
esecuzione dell'appalto, appartengono
propriamente alla fase di qualificazione;
dunque, essendo essi estranei alle
caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta
e del contratto concretamente dedotti in
gara, non possono essere assunti quali
validi criteri di aggiudicazione.
Alle stazioni appaltanti è comunque
garantita un’ampia fascia di discrezionalità
in sede di determinazione dei criteri di
valutazione: costituisce parimenti principio
consolidato quello a mente del quale la
scelta del criterio di aggiudicazione
rientra nella discrezionalità tecnica delle
stazioni appaltanti che devono valutarne
l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche
oggettive e specifiche del singolo
contratto, applicando criteri obiettivi che
garantiscano il rispetto dei principi di
trasparenza, di non discriminazione e di
parità di trattamento e che assicurino una
valutazione delle offerte in condizioni di
effettiva concorrenza. Peraltro, anche in
tale principio è insito il limite del
carattere oggettivo del criterio, scollegato
da elementi soggettivi propri di una fase
anteriore di prequalificazione e quindi di
ammissione alla gara.
---------------
La commissione di gara può integrare e
specificare i criteri di bando, con il solo
limite di non poter introdurre nuovi criteri
di qualificazione, né modificare i limiti di
punteggio massimo e minimo stabiliti nel
bando. Nel caso di specie pertanto
all’illegittimità predetta si aggiunge il
carattere di novità dei criteri contestati.
---------------
Il possesso in capo ai componenti di una
commissione di gara dei requisiti tecnici e
della professionalità necessaria a formulare
un giudizio pienamente consapevole,
costituisce principio immanente
nell'ordinamento generale, che oltretutto
trascende il settore dei lavori pubblici,
per rendersi operativo in qualsiasi gara, in
quanto risponde ai criteri di rango
costituzionale di buon andamento ed
imparzialità dell'azione amministrativa; in
particolare, la commissione giudicatrice
avendo il compito di valutare la qualità
dell’offerta, deve essere composta, almeno
prevalentemente, da persone fornite di
specifica competenza tecnica o munite di
qualificazioni professionali che tale
competenza facciano presumere.
In ordine al primo ordine di motivi,
dall’analisi degli atti di gara emerge
all’evidenza la violazione dei principi
invocati da parte ricorrente. Infatti,
rispetto ai criteri di valutazione delle
offerte così come correttamente
predeterminati dalla lex specialis
(cfr. punto 13 del disciplinare), la
commissione risulta aver aggiunto i criteri
motivazionali in termini incompatibili con i
consolidati principi predetti, in specie
rimettendo la valutazione dell’offerta
(anche) all’attività svolta in precedenza ed
al curriculum. A quest’ultimo
proposito, appare manifestamente
irragionevole, ad esempio, la valutazione
della metodologia dell’intervento proposto
con l’offerta sulla scorta del curriculum
cioè di elementi soggettivi, del tutto
estranei all’offerta in quanto relativi ai
titoli soggettivi in possesso dei singoli
partecipanti.
In tale contesto appare prima facie
violato il consolidato orientamento a mente
del quale costituisce principio generale
regolatore delle pubbliche gare quello che
vieta la commistione fra criteri soggettivi
di prequalificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta.
Tale principio trova il suo sostanziale
supporto logico nella necessità di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
attengono all'offerta e, quindi,
all'aggiudicazione; detto canone operativo,
che affonda le sue radici nell'esigenza di
aprire il mercato premiando le offerte più
competitive ove presentate da imprese
comunque affidabili, unitamente al canone di
par condicio che osta ad asimmetrie
pregiudiziali di tipo meramente soggettivo,
trova in definitiva il suo sostanziale
supporto logico nel bisogno di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione (cfr. ex multis
Consiglio Stato , sez. VI, 15.12.2010 , n.
8933).
A titolo esemplificativo del principio, la
sezione ha già avuto modo di evidenziare che
requisiti soggettivi e di esperienza (come
fatturati precedenti o titoli curriculari)
costituiscono elementi che, attenendo
all'affidabilità dell'offerente e dunque
alla sua capacità tecnica di corretta
esecuzione dell'appalto, appartengono
propriamente alla fase di qualificazione;
dunque, essendo essi estranei alle
caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta
e del contratto concretamente dedotti in
gara, non possono essere assunti quali
validi criteri di aggiudicazione (cfr. TAR
Liguria Genova, sez. II, 27.02.2008, n.
335).
E dire che alle stazioni appaltanti è
comunque garantita un’ampia fascia di
discrezionalità in sede di determinazione
dei criteri di valutazione: costituisce
parimenti principio consolidato quello a
mente del quale la scelta del criterio di
aggiudicazione rientra nella discrezionalità
tecnica delle stazioni appaltanti che devono
valutarne l'adeguatezza rispetto alle
caratteristiche oggettive e specifiche del
singolo contratto, applicando criteri
obiettivi che garantiscano il rispetto dei
principi di trasparenza, di non
discriminazione e di parità di trattamento e
che assicurino una valutazione delle offerte
in condizioni di effettiva concorrenza.
Peraltro, anche in tale principio è insito
il limite del carattere oggettivo del
criterio, scollegato da elementi soggettivi
propri di una fase anteriore di
prequalificazione e quindi di ammissione
alla gara. Nel caso di specie la
commistione, imputabile ai criteri
illegittimamente aggiunti dalla commissione,
appare evidente come sopra riportata.
---------------
Va ricordato
che secondo la giurisprudenza comunitaria,
condivisa dal Collegio e sotto il cui faro
va interpretata la norma nazionale (cfr. ad
es. Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005,
C-331/04) la commissione di gara può
integrare e specificare i criteri di bando,
con il solo limite di non poter introdurre
nuovi criteri di qualificazione, né
modificare i limiti di punteggio massimo e
minimo stabiliti nel bando. Nel caso di
specie pertanto all’illegittimità predetta
si aggiunge il carattere di novità dei
criteri contestati.
---------------
Valenza autonoma, parimenti fondata, assume
il quarto ordine di rilievi, concernente
l’illegittima composizione della commissione
stessa.
Secondo la normativa invocata da parte
ricorrente, come noto, “la commissione,
nominata dall’organo della stazione
appaltante competente ad effettuare la
scelta del soggetto affidatario del
contratto, è composta da un numero dispari
di componenti, in numero massimo di cinque,
esperti nello specifico settore cui si
riferisce l’oggetto del contratto”.
Pur dinanzi alla ampiezza del concetto di
esperto nello specifico settore inerente
l’oggetto del contratto, è ben possibile
svolgere un’adeguata esegesi della norma,
sia in termini di principio che di
specificazione delle professionalità.
Nella prima direzione, dopo aver
ricordato la pacifica qualificazione della
norma come principio in quanto regola
attuativa del canone costituzionale del buon
andamento (cfr. Consiglio di Stato n.
1408/2004), pur rientrando nella sfera
discrezionale dell’Ente la scelta dei
commissari deputati a far parte della
commissione giudicatrice, tale provvedimento
non può ritenersi avulso dall’obbligo di
motivazione, soprattutto quando la
Commissione, peraltro composta quasi
integralmente da soggetti sforniti di titoli
di studio di livello universitario, sia
destinata ad esaminare proposte progettuali
particolarmente complesse, da valutare per
di più con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
Non è rispondente ai criteri di logica e
ragionevolezza, che devono in particolare
presidiare l'attività della pubblica
amministrazione, che l'attività valutativa
debba essere posta in essere da soggetti
privi delle necessarie cognizioni tecniche
correlate all'oggetto della gara, ovvero che
il giudizio sia il frutto di una valutazione
individuale e non collegiale. Nel caso de
quo la scelta di commissari tutti privi
di titoli adeguati alla formulazione di atti
analoghi a quelli da valutare si accompagna
al tentativo di integrazione (inammissibile)
della motivazione posta a base della scelta
attraverso la produzione di curricula,
che peraltro confermano la carenza predetta.
Nella seconda direzione, va reputata
come illegittima la composizione della
commissione giudicatrice di una gara di
appalto per l’affidamento della
progettazione di una opera pubblica nel caso
in cui risulti che nessuno dei commissari
possieda alcun diploma di laurea ovvero
titolo equipollente o comunque adeguato,
atteso che in tale ipotesi nessuno dei
commissari avrebbe potuto progettare ciò su
cui erano chiamati ed esprimere il proprio
giudizio, non essendo possibile fare
riferimento esclusivamente alla pregressa
attività lavorativa dei commissari,
occorrendo invece una valutazione della
professionalità di questi ultimi, in
relazione al giudizio che sono chiamati a
rendere (cfr. per una analoga fattispecie
Consiglio di Stato n. 4829/2008).
In definitiva, va ribadito che il possesso
in capo ai componenti di una commissione di
gara dei requisiti tecnici e della
professionalità necessaria a formulare un
giudizio pienamente consapevole, costituisce
principio immanente nell'ordinamento
generale, che oltretutto trascende il
settore dei lavori pubblici, per rendersi
operativo in qualsiasi gara, in quanto
risponde ai criteri di rango costituzionale
di buon andamento ed imparzialità
dell'azione amministrativa; in particolare,
la commissione giudicatrice avendo il
compito di valutare la qualità dell’offerta,
deve essere composta, almeno
prevalentemente, da persone fornite di
specifica competenza tecnica o munite di
qualificazioni professionali che tale
competenza facciano presumere
(TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza
15.12.2011 n.
1841 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La presenza di un direttore tecnico ignoto
alla SOA vizia il certificato prodotto dall'impresa.
La SOA certifica l’idoneità del direttore
tecnico, sicché la presenza di un ulteriore
direttore tecnico (tale dovendosi
qualificare il condirettore tecnico) ignoto
alla SOA vizia il certificato prodotto
dall’impresa, non consentendole di
partecipare alla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2011 n.
1015 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
I requisiti di partecipazione devono
rispondere ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Se è vero, in linea generale, che le
Amministrazioni, che indicono una gara,
possono integrare le previsioni recate dalla
normativa interna o anche comunitaria, è
altrettanto incontrovertibile che
l’esercizio di siffatta potestà non si
sottrae all’osservanza dei limiti intrinseci
della discrezionalità amministrativa, con
particolare riferimento ai principi della
ragionevolezza e proporzionalità.
Ai sensi dell’art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006,
l’Amministrazione è sempre tenuta, nel caso
di aggiudicazione dell’appalto con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, a indicare nella lex specialis
di gara i criteri di valutazione, con
l’indicazione della ponderazione loro
attribuita, specificando per ciascun
criterio di valutazione prescelto gli
eventuali sub criteri e sub pesi o sub
punteggi (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V,
14.05.2010, n. 2939).
E ciò non solo al fine di assicurare la
dovuta trasparenza della fase procedimentale
della valutazione delle offerte e la
coerenza (logicità, non arbitrarietà, etc.)
delle scelte operate dalla commissione di
gara, ma anche al fine di consentire ai
concorrenti di formulare un’offerta seria,
adeguata e responsabile rispetto alle
finalità perseguite dall’amministrazione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2011 n.
998 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’art.
115 del D Lvo n. 163/2006, in materia di
adeguamento prezzi, sostitutivo dell’art. 6,
comma 4, della legge n. 537/1993, così
dispone che <<tutti i contratti ad
esecuzione periodica o continuativa relativi
a servizi o forniture debbono recare una
clausola di revisione periodica del prezzo.
La revisione viene operata sulla base di una
istruttoria condotta dai dirigenti
responsabili di beni e servizi sulla base
dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lett. c
e comma 5>>.
La ratio dell’istituto è quella di adeguare
il prezzo determinato nell’originario
rapporto al fine di conservare il livello
qualitativo delle prestazioni
dell’appaltatore, grazie al ricorso ad un
meccanismo che contenga entro margini
prefissati, e comunque prevedibili, il
rischio connesso all’innalzamento del
livello dei prezzi contrattualmente
stabiliti. In questo modo si consente alle
parti di ancorare il meccanismo di revisione
a criteri oggettivi, tali da conservare
l’equilibrio contrattuale.
Atteso che la finalità primaria è quella di
salvaguardare l’interesse pubblico a che le
prestazioni di beni e servizi alle pubbliche
amministrazioni non possano col tempo subire
una diminuzione qualitativa a causa della
eccessiva onerosità sopravvenuta della
prestazione e della conseguente incapacità
del fornitore di farvi compiutamente fronte,
le disposizioni negoziali contrastanti con
la precitata disposizione non solo sono
colpite da nullità ai sensi dell’art. 1419
cod. civ., ma sostituite de iure, ex art.
1339 cod. civ., dalla disciplina imperativa
di legge.
La riconosciuta natura cogente ed
inderogabile di tale prescrizione fa dunque
sì che nei casi in cui la clausola citata
non sia stata inserita, operi il meccanismo
di cui all’art. 1339 cod. civ., con
conseguente inserzione automatica della
clausola; tale norma imperativa si impone
sulle pattuizioni delle parti, modificandone
ed integrandone la volontà contrastante con
la stessa.
Devesi innanzitutto rilevare che:
a) l’art. 115 del D Lvo n. 163/2006, in
materia di adeguamento prezzi, sostitutivo
dell’art. 6, comma 4, della legge n.
537/1993, così dispone <<tutti i
contratti ad esecuzione periodica o
continuativa relativi a servizi o forniture
debbono recare una clausola di revisione
periodica del prezzo. La revisione viene
operata sulla base di una istruttoria
condotta dai dirigenti responsabili di beni
e servizi sulla base dei dati di cui
all’art. 7, comma 4, lett. c e comma 5>>;
b) la ratio dell’istituto è quella di
adeguare il prezzo determinato
nell’originario rapporto al fine di
conservare il livello qualitativo delle
prestazioni dell’appaltatore, grazie al
ricorso ad un meccanismo che contenga entro
margini prefissati, e comunque prevedibili,
il rischio connesso all’innalzamento del
livello dei prezzi contrattualmente
stabiliti. In questo modo si consente alle
parti di ancorare il meccanismo di revisione
a criteri oggettivi, tali da conservare
l’equilibrio contrattuale;
c) atteso che la finalità primaria è quella
di salvaguardare l’interesse pubblico a che
le prestazioni di beni e servizi alle
pubbliche amministrazioni non possano col
tempo subire una diminuzione qualitativa a
causa della eccessiva onerosità sopravvenuta
della prestazione e della conseguente
incapacità del fornitore di farvi
compiutamente fronte, le disposizioni
negoziali contrastanti con la precitata
disposizione non solo sono colpite da
nullità ai sensi dell’art. 1419 cod. civ.,
ma sostituite de iure, ex art. 1339
cod. civ., dalla disciplina imperativa di
legge;
d) la riconosciuta natura cogente ed
inderogabile di tale prescrizione fa dunque
sì che nei casi in cui la clausola citata
non sia stata inserita, operi il meccanismo
di cui all’art. 1339 cod. civ., con
conseguente inserzione automatica della
clausola; tale norma imperativa si impone
sulle pattuizioni delle parti, modificandone
ed integrandone la volontà contrastante con
la stessa
(TAR Basilicata,
sentenza 15.12.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Offerte
al netto del costo del lavoro, DIETROFRONT!
“Comma 3-bis” ABROGATO!
Da oggi niente più offerte al netto del
costo del personale! Lo stabilisce il
Decreto Monti.
Ricordiamo, brevemente, che la Legge
Sviluppo ha aggiunto all’art. 81 del Codice
dei Contratti il comma 3-bis, che prevedeva
che l'offerta migliore fosse “determinata
al netto delle spese relative al costo del
personale, valutato sulla base dei minimi
salariali definiti dalla contrattazione
collettiva nazionale di settore tra le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e le
organizzazioni dei datori di lavoro
comparativamente più significative sul piano
nazionale, e delle misure di adempimento
delle disposizioni in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Una prima interpretazione fu data dal gruppo
ITACA, secondo cui le stazioni appaltanti
avrebbero dovuto indicare ex ante il costo
del lavoro (V. articolo Il costo del lavoro
non è negoziabile! Le modifiche introdotte
dalla “Legge Sviluppo” e le prime
indicazioni operative)
Successivamente l'AVCP proponeva una
ulteriore interpretazione, secondo cui era
opportuno dare la possibilità di
giustificazione ai concorrenti dei prezzi
offerti, in relazione alla produttività,
all’efficienza organizzativa dell’impresa e
alle attrezzature, tutelando sempre e
comunque il costo del personale (V. articolo
Appalti, bandi tipo e costo del lavoro.
Dall'AVCP le indicazioni per stazioni
appaltanti, tecnici e imprese)
L'art. 44 del Decreto Monti, al comma 2,
recita: “L'articolo 81, comma 3-bis, del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, e'
abrogato”.
Questo vuol dire che il famoso comma 3-bis,
che prevedeva che l'offerta fosse effettuata
al netto delle spese del costo del lavoro,
viene soppresso. Pertanto ancora una volta
si fa dietrofront.
Tra le altre novità in materia di LL.PP.
sono presenti tante novità, tra cui:
● revoca dell’innalzamento da 100.000 euro a
193.000 euro per l’affidamento dei servizi
di architettura e ingegneria con procedura
negoziata senza bando di gara (articolo 44,
comma 5 del nuovo D.L.);
● estensione delle procedure previste dal
Codice dei Contratti anche al caso di
liquidazione coatta e concordato preventivo
dell’appaltatore (articolo 44, comma 6, del
nuovo D.L.);
● possibilità di consultazione preliminare
per lavori con importo a base di gara
superiore a 20 milioni di euro (articolo 44,
comma 8, del nuovo D.L.);
● affidamento dell’acquisizione di lavori,
servizi e forniture ad un’unica centrale di
committenza per i Comuni con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti (articolo 23,
comma 4, del nuovo D.L.);
● nuovi criteri di scelta per il
finanziamento e l’approvazione di
infrastrutture di interesse strategico
(articolo 41, comma 1, del nuovo D.L.);
● nuovo iter di approvazione per le opere
strategiche (articolo 41, comma 2, del nuovo
D.L.).
In allegato proponiamo un estratto del D.L.
(Capo IV del D.L. 201/2011) contenente le
misure per lo sviluppo infrastrutturale
(15.12.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Le disposizioni di lex specialis
non possono essere superate da arbitrario
giudizio della commissione.
La giurisprudenza della Sezione ha già
evidenziato che la presentazione delle
offerte va effettuata in scrupolosa
osservanza del bando e della lettera
d'invito e la stazione appaltante non può
legittimamente disattendere le predette
prescrizioni, non avendo alcuna
discrezionalità al riguardo; pertanto
qualora il bando commini espressamente
l'esclusione obbligatoria in conseguenza di
determinate violazioni, la p.a. è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
tale previsione, senza alcuna possibilità di
valutare la rilevanza dell'inadempimento,
l'incidenza di questo sulla regolarità della
procedura selettiva e la congruità della
sanzione contemplata nella lex specialis,
alla cui osservanza l'Amministrazione si è
autovincolata al momento dell'adozione del
bando (Consiglio di Stato, sez. IV,
05.04.2005, n. 1519).
In linea generale, il Collegio osserva che,
secondo la maggioritaria impostazione, la
stazione appaltante è tenuta ad applicare le
clausole inserite nella lex specialis
in modo rigoroso e incondizionato.
Tali clausole relative ai requisiti di
partecipazione o alle cause di esclusione
sono, infatti, ritenute connesse ad esigenze
di certezza e celerità, oltre che a garanzie
di imparzialità dell'azione amministrativa e
di par condicio tra i concorrenti.
Tale rigore interpretativo, e
conseguentemente applicativo, è stato
avallato dalla giurisprudenza anche con
riferimento alle clausole relative alla
partecipazione alla gara, la cui osservanza
è prevista a pena di esclusione (cfr. anche
Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.02.2008, n.
567,).
Pertanto, la Commissione giudicatrice non
può in alcun modo discostarsi in sede
applicativa dalla disposizione del bando che
prevedeva espressamente l'esclusione dalla
gara dell'impresa partecipante per mancanza
di documenti specificatamente indicati.
E’ pur vero che non mancano, al contrario,
quantomeno nel sistema normativo antecedente
alla riforma attuata al riguardo dal cd. “Decreto
Sviluppo” (D.L. 70 del 2011), non
applicabile nella specie ratione temporis,
pronunce che mettono in risalto come
clausole particolarmente rigorose debbano
essere vagliate in relazione alla
fattispecie e siano inapplicabili, qualora
risultino irragionevoli, irrazionali e
sproporzionate.
Tuttavia, anche a voler condividere tale
orientamento interpretativo più blando, è
evidente che, nel caso di specie, l’assenza
dei predetti documenti ha un indubbio
significato di sostanza, che oltrepassa il
mero rispetto delle forme procedimentali di
partecipazione consacrate nella lex
specialis, atteso che esse sono
costituenti componenti dell’offerta, oggetto
di valutazione della commissione e si
traducono in termini di attribuzione dei
punteggi.
Tale rilievo rende ancora più evidente il
pericoloso arbitrio che ha connotato
l’operato della Commissione di gara, che ha
preso atto della non corrispondenza degli
atti presentati a quanto richiesto dai
diversi atti di gara e ha, tuttavia, al
dichiarato fine di garantire la massima
partecipazione alla gara, deciso di
procedere ad un vaglio tecnico/sostanziale,
sul grado di menomazione riscontrabile nella
complessiva proposta progettuale, per
effetto dell’avanzamento progettuale non
realizzato e della connessa mancata
presentazione degli elaborati contrassegnati
con "P.9, P.10 e P.11”, concludendo,
nella seduta di gara del 23.06.2008, con un
giudizio di “non essenzialità degli
elaborati mancanti”, ritenendo che il
progetto presentato dal raggruppamento Iter
contenesse in ogni caso gli elementi
richiesti dalla lex specialis di gara
(cfr. verbale n. 11 del 23.06.2008).
In questo modo, la Commissione di gara ha
finito con l’apprezzare l’ammissibilità di
una documentazione inequivocabilmente
mancante, pur in presenza di una clausola
chiara della lex specialis, su cui
avrebbe poi dovuto pronunciarsi attribuendo
il relativo punteggio, così ledendo la par
condicio dei concorrenti, con un’operazione
non trasparente, difficilmente sindacabile,
che opportunamente la lex specialis
aveva risolto a monte con le clausole sopra
indicate.
Alla luce di quanto esposto, la sentenza del
TAR deve essere confermata, attesa
l’infondatezza dell’appello per quanto
riguarda il dirimente e assorbente profilo
del ricorso incidentale accolto dal TAR in
primo grado (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.12.2011 n. 6546 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’Ati deve specificare le quote
di partecipazione già in fase di
presentazione dell’offerta.
Per quanto riguarda la dichiarazione
relativa alle quote di partecipazione di un
Ati, nelle procedure concorsuali riguardanti
forniture e servizi, gli operatori economici
riuniti o consorziati hanno l’obbligo di
specificare le parti delle prestazioni che
saranno realizzate da ciascuna impresa del
gruppo, nonché le quote di partecipazione.
Tale obbligo –estrinsecazione di un
principio generale che prescinde
dall’assoggettamento della gara alla
disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla natura morfologica
del raggruppamento, o alla tipologia delle
prestazioni– risponde all’esigenza della
stazione appaltante di conoscere
preventivamente chi sarà il soggetto che
esegue il servizio e la parte specifica del
servizio ripartito e svolto dalle singole
imprese al fine di rendere più spedita
l’esecuzione del rapporto individuando il
responsabile, nonché all’esigenza di
agevolare la verifica delle competenza
tecnica dell’esecutore comparata con la
documentazione prodotta in sede di gara, ed
alla esigenza di rendere effettiva la
composizione del raggruppamento al fine di
unire insieme capacità tecniche e
finanziarie integrative e complementari e
non a coprire la partecipazione di imprese
non qualificate, aggirando così le norme di
ammissione stabilite dal bando (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 27.10.2011 , n.
5736).
Tale obbligo di dichiarazione, inoltre, deve
essere necessariamente osservato già in fase
di presentazione dell’offerta e ai fini
dell’ammissione alla gara, costituendo tale
assetto soggettivo un requisito di
partecipazione che deve essere
necessariamente posseduto al momento della
presentazione dell’ offerta, in conformità
alla legge di gara (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.12.2011 n. 6538 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Giudizio di anomalia - Limiti
del sindacato giurisdizionale -
Discrezionalità tecnica - Cognizione piena
del giudice amministrativo
sull'attendibilità dei giudizi e
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice.
2. Giudizio di anomalia - Costo
delle attrezzature - Possibilità di
giustificare mediante i bilanci e i libri
dei cespiti.
1. In materia di giudizio di anomalia,
l'area della riserva amministrativa non è
violata, ove si contesti l'esistenza di
errori di apprezzamento da parte della
stazione appaltante, che involgono fatti
anche tecnici che a detta area sono
palesemente estranei.
Una volta distinta l'area della
discrezionalità tecnica da quella del merito
amministrativo, il giudice amministrativo ha
infatti cognizione piena non solo sulle
modalità (di formazione), ma anche
sull'attendibilità dei giudizi e degli
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara di
appalto (TAR Lombardia, Milano, Sez. I,
10.01.2011, n. 11).
La verificazione disposta dal Giudice sul
procedimento di verifica dell'anomalia non
deve pertanto limitarsi ad un controllo
meramente formale ed estrinseco sul
procedimento amministrativo seguito dalla
stazione appaltante.
2. Qualora l'impresa abbia presentato i
bilanci e i libri dei cespiti, la mancata
formale indicazione -in sede di
giustificazione dell'offerta- del parco
delle attrezzature impiegate per l'appalto,
comunque aliunde desumibile, non è
circostanza che renda di per sé anomala
l'offerta della ricorrente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Giudizio di anomalia - Limiti
del sindacato giurisdizionale -
Discrezionalità tecnica - Cognizione piena
del giudice amministrativo
sull'attendibilità dei giudizi e
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice.
2. Giudizio di anomalia - Costo
delle attrezzature - Possibilità di
giustificare mediante i bilanci e i libri
dei cespiti.
1. In materia di giudizio di anomalia,
l'area della riserva amministrativa non è
violata, ove si contesti l'esistenza di
errori di apprezzamento da parte della
stazione appaltante, che involgono fatti
anche tecnici che a detta area sono
palesemente estranei.
Una volta distinta l'area della
discrezionalità tecnica da quella del merito
amministrativo, il giudice amministrativo ha
infatti cognizione piena non solo sulle
modalità (di formazione), ma anche
sull'attendibilità dei giudizi e degli
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara di
appalto (TAR Lombardia, Milano, Sez. I,
10.01.2011, n. 11).
La verificazione disposta dal Giudice sul
procedimento di verifica dell'anomalia non
deve pertanto limitarsi ad un controllo
meramente formale ed estrinseco sul
procedimento amministrativo seguito dalla
stazione appaltante.
2. Qualora l'impresa abbia presentato i
bilanci e i libri dei cespiti, la mancata
formale indicazione -in sede di
giustificazione dell'offerta- del parco
delle attrezzature impiegate per l'appalto,
comunque aliunde desumibile, non è
circostanza che renda di per sé anomala
l'offerta della ricorrente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
partecipazione alla gara non costituisce,
infatti, acquiescenza al capitolato ed alla
lettera di invito, in quanto né il
capitolato, né la 'lex specialis' della
procedura concorsuale sono immediatamente
lesivi al momento della presentazione dell'
offerta , fatto salvo il diverso caso della
previsione di clausole cosiddetti
escludenti.
Gli elementi attinenti all’esperienza o alla
qualifica professionale, ed in generale alla
capacità tecnica, economica o finanziaria
del prestatore (es. curriculum, licenze o
certificazioni di qualità), possono essere
utilizzati unicamente ai fini della
selezione. L’offerta deve invece essere
valutata in base a criteri che abbiano una
diretta connessione con l’oggetto
dell’appalto e che servano a misurarne il
valore e dunque ad individuare l’offerta più
vantaggiosa, estranei dovendo restare a
questa valutazione i requisiti che attengono
alla capacità tecnica del prestatore,
anziché alla qualità dell’offerta.
La predetta regola ha subito alcuni
temperamenti in giurisprudenza, ma solo con
riferimento agli appalti di servizi, il che
trova giustificazione quando l’offerta
tecnica non si sostanzia in un progetto o in
un prodotto, ma nella descrizione di un
facere, per il quale ben può essere utile la
considerazione della pregressa esperienza
dell’operatore, come anche dell’affidabilità
della sua organizzazione d’impresa.
-------------
Nella fase di valutazione delle offerte da
parte di una commissione di gara,
l'attribuzione dei punteggi in forma
soltanto numerica è consentita quando il
numero delle sottovoci, con i relativi
punteggi, entro le quali ripartire i
parametri di valutazione di cui alle singole
voci, sia sufficientemente analitica da
delimitare il giudizio delle commissione
nell'ambito di un minimo ed un massimo di
portata tale da rendere di per sé evidente
l'iter logico seguito. Ne consegue che in
assenza di sub-criteri o anche di criteri di
valutazione puntualmente dettagliati, la
stazione appaltante non deve limitarsi ad
attribuire il mero voto numerico, ma
indicare in modo espresso le ragioni del
giudizio svolto.
La partecipazione alla gara non costituisce,
infatti, acquiescenza al capitolato ed alla
lettera di invito, in quanto né il
capitolato, né la 'lex specialis'
della procedura concorsuale sono
immediatamente lesivi al momento della
presentazione dell' offerta , fatto salvo il
diverso caso della previsione di clausole
cosiddetti escludenti (TAR Lombardia Milano,
Sez. III, 08.11.2004 n. 5701).
Nel merito, come affermato anche dalla
circolare dell'01.03.2007 del Presidente del
Consiglio dei Ministri, gli elementi
attinenti all’esperienza o alla qualifica
professionale, ed in generale alla capacità
tecnica, economica o finanziaria del
prestatore (es. curriculum, licenze o
certificazioni di qualità), possono essere
utilizzati unicamente ai fini della
selezione. L’offerta deve invece essere
valutata in base a criteri che abbiano una
diretta connessione con l’oggetto
dell’appalto e che servano a misurarne il
valore e dunque ad individuare l’offerta più
vantaggiosa, estranei dovendo restare a
questa valutazione i requisiti che attengono
alla capacità tecnica del prestatore,
anziché alla qualità dell’offerta (C.S. Sez.
V 29.04.2009 n. 2716).
La predetta regola ha subito alcuni
temperamenti in giurisprudenza, ma solo con
riferimento agli appalti di servizi, il che
trova giustificazione quando l’offerta
tecnica non si sostanzia in un progetto o in
un prodotto, ma nella descrizione di un
facere, per il quale ben può essere
utile la considerazione della pregressa
esperienza dell’operatore, come anche
dell’affidabilità della sua organizzazione
d’impresa (C.S. Sez. IV 25.11.2008, n. 5808;
C.S. Sez. V 12.06.2009, n. 3716).
--------------
La
giurisprudenza ha da tempo chiarito che
nella fase di valutazione delle offerte da
parte di una commissione di gara,
l'attribuzione dei punteggi in forma
soltanto numerica è consentita quando il
numero delle sottovoci, con i relativi
punteggi, entro le quali ripartire i
parametri di valutazione di cui alle singole
voci, sia sufficientemente analitica da
delimitare il giudizio delle commissione
nell'ambito di un minimo ed un massimo di
portata tale da rendere di per sé evidente
l'iter logico seguito (C.S., Sez. V,
29.11.2005 n. 6759). Ne consegue che in
assenza di sub-criteri o anche di criteri di
valutazione puntualmente dettagliati, la
stazione appaltante non deve limitarsi ad
attribuire il mero voto numerico, ma
indicare in modo espresso le ragioni del
giudizio svolto (C.S. Sez. V, 03.12.2010 n.
8410)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 3161 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Procedimento di verifica della congruità
dell'offerta - Termini per il deposito di
giustificazioni - Non perentorietà.
2. Subappalto - Individuazione
subappaltatori - Può essere rimandata al
momento di costituzione del rapporto
contrattuale.
3. Giudizio di anomalia - In caso di
prestazione già integralmente eseguita -
Affidabilità dell'offerta è confermata da
avvenuta esecuzione a regola d'arte.
1. Nell'ambito del procedimento di verifica
della congruità dell'offerta condotto dalla
stazione appaltante, i termini per il
deposito delle giustificazioni richieste in
detta sede non sono qualificati come
perentori, mentre il termine di 10 giorni,
previsto dall'art. 88 del D.Lgs. n.
163/2006, integra il termine minimo che
l'Amministrazione deve concedere per dar
modo al concorrente di redigere e produrre
le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio,
Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
2. L'art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, nel
prevedere che tutte le lavorazioni sono
subappaltabili e che all'atto della
predisposizione dell'offerta il concorrente
debba partecipare l'intenzione di
subappaltare a soggetti qualificati, va
interpretato nel senso che è rimandata al
momento della costituzione del rapporto
contrattuale l'individuazione di questi
ultimi, nonché la specificazione della loro
qualificazione e del possesso dei requisiti
generali di partecipazione; salvo che la lex
specialis non disponga diversamente (TAR
Lazio, Latina, sez. I, 04.06.2009, n.
541).
3. Qualora la prestazione oggetto di appalto
risulti già integralmente eseguita nei
termini contrattuali, risulta
definitivamente preclusa la possibilità di
effettuare, ora per allora, valutazioni prognostiche di presunta anomalia
dell'offerta; risultando la prestazione
eventualmente suscettibile solo di una
valutazione diagnostica, ossia ex post, di
corretta esecuzione.
La realizzazione dell'opera a regola d'arte
conferma la globale affidabilità
dell'offerta
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Procedimento di verifica della congruità
dell'offerta - Termini per il deposito di
giustificazioni - Non perentorietà.
2. Subappalto - Individuazione
subappaltatori - Può essere rimandata al
momento di costituzione del rapporto
contrattuale.
3. Giudizio di anomalia - In caso di
prestazione già integralmente eseguita -
Affidabilità dell'offerta è confermata da
avvenuta esecuzione a regola d'arte.
1. Nell'ambito del procedimento di verifica
della congruità dell'offerta condotto dalla
stazione appaltante, i termini per il
deposito delle giustificazioni richieste in
detta sede non sono qualificati come
perentori, mentre il termine di 10 giorni,
previsto dall'art. 88 del D.Lgs. n.
163/2006, integra il termine minimo che
l'Amministrazione deve concedere per dar
modo al concorrente di redigere e produrre
le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio,
Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
2. L'art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, nel
prevedere che tutte le lavorazioni sono
subappaltabili e che all'atto della
predisposizione dell'offerta il concorrente
debba partecipare l'intenzione di
subappaltare a soggetti qualificati, va
interpretato nel senso che è rimandata al
momento della costituzione del rapporto
contrattuale l'individuazione di questi
ultimi, nonché la specificazione della loro
qualificazione e del possesso dei requisiti
generali di partecipazione; salvo che la lex
specialis non disponga diversamente (TAR
Lazio, Latina, sez. I, 04.06.2009, n.
541).
3. Qualora la prestazione oggetto di appalto
risulti già integralmente eseguita nei
termini contrattuali, risulta
definitivamente preclusa la possibilità di
effettuare, ora per allora, valutazioni
prognostiche di presunta anomalia
dell'offerta; risultando la prestazione
eventualmente suscettibile solo di una
valutazione diagnostica, ossia ex post, di
corretta esecuzione.
La realizzazione dell'opera a regola d'arte
conferma la globale affidabilità
dell'offerta
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: I
termini per il deposito delle
giustificazioni richieste in sede di
verifica della congruità dell'offerta non
sono qualificati come perentori, mentre il
termine di 10 giorni, previsto dall'art. 88
del d.lgs. n. 163 del 2006, integra il
termine minimo che l'Amministrazione deve
concedere per dar modo al concorrente di
redigere e produrre le proprie
giustificazioni.
Non possono, di conseguenza, ritenersi
violate le regole procedimentali laddove
l’Amministrazione, a fronte di una verifica
che richiede accertamenti complessi, abbia
ripetutamente richiesto alla concorrente di
integrare e chiarire le giustificazioni.
Le esigenze imposte dallo svolgimento
dell'istruttoria relativa alla verifica
delle offerte ritenute anomale ben possono
fondare la dilatazione di termini
procedimentali.
Il principio di continuità della procedura
ad evidenza pubblica ha valenza solo
orientativa, potendo essere derogato sia in
ragione della complessità delle operazioni
di gara (quali, appunto, quelle ricomprese
nel subprocedimento di verifica di
anomalia), sia in presenza di situazioni
particolari che impediscano la
concentrazione delle stesse operazioni in
una sola seduta (quale, appunto,
l'insufficienza delle giustificazioni
esaminate).
Il surrichiamato principio, che pure
costituisce esplicazione dei più generali
principi di buon andamento, imparzialità,
trasparenza e correttezza dell'operato
dell'Amministrazione può, in concreto,
subire eccezioni in particolari situazioni
che, come nel caso di specie, obiettivamente
impediscono la conclusione delle operazioni
di gara in una sola seduta.
---------------
L'art. 118 del D.lgs. 12.04.2006 n. 163, nel
prevedere che tutte le lavorazioni sono
subappaltabili e che all'atto della
predisposizione dell'offerta il concorrente
debba partecipare l'intenzione di
subappaltare a soggetti qualificati, va
interpretato nel senso che è rimandata al
momento della costituzione del rapporto
contrattuale l'individuazione di questi
ultimi, nonché la specificazione della loro
qualificazione e del possesso dei requisiti
generali di partecipazione.
Nelle ipotesi di subappalto di lavori per i
quali l'offerente non possegga la
qualificazione obbligatoriamente prevista
dal bando, la dichiarazione circa
l'intenzione di avvalersi del subappalto al
fine di integrare i requisiti di capacità
tecnico-organizzativa prescritti a pena di
esclusione deve necessariamente contenere i
dati identificativi del subappaltatore ed
essere accompagnata dalla dichiarazione
circa il possesso della prescritta
qualificazione, anche nelle ipotesi in cui
il bando nulla disponga in tal senso.
Quanto alle dedotte criticità relative al
procedimento di verifica della congruità
dell’offerta si osserva che i termini per il
deposito delle giustificazioni richieste in
detta sede non sono qualificati come
perentori, mentre il termine di 10 giorni,
previsto dall'art. 88 del d.lgs. n. 163 del
2006, integra il termine minimo che
l'Amministrazione deve concedere per dar
modo al concorrente di redigere e produrre
le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio
Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
Non possono, di conseguenza, ritenersi
violate le regole procedimentali laddove
l’Amministrazione, a fronte di una verifica
che, come nel caso di specie, richiedeva
accertamenti complessi, abbia ripetutamente
richiesto alla concorrente di integrare e
chiarire le giustificazioni.
Le esigenze imposte dallo svolgimento
dell'istruttoria relativa alla verifica
delle offerte ritenute anomale ben possono
fondare la dilatazione di termini
procedimentali.
Il principio di continuità della procedura
ad evidenza pubblica ha valenza solo
orientativa, potendo essere derogato sia in
ragione della complessità delle operazioni
di gara (quali, appunto, quelle ricomprese
nel subprocedimento di verifica di
anomalia), sia in presenza di situazioni
particolari che impediscano la
concentrazione delle stesse operazioni in
una sola seduta (quale, appunto,
l'insufficienza delle giustificazioni
esaminate).
Il surrichiamato principio, che pure
costituisce esplicazione dei più generali
principi di buon andamento, imparzialità,
trasparenza e correttezza dell'operato
dell'Amministrazione può, in concreto,
subire eccezioni in particolari situazioni
che, come nel caso di specie, obiettivamente
impediscono la conclusione delle operazioni
di gara in una sola seduta (cfr. in termini:
TAR Campania Napoli, sez. VIII, 02.07.2010,
n. 16568).
---------------
L'art. 118 del
D.lgs. 12.04.2006 n. 163, nel prevedere che
tutte le lavorazioni sono subappaltabili e
che all'atto della predisposizione
dell'offerta il concorrente debba
partecipare l'intenzione di subappaltare a
soggetti qualificati, va interpretato nel
senso che è rimandata al momento della
costituzione del rapporto contrattuale
l'individuazione di questi ultimi, nonché la
specificazione della loro qualificazione e
del possesso dei requisiti generali di
partecipazione (TAR Lazio Latina, sez. I,
04.06.2009, n. 541).
Il Collegio non ignora l’esistenza di
giurisprudenza più restrittiva, secondo cui
nelle ipotesi di subappalto di lavori per i
quali l'offerente non possegga la
qualificazione obbligatoriamente prevista
dal bando, la dichiarazione circa
l'intenzione di avvalersi del subappalto al
fine di integrare i requisiti di capacità
tecnico-organizzativa prescritti a pena di
esclusione deve necessariamente contenere i
dati identificativi del subappaltatore ed
essere accompagnata dalla dichiarazione
circa il possesso della prescritta
qualificazione, anche nelle ipotesi in cui
il bando nulla disponga in tal senso (TAR
Molise Campobasso, sez. I, 23.09.2010, n.
1051); tuttavia osserva che la fattispecie
sottoposta all’esame del Collegio nel caso
di specie è radicalmente diversa da quella
esaminata dal TAR molisano nell’indicata
pronuncia, in cui la ditta concorrente aveva
effettuato una generica dichiarazione di
volersi avvalere del subappalto senza alcuna
ulteriore specificazione (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'interesse
perseguito dal legislatore con l’art. 38
dlgs 163/2006 è quello di verificare la
condotta di coloro che determinano
effettivamente le scelte all'interno
dell'impresa, essendo necessario esaminare i
poteri, le funzioni e il ruolo
effettivamente e sostanzialmente attribuiti
al soggetto considerato, al di là delle
qualifiche formali rivestite.
D’altra parte si sono registrati in
giurisprudenza anche orientamenti di segno
contrario intesi a limitare la sussistenza
dell'obbligo di dichiarazione ai soli
amministratori muniti di potere di
rappresentanza e ai direttori tecnici, e non
anche a tutti i procuratori della società.
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel dar
conto dei diversi orientamenti formatisi in
giurisprudenza, sulla base della lettura
comparata della disciplina civilistica delle
società e della ratio sottesa all’art. 38
del codice dei contratti, ha ritenuto di
dover aderire alla seconda tesi, che limita
l'applicabilità della disposizione ai soli
amministratori della società, e non anche ai
procuratori speciali.
La soluzione prescelta, secondo la V Sezione
del Consiglio di Stato, “oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l'obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti.”
Il Collegio ritiene di aderire al più
recente filone interpretativo, essendone
condivisibili le sottese esigenze di
funzionalità delle pubbliche gare.
---------------
Il comma 1 dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163
del 2006 ricollega l’esclusione dalla gara
al dato sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il comma 2 non
prevede analoga sanzione per l’ipotesi della
mancata o non perspicua dichiarazione; da
ciò deve farsi discendere che solo
l’insussistenza, in concreto, delle cause di
esclusione previste dall’art. 38 comporta,
ope legis, l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
lex specialis non preveda espressamente la
sanzione dell’esclusione in relazione alla
mancata osservanza delle puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto
delle dichiarazioni da fornire, facendo
generico richiamo all’assenza delle cause
impeditive di cui all’art. 38, l’omissione
non produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo
un’ipotesi di "falso innocuo", come tale
insuscettibile di fondare l’esclusione, le
cui ipotesi sono tassative.
Dalla lettura della visura camerale della
ricorrente emerge che la procuratrice
speciale Silvia Seveso è dotata di ampi
poteri tra i quali quello di rappresentare
la società in tutti gli atti nei confronti
della pubblica amministrazione riguardanti
la gestione dei contratti.
La Sezione in passato si è espressa nel
senso di ritenere che l'interesse perseguito
dal legislatore con l’art. 38 sia quello di
verificare la condotta di coloro che
determinano effettivamente le scelte
all'interno dell'impresa, essendo necessario
esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo
effettivamente e sostanzialmente attribuiti
al soggetto considerato, al di là delle
qualifiche formali rivestite (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 25.03.2010, n.
729; in termini v. anche Cons. Stato, Sez.
V, 16.11.2010, n. 8059; id. Sez. VI,
08.02.2007, n. 523).
D’altra parte si sono registrati in
giurisprudenza anche orientamenti di segno
contrario intesi a limitare la sussistenza
dell'obbligo di dichiarazione ai soli
amministratori muniti di potere di
rappresentanza e ai direttori tecnici, e non
anche a tutti i procuratori della società
(TAR Basilicata, Sez. I, 22.04.2009, n. 131;
TAR Liguria, Sez. II, 11.07.2008, n. 1485;
TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I,
08.07.2008, n. 379).
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel dar
conto dei diversi orientamenti formatisi in
giurisprudenza, sulla base della lettura
comparata della disciplina civilistica delle
società e della ratio sottesa
all’art. 38 del codice dei contratti, ha
ritenuto di dover aderire alla seconda tesi,
che limita l'applicabilità della
disposizione ai soli amministratori della
società, e non anche ai procuratori speciali
(cons. Stato, sez. V, 21.11.2011, n. 6136;
v. anche id., 24.03.2011, n. 1782 e
25.01.2011, n. 513).
La soluzione prescelta, secondo la V Sezione
del Consiglio di Stato, “oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l'obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti.”
Il Collegio ritiene di aderire al più
recente filone interpretativo, essendone
condivisibili le sottese esigenze di
funzionalità delle pubbliche gare.
---------------
D’altra parte, anche in mancanza di
esplicita adesione andrebbe tenuto presente
che il comma 1 dell’art. 38 del D.Lgs. n.
163 del 2006 ricollega l’esclusione dalla
gara al dato sostanziale del mancato
possesso dei requisiti indicati, mentre il
comma 2 non prevede analoga sanzione per
l’ipotesi della mancata o non perspicua
dichiarazione; da ciò deve farsi discendere
che solo l’insussistenza, in concreto, delle
cause di esclusione previste dall’art. 38
comporta, ope legis, l’effetto
espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
lex specialis non preveda
espressamente la sanzione dell’esclusione in
relazione alla mancata osservanza delle
puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire,
facendo generico richiamo all’assenza delle
cause impeditive di cui all’art. 38,
l’omissione non produce alcun pregiudizio
agli interessi presidiati dalla norma,
ricorrendo un’ipotesi di "falso innocuo",
come tale insuscettibile di fondare
l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative
(da ultimo: Cons. Stato, sez. V, 24.11.2011,
n. 6240; anche id. 09.11.2010, n. 7967).
Nel caso di specie il disciplinare di gara
richiedeva che le dichiarazioni, tra cui
quella “di non trovarsi in alcuna delle
condizioni di esclusione indicate dall’art.
38 del D.Lgs. 163/2006”, “devono
essere sottoscritte dal legale
rappresentante o dal titolare o procuratore
in caso di concorrente singolo”.
D’altra parte la ricorrente ha prodotto il
certificato generale del casellario
giudiziale a nome di ... dal quale non
risultano precedenti penali a suo carico
(doc. n. 5 del fascicolo di parte
ricorrente); ne consegue che, applicando il
richiamato principio al caso di specie, la
mancanza della relativa dichiarazione può in
ogni caso considerarsi innocua
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 3159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Costi per la sicurezza - Rischi
da interferenza e rischi relativi
all'organizzazione dell'appaltatore -
Soggetti obbligati alla quantificazione.
I costi concernenti la sicurezza sul
lavoro negli appalti di servizi si
distinguono in due gruppi. Da un lato, essi
debbono corrispondere ai cosiddetti rischi
da interferenza derivanti dallo svolgimento
del servizio presso la stazione appaltante,
previsti dall'art. 26 del D.Lgs. 81/2008:
tali costi vanno quantificati dalla stazione
appaltante, a pena di illegittimità della
procedura. Dall'altro, vi sono i costi
relativi all'organizzazione interna
dell'appaltatore, che questi è invece tenuto
ad indicare ex lege, quand'anche il
capitolato non lo preveda espressamente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Costi per la sicurezza - Rischi
da interferenza e rischi relativi
all'organizzazione dell'appaltatore -
Soggetti obbligati alla quantificazione.
2. Attribuzione al seggio di gara
del compito di aprire le buste contenenti
offerte tecniche ed economiche e di
esaminare le offerte economiche -
Legittimità.
1. I costi concernenti la sicurezza sul
lavoro negli appalti di servizi si
distinguono in due gruppi. Da un lato, essi
debbono corrispondere ai cosiddetti rischi
da interferenza derivanti dallo svolgimento
del servizio presso la stazione appaltante,
previsti dall'art. 26 del D.Lgs. 81/2008:
tali costi vanno quantificati dalla stazione
appaltante, a pena di illegittimità della
procedura. Dall'altro, vi sono i costi
relativi all'organizzazione interna
dell'appaltatore, che questi è invece tenuto
ad indicare ex lege, quand'anche il
capitolato non lo preveda espressamente.
2. E' legittima la previsione del capitolato
che attribuisce al Seggio di Gara, e non
alla Commissione Tecnica, il compito di
aprire le buste contenenti offerte tecniche
ed economiche e di esaminare le offerte
economiche.
La giurisprudenza ha già precisato che,
nell'ipotesi di aggiudicazione secondo il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, nulla impedisce che il
disciplinare di gara attribuisca al Seggio,
e non alla Commissione, il compito di
applicare meccanicamente i criteri di
attribuzione matematica del punteggio
relativo al prezzo offerto, atteso che in
tale operazione non si esercita alcuna
discrezionalità (Tar Lombardia, Brescia, 10.02.2011, n. 244).
Tale conclusione è valida anche con riguardo
alla fase di mera apertura della busta
contenente la documentazione amministrativa
e l'offerta tecnica, al solo scopo di
verificare, con operazione altrettanto priva
di discrezionalità, l'inserimento di quanto
richiesto dal capitolato speciale. Ciò che
invece è necessario riservare alla
Commissione è la sola valutazione
dell'offerta, in quanto espressiva di
discrezionalità tecnica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Attribuzione al seggio di gara
del compito di aprire le buste contenenti
offerte tecniche ed economiche e di
esaminare le offerte economiche -
Legittimità.
E' legittima la previsione del capitolato
che attribuisce al Seggio di Gara, e non
alla Commissione Tecnica, il compito di
aprire le buste contenenti offerte tecniche
ed economiche e di esaminare le offerte
economiche.
La giurisprudenza ha già precisato che,
nell'ipotesi di aggiudicazione secondo il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, nulla impedisce che il
disciplinare di gara attribuisca al Seggio,
e non alla Commissione, il compito di
applicare meccanicamente i criteri di
attribuzione matematica del punteggio
relativo al prezzo offerto, atteso che in
tale operazione non si esercita alcuna
discrezionalità (Tar Lombardia, Brescia, 10.02.2011, n. 244).
Tale conclusione è valida anche con riguardo
alla fase di mera apertura della busta
contenente la documentazione amministrativa
e l'offerta tecnica, al solo scopo di
verificare, con operazione altrettanto priva
di discrezionalità, l'inserimento di quanto
richiesto dal capitolato speciale. Ciò che
invece è necessario riservare alla
Commissione è la sola valutazione
dell'offerta, in quanto espressiva di
discrezionalità tecnica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
DURC attesta solo irregolarità contributive
“definitivamente accertate” che superano la
“soglia di gravità” fissata dal D.M.
24.10.2007.
L'impresa dev’essere in regola con
l’assolvimento degli obblighi previdenziali
ed assistenziali fin dalla presentazione
dell’offerta e deve conservare tale stato
per tutta la durata della procedura di
aggiudicazione e del rapporto con la
stazione appaltante, restando irrilevante,
pena la vanificazione del principio della
par condicio, un eventuale adempimento
tardivo dell’obbligazione contributiva.
Le imprese che partecipano a gare pubbliche
d’appalto, allorché rendano
autodichiarazioni previste dalla legge o dal
bando, hanno l’onere di rendersi
particolarmente diligenti nel verificare
preliminarmente (attraverso la
documentazione in loro possesso od anche
accedendo ai dati dei competenti uffici) che
queste trovino esatto riscontro nelle banche
dati degli istituti previdenziali, posto
che, in proposito, non sono esperibili
ulteriori indagini da parte delle
amministrazioni, né in ordine all’elemento
psicologico (se cioè la discrepanza sia
dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore), né
alla gravità della violazione.
La disposizione di cui all’art. 38, comma 1,
lett. i), del D.lgs. n. 163/2006, dev’essere
interpretata nel senso che il concorrente,
in presenza di un bando di gara che richieda
genericamente una sua dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui alla citata lett. i), possa essere
escluso soltanto qualora la stazione
appaltante sia oggettivamente certa che
l’eventuale debito contributivo dichiarato
sia grave e definitivamente accertato e cioè
che non esistano in atti di gara elementi
che possano condurre a diversa conclusione,
autonomamente dalle risultanze del DURC,
mediante accertamenti ulteriori.
E' pacifico in giurisprudenza che:
- il DURC attesta solo irregolarità
contributive “definitivamente accertate”
che superano la “soglia di gravità”
fissata dal D.M. 24.10.2007 (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 04.08.2009 n. 4906);
- l’impresa dev’essere in regola con
l’assolvimento degli obblighi previdenziali
ed assistenziali fin dalla presentazione
dell’offerta e deve conservare tale stato
per tutta la durata della procedura di
aggiudicazione e del rapporto con la
stazione appaltante, restando irrilevante,
pena la vanificazione del principio della
par condicio, un eventuale adempimento
tardivo dell’obbligazione contributiva (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2005 n. 4817,
30.01.2006 n. 288, 19.06.2006 n. 3660 e
31.05.2007 n. 2876; Sez. V, 22.10.2007 n.
5511 e Sez. VI, 26.01.2009; TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 23.07.2009 n. 4269);
- le imprese che partecipano a gare
pubbliche d’appalto, allorché rendano
autodichiarazioni previste dalla legge o dal
bando, hanno l’onere di rendersi
particolarmente diligenti nel verificare
preliminarmente (attraverso la
documentazione in loro possesso od anche
accedendo ai dati dei competenti uffici) che
queste trovino esatto riscontro nelle banche
dati degli istituti previdenziali, posto
che, in proposito, non sono esperibili
ulteriori indagini da parte delle
amministrazioni, né in ordine all’elemento
psicologico (se cioè la discrepanza sia
dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore), né
alla gravità della violazione (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 17.04.2003 n. 2081 e
09.12.2002 n. 6768; TAR Puglia, Bari,
03.07.2008 n. 1622);
- la disposizione di cui all’art. 38, comma
1, lett. i), del D.lgs. n. 163/2006, dev’essere
interpretata nel senso che il concorrente,
in presenza di un bando di gara che richieda
genericamente una sua dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui alla citata lett. i), possa essere
escluso soltanto qualora la stazione
appaltante sia oggettivamente certa che
l’eventuale debito contributivo dichiarato
sia grave e definitivamente accertato e cioè
che non esistano in atti di gara elementi
che possano condurre a diversa conclusione,
autonomamente dalle risultanze del DURC,
mediante accertamenti ulteriori (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 07.07.2011, n. 4053) (TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza
14.12.2011 n.
1995 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L’accorpamento
dei livelli di progettazione, previsti
dall’art. 93 del d.lgs. n. 163/2006, può
risolversi in una mera irregolarità che non
ridonda in un profilo di illegittimità
dell’atto, salvo che venga dedotto che le
finalità, oggetto di tutela, siano state
effettivamente messe a repentaglio a seguito
dell’unificazione di qualcuna delle fasi.
Le norme citate non escludono, insomma, che
le fasi progettuali o alcune di esse siano
elaborate in un unico contesto quando i
lavori abbiano carattere di urgenza e
indifferibilità e a condizione che la
concentrazione delle fasi non si risolva in
lacune o imprecisioni.
Come già statuito dal giudice amministrativo
(cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 02.03.2009,
n. 2134), è ormai acquisito in
giurisprudenza che l’accorpamento dei
livelli di progettazione previsti dall’art.
93 del d.lgs. n. 163/2006, può risolversi in
una mera irregolarità che non ridonda in un
profilo di illegittimità dell’atto, salvo
che venga dedotto che le finalità, oggetto
di tutela, siano state effettivamente messe
a repentaglio a seguito dell’unificazione di
qualcuna delle fasi (così ad esempio, TAR
Lombardia, sez. II, 28.01.2005, n. 164).
Le norme citate non escludono, insomma, che
le fasi progettuali o alcune di esse siano
elaborate in un unico contesto quando i
lavori abbiano carattere di urgenza e
indifferibilità e a condizione che la
concentrazione delle fasi non si risolva in
lacune o imprecisioni (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 27.03.2002, n. 1742, sia pure con
riferimento all’omologa previsione dell’art.
16 della l. n. 109/1994)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza
14.12.2011 n.
1984 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La verifica di anomalia
dell’offerta costituisce un sub-procedimento
formalmente distinto (ancorché collegato)
rispetto al procedimento di evidenza
pubblica di individuazione della proposta
migliore, e si esprime in un’indagine di
contenuto tecnico-economico secondo una
precisa ratio di fondo che è quella di
evitare l’aggiudicazione a prezzi tali da
non garantire la qualità del lavoro,
fornitura o servizio oggetto di affidamento.
Il giudizio di verifica della congruità di
un’offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell’offerta
nel suo insieme e costituisce espressione di
un potere tecnico-discrezionale
dell’amministrazione di per sé insindacabile
in sede di legittimità, salva l’ipotesi in
cui le valutazioni siano manifestamente
illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto. Al
contempo occorre rilevare che la verifica di
anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l’offerta, nel suo complesso,
sia attendibile o inattendibile, e dunque se
dia o meno serio affidamento circa la
corretta esecuzione dell’appalto.
Osserva preliminarmente il Collegio che la
verifica di anomalia dell’offerta
costituisce un sub-procedimento formalmente
distinto (ancorché collegato) rispetto al
procedimento di evidenza pubblica di
individuazione della proposta migliore, e si
esprime in un’indagine di contenuto
tecnico-economico secondo una precisa
ratio di fondo che è quella di evitare
l’aggiudicazione a prezzi tali da non
garantire la qualità del lavoro, fornitura o
servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha
ripetutamente osservato che il giudizio di
verifica della congruità di un’offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
(Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n.
6495) e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell’amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l’ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto (Consiglio di
Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV
– 20/05/2008 n. 2348). Al contempo occorre
rilevare che la verifica di anomalia non ha
per oggetto la ricerca di specifiche e
singole inesattezze dell’offerta economica,
mirando, invece, ad accertare se l’offerta,
nel suo complesso, sia attendibile o
inattendibile, e dunque se dia o meno serio
affidamento circa la corretta esecuzione
dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. VI –
21/05/2009 n. 3146; sentenza Sezione
10/08/2011 n. 1242, che risulta appellata)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti,
limiti per la concorrenza. Da gennaio
innalzamento degli importi per
l'aggiudicazione. Adeguamento annuale delle
soglie per l'applicazione delle direttive Ue
sui contratti pubblici.
Dall'01.01.2012
aumentano le soglie per l'applicazione delle
direttive europee sugli appalti pubblici;
sale a 200 mila (da 193 mila) la soglia per
appalti di forniture e servizi e a 5 milioni
di euro (da 4.8845.000) quella per i lavori.
È quanto prevede il Regolamento Ue n.
1251/2011 della Commissione del 30.11.2011,
che modifica alcune norme delle direttive
2004/17/Ce, 2004/18/Ce e 2009/81/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio adeguando
le soglie di applicazione in materia di
procedure di aggiudicazione degli appalti di
lavori, forniture e servizi.
Si tratta dell'adeguamento annuale (qualche
migliaia di euro) conseguente
all'applicazione del cosiddetto Accordo Omc
stipulato dalla Commissione europea nel
1994. In questo accordo il termine di
riferimento era il Dsp (Diritto speciale di
prelievo) e con riguardo ad esso si erano
stabiliti gli importi (soglie) superati i
quali le amministrazioni dei diversi Paesi
firmatari (oltre all'Unione europea, ad
esempio, gli Stati Uniti, il Giappone e
molti altri paesi) devono aprire il loro
mercato alla concorrenza straniera. Il
regolamento europeo ha quindi lo scopo di
allineare le soglie per garantire che
corrispondano al controvalore in euro,
arrotondato al migliaio più vicino, delle
soglie di cui all'accordo espresse in Dsp.
Ecco quindi l'intervento sul corpus delle
direttive 2004/17 e 18, nonché della
direttiva 2009/81 sugli appalti nel settore
della sicurezza e difesa. Le nuove soglie,
applicabili dal prossimo primo gennaio 2012,
prevedono quindi che nei settori ordinari,
per servizi e forniture affidate dalle
amministrazioni centrali, si passi dal
valore di 125 mila a quello di 130 mila
euro; per appalti pubblici di servizi e
forniture affidati da tutte le altre
amministrazioni, l'aumento sarà da l93 mila
a 200 mila euro, mentre per i lavori si
passa da 4.845.000 a 5 milioni di euro.
Nei settori «speciali» (acqua,
energia e trasporti), per servizi e
forniture si passa da 387 mila a 400 mila
euro. Uguali le soglie per la direttiva 81
negli appalti di servizi e forniture il
valore è a 400 mila euro, mentre per i
lavori è a 5 milioni.
Superati questi valori le amministrazioni
saranno quindi tenute ad applicare alcune
specifiche parti del Codice dei contratti
pubblici e, in particolare, il titolo primo
del Codice che (articoli 28-120) ha riguardo
ai contratti di «rilevanza comunitaria».
Si tratta di disposizioni che, per garantire
la concorrenza nel mercato interno
dell'Unione, prevedono, ad esempio, la
pubblicazione dei bandi di gara sulla
Gazzetta Ufficiale europea, termini per la
partecipazione alle gare più lunghi rispetto
a quelli (spesso molto brevi) previsti per
le procedure di aggiudicazione esperite a
livello nazionale.
Va ricordato che sotto la soglia comunitaria
anche per altre materie (ad esempio i
criteri di aggiudicazione) la disciplina
nazionale è meno rigida di quella europea,
tanto che le direttive europee prevedono un
preciso divieto di suddivisione artificiosa
dell'appalto al fine di evitare di eludere,
quanto meno, gli obblighi di pubblicità
comunitaria
(articolo ItaliaOggi del 14.12.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Contratti pubblici.
Attività di SOA e di certificatore, dubbi
sul conflitto di interessi.
Non è manifestamente infondata, in
relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la
questione di legittimità costituzionale
dell'art. 40, comma 3, D.L.vo 12.04.2006
n. 163, nella parte in cui, ponendo il
principio di esclusività dell'oggetto delle
Società organismo attestazione, ha il
duplice corollario di vietare ad un medesimo
soggetto di svolgere contemporaneamente
attività di organismo di certificazione e
di S.O.A. e di vietare ad un organismo di
certificazione di avere partecipazioni
azionarie in una S.O.A.
Con
sentenza 13.12.2011 n. 9717, la
I Sez. del
TAR Lazio-Roma ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in relazione
agli artt. 3 e 41 Cost., dell'art. 40 comma
3 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte
in cui, ponendo il principio di esclusività
dell'oggetto delle Società organismo
attestazione, ha il duplice corollario di
vietare ad un medesimo soggetto di svolgere
contemporaneamente attività di organismo di
certificazione e di S.O.A. e di vietare ad
un organismo di certificazione di avere
partecipazioni azionarie in una S.O.A.
L'art. 40, co. 3, infatti, prevede come il
sistema di qualificazione sia attuato da
organismi di diritto privato di
attestazione, appositamente autorizzati
dall'Autorità, specificando che l'attività
di attestazione è esercitata nel rispetto
del principio di indipendenza di giudizio,
garantendo l'assenza di qualunque interesse
commerciale o finanziario che possa
determinare comportamenti non imparziali o
discriminatori, sicché, ponendo il principio
di esclusività dell'oggetto delle SOA, ha il
duplice corollario di vietare ad un medesimo
soggetto di svolgere contemporaneamente
attività di organismo di certificazione e di
SOA e di vietare ad un organismo di
certificazione di avere partecipazioni
azionarie in una SOA.
A tali conclusioni i giudici romani sono
giunti sulla base delle considerazioni che
seguono.
L'art. 41 Cost. sancisce la libertà
dell'iniziativa economica privata (primo
comma), stabilendo al contempo che la stessa
non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana
(secondo comma) e prevedendo che sia la
legge a determinare i programmi e i
controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali
(terzo comma).
L'iniziativa economica privata e
l'intervento pubblico nell'economia come
delineato nella Costituzione, quindi,
possono coesistere, ma è necessario che i
due tipi di intervento siano resi
complementari e armonizzati per il
raggiungimento di fini sociali e di
benessere collettivo.
Ne consegue che l'esercizio della libertà
economica privata può essere limitato, ma
solo per ragioni di utilità sociale, sicché
il rispetto della norma costituzionale
postula che l'imposizione di limiti deve
rispondere ai criteri di ragionevolezza e
proporzionalità. In particolare, i limiti
posti alla libertà di iniziativa economica
privata, per essere legittimi, devono essere
diretti a tutelare, con carattere di
adeguatezza e proporzionalità, altri valori
di rilevanza costituzionale.
Ora, se non c'è dubbio che nella fattispecie
in esame i limiti discendenti dalla norma di
legge, essendo volti a garantire la
neutralità e l'imparzialità dei soggetti
chiamati a verificare la sussistenza dei
requisiti per partecipare alle gare di
appalto, sono in linea di massima certamente
aderenti a valori di rilievo costituzionale,
come la concorrenza, ed ai principi
comunitari, occorre però rilevare che lo
stesso risultato di indipendenza e
neutralità potrebbe essere messo a rischio
non già dalla teorica possibilità per uno
stesso gruppo societario di attestare sia la
certificazione di qualità che i requisiti di
qualificazione, ma dalla concreta ipotesi
che tale duplice attività sia svolta nei
confronti della medesima impresa.
In altri termini, se è vero che potrebbe
sussistere un vulnus alla fondamentale
esigenza della imparzialità e della
indipendenza della SOA nell'accertamento del
possesso della certificazione di qualità in
capo alle imprese, laddove tale
certificazione sia stata rilasciata da un
soggetto che partecipa alla SOA stessa,
facendo parte della relativa compagine
societaria, è altrettanto vero che tale
vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le
attività siano svolte nei confronti della
stessa impresa da certificare ed attestare.
Pertanto, se è certamente ragionevole e
proporzionato che le due attività in
discorso non possano essere svolte da uno
stesso soggetto nei confronti della medesima
impresa, appare invece sproporzionato
rispetto alla finalità perseguita dalla
norma e, per tale motivo, irragionevole che
sia sic et simpliciter escluso che una
società, o un gruppo societario con un
medesimo centro di imputazione decisionale,
possa svolgere entrambe le attività, senza
prevedere invece tale possibilità con il
limite del divieto di svolgimento nei
confronti della stessa impresa.
D'altra parte, la soluzione ipotizzata era
quella già delineata dal legislatore della
legge quadro del 1994, prima delle modifiche
legislative intervenute con l. 166/2002, e
la stessa, ad avviso del Collegio, sembra
più congrua e proporzionata e, quindi,
maggiormente idonea a garantire l'equilibrio
tra tutti i valori costituzionali che
assumono rilievo nella fattispecie.
La norma in discorso sembra parimenti
contrastare con l'art. 3 Cost., che sancisce
il principio di uguaglianza tra i soggetti
dell'ordinamento, in quanto si traduce in
una disparità di trattamento tra gli
operatori economici laddove agli organismi
di certificazione preclude sic et
simpliciter la possibile partecipazione al
capitale delle SOA anche nell'ipotesi in
cui, ove previsto il divieto di contestuale
attestazione e certificazione nei confronti
di una stessa impresa, non sembrerebbe
sussistere un vulnus ai principi di
imparzialità ed indipendenza e gli altri
soggetti che possono liberamente detenere
partecipazioni al capitale delle SOA. In
altri termini, la discrezionalità
legislativa trova sempre un limite nella
ragionevolezza delle statuizioni volte a
giustificare la disparità di trattamento tra
i cittadini.
Nel caso di specie -atteso che il principio
di indipendenza ed imparzialità sembra poter
essere efficacemente tutelato con una
previsione normativa volta ad escludere lo
svolgimento delle attività di certificazione
e di attestazione nei confronti di una
medesima impresa, mentre, come detto, il
divieto assoluto per gli organismi di
certificazione di partecipare al capitale
sociale delle SOA appare sproporzionato e
debordante rispetto alla finalità perseguita
dalla norma- il trattamento differente
riservato agli organismi di certificazioni
appare violativo del canone di
ragionevolezza al quale la discrezionalità
del legislatore deve ontologicamente
ispirarsi (commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Conseguenze
della presenza del rappresentante
dell'impresa esclusa alle seduta di gara.
Se l’impresa assiste, tramite proprio
rappresentante, alla seduta in cui vengono
adottate le determinazioni sulle offerte
anomale, è in detta seduta che l’impresa
acquisisce la piena conoscenza del
provvedimento, ed è dalla data di detta
seduta che decorre il termine per impugnare
il provvedimento medesimo; la presenza di un
rappresentante della ditta partecipante alla
gara di appalto nella riunione nella quale
la commissione giudicatrice ha escluso la
ditta stessa dalla competizione non comporta
ex se piena conoscenza dell’atto di
esclusione ai fini della decorrenza del
termine per l’impugnazione solo qualora non
risulti che il rappresentante stesso era
munito di mandato ad hoc, oppure
rivestiva una specifica carica sociale, per
cui la conoscenza avuta dal medesimo doveva
ritenersi riferibile alla società
concorrente
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 13.12.2011 n. 6531 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
stazione appaltante decide sull'esclusione
dalla gara per anomalia dell'offerta.
Le operazioni tecniche di verifica di
anomalia possono essere condotte
direttamente dalla stazione appaltante, o da
apposita commissione all’uopo nominata, che
può essere diversa dalla commissione di gara
(artt. 88, comma 1-bis, d.lgs. 12.04.2006,
n. 163 e 121, commi 2 e 5, d.P.R.
05.10.2010, n. 207).
In ogni caso, l’esclusione per anomalia non
è mai atto di competenza della commissione
incaricata della verifica di anomalia, ma
sempre della stazione appaltante e per essa
del soggetto che presiede la gara (artt. 88,
comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 121,
comma 3, d.P.R. n. 207 del 2010)
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 13.12.2011 n. 6531 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità delle
operazioni di apertura e valutazione delle
offerte integrative gestite monocraticamente
dal responsabile del procedimento, anziché
dalla commissione di gara.
Per commissione di gara, anche sulla base
della normativa di settore, si dove
intendere senz'altro un organo a struttura
collegiale, e non un organo monocratico.
Pertanto, nel caso di specie, sono
illegittime le operazioni di gara per
violazione della disciplina di gara, atteso
che -come dettagliatamente evidenziato nella
sentenza appellata- numerose fasi valutative
della procedura di gara sono state gestite
monocraticamente dal responsabile del
procedimento (sia pure assistito di volta in
volta da un funzionario più esperto per i
profili da affrontare), anziché dall'organo
collegiale (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.12.2011 n. 6523 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare da aggiudicare con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa. Potere della commissione
giudicatrice di introdurre elementi di
specificazione dei criteri generali di
valutazione delle offerte e fissare il
metodo di attribuzione dei punteggi.
Nel caso di gare da aggiudicare con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, la commissione giudicatrice può
introdurre elementi di specificazione e
integrazione dei criteri generali di
valutazione delle offerte già indicati nel
bando di gara o nella lettera d'invito,
oppure fissare sottocriteri di adattamento
di tali criteri o regole specifiche sulle
modalità di valutazione, a condizione però
che vi provveda prima dell'apertura delle
buste recanti le offerte stesse e che non
introduca nuovi elementi di valutazione non
previsti dal bando (1). In particolare, è
ammissibile che la commissione di gara,
prima dell'apertura dei plichi contenenti le
offerte, specifichi i criteri motivazionali
previsti dal bando (2).
Nel caso di gare da aggiudicare con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, può ritenersi ammesso che la
commissione di gara fissi la metodologia di
attribuzione dei punteggi, per rendere più
trasparente il proprio apprezzamento, a
garanzia della par condicio dei concorrenti;
la mancata fissazione dei criteri
motivazionali, d'altra parte, non inficia
l'operato della medesima commissione, ove
quest'ultima fornisca comunque
un'argomentata motivazione circa i giudizi
formulati.
Il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, disciplinato dalla normativa
comunitaria e nazionale, non presuppone
inderogabilmente una puntualizzazione dei
criteri di valutazione delle offerte a tal
punto dettagliati da predeterminare in
maniera rigida e stringente il giudizio
sulle singole voci, quasi a trasformarsi,
anche in rapporto alla valutazione del
merito tecnico, in un criterio automatico di
selezione; invero, l'art. 83, del D.L.vo n.
163 del 2006 impone alla stazione appaltante
di valutare le offerte secondo parametri
attinenti all'oggetto dell'appalto sotto il
profilo quantitativo (prezzo, costo di
utilizzazione, redditività, data di
consegna, termine di esecuzione) e sotto il
profilo qualitativo (qualità, pregio
tecnico, caratteristiche estetiche,
funzionali ed ambientali, servizio
successivo, assistenza tecnica).
Nel caso di gare da aggiudicare con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, per ciò che concerne l'esame
dell'aspetto qualitativo, la stazione
appaltante, onde identificare in concreto
l'offerta economicamente più vantaggiosa,
può considerare ogni singolo elemento
offerto, valutandone ogni concreta ed
effettiva caratteristica e qualità con
diretta incidenza ed utilità rispetto a
quello da aggiudicarsi, trattandosi pur
sempre dell'aspetto qualitativo dell'offerta
e dovendosi scegliere quella concretamente
più vantaggiosa per la p.a. (3).
---------------
(1) Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005,
C-331/04, secondo cui la commissione di gara
può integrare e specificare i criteri di
bando, con il solo limite di non poter
introdurre nuovi criteri di qualificazione,
né modificare i limiti di punteggio massimo
e minimo stabiliti nel bando.
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.07.2010 n.
4502; sez. V, 16.06.2010 n. 3806; sez. VI,
17.05.2010 n. 3052; sez. VI, 11.03.2010 n.
1443; sez. V, 15.02.2010 n. 810
(3) Cons. Stato, sez. VI, 15.09.2011, n.
5157; sez. V, 08.09.2008, n. 4271;
11.05.2010, n. 2826 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.12.2011 n. 1281
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
rapporto di coniugio tra l'amministratore di
una società ed un mafioso non basta per
affermare l'esistenza di un pericolo di
inquinamento mafioso a carico della società.
Nell’ambito dell’informativa prefettizia
antimafia, al fine della sussistenza di un
pericolo di inquinamento mafioso nell’ambito
di una società, gli indizi devono avere un
ragionevole grado di attendibilità, serietà
e concordanza. Il solo rapporto di coniugio
tra l’amministratore della società e un
soggetto indagato, imputato o condannato per
mafia, è un indizio rilevante, ma che deve
essere corroborato da altri riscontri,
atteso che il solo rapporto di coniugio non
comprova senz’altro il pericolo di
infiltrazione criminale (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 12.12.2011 n. 6497 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Corte
dei conti Lombardia. Vietato «allungare» il
contratto di servizio all'in house che
gestisce funzioni strumentali. Niente proroga
dell'affido diretto. No alla raccolta
rifiuti, anche se a tempo, per la
partecipata con doppia attività.
EFFETTI A CASCATA/ Impossibile riassorbire il
personale non trasferito con
l'esternalizzazione perché l'operazione è
finanziariamente onerosa.
Niente affidamento diretto del servizio
rifiuti alla propria partecipata che svolga
sia attività nell'ambito dei servizi
pubblici locali, sia servizi strumentali
all'attività degli enti soci. E neppure
proroga in via eccezionale del servizio
nelle more del riassetto societario
necessario per adeguare l'oggetto sociale
dell'in house ai vincoli dell'articolo 13
del Dl 223/2006 proprio per evitare questa
doppia attività.
Questo il principio ribadito dalla Corte dei
conti, sezione controllo della Lombardia,
nel
parere 12.12.2011
n. 653, con cui ha risposto alla richiesta di
chiarimenti inviata da un Comune in merito
alla possibilità di rinnovo dell'affidamento
diretto alla propria in house –nelle more
della scadenza del contratto di servizio–
nonostante la società gestisse sia servizi
pubblici, sia attività strumentali.
La richiesta
Il Comune aveva anche precisato che tale
partecipata «effettivamente non si era
ancora attivata per allinearsi ai dettati
normativi di cui all'articolo 13 del Dl
223/2006, in quanto il termine del 04.01.2010... è caduto in periodo di scadenza del
vecchio consiglio di amministrazione e del
vecchio collegio sindacale».
L'ente aveva comunque manifestato la volontà
di apportare le modifiche statutarie e
attuare il riassetto societario necessario
per garantire la legittima gestione dei
servizi: queste modifiche, tuttavia, non
potevano diventare operative entro la
scadenza del contratto di servizio e non
essendo più in tempo per procedere a una
gara, l'ente locale aveva manifestato
l'intenzione di affidare direttamente il
servizio e adeguare lo statuto solo
successivamente.
Il Comune, infine, aveva chiesto ai
magistrati contabili se, in caso di risposta
negativa, era possibile riassumere
direttamente il servizio, assorbendo il
personale dalla società, anche se non aveva
rispettato il patto di stabilità nel 2010 e
nel 2011.
La risposta
La Corte ha chiarito preliminarmente che
l'eventuale ritorno alla gestione diretta,
con conseguente assorbimento dei dipendenti
della società, non risulta ammissibile non
avendo il Comune trasferito il proprio
personale, al momento dell'esternalizzazione
del servizio, ma avendolo ricollocato
all'interno dell'ente con diverse mansioni.
La dotazione organica del Comune quindi non
è stata diminuita all'epoca e, pertanto, la
prospettata ipotesi di reinternalizzazione
del servizio, con contestuale assunzione di
nuove unità di personale, è un'operazione
finanziariamente non neutra per le casse
comunali.
Inoltre, la Corte ha ribadito che gli enti
che non rispettano il patto di stabilità
interno non possono comunque assumere.
Per quanto riguarda la possibilità di poter
prorogare l'affidamento del servizio nelle
more degli adempimenti obbligatori dello
statuto della partecipata, i magistrati
hanno definito incompatibile con l'attuale
assetto legislativo il fatto che la società
svolga servizi pubblici locali e strumentali
in contemporanea. Le società strumentali non
possano svolgere, in relazione alla loro
posizione privilegiata, altre attività a
favore di altri soggetti pubblici o privati
poiché, in caso contrario, si verificherebbe
un'alterazione o comunque una distorsione
della concorrenza all'interno del mercato
locale di riferimento.
Era onere degli enti intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni
organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali
ovvero l'affidamento a terzi con gara dei
servizi pubblici locali a rilevanza
economica o, ancora, la creazione di
distinti organismi societari per la gestione
in modo separato delle attività strumentali
e dei servizi pubblici locali.
La Corte ha chiarito quindi che gli enti,
che detengono partecipazioni in società che
gestiscano contestualmente le due attività,
non possono affidare legittimamente a tali
in house la gestione di alcun servizio
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Mini Comuni con appalti «unici».
Dall'01.04.2012 centrale di committenza
d'obbligo per gli enti fino a 5mila abitanti.
In base all'articolo 23, comma 4, del Dl
201/2011 (la cosiddetta "manovra salva
Italia"), i Comuni con popolazione fino a
5mila abitanti dovranno affidare
l'acquisizione di lavori, servizi e
forniture a un'unica centrale di committenza
(articolo 33 del Codice dei contratti)
nell'ambito delle Unioni dei Comuni, ove
esistenti, o tramite convenzione; tale nuovo
obbligo si applica alle gare bandite
successivamente al 31.03.2012 (articolo
23, comma 5).
Occorre mettere in correlazione le nuove
disposizioni con la normativa generale sulle
gestioni associate, che prescrive obblighi e
scadenze differenziate:
– i Comuni con popolazione fino a mille
abitanti devono gestire in forma associata
tutte le funzioni, compresa dunque la
gestione degli appalti (articolo 16 del Dl
138/2011);
– i Comuni con popolazione superiore a mille
e fino a 5mila abitanti devono gestire in
forma associata le «funzioni fondamentali»,
tra cui gli appalti (articolo 14 del Dl
78/2010, corretto dalla manovra 2011). È
controversa la rilevanza, a questi fini,
della percentuale del 70% delle spese
fissata nell'articolo 21 della legge
42/2009; il decreto legge 201/2011 cancella
ogni perplessità in materia di appalti,
costringendo tutti gli enti con popolazione
fino a 5mila abitanti ad associare il
servizio.
Resta, infine, la facoltà per i Comuni sopra
la soglia di 5mila abitanti di partecipare
alla gestione associata in esame.
Il versante organizzativo.
Sotto il profilo organizzativo occorre dare
applicazione da un lato alle disposizioni
del regolamento attuativo del Codice degli
appalti (articoli 274, 306, 307, 312 del Dpr
207 del 05.10.2010) e, dall'altro, al Dpcm 30.06.2011, in cui viene
disciplinata la stazione unica appaltante
(Sua).
Alla luce di tali normative si ritiene che
tutti gli atti di gara, dal bando
all'aggiudicazione finale, debbano essere
adottati dal responsabile del servizio
appalti dell'Unione, che deve essere
pienamente responsabilizzato su tali
procedure e sui relativi adempimenti; nelle
semplice convenzioni ex articolo 30 del Tuel,
gli atti vanno adottati dall'organo
gestionale del Comune capofila o da un
ufficio comune costituito dai Comuni
aderenti.
Il singolo Comune resta responsabile delle
fasi che precedono e seguono la gara.
Anzitutto programma le attività da
realizzare, accantonando le risorse
necessarie, definisce i contenuti
progettuali, e in particolare i capitolati.
Programmi e progetti devono essere
comunicati per tempo alla Sua, ai fini di
un'efficace gestione degli affidamenti.
Successivamente, l'ente diretto destinatario
della prestazione oggetto della gara stipula
e roga (tramite la propria segreteria
comunale) il contratto di cui esso è parte e
ne verifica la corretta esecuzione.
Altre soluzioni appaiono a rischio
d'illegittimità per violazione di legge.
I rapporti tra Sua ed ente aderente devono
essere regolati da apposite convenzioni.
Gli scopi.
L'obiettivo della normativa in esame è
triplice:
– una maggiore celerità delle procedure di
gara, grazie a una struttura unica
specializzata;
– una significativa ottimizzazione delle
risorse e, quindi, un conseguente risparmio,
concentrando in un'unica struttura quegli
adempimenti che normalmente vengono curati
da una pluralità di stazioni appaltanti;
– la massima trasparenza possibile, grazie
alla collaborazione costante con la
Prefettura locale nell'ambito delle attività
di prevenzione delle infiltrazioni criminali
negli appalti pubblici.
Tali potenziali vantaggi risultano evidenti
soprattutto con riferimento agli enti locali
di piccole dimensioni, chiamati a
confrontarsi con la complessità delle
procedure di gara e con il continuo
susseguirsi di modifiche normative e/o
interpretative.
---------------
Punto per punto
01 | LE PRESTAZIONI
Le prestazioni da affidare alle centrali
uniche di committenza sono quelle che
riguardano lavori, servizi e forniture.
02 | OBBLIGO O FACOLTÀ
La gestione associata degli appalti è
obbligatoria per i Comuni fino a 5mila
abitanti e facoltativa per i Comuni che
oltrepassano oltre questa soglia.
03 | FORME DI GESTIONE
Da una parte, la semplice convenzione (o
insieme di convenzioni: Associazione di
Comuni); dall'altra, l'Unione di Comuni
(o Unione montana/isolana)
(articolo Il Sole 24
Ore del 12.12.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALI: Nell'offerta anche il costo del lavoro.
ABBASSATO IL TETTO/
Riportato a 100mila euro il valore massimo
per l'affidamento di servizi di ingegneria e
architettura con procedura informale.
La gestione ottimale degli appalti pubblici
passa per alcune semplificazioni
procedurali, per l'aggregazione delle
stazioni appaltanti di minori dimensioni e
per un maggiore coinvolgimento dei soggetti
privati nella realizzazione e gestione di
opere pubbliche. Le ultime modifiche al
Codice dei contratti pubblici apportate dal
Dl 201/2011 introducono importanti novità
nella gestione delle gare, con
l'eliminazione e la correzione di
problematiche determinate dal contenuto
critico di alcune disposizioni.
Il dato più rilevante è l'eliminazione del
comma 3-bis dell'articolo 81 del Codice. In
base a tale norma, i concorrenti a una gara
dovevano formulare l'offerta al netto del
costo del lavoro e dei costi da essi
sostenuti per gli adempimenti in materia di
sicurezza. La norma abrogatrice richiama le
disposizioni sul rispetto del costo del
lavoro e delle misure di sicurezza negli
appalti, che devono essere necessariamente
attuate dagli appaltatori. Altrettanto
rilevante risulta l'abrogazione
dell'articolo 12 della legge 180/2011
(Statuto delle imprese), che innalzava la
soglia per l'affidamento di servizi di
ingegneria e architettura con gara
informale: così si riporta il valore massimo
per l'utilizzo della procedura semplificata
a 100mila euro, mentre oltre questa soglia è
necessaria la gara (secondo le previsioni
degli articoli 264-266 del regolamento
attuativo).
La linea di razionalizzazione è tradotta in
termini molto più ampi dall'articolo 23 del
Dl 201/2011, che integra l'articolo 33 del
Codice, introducendo una norma (comma 3-bis)
molto vincolante per i Comuni di minori
dimensioni (si veda l'articolo sopra).
Per ottimizzare i rapporti con il sistema
degli operatori economici più piccoli, la
manovra contiene anche molte norme che
evidenziano l'attenzione per le piccole e
medie imprese, stabilendo (con modifica
dell'articolo 2 del Codice) che le stazioni
appaltanti devono, ove possibile ed
economicamente conveniente, suddividere gli
appalti in lotti funzionali. Nell'ambito
della manovra ci sono anche molte
disposizioni che valorizzano l'apporto dei
privati alla realizzazione (e gestione) di
opere pubbliche.
L'articolo 42 modifica il comma 5
dell'articolo 143 del Codice, relativo alla
disciplina generale delle concessioni di
costruzione e gestione, stabilendo che, per
garantirne l'equilibrio
economico-finanziario, l'amministrazione
possa prevedere, a titolo di prezzo, la
cessione in proprietà o in diritto di
godimento di beni immobili nella loro
disponibilità, o espropriati allo scopo, per
assicurarne al privato l'utilizzazione o la
valorizzazione. La stessa disposizione
prevede che la gestione funzionale ed
economica possa anche riguardare opere
direttamente connesse a quelle oggetto della
concessione e da ricomprendere nella stessa.
In una prospettiva simile può interpretarsi
anche la disposizione inserita dall'articolo
45 del Dl 201/2011 nell'articolo 16 del Dpr
380/2011, con la quale si stabilisce (comma
2-bis) che, nell'ambito degli strumenti
attuativi e degli atti equivalenti comunque
denominati, nonché degli interventi in
diretta attuazione dello strumento
urbanistico generale, l'esecuzione diretta
delle opere di urbanizzazione primaria
funzionali all'intervento di trasformazione
urbanistica del territorio, di importo
inferiore alla soglia comunitaria (dall'01.01.2012, in base al regolamento
comunitario di revisione delle soglie, pari
a 5 milioni di euro), è a carico del
titolare del permesso di costruire e non
trova applicazione il Dlgs 163/2006.
La norma consente quindi ai soggetti
attuatori di piani urbanistici (ma anche ai
titolari di un permesso di costruire) di
realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione primaria strettamente
collegate all'intervento senza dover fare
gara, se di valore inferiore alla soglia Ue.
Tali aspetti dovranno essere definiti
all'interno delle convenzioni urbanistiche o
degli accordi procedimentali relativi ai
permessi di costruire
(articolo Il Sole 24
Ore del 12.12.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
A. Bonanni,
LA DISCIPLINA SUI RITARDATI PAGAMENTI NEI
CONTRATTI PUBBLICI E LE DEROGHE
CONVENZIONALI, TRA PRASSI APPLICATIVA E
DECISIONI GIURISPRUDENZIALI (link
a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
A. Bonanni,
APPROVATO LO STATUTO DELLE IMPRESE: NUMEROSE
LE NOVITÀ NEL SETTORE DEGLI APPALTI PUBBLICI
ANCHE SE EMERGONO ALCUNI DUBBI
INTERPRETATIVI (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI: L'Antitrust
bacchetta gli enti se violano la concorrenza.
Aumentano i poteri dell'autorità per la
concorrenza grazie alla manovra economica
del governo Monti. L'Antitrust diventa una
sorta di pubblico ministero antitrust di
fronte alla giustizia amministrativa: può
infatti impugnare davanti al giudice gli
atti di qualsiasi pubblica amministrazione
ritenuti contratti alle regole del libero
mercato. Sono avvisati, insomma, i comuni
che invece di bandire le gare d'appalto
procedono senz'altro con gli affidamenti in
house.
È l'articolo 35 del decreto legge
201/2011 a delimitare il nuovo perimetro per
l'attività del garante, aggiungendo il comma
21-bis alla legge 287/1990: adesso l'Agcm
risulta legittimata ad agire in giudizio
contro gli atti amministrativi generali, i
regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi
amministrazione pubblica che reputa
sospetti.
Da oggi in funziona così: laddove
l'Antitrust ritenga che una certa pubblica
amministrazione abbia emanato un atto in
violazione delle norme a tutela della
concorrenza, emette un parere motivato in
cui indica i profili specifici delle
violazioni riscontrate; poi la palla passa
all'ente: se l'amministrazione non si adegua
alle censure mossegli entro il termine dei
sessanta giorni successivi alla
comunicazione del parere, l'Autorità può
presentare tramite l'avvocatura dello stato
il ricorso entro i successivi trenta giorni.
Ai giudizi instaurati ai sensi del primo
comma dell'articolo 35 del decreto si
applica la disciplina di cui al Libro IV,
Titolo V, del dlgs 104/2004, vale a dire le
norme del nuovo codice del processo
amministrativo che riguardano l'ottemperanza
e i riti speciali e in particolare i
procedimenti abbreviati relativi a
controversie speciali, ad esempio quelli in
tema di lavori pubblici. Il tutto, precisa
il governo, si risolve in una riforma a
costo zero.
Il presidente del consiglio
Mario Monti, intervenendo alla camera, ha
spiegato che l'Antitrust potrà «sollevare
questioni di legittimità costituzionale di
leggi che ostacolino il libero sviluppo dei
mercati». La manovra, fra l'altro, riduce il
numero dei componenti delle autorità
amministrative. Eppure le competenze
dell'Antitrust si ampliano anche su un altro
fronte, quello dell'attività istituzionale:
diventa obbligatorio il parere
dell'Authority sui disegni di legge
governativi e sui regolamenti che
introducono restrizioni all'accesso o
all'esercizio di attività, che finora è
stato facoltativo ai sensi dall'articolo 22
della legge 287/1990.
Nella manovra «ci sono
molte delle cose che come Antitrust avevamo
chiesto di fare», ha spiegato il
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, Antonio Catricalà, in occasione
del passaggio di consegne con il suo
successore Giovanni Pitruzzella
(articolo ItaliaOggi del 09.12.2011). |
APPALTI:
Manovra Monti (D.L. 201/2011): le modifiche
al Codice dei contratti pubblici. Nel
decreto 201/2011 una mini-riforma degli
appalti pubblici.
Anche il governo dei tecnici non resiste
alla tentazione di mettere mano al decreto
legislativo 163 del 2006 (Codice dei
contratti pubblici): gli articoli 41 e ss.
del decreto (costituenti il Capo IV del
Titolo IV "Misure per lo sviluppo
infrastrutturale") intervengono infatti
in più punti sulla disciplina degli appalti
pubblici, segnando a volte una netta
inversione di marcia rispetto alle scelte
legislative più recenti.
È il caso, ad esempio, della soglia per
l’affidamento dei servizi di progettazione
senza pubblicazione del bando di gara:
l’art. 12 del cosiddetto Statuto imprese
(entrato in vigore appena qualche giorno fa,
il 15.11.2011) aveva innalzato da 100.000
euro a 193.000 euro la soglia per
l’affidamento dei servizi di architettura e
di ingegneria con la procedura negoziata
senza previa pubblicazione di bando di gara
prevista all’articolo 57 comma 6 del Codice
dei contratti. A distanza di poco più di due
settimane, il legislatore ci ripensa e
(all’articolo 44, comma 5, lettera a) del
nuovo decreto-legge) ha abrogato la norma
dello Statuto imprese che permetteva di
abbreviare (ma a discapito della
trasparenza) le procedure.
Altra norma di recente introduzione (era
stata prevista dal cosiddetto decreto
sviluppo, ovvero il decreto legge
13.05.2011, n. 70 convertito in L.
106/2011), l’art. 81, comma 3-bis, prevedeva
che l’offerta migliore fosse determinata
al netto delle spese relative al costo del
personale: abrogata la novella (articolo
44, comma 2 del nuovo decreto legge
201/2011), il costo del personale negli
appalti è di nuovo compreso nell’importo
soggetto a ribasso.
Nello sforzo di razionalizzare gli acquisti
della P.A., si impone a tutti i Comuni con
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti
ricadenti nel territorio di ciascuna
Provincia di affidare ad un’unica
centrale di committenza l’acquisizione
di lavori, beni e servizi nell’ambito delle
Unioni dei Comuni (articolo 23, comma 4, del
D.L. 201/2011).
Altre disposizioni hanno ad oggetto, invece,
le opere di più rilevante peso economico.
Innanzitutto, con l’art. 44, comma 8, del
D.L. 201/2011 si introduce un nuovo articolo
(il 112-bis) all’interno delle disposizioni
dedicate alle garanzie e verifiche della
progettazione: per i lavori di importo a
base di gara superiore a 20 milioni di euro,
da affidarsi con la procedura ristretta
senza previa pubblicazione del bando, le
stazioni appaltanti sono ora tenute a
indicare nel bando che sul progetto a base
di gara è indetta una consultazione
preliminare, garantendo il contraddittorio
tra le parti.
Un intero articolo del nuovo decreto legge,
il 41, è infine dedicato alle
infrastrutture strategiche; innanzi
tutto, si modifica l’articolo 161 del Codice
dei Contratti pubblici, ridefinendo modalità
e criteri di programmazione delle opere
strategiche, per permettere la selezione di
opere che possono essere realizzate via
prioritaria, con particolare riferimento
alle opere finanziabili con l’apporto di
capitale privato. Si cerca inoltre di
ridurre la durata della fase progettuale
complessiva dell’infrastruttura: il comma 2
introduce un nuovo articolo (il 169-bis) nel
Codice dei Contratti pubblici volto a
consentire che l’approvazione, da parte del
CIPE, dei progetti delle opere di interesse
strategico, possa intervenire, su richiesta
Ministero delle infrastrutture sul progetto
preliminare qualora sia assicurata la
copertura integrale del progetto. La
disposizione prevede la fissazione di un
termine perentorio in caso di opere
finanziate a carico della finanza pubblica,
a pena di decadenza per l’approvazione del
progetto definitivo (link a www.diritto.it). |
APPALTI:
R. Rizzato,
Le principali clausole contrattuali per
gestire la sicurezza su lavoro negli appalti
(link a www.altalex.com). |
APPALTI:
A. Massari,
La legge 180/2011 (ovvero lo “Small
business act” italiano): prime criticità
applicative in materia di appalti - Commento
alla L. 11.11.2011 n. 180 “Norme per la
tutela della libertà d’impresa. Statuto
delle imprese”
(link a www.diritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Nessun
diritto di proroga in capo al gestore
uscente alla scadenza del contratto.
In assenza di puntuali obblighi giuridici o
contrattuali in tal senso, l’amministrazione
non è affatto tenuta a prorogare il servizio
in atto con il gestore uscente alla scadenza
del precedente rapporto contrattuale e fino
alla stipulazione del nuovo contratto,
all’esito della rinnovata procedura
selettiva.
L'utilità meramente eventuale del gestore
uscente a proseguire il servizio,
costituisce un semplice interesse di fatto
che non le attribuisce alcuna autonoma
legittimazione alla impugnazione degli atti
della gara, una volta accertato che essa non
aveva titolo a partecipare alla contestata
procedura selettiva
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 07.12.2011 n. 6441 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Aggiudicazione
appalto: insindacabilità nel merito del
giudizio della Commissione di gara.
Il Consiglio di Stato nella sentenza in
esame ribadisce il principio secondo cui i
giudizi valutativi espressi dalla
Commissione non sono sindacabili nel merito,
e sono, viceversa, legittima espressione di
discrezionalità se non affetti da
macroscopici vizi logici, disparità di
trattamento, errore manifesto, rientrando
nel potere valutativo quello di ritenere
migliore un progetto che contiene elementi
maggiormente specifici (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 07.12.2011 n. 6434 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Differenza
tra la certificazione antimafia delle Camere
di Commercio e l'Informativa antimafia del
Prefetto.
Il rilascio di certificazione antimafia da
parte della locale Camera di Commercio ha
natura, finalità e contenuto di valenza ben
diversa dall’interdittiva antimafia. Invero,
quest'ultima non deve necessariamente
collegarsi ad accertamenti in sede penale di
carattere definitivo e certo sull’esistenza
della contiguità con organizzazioni
malavitose e del condizionamento in atto
dell’attività di impresa, ma può essere
sorretta da elementi sintomatici ed
indiziari da cui emergano gli elementi di
pericolo di dette infiltrazioni mafiose.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha inteso
ribadire l’orientamento consolidato, secondo
cui, l’efficacia interdittiva proviene
direttamente dalla valutazione del Prefetto,
per cui alla stazione appaltante non sono
riconosciuti né il potere discrezionale né
l’onere di verificare la portata e i
presupposti dell’informativa, posto che i
citati provvedimenti derivano direttamente
dall’atto prefettizio e sono vincolati al
giudizio circa il pericolo di infiltrazione
maturato dal Prefetto (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 07.12.2011 n. 6427 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nelle gare di appalto, in tema di
avvalimento, l’impresa ausiliaria non è
semplicemente un soggetto terzo rispetto
alla gara, dovendosi essa impegnare non
soltanto verso l’impresa concorrente
ausiliata, ma anche verso la stazione
appaltante, a mettere a disposizione del
concorrente le risorse di cui questi sia
carente, sicché l’ausiliario è tenuto a
riprodurre il contenuto del contratto di
avvalimento in una dichiarazione resa nei
confronti della stazione appaltante.
In tali ipotesi, quindi, l’impresa
ausiliaria diventa titolare passivo di
un'obbligazione accessoria, dipendente
rispetto a quella principale del
concorrente, e tale obbligazione si
perfeziona con l'aggiudicazione a favore del
concorrente ausiliato, di cui segue le
sorti.
---------------
Nell'avvalimento anche l’impresa
ausiliaria deve rispettare i requisiti
antimafia.
Il comma 18 dell’art. 37 dlgs 163/2006, per
il caso in cui l’interdittiva, o gli altri
eventi ivi previsti, colpiscano il
mandatario, riconosce alla stazione
appaltante la facoltà di proseguire il
rapporto di appalto con altro operatore
economico che sia costituito mandatario nei
modi previsti dal codice, purché abbia i
requisiti di qualificazione adeguati ai
lavori ancora da eseguire. La disposizione
in questione risponde all’esigenza di
garantire gli operatori economici che
partecipano a gare pubbliche in formazione
soggettivamente complessa dagli eventi che
possono colpire gli altri componenti del
raggruppamento, minimizzando i rischi di
perdita della commessa pubblica aggiudicata.
In questa prospettiva la distinzione fra gli
eventi che colpiscono la mandataria (comma
18) e quelli che colpiscono la mandante
(comma 19) risiede nella circostanza che, in
caso di fallimento (o informativa antimafia
sfavorevole) della mandante, la mandataria
resta obbligata all’esecuzione della
prestazione; e per provvedere a tale impegno
può, secondo una disposizione chiaramente
eccezionale, sostituire il membro colpito
con un altro soggetto parimenti idoneo,
anche esterno alla originaria composizione
partecipante alla gara.
Il mantenimento della responsabilità della
buona esecuzione dell’appalto in capo alla
mandataria è bilanciato dalla possibilità di
sostituire la mandante divenuta incapace con
altro soggetto che ne possieda i requisiti
ovvero dalla stessa mandataria in proprio (o
dalle residue mandanti in proprio), laddove
posseggano i requisiti necessari per
l’esecuzione della prestazione aggiudicata.
Diversamente, in caso di fallimento (o altro
evento causativo di incapacità a contrarre)
della mandataria, il meccanismo sopra
descritto non può operare, poiché è venuto
meno proprio il soggetto che ha la
responsabilità generale e solidale della
buona esecuzione dell’appalto; per questa
ragione la norma, nel distinguere le due
ipotesi, prevede che solo se sussista la
condizione secondo cui la mandante (o le
mandanti) abbia di per sé tutti i requisiti
necessari è possibile la prosecuzione del
rapporto (l’uso del verbo “può” non va
inteso in accezione facultizzante per la
stazione appaltante, ma esprime solo una
eventualità –il possesso di tutti i
requisiti in capo alla mandante– che
potrebbe non verificarsi in concreto.
Nel presente giudizio si controverte in
ordine alla legittimità della determinazione
n. 710 del 04.08.2011 con cui il Comune di
Capua annullava il provvedimento di
aggiudicazione definitiva in favore della
ricorrente ... s.r.l. dell’appalto dei
lavori per il “Recupero urbano di zona
P.ta Napoli - Intervento n. 4 – Lavori di
messa in sicurezza, risanamento e recupero
capannone in via Mariano”.
...
Con un primo ordine di censure, la
società ricorrente contesta in radice
l’applicabilità della normativa in questione
nei confronti della impresa ausiliaria, dal
momento che l’avvalimento ha ad oggetto la
sola prestazione dei requisiti oggettivi
attinenti l’idoneità finanziaria,
organizzativa operativa, e l’applicazione
dell’istituto non comporta per
l’aggiudicataria alcun mutamento di rapporto
con l’amministrazione, né le fa perdere la
sua originaria natura monosoggettiva. Di qui
consegue, a parere della ricorrente, che
l’annullamento dell’aggiudicazione si
risolverebbe in un’illegittima ed
inammissibile estensione degli effetti del
provvedimento interdittivo nei confronti
della ricorrente, la cui compagine sociale è
del tutto estranea a quella della impresa
ausiliaria di cui ha dichiarato di
avvalersi.
Ritiene il Collegio che l’assunta e
discutibile posizione di terzietà
dell’impresa ausiliaria rispetto alla
stazione appaltante non può costituire in
nessun caso valido motivo a sostegno della
inapplicabilità, nei confronti della
medesima, della normativa di rango superiore
e di ordine pubblico, posta a presidio della
affidabilità morale e professionale degli
operatori economici operanti nell’ambito dei
rapporti di evidenza pubblica.
In senso contrario alla prospettazione di
parte ricorrente depone, innanzitutto, il
dato testuale normativo ricavabile
direttamente dalla disciplina dell’avvalimento,
contenuta nell’articolo 49 del codice dei
contratti di cui al d.lgs. n. 163/2006.
Ivi la norma è chiara nel richiedere
all’impresa ausiliaria di documentare, in
sede di gara, il possesso dei requisiti
generali di cui all’art. 38 d.lgs. n.
163/2006 attraverso la allegazione di una
dichiarazione sottoscritta da parte della
stessa impresa ausiliaria come indicato al
comma 1, lett c). E tra i requisiti generali
di cui all’art. 38 cit. ricorre, alla lett.
m), l’indicazione, quale causa di esclusione
e di divieto alla stipula del contratto, dei
soggetti “nei cui confronti è stata
applicata la sanzione interdittiva di cui
all'articolo 9, comma 2, lettera c), del
decreto legislativo dell'08.06.2001 n. 231 o
altra sanzione che comporta il divieto di
contrarre con la pubblica amministrazione
compresi i provvedimenti interdittivi di cui
all'articolo 36-bis, comma 1, del
decreto-legge 04.07.2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge
04.08.2006 n. 248”.
Ancora, l’articolo 49 del d.lgs. n. 163/2006
al comma 5 stabilisce espressamente che gli
obblighi previsti dalla normativa antimafia
a carico del concorrente si applicano anche
nei confronti del soggetto ausiliario, in
ragione dell’importo dell’appalto posto a
base di gara.
Tale essendo il chiaro dettato normativo,
non può sostenersi che la mancanza del
possesso di uno dei requisiti generali di
cui all’art. 38 da parte della impresa
ausiliaria non riverberi i suoi effetti
altresì nei confronti della impresa
aggiudicataria, dal momento che il comma 3
dell’art. 49 cit., nel sanzionare le
dichiarazioni rese dall’ausiliaria, sancisce
espressamente l’esclusione del “concorrente”
nel caso di dichiarazione mendaci.
A sua volta l’art. 10 del d.P.R. n. 252 -di
cui il provvedimento impugnato costituisce
applicazione– riferisce l’esito delle
verifiche prefettizie alle imprese c.d. “interessate”
così ampliando la platea dei possibili
destinatari delle informative antimafia
preclusive della stipula del contratto,
anche oltre l’ambito dei soggetti risultati
aggiudicatari.
Premesso che possono costituire oggetto di
avvalimento esclusivamente i requisiti
“oggettivi” di carattere economico,
finanziario, tecnico e organizzativo, ciò
non esime l’impresa avvalente dalla
dimostrazione del possesso, anche da parte
dell’impresa ausiliaria, dei requisiti
generali di cui all’art. 38 cit..
Ciò risponde, ad avviso del Collegio, ad un
principio di ordine generale rinvenibile
nella normativa sull’evidenza pubblica che,
pur nelle rilevanti trasformazioni
intervenute con riferimento all’ampliamento
della sfera soggettiva dei potenziali
concorrenti, è restata tuttavia connotata
dal rilievo dell’ “intuitus personae”
in quelle disposizioni che impongono di
garantire la serietà e l’affidabilità morale
dei soggetti che, a vario titolo, debbano
intrattenere rapporti economici con
l’amministrazione pubblica.
Tali disposizioni, ad avviso del Collegio,
devono essere rese coerenti e non possono
ritenersi derogate da quegli istituti di
recente introduzione che, al pari dell’avvalimento,
consentono ai soggetti interessati di
ricorrere a nuovi moduli organizzativi, con
l’utilizzo di nuove figure di
intermediazione collaborativa e strutturale.
Ove si tratti di assicurare e garantire la
serietà ed affidabilità morale
dell’operatore economico che sia coinvolto a
vario titolo in ambiti di evidenza pubblica,
i requisiti generali sono comunque richiesti
anche rispetto ai soggetti “indirettamente”
interessati dal contratto di evidenza
pubblica (come nell’avvalimento e nel
subappalto ) nonché nei casi in cui in via
eccezionale si ammetta una modifica
soggettiva del concorrente (cfr. art. 51 del
d.lgs. 163 cit. per il caso di vicende
soggettive del candidato offerente e
aggiudicatario, art. 37, comma 18, del
d.lgs. 163/2006 per le r.t.i) .
In tal senso depone peraltro il testo
dell’articolo 45 paragrafo 2 della Direttiva
2004/18/Ce che riferisce le cause di
esclusione dalla partecipazione all’appalto
ad “ogni operatore economico” che si
trovi in una delle situazioni annoverate
dalla lettera a) alla lettera g) del
paragrafo medesimo. L’uso della parola
operatore economico, anziché concorrente,
contribuisce a corroborare quanto innanzi
affermato, ossia che la norma debba
intendersi riferita anche all’impresa
ausiliaria, quale soggetto che partecipa,
seppure indirettamente, all’appalto.
La personalità degli elementi strettamente
correlati al soggetto, alla sua idoneità
morale, alla sua situazione personale, alla
sua legittimazione a porsi come contraente
della stazione appaltante, impone che essi
debbano essere posseduti non solo dal
concorrente,ma anche dall’ausiliaria proprio
in virtù del rapporto di collaborazione con
essa esistente.
Pertanto deve ritenersi imprescindibile il
possesso dei predetti requisiti di ordine
personale/soggettivo, ivi compreso quello
antimafia, in capo all’impresa ausiliaria,
in quanto essa, concorrendo alla
qualificazione del concorrente, assume,
comunque un ruolo decisivo per far
conseguire una posizione giuridicamente
rilevante e differenziata verso la stazione
appaltante, posizione dalla quale derivano
in caso di aggiudicazione anche diritti di
ordine economico e patrimoniale.
Di qui l‘irrilevanza, ai fini della
dimostrazione del possesso dei requisiti di
ordine generale, dell‘ipotizzata posizione
di terzietà della impresa ausiliaria in
quanto priva della qualifica di concorrente
alla gara ed estranea alla compagine sociale
della impresa aggiudicataria.
Posizione di terzietà che non può comunque
costituire un dato acquisito (cfr. contra
Tar Valle d’Aosta, sez. I, 14.07.2010 n. 52;
TAR Lazio, Roma, Sez. III, 08.11.2007, n.
10990) se sol si consideri il rilievo della
responsabilità solidale che grava ex lege,
a carico dell’impresa ausiliaria in solido
con il concorrente nei confronti della
stazione appaltante in relazione alle
prestazioni oggetto del contratto, ai sensi
del comma 4 dell’articolo 49 d.lgs. n. 163,
e quindi l’esistenza di una obbligazione
diretta della stessa ausiliaria nei
confronti della stazione appaltante.
Questo Tribunale ha in precedenza osservato
al riguardo che: “Nelle gare di appalto,
in tema di avvalimento, l’impresa ausiliaria
non è semplicemente un soggetto terzo
rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare
non soltanto verso l’impresa concorrente
ausiliata, ma anche verso la stazione
appaltante, a mettere a disposizione del
concorrente le risorse di cui questi sia
carente, sicché l’ausiliario è tenuto a
riprodurre il contenuto del contratto di
avvalimento in una dichiarazione resa nei
confronti della stazione appaltante. In tali
ipotesi, quindi, l’impresa ausiliaria
diventa titolare passivo di un'obbligazione
accessoria, dipendente rispetto a quella
principale del concorrente, e tale
obbligazione si perfeziona con
l'aggiudicazione a favore del concorrente
ausiliato, di cui segue le sorti” (Tar
Campania, sez. VIII, 16.12.2010 n. 27551 in
senso conforme a C.d.S. sez. VI, 13.05.2010
n. 2956).
---------------
Con un secondo ordine di censure la
società ricorrente lamenta l‘illegittimità
del provvedimento di annullamento impugnato
laddove il Comune, nel respingere la
richiesta di archiviazione del procedimento
di annullamento, negava altresì la
sussistenza dei presupposti per applicare
l’articolo 37, comma 19, del d.lgs. n.
163/2006 per consentire alla ricorrente di
sostituire l’impresa ausiliaria, la Prisma
Costruzioni s.r.l., con la quale nelle more,
e precisamente in data 17.06.2011, aveva
risolto il contratto di avvalimento,
impegnandosi altresì a stipulare, nel più
breve tempo possibile, un nuovo contratto di
avvalimento con una società dotata delle
stesse categorie possedute dalla Prisma
Costruzioni s.r.l..
Parte ricorrente, con la istanza inoltrata
in data 24.06.2011 in seguito alla
comunicazione di avvio del procedimento di
annullamento dell’aggiudicazione, ha
invocato sostanzialmente l’applicazione
estensiva -anche al caso di avvalimento-
della facoltà prevista in favore del
mandatario, anche per il caso di
interdittiva antimafia a carico della
mandante, nel caso di raggruppamenti
temporanei e consorzi ordinari di
concorrenti dall’articolo 37, comma 19, del
d.lgs. n. 163/2006, “di indicare altro
operatore economico subentrante in possesso
dei prescritti requisiti di idoneità”.
Il comma 19 cit., infatti, per il caso in
cui l’evento ivi previsto, inclusi i “casi
previsti dalla normativa antimafia” colpisca
il mandante, stabilisce che il mandatario,
ove non indichi altro operatore economico
subentrante in possesso dei prescritti
requisiti di idoneità, è tenuto alla
esecuzione direttamente o a mezzo degli
altri mandanti purché questi abbiano i
requisiti di qualificazione adeguati ai
lavori o servizi o forniture ancora da
eseguire”.
A sua volta il comma 18 dell’art. 37 cit.,
per il caso in cui l’interdittiva, o gli
altri eventi ivi previsti, colpiscano il
mandatario, riconosce alla stazione
appaltante la facoltà di proseguire il
rapporto di appalto con altro operatore
economico che sia costituito mandatario nei
modi previsti dal codice, purché abbia i
requisiti di qualificazione adeguati ai
lavori ancora da eseguire.
Circa la ratio delle predette
disposizioni si è chiarito nella pronuncia
Tar Campania Napoli sez. I n. 1177/2010
richiamata in atti, che la disposizione in
questione: “risponde all’esigenza di
garantire gli operatori economici che
partecipano a gare pubbliche in formazione
soggettivamente complessa dagli eventi che
possono colpire gli altri componenti del
raggruppamento, minimizzando i rischi di
perdita della commessa pubblica aggiudicata.
In questa prospettiva la distinzione fra gli
eventi che colpiscono la mandataria (comma
18) e quelli che colpiscono la mandante
(comma 19) risiede nella circostanza che, in
caso di fallimento (o informativa antimafia
sfavorevole) della mandante, la mandataria
resta obbligata all’esecuzione della
prestazione; e per provvedere a tale impegno
può, secondo una disposizione chiaramente
eccezionale, sostituire il membro colpito
con un altro soggetto parimenti idoneo,
anche esterno alla originaria composizione
partecipante alla gara.
Il mantenimento della responsabilità della
buona esecuzione dell’appalto in capo alla
mandataria è bilanciato dalla possibilità di
sostituire la mandante divenuta incapace con
altro soggetto che ne possieda i requisiti
ovvero dalla stessa mandataria in proprio (o
dalle residue mandanti in proprio), laddove
posseggano i requisiti necessari per
l’esecuzione della prestazione aggiudicata.
Diversamente, in caso di fallimento (o altro
evento causativo di incapacità a contrarre)
della mandataria, il meccanismo sopra
descritto non può operare, poiché è venuto
meno proprio il soggetto che ha la
responsabilità generale e solidale della
buona esecuzione dell’appalto; per questa
ragione la norma, nel distinguere le due
ipotesi, prevede che solo se sussista la
condizione secondo cui la mandante (o le
mandanti) abbia di per sé tutti i requisiti
necessari è possibile la prosecuzione del
rapporto (l’uso del verbo “può” non va
inteso in accezione facultizzante per la
stazione appaltante, ma esprime solo una
eventualità –il possesso di tutti i
requisiti in capo alla mandante– che
potrebbe non verificarsi in concreto“
(cfr. C.d.S., comm. sp., 22.01.2008 n.
4575).
Ciò premesso, l’amministrazione intimata ha
respinto la richiesta di sostituzione
dell’impresa ausiliaria ritenendo
inapplicabile la normativa invocata alla
fattispecie, dal momento che la norma si
riferisce al caso di raggruppamenti
temporanei e consorzi ordinari di
concorrenti e non ad una ipotesi di
avvalimento, ed ha altresì precisato che la
pronuncia di cui al Tar Campania sez. I n.
1177 del 26.02.2010 invocata a sostegno
della richiesta di sostituzione, riguardava
un’ipotesi di risoluzione contrattuale
mentre nella specie si verte nella “fase
precontrattuale”.
La motivazione addotta dalla amministrazione
a sostegno del diniego di sostituzione trova
condivisione da parte del Collegio.
Devesi innanzitutto convenire, conformemente
a quanto sostenuto dalla stazione
appaltante, circa la natura senza dubbio
eccezionale e derogatoria dell’articolo 37,
commi 18 e 19 in esame, che non ne consente
alcuna applicazione al di fuori dei casi e
dei limiti ivi consentiti, in conformità al
dettato di cui all’art. 14 disp. prel. c.c.
a tenore del quale le norme “che fanno
eccezione a regole generali o ad altre leggi
non si applicano oltre i casi e i tempi in
esse considerati”.
Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con
riferimento alla natura eccezionale e
derogatoria dell’art. 12 del regolamento di
cui al d.p.r. n. 252/1998, anch’esso
richiamato in ricorso, che, per il caso di
associazioni o raggruppamenti temporanei di
impresa e per i consorzi non obbligatori,
stabilisce, al comma 1, che se una delle
situazioni di infiltrazione mafiosa di cui
all’articolo 10, comma 7, "interessa
un’impresa diversa da quella mandataria che
partecipa ad un’associazione o
raggruppamento temporaneo di imprese, le
cause di divieto o di sospensione di cui
all’art. 10 della legge 31.05.1965, n. 575,
e quelle di divieto di cui all’art. 4, comma
6, del decreto legislativo n. 490 del 1994,
non operano nei confronti delle altre
imprese partecipanti quando la predetta
impresa sia estromessa o sostituita
anteriormente alla stipulazione del
contratto o alla concessione dei lavori”. La
stessa norma stabilisce ancora che “la
sostituzione può essere effettuata entro
trenta giorni dalla comunicazione delle
informazioni del prefetto qualora esse
pervengano successivamente alla stipulazione
del contratto o alla concessione dei lavori”.
La predetta disciplina è applicabile,
quindi, sia anteriormente che
successivamente alla stipulazione del
contratto ed il suo ambito di operatività è
stato definito dalla giurisprudenza, come
per l’articolo 37, comma 19, d.lgs. 163
cit., con riferimento ai casi in cui, come
nella specie, l’informativa sia intervenuta
dopo l’aggiudicazione (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 20.06.2011 n. 3697).
Tuttavia, la possibilità di estromissione o
di sostituzione, disciplinata dall’art. 12
d.p.r. n. 252 cit. per la fase che precede
la stipula del contratto, ha un più
ristretto ambito di applicazione rispetto a
quella prevista dall’art. 37 sopra citato,
in quanto:
a) presuppone espressamente che la
sostituzione avvenga nei confronti di un
soggetto che “partecipi ad
un’associazione o raggruppamento temporaneo
di imprese” (cfr., in tal senso,
Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.10.2010 n.
7345);
b) consente il subentro nella posizione
delle sole imprese mandanti.
Nel caso in esame avente ad oggetto la
diversa fattispecie dell’avvalimento, non
ricorrono le condizioni legittimanti
l’applicazione del beneficio in parola
atteso che la sostituzione riguarda
un’impresa ausiliaria, che non è legata alla
impresa aggiudicataria da un vincolo di
mandato come nel rapporto di cui al
precedente punto a).
Né vi è spazio per un’interpretazione
analogica dell’art. 12 del d.P.R. n. 252
cit., perché, come più volte ribadito,
quest’ultimo reca una norma di carattere
speciale e derogatorio del principio di
immodificabilità soggettiva del partecipante
alle gare ad evidenza pubblica.
Come noto, nella materia in esame, il
principio di immodificabilità dell’offerta
vige ed è cogente, sia con riferimento alla
figura soggettiva dei partecipanti alla gara
sia con riguardo agli elementi oggettivi
essenziali dell’offerta presentata.
L’offerta, anche in osservanza al principio
della par condicio dei concorrenti, è e deve
restare cristallizzata con riferimento a
quanto documentato all’atto della sua
presentazione, dal momento che oltre quel
limite e fino alla stipula del contratto
opera il principio della invariabilità . Ove
si riconoscesse alla società ricorrente,
nella fase che precede la stipula del
contratto, la facoltà di sostituzione della
impresa ausiliaria, le si consentirebbe di
introdurre nell’offerta un elemento
modificativo di discontinuità rispetto
all’assetto cristallizzato in fase di gara,
al di fuori dei casi in cui ciò è
espressamente consentito dalla legge.
L’inserimento di un nuovo contratto di
avvalimento stipulato, a gara già espletata,
con un’impresa terza che non ha partecipato
alla procedura violerebbe il principio della
par condicio dei concorrenti (cfr. C.d.S.
sez. IV 20.11.2008 n. 5742; C.d.S. sez. VI
04.05.2009 n. 2785; C.d.S. sez. V 19.09.2011
n. 5279; C.d.S. sez. VI ord. n. 351/2011).
L’operazione ermeneutica richiesta non può
trovare una logica giustificazione nemmeno
prospettando, come richiesto, un’intepretazione
“estensiva” pure ammissibile in linea
generale per le norme di natura eccezionale
attraverso: “un’operazione logica diretta
ad individuare il reale significato e la
portata effettiva della norma, che permette
di determinare il suo esatto ambito di
operatività, anche oltre il limite
apparentemente segnato dalla sua
formulazione testuale, e di identificare
l’effettivo valore semantico della
disposizione, tenendo conto dell’intenzione
del legislatore, e quindi estendere la
regula iuris ai casi non espressamente
previsti dalla norma, ma dalla stessa
implicitamente considerati” (cfr. Cass.
civ. sez. I, 26.08.2005 n. 17396).
Ed infatti, posto che la ratio legis
della disposizione eccezionale in parola
risiede nella tutela della libertà di
iniziativa economica delle imprese in forma
associata (C.d.S. sez. V n. 7345/2010),
estendendone la portata ad un’ ipotesi
diversa da quella espressamente tipizzata
dal legislatore, non sarebbe comprensibile
la ragione per cui, nel bilanciamento tra i
contrapposti interessi in gioco, debba
attribuirsi prevalenza alla tutela della
libertà di impresa rispetto al principio,
senza dubbio di rango prioritario nella
materia de qua, della par condicio dei
concorrenti (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 07.12.2011 n. 5712 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Deve
essere escluso dalla gara il partecipante la
cui busta contenente l’offerta non è
controfirmata sui lembi di chiusura dal
legale rappresentante della ditta offerente
o dal suo procuratore, atteso che, nelle
avvertenze della lettera invito, si legge:
“si farà luogo all’esclusione dalla gara nel
caso … non venga osservata qualunque altra
prescrizione o formalità …”.
La previsione della lex specialis di cui
trattasi mira a garantire in astratto ogni
rischio di compromissione dei plichi
contenenti le offerte; essa stabilisce
modalità di chiusura delle buste facilmente
rispettabili procedendo con attenzione;
dette modalità sono, al contempo,
l’apposizione della ceralacca e della firma;
risulta quindi del tutto irrilevante ogni
indagine sull'effettiva integrità e
segretezza dell'offerta presentata.
La firma, in aggiunta alla ceralacca,
costituisce una maggiore garanzia nei
confronti di eventuali frodi od indebite
violazioni del segreto a tutela
dell'interesse della p.a. e dei partecipanti
affinché le buste non possano essere in
astratto manomesse.
Invero, il plico contenente l’offerta
avrebbe dovuto essere chiuso con ceralacca e
controfirmato sui lembi di chiusura dal
legale rappresentante della ditta offerente
o dal suo procuratore.
Detta prescrizione doveva essere osservata a
pena di esclusione atteso che, nelle
avvertenze della lettera invito, si legge: “si
farà luogo all’esclusione dalla gara nel
caso … non venga osservata qualunque altra
prescrizione o formalità …”.
Nel caso di specie risulta dalla
documentazione in atti, ed è peraltro
incontestato tra le parti, che i lembi di
chiusura del plico presentato dalla
ricorrente principale non sono stati
controfirmati dal legale rappresentante
dell’offerente.
Segue da ciò che la stazione appaltante
avrebbe dovuto comminare la sanzione
dell’esclusione dalla gara di cui trattasi.
D’altra parte, irrilevante appare
l’osservazione della difesa della ricorrente
principale secondo cui in sede di gara non
risulta essere stata sollevata alcuna
eccezione sull’integrità del plico,
garantita dalla presenza della ceralacca.
Invero, la previsione della lex specialis
di cui trattasi mira a garantire in astratto
ogni rischio di compromissione dei plichi
contenenti le offerte; essa stabilisce
modalità di chiusura delle buste facilmente
rispettabili procedendo con attenzione;
dette modalità sono, al contempo,
l’apposizione della ceralacca e della firma;
risulta quindi del tutto irrilevante ogni
indagine sull'effettiva integrità e
segretezza dell'offerta presentata (v. Cons.
Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7219).
Il Collegio ritiene altresì che la firma, in
aggiunta alla ceralacca, costituisca una
maggiore garanzia nei confronti di eventuali
frodi od indebite violazioni del segreto a
tutela dell'interesse della p.a. e dei
partecipanti a che le buste non possano
essere in astratto manomesse
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 07.12.2011 n. 2304 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli
appalti pubblici dall'01.01.2012 (ANCE
Bergamo,
circolare 07.12.2011 n. 272). |
APPALTI: Se
è vero che la mancata allegazione della
copia del documento di identità del
sottoscrittore dell'atto non è in grado di
spiegare gli effetti certificativi previsti
dalla corrispondente fattispecie normativa,
rendendo del tutto inutile la produzione
della documentazione per la partecipazione
alla gara, è anche vero che l'articolo 46,
comma 1-bis, del Codice dei contratti
pubblici prevede: “La stazione appaltante
esclude i candidati o i concorrenti in caso
di mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente codice e dal
regolamento e da altre disposizioni di legge
vigenti, nonché nei casi di incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza
dell’offerta, per difetto di sottoscrizione
o di altri elementi essenziali ovvero in
caso di non integrità del plico contenente
l'offerta o la domanda di partecipazione o
altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte; i
bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di
esclusione. Dette prescrizioni sono comunque
nulle”.
La mancata allegazione della fotocopia di un
valido documento di identità riguardante le
generalità del sottoscrittore concreta
proprio la fattispecie prevista dalla
novella normativa qui invocata: "incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza
dell’offerta, per difetto di sottoscrizione
o di altri elementi essenziali”.
Se è vero che, come indicato nella pronuncia
del Consiglio di Stato, Sezione IV, n.
4967/2011, la mancata allegazione della
copia del documento di identità del
sottoscrittore dell'atto non è in grado di
spiegare gli effetti certificativi previsti
dalla corrispondente fattispecie normativa,
rendendo del tutto inutile la produzione
della documentazione per la partecipazione
alla gara, è anche vero che l'articolo 46,
comma 1-bis, del Codice dei contratti
pubblici, aggiunto dall’art. 4, comma 2,
lettera d), del decreto-legge 13.05.2011, n.
70, convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge
12.07.2011, n. 106, prevede: “La stazione
appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente
codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Questa censura va respinta perché la mancata
allegazione della fotocopia di un valido
documento di identità riguardante le
generalità del sottoscrittore concreta
proprio la fattispecie prevista dalla
novella normativa qui invocata: "incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza
dell’offerta, per difetto di sottoscrizione
o di altri elementi essenziali”
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 06.12.2011 n. 9597 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
mancata dichiarazione delle sentenze penali
di condanna riportate costituisce una causa
autonoma di esclusione dalla gara, a
prescindere dal tipo di prescrizioni
contenute nel bando di gara. Ciò in quanto
anche le sentenze di condanna definitiva,
non indicate nei certificati del Casellario
giudiziale richiesti dai privati, sono
riportate nei certificati integrali del
Casellario giudiziale ex art. 21 DPR n.
313/2002, rilasciati su richiesta della
stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 38,
comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n.
163/2006, e tali sentenze di condanna
definitiva possono riferirsi ad un reato
grave in danno dello Stato o della Comunità
che incide sulla moralità professionale e
perciò possono costituire un ostacolo
all’ammissione in un procedimento di
evidenza pubblica.
Ne consegue che il comma 2 dell’art. 38
D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel
senso che i concorrenti ad una gara di
pubblico appalto di servizi devono attestare
con apposita autodichiarazione, oltre alla
mancanza delle sentenze di condanna
definitiva che vengono indicate nel
certificato del Casellario giudiziale a
richiesta dei privati (cioè di una
dichiarazione sostitutiva del certificato
del Casellario giudiziale), anche l’assenza
di tutti gli altri provvedimenti
giurisdizionali, per i quali non è stata
ottenuta la riabilitazione ex art. 178 C.P.
o l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P.,
tenuto pure conto della circostanza che lo
stesso art. 38, commi 1, lett. c), e 2,
D.Lg.vo n. 163/2006 fa espresso riferimento
alle sentenze patteggiate ex art. 444
C.P.P., ai decreti penali di condanna
(divenuti irrevocabili) ed alle sentenze di
condanna con il beneficio della non
menzione, cioè a provvedimenti
giurisdizionali non indicati nel certificato
del Casellario giudiziale richiesto dai
privati.
La non rilevanza dei reati sulla moralità
professionale non può essere rimessa
all’apprezzamento soggettivo dei
concorrenti, per cui l’art. 38, comma 1,
lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 va
interpretato nel senso che impone alle
imprese, partecipanti ad un procedimento di
evidenza pubblica, l’obbligo di
autodichiarare l’esistenza di tutte le
sentenze di condanna riportate dai loro
direttori tecnici ed amministratori con
potere di rappresentanza, al fine di
consentire poi all’Amministrazione
appaltante di effettuare tutte le
valutazioni intorno all’effettiva incidenza
di tali condanne sulla moralità
professionale delle stesse imprese
concorrenti.
La stazione appaltante, oltre ad avere
l’obbligo, prescritto dall’art. 38, comma 3,
ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, di
verificare il possesso del requisito di
ammissione di ordine generale ex art. 38,
comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006
mediante l’acquisizione dei certificati del
Casellario Giudiziale, dopo aver accertato
che uno dei soggetti indicati dal predetto
art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n.
163/2006 ha riportato una condanna penale
definitiva, deve valutare caso per caso,
dandone conto con idonea motivazione, la
gravità del reato e la verifica
dell’incidenza del reato commesso sulla
moralità professionale, attraverso la
disamina in concreto e non secondo criteri
astratti e/o automatici delle peculiarità
del caso concreto, riferite tanto alle
caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo
di condanna ed alle concrete modalità di
commissione del reato.
---------------
Dal tenore letterale degli artt. 37, comma
13, D.Lg.vo n. 2006 e 93, comma 4, DPR n.
554/1999 (per la precisione quest’ultima
norma, di contenuto analogo all’art. 37,
comma 13, D.Lg.vo n. 2006, è stata abrogata
dall’art. 256, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006)
si evince la necessarietà (e perciò anche a
prescindere da una specifica e/o espressa
indicazione della lex specialis di gara) che
le quote di partecipazione ad un’ATI siano
previamente indicate in sede di offerta, non
essendo sufficiente che vengano evidenziate
soltanto nella fase esecutiva dell’appalto,
poiché la ratio di tali norme è quella di
permettere alla stazione appaltante di
verificare il possesso da parte di tutte le
imprese facenti parte di un’ATI dei
requisiti di ammissione alla gara in
relazione alle singole quote di
partecipazione all’ATI e di assicurare
l’effettiva corrispondenza sostanziale tra
quota di qualificazione, tra quota di
partecipazione all’ATI e quota di esecuzione
dell’appalto, e perciò tali norme rispondono
ad un interesse di natura sostanziale e di
carattere essenziale della Pubblica
Amministrazione, per cui, poiché esprimono
un principio fondamentale nella materia dei
procedimenti di affidamento degli appalti
pubblici, deve ritenersi che, anche in
assenza di una puntuale previsione del bando
e della lettera invito la mancata
specificazione delle parti dell’appalto va
sanzionata con l’esclusione dalla gara.
Tale orientamento giurisprudenziale trova
applicazione anche nel caso in cui non vi
sia corrispondenza tra le quote di
partecipazione all’ATI ed i requisiti di
ammissione corrispondenti all’indicata quota
di partecipazione all’ATI, in quanto
costituisce principio fondamentale dei
procedimenti di evidenza pubblica quello
statuito dall’art. 40, comma 1, D.Lg.vo n.
163/2006, secondo cui “i soggetti esecutori
a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono
essere qualificati”, cioè devono possedere i
requisiti di ammissione, stabiliti dalla lex
specialis di gara, per poter concorrere
all’aggiudicazione dell’appalto pubblico ed
alla sua esecuzione, oppure, nel caso di
ATI, devono possedere i requisiti di
ammissione, stabiliti dalla lex specialis di
gara, corrispondenti alla quota di
partecipazione all’ATI, al fine di garantire
la stazione appaltante in ordine alla
effettiva capacità tecnico economica delle
imprese aggiudicatarie di appalti pubblici
di lavori, servizi e forniture, le quali
debbono essere in grado di far fronte alle
obbligazioni contrattuali, discendendone che
solo ove la singola impresa costituente il
raggruppamento sia dotata della capacità
economica adeguata alla sua percentuale di
partecipazione al raggruppamento, la
medesima può adeguatamente adempiere alle
prestazioni scaturenti dall’aggiudicazione
del contratto di appalto.
Diversamente l’istituto dell’Associazione
Temporanea di Imprese, creato con la chiara
finalità di attuare in modo più efficace il
principio della libera concorrenza e di
apertura al mercato del settore degli
appalti pubblici (il quale può trovare
concreta applicazione soltanto se le
imprese, che non hanno i requisiti di
carattere economico e tecnico per
partecipare singolarmente alla gara, possono
associarsi; conseguentemente, la possibilità
di partecipare in ATI risponde al principio
generale di garantire la più ampia
partecipazione nei procedimenti di evidenza
pubblica, al fine di garantire la selezione
della migliore offerta presente sul mercato)
si presterebbe ad essere utilizzato
strumentalmente, per consentire alle
imprese, non in possesso dei requisiti di
ammissione alla gara, di eseguire lo stesso
gli appalti pubblici.
Pertanto, dall’art. 37, comma 4, D.Lg.vo n.
163/2006, che ha espressamente sancito anche
per gli appalti pubblici di forniture e
servizi l’obbligo di specificare in sede di
offerta “le parti del servizio o della
fornitura, che saranno eseguite dai singoli
operatori economici riuniti”, discende che i
suddetti principi trovano automatica
applicazione anche nei procedimenti di gara
per l’affidamento di appalti pubblici di
forniture e servizi (per inciso va, però,
precisato che tali principi risultano
espressamente richiamati dal combinato
disposto di cui agli artt. 37, comma 6, e 40
D.Lg.vo n. 163/2006 soltanto con riferimento
agli appalti pubblici di lavori), tenuto
conto anche della circostanza che il
predetto art. 40, comma 1, D.Lg.vo n.
163/2006, sebbene espressamente riferito
soltanto agli appalti pubblici di lavori,
costituisce un principio fondamentale in
materia di procedimenti di evidenza
pubblica, senz’altro valevole anche con
riferimento agli appalti pubblici di
forniture e servizi, dal momento che
l’opposta interpretazione, sostenuta dai
ricorrenti, sancirebbe l’incomprensibile ed
illogico principio, secondo cui,
diversamente dagli appalti pubblici di
lavori, gli appalti pubblici di servizi e
forniture potrebbero essere eseguiti anche
da imprese e/o ditte, partecipanti ad
un’ATI, non in possesso pro quota dei
requisiti di ammissione alla gara.
Questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata n. 472
del 15.09.2011; n. 106 dell’01.03.2011, n.
387 del 20.06.2009 e n. 652 del 14.11.2007)
non condivide l’orientamento
giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. V Sent.
n. 4905 del 04.08.2009; n. 4906 del
04.08.2009; n. 4897 del 07.10.2008; n. 4244
dell’08.09.2008 e n. 945 del 22.02.2007),
secondo cui il concorrente, che ha omesso di
dichiarare di aver riportato una sentenza
penale di condanna, divenuta irrevocabile,
non può essere escluso dalla gara, quando il
bando di gara richiede genericamente
soltanto la dichiarazione sostitutiva ex DPR
n. 445/2000 di insussistenza delle cause di
esclusione, previste dall’art. 38, comma 1,
D.Lg.vo n. 163/2006 (in quanto in tal caso
il bando di gara “demanda di fatto al
singolo concorrente il giudizio circa
l’incidenza sull’affidabilità morale e
professionale di eventuali reati dal
medesimo concorrente commessi, sicché è da
escludere che possa qualificarsi come falsa
dichiarazione una valutazione soggettiva del
concorrente stesso”).
Sempre secondo il riferito orientamento
giurisprudenziale il provvedimento di
esclusione risulta legittimo soltanto nel
caso in cui il bando di gara impone ai
concorrenti di dichiarare tutti i reati, per
i quali fossero intervenute sentenze di
condanna (passate in giudicato o emanate ai
sensi dell’art. 444 C.P.P. o decreti penali
di condanna, divenuti irrevocabili).
Questo Tribunale invero, aderisce all’altro
orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S.,
VI, n. 782 del 03.02.2011; V n. 428 del
02.02.2010; V, n. 6221 del 06.12.2007 e V,
n. 352 del 25.01.2003), secondo cui la
mancata dichiarazione delle sentenze penali
di condanna riportate costituisce una causa
autonoma di esclusione dalla gara, a
prescindere dal tipo di prescrizioni
contenute nel bando di gara. Ciò in quanto
anche le sentenze di condanna definitiva,
non indicate nei certificati del Casellario
giudiziale richiesti dai privati, sono
riportate nei certificati integrali del
Casellario giudiziale ex art. 21 DPR n.
313/2002, rilasciati su richiesta della
stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 38,
comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n.
163/2006, e tali sentenze di condanna
definitiva possono riferirsi ad un reato
grave in danno dello Stato o della Comunità
che incide sulla moralità professionale e
perciò possono costituire un ostacolo
all’ammissione in un procedimento di
evidenza pubblica.
Ne consegue che il comma 2 dell’art. 38
D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel
senso che i concorrenti ad una gara di
pubblico appalto di servizi devono attestare
con apposita autodichiarazione, oltre alla
mancanza delle sentenze di condanna
definitiva che vengono indicate nel
certificato del Casellario giudiziale a
richiesta dei privati (cioè di una
dichiarazione sostitutiva del certificato
del Casellario giudiziale), anche l’assenza
di tutti gli altri provvedimenti
giurisdizionali, per i quali non è stata
ottenuta la riabilitazione ex art. 178 C.P.
o l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P.,
tenuto pure conto della circostanza che lo
stesso art. 38, commi 1, lett. c), e 2,
D.Lg.vo n. 163/2006 fa espresso riferimento
alle sentenze patteggiate ex art. 444
C.P.P., ai decreti penali di condanna
(divenuti irrevocabili) ed alle sentenze di
condanna con il beneficio della non
menzione, cioè a provvedimenti
giurisdizionali non indicati nel certificato
del Casellario giudiziale richiesto dai
privati.
Per altro verso, il Tribunale ritiene che la
non rilevanza dei reati sulla moralità
professionale non può essere rimessa
all’apprezzamento soggettivo dei
concorrenti, per cui l’art. 38, comma 1,
lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 va
interpretato nel senso che impone alle
imprese, partecipanti ad un procedimento di
evidenza pubblica, l’obbligo di
autodichiarare l’esistenza di tutte le
sentenze di condanna riportate dai loro
direttori tecnici ed amministratori con
potere di rappresentanza, al fine di
consentire poi all’Amministrazione
appaltante di effettuare tutte le
valutazioni intorno all’effettiva incidenza
di tali condanne sulla moralità
professionale delle stesse imprese
concorrenti.
Pertanto, l’ATP controinteressata doveva
essere esclusa dalla gara, atteso che il
professionista mandatario designato Arch.
..., non aveva dichiarato, ai sensi
dell’art. 46 DPR n. 445/2000, in sede di
gara di aver riportato la seguente condanna
penale: Sentenza ex art. 444 C.P.P.,
emessa dal Tribunale di Potenza il
18.9.1999, di condanna al pagamento della
multa di £. 600.000 pari a 309,87 €, per
aver commesso il 12.02.1994 il delitto ex
art. 4 L. n. 516/1982 di evasione in materia
di imposte sui redditi e sull’IVA (al
riguardo, va precisato che, trattandosi di
un delitto e non di una contravvenzione, per
tale condanna non può trovare applicazione
la speciale ed eccezionale norma estintiva,
desumibile dal combinato disposto di cui
agli artt. 38, comma 3, ultimo periodo,
D.Lg.vo n. 163/2006 e 5, comma 1, lett. d),
DPR n. 313/2002).
Inoltre, anche il professionista mandante,
Arch. ..., non aveva dichiarato, ai sensi
dell’art. 46 DPR n. 445/2000, in sede di
gara di aver riportato la condanna penale
emessa dalla Corte di Appello di Firenze con
sentenza del 22.04.1975, confermata dalla
Corte di Cassazione con la sentenza del
18.11.1975, di condanna alla reclusione di 9
mesi ed all’arresto di 2 mesi con il
beneficio della sospensione condizionale
della pena, per aver commesso in concorso
con altre persone il delitto ex art. 1,
comma 3, D.Lg.vo n. 66/1948 di blocco
stradale e la contravvenzione ex art. 655
C.P. di radunata sediziosa.
Mentre il predetto professionista mandatario
designato dell’ATP controinteressata, Arch.
..., ha legittimamente omesso di dichiarare
di aver riportato le condanne penali, emesse
con la Sentenza Corte di Appello di Potenza
del 03.02.2000, divenuta irrevocabile il
21.03.2000, di condanna sia alla reclusione
di 15 giorni sia alla multa di £. 1.125.000
pari a 581,01 € con il beneficio della non
menzione della condanna nel certificato del
Casellario Giudiziale (per aver commesso nel
periodo dall’agosto 1993 al marzo 1994 il
delitto ex art. 1 L. n. 389/1989 di evasione
dei contributi previdenziali ed
assistenziali) e con la Sentenza Corte di
Appello di Potenza del 13.07.2000, divenuta
irrevocabile il 30.12.2000, di condanna sia
alla reclusione di 5 giorni sia alla multa
di £. 375.000 pari a 193,67 € con il
beneficio della non menzione della condanna
nel certificato del Casellario Giudiziale
(per aver commesso nel periodo
01.05.1994-31.05.1994 il delitto ex art. 2
L. n. 638/1983 di omesso versamento delle
ritenute previdenziali ed assistenziali),
atteso che con Ordinanza n. 79 del
20.03.2008 (divenuta irrevocabile il
22.04.2008) il Tribunale di Sorveglianza
presso la Corte di Appello di Potenza, ai
sensi degli artt. 178 C.P. e 683 C.P.P., ha
disposto la riabilitazione dell’Arch. ...,
con riferimento alle predette due Sentenze,
emesse dalla Corte di Appello di Potenza il
03.02.2000 ed il 13.07.2000. Anche se i
suddetti due delitti, costituendo casi di
violazione alla normativa in materia di
contributi previdenziali ed assistenziali,
potrebbero integrare l’ulteriore ed autonomo
caso di esclusione ex art. 38, coma 1, lett.
i), D.Lg.vo n. 163/2006, se poi il reo non
ha più pagato i contributi.
Comunque, anche con riferimento alla
Sentenza n. 805 del 16.12.2010, dichiarata
in sede di gara dal professionista,
designato come soggetto mandatario, Arch.
..., di condanna alla pena detentiva
convertita nella pena pecuniaria di 1.188,00
€, per il delitto ex artt. 81 C.P. e 1,
comma 3, L. n. 389/1989 (per aver omesso,
nella qualità di titolare della ditta “officina
Maroscia”, di versare all’INPS le
trattenute previdenziali ed assistenziali
dei propri operai), risulta pure fondata la
censura, dedotta dall’ATP ricorrente,
dell’eccesso di potere per omesso esame e/o
valutazione del reato dichiarato dal
mandatario designato dell’ATP
controinteressata, omessa istruttoria e
carenza di motivazione.
Infatti, secondo un univoco orientamento
giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. V Sent.
n. 1736 del 23.03.2009; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 1723 del 12.04.2007; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 5321 del 18.09.2003; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 2129 del 28.04.2003; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 1145 dell’01.03.2003; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 6482 del 25.11.2002; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 5517 del 18.10.2001; TAR Veneto Sez. I
Sent. n. 458 del 21.03.2011; TAR Milano Sez.
III Sent. n. 599 dell’01.03.2011; TAR Trento
Sent. n. 309 del 02.12.2008; TAR Milano Sez.
III Sent. n. 3684 del 21.09.2005; TAR
Palermo Sez. II Sent. n. 606 del 29.03.2004)
la stazione appaltante, oltre ad avere
l’obbligo, prescritto dall’art. 38, comma 3,
ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, di
verificare il possesso del requisito di
ammissione di ordine generale ex art. 38,
comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006
mediante l’acquisizione dei certificati del
Casellario Giudiziale, dopo aver accertato
che uno dei soggetti indicati dal predetto
art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n.
163/2006 ha riportato una condanna penale
definitiva, deve valutare caso per caso,
dandone conto con idonea motivazione, la
gravità del reato e la verifica
dell’incidenza del reato commesso sulla
moralità professionale, attraverso la
disamina in concreto e non secondo criteri
astratti e/o automatici delle peculiarità
del caso concreto, riferite tanto alle
caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo
di condanna ed alle concrete modalità di
commissione del reato.
---------------
Risulta pure fondata la censura, con la
quale è stata dedotta la violazione degli
artt. 37, comma 4, e 90, comma 1, lett. g),
D.Lg.vo n. 163/2006.
Infatti, secondo un pacifico orientamento
giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. VI Sent.
n. 416 dell’08.02.2008; C.d.S. Sez. V Sent.
n. 5260 del 09.10.2007; C.d.S. Sez. VI Sent.
n. 2310 dell’11.05.2007; C.d.S. Sez. VI
Sent. n. 1001 dell’01.03.2007; Cons. Giust.
Amm. Regione Sicilia Sent. n. 116 del
31.03.2006; Cons. Giust. Amm. Regione
Sicilia Sent. n. 358 del 13.06.2005; Cons.
Giust. Amm. Regione Sicilia Sent. n. 97
dell’08.03.2005; C.d.S. Sez. V Sent. n. 6586
del 12.10.2004), condiviso anche da questo
Tribunale (cfr. TAR Basilicata Sentenze n.
577 del 26.10.2009 e n. 408 del 05.08.2008),
dal tenore letterale degli artt. 37, comma
13, D.Lg.vo n. 2006 e 93, comma 4, DPR n.
554/1999 (per la precisione quest’ultima
norma, di contenuto analogo all’art. 37,
comma 13, D.Lg.vo n. 2006, è stata abrogata
dall’art. 256, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006)
si evince la necessarietà (e perciò anche a
prescindere da una specifica e/o espressa
indicazione della lex specialis di
gara) che le quote di partecipazione ad
un’ATI siano previamente indicate in sede di
offerta, non essendo sufficiente che vengano
evidenziate soltanto nella fase esecutiva
dell’appalto, poiché la ratio di tali
norme è quella di permettere alla stazione
appaltante di verificare il possesso da
parte di tutte le imprese facenti parte di
un’ATI dei requisiti di ammissione alla gara
in relazione alle singole quote di
partecipazione all’ATI e di assicurare
l’effettiva corrispondenza sostanziale tra
quota di qualificazione, tra quota di
partecipazione all’ATI e quota di esecuzione
dell’appalto, e perciò tali norme rispondono
ad un interesse di natura sostanziale e di
carattere essenziale della Pubblica
Amministrazione, per cui, poiché esprimono
un principio fondamentale nella materia dei
procedimenti di affidamento degli appalti
pubblici, deve ritenersi che, anche in
assenza di una puntuale previsione del bando
e della lettera invito la mancata
specificazione delle parti dell’appalto va
sanzionata con l’esclusione dalla gara.
Secondo questo Tribunale (cfr. da ultimo TAR
Basilicata Sentenze nn. 130, 131, 132 e 133
dell’11.03.2011) tale orientamento
giurisprudenziale trova applicazione anche
nel caso in cui non vi sia corrispondenza
tra le quote di partecipazione all’ATI ed i
requisiti di ammissione corrispondenti
all’indicata quota di partecipazione
all’ATI, in quanto costituisce principio
fondamentale dei procedimenti di evidenza
pubblica quello statuito dall’art. 40, comma
1, D.Lg.vo n. 163/2006, secondo cui “i
soggetti esecutori a qualsiasi titolo di
lavori pubblici devono essere qualificati”,
cioè devono possedere i requisiti di
ammissione, stabiliti dalla lex specialis
di gara, per poter concorrere
all’aggiudicazione dell’appalto pubblico ed
alla sua esecuzione, oppure, nel caso di
ATI, devono possedere i requisiti di
ammissione, stabiliti dalla lex specialis
di gara, corrispondenti alla quota di
partecipazione all’ATI, al fine di garantire
la stazione appaltante in ordine alla
effettiva capacità tecnico economica delle
imprese aggiudicatarie di appalti pubblici
di lavori, servizi e forniture, le quali
debbono essere in grado di far fronte alle
obbligazioni contrattuali, discendendone che
solo ove la singola impresa costituente il
raggruppamento sia dotata della capacità
economica adeguata alla sua percentuale di
partecipazione al raggruppamento, la
medesima può adeguatamente adempiere alle
prestazioni scaturenti dall’aggiudicazione
del contratto di appalto.
Diversamente l’istituto dell’Associazione
Temporanea di Imprese, creato con la chiara
finalità di attuare in modo più efficace il
principio della libera concorrenza e di
apertura al mercato del settore degli
appalti pubblici (il quale può trovare
concreta applicazione soltanto se le
imprese, che non hanno i requisiti di
carattere economico e tecnico per
partecipare singolarmente alla gara, possono
associarsi; conseguentemente, la possibilità
di partecipare in ATI risponde al principio
generale di garantire la più ampia
partecipazione nei procedimenti di evidenza
pubblica, al fine di garantire la selezione
della migliore offerta presente sul mercato)
si presterebbe ad essere utilizzato
strumentalmente, per consentire alle
imprese, non in possesso dei requisiti di
ammissione alla gara, di eseguire lo stesso
gli appalti pubblici.
Pertanto, dall’art. 37, comma 4, D.Lg.vo n.
163/2006, che ha espressamente sancito anche
per gli appalti pubblici di forniture e
servizi l’obbligo di specificare in sede di
offerta “le parti del servizio o della
fornitura, che saranno eseguite dai singoli
operatori economici riuniti”, discende
che i suddetti principi trovano automatica
applicazione anche nei procedimenti di gara
per l’affidamento di appalti pubblici di
forniture e servizi (per inciso va, però,
precisato che tali principi risultano
espressamente richiamati dal combinato
disposto di cui agli artt. 37, comma 6, e 40
D.Lg.vo n. 163/2006 soltanto con riferimento
agli appalti pubblici di lavori), tenuto
conto anche della circostanza che il
predetto art. 40, comma 1, D.Lg.vo n.
163/2006, sebbene espressamente riferito
soltanto agli appalti pubblici di lavori,
costituisce un principio fondamentale in
materia di procedimenti di evidenza
pubblica, senz’altro valevole anche con
riferimento agli appalti pubblici di
forniture e servizi, dal momento che
l’opposta interpretazione, sostenuta dai
ricorrenti, sancirebbe l’incomprensibile ed
illogico principio, secondo cui,
diversamente dagli appalti pubblici di
lavori, gli appalti pubblici di servizi e
forniture potrebbero essere eseguiti anche
da imprese e/o ditte, partecipanti ad
un’ATI, non in possesso pro quota dei
requisiti di ammissione alla gara.
Al riguardo, va anche rilevato che sia
l’art. 40, comma 1, lett. g), sia l’art.
105, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006,
nell’ambito della disciplina dei concorsi di
progettazione, richiamano espressamente le
disposizioni della Parte II del D.Lg.vo n.
163/2006 e perciò anche l’art. 37 D.Lg.vo n.
163/2006. Inoltre, va evidenziato che l’art.
65, comma 4, DPR n. 554/1999 statuisce che
la stazione appaltante, nel caso di ATP, “può
chiedere che i requisiti finanziari e
tecnici di cui all’art. 66, comma 1, lett.
a, b) e d)” dello stesso DPR n. 554/1999
“siano posseduti in misura non superiore
al 60% dalla capogruppo”, specificando
che “la restante percentuale deve essere
posseduta cumulativamente dal o dai
mandanti, ai quali non possono essere
richiesti percentuali di possesso dei
requisiti minimi”, per cui anche da
quest’ultima norma, che deroga all’art. 95
stesso DPR n. 554/1999 soltanto per
l’assenza di prescrizioni del possesso in
capo alla mandataria ed alle mandanti dei
requisiti ammissione in base a percentuali
minime (mentre l’art. 95 DPR n. 554/1999
prevede rispettivamente il possesso in capo
alla mandataria della percentuale minima del
40% ed in capo alle mandanti della
percentuale minima del 10% dei requisiti di
ammissione), si desume agevolmente la
conferma del suddetto principio di
corrispondenza tra le quote di
partecipazione all’ATP ed i requisiti di
ammissione corrispondenti all’indicata quota
di partecipazione all’ATP.
Dunque, poiché l’ATP controinteressata nella
domanda di partecipazione si è limitata ad
indicare in modo generico i compiti, che
avrebbero svolto i singoli componenti
dell’ATP, ma non ha indicato in modo preciso
sia le parti dell’appalto, sia le
corrispondenti quote di partecipazione e/o
di esecuzione dell’appalto, doveva essere
esclusa dalla gara, in quanto tali carenze
non hanno permesso alla stazione appaltante
di verificare la corrispondenza tra le quote
di partecipazione all’ATP ed i requisiti di
ammissione di ogni singolo componente
dell’ATP, corrispondenti all’indicata quota
di partecipazione all’ATP (TAR Basilicata,
sentenza 06.12.2011 n. 571 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI -
VARI:
G.U. 06.12.2011 n. 284, suppl. ord. n.
251/L, "Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equità e il consolidamento dei
conti pubblici" (D.L.
06.12.2011 n. 201). |
APPALTI:
La seduta pubblica per l'apertura
delle buste contenenti le offerte di gara
costituendo una regola generale rispondente
ai principi di trasparenza ed imparzialità,
si applica anche agli appalti di servizi
all. II B del dlgs. 163/2006.
La seduta pubblica per l'apertura delle
buste contenenti le offerte di gara
costituisce una regola generale rispondente
ai principi di trasparenza ed imparzialità,
e come tale, se non espressamente esclusa
dalla legge o dalla disciplina di gara, deve
ritenersi applicabile ad ogni tipo di
procedura concorsuale: tale conclusione si
impone peraltro alla luce dell'art. 27 del
DLgs n. 163 del 2006 il quale sancisce che
anche per le gare aventi ad oggetto lavori,
servizi e forniture esclusi
dall'applicazione del codice (come, nella
specie, il servizio di educazione) devono
trovare applicazione (tra gli altri) i
principi di imparzialità e trasparenza,
principi cui è indubbiamente collegata la
regola della seduta pubblica per l'apertura
delle buste afferenti alla gara (nella
fattispecie, per l'individuazione
dell'impresa cui affidare il servizio
educativo) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 05.12.2011 n. 1805 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La seduta pubblica per l'apertura
delle buste contenenti le offerte di gara
costituisce, invero, una regola generale
rispondente ai principi di trasparenza ed
imparzialità, e come tale, se non
espressamente esclusa dalla legge o dalla
disciplina di gara, deve ritenersi
applicabile ad ogni tipo di procedura
concorsuale: tale conclusione si impone
peraltro alla luce dell'art. 27 del DLgs n.
163 del 2006 il quale sancisce che anche per
le gare aventi ad oggetto lavori, servizi e
forniture esclusi dall'applicazione del
codice devono trovare applicazione (tra gli
altri) i principi di imparzialità e
trasparenza, principi cui è indubbiamente
collegata la regola della seduta pubblica
per l'apertura delle buste afferenti alla
gara.
- che è invece fondata la successiva censura
con cui, richiamando Ap n. 13/2011, si
contesta la mancata apertura della busta
contenente l’offerta tecnica in seduta
pubblica: la seduta pubblica per l'apertura
delle buste contenenti le offerte di gara
costituisce, invero, una regola generale
rispondente ai principi di trasparenza ed
imparzialità, e come tale, se non
espressamente esclusa dalla legge o dalla
disciplina di gara, deve ritenersi
applicabile ad ogni tipo di procedura
concorsuale: tale conclusione si impone
peraltro alla luce dell'art. 27 del DLgs n.
163 del 2006 il quale sancisce che anche per
le gare aventi ad oggetto lavori, servizi e
forniture esclusi dall'applicazione del
codice (come, nella specie, il servizio di
educazione) devono trovare applicazione (tra
gli altri) i principi di imparzialità e
trasparenza, principi cui è indubbiamente
collegata la regola della seduta pubblica
per l'apertura delle buste afferenti alla
gara (nella fattispecie, per
l'individuazione dell'impresa cui affidare
il servizio educativo);
- che, dunque, il ricorso è fondato sotto
tale, dedotto profilo, con conseguente
annullamento dell’intera gara e l’obbligo di
rinnovazione della stessa da parte
dell’Amministrazione comunale ... (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 05.12.2011 n. 1805 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: I
40mila euro sono una soglia per tutti.
L'innalzamento a 40mila euro della soglia
per l'affidamento diretto di beni e servizi
mediante procedure in economia vale anche
per i servizi tecnici, intesi come i servizi
di progettazione, direzione lavori e simili,
affidabili in base all'articolo 91 del Dlgs
163/2006.
Alla modifica apportata al comma 11
dell'articolo 125 del Codice dei contratti
pubblici dalla legge 106/2011 non era
seguito l'adeguamento del dato di valore
esplicitato nel comma 10 dell'articolo 267
del Dpr 207/2010. Inoltre, a sostegno della
tesi della permanenza del vecchio valore di
20mila euro per l'affidamento diretto di
servizi di ingegneria e architettura
mediante procedure in economia, si poneva
l'abrogazione, a opera della stessa legge
106/2011, dell'inciso che faceva riferimento
al secondo periodo del comma 11
dell'articolo 125 del Codice: proprio quello
che disciplina l'affidamento senza procedura
di consultazione.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici (Avcp) ha tuttavia risolto la
questione in senso positivo, affermando che
l'innalzamento della soglia vale anche per
l'affidamento di servizi tecnici.
Nel
proprio
parere sulla normativa Reg 22/2011
del 16.11.2011, infatti, l'Avcp
evidenzia come da una più attenta disamina
del contrasto normativo venutosi a creare
non possa che ricostruirsi una fattispecie
nella quale il legislatore ha inteso
modificare un aspetto di una normativa di
rango primario (la parte dell'articolo 125
del Codice, nella quale è menzionata la
soglia di riferimento, portata a 40mila
euro) omettendo di porre mano ad una
modifica che, in un'ottica di carattere
sistematico, appare tanto logicamente
conseguente quanto necessaria.
Secondo l'Autorità, in tal senso appare
evidente come, a seguito di una modifica
della disciplina principale, le disposizioni
correlate di livello regolamentare (proprio
il Dpr 207/2010), che hanno carattere
esecutivo ed attuativo e non anche
delegificante (così come previsto proprio
dallo stesso Codice all'articolo 5), non
possano interpretarsi che in senso conforme
a quanto previsto dalla normativa di rango
primario, senza porsi in alcun modo in
contrasto con essa.
La tesi sembra confermata dalla circostanza
che il legislatore, modificando l'originaria
formulazione del comma 10 dell'articolo 267
con l'eliminazione del riferimento al "secondo
periodo" del comma 11 dell'articolo 125,
avrebbe inteso ricomprendere i servizi
attinenti all'architettura e all'ingegneria
nel più ampio ambito, e nella relativa
disciplina, di cui all'articolo 125, comma
11, del Codice
(articolo Il Sole 24
Ore del 05.12.2011 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Un'analisi
di mercato prima di ogni nuovo affidamento.
A LARGO RAGGIO/
L'esclusiva viene meno con un meccanismo di
silenzio-assenso anche quando la privativa è
disposta per legge.
La mancata adozione da parte dei Comuni
della delibera quadro sui servizi pubblici
locali a rilevanza economica determina il
venir meno dei diritti di esclusiva sugli
stessi, con meccanismo di silenzio-assenso.
È dubbio se tale meccanismo agisca
automaticamente, anche in forza di quanto
previsto dall'articolo 3 dello stesso Dl
138/2011, pure per quei servizi pubblici
locali ove la privativa è disposta per legge
(ciclo dei rifiuti, ciclo idrico, trasporto
pubblico locale eccetera).
L'articolo 9, comma 2, lettera c), della
legge di stabilità 2012 (la 183/2011), che
integra le disposizioni dell'articolo 4
della legge 148/2011, stabilisce l'obbligo
di procedere, prima di ogni nuovo
affidamento, e comunque non oltre il 12.08.2012, all'analisi di mercato per ciò
che concerne la produzione ed erogazione dei
servizi, secondo standard quali-quantitativi
compatibili con i livelli essenziali delle
prestazioni, postulando la prevalenza del
principio di liberalizzazione se le
condizioni strutturali dell'offerta e della
domanda sono tali da garantirne il rispetto
in un'ottica di equa distribuzione
territoriale.
Tale prevalenza, da realizzare attraverso la
privatizzazione dei processi
produttivo-erogativi, la libera concorrenza
e sistemi di benchmarking anche
territoriali, impone dunque specifiche
valutazioni propedeutiche prima
dell'adozione di qualunque modello
organizzativo dell'ente.
Nell'ambito delle funzioni esercitate, e
comunque almeno per quelle essenziali
definite con la legge delega sul federalismo
fiscale (la 42/2009), occorre quindi
individuare, distintamente per ogni
tipologia di servizio, l'interesse del
mercato al fine di verificarne l'eventuale
rilevanza economica e i possibili meccanismi
di regolazione della concorrenza.
L'attuazione del processo di
liberalizzazione sarà possibile ove la
risposta del mercato risulti adeguata almeno
agli standard produttivi ed erogativi minimi
assicurati dalla privativa pubblica. L'analisi di mercato presuppone valutazioni
specifiche a livello di singole realtà
territoriali e di diverso contesto
socio-economico e culturale; in altre
parole, se, da un lato, è agevole dimostrare
in generale che solo in presenza di poteri autoritativi pubblici può essere
proficuamente reso il servizio cimiteriale e
dunque possono essere salvaguardate la
salute e l'igiene pubblica, dall'altro
occorre considerare che le possibilità di
liberalizzare le modalità di gestione dei
servizi culturali, anziché sportivi o di
trasporto e refezione scolastica, dipendono
essenzialmente dall'adeguatezza del mercato
rispetto alla domanda locale.
L'ente dovrà dunque chiarire, attraverso
l'analisi di mercato, se una gestione
concorrenziale possa costituire una valida
alternativa alla privativa pubblica,
ricordando che il prezzo del servizio, una
volta liberalizzato, lo fa il mercato e non
più il Comune, il quale potrà solo
intervenire con compensazioni finanziarie
per garantirne la fruizione alle categorie
meno abbiente.
Un decreto ministeriale, da emanare entro
gennaio 2012, dovrà definire i criteri guida
per la delibera quadro e le modalità con cui
i soggetti affidatari sono tenuti a rendere
pubblici i dati concernenti il livello di
qualità del servizio reso, il prezzo medio
per utente e il livello degli investimenti
effettuati.
Poiché l'adozione da parte del consiglio
comunale della delibera citata costituisce
un atto propedeutico a qualunque modifica
rispetto alle attuali modalità di gestione
dei servizi pubblici locali a rilevanza
economica, nelle more dell'emanazione del
decreto attuativo si produce una sorta di
condizione sospensiva, durante la quale
parrebbero inibite nuove scelte
strategico-organizzative a livello locale.
La mancata adozione di qualsiasi delibera
propedeutica alle future scelte strategiche
per gli affidamenti in regime transitorio
determinerà l'intervento sostitutivo del
Governo, tramite il prefetto, che nominerà
un commissario ad acta previa
diffida, secondo le modalità che saranno
definite nell'emanando Dm attuativo
dell'articolo 9 della legge 183/2011
(articolo Il Sole 24
Ore del 05.12.2011 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Contenzioso appalti, accordo bonario
chi-come-quando (link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Appalti di forniture, per
partecipare solo prodotti omologati.
Il Consiglio di Stato ha precisato che i
requisiti essenziali per la partecipazione
alle gare di appalto devono essere posseduti
al momento della presentazione delle
offerte. Nel caso di specie la mancanza
dell'omologazione dei prodotti al momento
della presentazione dell'offerta, rilasciata
successivamente alla seduta di gara, è stato
ritenuto elemento sufficiente per
l'esclusione dalla procedura di gara.
Numerose sono le sfaccettature della
decisione, ma in questa sede, riteniamo
sottolineare solo un aspetto, ossia quello
relativo alla omologazione dei prodotti
offerti in sede di gara.
E' stata sollevata con ricorso in appello
censura nei confronti dell'aggiudicataria,
motivata dal fatto che la lex specialis
di gara richiedeva l'omologazione del
prodotto al momento della formulazione
dell'offerta.
Parte controinteressata ha precisato che la
dimostrazione dell'esistenza
dell'omologazione poteva essere provata
successivamente all'aggiudicazione
provvisoria.
La Sezione ha valutato la censura avanti
esposta ed ha concluso che astrattamente può
essere provato il possesso del certificato
di omologazione di un prodotto in sede di
dimostrazione dei requisiti di gara,
successivamente all'aggiudicazione
provvisoria e prima di quella definitiva.
Tuttavia, ha precisato il Giudicante che la
previsione del bando di gara del possesso
del certificato di omologazione al momento
della presentazione dell'offerta, comporta
che è in sede di offerta che deve essere
esibito il certificato di omologazione e ciò
per rispetto della pars condicio tra i
concorrenti partecipanti alla gara.
Inoltre, la sezione ha evidenziato che oltre
agli aspetti formali della e nell'ambito
della procedura di gara, vi è una
problematica di tipo sostanziale che
impedisce di ammettere legittimamente ad una
procedura di gara ditte che non presentano
il certificato di omologazione dei prodotti
offerti, contestualmente alla presentazione
dell'offerta e quindi in sede di gara. Tanto
perché il certificato di omologazione di un
prodotto è l'attestazione che quel prodotto
ha il requisito per essere messo in
commercio e ciò sicuramente necessario per
essere un prodotto offerto alla Pubblica
Amministrazione.
Le considerazioni avanti esposte hanno
caratterizzato un settore delle motivazioni
contenute nella decisione del Consiglio di
Stato che è stata quella del rigetto
dell'appello, in quanto solo
l'aggiudicazione definitiva rappresenta il
momento della perfezione dell'appalto e
della nascita di effetti giuridici aventi
valore contrattuale tra le parti.
Sostanzialmente il procedimento di gara è
ancora aperto tra la fase
dell'aggiudicazione provvisoria e quella
definitiva e la Stazione Appaltante,
attraverso Responsabile del procedimento e
Dirigente può esperire ogni accertamento
necessario od utile ai fini di gara.
Alla luce di tutto ciò non si può che
concludere che la seduta di gara è solo
deputata alla raccolta ed all'apertura
dell'offerte e si conclude con un atto di
aggiudicazione provvisoria, m quale è il
verbale di gara, che comunque non impedisce
alla Pubblica Amministrazione di
ulteriormente provvedere sul procedimento,
nei limiti derivati dalla prima fase.
Certamente non è da sottovalutare la fase
della seduta di gara che alla presenza di
pubblici ufficiali, quali sono i componenti
della Commissione di Gara e quella eventuale
delle ditte partecipanti, costituisce un
momento importante di trasparenza e di
certezza per gli atti e le operazioni
compiuti che vengono trasfuse nel verbale di
gara quale atto pubblico.
A questo punto vi è da aggiungere che, nel
caso di specie, non è stata ritenuta valida
l'eccezione di essere nel possesso della
omologazione perché in effetti alla data di
presentazione dell'offerta, corredata da
dichiarazione sostitutiva del possesso della
omologazione dei prodotti, non è stata
idonea in quanto l'omologazione è stata
rilasciata in data successiva, quindi al
momento di celebrazione della gara non vi
era.
Di conseguenza successivamente alla seduta
di gara non vi era alcuna attività possibile
né da parte della stazione appaltante, né da
parte dei concorrenti per l'acquisizione del
documento mancante, ma dichiarato, in quanto
nella sostanza non vi era l'omologazione dei
prodotti e quindi difettava in capo alla
concorrente un requisito di partecipazione
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.12.2011 n.
6376 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sulla possibilità ai sensi
dell'art. 37, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, di
costituire raggruppamenti di tipo verticale
per la partecipazione ad appalti di
fornitura o servizi.
L'art. 37, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006, n.
163, consente di costituire raggruppamenti
di tipo verticale per la partecipazione ad
appalti di fornitura o servizi e, quindi, di
ripartire le prestazioni richieste tra le
imprese partecipanti a seconda della natura
(principale o secondarie), a condizione che
la stazione appaltante abbia chiaramente
indicato quali di esse abbiano tale
connotazione.
Dal disposto dell'ultimo inciso dell'art.
37, c. 2, si evince che compete unicamente
all'amministrazione appaltante siffatta
determinazione; di tal che, in mancanza, non
è possibile assumere che una prestazione
abbia carattere principale rispetto
all'altra, risultando per la stessa ragione
inammissibile una integrazione delle regole
di gara da parte dell'operatore economico
volta a supplire alla mancata indicazione
delle prestazioni principale e secondarie
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 02.12.2011 n. 2074 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Effetti giuridici della
pubblicazione dei bandi: rileva solo la
pubblicazione nella GURI.
Per espressa previsione normativa, per
quanto riguarda gli effetti giuridici
derivanti dalla pubblicazione dei bandi,
assume unica rilevanza quella effettuata
nella GURI (Gazzetta ufficiale della
repubblica Italiana), indipendentemente
quindi dall’anteriore pubblicazione operata
nella GUCE (Gazzetta ufficiale dell’Unione
Europea).
Questo è il principio contenuto nella
sentenza 02.12.2011 n. 1791
pronunciata dal TAR Veneto, Sez. I.
Il ricorso veniva introdotto da una società,
esclusa da un appalto di servizi, per aver
fornito una cauzione insufficiente rispetto
a quanto previsto dalla disciplina di gara.
La ricorrente sosteneva che la disposizione
del bando che prescriveva, a pena di
esclusione, la prestazione di una
determinata cauzione, fosse da ritenersi in
contrasto con la nuova disciplina della
tassatività delle cause di esclusione
prevista dall’articolo 46, 1-bis del d.lgs.
163/2006 e applicabile all’appalto in
questione in quanto il bando era stato
pubblicato in GURI successivamente
all’entrata in vigore del D.L. n. 70/2011.
Questa tesi era contrastata
dall’amministrazione resistente, la quale
evidenziava l’inapplicabilità della nuova
disciplina in quanto la pubblicazione del
bando in GUCE risultava anteriore rispetto
alla data di entrata in vigore del D.L.
70/2011.
In merito all’applicabilità, ratione
temporis, della nuova disciplina
introdotta dal D.L. n. 70/2011, il TAR
Veneto ha così deciso “Ritiene il
Collegio, conformemente all’indirizzo già
espresso su analoga questione (cfr. TAR
Veneto, I, n. 1575/2011), che il riferimento
temporale da tenere in considerazione sia
quello dell’avvenuta pubblicazione del bando
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana.
Invero, la disposizione contenuta nel comma
8 dell’art. 66 del Codice dei Contratti ha
espressamente introdotto il principio
generale per cui gli effetti giuridici
connessi dall’ordinamento italiano
all’avvenuta pubblicazione dei bandi di gara
debbano essere ricondotti unicamente alla
pubblicazione effettuata nella GURI, a nulla
rilevando, a questo specifico fine, la data
di pubblicazione nella GUCE.
Quindi, per espressa previsione normativa,
per quanto riguarda gli effetti giuridici
derivanti dalla pubblicazione dei bandi,
assume unica rilevanza quella effettuata
nella GURI, indipendentemente quindi
dall’anteriore pubblicazione operata nella
GUCE.
Conseguenza diretta del combinato disposto
della norma di cui al comma 8 dell’art. 66 e
di quella introdotta dal comma 1-bis
dell’art. 46, è che il principio di
tassatività della clausole di esclusione
debba valere, a pena di nullità delle
clausole difformemente introdotte, per tutti
i bandi la cui pubblicazione, avvenuta nella
GURI, sia successiva all’entrata in vigore
della norma, a prescindere all’anteriore
pubblicazione dei medesimi nella GUCE”.
Ritenuta applicabile la nuova disciplina
della tassatività delle cause di esclusione,
i giudici hanno accolto il ricorso
dichiarando nulla, ex lege, la
disposizione del bando di gara che
sanzionava, a pena di esclusione, la
prestazione di una cauzione provvisoria
insufficiente rispetto a quanto richiesto
dalla legge di gara.
Sotto questo aspetto, i giudici del TAR
Veneto, richiamando il contenuto
dell’articolo 75 del d.lgs. 163/2006 dove al
primo comma è previsto che “L’offerta è
corredata da una garanzia, pari al due per
cento del prezzo base indicato nel bando o
nell’invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione, a scelta dell’offerente”,
mentre l’ottavo comma dispone che “L’offerta
è altresì corredata, a pena di esclusione,
dall’impegno del fideiussore a rilasciare la
garanzia fideiussoria per l’esecuzione del
contratto, di cui all’art. 113, qualora
l’offerente risultasse affidatario”,
hanno sottolineato come il legislatore abbia
espressamente sanzionato, a pena di
esclusione, solo l’obbligo imposto
dall’ottavo comma e non quello del primo.
In conclusione i giudici del TAR Veneto, in
linea con quanto previsto dall’art. 66,
comma 8, del d.lgs. 163/2006, hanno chiarito
come gli effetti giuridici che l'ordinamento
connette alla pubblicità, in ambito
nazionale, decorrono dalla pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana, essendo irrilevante, ai fini della
legge applicabile, l’eventuale anteriore
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale
dell’Unione Europea (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.U.E.
02.12.2011 n. L. 319 "REGOLAMENTO
(UE) N. 1251/2011 DELLA COMMISSIONE del
30.11.2011 che modifica le
direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e
2009/81/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio riguardo alle soglie di
applicazione in materia di procedure di
aggiudicazione degli appalti". |
APPALTI:
E' illegittima l’apertura delle
buste contenenti le offerte tecniche
avvenuta in occasione della seduta riservata
dedicata alla loro valutazione poiché
risulta in contrasto con il principio di
pubblicità affermato dalla sentenza
dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 13/2011.
L’assenza di motivazione dei provvedimenti
che hanno condotto alla nomina del dirigente
della stazione appaltante come segretario,
anziché come presidente della commissione di
gara e alla designazione dei componenti
della stessa mediante il ricorso a
professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto vìola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Considerato:
- che, a prescindere dalla prova della
preclusione dell’accesso alla seduta
pubblica in cui sono state aperte le buste
contenenti la documentazione amministrativa,
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche risulta essere avvenuta in seduta
riservata, in contrasto non solo con il
principio di pubblicità recentemente
ribadito dal Consiglio di Stato, nella
sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001,
ma anche con la stessa lex specialis
della gara.
Contrariamente a quanto asserito da parte
resistente, infatti, il verbale della prima
seduta, pubblica, dà atto solo della <<presenza,
integrità e la correttezza delle buste
“Domanda di partecipazione”, “Offerta
tecnica” e "Offerta economica”>>,
dell’avvenuto accantonamento, in ordine
progressivo, delle suddette buste, del
riscontro della correttezza della sola
documentazione contenuta nelle buste n. 1;
- che, conseguentemente, deve presumersi che
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche sia avvenuta in occasione della
seduta riservata dedicata alla loro
valutazione, in contrasto con il principio
di pubblicità affermato dalla sentenza
dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 13/2011 e, prima ancora e
soprattutto, con il bando di gara;
- che l’assenza di motivazione dei
provvedimenti che hanno condotto alla nomina
del dirigente della stazione appaltante come
segretario, anziché come presidente della
commissione di gara e alla designazione dei
componenti della stessa mediante il ricorso
a professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto vìola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di
discostarsi dal precedente di questo
Tribunale (sentenza TAR Brescia, II,
05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con
riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006,
come la giurisprudenza sia ormai costante
nel ritenere che: “la norma sia volta a
garantire l'imparzialità della commissione
incaricata di valutare le offerte, e quindi,
in ultima analisi, un principio fondamentale
delle gare come quello della parità fra i
concorrenti; si tratta in altre parole, come
sottolineato dalla citata TAR Lazio-Roma,
sez. III, 21.11.2008 n. 10565, di norma di
rilievo procedimentale, ma non formalistico,
che prescinde come tale "da ogni
considerazione circa la specifica
professionalità, competenza e serietà dei
soggetti in concreto nominati", ma che, ove
violata, vizia in modo irrimediabile l'esito
finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione
delle ragioni per cui, nella designazione
dei membri della commissione giudicatrice,
si è fatto ricorso a membri esterni alla
stazione appaltante, omettendo anche di
assegnare all’unico componente interno il
ruolo di Presidente, inficia la legittimità
di tutti gli atti adottati da tale
commissione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’apertura
delle buste contenenti le offerte tecniche
in seduta riservata risulta in contrasto con
il principio di pubblicità recentemente
ribadito dal Consiglio di Stato, nella
sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001.
---------------
L’assenza di motivazione dei provvedimenti
che hanno condotto alla nomina del dirigente
della stazione appaltante come segretario,
anziché come presidente della commissione di
gara e alla designazione dei componenti
della stessa mediante il ricorso a
professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto viola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di
discostarsi dal precedente di questo
Tribunale in cui si legge, con riferimento
all’art. 84 del d.lgs. 163/2006, come la
giurisprudenza sia ormai costante nel
ritenere che: “la norma sia volta a
garantire l'imparzialità della commissione
incaricata di valutare le offerte, e quindi,
in ultima analisi, un principio fondamentale
delle gare come quello della parità fra i
concorrenti; si tratta in altre parole di
norma di rilievo procedimentale, ma non
formalistico, che prescinde come tale "da
ogni considerazione circa la specifica
professionalità, competenza e serietà dei
soggetti in concreto nominati", ma che, ove
violata, vizia in modo irrimediabile l'esito
finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione
delle ragioni per cui, nella designazione
dei membri della commissione giudicatrice,
si è fatto ricorso a membri esterni alla
stazione appaltante, omettendo anche di
assegnare all’unico componente interno il
ruolo di Presidente, inficia la legittimità
di tutti gli atti adottati da tale
commissione.
A prescindere dalla prova della
preclusione dell’accesso alla seduta
pubblica in cui sono state aperte le buste
contenenti la documentazione amministrativa,
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche risulta essere avvenuta in seduta
riservata, in contrasto non solo con il
principio di pubblicità recentemente
ribadito dal Consiglio di Stato, nella
sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001,
ma anche con la stessa lex specialis
della gara. Contrariamente a quanto asserito
da parte resistente, infatti, il verbale
della prima seduta, pubblica, dà atto solo
della <<presenza, integrità e la
correttezza delle buste “Domanda di
partecipazione”, “Offerta tecnica” e
"Offerta economica”>>,
dell’avvenuto accantonamento, in ordine
progressivo, delle suddette buste, del
riscontro della correttezza della sola
documentazione contenuta nelle buste n. 1.
Conseguentemente, deve presumersi che
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche sia avvenuta in occasione della
seduta riservata dedicata alla loro
valutazione, in contrasto con il principio
di pubblicità affermato dalla sentenza
dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 13/2011 e, prima ancora e
soprattutto, con il bando di gara.
---------------
L’assenza di motivazione dei
provvedimenti che hanno condotto alla nomina
del dirigente della stazione appaltante come
segretario, anziché come presidente della
commissione di gara e alla designazione dei
componenti della stessa mediante il ricorso
a professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto viola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di
discostarsi dal precedente di questo
Tribunale (sentenza TAR Brescia, II,
05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con
riferimento all’art. 84 del d.lgs.
163/2006, come la giurisprudenza sia ormai
costante nel ritenere che: “la norma sia
volta a garantire l'imparzialità della
commissione incaricata di valutare le
offerte, e quindi, in ultima analisi, un
principio fondamentale delle gare come
quello della parità fra i concorrenti; si
tratta in altre parole, come sottolineato
dalla citata TAR Lazio Roma sez. III
21.11.2008 n. 10565, di norma di rilievo
procedimentale, ma non formalistico, che
prescinde come tale "da ogni considerazione
circa la specifica professionalità,
competenza e serietà dei soggetti in
concreto nominati", ma che, ove violata,
vizia in modo irrimediabile l'esito finale
della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione
delle ragioni per cui, nella designazione
dei membri della commissione giudicatrice,
si è fatto ricorso a membri esterni alla
stazione appaltante, omettendo anche di
assegnare all’unico componente interno il
ruolo di Presidente, inficia la legittimità
di tutti gli atti adottati da tale
commissione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'inapplicabilità del
procedimento di verifica sull'anomalia
dell'offerta agli appalti aventi per oggetto
i servizi elencati nell'allegato II B del
d.lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 20 del d.lgs. n. 163 del 2006,
dispone che l'aggiudicazione degli appalti
aventi per oggetto i servizi elencati
nell'allegato II B è disciplinata
esclusivamente dall'art. 68 (sulle
specifiche tecniche), dall'art. 65
(sull'avviso sui risultati della procedura
di affidamento), nonché dall'art. 225 (sugli
avvisi relativi agli appalti aggiudicati), e
dunque non trova applicazione, in linea di
principio, la normativa sull'anomalia
dell'offerta.
Pertanto, poiché nel caso di specie, si
tratta di un appalto di servizi di "servizi
culturali, turistici e sale conferenze"
compreso nell'ambito dell'All. II B del
codice dei contratti pubblici (servizi
ricreativi, culturali e sportivi) la
disciplina sull'anomalia dell'offerta di cui
all'art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006, non
si applica alla fattispecie in esame.
Peraltro, la gestione dell'attività di
valorizzazione dei beni culturali, secondo
la norma di riferimento, costituita
dall'art. 115 del codice dei beni culturali
(d.lgs. 22.01.2004, n. 42), può avvenire o
in forma diretta, ovvero, mediante
concessione a terzi. A rigore, dunque, la
gara avrebbe dovuto avere ad oggetto una
concessione di servizi pubblici, piuttosto
che un appalto di servizi; anche in tale
prospettiva ai sensi dell'art. 30 del codice
dei contratti pubblici la disciplina
sull'anomalia dell'offerta non si estende
alle concessioni di servizi (TAR Umbria,
Sez. I,
sentenza 01.12.2011 n. 389 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
novembre 2011 |
|
APPALTI:
Gli atti del convegno "Le procedure di
acquisto in economia" tenutosi nel
novembre 2011 a cura del Centro Studi
Marangoni (link a
www.centrostudimarangoni.it):
-
1^ parte. |
APPALTI SERVIZI:
C. Rapicavoli,
L’affidamento dei servizi pubblici locali -
La normativa vigente dopo la legge di
stabilità (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI: Le
prescrizioni del bando che comminano
l'esclusione non sono valutabili dalla
commissione di gara.
Confermato dal Consiglio di Stato il
principio ormai consolidato in
giurisprudenza secondo cui qualora il bando
commini l’esclusione obbligatoria dalla
gara, l’amministrazione è tenuta a dare
precisa ed incondizionata esecuzione a tali
prescrizioni, senza alcuna possibilità di
valutazione
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 30.11.2011 n. 6330 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La violazione della clausola di “stand still”
in sé considerata, e cioè senza che
concorrano vizi propri dell’aggiudicazione e
senza un’apprezzabile incidenza sulla
possibilità di ottenere l’appalto, non
comporta l’annullamento di quest’ultima né
l’inefficacia del contratto, potendo
rilevare ai fini della valutazione delle
responsabilità, anche risarcitorie, e
dell’applicazione delle sanzioni
alternative.
Ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. c),
del Codice del processo amministrativo il
contratto di appalto stipulato a seguito di
aggiudicazione annullata è dichiarato
inefficace quando l’amministrazione abbia
violato il termine dilatorio stabilito
dall’art. 11 del Codice dei contratti
pubblici, “sempre che tale violazione,
aggiungendosi a vizi propri
dell’aggiudicazione definitiva, abbia
influito sulle possibilità del ricorrente di
ottenere l'affidamento”.
---------------
Il Consiglio di Stato ha affermato che –ai
fini della tutela della segretezza delle
offerte, e per assicurare la “par condicio”
e la trasparenza delle operazioni
concorsuali– la Commissione di gara è tenuta
a predisporre particolari cautele per la
conservazione delle buste contenenti le
offerte, e a fare espressa menzione di esse
nel verbale di gara.
Questa Sezione ha però aderito al
tradizionale orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo il
quale, in presenza dell’obbligo di garantire
la non manomissione dei documenti di una
gara pubblica, è da presumere che lo stesso
sia stato assolto dalla stazione appaltante
adottando le normali precauzioni per la
custodia degli atti amministrativi, tali da
assicurare la genuinità ed integrità dei
plichi: pertanto la doglianza secondo la
quale le buste contenenti le offerte non
sarebbero state adeguatamente custodite è
irrilevante allorché non sia stato addotto
alcun elemento concreto e specifico atto a
far ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura.
Anche il Consiglio di Stato ha osservato che
la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
Commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata l’alterazione della
documentazione.
Secondo tale linea interpretativa non è
sufficiente invocare la mancanza di idonee
cautele a salvaguardia della non
manomissione dei plichi –insinuando il
generico sospetto di condotte idonee ad
inquinare lo svolgimento della procedura–
senza che sia dedotta alcuna altra
circostanza oggettiva suscettibile di
generare il ragionevole dubbio di uno
scorretto e negligente assolvimento del
dovere di custodia: costituirebbe inutile e
formalistica decisione quella di annullare
la gara solo perché non è stato dato atto a
verbale dell’adozione di misure idonee a
contrastare l’astratta possibilità che le
buste in questione siano state manomesse. Il
supporto normativo di tale indirizzo si
rinviene nell’art. 78 del D.Lgs. 163/2006 il
quale, nell’indicare gli elementi che non
possono essere omessi nella redazione del
verbale, non menziona le operazioni di
custodia della documentazione di gara
Recentemente è stato elaborato un
orientamento intermedio secondo cui la mera
omessa verbalizzazione delle precauzioni
assunte non è idonea in sé ad inficiare la
procedura laddove il concreto andamento
della medesima (ad esempio il trascorrere di
un anomalo lasso di tempo tra una seduta e
l’altra) ovvero ulteriori elementi non
inducano a dubitare della corretta
conservazione dei plichi.
---------------
L’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006
stabilisce che i Commissari diversi dal
Presidente, non devono aver svolto, né
possono svolgere, alcun’altra funzione o
incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta.
---------------
L’assenza di elementi (nel provvedimento di
costituzione della commissione di gara)
attestanti l’accertamento della carenza in
organico di adeguate professionalità, e
l’omessa menzione di oggettive e comprovate
esigenze che giustifichino la nomina (quale
figura tecnica appropriata) del geom. ...
integrano la violazione dell’art. 84, comma
8, del D.Lgs. 163/2006 per difetto di
motivazione.
---------------
La violazione della clausola di “stand still”
in sé considerata, e cioè senza che
concorrano vizi propri dell’aggiudicazione e
senza un’apprezzabile incidenza sulla
possibilità di ottenere l’appalto, non
comporta l’annullamento di quest’ultima né
l’inefficacia del contratto, potendo
rilevare ai fini della valutazione delle
responsabilità, anche risarcitorie, e
dell’applicazione delle sanzioni alternative
(cfr. TAR Calabria Reggio-Calabria –
20/10/2010 n. 942; TAR Lazio-Roma, sez.
I-bis – 30/05/2011 n. 4842).
Ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. c), del
Codice del processo amministrativo il
contratto di appalto stipulato a seguito di
aggiudicazione annullata è dichiarato
inefficace quando l’amministrazione abbia
violato il termine dilatorio stabilito
dall’art. 11 del Codice dei contratti
pubblici, “sempre che tale violazione,
aggiungendosi a vizi propri
dell’aggiudicazione definitiva, abbia
influito sulle possibilità del ricorrente di
ottenere l'affidamento”.
---------------
Parte ricorrente censura l’operato della
Commissione per violazione dell’obbligo di
custodia dei plichi, dei principi di
segretezza delle offerte, par condicio e
trasparenza delle operazioni di gara, in
quanto i documenti sono rimasti incustoditi
per un’ora, ed il verbale (doc. 2) nulla
specifica sulle precauzioni assunte in detto
lasso temporale. Si tratta in particolare
della sospensione per la pausa pranzo
avvenuta dalle ore 13 alle ore 14 del giorno
15/02/2011, durante la quale la Commissione
non ha osservato accorgimenti per assicurare
la loro integrità.
La censura è priva di pregio.
Sul punto esiste un puntuale contrasto
di giurisprudenza in seno al giudice di
appello, il quale ha anche affermato che –ai fini della tutela della segretezza delle
offerte, e per assicurare la “par condicio”
e la trasparenza delle operazioni
concorsuali– la Commissione di gara è
tenuta a predisporre particolari cautele per
la conservazione delle buste contenenti le
offerte, e a fare espressa menzione di esse
nel verbale di gara (Consiglio di Stato,
sez. III – 03/03/2011 n. 1368).
Questa Sezione ha però aderito al
tradizionale orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo il
quale, in presenza dell’obbligo di garantire
la non manomissione dei documenti di una
gara pubblica, è da presumere che lo stesso
sia stato assolto dalla stazione appaltante
adottando le normali precauzioni per la
custodia degli atti amministrativi, tali da
assicurare la genuinità ed integrità dei
plichi: pertanto la doglianza secondo la
quale le buste contenenti le offerte non
sarebbero state adeguatamente custodite è
irrilevante allorché non sia stato addotto
alcun elemento concreto e specifico atto a
far ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura (TAR Campania-Napoli, sez. I –
08/07/2010 n. 16615; TAR Sardegna, sez. I –
17/02/2006 n. 238).
Anche il Consiglio di Stato ha osservato che
la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
Commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata l’alterazione della
documentazione (Consiglio di Stato, sez. V –
22/02/2011 n. 1094).
Secondo tale linea
interpretativa non è sufficiente invocare la
mancanza di idonee cautele a salvaguardia
della non manomissione dei plichi –insinuando il generico sospetto di condotte
idonee ad inquinare lo svolgimento della
procedura– senza che sia dedotta alcuna
altra circostanza oggettiva suscettibile di
generare il ragionevole dubbio di uno
scorretto e negligente assolvimento del
dovere di custodia: costituirebbe inutile e
formalistica decisione quella di annullare
la gara solo perché non è stato dato atto a
verbale dell’adozione di misure idonee a
contrastare l’astratta possibilità che le
buste in questione siano state manomesse. Il
supporto normativo di tale indirizzo si
rinviene nell’art. 78 del D.Lgs. 163/2006
il quale, nell’indicare gli elementi che non
possono essere omessi nella redazione del
verbale, non menziona le operazioni di
custodia della documentazione di gara (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V – 07/07/2011 n.
4055).
Recentemente è stato elaborato un
orientamento intermedio (cfr. TAR
Piemonte, sez. I – 06/04/2011 n. 651) secondo
cui la mera omessa verbalizzazione delle
precauzioni assunte non è idonea in sé ad
inficiare la procedura laddove il concreto
andamento della medesima (ad esempio il
trascorrere di un anomalo lasso di tempo tra
una seduta e l’altra) ovvero ulteriori
elementi non inducano a dubitare della
corretta conservazione dei plichi.
---------------
Con ulteriore doglianza parte ricorrente
lamenta la violazione dell’art. 84 commi 2,
4, 8 e dell’art. 206 del D.Lgs. 163/2006 in
quanto ai lavori della Commissione –composta dal responsabile dell’Area Affari
Generali quale Presidente, da ...
(altro membro interno), da ... come componente esterno e dal
segretario (istruttore amministrativo
dipendente)– ha assistito indebitamente il
consulente Ing. ..., incaricato di
predisporre la documentazione di gara: il
consesso è stato in tal modo esautorato, e
all’obiezione per cui egli avrebbe fornito
solo dati tecnici Condotte Nord replica che
in tal modo si ammette l’impreparazione dei
componenti.
La doglianza è fondata.
Il Collegio ritiene di rimeditare i
propri precedenti e le conclusioni
sommariamente raggiunte in sede cautelare,
anche in ragione dei recenti arresti dei
giudici d’appello.
L’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006
stabilisce che i Commissari diversi dal
Presidente, non devono aver svolto, né
possono svolgere, alcun’altra funzione o
incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta.
Non può sostenersi che l’applicabilità di
tale disposizione è esclusa in quanto nel
caso di specie non si verte in tema di
appalto di lavori, servizi e forniture, ma
di una concessione di pubblico servizio,
giacché nella determinazione di nomina della
Commissione (doc. 9 ricorrente) l’art. 84
del predetto D.Lgs. è espressamente
richiamato e l’Ente procedente si è così
vincolato alla sua osservanza.
Il verbale del 15/02/2011 dà atto che
l’Ing. ... assiste alle procedure di
gara “in qualità di consulente tecnico
incaricato della predisposizione della
documentazione tecnica utilizzata nella
procedura di gara e di tutte le altre
incombenze inerenti l’affidamento a terzi
della gestione della rete metanifera”. Ne
deriva che, nonostante il riferimento
nominalistico alla veste di consulente, il
suddetto Ing. ... ha partecipato
continuativamente all’unica riunione della
Commissione, non limitandosi a fornire un
occasionale supporto tecnico eb externo ma
verosimilmente (alla luce dello stabile
affiancamento degli altri componenti)
contribuendo in modo pieno ed organico alla
formazione del processo decisionale ed alla
conseguente assunzione delle determinazioni
dell’organo collegiale.
Il Consiglio di
Stato (cfr. sez. V – 16/03/2011 n. 1628) in
proposito ha richiamato il canone
ermeneutico che impone di annettere
rilevanza, in sede qualificatoria, al dato
sostanziale a preferenza della veste
formale, e di fatto l’Ing. ... ha agito
accanto agli altri membri della Commissione
anche nell’adunanza riservata: per la sua
peculiare condizione di aver prestato
attività fondamentale nella fase di
preparazione della gara il predetto soggetto
si trovava in una situazione di
incompatibilità, e non poteva essere membro
di fatto (né “assistente” in via
continuativa) della Commissione di gara
(Consiglio di Stato, sez. V – 25/07/2011 n.
4450).
Le regole poste dall’art. 84 del
Codice dei contratti pubblici in ordine ai
criteri di scelta dei componenti della
Commissione ed alla composizione complessiva
dell’organo collegiale, laddove impongono il
ricorso a professionalità tecnicamente
attrezzate, sarebbero tra l’altro con
evidenza eluse se si consentisse
l’attribuzione ad un soggetto esterno di
compiti decisionali determinanti in sede di
valutazione delle offerte tecniche, tali da
esautorare la Commissione nell’espletamento
di un compito di sua pertinenza.
---------------
Condotte Nord deduce la violazione
dell’art. 84 del D.Lgs. 163/2006 sotto
altro profilo, poiché non si è dato conto
del rispetto delle norme per la selezione
dei Commissari interni (si attesta la sola
qualifica), e del membro esterno, per il
quale occorreva certificare l’assenza in
organico di professionalità adeguate (doc.
9).
La doglianza, nella parte riguardante
l’esperto esterno, è fondata.
Come già evidenziato al punto 3.1 la
disposizione invocata è stata esplicitamente
recepita nella determinazione di nomina
della Commissione e l’amministrazione si è
vincolata alla sua osservanza, in disparte
la questione della diretta applicazione alle
fattispecie di concessione di pubblico
servizio.
Nel merito, malgrado il provvedimento di
nomina del 15/02/2011 dia conto
dell’esperienza maturata dal soggetto
prescelto (circostanza messa in luce
nell’ordinanza cautelare), lo stesso non
racchiude considerazioni (né risulta alcuna
attività in tal senso) sul fatto che
all’interno della stazione appaltante non
sono state individuate professionalità
adeguate ai compiti dell’organo ausiliario e
neppure sulla necessità di rivolgersi al
Consiglio dell’Ordine per chiedere un elenco
di candidati con almeno 10 anni di
anzianità, nel cui ambito scegliere il
professionista membro dell’organo
collegiale: (cfr. TAR Lazio-Roma, sez. II-ter – 27/05/2011 n. 4810). L’assenza di
elementi attestanti l’accertamento della
carenza in organico di adeguate
professionalità, e l’omessa menzione di
oggettive e comprovate esigenze che
giustifichino la nomina (quale figura
tecnica appropriata) del geom. ...
integrano la violazione dell’art. 84, comma 8,
del D.Lgs. 163/2006 per difetto di
motivazione (Consiglio di Stato, sez. V –
17/01/2011 n. 224).
L’attribuzione agli Ordini del compito di
individuare, secondo criteri trasparenti
imperniati sulla competenza, le rose di
professionisti, appare coerente con le
funzioni di tali soggetti, ispirandosi a
canoni comunitari di trasparenza ed
efficienza che regolano la materia dei
contratti pubblici
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 30.11.2011 n. 1673 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’atto
con il quale viene disposto l’incameramento
della cauzione presenta profili di autonomia
rispetto al provvedimento di esclusione
dalla gara: a differenza del primo,
quest’ultimo può risultare, in concreto, non
lesivo dell’interesse della parte, per cui
la mancanza o l’inammissibilità
dell’impugnazione dell’atto di esclusione
può valere soltanto a rendere definitiva la
mancata ammissione alla gara della Società
interessata, senza che a questa sia precluso
il diritto di contestare l’incameramento
della cauzione o di far valere le proprie
ragioni innanzi all’Autorità.
Parte ricorrente deduce la violazione ed
erronea applicazione dell’art. 48 del D.Lgs.
163/2006, dei canoni di correttezza e leale
collaborazione, dato che il ritiro –avvenuto prima della scadenza del termine
(10 giorni) per il deposito dei documenti–
ha natura di revoca della proposta
contrattuale, e l’escussione della cauzione
è prevista dalla legge soltanto per il caso
di mancata sottoscrizione del contratto dopo
la conseguita aggiudicazione.
Sostiene in
particolare il Consorzio che:
• l’irrevocabilità della proposta garantisce
la serietà dell’offerta fino al momento
della stipulazione del contratto, mentre il
ritiro dalla competizione può al limite
esporre l’impresa ad un’azione di
responsabilità precontrattuale, con l’onere
di dimostrare il danno (nella specie
insussistente);
• si tratta di abbandono innocuo ed in tal
caso il Codice dei contratti non commina
direttamente sanzioni;
• il metodo dell’offerta economicamente più
vantaggiosa e l’importo contrattuale
escludevano il rischio di “cordate” ed altri
accordi fraudolenti;
• non si tratta di una misura tipizzata, e
la natura sanzionatoria dell’art. 48 impone
una lettura in termini di stretta
interpretazione (dunque l’applicazione non
può intervenire per offerte non più in
gara);
• in ogni caso il principio di buona fede e
di leale collaborazione avrebbe dovuto
indurre l’amministrazione –ricevuta la
comunicazione dell’abbandono della
competizione– ad avvisare con tempestività
del rischio delle gravi misure sanzionatorie
poi applicate; in buona sostanza la
ricorrente doveva essere edotta dell’obbligo
di inoltrare “in ogni caso” la
documentazione anche dopo essersi ritirata
con nota 12/05/2011.
La doglianza è fondata.
La norma di riferimento è l’art. 48 del D.Lgs. 163/2006, la quale (rubricata
“Controlli sul possesso dei requisiti”)
statuisce al comma 1 che “Le stazioni
appaltanti prima di procedere all’apertura
delle buste delle offerte presentate,
richiedono … di comprovare, entro dieci
giorni dalla data della richiesta medesima,
il possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. … Quando tale prova
non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni
appaltanti procedono all'esclusione del
concorrente dalla gara, all’escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'art. 6, comma 11.
L’Autorità dispone altresì la sospensione da
uno a dodici mesi dalla partecipazione alle
procedure di affidamento”.
Va anzitutto premesso che l’atto con il
quale viene disposto l’incameramento della
cauzione presenta profili di autonomia
rispetto al provvedimento di esclusione
dalla gara: a differenza del primo,
quest’ultimo può risultare, in concreto, non
lesivo dell’interesse della parte, per cui
la mancanza o l’inammissibilità
dell’impugnazione dell’atto di esclusione
può valere soltanto a rendere definitiva la
mancata ammissione alla gara della Società
interessata, senza che a questa sia precluso
il diritto di contestare l’incameramento
della cauzione o di far valere le proprie
ragioni innanzi all’Autorità (cfr. Consiglio
di Stato, sez. VI – 18/05/2001 n. 2780).
Ad ogni modo la riferita disposizione
risponde alla ratio di consentire la
sollecita definizione del procedimento
selettivo –anche per evitare che
determinate offerte influenzino la
(eventuale) fase di individuazione della
soglia di anomalia– mentre l’impresa
destinataria della richiesta può rimanere
inerte, ovvero attivarsi senza riuscire a
rispettare il termine indicato. In tal caso
il legislatore ha ritenuto prevalenti –rispetto alla posizione soggettiva del
concorrente coinvolto nella fase di verifica– le esigenze correlate ai principi di
speditezza e buon andamento
dell’amministrazione e di par condicio dei
partecipanti alla gara, per cui l’impresa
inadempiente deve essere senz’altro esclusa.
A diverse conclusioni la giurisprudenza
(cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. III –
01/12/2003 n. 5457) è pervenuta con riguardo
alla cauzione, sostenendo che questa
rappresenta una garanzia legata alla serietà
e all’affidabilità dell’offerta e che la
misura dell’incameramento non comporta
conseguenze dirette in ordine
all’accelerazione della procedura e
all’esigenza di evitare che determinate
offerte influenzino la fase di
individuazione della soglia di anomalia: ciò
ha indotto a valorizzare le circostanze che
hanno determinato il mancato rispetto del
termine e la non imputabilità del ritardo o
dell’omissione alla sua condotta.
La
necessità di valutare dette circostanze, al
fine di attenuare gli effetti del descritto
automatismo, risponde all’esigenza di
offrire una lettura della norma non
contrastante con i principi di
ragionevolezza e di proporzionalità cui
l’azione amministrativa deve essere
necessariamente ispirata (e detto
ragionamento vale ovviamente anche per la
segnalazione del fatto all’Autorità). Il
principio di proporzionalità
nell’applicazione delle sanzioni (cfr. per
una recente applicazione TAR Lombardia
Milano, sez. III – 20/07/2010 n. 3246) –che
costituisce regola fondamentale
dell'ordinamento giuridico sia interno che
comunitario– non consente di considerare
allo stesso modo (con conseguente
applicazione della medesima sanzione) fatti
aventi disvalore obiettivamente diverso,
quali il non possedere i requisiti
dichiarati in sede di offerta per la
partecipazione alla gara, il documentare con
ritardo requisiti effettivamente esistenti,
o il documentare i medesimi in modo ritenuto
insufficiente dall’amministrazione.
In definitiva la disposizione in esame non
impedisce al concorrente –che sia
effettivamente in possesso dei requisiti
dichiarati– di produrli anche
successivamente al termine di scadenza per
l’adozione del provvedimento di esclusione,
integrando la documentazione presentata e
dando prova della sua buona fede al fine di
richiedere il ritiro del provvedimento
sanzionatorio e la restituzione della
cauzione eventualmente già incamerata dalla
stazione appaltante (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 30.11.2011 n. 1672 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’enunciazione dei criteri di
valutazione deve precedere il giudizio della
commissione.
È incompatibile con il principio di
trasparenza ed imparzialità nella gestione
della procedura di gara la totale mancata
individuazione previa del peso ponderale dei
criteri valutativi dell’offerta tecnica. La
parte ricorrente in questa circostanza,
lamentava che il suddetto peso ponderale non
fosse indicato non solo nel bando ma in
nessun momento della procedura.
Ma in relazione a procedure di gara alle
quali non trovano puntuale applicazione le
direttive appalti ma solo i generali
principi comunitari di evidenza pubblica, la
giurisprudenza comunitaria ha talvolta
puntualizzato che non è ricavabile da detti
principi un onere dell’amministrazione di
comunicare ai concorrenti i pesi ponderali
dei criteri di valutazione prima della
scadenza del termine per presentare la
domanda di partecipazione. In questa
vicenda, tuttavia, la mancata individuazione
dei pesi ponderali da attribuirsi ai criteri
di aggiudicazione è proseguita ben oltre il
bando e per tutta la procedura.
In tal caso, i giudici del Tribunale
amministrativo di Torino ricordano che la
giurisprudenza comunitaria è compatta nel
ritenere che, anche se non necessariamente
nel bando, sussiste per ogni procedura di
evidenza pubblica un onere di definizione
previa dei pesi ponderali dettati per i
criteri di valutazione (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.11.2011 n. 1260 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pagamento di una fattura emessa da una ditta
dichiarata fallita.
Domanda.
La scrivente Amministrazione Comunale deve
provvedere su istanza del Curatore
Fallimentare al pagamento di una fattura
emessa da una ditta dichiarata fallita a
seguito di sentenza del Tribunale.
Lo stesso
Curatore chiede che il pagamento sia
effettuato mediante emissione di assegno
circolare non trasferibile così intestato:
"Fallimento ditta XXX". Ciò premesso,
considerata la natura speciale della
procedura, si chiede di conoscere quanto
segue:
1) Se sia legittimo il pagamento nella forma
richiesta dal Curatore (assegno circolare
non trasferibile);
2) Se il
pagamento in oggetto rientri nell'alveo di
applicazione della Legge 136/2011 sulla
tracciabilità dei flussi finanziari, con
obbligo di indicazione nel mandato di
pagamento del Cig, Cup e conto corrente
dedicato;
3) Se la scrivente Amministrazione
debba procedere alle verifiche di regolarità
contributiva DURC ed eventualmente, se
l'ordinativo di pagamento supera euro
10.000,00, anche a quelle di cui all'art.
48-bis del D.P.R. 602/1973.
Risposta.
Per quanto riguarda la tracciabilità degli
flussi finanziari tale strumento,
disciplinato principalmente dall'art. 3 e
dall'art. 6 della legge n. 136 del 13.08.2010, non prevede deroghe per società
fallite. Le norme sulla tracciabilità dei
flussi finanziari si applicano in tutti i
casi in cui sia stipulato un contratto
d'appalto pubblico tra operatore economico e
mittente pubblico ad eccezione dei casi
previsti dalla legge e richiamati nella
Determinazione del 07.07.2011
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (ad
es. contratti ex art. 25 del Codice).
Gli obblighi si articolano in tre
adempimenti da lei elencati: utilizzo di
conti correnti bancari o postali dedicati
alle commesse pubbliche, anche in via non
esclusiva; effettuazione dei movimenti
finanziari con strumenti di pagamento idonei
a consentire la piena tracciabilità delle
operazioni; indicazione, ad ogni
transazione, del codice identificativo di
gara (CIG), ove obbligatorio ai sensi
dell'art. 11 della legge 16.01.2003,
del codice unico di progetto (CUP). Pertanto
non ne ammissibile effettuare il pagamento
con un assegno circolare non trasferibile in
quanto tale strumento non assicura la piena
tracciabilità dell'operazione e non è
annoverato tra strumenti ammissibili nella
suddetta Determinazione dell'Autorità.
A titolo di completezza corre l'urgenza di
segnalare che, ai fini del semplice test di
legittimità, tale forma di pagamento non può
essere in alcun modo considerata illegittima
in senso generale, ma solo nei confronti di
soggetto appartenente alla PA (in altre
parole, vige una sorte di illegittimità
limitata in senso soggettivo).
Con riferimento alla verifica DURC ed agli
obblighi di cui all'art. 48-bis del D.P.R.
602/1973, attuato con il D.M. del 18.01.2008, non sono previsti esoneri per società
dichiarate fallite: pertanto la Sua
Amministrazione Pubblica verificherà -anche
in via telematica- se la società soggetta a
procedura concorsuale è inadempiente
rispetto alla notifica di una o più cartelle
per un ammontare complessivo superiore a
tale importo (30.11.2011 - tratto da
link a www.ipsoa.it). |
APPALTI: Nella
lex specialis la stazione appaltante deve
predeterminare i criteri e i sub-criteri di
valutazione nonché il loro specifico peso.
La lex specialis deve consentire ai
concorrenti di conoscere preventivamente la
rilevanza, in termini di punteggio, di
ciascun sub-criterio onde evitare di
precludere di fatto, agli operatori
economici interessati, di predisporre
l’offerta in modo da valorizzare quegli
aspetti tecnico-qualitativi cui la stazione
appaltante intendeva riconoscere maggiore
rilevanza.
Il d.l.vo n. 152/2008 (terzo decreto
correttivo del codice dei contratti
pubblici), in adesione al parere espresso
dalla Adunanza Consultiva del Consiglio di
Stato del 14.07.2008, ha espunto dall’art.
83, comma 4, del codice, l’inciso secondo
cui ”... la commissione giudicatrice
prima della apertura delle buste contenenti
le offerte fissa in generale i criteri
motivazionali cui si atterrà per attribuire
a ciascun criterio e sub-criterio di
valutazione il punteggio tra il minimo e il
massimo prestabiliti dal bando”.
La modifica normativa conferma, quindi, che
il giudizio espresso dalla commissione di
gara deve trovare il suo substrato nella
puntuale e rigorosa predeterminazione di
criteri e sub-criteri di valutazione nonché
del loro specifico peso ponderale da parte
della stazione appaltante in sede di
preventiva redazione della lex specialis.
Né assume rilevo la circostanza che la
commissione di gara tenti di sopperire
all’incontestabile mancata indicazione nella
lex specialis di sub-pesi o
sub-punteggi attraverso una relazione posta
in calce ai verbali di gara.
Tale modus operandi si configura,
infatti, come il tentativo della commissione
di sanare in via postuma la illegittimità in
cui era incorsa la stazione appaltante
all’atto della redazione della lex
specialis e giammai tale motivazione
postuma può considerarsi surrogatoria della
mancata prefissione di precisi criteri di
valutazione
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 29.11.2011 n. 6306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Commissione
di gara - Competenza tecnica - Valutazione
di adeguatezza - Non implica esperienze
specifiche in capo ad ogni commissario -
Necessità di una valutazione dell'organo nel
suo complesso.
Il giudizio di adeguatezza della Commissione
sotto lo specifico profilo della competenza
tecnica necessaria, come la giurisprudenza
ha avuto modo di rilevare, non implica che
ciascun Commissario debba possedere tutte le
cognizioni rilevanti in relazione allo
specifico oggetto dell'appalto, ma che tale
competenza debba risultare dall'insieme
delle esperienze di ciascun componente e
come tale riferibile all'organo nel suo
complesso
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.11.2011 n.
2952 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: OGGETTO: richiesta di parere sull’accessibilità di
informazioni relative alla
certificazione antimafia ai sensi del d.lgs. n 490/1994 e
DPR n 252/1998.
La Prefettura in indirizzo ha rappresentato che -a seguito
della richiesta di
certificazione antimafia da parte di un’autorità portuale-
aveva interdetto (ex art. 10
DPR n. 252/1998 e art. 4 d.lgs. n. 490/1994) dai rapporti con
la p.a. una ditta individuale
il cui titolare era amministratore unico di un consorzio
stabile di cui facevano parte due
soggetti contigui alla criminalità organizzata. Rilasciata
copia dell’informativa
antimafia (con mascheramento dei nominativi dei soci del
consorzio), la Prefettura
aveva ricevuto dal titolare della ditta un’istanza di
accesso per conoscere l’identità dei
soci consorziati appartenenti al sodalizio mafioso, al fine
di provvedere alla loro
immediata esclusione.
Tanto premesso, l’amministrazione ha chiesto di conoscere se
il principio di
inaccessibilità degli atti rientranti nelle categorie
indicate dall’art. 3 del D.M. n.
415/1994 a tutela della prevenzione e repressione della
criminalità organizzata debba o
meno ritenersi prevalente rispetto al diritto di accesso a
fini di difesa ai sensi dell'art. 24,
co. 7, legge n. 241/1990.
La Commissione ritiene di dover preliminarmente richiamare
sinteticamente il
quadro normativo di riferimento.
L'art. 24 della legge n. 241/1990 prevede una serie di
esclusioni all'esercizio del
diritto di accesso, alcune obbligatorie, precisamente quelle
elencate al comma 1, altre
facoltative e da individuare con regolamenti, in riferimento
agli interessi elencati al
comma 6. Il successivo comma 7 dispone che "deve comunque
essere garantito ai
richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per
curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel
caso di documenti contenenti dati
sensibili o giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in
cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del
decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di
salute la vita sessuale".
Tale ultimo disposto non pare riferibile a tutti i casi di
esclusione dell'accesso
previsti dalla normativa vigente, e in particolare a quelli
previsti dall’art 3 del D.M. 10.05.1994 n. 415 (modificato con il D.M. 17.11.1997
n. 508) che alla lett. b),
per quanto qui rileva, sottrae all’accesso "relazioni di
servizio, informazioni ed altri atti
o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relative a
licenze, concessioni od
autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti
di competenza di autorità
o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso
amministrativo, che contengono
notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la
sicurezza pubblica e all'attività
di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che,
per disposizione di legge o di
regolamento, ne siano previste particolari forme di
pubblicità o debbano essere uniti a
provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".
Infatti, se, prima facie, l’art. 24, co. 7, sembra riferito a
tutti gli interessi indicati
nel comma 6 (e nel comma 1) della citata disposizione,
tuttavia è significativo che esso
preveda alcune eccezioni al generale principio di
accessibilità dei documenti “riservati”,
qualora il richiedente ne abbia necessità per difendersi in
giudizio, laddove negli stessi siano presenti altrui
informazioni personali qualificabili come dati sensibili o
giudiziari,
con una tutela particolarmente accentuata per quelli idonei
a rivelare l'altrui stato di
salute o vita sessuale.
In tale ottica, la norma in questione è “figlia” del vecchio
testo dell'art. 24, co. 2,
lett. d), della legge n 241/1990 che escludeva l'accesso nei
casi, previsti da regolamento,
in cui risultasse necessario tutelare la "riservatezza di
terzi, persone, gruppi ed imprese,
garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti
relativi ai procedimenti
amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare
o per difendere i loro
interessi giuridici".
La ratio della norma era quella di contemperare l'esercizio
dell'accesso a fini di
difesa con la tutela della riservatezza dei terzi,
bilanciando la posizione dell’accedente
con uno solo degli interessi contrapposti (appunto la
riservatezza): non era invece
riferibile agli altri interessi, la cui salvaguardia poteva
giustificare il diniego
dell'accesso. Ciò induce a ritenere che anche il nuovo comma
7 dell'art. 24, legge
241/1990 (modificato dall’art. 16 della legge n. 15/2005) sia
riferibile solo ai conflitti tra
diritto d'accesso a fini di difesa e tutela della
riservatezza, e non sia invece destinato a
risolvere situazioni nelle quali il primo confligga con gli
altri interessi elencati al
comma 6 (o comma 1) dell'art. 24. Si noti, in tal senso,
anche la relazione di
accompagnamento alla legge n. 15/2005, modificativa della
legge 241/1990, che riferisce il
nuovo comma 7 dell'art. 24 unicamente all'esigenza di
tutelare la riservatezza dei terzi.
D’altro canto, se così non fosse, l’art. 24, comma 7, si
esporrebbe a censure di
incostituzionalità in quanto garantirebbe maggiormente la
riservatezza delle persone -che può costituire un limite all'accesso ove i documenti
richiesti contengano dati
sensibili o giudiziari di terzi- mentre non riserverebbe
un'eguale protezione ai pur
preminenti interessi alla tutela dell'ordine pubblico e
della prevenzione e repressione
della criminalità, non essendo previsti analoghi limiti
all’accesso. Non si
giustificherebbe però il differente trattamento riservato
alla tutela della riservatezza
rispetto agli altri interessi della prevenzione della
criminalità. Anche tali interessi,
infatti, assumono preminente rilevanza costituzionale e
dunque debbono trovare analoga
tutela legislativa rispetto alla riservatezza.
Alla luce di quanto sopra, la Commissione ritiene che, alla
stregua di
un'interpretazione costituzionalmente orientata del nuovo
testo dell'art. 24, comma 7,
legge n. 241/1990, siffatta disposizione debba ritenersi
applicabile unicamente alla
risoluzione dei conflitti tra diritto di accesso e tutela
della riservatezza altrui.
Pertanto,
non venendo nella fattispecie in rilievo un conflitto di tal
genere, essendo i dati sottratti
all’accesso motivati dalla esigenza di tutela dell'ordine e
della sicurezza pubblica o della
prevenzione e repressione della criminalità, si ritiene che
i nominativi richiesti
dall’istante non siano conoscibili, quand’anche il
richiedente ne abbia necessità per
difendere i propri interessi giuridici
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 29.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
APPALTI:
OGGETTO: Richiesta di parere concernente il diritto di
accesso ai documenti
relativi a gara telematica per appalto del servizio di
manovalanza relativo ai trasporti per
esigenze del Ministero della Difesa.
Il Ministero istante riferisce che, dopo aver indetto una
gara d’appalto per il
servizio di manovalanza connesso ai trasporti relativi ad
esigenze centrali e periferiche
ministeriali, un consorzio stabile, classificatosi al
secondo posto nella graduatoria della
pubblica gara citata in oggetto, aveva richiesto di accedere
ai sensi della legge
n. 241/1990 a tutti gli atti di gara, ivi compresi quelli
relativi all’offerta di una
cooperativa risultata aggiudicataria dell’appalto, al fine
di verificare il possesso da parte
di quest’ultima dei requisiti di partecipazione ed
eventualmente di valutare ipotesi di
invalidità del contratto d’appalto ormai stipulato.
L’amministrazione istante precisa che
l’aggiudicataria controinteressata aveva espresso la propria
opposizione all’accesso ad
atti contenenti dati sensibili e riservati (relativi a
contratti, progetti base ed altre
informazioni concernenti il know how aziendale).
L’amministrazione, esprimendo dubbi sull’utilità
dell’istanza di accesso, in
quanto sarebbero decorsi i termini per impugnare
l’aggiudicazione definitiva e
difetterebbe la legittimazione dell’impresa partecipante,
non aggiudicataria ad intentare
azione di annullamento del contratto, chiede a questa
Commissione se debba prevalere
il principio di trasparenza amministrativa ovvero se
l’accesso vada negato essendo
finalizzato ad un controllo generalizzato sull’operato della
p.a., tenuto anche conto della
motivata opposizione del controinteressato per esigenze di
riservatezza a tutela di
segreti industriali.
Il primo tema al quale il Ministero ha fatto cenno nella
richiesta di parere è
precisamente quello dell’utilità dell’accesso ai documenti
richiesti. Univoca è la
giurisprudenza del G.A., alla quale anche questa Commissione
si è uniformata, secondo
cui l’Amministrazione, in sede di esame della istanza di
accesso, non deve svolgere
nessun apprezzamento sull’utilità di detto accesso, ovvero
in ordine alla fondatezza o
alla ammissibilità della domanda che si intenda proporre a
difesa della propria posizione
posta a base della relativa istanza (cfr., Cons. Stato, sez.
IV, 15.11.2004 n. 7349).
Il secondo tema riguarda il “contemperamento” fra
l’esercizio del diritto
all’accesso e la tutela della riservatezza. Anche in tal
caso, è costante nella
giurisprudenza amministrativa il principio generale secondo
cui il diritto d’accesso ai
documenti amministrativi prevale sull’esigenza di
riservatezza del terzo, ogniqualvolta
l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di
interessi giuridici del richiedente (fra
le molte, cfr. Cons. Stato, sez. VI 26.04.2005 n. 1896). Con
particolare riguardo al caso
in esame, l’articolo 13, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006
stabilisce che, anche in caso di
segreti industriali o commerciali "è comunque consentito
l'accesso al concorrente che lo
chieda in vista della difesa in giudizio dei propri
interessi in relazione alla procedura di
affidamento del contratto nell'ambito della quale viene
formulata la richiesta di
accesso".
Seppur in astratto non paiono configurabili
segreti di sorta, tenuto conto della
natura del servizio appaltato (servizio di manovalanza
connessa a trasporti), tuttavia, al più, l'Amministrazione
potrà intervenire con opportuni accorgimenti (cancellature o
omissis) in relazione alle eventuali parti dell'offerta
idonee a rivelare i segreti industriali
a condizione che queste ultime "non siano state in alcun
modo prese in considerazione
in sede di gara" (Consiglio Stato, sez. VI, 07.06.2006,
n. 3418 e Consiglio Stato,
sez. VI, 20.04.2006, n. 2223)
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 29.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi di Igiene Ambientale,
l'avvicendamento di imprese nella gestione
di appalti.
Domanda.
In caso di gara per Servizi di Igiene
Ambientale l'obbligo per l'aggiudicatario di
assumere il personale della ditta uscente
previsto dal Contratto Collettivo Nazionale,
comporta anche l'obbligo di rispettare il
tipo di contratto in corso, per cui se i
lavoratori da assorbire sono assunti a tempo
pieno non è possibile proporre nel progetto
offerta la loro assunzione part-time?
Risposta.
Il tema dell'avvicendamento di imprese nella
gestione di appalti per l'espletamento dei
Servizi di Igiene Ambientale viene
compiutamente disciplinato dall'art. 6 del
C.C.N.L. di settore.
Ivi si legge testualmente come: "L'impresa
subentrante assume "ex novo", senza
effettuazione del periodo di prova, tutto il
personale in forza a tempo indeterminato
-ivi compreso quello in aspettativa ai sensi
dell'art. 31 della legge n. 300/1970 nonché
quello di cui all'art. 59, lettera c), del
vigente C.C.N.L.- addetto in via ordinaria
allo specifico appalto/affidamento che
risulti in forza presso l'azienda cessante
nel periodo dei 240 giorni precedenti
l'inizio della nuova gestione in
appalto/affidamento previsto dal bando di
gara e alla scadenza effettiva del contratto
di appalto".
La possibilità di assumere il personale in
forza alla vecchia gestione prevedendo una
diversa tipologia contrattuale, ovvero
prevedendo un mutamento delle modalità di
svolgimento dell'attività lavorativa
segnatamente all'orario di lavoro, quindi in
concreto attuando una trasformazione da
contratto di lavoro a tempo pieno a quello a
tempo parziale appare di dubbia fattibilità.
Occorre infatti verificare se il nuovo
appalto risulta sostanzialmente differente o
meno da quello precedentemente in atto in
quanto a termini, modalità e prestazioni
contrattuali.
Nella prima ipotesi, visto l'oggettivo
mutamento delle condizioni di fornitura
apparirebbe anche plausibile una
trasformazione delle modalità di svolgimento
dell'attività lavorativa, dovuta alle mutate
esigenze tecnico-organizzative di esecuzione
di un appalto sostanzialmente diverso da
quello per cui i lavoratori erano assunti
con l'azienda cessante.
Nel secondo caso, ovvero qualora ci siano le
medesime condizioni di fornitura applicate
già dalla ditta cessante, appare sicuramente
improponibile un mutamento dei contratti di
lavoro in fase di assunzione "ex novo",
in ottemperanza a quanto stabilito dall'art.
6 e dal successivo art. 10 del C.C.N.L. di
settore.
Quest'ultimo prevede infatti come: "La
trasformazione del rapporto di lavoro da
tempo pieno a tempo parziale e viceversa
deve avvenire con il consenso delle parti,
le quali possono stabilire le condizioni per
il ripristino del rapporto originario. Tale
consenso deve risultare da atto scritto,
convalidato dalla Direzione provinciale del
lavoro competente per territorio".
Pertanto una volta assunti i lavoratori a
tempo pieno, così come provenienti
dall'azienda cessante, sarà nel caso
possibile avviare tali consultazioni tese
alla modifica dell'orario di lavoro, con la
possibilità in capo agli stessi lavoratori
di opporre validamente un rifiuto
insindacabile (28.11.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Requisiti di gara: la
dichiarazione poco chiara è un falso
innocuo.
Chi partecipa a una gara
e ha tutti i requisiti richiesti e la lex
specialis non prevede espressamente la
sanzione dell'esonero in caso di mancata
osservanza delle puntuali prescrizioni su
modalità e oggetto delle dichiarazioni da
fornire, non può essere escluso. L’omissione
infatti non danneggia gli interessi
presidiati dalla legge e pertanto può essere
considerata un'ipotesi di falso innocuo che,
come tale, non può provocare, in assenza di
una chiara regola legislativa o
dell’indicazione del bando, l'esclusione, le
cui ipotesi sono invece tassative.
Il principio è stato espresso dal Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 24.11.2011 n. 6240.
Secondo i giudici se non sussistono
esplicite previsioni escludenti in base alla
lex specialis, occorre richiamarsi a
una valutazione sostanzialistica della
sussistenza delle cause di esclusione,
considerando che il primo comma
dell'articolo 38 del Dlgs n. 163 del 2006
ricollega l'esclusione dalla gara al dato
sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il comma
successivo comma non prevede analoga
sanzione in caso di mancata o non chiara
dichiarazione resa in tal senso.
Per questo motivo, solo l'insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dal citato articolo 38 implica “ope legis”
l'effetto espulsivo (commento tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, sull'assunto che tutti progettisti da
esso indicati non avevano reso, per proprio
conto, la dichiarazione di assoggettamento
all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, è doveroso, in difetto di
esplicite previsioni escludenti in base alla
lex specialis, effettuare una
valutazione sostanzialistica circa la
sussistenza delle cause di esclusione, ciò
in considerazione del fatto che, l'art. 38,
c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, ricollega
l'esclusione dalla gara al dato sostanziale
del mancato possesso dei requisiti indicati,
mentre il secondo comma non prevede analoga
sanzione per l'ipotesi della mancata o non
perspicua dichiarazione. Da ciò discende che
solo l'insussistenza, in concreto, delle
cause di esclusione previste dalla citata
disposizione comporta, "ope legis",
l'effetto espulsivo.
Diversamente, allorquando il partecipante
sia in possesso di tutti i requisiti
richiesti, e la "lex specialis" non
preveda espressamente la sanzione
dell'esclusione a seguito della mancata
osservanza delle puntuali prescrizioni in
ordine a modalità ed'oggetto delle
dichiarazioni da fornire, l'omissione non
produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo al più
un'ipotesi di "falso innocuo", come
tale non suscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l'esclusione, le
cui ipotesi sono tassative.
Nel caso di specie, le dichiarazioni fornite
dai professionisti di cui trattasi possono
ritenersi caratterizzate da completezza e
veridicità, sufficienti a soddisfare le
esigenze che la norma che le prevede è tesa
a tutelare, atteso che con le stesse essi
avevano dichiarato di avere alle proprie
dipendenze un numero di dipendenti inferiore
a quello comportante l'obbligo di assunzione
di lavoratori diversamente abili, che
corrispondeva sostanzialmente alla
dichiarazione di non assoggettamento agli
obblighi di assunzione obbligatoria di cui
alla l. n. 68/1999, che era previsto dovesse
essere prodotta. Illegittimamente, quindi,
l'impresa concorrente è stata esclusa dalla
gara, sull'assunto che tutti progettisti
indicati dalla stessa per l'attività di
progettazione non avevano reso per proprio
conto la dichiarazione di assoggettamento
all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.11.2011 n. 6240 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità della nozione
di falso innocuo al fine di escludere la
rilevanza della falsità di eventuali
dichiarazioni non veritiere rese dai
soggetti partecipanti alle gare pubbliche.
La nozione di "falso innocuo" è
applicabile al fine di escludere la
rilevanza della falsità delle dichiarazioni
non veritiere rese dai soggetti partecipanti
alle gare pubbliche quando esso non abbia
prodotto alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla disposizione che impone di
attestare una determinata circostanza (sia
essa contenuta nella legge o nel bando) e
non abbia procurato all'impresa dichiarante
alcun vantaggio competitivo.
La ratio dell'art. 48, d.lgs. n. 163
del 2006 va individuata infatti nel
contemperamento del principio del libero
accesso alle gare, con la garanzia che vi
partecipino imprese affidabili; a tale fine,
il legislatore impone una campionatura a
sorteggio tesa a riscontrare il possesso, da
parte delle imprese, dei requisiti
dichiarati ai fini partecipativi; la
finalità è quella di responsabilizzare i
partecipanti e di escludere da subito i
soggetti privi delle richieste qualità
volute dal bando, che, per il solo fatto di
partecipare senza titolo, alterano, di per
sé, la gara quantomeno per un aggravio di
lavoro della commissione di gara, chiamato a
vagliare anche concorrenti inidonei, con le
relative questioni innescabili (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 24.11.2011 n. 6239 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: L’utilizzo
del fax costituisce modalità “ordinaria” di
scambio delle comunicazione tra le stazioni
appaltante e le imprese partecipanti alle
gare.
L'invio tramite fax del provvedimento
amministrativo rappresenta uno strumento
idoneo -in assenza di espresse prescrizioni
che dispongano altrimenti- a determinare la
piena conoscenza del provvedimento stesso,
in quanto il fax costituisce un sistema
basato su linee di trasmissione di dati e su
apparecchiature che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia -attraverso
il c.d rapporto di trasmissione- la
ricezione del messaggio in quello ricevente,
sicuramente atto a garantire l'effettività
della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono
in via generale una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche la
presunzione circa l'avvenuta ricezione,
senza che colui che dimostra di aver inviato
il messaggio debba fornire alcuna ulteriore
prova, salva l'eventuale prova contraria
concernente la funzionalità dell'apparecchio
ricevente fornita, secondo l'ordinaria
regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue
all’invio della comunicazione a mezzo fax
all’indirizzo corretto (accompagnata dal
rapporto di ricezione) non ha quindi natura
assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che
può solo concernere la funzionalità
dell'apparecchio ricevente; essa non può che
essere fornita da chi afferma la mancata
ricezione del messaggio.
Dunque, nel momento in cui il fax viene
trasmesso, e ciò risulti debitamente
documentato dal c.d. rapporto di
trasmissione, si forma una presunzione della
sua ricezione in capo al destinatario, il
quale può vincerla solo opponendo la mancata
funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità
deve essere offerta prova rigorosa non
potendo evidentemente darsi campo e
giustificazione a circostanze impeditive
opposte in modo generico e non seriamente
documentate.
Nel merito, stabilisce l’art. 77, comma 1,
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che tutte le
comunicazioni e tutti gli scambi di
informazioni tra stazioni appaltanti e
operatori economici possono avvenire, a
scelta delle stazioni appaltanti, mediante
posta, mediante fax, per via elettronica ai
sensi dei commi 5 e 6, per telefono nei casi
e alle condizioni di cui al comma 7, o
mediante una combinazione di tali mezzi. Il
mezzo o i mezzi di comunicazione prescelti
devono essere indicati nel bando o, ove
manchi il bando, nell'invito alla procedura.
La lettura contestuale dei commi che
compongono l’articolo consente di affermare
che l’utilizzo del fax costituisce modalità
“ordinaria” di scambio delle
comunicazione tra le stazioni appaltante e
le imprese partecipanti alle gare.
Secondo costante giurisprudenza, l'invio
tramite fax del provvedimento amministrativo
rappresenta uno strumento idoneo -in assenza
di espresse prescrizioni che dispongano
altrimenti- a determinare la piena
conoscenza del provvedimento stesso, in
quanto il fax costituisce un sistema basato
su linee di trasmissione di dati e su
apparecchiature che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia -attraverso
il c.d rapporto di trasmissione- la
ricezione del messaggio in quello ricevente,
sicuramente atto a garantire l'effettività
della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono
in via generale una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche la
presunzione circa l'avvenuta ricezione,
senza che colui che dimostra di aver inviato
il messaggio debba fornire alcuna ulteriore
prova, salva l'eventuale prova contraria
concernente la funzionalità dell'apparecchio
ricevente fornita, secondo l'ordinaria
regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue
all’invio della comunicazione a mezzo fax
all’indirizzo corretto (accompagnata dal
rapporto di ricezione) non ha quindi natura
assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che
può solo concernere la funzionalità
dell'apparecchio ricevente; essa non può che
essere fornita da chi afferma la mancata
ricezione del messaggio (es. Cons. di Stato
VI, 04.06.2007, n. 2951, che fa riferimento
a Cons. Stato, V, 24.04.2002, n. 2202).
Dunque, nel momento in cui il fax viene
trasmesso, e ciò risulti debitamente
documentato dal c.d. rapporto di
trasmissione, si forma una presunzione della
sua ricezione in capo al destinatario, il
quale può vincerla solo opponendo la mancata
funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità
deve essere offerta prova rigorosa non
potendo evidentemente darsi campo e
giustificazione a circostanze impeditive
opposte in modo generico e non seriamente
documentate.
In applicazione di quanto precede è evidente
che il principio secondo cui la
comunicazione mediante telefax rappresenta
strumento idoneo -in carenza di espresse
previsioni che dispongano altrimenti- a
determinare la piena conoscenza di un atto o
documento (principio che trae fondamento
nell’art. articolo 48 d.lgs. 07.03.2005, n.
82 e, in tema di documentazione
amministrativa, nel d.P.R. 28.12.2000, n.
445) non può essere vanificato da semplici
dichiarazioni del soggetto destinatario che
opponga tout court di non avere
ricevuto il fax (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.11.2011 n. 6208 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
LAVORI PUBBLICI: Sussiste
la necessità della relazione geologica anche
per i manufatti interrati.
L’onere della
relazione geologica sussiste già al momento
della progettazione definitiva.
Già il d.m. 11.03.1988 (Norme tecniche
riguardanti le indagini sui terreni e sulle
rocce, la stabilità dei pendii naturali e
delle scarpate, i criteri generali e le
prescrizioni per la progettazione,
l'esecuzione ed il collaudo delle opere di
sostegno delle terre e delle opere di
fondazione), in riferimento all'art. 1 l.
02.02.1974, n. 64 prevedeva la necessità
della relazione geologica per i manufatti
interrati.
Le successive norme (art. 25 d.P.R.
21.12.1999, n. 554; art. 16 l. 11.02.1994,
n. 109; art. 93 d.lgs. 12.04.2006, n. 163)
prevedono l’onere della relazione geologica
già al momento della progettazione
definitiva (cfr. Cons. Stato, VI,
23.09.2009, n. 5666, per cui la regola che
l'acquisizione della relazione geologica non
sia soggetta a valutazioni discrezionali, in
quanto obbligatoriamente prevista in
ciascuna fase della progettazione in zona
sismica, comporta l’illegittimità degli atti
anche se a fondamento della progettazione è
stato utilizzato un pregresso studio
geologico in possesso della stazione
appaltante).
Qui il progetto definitivo non era corredato
dalla necessaria relazione geologica (non è
tale il generico “studio geologico”
precedente), anche se l’opera interessa
un’area classificata sismica, attraversata
da un dislivello. Nessuna efficacia sanante
ha la circostanza, contra legem, che
la relazione si poi sopravvenuta ex post,
ed in una tale prospettiva nessun rilievo ha
il dato di mero fatto che le opere
realizzate le siano conformi.
Nemmeno nella procedura seguita dal comune
vi fu alcun accorpamento di fasi
procedimentali: l’amministrazione provvide
separatamente all’approvazione dei progetti
preliminare, definitivo ed esecutivo, e
ognuno di essi era regolato dalle specifiche
previsioni di legge
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.11.2011 n. 6207 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Concessioni
solo tramite gara.
Le amministrazioni locali devono procedere
con gara all'affidamento in concessione di
beni demaniali o del loro patrimonio
indisponibile, limitando al massimo le
soluzioni di prorogabilità del rapporto con
il concessionario uscente.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 21.11.2011 n. 6132, ha
analizzato il caso di un impianto sportivo
affidato in gestione a un'associazione che
riteneva di poter vantare un diritto di
insistenza sul bene, tale da comportare, per
l'amministrazione, il rinnovo come scelta
quasi obbligata.
Nella pronunzia viene
invece evidenziato come tale soluzione possa
essere esperita solo quando sia
contemporaneamente bandita una gara per
l'individuazione del concessionario cui
assegnare il bene, essendo le Pa
assoggettate all'obbligo di adottare
procedure a evidenza pubblica per
individuare il soggetto contraente. Tale
obbligo discende, per le concessioni dei
beni pubblici, dall'applicazione dei
principi traduttivi dell'articolo 81 del
Trattato Ue e dalle direttive comunitarie
sugli appalti, che richiedono
un'attribuzione mediante procedure
concorsuali, trasparenti, non
discriminatorie e tali da assicurare parità
di trattamento ai partecipanti.
Il Consiglio di Stato qualifica quindi il
rinnovo come soluzione volta a garantire la
gestione del bene in attesa
dell'individuazione del nuovo
concessionario, configurandolo
sostanzialmente come una proroga. In questa
prospettiva, il concessionario di un bene
demaniale non può vantare alcuna aspettativa
al rinnovo del rapporto.
Pertanto, un
eventuale diniego da parte
dell'amministrazione a una simile richiesta,
comunque esplicitato, nei limiti ordinari
della ragionevolezza e della logicità
dell'agire amministrativo, non necessita di
ulteriore motivazione, essendo parificabile
al rigetto di un'ordinaria istanza di
concessione. Inoltre, questa situazione non
implica alcun "diritto d'insistenza" qualora
l'amministrazione intenda procedere ad un
nuovo sistema d'affidamento mediante gara
pubblica o comunque procedura comparativa.
Il concessionario uscente, quindi, non vanta
alcun diritto speciale e non può essere
favorito in forza della sua posizione,
dovendo pertanto essere posto sullo stesso
piano di altri soggetti richiedenti lo
stesso titolo (come affermato dalla
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato).
La sentenza ha numerose implicazioni sul
piano operativo, proprio in ordine alla
gestione della procedura selettiva per la
nuova concessione. L'amministrazione,
infatti, dovrà verificare gli eventuali
investimenti effettuati dal concessionario
uscente per il corretto mantenimento del
bene, poiché i risultati degli interventi
realizzati diventeranno di sua proprietà
alla cessazione della concessione (se
interamente ammortizzati).
Per garantire la continuità di gestione del
bene l'amministrazione può comunque disporre
una limitata proroga, che deve essere
prevista come facoltà esercitabile già nel
bando di selezione originario.
Tale aspetto delle regole di rapporto tra
concessionario e concedente è stato
delineato quasi contemporaneamente dalla
Sez. VI dello stesso Consiglio di Stato, con
la
sentenza 24.11.2011 n. 6194,
nella quale è stato evidenziato come la
scelta per tale opzione debba essere
adeguatamente motivata, chiarendo le ragioni
per cui si è stabilito di discostarsi dal
principio generale della procedura selettiva
(articolo IL Sole 24
Ore del 05.12.2011 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Gare nella P.A., subappalti senza
''cascata'' (link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Spetta all'amministrazione e non
all'impresa partecipante ad una gara di
appalto il giudizio sull'eventuale gravità
delle eventuali condanne riportate.
L'art. 38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006,
limitandosi a fare riferimento alla
necessità di produrre un'attestazione che
documenti il "possesso dei requisiti",
ricollega il contenuto della dichiarazione
relativa alle condanne subite, direttamente
al precetto di cui all'art. 1, lett. c,
della medesima disposizione.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, spettando
all'amministrazione il giudizio
sull'eventuale gravità delle eventuali
condanne riportate, è comunque obbligo del
concorrente dichiarare tutti i pregiudizi
penali subiti, non spettando a quest'ultimo
effettuare valutazioni in ordine alla
gravità del reato ascrittogli o del
pregiudizio penale riportato, in quanto ciò
si risolverebbe nella possibile privazione,
in capo alla stazione appaltante, delle
conoscenze indispensabili per potere
delibare in ordine all'incidenza del
precedente riportato sulla moralità
professionale e sulla gravità del medesimo.
Detto approccio interpretativo, pienamente
conciliabile con il dato testuale contenuto
nella disposizione di legge in parola, ha il
pregio di non vanificarne la portata,
demandando al concorrente una delibazione
preventiva sulla "gravità" della
condanna. Tale delibazione compete alla
discrezionalità valutativa della stazione
appaltante, previa comunicazione alla
medesima della sussistenza del precedente
penale da valutare (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6153 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' obbligo del concorrente
dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti
non pertenendo a quest'ultimo effettuare
valutazioni in ordine alla gravità del reato
ascrittogli o del pregiudizio penale
riportato.
Deve ritenersi che le valutazioni in ordine
alla gravità delle condanne riportate dai
concorrenti ed alla loro incidenza sulla
moralità professionale spettano alla
Stazione appaltante e non al concorrente
medesimo, il quale è pertanto tenuto a
indicare tutte le condanne riportate, non
potendo operare a monte alcun «filtro»,
omettendo la dichiarazione di alcune di esse
sulla base di una selezione compiuta secondo
criteri personali. (Consiglio Stato, sez. IV,
10.02.2009, n. 740).
Spettando all’amministrazione il giudizio
sulla eventuale gravità delle eventuali
condanne riportate, è comunque obbligo del
concorrente dichiarare tutti i pregiudizi
penali subiti non pertenendo a quest’ultimo
effettuare valutazioni in ordine alla
gravità del reato ascrittogli o del
pregiudizio penale riportato perché ciò si
risolverebbe nella possibile privazione in
capo alla stazione appaltante delle
conoscenze indispensabili per potere
delibare in ordine alla incidenza del
precedente riportato sulla moralità
professionale e sulla gravità del medesimo.
Ne consegue che, in ipotesi di omessa
dichiarazione di condanne riportate è
legittimo il provvedimento d’esclusione non
dovendosi configurare in capo alla stazione
appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare
la gravità del precedente penale di cui è
stata omessa la dichiarazione e conseguendo
la statuizione espulsiva dalla omissione
della prescritta dichiarazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6153 -
link a www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI: 1. Opere strategiche - Normativa applicabile
- E' disciplina speciale - Differenze dal
procedimento ordinario - Possibilità di
partecipazione di soggetti privati - Non
sussiste.
2. Opere pubbliche - Valutazione di impatto
ambientale - Finalità - Realizzazione della
migliore mediazione possibile tra le
esigenze funzionali dell'opera e l'impatto
che la sua esecuzione effettivamente
produce.
3. Opere strategiche - Valutazione di
impatto ambientale - Oggetto della
valutazione - Progetto preliminare -
Conseguenze.
4. Opere strategiche - Valutazione di
impatto ambientale - Necessità di nuovo
procedimento di V.I.A. in sede di progetto
definitivo - Non sussiste.
1. Il procedimento delle opere strategiche,
disciplinato dalla normativa speciale -in
particolare art. 3, D.Lgs. n. 190/2002
dettato in attuazione della Legge 443/2001
per la realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi strategici di
interesse nazionale, norma poi abrogata
dall'art. 256, D.Lgs. 12.04.2006-
diverge significativamente dall'ordinario
procedimento, in quanto non è prevista
alcuna forma di partecipazione dei soggetti
privati; le maggiori differenze attengono,
poi, al progetto preliminare, che (i) deve
evidenziare tutta una serie di elementi
oltre a quanto previsto nell'art. 16 della
legge quadro, (ii) non è sottoposto a
conferenza di servizi, (iii) comporta
l'accertamento della compatibilità
ambientale, (iv) viene a comportare un
assoggettamento di tutti gli immobili in cui
è localizzata l'opera al vincolo preordinato
all'esproprio ai sensi dell'art. 10 D.P.R.
327/2001, con variazione automatica degli
strumenti urbanistici vigenti.
2. La valutazione dell'impatto ambientale,
quale prevista nelle indicate direttive
comunitarie n. 337/85 CEE e n. 11/97/CE e
dalla normativa interna di relativo
recepimento, è specificamente finalizzata
all'individuazione, descrizione e
quantificazione degli effetti che un
determinato progetto, opera o attività
potrebbero avere sull'ambiente: la procedura
tende ad accertare la sostenibilità
ambientale degli interventi, verificando,
per il singolo progetto, il suo inserimento
ottimale nel territorio e realizzando la
migliore mediazione possibile tra le
esigenze funzionali dell'opera e l'impatto
che la sua esecuzione effettivamente
produce.
3. Per le opere strategiche la VIA si svolge
sul progetto preliminare e non su quello
definitivo: è, quindi, nel primo livello di
progettazione che devono essere individuati
gli elementi che possono avere una incidenza
negativa sull'ambiente, in modo da poter
adeguare il progetto definitivo.
Il tutto,
al fine di prevenire il danno ambientale,
con il passaggio da un sistema di
ripristino, a valle, del danno medesimo ad
un sistema di previsione-prevenzione, a
monte, dello stesso nella gestione del
territorio e delle risorse naturali.
4. Poiché per le infrastrutture strategiche
la procedura V.I.A. viene effettuata sul
progetto preliminare, in sede di progetto
definitivo la Commissione competente deve
limitarsi a verificare che il progetto
definitivo abbia rispettato le prescrizioni
contenute nel parere di compatibilità
ambientale, ma non viene previsto in alcun
caso un nuovo procedimento di V.I.A.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
22.11.2011 n.
2822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti pubblici e perdita di chances.
Per illegittima mancata aggiudicazione.
Domanda.
Nell'ipotesi di illegittima mancata
aggiudicazione di un appalto pubblico, cosa
si intende per perdita di chances?
Risposta.
Nell'ipotesi di illegittima mancata
aggiudicazione di un appalto pubblico la
perdita di chances, aspetto della
responsabilità precontrattuale della P.A.
(diversamente dal danno futuro, che riguarda
un pregiudizio non attuale, ma soggetto a
ristoro purché certo e altamente probabile,
nonché ascrivibile ad una causa efficiente
già in atto) costituisce un danno attuale,
che non si identifica con la perdita di un
risultato utile, ma con quella della
concreta possibilità ovvero probabilità di
conseguirlo, e necessita, a tal fine, della
sussistenza di una situazione presupposta,
concreta ed idonea a consentire la
realizzazione del vantaggio sperato, da
valutarsi sulla base di un giudizio
prognostico e statistico, fondato sugli
elementi di fatto allegati dal danneggiato (22.11.2011
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il rinnovo di una concessione può
essere legittimamente disposto bandendo una
gara. In assenza di diverse disposizioni
nell'atto concessorio, il concessionario non
può vantare alcuna aspettativa al rinnovo
del rapporto.
In applicazione del principio del "favor
partecipationis" possono essere pretesi
particolari requisiti di capacità tecnica e
finanziaria solo se necessari.
Secondo la prevalente giurisprudenza, il
rinnovo di una concessione può essere
legittimamente disposto bandendo una gara
per l'individuazione del concessionario cui
assegnare il bene, essendo le pubbliche
amministrazioni assoggettate all'obbligo di
esperire procedure ad evidenza pubblica ai
fini dell'individuazione del soggetto
contraente; inoltre che da tali acquisizioni
giurisprudenziali non può ritenersi estranea
la materia della concessione dei beni
pubblici, in applicazione dei principi
discendenti dall'art. 81 del Trattato UE e
dalle Direttive comunitarie in materia di
appalti, con attribuzione mediante procedure
concorsuali, trasparenti, non
discriminatorie, nonché tali da assicurare
la parità di trattamento ai partecipanti.
Il concessionario di un bene demaniale non
può vantare (se non diversamente disposto
nell'atto concessorio) alcuna aspettativa al
rinnovo del rapporto e che il relativo
diniego, comunque esplicitato, nei limiti
ordinari della ragionevolezza e della
logicità dell'agire amministrativo, non
necessita di ulteriore motivazione (essendo
parificabile al rigetto di un'ordinaria
istanza di concessione), né implica alcun "diritto
d'insistenza" allorché la
Amministrazione intenda procedere ad un
nuovo sistema d'affidamento mediante gara
pubblica o comunque procedura comparativa.
Pertanto, in sede di rinnovo di una
concessione, il precedente concessionario va
posto sullo stesso piano di altro soggetto
richiedente lo stesso titolo, con
possibilità di indizione di una gara al
riguardo senza necessità di particolare
motivazione con riferimento alla richiesta
di rinnovo.
In applicazione del principio del "favor
partecipationis", possono essere pretesi
particolari requisiti di capacità tecnica e
finanziaria solo se necessari. Pertanto, nel
caso di specie, legittimamente il Comune ha
affidato la gestione dell'impianto sportivo
tramite gara (che non necessita, per comune
conoscenza, di particolari capacità tecniche
o finanziarie) senza richiedere ai
partecipanti il possesso di alcun requisito
di capacità tecnica, economica e
finanziaria, utilizzando solo il criterio
del prezzo offerto (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 21.11.2011 n. 6132 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità dell'operato
di una commissione di gara che abbia optato
per l'apertura delle buste contenenti
l'offerta tecnica in seduta riservata.
Alla luce della recentissima decisione
dell'adunanza plenaria n. 13/2011, la
verifica dell'integrità dei plichi non
esaurisce la sua funzione nella
constatazione che gli stessi non abbiano
subìto manomissioni od alterazioni, ma è
destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento di concorrenti, cui deve
essere consentito di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti e di avere la garanzia che non
siano successivamente intervenute indebite
alterazioni, ma anche nell'interesse
pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post,
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato.
Peraltro, tale regola costituisce corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno desumibili dall'art. 97
cost. e dalle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE, le quali impongono che le
commissioni di gara agiscano con
trasparenza: la norma, avendo portata di
principio, deve quindi investire passaggi
essenziali e determinanti degli esiti delle
procedure di gara, quale è l'apertura della
borsa dell'offerta tecnica, momento che ha
identica rilevanza rispetto all'apertura
della documentazione amministrativa e
dell'offerta tecnica e che quindi merita le
medesime garanzie, a tutela di tutti gli
interessi coinvolti. Pertanto, nel caso di
specie, è illegittima la scelta di una
commissione giudicatrice di aprire le buste
contenenti l'offerta tecnica in seduta
riservata (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.11.2011 n. 6127 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Composizione
qualificata della commissione di gara.
Fermo l'art. 84 del codice dei contratti
pubblici che impone, in generale, la
composizione qualificata della commissione
di gara, il Consiglio di Stato precisa che
la necessaria presenza di esperti
all’interno delle commissioni di gara
costituisce comunque un principio generale
delle procedure selettive a contenuto
tecnico
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 19.11.2011 n. 6640 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Rinnovo
della gara solo se c'e una chance di
vittoria.
L'interesse a ricorrere avverso il
provvedimento di esclusione da una gara è
configurabile ex se e non richiede la
dimostrazione che l'esito della gara sarebbe
stato sicuramente o probabilmente favorevole
al ricorrente solo nelle ipotesi in cui il
criterio di aggiudicazione previsto sia di
tipo non automatico, in quanto la parte
ricorrente ha interesse a veder valutata la
propria offerta in sede di gara e dunque è
portatore di un interesse strumentale
all'annullamento degli atti impugnati e alla
rinnovazione della procedura: dal rinnovo
deriva una nuova chance di partecipazione e
di vittoria.
Nel caso, invece, di procedure di
aggiudicazione di tipo meccanico, in cui non
si fa luogo a valutazioni
tecnico-discrezionali da parte del seggio di
gara, una volta aperte le buste contenenti
le offerte dei concorrenti, l'idoneità della
singola offerta a conseguire
l'aggiudicazione è oggettivamente
determinabile attraverso meri calcoli
aritmetici e dunque, a differenza dell'altro
caso, il concorrente escluso è in grado di
determinare se la propria offerta sarebbe
stata sufficiente ad assicurargli la
vittoria
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6090 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente, che abbia
prodotto, in relazione al proprio atto
costitutivo, una dichiarazione sostitutiva
di atto di notorietà, in luogo di copia
autentica, come richiesto dal disciplinare
di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un Consorzio
concorrente, che abbia omesso di produrre un
documento nelle forme richieste dalla
lettera d'invito, avendolo viceversa
presentato nelle forme dell'atto di
notorietà.
Nel caso di specie, trattasi dell'atto
costitutivo del consorzio stesso. La
dichiarazione sostitutiva assolve, infatti,
alla funzione di far constatare alla P.A.,
esclusivamente a fini amministrativi ed in
luogo di certificazioni rilasciate dalla
stessa o da essa conservate, circostanze ad
essa in propri atti.
Nel caso in esame, l'atto costitutivo non
era stato rilasciato, né conservato
dall'Amministrazione procedente, in quanto
redatto da un Notaio e da esso custodito in
originale, sicché, stante l'inderogabilità
della legge di gara, non era comunque
possibile surrogare la mancata produzione
del citato atto, prevista a pena di
esclusione, con la presentazione di
documento redatto in base all'art. 19 del
D.P.R. n. 445/2000 (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 18.11.2011 n. 6090 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Termine
per impugnare l'esclusione dalla gara
d'appalto.
Per gli atti come l'esclusione dalle gare
pubbliche, per i quali è richiesta la
notificazione individuale, trova
applicazione la regola generale della piena
conoscenza ed il termine per impugnare non
decorre sino a che non si dimostri che è
avvenuta la notifica o la comunicazione
diretta dell'atto all'interessato.
Tale termine decorre quindi normalmente
dalla ricezione della comunicazione di cui
all'art. 79 d.lgs. n. 163/2006, salva
ovviamente l'ipotesi della piena conoscenza
dell'atto, acquisita con altre modalità,
come d'altronde ribadito dall'art. 41 del
c.p.a.: fra queste ipotesi, rientra quella
in cui all'atto dell'esclusione dalla gara
sia presente un rappresentante della impresa
esclusa munito di mandato speciale, ovvero
che riveste una specifica carica sociale,
per cui la conoscenza acquisita dallo stesso
sia riferibile alla società concorrente (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6084 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'impresa concorrente in una gara
d'appalto deve dichiarare la propria
posizione nei confronti degli obblighi
previdenziali, al momento dell'effettiva
presentazione dell'offerta.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, peraltro avallato dalla
Corte di Giustizia UE e sostenuto in sede
amministrativa dall'AVCP, l'impresa che
abbia ottenuto una rateizzazione del debito
tributario, deve essere considerata in
regola ai fini della presentazione della
domanda di partecipazione alla gara, stante
il valore novativo che tali atti assumono;
ciò, purché la sussistenza del requisito
della regolarità fiscale e contributiva sia
comunque riguardata in relazione al momento
ultimo per la presentazione delle offerte.
Infatti, condizione necessaria affinché
l'impresa possa considerarsi in regola, pur
in presenza di inadempienze fiscali in
corso, è quella secondo cui, gli eventi
sopra richiamati, che pongono nuovamente
l'impresa stessa in condizione di
regolarità, devono essersi verificati entro
la scadenza del termine di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara.
In materia di contribuzione obbligatoria,
l'accoglimento dell'istanza di dilazione
deve in ogni caso precedere
l'autodichiarazione circa il possesso della
regolarità, in quanto non è ammissibile una
dichiarazione che attesti il possesso di un
requisito in data futura; e ciò, tanto più
nell'ipotesi in cui esso non dipenda dalla
presentazione dell'istanza, bensì
dall'accoglimento della stessa.
Pertanto, è al momento dell'effettiva
presentazione dell'offerta che l'impresa
deve dichiarare la sua effettiva posizione
nei confronti degli obblighi previdenziali,
a nulla rilevando che tale situazione possa
essere accertata e dimostrata solo in un
momento successivo alla scadenza del
termine, pur se con riferimento ad una data
anteriore a tale scadenza.
La circostanza che, in relazione ai debiti,
sia intervenuta una richiesta di
rateizzazione, conferma il carattere della
definitività del debito, in quanto la
rateizzazione implica la certezza
dell'ammontare e dell'esistenza della
pretesa erariale, la quale non può essere
più contestata in sede giudiziale, e non è
comunque certo il suo accoglimento prima
dell'adozione del relativo atto. Pertanto,
nel caso di specie, la dichiarazione
inerente all'insussistenza di infrazioni
definitivamente accertate, prima
dell'effettivo accoglimento della domanda di
rateizzazione suddetta, deve ritenersi non
proponibile (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6084 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'Avvalimento
deve essere reale e non solo formale pena
l'esclusione dalla gara.
L'art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 ammette
esplicitamente l’avvalimento anche per
l’attestazione della certificazione SOA
subordinando tale facoltà all’espresso
impegno da parte dell’impresa ausiliaria,
nei confronti dell’impresa ausiliata e della
stazione appaltante, di mettere a
disposizione per tutta la durata
dell’appalto le risorse necessarie di cui è
carente il concorrente.
L’omissione di tale dichiarazione, nel caso
di specie prevista anche dal bando di
concorso, non poteva che comportare
l’esclusione dalla gara in quanto l’avvalimento
nei requisiti soggettivi di qualità deve
essere reale e non formale, nel senso che
non può considerarsi sufficiente “prestare”
la certificazione posseduta, giacché in
questo modo verrebbe meno la stessa essenza
dell’istituto, finalizzato a consentire a
soggetti che ne siano sprovvisti di
concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti
di altri soggetti (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6079 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
cultura del sospetto salva talvolta il
settore degli appalti pubblici dalle
infiltrazioni della criminalità organizzata.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto
sufficiente l’accertamento di meri elementi
di sospetto per far scattare il meccanismo
di salvaguardia del sistema attraverso
l’inibizione dell’accesso al rapporto
contrattuale o alla gara per l’impresa
sospettata di contiguità mafiosa.
Quanto al riferimento alla cultura del
sospetto come regola da preferire a quella
della legalità, secondo i Giudici di Palazzo
Spada è affermazione non pertinente, in
quanto l'informativa antimafia atipica e'
una forma di tutela anticipata volta a
prevenire l’inquinamento del territorio
attraverso possibili infiltrazioni della
malavita organizzata ed il giudizio espresso
dal Comune nell’ambito dell’informativa
antimafia atipica non riguarda la singola
persona, nel caso il rappresentante legale
della società, ma l’affidabilità nel suo
complesso dell’aggiudicatario per i rapporti
di contiguità con la criminalità
organizzata, desumibile anche da condotte
che di per sé non realizzano necessariamente
fattispecie penalmente rilevanti.
Esse in breve assolvono la funzione di
accrescere il bagaglio conoscitivo della
p.a. ai fini di un più ponderato esercizio
dei propri poteri discrezionali nel corso
del procedimento di evidenza pubblica,
integrando una forma anticipatoria della
soglia di difesa sociale nel campo del
contrasto alla criminalità organizzata nel
settore dei pubblici appalti di opere e
servizi
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Offerta
economicamente più vantaggiosa - legittimità
dell'esclusione delle offerte che non
raggiungono un punteggio tecnico minimo
(c.d. clausola di sbarramento) -
Contraddittorio non necessario se non
previsto dalla lex specialis.
Con riferimento all'aggiudicazione con il
sistema dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la giurisprudenza ha ritenuto
legittime le clausole del bando che
prevedono la valutazione dell'offerta
economica solo in caso di un punteggio
minimo raggiunto dall'offerta, considerata
la rilevanza che può avere l'aspetto della
qualità tecnica per la amministrazione
aggiudicatrice (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la
legittimità di una clausola di sbarramento,
prevista nel capitolato speciale per una
gara di appalto per l'aggiudicazione di un
servizio all'offerta economicamente più
vantaggiosa, che non consente la valutazione
del prezzo nel caso di offerte che sotto il
profilo qualitativo non raggiungano un
punteggio minimo; TAR Lazio, Roma, Sez. III,
26.01.2009, n. 630).
Una volta determinato lo standard cui
l'offerta deve conformarsi, il mancato
raggiungimento dei livelli minimi prescritti
è, infatti, elemento di per sé legittimante
l'esclusione del concorrente senza necessità
di instaurare alcun confronto in
contraddittorio se non previsto dalle norme
di gara
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.11.2011 n.
2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Esclusione da una gara d’appalto
nel caso in cui l’offerta presentata
dall’unico concorrente partecipante non
abbia raggiunto il punteggio minimo previsto
dal bando.
E’ legittima l’esclusione da una gara per
l’affidamento di un appalto di servizi, da
aggiudicarsi secondo il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
che sia motivata con riferimento al fatto
che l’offerta presentata dall’unico
concorrente partecipante non ha raggiunto il
punteggio minimo previsto dal bando;
infatti, nel caso di gara per l’affidamento
di un appalto di servizi, con il sistema
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
devono ritenersi legittime le clausole del
bando che prevedono la valutazione
dell'offerta economica solo in caso di un
punteggio minimo raggiunto dall'offerta
stessa, considerata la rilevanza che può
avere l'aspetto della qualità tecnica per la
amministrazione aggiudicatrice (1).
Il solo punteggio numerico può essere
ritenuto una sufficiente motivazione in
relazione agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
quando i criteri prefissati di valutazione
siano estremamente dettagliati (2).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004,
n. 1040, che ha affermato la legittimità di
una clausola di sbarramento, prevista nel
capitolato speciale per una gara di appalto
per l'aggiudicazione di un servizio
all'offerta economicamente più vantaggiosa,
che non consente la valutazione del prezzo
nel caso di offerte che sotto il profilo
qualitativo non raggiungano un punteggio
minimo; v. anche TAR Lazio-Roma, Sez. III,
26.01.2009, n. 630.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003,
n. 67 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.11.2011 n. 2802 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esclusi dalla gara, serve il
punteggio minimo: anche per l'unico
partecipante.
E' legittima l'esclusione da una gara per
l'affidamento di un appalto di servizi, da
aggiudicarsi secondo il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
che sia motivata con riferimento al fatto
che l'offerta presentata dall'unico
concorrente partecipante non ha raggiunto il
punteggio minimo previsto dal bando.
La segnalata pronuncia risolve la questione
circa la legittimità dell'esclusione di una
ditta partecipante a una gara di appalto
che, sebbene unica concorrente, non ha
raggiunto il punteggio minimo imposto dalla
lex specialis.
Segnatamente, un'Amministrazione indiceva
una procedura di gara per l'affidamento del
servizio di nettezza urbana per la durata di
anni 7 da aggiudicarsi mediante il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
prevedendo l'assegnazione di 25 punti per
l'offerta economica e 75 punti per l'offerta
tecnica, quale punteggio massimo per
entrambe, suddiviso sulla base di una
pluralità di singoli parametri e
sottoparametri prestabiliti, ma con
previsione di una soglia minima (di punti
36) ai fini dell'ammissione all'esame
dell'offerta economica.
Nella seduta di valutazione delle offerte
pervenute, la Commissione procedeva a
vagliare l'offerta della ricorrente, unica
partecipante alla gara, e con successivo
predisponeva l'esclusione della stessa per
mancato raggiungimento della soglia minima
per l'offerta tecnica (30 punti contro i 36
necessari).
Avverso quest'ultimo provvedimento, nonché
tutti gli atti di gara, è insorta la società
interessata, all'uopo eccependo
l'illegittimità della previsione di una
soglia minima di punteggio tecnico
necessaria ai fini dell'ammissione alle
successive fasi di gara; il mancato
esperimento del contraddittorio orale prima
dell'adozione dell'esclusione;
l'illegittimità della griglia di valutazione
che, in relazione a ciascun parametro,
prevedeva unicamente un punteggio massimo e
non anche uno minimo; l'illegittima
fissazione, da parte della Commissione, dei
criteri di valutazione, nonché la mancata
descrizione del "metodo di lavoro" adottato;
l'insufficienza del punteggio espresso
unicamente con un dato numerico, nonché
l'erroneità della valutazione della propria
offerta tecnica, frutto dei travisamenti in
cui sarebbe incorsa la Commissione che non
avrebbe tenuto conto delle numerose
migliorie proposte.
Orbene, il Collegio di Milano ha ritenuto
infondata l'eccezione d'illegittimità della
soglia di sbarramento di 36 punti come
imposta dalla stazione appaltante.
Al riguardo, richiamando un consolidato
indirizzo giurisprudenziale, ha precisato
che "rispetto all'aggiudicazione con il
sistema dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, si reputano legittime le
clausole del bando che prevedono la
valutazione dell'offerta economica solo in
caso di un punteggio minimo raggiunto
dall'offerta, considerata la rilevanza che
può avere l'aspetto della qualità tecnica
per la Amministrazione aggiudicatrice (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040,
che ha affermato la legittimità di una
clausola di sbarramento, prevista nel
capitolato speciale per una gara di appalto
per l'aggiudicazione di un servizio
all'offerta economicamente più vantaggiosa,
che non consente la valutazione del prezzo
nel caso di offerte che sotto il profilo
qualitativo non raggiungano un punteggio
minimo)" (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630).
Parimenti infondata è stata ritenuta la
seconda censura con cui la ricorrente ha
dedotto l'illegittimità della propria
esclusione in quanto non preceduta da
contraddittorio orale.
Sul punto, infatti, è stato evidenziato che
una volta determinato lo standard cui
l'offerta deve conformarsi, il mancato
raggiungimento dei livelli minimi prescritti
costituisce elemento di per sé legittimante
l'esclusione del concorrente senza necessità
di instaurare alcun confronto in
contraddittorio non previsto da alcuna norma
in relazione alla fattispecie in esame.
E ancora, in relazione al terzo ordine di
censure, la ricorrente ha dedotto la
violazione dell'art. 83, D.Lgs. n. 163/2006
per illogicità e violazione del principio di
proporzionalità, dell'art. 3, L. n. 241/1990
e dell'art. 53 della Dir. 2004/18/CE in
relazione alla previsione di un punteggio
massimo e non anche di un punteggio minimo:
le censure sono state reputate inammissibili
e infondate.
Sotto il primo profilo, il giudicante ha
precisato che la disciplina dettata dal
disciplinare di gara esprime una scelta
discrezionale della stazione appaltante, non
sindacabile da parte del G.A. qualora esente
da vizi di evidente incongruità e
irragionevolezza.
Quanto al secondo, ha soggiunto che la
graduazione del punteggio nell'ambito del
range prefissato costituisce valutazione di
merito tecnico che viene espressa dai
componenti della Commissione sulla base
della rispondenza o meno delle componenti di
offerta alla prestazione richiesta, come
formulata dalla disciplina di gara secondo
un apprezzamento che sfugge al sindacato
giurisdizionale.
Inoltre, il TAR lombardo ha ritenuto
infondata la doglianza con cui la ricorrente
ha eccepito che la Commissione avrebbe
definito i criteri di valutazione e adottato
un "metodo di lavoro" non altrimenti
illustrato a verbale.
In proposito, ha precisato che la
definizione del "metodo di lavoro" non
necessitava di alcuna esplicitazione
ulteriore rispetto a quella contenuta nel
bando di gara, in quanto riguardava aspetti
organizzativi privi di interesse ai fini
della valutazione.
Con un quinto ordine di censure la
ricorrente ha dedotto, con riferimento alle
valutazioni tecniche, il difetto di
motivazione quale conseguenza
dell'assegnazione di un punteggio numerico
non corredato da un giudizio.
Anche quest'ultima censura è stata reputata
infondata.
Difatti, l'adito Tribunale ha rimarcato che,
come in giurisprudenza ripetutamente
evidenziato, "il solo punteggio numerico può
essere ritenuto una sufficiente motivazione
in relazione agli elementi di valutazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
quando i criteri prefissati di valutazione
siano estremamente dettagliati" (ex multis,
Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n.
67).
In ragione di tanto, il Collegio lombardo ha
rigettato il ricorso in quanto in parte
infondato, in parte inammissibile,
contestualmente condannando la ricorrente al
pagamento delle spese di lite (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 18.11.2011 n.
2802 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Art. 120, comma 5, c.p.a. -
Appalti di servizi - Termine dimidiato a 30
giorni - Applicabilità anche al ricorso
incidentale.
2. Art. 17, comma 3, L. 55/1990 - Divieto
di partecipazione alle gare in caso di
intestazioni fiduciarie - Art. 1, comma 1, DPCM 187/1997 - Obbligo informativo delle
intestazioni fiduciarie prima della stipula
del contratto - Art. 9, comma 63, L.
415/1998 - Solo obbligo di comunicare
l'identità del socio fiduciario per le
fiduciarie autorizzate.
1.
Ai sensi dell'art. 120, comma 5, c.p.a. è
dimidiato il termine per la proposizione di
ricorso e motivi aggiunti ai fini
dell'impugnazione degli atti concernenti le
procedure di affidamento di servizi
pubblici: esso è perciò pari a 30 giorni,
così sottraendosi all'eccezione introdotta
dall'art. 119, comma 2, c.p.a. In
giurisprudenza è discusso se il termine
dimidiato sia applicabile anche alla
proposizione del ricorso incidentale, che
non viene espressamente menzionato dall'art.
120, comma 5 (in senso favorevole, Tar
Catania n. 1475 del 2011; in senso
contrario, Tar Lecce n. 113 del 2011).
Il Tribunale è dell'opinione positiva: da un
punto di vista letterale, proprio il
confronto con l'art. 119, comma 2, ove sono
menzionati "ricorso introduttivo" e "ricorso
incidentale" dimostra che la più ampia
espressione "ricorso" contenuta senza
altra specificazione nell'art. 120, comma 5,
è idonea a comprendere l'uno e l'altro.
2.
L'art. 17, comma 3, della L. n. 55 del 1990,
recante disposizioni in materia di
prevenzione della delinquenza di tipo
mafioso e di altre gravi forme di
manifestazione di pericolosità sociale, ha
vietato la partecipazione alle gare
concernenti opere pubbliche in caso di
intestazione fiduciaria: è palese la
finalità della norma, la quale intende
prevenire l'accesso al remunerativo
meccanismo di aggiudicazioni pubbliche di
soggetti criminali, mascherati dietro un
mandatario (Tribunale civile di Milano,
sentenza 13.02.2008).
Sulla base dell'art. 17, comma 3, è stato
poi emanato il regolamento ivi previsto con
il D.P.C.M. 11.05.1997, n. 187, il cui art.
1, comma 1, ha posto un obbligo informativo
a carico delle società aggiudicatarie, "prima
della stipula del contratto",
concernente le intestazioni fiduciarie,
collegato all'onere stabilito dal successivo
art. 4, comma 1, di far cessare entro 90
giorni l'intestazione, al fine di poter
legalmente contrarre con la P.A. In seguito,
l'art. 9, comma 63, della L. n. 415 del 1998
ha allentato il divieto originario,
distinguendo la posizione delle fiduciarie
autorizzate ai sensi della L. n. 1966 del
1939: in tal caso, permane il solo obbligo
di comunicare l'identità del socio
fiduciario entro 30 giorni dalla richiesta a
tal fine formulata dall'Amministrazione.
In giurisprudenza si è perciò già rilevato
che, allo stato, l'art. 17, comma 3, prevede
due differenti situazioni: un divieto
assoluto di intestazione fiduciaria, che
comporta l'immediata esclusione dalla gara;
un mero obbligo comunicativo, susseguente
all'aggiudicazione e da assolversi,
pertanto, a seguito di essa e prima della
stipula del contratto, nel rispetto del
termine di legge (Cons. Stato, sez. V, n.
4010 del 2002)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.11.2011 n.
2797 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi locali, Antitrust
rafforzata.
L'Authority potrà entrare nel merito delle
decisioni degli enti. Le novità della legge
di stabilità. Il format per le delibere
arriverà entro fine gennaio con decreto.
La delibera-quadro sull'assetto
concorrenziale dei servizi pubblici locali
che gli enti dovranno adottare entro il 12.08.2012 e in ogni caso prima di
procedere al conferimento e al rinnovo della
gestione, avrà uno specifico format entro il
31 gennaio del prossimo anno, grazie a un
decreto interministeriale.
A specificarlo è l'art. 9, co. 2, lett. m),
della recente legge di stabilità (legge
n. 183/2011).
Inoltre, se con il dl 138/2011 la stessa
delibera sembrava dovesse assumere un ruolo
marginale e di «presa d'atto» da parte
dell'Autorità garante della concorrenza e
del mercato ai fini della relazione al
parlamento ai sensi della legge 287/1990, con
l'aggiunta dell'inciso «anche» disposta
dalla lett. b) del medesimo comma e
articolo, la funzione dell'Authority
potrebbe essere più incisiva con la
possibilità di entrare nel merito di quanto
deliberato dagli enti locali; non più un
ruolo «passivo» di quest'ultima, ma
tutt'altro, di regolatore e garante di una
maggiore concorrenza dei servizi pubblici a
svantaggio dei monopoli molto spesso
antieconomici e svantaggiosi per gli utenti.
La previsione di tale decreto recepisce di
fatto quanto rilevato da tempo dal Consiglio
di stato che aveva, già con parere, sez.
consultiva per gli atti normativi 24.05.2010
n. 2415, auspicato in merito la definizione
di criteri puntuali e definiti.
Intanto, sono molte le perplessità che
assillano gli enti in questo periodo: se la
previsione di un prossimo decreto aiuterà a
capire quali elementi inserire nella
delibera-quadro (tra i quali troviamo i
criteri per la verifica della concorrenza e
l'idoneità o meno della libera iniziativa
economica privata, le modalità per la
comparazione delle diverse gestioni), resta
da capire cosa fare ora in una fase delicata
caratterizzata da scadenze contrattuali e
normative che può portare a cessazioni prima
della scadenza del prossimo 31 marzo o del
30 giugno –rispettivamente– delle in-house
laddove siano riferite a servizi con valore
superiore a 900 mila (senza frazionamenti
artificiosi) ovvero non conformi alle
prescrizioni della giurisprudenza europea e
delle società miste laddove non vi sia stata
contestuale gara per la scelta del socio e
dell'attribuzione dei compiti operativi.
Medesime problematicità per i rinnovi e le
aggiudicazioni a mezzo gara che dovranno
essere effettuate prima dell'emanando
decreto interministeriale.
Se da un lato ci si augura che detto decreto
possa essere emanato anche molto prima della
scadenza del 31 gennaio, dall'altro ciò non
può costituire un esimente per non adottare
la delibera laddove necessaria nel
frattempo.
La previsione del decreto da parte della
legge di stabilità non sembra pregiudicare
l'immediata operatività dell'art. 4 del dl
138/2011; solo la decisione di liberalizzare
uno o più servizi pubblici locali potrebbe
non richiedere l'adozione preventiva della
delibera-quadro che, viceversa, serve a
giustificare l'eventuale decisione dell'ente
di riservarsi i diritti di esclusiva,
quest'ultimi da attribuire mediante gara
ovvero nella forma dell'in-house providing.
La scelta migliore per gli enti locali
rimane quella di approcciarsi quanto prima
alla definizione della delibera-quadro (a
prescindere dalle imminenti e prossime
scadenze) suscettibile anche di
miglioramenti ed integrazioni sulla base del
futuro decreto, con cui, secondo una visione
unitaria tra ente e partecipate, procedere
immediatamente alla verifica delle attuali
condizioni economiche, finanziarie e
qualitative dei diversi servizi,
distinguendo quelli a rilevanza economica e
quelli privi di tale rilevanza, rispetto ai
servizi strumentali. Per i primi soprattutto
sarà necessario valutare se liberalizzare o
meno sulla base di apposite indagini di
mercato con l'ausilio di esperti esterni,
augurandosi che anche l'Autorità garante per
il mercato e la concorrenza possa essere
quanto prima di supporto agli enti nel
fornire assistenza e elementi utili, quali
banche dati per settore e attività.
I tempi sono ormai maturi per trasformare il
settore dei servizi pubblici locali in
volano per lo sviluppo economico
territoriale. Agli amministratori locali uno
sforzo per garantire competitività
eliminando monopoli non più giustificabili
anche in relazione alla attuale grave crisi
economica
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Il
rimedio della regolarizzazione postuma è
attivabile solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta,
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano rispettato
la disciplina prevista dalla lex specialis.
Come osservato in giurisprudenza (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. I, 24.02.2011, n.
1094; TAR Lombardia Milano, sez. I,
11.02.2011, n. 449) il rimedio della
regolarizzazione postuma è attivabile solo
nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e
certificati non chiari o di dubbio
contenuto, ma che siano pur sempre stati
presentati, e non anche laddove si sia in
presenza di documentazione del tutto
mancante o fisicamente incompleta (come nel
caso di specie), risolvendosi in caso
contrario in una palese violazione della par
condicio rispetto alle imprese concorrenti
che abbiano rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis
(orientamento consolidato: cfr. Consiglio di
Stato, Sez. V, 02.08.2010 n. 5084; Consiglio
di Stato, Sez. VI, 18.12.2009 n. 8386; TAR
Campania Napoli, Sez. I, 27.05.2010 n. 9649;
TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006
n. 390) (TAR Basilicata,
sentenza 17.11.2011 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dichiarazioni ex art. 38 del
codice di contratti pubblici circa
l’insussistenza di cause di esclusione.
Impugnazione da parte di un concorrente
legittimamente escluso.
Nelle gare di appalto, è consentito che la
dichiarazione in ordine all’insussistenza
delle cause di esclusione di cui all’art. 38
del codice dei contratti pubblici sia resa e
sottoscritta da un unico legale
rappresentante dell’impresa concorrente con
riferimento espresso anche agli altri
soggetti nei cui confronti il requisito va
comprovato. Tuttavia, in tale ipotesi,
perché la dichiarazione sia valida, occorre
che dalla stessa sia ricavabile
l’indicazione analitica e nominativa dei
predetti soggetti; ciò è necessario al fine
di consentire alla stazione appaltante di
compiere le necessarie verifiche, e pertanto
la mancata indicazione dei nominativi dei
soggetti diversi dal dichiarante riguardo ai
quali si attesta l’insussistenza di cause
ostative sul piano della moralità implica
anche la mancanza dell’assunzione di
responsabilità per il caso di non veridicità
della dichiarazione che rappresenta il
proprium del meccanismo
dell’autocertificazione (1).
Il concorrente legittimamente escluso da una
gara d’appalto non ha alcun interesse,
giuridicamente qualificato e differenziato
da quello di quisque de populo, a far
valere gli ulteriori vizi della procedura;
il ricorso dallo stesso proposto al predetto
fine, pertanto, va dichiarato inammissibile.
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.06.2010,
n. 3972; id., 20.10.2010, n. 7578
V. anche di recente Cons. Stato, sez. IV,
27.06.2011, n. 3862, con riferimento alla
dichiarazione relativa agli amministratori
cessati dalla carica nel triennio
antecedente (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 6053 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti, corsia di favore per le pmi.
Multe Antitrust per tardivo pagamento.
Sanzioni ridotte in Cdc. In vigore la legge
sullo Statuto delle imprese. Accesso
privilegiato alle infrastrutture per le pmi locali.
Sanzioni dell'Antitrust in caso di ritardi
nei pagamenti a danno delle pmi da parte
delle grandi imprese; codice etico
«antimafia» obbligatorio per le associazioni
di categoria; incentivi alla partecipazione
delle piccole e medie imprese agli appalti
pubblici; un garante tutto nuovo per le
piccole e medie imprese.
Eppoi, procedure più flessibili per
l'affidamento di incarichi di progettazione
(e altri servizi tecnici) fino alla soglia
comunitaria dei 193 mila euro. E ancora
sanzioni dimezzate per l'omessa esecuzione
di denunce, comunicazioni e depositi al
registro imprese; con tanto di ravvedimento
operoso a breve termine.
Sono queste solo
alcune delle novità della legge 180/2011,
contenente lo Statuto delle imprese,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265
del 14.11.2011. ItaliaOggi ne aveva
anticipato i contenuti il 4 e 5 novembre
scorso. Ora, con la pubblicazione in
Gazzetta il provvedimento è entrato in
vigore, ieri 15.11.2011. Ma andiamo
con ordine.
Accesso al mercato delle pmi. Il testo
interviene sugli appalti pubblici, invitando
le stazioni appaltanti a procedere alla
suddivisione degli appalti in più lotti o
lavorazioni, ammettendo il subappalto e
garantendo la corresponsione diretta dei
pagamenti da effettuare tramite bonifico
bancario. Prevista, inoltre, una
disposizione a favore delle aggregazioni
(raggruppamenti temporanei, consorzi e reti
di impresa) per partecipare alle gare. Per i
contratti stipulati dai piccoli comuni
(sotto i 5 mila abitanti), invece, la legge
disegna una corsia di favore per le aziende
che hanno sede nelle aree in cui vanno
realizzate opere compensative per grandi
infrastrutture. Garantendo in primis un
accesso privilegiato alle pmi del posto.
Non
solo. Per i servizi pubblici degli stessi
comuni, la normativa dispone
l'individuazione di lotti adeguati
all'entità del servizio da erogare. E ambiti
di servizio compatibili con le
caratteristiche tipiche della stessa
comunità locale. Più in generale, negli
appalti relativi alle pmi, la prova dei
requisiti dovrà essere sostenuta solo
dall'aggiudicatario dell'appalto. Mentre,
verrà fatto divieto di chiedere requisiti
sproporzionati rispetto all'oggetto
dell'appalto. Quindi, sul fronte della
tutela dei rapporti commerciali delle
imprese, la legge prevede la possibilità che
l'Antitrust intervenga, con tanto di diffide
e sanzioni, per comportamenti illeciti messi
in atto da grandi imprese nei confronti
delle pmi.
Infine, lo statuto delle imprese
introduce anche un nuovo strumento: la legge
annuale per le pmi. Che stabilirà, anno per
anno, le norme da introdurre
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Responsabilità del RUP e
posizione di garanzia nei lavori pubblici.
Responsabilità per omicidio colposo occorso
ad un lavoratore.
Furono imputati del reato il responsabile
del procedimento amministrativo di lavori
pubblici e responsabile dei lavori, il
coordinatore in materia di sicurezza, il
titolare della ditta subappaltatrice, per
aver consentito, in violazione degli
obblighi di sicurezza a loro carico
gravanti, che il lavoratore, intento alla
posa in opera della copertura di una
piscina, lavorasse in totale assenza delle
opere di protezione collettiva previste dal
piano di sicurezza e senza precauzioni atte
ad evitare la caduta dall'alto e in tale
frangente cadeva da un'altezza di circa 10
mt., decedendo per gravi lesioni al capo.
Condannati in primo grado, la Corte di
Appello di Genova confermava la pronuncia di
condanna per il Responsabile del
Procedimento e del coordinatore per la
sicurezza, dichiarando l'estinzione del
reato a carico del titolare della ditta
subappaltatrice per morte dell'imputato.
Ricorso in Cassazione
- Il ricorso proposto dal coordinatore per
la sicurezza è inammissibile perché tardivo;
La Corte rigetta invece il ricorso del
Responsabile del procedimento
amministrativo.
"La Corte afferma che va premesso che la
sua responsabilità è stata ritenuta sulla
base della qualità di "Responsabile del
procedimento amministrativo" e responsabile
dei lavori, figura che nei lavori pubblici
rappresenta il committente.
Sul responsabile del lavori incombe, ai
sensi dell'art. 6 del d.P.R. 494 del 1996,
l'obbligo della verifica delle condizioni di
sicurezza del lavoro in attuazione dei
relativi piani (art. 4 ed art. 5, co, 1,
lett a), d.P.R. cit).
Orbene ciò premesso, deve ricordarsi che ai
sensi dell'art. 7, co. 2°, del d.P.R. 554
del 1999 (Regolamento di attuazione della
Legge Quadro dei Lavori Pubblici), il
"Responsabile del procedimento" provvede a
creare le condizioni affinché il processo
realizzativo dell'intervento risulti
condotto nei tempi e costi preventivati e
nel rispetto della sicurezza e la salute dei
lavoratori, in conformità a qualsiasi altra
disposizione di legge in materia."
... In sostanza a carico del RUP
(responsabile unico del procedimento) grava
una posizione di garanzia connessa ai
compiti di sicurezza non solo nella fase
genetica dei lavori, laddove vengono redatti
i piani di sicurezza, ma anche durate il
loro svolgimento, ove è previsto che debba
svolgere un'attività di sorveglianza del
loro rispetto.
Orbene, nel caso di specie, come
correttamente rilevato dal giudice di
merito, l'imputato è venuto meno
all'adempimento degli oneri a suo carico
gravanti.
Per quanto detto, va ribadito che la
radicata posizione di garanzia in capo
all'imputato, rende rilevante causalmente la
sua negligente condotta omissiva, non avendo
l'imputato controllato l'adeguatezza e
specificità dei piani di sicurezza rispetto
alle loro finalità; nonché non avendo
vigilato sulla loro corretta attuazione.
Né il lamentato comportamento negligente
della persona offesa (che non avrebbe
utilizzato le cinture), può escludere la
rilevanza causale della condotta omissiva
dell'imputato. Nel caso di specie la vittima
ha patito l'infortunio mentre svolgeva,
senza alcuna abnormità di condotta, la sua
ordinaria attività di lavoro nel pozzo
citato, che era privo di presidi anticaduta
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 15.11.2011 n. 41993 -
link a http://olympus.uniurb.it). |
APPALTI:
E' consentito il ricorso all'avvalimento,
da parte di un consorzio concorrente alla
gara, ai fini della dimostrazione del
possesso dei requisiti in ordine al
fatturato, all'esperienza pregressa e al
numero di dipendenti.
Il capitolato richiedeva che i concorrenti
autocertificassero il possesso di
un’esperienza documentata di almeno tre anni
nello svolgimento di servizi analoghi a
quelli oggetto di gara, nonché di un numero
annuo di dipendenti a tempo indeterminato
non inferiore a cinque negli ultimi tre anni
dalla pubblicazione del bando.
il Giudice di primo grado, sul rilievo
incontestato che il Consorzio partecipante
non avesse singolarmente il requisito della
capacità tecnica e professionale richiesta
(in specie, il fatturato specifico e
l’esperienza pregressa, nonché il numero
annuo di dipendenti a tempo indeterminato
non inferiore a cinque negli ultimi tre
anni), in quanto soggetto giuridico di
recente costituzione, ha ritenuto
illegittimo l’avvalimento intercorso tra lo
stesso Consorzio e la mandante, sul
presupposto che i requisiti dell’esperienza
triennale nel settore dei servizi sociali
per disabili e del numero annuo di
dipendenti fossero di carattere soggettivo.
Il Collegio è dell’avviso, invece, che il
ricorso all’avvalimento, avente ad oggetto
il fatturato, l’esperienza pregressa ed il
numero dei dipendenti a tempo indeterminato,
sia stato legittimo, atteso che la
disciplina dell’art. 49 del Codice dei
contratti non pone alcuna limitazione, se
non per i requisiti strettamente personali
di carattere generale, di cui agli artt. 38
e 39, il cui possesso da parte dell’odierno
appellante è nella fattispecie in esame
incontestato (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 15.11.2011 n. 6040 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Revoca di una gara con
riferimento alla mutata esigenza di
esternalizzare il servizio, potendo la P.A.
svolgerlo con personale interno.
L’aggiudicazione provvisoria o definitiva
non impediscono la revoca della gara per
ragioni di pubblico interesse.
Legittimamente la stazione appaltante revoca
integralmente gli atti di una gara per
l’affidamento di un appalto di servizi, nel
caso in cui tale revoca sia motivata con
riferimento al fatto che, rispetto al
momento in cui è stata indetta la procedura
di evidenza pubblica, è successivamente
venuta meno l’esigenza di esternalizzare il
servizio stesso, potendo la stazione
appaltante continuare a svolgerlo con il
personale interno; infatti, l’art.
21-quinquies della legge n. 241 del 1990
consente alla P.A. l’esercizio del potere di
revoca di atti amministrativi, per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
nel caso di mutamento della situazione di
fatto che ha dato origine al provvedimento
da revocare ed a seguito di una nuova
valutazione dell’interesse pubblico
originario (1).
In materia di contratti della P.A., il
potere di negare l'approvazione
dell'aggiudicazione di una gara ben può
trovare fondamento, in via generale, in
specifiche ragioni di pubblico interesse,
senza trovare ostacoli nell'avvenuta
aggiudicazione definitiva o provvisoria
della stessa (2).
E’ irrilevante, ai fini della sua
legittimità, la circostanza che
l’Amministrazione nell’atto di revoca non
abbia indicato anche l’ammontare
dell’indennizzo da liquidare alla parte,
così come previsto dai commi 1-bis e 1-ter
dell’art. 21-quinquies della legge n. 241
del 1990, atteso che la mancata previsione
dell’indennizzo legittima solo il privato ad
azionare la relativa pretesa patrimoniale,
anche davanti al giudice amministrativo (3).
---------------
(1) V. in generale Cons. Stato, sez. V,
18.01.2011, n. 283, secondo cui
l’ordinamento ammette la revoca di
provvedimenti amministrativi diventati
inopportuni in base a nuove circostanze
sopravvenute ed anche per una nuova
valutazione dell'interesse pubblico
originario.
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 17 .03.2010, n.
1554
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n.
1554 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it
- Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 15.11.2011 n. 6039 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Esternalizzazione dei servizi,
quando alla P.A. non interessa più. Revoca
dell'aggiudicazione lecita.
L’amministrazione ha ritenuto di dover
revocare, per ragioni di interesse pubblico,
tutti gli atti della gara per l’affidamento
del servizio di gestione del magazzino
economale che, all’esito della vicenda
processuale descritta, aveva visto la
ricorrente collocata al primo posto della
graduatoria dei partecipanti.
L’amministrazione non è quindi rimasta
inerte dopo la pubblicazione della sentenza
della Sezione V n. 2221 dell’11.04.2011 ma
ha provveduto intervenendo nella vicenda con
un atto di revoca, facendo quindi
applicazione del proprio potere di
autotutela la cui disciplina si rinviene ora
nell’art. 21-quinquies della legge n. 241
del 07.08.1990.
Ai sensi della indicata disposizione tre
sono i presupposti che, in via alternativa,
possono legittimare l’adozione di un
provvedimento di revoca da parte
dell’Autorità competente:
- sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
- il mutamento della situazione di fatto;
- una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario.
L’ordinamento ammette quindi la revoca di
provvedimenti amministrativi diventati
inopportuni in base a nuove circostanze
sopravvenute ed anche per una nuova
valutazione dell’interesse pubblico
originario (Consiglio di Stato, sez. V, n.
283 del 18.01.2011).
Nella fattispecie, l’Azienda Ospedaliera ha
ritenuto di dover revocare gli atti della
gara in questione, facendo espressa
applicazione dell’art. 21-quinquies della
legge n. 241 del 1990 che, come si legge
nello stesso atto, consente l’esercizio del
potere di revoca di atti amministrativi per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
nel caso di mutamento della situazione di
fatto che ha dato origine al provvedimento
da revocare ed a seguito di una nuova
valutazione dell’interesse pubblico
originario.
E tale revoca si è resa necessaria, come si
evince sempre dai contenuti di tale atto:
- considerato che, nelle more della
definizione dei due gradi del giudizio, sono
trascorsi circa tre anni e che, nel
frattempo, l’Azienda “ha sempre
continuato a gestire il servizio di che
trattasi mediante l’impiego di personale
dipendente in servizio”;
- ritenuto che “a seguito di una
revisione organizzativa interna, che ha
permesso di recuperare personale
amministrativo idoneo al proficuo e puntuale
svolgimento del servizio attinente alla
gestione dei magazzini economali, sono
venuti meno i presupposti per esternalizzare
il servizio di che trattasi”;
- ritenuto quindi opportuno “continuare a
svolgere la gestione del magazzino economale
dell’Azienda mediante il personale interno”
tenuto conto anche del “considerevole
risparmio di pubbliche risorse in
ottemperanza alle determinazioni impartite
dal Commissario ad acta della Regione Lazio
intese al contenimento dei costi per
l’affidamento all’esterno dei servizi e
l’acquisto di beni”.
Sulla base di tali ragioni non può ritenersi
elusiva del giudicato (né comunque
illegittima) l’azione dell’Amministrazione.
Sono state infatti chiaramente indicate (e
non risultano manifestamente irragionevoli)
le ragioni di pubblico interesse (attuale e
concreto) che hanno determinato l’adozione
dell’atto di autotutela e che risultano
prevalenti rispetto agli altri interessi
militanti in favore della conservazione
degli atti oggetto della revoca.
E del resto, la giurisprudenza ha chiarito
che, in materia di contratti della P.A., il
potere di negare l’approvazione
dell’aggiudicazione di una gara ben può
trovare fondamento, in via generale, in
specifiche ragioni di pubblico interesse,
senza trovare ostacoli nell’avvenuta
aggiudicazione definitiva o provvisoria
della stessa (Consiglio di Stato, Sez. VI,
n. 1554 del 17.03.2010).
Né può giungersi a diversa conclusione in
relazione alla circostanza che
l’amministrazione nell’atto di revoca non ha
indicato anche l’ammontare dell’indennizzo
da liquidare alla parte, così come previsto
dai commi 1-bis e 1-ter dell’art.
21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
Per giurisprudenza costante, infatti,
l’eventuale mancata previsione
dell’indennizzo non ha efficacia viziante o
invalidante dell’atto di revoca ma legittima
solo il privato ad azionare la relativa
pretesa patrimoniale, anche davanti al
giudice amministrativo (Consiglio di Stato,
sez. VI, n. 1554 del 17.03.2010) (commento
tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 15.11.2011 n. 6039 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Infiltrazioni
mafiose negli appalti pubblici.
Gli elementi relativi al “tentativo di
infiltrazione mafiosa” devono avere una
consistenza oggettiva circostanziata,
ancorché anche solo indiziaria, che renda
evidente la concretezza e attualità del
tentativo di infiltrazione mafiosa.
Nel caso attenzionato, il Consiglio di Stato
ha, per contro, evidenziato che
l'informativa antimafia si fondava, invece,
su elementi in parte non provati, in parte
inattuali, in parte del tutto occasionali,
essendo incensurato l’amministratore e
avendo il socio reati estinti che per la
loro tipologia non sono indiziari di
contiguità mafiosa, e non essendovi prova di
loro frequentazioni in ambienti criminali (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 15.11.2011 n. 6027 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di gara con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, è illegittima la clausola di un
bando di gara, che svilisca l'elemento
economico dell'offerta, attribuendo ad esso
un ruolo secondario, se non addirittura
irrilevante.
Ferma restando, nel caso di adozione del
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la discrezionalità
dell'amministrazione di decidere il peso da
attribuire all'elemento economico
dell'offerta, nonché di stabilire la formula
matematica da utilizzare per la sua concreta
determinazione, è evidente che deve esistere
coerenza logica rispetto al criterio di gara
utilizzato oltre che tra le varie
disposizioni che regolano la gara.
Nell'indicazione delle condizioni minime che
devono connotare le offerte, per essere
ammissibili, l'amministrazione è libera di
indicare tutti i requisiti che ritiene
necessari, a garanzia di un elevato standard
qualitativo delle offerte che partecipano
alla gara; offerte che comunque, superato il
vaglio di ammissibilità, saranno valutate da
un punto di vista qualitativo per
l'attribuzione del punteggio all'uopo
previsto.
Ma una volta compiutamente valutati tutti
gli aspetti concernenti il livello
qualitativo dell'offerta, e determinate le
implicazioni che da tale valutazione
discendono, il peso che deve essere
attribuito all'elemento prezzo non può
ulteriormente essere condizionato da una
supposta volontà di privilegiare la qualità
delle offerte, e deve autonomamente essere
valutato e ponderato secondo il peso ad esso
assegnato negli atti di gara.
Pertanto, è illegittima l'impugnata
previsione del bando di gara, nel caso di
specie, che finisce per svilire l'elemento
economico dell'offerta attribuendo ad esso
un ruolo assolutamente secondario, se non
addirittura irrilevante (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 15.11.2011 n. 6023 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Prima nota sulle modifiche dell’articolo
9 della legge 183/2011, c.d. legge di
stabilità 2012, apportate all’articolo 4 del
dl 138/2011, in materia di servizi pubblici
locali di rilevanza economica (ANCI,
nota 15.11.2011). |
APPALTI:
Criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa. Stazione appaltante, no
all'elezione diretta di un professionista.
Domanda.
Questo Comune ha indetto una procedura per
l'affidamento di un appalto di lavori da
assegnare con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa. Dovendosi
nominare la Commissione giudicatrice, ci
siamo posti il problema se, per velocizzare
il sub-procedimento di nomina, e' possibile
interpellare un professionista -esperto
nella materia oggetto dell'appalto- con il
quale l'Amministrazione ha avuto e ha in
corso proficui rapporti di consulenza.
Risposta.
Come si sa, l'art. 84, comma 8, D.Lgs.
12-04-2006, n. 163 e s.m.i. prevede che: "8.
I commissari diversi dal presidente sono
selezionati tra i funzionari della stazione
appaltante. In caso di accertata carenza in
organico di adeguate professionalità, nonché
negli altri casi previsti dal regolamento in
cui ricorrono esigenze oggettive e
comprovate, i commissari diversi dal
presidente sono scelti tra funzionari di
amministrazioni aggiudicatrici di cui
all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio
di rotazione tra gli appartenenti alle
seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di
iscrizione nei rispettivi albi
professionali, nell'ambito di un elenco,
formato sulla base di rose di candidati
fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo,
nell'ambito di un elenco, formato sulla base
di rose di candidati fornite dalle facoltà
di appartenenza.
9. Gli elenchi di cui al comma 8 sono
soggetti ad aggiornamento almeno biennale."
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più
recente, la corretta applicazione di questa
norma esclude che la stazione appaltante
possa fare luogo a elezione diretta di un
professionista, sia pure in possesso dei
requisiti e delle capacità professionali
richiesti dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. cit.
(in questo senso, da ultimo, TAR Lazio-Roma
Sez. II-ter, 27.05.2011, n. 4810, che ha
giudicato illegittima la scelta come
professionista esterno in Commissione di un
avvocato, nella qualità di esperto in
appalti, effettuata senza la preventiva
richiesta all'Ordine degli avvocati di una
rosa di candidati e la conseguente
formazione di un apposito elenco dal quale
attingere).
La risposta al quesito, pertanto, deve
ritenersi negativa, in ossequio
all'orientamento giurisprudenziale più
recente (15.11.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Linee Guida per l’utilizzo del
Codice Unico di Progetto (CUP) – Spese di
sviluppo e gestione.
Nell’ambito dell’attività del Gruppo di
lavoro Osservatori regionali Appalti presso
ITACA, sono state messe a punto le
linee guida 14.11.2011 per
l’utilizzo del Codice Unico di Progetto
(CUP) che la legge 3/2003 impone a tutte le
amministrazioni di richiedere per ogni
progetto d’investimento pubblico.
La legge 136/2011 ha reso obbligatorio
inoltre il CUP anche ai fini della
tracciabilità dei flussi finanziari per
prevenire fenomeni di infiltrazioni
criminali. Il documento è stato realizzato
in collaborazione con il Dipartimento per la
programmazione, il coordinamento della
politica economica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri. |
APPALTI - VARI: G.U.
14.11.2011 n. 265 "Norme per la tutela
della libertà d’impresa. Statuto delle
imprese" (Legge
11.11.2011 n. 180).
---------------
L'ENNESIMA MODIFICA AL CODICE DEI
CONTRATTI (D.Lgs. 163/2006): si legga, al
riguardo, l'art. 12 ed anche l'interessante
art. 13. |
APPALTI: G.
P. Cirillo,
Requisiti generali di qualificazione:
garanzie per l’amministrazione o occasione
di contenzioso? (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
C. Contessa,
L’abuso delle clausole escludenti nelle
pubbliche gare e i suoi possibili rimedi: un
ritorno alla disapplicazione?
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Polizza
fideiussoria nel raggruppamento temporaneo
di imprese.
Nel caso di partecipazione alla gara di
appalto di un raggruppamento temporaneo di
imprese, la polizza fideiussoria deve essere
intestata a tutte le imprese componenti il
costituendo raggruppamento di imprese al
fine di costituire la cauzione provvisoria
richiesta per la partecipazione alla gara
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n. 5959 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di partecipazione ad una
gara di appalto di un raggruppamento
temporaneo di imprese la polizza
fideiussoria deve essere intestata a tutte
le imprese componenti il costituendo RTI.
Nel caso di partecipazione alla gara di
appalto di un raggruppamento temporaneo di
imprese, la polizza fideiussoria deve essere
intestata a tutte le imprese componenti il
costituendo RTI, al fine di costituire la
cauzione provvisoria richiesta per la
partecipazione alla gara; infatti, stante il
carattere accessorio della garanzia, il
fideiussore, nel manifestare in modo
espresso la volontà di prestarla, deve anche
indicare l'obbligazione principale
garantita, il soggetto garantito, nonché le
eventuali condizioni e limitazioni
soggettive ed oggettive della garanzia
rispetto all'obbligazione principale, e
tanto in omaggio al principio generale,
desumibile dagli artt. 1346 e 1348 c.c.,
secondo cui, l'oggetto del contratto deve
essere determinato o almeno determinabile a
pena di nullità. In presenza di un'ATI
costituenda, il soggetto garantito non è
l'ATI nel suo complesso, non essendo ancora
costituita, e neanche la sola capogruppo
designata, in quanto la garanzia riguarda
tutte le imprese associande che, durante la
gara, operano individualmente e
responsabilmente nell'assolvimento degli
impegni connessi alla partecipazione alla
gara, ivi compreso, in caso di
aggiudicazione, quello di conferire il
mandato collettivo alla impresa designata
capogruppo, che stipulerà il contratto con
l'Amministrazione.
Pertanto, nel caso di specie, è inidonea la
costituzione della cauzione provvisoria
mediante polizza intestata alla sola
mandataria e non corredata da altra
indicazione volta ad identificare l'altra
impresa costituente il raggruppamento di
imprese e ad estendere il perimetro
dell'obbligazione di garanzia anche con
riguardo alle condotte della mandante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n. 5959 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Esclusione dalla gara, gravità del reato
senza codice penale. La valutazione dipende
dalle modalità di
esecuzione del contratto.
Nelle gare d'appalto il
Codice dei contratti pubblici è volto ad
evitare che i questi possano essere affidati
a coloro che abbiano commesso reati lesivi
degli interessi collettivi che, nella veste
di aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. L’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è
volto ad evitare che i contratti pubblici
possano essere affidati a coloro che abbiano
commesso reati lesivi degli interessi
collettivi che, nella veste di
aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare.
Il requisito della gravità dei reati
commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara.
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza
amministrativa ha più volte affermato che,
nelle gare volte alla aggiudicazione di
appalti di lavori, il requisito della
gravità può essere riconosciuto tutte le
volte in cui la fattispecie delittuosa sia
consistita nella lesione della salute dei
dipendenti da parte dell’impresa edile che
non abbia apprestato tutti i mezzi e gli
strumenti imposti dalla normativa volta a
prevenire gli infortuni suoi luoghi di
lavoro.
E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo
stesso legislatore a considerare la
commissione di gravi infrazioni debitamente
accertate alle norme in materia di sicurezza
e a ogni altro obbligo derivante dai
rapporti di lavoro come causa ostativa alla
partecipazione alle gare pubbliche.
Nel caso di specie, peraltro, alla condanna
per lesioni colpose si aggiungeva anche
quella per evasione fiscale che, ancorché di
per sé non decisiva ai fini dell’esclusione,
valeva comunque ad appannare ulteriormente
l’immagine morale e commerciale
dell’impresa.
Privo di pregio è anche il rilievo secondo
cui la stazione appaltante non avrebbe
tenuto in considerazione il lungo tempo
trascorso fra la commissione dei reati e la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Invero, il lasso temporale che,
eventualmente, deve essere valutato ai fini
del giudizio sulla moralità dell’impresa
partecipante alla gara è quello intercorso
dalla condanna, che, nel caso di specie, non
appare particolarmente lungo visto che
entrambe le condanne prese in esame dalla
Commissione di gara sono state pronunciate
nel 2008.
Nessun rilievo, ai fini della decisione del
presente ricorso, può, inoltre, avere il
fatto che la società abbia partecipato e
vinto altre gare di appalto successivamente
alle condanne sopra menzionate.
Infatti, la valutazione in ordine alla
moralità professionale ha natura
discrezionale e comporta apprezzamenti
legati all’oggetto di ciascun appalto che
possono variare da caso a caso.
Senza contare, poi, che i giudizi espressi
in proposito da altre stazioni appaltanti
non potevano certo ritenersi condizionanti o
decisivi nel caso di specie (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.11.2011 n. 2715 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara d'appalto -
Requisiti di partecipazione - Potere di
riesame - Non fa venire meno - Avvicendarsi
delle fasi .
2. Gara d'appalto - Annullamento
aggiudicazione - Intervento in autotutela -
Ammesso.
1. L'avvicendarsi delle diverse fasi della
gara non preclude alla stazione appaltante
il potere di riesaminare anche in un momento
successivo a quello della verifica dei
requisiti di partecipazione la
documentazione allegata all'offerta per
disporre l'esclusione di un'impresa
concorrente che ne fosse priva.
2. La giurisprudenza amministrativa ammette
addirittura l'intervento della p.a. in via
di autotutela anche dopo la conclusione
della gara con l'annullamento
dell'aggiudicazione. Per conseguenza
l'esercizio del potere di verifica delle
offerte non può essere in alcun modo
impedito quando la gara è in corso e non si
sono ancora formate posizioni consolidate in
relazione al conseguimento della commessa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.11.2011 n.
2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'art.
38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad
evitare che i contratti pubblici possano
essere affidati a coloro che abbiano
commesso reati lesivi degli interessi
collettivi che, nella veste di
aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. Il requisito della gravità dei
reati commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara.
Nelle gare volte alla aggiudicazione di
appalti di lavori, il requisito della
gravità può essere riconosciuto tutte le
volte in cui la fattispecie delittuosa sia
consistita nella lesione della salute dei
dipendenti da parte dell’impresa edile che
non abbia apprestato tutti i mezzi e gli
strumenti imposti dalla normativa volta a
prevenire gli infortuni suoi luoghi di
lavoro. E ciò tenuto anche conto del fatto
che è lo stesso legislatore a considerare la
commissione di gravi infrazioni debitamente
accertate alle norme in materia di sicurezza
e a ogni altro obbligo derivante dai
rapporti di lavoro come causa ostativa alla
partecipazione alle gare pubbliche (art. 39,
comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006).
Occorre ricordare che l’art. 38 del D.Lgs.
133 del 2006 è volto ad evitare che i
contratti pubblici possano essere affidati a
coloro che abbiano commesso reati lesivi
degli interessi collettivi che, nella veste
di aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. Il requisito della gravità dei
reati commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara (Consiglio
Stato sez. VI,, 04.06.2010 n. 3560; TAR
Toscana, Sez. II, 31.08.2011 n. 1351).
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza
amministrativa (anche di questo Tribunale)
ha più volte affermato che, nelle gare volte
alla aggiudicazione di appalti di lavori, il
requisito della gravità può essere
riconosciuto tutte le volte in cui la
fattispecie delittuosa sia consistita nella
lesione della salute dei dipendenti da parte
dell’impresa edile che non abbia apprestato
tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla
normativa volta a prevenire gli infortuni
suoi luoghi di lavoro (Consiglio di Stato,
sez. V, 12.04.2007 n. 1723; TAR Campania,
Salerno, sez. I, 09.03.2011 n. 436; TAR
Milano, sez. I, 17.12.2009 n. 5594). E ciò
tenuto anche conto del fatto che è lo stesso
legislatore a considerare la commissione di
gravi infrazioni debitamente accertate alle
norme in materia di sicurezza e a ogni altro
obbligo derivante dai rapporti di lavoro
come causa ostativa alla partecipazione alle
gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e),
del D.Lgs. 163 del 2006)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della modifica
dell'originaria composizione di una
commissione giudicatrice, avvenuta
successivamente all'apertura delle buste
contenenti le offerte tecniche.
E' illegittima la modifica della struttura
della commissione giudicatrice, avvenuta in
un momento successivo all'apertura delle
buste contenenti le offerte tecniche e
concretizzatasi nell'aggiunta di due
commissari esterni rispetto ai tre
componenti originari.
La variazione della consistenza numerica
dell'organo, intervenuta in un momento in
cui i membri originari avevano già potuto
prendere conoscenza dei contenuti delle
offerte tecniche presentate dai concorrenti,
si pone, infatti, in contrasto con
l'esigenza di trasparenza e la garanzia di
continuità delle operazioni valutative che
impongono di individuare in detto discrimine
temporale il limite invalicabile oltre il
quale non può essere variata la consistenza
numerica della Commissione.
L'alterazione della composizione numerica
dell'organo collegiale, nella specie
disposta nel corso della procedura per
effetto di un'iniziativa assunta dal
Presidente della Commissione in contrasto
gli altri componenti, si presta al rischio
di alterazione del giudizio in corso di
formazione e di formazione di maggioranze
precostituite, in guisa da cagionare un
vulnus ai principi di trasparenza,
imparzialità e continuità dell'azione
amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2011 n. 5906 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L’art.
46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n.
163 ha introdotto il principio della
tassatività delle cause di esclusione dei
soggetti partecipanti agli esperimenti
indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità
di comminare l’esclusione solo “nei casi di
incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta, per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte” e che “i bandi
e le lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione”
e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, è oggi possibile
comminare l’esclusione da una gara solo ove
vi sia incertezza in ordine alla provenienza
della domanda, al suo contenuto o alla
sigillazione dei plichi e che ogni altra
ragione di non partecipazione agli incanti
non può essere prevista, a pena di nullità
della disposizione del bando o della lettera
d’invito.
L’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo
12.04.2006, n. 163, aggiunto dall’art. 4, 2
comma, n. 2, lett. d) del D.L. n. 70 del
2011, convertito con modificazioni nella L.
12.07.2011, n. 106, ha introdotto il
principio della tassatività delle cause di
esclusione dei soggetti partecipanti agli
esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la
possibilità di comminare l’esclusione solo “nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte” e che “i
bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di
esclusione” e “dette prescrizioni
sono comunque nulle”.
In base a tale norma, in definitiva, è oggi
possibile comminare l’esclusione da una gara
solo ove vi sia incertezza in ordine alla
provenienza della domanda, al suo contenuto
o alla sigillazione dei plichi e che ogni
altra ragione di non partecipazione agli
incanti non può essere prevista, a pena di
nullità della disposizione del bando o della
lettera d’invito (cfr. in tal senso e da
ultimo TAR Liguria, sez. II, 22.09.2011, n.
1396, e TAR Veneto, sez. I, 13.09.2011, n.
1376)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.11.2011 n. 632 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
È da escludersi la redazione del
DUVRI da parte del committente di un
servizio di trasporto scolastico.
Con il secondo motivo viene fatta rilevare
l’assenza nella lex specialis di gara
del DUVRI e la mancanza dell’indicazione dei
costi per la sicurezza ai sensi dell’art. 86
del d.lgs. 163/2006.
Il mezzo è infondato, in quanto
dall’articolo 3, comma 1, lett. a), della L.
n. 123/2007, il quale modifica l’art. 7,
comma 3, del D.Lgs. n. 16.09.1994 n. 626,
discende che il DUVRI deve essere redatto
solo nei casi in cui esistano
“interferenze”. In esso, dunque, non devono
essere riportati i rischi propri
dell’attività delle singole imprese
appaltatrici o dei singoli lavoratori
autonomi, in quanto trattasi di rischi per i
quali resta immutato l’obbligo
dell’appaltatore di redigere un apposito
documento di valutazione e di provvedere
all’attuazione delle misure necessarie per
ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In assenza di interferenze non occorre
redigere il DUVRI; in tal caso, tuttavia si
ritiene opportuno che nella lex specialis
di gara sia comunque indicato che l’importo
degli oneri della sicurezza è pari a zero.
Si noti, inoltre, che la circolare
interpretativa del Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale n. 24 del
14.11.2007 ha escluso dalla valutazione dei
rischi da interferenza le attività che, pur
essendo parte del ciclo produttivo
aziendale, si svolgano in luoghi sottratti
alla giuridica disponibilità del committente
e, quindi, alla possibilità per la stazione
appaltante di svolgere nei medesimi luoghi
gli adempimenti di legge, per cui nel caso
di specie, trattandosi di un servizio di
trasporto scolastico in cui il luogo fisico
dell’espletamento del servizio è costituito
da mezzi di trasporto messi a disposizione
dallo stesso appaltatore, la redazione del
DUVRI da parte del committente è da
escludersi.
Per quanto concerne la mancata indicazione
dei costi della sicurezza, sono
quantificabili come costi della sicurezza da
interferenze le misure, in quanto
compatibili, di cui all’art. 7 comma 1 del
d.P.R. n. 222/2003, previste nel DUVRI.
Il concetto di “costo della sicurezza”
è quindi strettamente interconnesso con il
DUVRI; per cui si ritiene che, ove non sia
obbligatorio elaborare questo documento, si
possa prescindere dalla indicazione dei
costi della sicurezza in sede di
documentazione di gara predisposta dalla
stazione appaltante (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 09.11.2011 n. 388 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo in capo ad un'ATI di
indicare sia le quote di ciascun componente,
sia le quote di esecuzione dell'appalto.
Secondo il più recente indirizzo
giurisprudenziale, quale che sia il settore
dell'appalto lavori, servizi, forniture, l'a.t.i.
offerente deve indicare sia le quote di
partecipazione all'a.t.i. di ciascun
componente, sia le quote di esecuzione
dell'appalto, e vi deve essere
corrispondenza tra quota di partecipazione e
quota di esecuzione.
Tale obbligo di duplice indicazione è
espressione di un principio generale che
prescinde dall'assoggettamento della gara
alla disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla morfologia del
raggruppamento verticale ovvero orizzontale,
o ancora alla tipologia delle prestazioni,
principali o secondarie, scorporabili o
unitarie (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2011 n. 5892 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Non sussiste l'obbligo, anche in
capo ad un'ATI orizzontale, di indicare le
parti del servizio che saranno assunte da
ciascuna impresa.
Ai sensi dell'art. 37, c. 4, del d.lgs. n.
163/2006, nelle gare pubbliche indette per
l'affidamento di servizi, l'offerta di
un'ATI concorrente deve indicare le parti
del servizio che saranno assunte da ciascuna
impresa, solo nell'ipotesi in cui il
raggruppamento sia di tipo verticale, vale a
dire con scorporo di singole parti, mentre
nel caso di RTI orizzontale, non è
necessario indicare le parti da eseguire da
ciascuna impresa, ma soltanto le
percentuali, e ciò in quanto, nel
raggruppamento orizzontale gli operatori
economici eseguono il medesimo tipo di
prestazione e tutte le imprese sono
responsabili in solido dell'intero (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 08.11.2011 n. 1658 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Consorzio stabile: sulla
qualificazione minima della consorziata
indicata per l'esecuzione dei lavori.
Poiché l’art. 97, comma 4, nella seconda
parte prevede espressamente che “alle
singole imprese consorziate si applicano le
disposizioni previste per le imprese
mandanti dei raggruppamenti temporanei di
imprese”, va quindi richiamato l’art. 95,
comma 2, del medesimo DPR, il quale dispone
che tali imprese devono possedere i
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi ciascuna nella misura
minima del 10% di quanto richiesto
all'intero raggruppamento.
Come ancora questa Sezione ha già avuto modo
di precisare (cfr. sentenza 08.02.2007
n. 223), tale soluzione interpretativa
consente di salvaguardare la fondamentale
esigenza di far eseguire i lavori ad imprese
consorziate adeguatamente qualificate, e
quindi in grado di operare con la necessaria
competenza tecnica, fornendo idonee garanzie
di buona esecuzione all’Ente committente.
E tale esigenza non può essere confusa, da
una parte, con la possibilità che ha il
Consorzio, come soggetto distinto, di
cumulare le qualificazioni delle consorziate
al fine di partecipare alla gara, con la
diversa esigenza che chi si occuperà in
concreto, anche in parte, della esecuzione
dell’appalto, sia comunque qualificato a tal
fine; e, dall’altra, con l’espressa
previsione dell’art. 97, comma 1, del citato
D.P.R. 554/1999 secondo cui la facoltà, che i
consorzi stabili di imprese hanno, di far
eseguire i lavori dai consorziati, lascia
“ferma la responsabilità sussidiaria e
solidale degli stessi nei confronti della
stazione appaltante”.
Perché anche tale
previsione ha una distinta ratio, che non
incide in alcun modo sulla necessità, già
precisata, che anche i consorziati siano
adeguatamente qualificati per le opere che
dovranno eseguire (nello stesso senso cfr.
anche Cons. St., sez. IV, 21.04.2008 n.
1778, secondo cui, a prescindere dal fatto
che si tratti di consorzio stabile o
ordinario, “è fuori discussione che esso
debba dare la dimostrazione, nei modi
previsti, del possesso dei requisiti di
tutti i consorziati che vengano individuati
come esecutori delle prestazioni scaturenti
dal contratto”; nonché Id., sez. VI,
22.10.2010 n. 7609) (tratto da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza
07.11.2011 n. 2645 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cauzione provvisoria: è superflua
ai fini dell'operatività della garanzia la
sottoscrizione del contratto da parte del
soggetto garantito.
Nel negozio di fideiussione le parti
contraenti sono il garante e il soggetto a
favore del quale opera la garanzia, mentre
non è parte del contratto di fideiussione il
soggetto garantito (cioè il debitore), la
cui sottoscrizione risulta, pertanto,
superflua ai fini della operatività della
garanzia.
La normativa applicabile nella Regione
Siciliana sancisce chiaramente che la
cauzione definitiva deve essere valida ed
operante sino alla data di collaudo
provvisorio a prescindere dal fatto che
quest’ultimo intervenga o meno entro il
termine stabilito in astratto per il suo
espletamento.
Ne consegue che la
dichiarazione preventiva di impegno del
garante deve necessariamente conformarsi
alla concreta realizzazione del suddetto
evento, non potendosi ritenere idonea
l’indicazione di un termine prefissato di
durata, seppur in via astratta superiore al
termine entro il quale, di norma, l’evento
(collaudo) dovrebbe realizzarsi (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
C.G.A.R.A.,
sentenza
07.11.2011 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Risarcimento del danno per
equivalente: non sono mai rimborsabili le
spese sostenute per la partecipazione ad una
gara.
L'amministrazione, di conseguenza, è
legittimata a revocare la procedura solo se
fornisce una adeguata motivazione in ordine
alla natura e alla gravità delle anomalie
contenute nel bando o verificatesi nel corso
delle operazioni di gara o comunque negli
atti della fase procedimentale che, alla
luce della comparazione dell'interesse
pubblico con le contrapposte posizioni dei
partecipanti alla gara, giustificano il
provvedimento di autotutela.
Per quanto specificamente riguarda le spese
di partecipazione, secondo l’indirizzo
giurisprudenziale prevalente, in assenza di
una specifica previsione di legge le spese
sostenute per la partecipazione ad una gara
pubblica non sono mai rimborsabili, a nulla
rilevando se l'impresa che ne pretenda la
restituzione sia risultata o meno
aggiudicataria, trattandosi di un onere
ordinariamente affrontato da ogni impresa
interessata a procacciarsi un affare e,
quindi, a carico dei concorrenti in
conseguenza della sola partecipazione a una
procedura di evidenza pubblica e del tutto
indipendentemente dal relativo esito (V Sez.
n. 808 del 2010) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
- C.G.A.R.S.,
sentenza 07.11.2011 n. 785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della clausola
del bando di gara che preveda, per la fase
di apertura delle buste contenenti le
offerte tecniche, una apposita seduta
riservata.
Sulla legittimità dell'esclusione da una
gara di quei concorrenti che, secondo
motivata valutazione della stazione
appaltante, abbiano commesso grave
negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dall'amministrazione
che bandisce la gara.
Alla luce di una recente sentenza
dell'Adunanza Plenaria del C.d.S., negli
appalti pubblici da aggiudicare con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, il principio della pubblicità
delle operazioni da svolgere in seduta
pubblica, trova applicazione con specifico
riferimento anche all'apertura della busta
contenente l'offerta tecnica.
Infatti, la pubblicità delle sedute di gara
risponde all'esigenza di tutela non solo
della parità di trattamento dei concorrenti,
cui deve essere consentito di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere, in tal modo,
la garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
imparzialità dell'azione amministrativa, le
cui conseguenze negative sono difficilmente
apprezzabili ex post, una volta rotti
i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di
un riscontro immediato.
Pertanto, è illegittima la clausola del
bando che prevede, per la fase di apertura
delle buste contenenti le offerte tecniche,
una seduta riservata, atteso che
all'apertura delle buste delle offerte
tecniche deve procedersi in seduta pubblica,
trattandosi di un passaggio essenziale e
determinante dell'esito della procedura
concorsuale, che deve essere presidiata
dalle medesime garanzie previste per
l'aperture delle buste contenenti la
documentazione amministrativa e l'offerta
economica, a tutela degli interessi privati
e pubblici coinvolti dal procedimento.
---------------
Ai sensi dell'articolo 38, c. 1, lett. f),
del d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dalla
partecipazione alle gare d'appalto i
soggetti che, secondo motivata valutazione
della stazione appaltante, abbiano commesso
grave negligenza o malafede nell'esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; ovvero che
siano incorsi in un errore grave
nell'esercizio della loro attività
professionale.
Tale disposizione prevede quindi la
possibile esclusione di quelle imprese che
si siano rese responsabili di gravi
inadempienze nell'esecuzione di precedenti
rapporti contrattuali, pertanto non ritenute
affidabili dalla stazione appaltante. La
giurisprudenza ha peraltro chiarito che,
l'esclusione dalla gara, non ha carattere
sanzionatorio, e per procedere alla stessa è
necessario che l'amministrazione, con atto
motivato, dia conto della gravità della
negligenza o dell'errore professionale
commesso e del rilievo che tali elementi
hanno sull'affidabilità dell'impresa e
sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo
contratto con la stessa.
La valutazione sulla rilevanza, ai fini
dell'affidamento di un nuovo appalto, della
negligenza o dell'errore professionale e,
quindi, sulla sussistenza o meno del
requisito di affidabilità, ha quindi
carattere discrezionale; pertanto, occorre
che il provvedimento di esclusione sia
adeguatamente motivato con l'indicazione
delle ragioni del convincimento circa la
mancanza del requisito di affidabilità
dell'impresa partecipante alla gara.
Nel caso di specie, la mancata esclusione
del concorrente è stata determinata da una
valutazione discrezionale della P.A., la
quale ha ritenuto che l'errore professionale
commesso non fosse talmente grave da far
venir meno il requisito di affidabilità
della stessa impresa nella partecipazione ad
una nuova gara (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.11.2011 n. 5866 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti di servizi, per
prestazioni specifiche ok a bandi più
rigidi. Ragionevole l'esclusione per mancata
allegazione dei requisiti di affidabilità.
E' legittima, non contrastando con i canoni
di ragionevolezza, proporzionalità e massima
partecipazione alle procedure di evidenza
pubblica, la clausola del bando di gara per
l'affidamento dell'appalto del servizio di
trasporto scolastico che prevede, a pena di
esclusione, la produzione di un titolo
idoneo allo svolgimento di un'attività
intimamente connessa all'oggetto
dell'appalto.
La ricorrente ha impugnato, oltre al resto,
il provvedimento con cui la stazione
appaltante aveva disposto la sua esclusione
da una gara di appalto per l’affidamento del
servizio di trasporto scolastico.
Nello specifico, ha eccepito l’illegittimità
della clausola del bando di gara con cui era
stata prevista, a pena di esclusione, la
produzione di un titolo idoneo per lo
svolgimento dell’attività dell’oggetto
dell’appalto.
In particolare, di un contratto di locazione
o di un certificato di proprietà attestante
la disponibilità di un deposito a uso
rimessa, ubicato a una certa distanza dalla
sede di espletamento del servizio di
trasporto scolastico.
Depositate le memorie dalle parti in causa
in vista della Camera di consiglio, il
Collegio lombardo, con sentenza in forma
semplificata, ha, in punto di rito, rilevato
di non poter ammettere la memoria e i
documenti depositati dalla controinteressata,
aggiudicatrice dell’appalto, in quanto
tardive rispetto al termine dimidiato di 1
giorno libero (da calcolare a ritroso dalla
data della Camera di consiglio), ai sensi
dell’art. 55, comma 5, 119 e 120 del Codice
del processo amministrativo (allo stesso
modo, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II,
13.05.2011 n. 693).
Ha precisato, infatti, che nel calcolo "a
ritroso" dei termini, l’assegnazione di
un intervallo minimo prima del quale deve
essere compiuta un’attività processuale
comporta l’impossibilità di prorogare al
primo giorno seguente non festivo il termine
che scada in giorno festivo (poiché
diversamente opinando si produrrebbe
l’effetto di un’abbreviazione
dell’intervallo): detta proroga "in
avanti" opera dunque con esclusivo
riguardo ai termini cd. a decorrenza
successiva (cfr. Cass. Civ., Sez. II,
04.01.2011, n. 182).
Nel merito, ha ritenuto il ricorso
infondato.
Invero, non ha mancato di rilevare che la
ricorrente era stata esclusa, tra l’altro,
per non avere allegato copia di un contratto
di locazione o di un certificato di
proprietà attestante la disponibilità di un
deposito a uso rimessa, ubicato a una
distanza non superiore a 15 Km. dal luogo in
cui svolgere l’attività di trasporto
scolastico.
Detto requisito doveva essere comprovato con
apposita produzione documentale, giusta
quanto imposto dall’art. 8, lett. m), del
bando di gara che, al riguardo, precisava
pure che il mancato possesso anche di uno
solo dei requisiti richiesti avrebbe
comportato l’esclusione dalla procedura
selettiva.
La ricorrente, tuttavia, aveva esibito in
sede di gara la dichiarazione di un’agenzia
di intermediazione immobiliare attestante la
disponibilità di un capannone di 420 mq.
ubicato in comune affatto differente da
quello in cui si sarebbe dovuto svolgere il
servizio oggetto d’appalto.
Orbene, il TAR lombardo, precisando il
principio in massima, ha proseguito che la
prescrizione contenuta nel bando di gara
rispondeva all’interesse pubblico della
stazione appaltante di affidare il servizio
–rivolto ai minori frequentanti la scuola
dell’obbligo e per sua natura essenziale– a
un operatore economico che disponesse delle
condizioni minime indispensabili a
garantirlo con continuità ed efficienza.
Pertanto, il G.A. bresciano ha rilevato come
la semplice dichiarazione di un’agenzia
immobiliare non dava conto di alcun impegno
giuridicamente coercibile a carico del terzo
proprietario dell’immobile, il quale avrebbe
ben potuto decidere di non concludere il
contratto di compravendita (o di locazione)
dopo l’eventuale aggiudicazione.
Per siffatta ragione, i concorrenti –per
evitare di assumere il vincolo definitivo
prima di conoscere l’esito della gara–
avrebbero al più potuto stipulare un
contratto preliminare recante una clausola
condizionale di validità e efficacia
all'aggiudicazione dell’appalto.
Alla stregua di tanto, considerato che il
bando non consentiva la tardiva
presentazione del titolo attestante la
disponibilità del locale, pena la violazione
della fondamentale regola della par condicio
dei concorrenti, e che l’art. 46 del Codice
dei contratti pubblici prevede
effettivamente il potere-dovere di soccorso
della stazione appaltante nei confronti dei
concorrenti mediante la richiesta di
chiarimenti in ordine al contenuto dei
documenti presentati, ha precisato il
giudicante che nella vicenda non poteva
essere esercitato da parte
dell’amministrazione un potere di soccorso
per permettere all’offerente di sanare
l’irregolarità originaria della propria
domanda.
Non a caso, il titolo di disponibilità del
deposito a uso rimessa degli autobus
costituiva un elemento essenziale
dell’offerta, diretto come già sottolineato
ad avallarne la credibilità e
l’affidabilità.
A siffatta conclusione, del resto, si è
pervenuti anche con riferimento alla novella
di cui all’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n.
163/2006; infatti la nuova normativa
contempla la fattispecie dell’esclusione dei
concorrenti per difetto di "elementi
essenziali" dell’offerta, come l’impegno
di cui si discorre nella fattispecie.
Ragion per cui il Collegio, reputando che la
domanda della ricorrente fosse priva di tale
elemento essenziale, ha rilevato la
legittimità dell’operato della stazione
appaltante, contestualmente rigettando il
gravame (tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n.
1510 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente da una gara per il
servizio di trasporto scolastico, per omessa
attestazione della disponibilità di un
deposito-rimessa, sito ad una determinata
distanza dalla sede di espletamento del
servizio.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara per l'affidamento del servizio
di trasporto scolastico, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un
concorrente che abbia omesso di attestare la
disponibilità di un deposito ad uso rimessa,
ubicato ad una determinata distanza dalla
sede di espletamento del servizio, qualora
il bando richieda la dimostrazione del
predetto requisito, come nel caso di specie,
mediante apposita produzione documentale,
pena l'esclusione dalla procedura.
Non confligge con i canoni di
ragionevolezza, proporzionalità e massima
partecipazione alle procedure selettive, la
previsione espressa, nella lex specialis,
della produzione di un titolo idoneo allo
svolgimento di un'attività intimamente
connessa all'oggetto dell'appalto; nella
fattispecie in esame, trattasi di apposito
luogo di ricovero dei mezzi a distanza non
eccessiva dal territorio ove il servizio
deve essere espletato; infatti, tale
prescrizione risponde all'interesse pubblico
della stazione appaltante, di affidare il
servizio ad un operatore economico che
disponga delle condizioni minime
indispensabili a garantirlo con continuità
ed efficienza (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 04.11.2011 n. 1510 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad un
concorrente che abbia indicato, nella
propria offerta, voci relative al costo del
lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle
ministeriali.
L'art. 86, c. 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006,
in relazione al giudizio di anomalia delle
offerte presentate dai concorrenti in sede
di gara, prescrive una rigorosa verifica del
rispetto del costo del lavoro, alla luce
delle indicazioni "tendenziali"
evincibili dalla tabelle ministeriali.
Per pacifica giurisprudenza, congruente
anche con le più recenti indicazioni
normative, tra cui il nuovo art. 81, c.
3-bis, del medesimo decreto, sono
inderogabili solo i minimi salariali di
costo del lavoro dettati dalla
contrattazione collettiva i quali, in sede
di valutazione di congruità di un'offerta,
non possono che essere ritenuti come tali
inderogabili. In realtà, l'unico parametro
di computo dettato dalle tabelle
ministeriali, effettivamente inderogabile, è
la retribuzione minima oraria dettata dalla
contrattazione collettiva; invece i restanti
maggiori costi, se pure esistenti, possono
essere concretamente giustificati in termini
anche minori rispetto a quanto astrattamente
ed omogeneamente previsto dalla tabelle
ministeriali.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di aggiudicazione di una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia
indicato nella propria offerta, voci
relative al costo del lavoro, ridimensionate
rispetto alle tabelle ministeriali (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1173 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
In sede di verifica del rispetto
del costo del lavoro, l'unico parametro di
computo dettato dalla tabelle ministeriali
effettivamente inderogabile è la
retribuzione minimia inderogabile oraria
dettata dalla contrattazione collettiva.
L’art. 86, comma 3-bis, prescrive una
rigorosa verifica del rispetto del costo del
lavoro alla luce delle indicazioni “tendenziali”
evincibili dalla tabelle ministeriali. E’
sul punto pacifica e univoca giurisprudenza,
congruente anche con le più recenti
indicazioni normative (si veda il nuovo art.
81, comma 3-bis) che inderogabili siano solo
i minimi salariali di costo del lavoro
dettati dalla contrattazione collettiva i
quali, in sede di valutazione di congruità
di una offerta, non possono che essere
ritenuti come tali inderogabili. Altra e ben
diversa problematica attiene alla verifica
del rispetto tendenziale dal maggior costo “del
servizio” che tiene complessivamente
conto, oltre che del costo orario
inderogabile del singolo lavoratore, dei
maggiori costi effettivi del servizio che
possono essere indotti dalla circostanza che
non tutte le ore teoriche retribuite sono
effettivamente lavorate (si pensi alle
assenze per malattia, ferie ecc.).
L’unico parametro di computo dettato dalla
tabelle ministeriali effettivamente
inderogabile è la retribuzione minimia
inderogabile oraria dettata dalla
contrattazione collettiva, mentre i restanti
maggiori costi, se pure esistenti, possono
essere concretamente giustificati in termini
anche minori rispetto a quanto astrattamente
e omogeneamente previsto dalla tabelle
ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1173 -
tratto da www.mediagraphic.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
segnalazione all'Autorità va fatta non solo
nel caso di riscontrato difetto dei
requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale, trattandosi di esclusione idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
Sostiene l’esponente che la segnalazione
all’Autorità sarebbe stata effettuata in
aperta violazione della normativa di
riferimento, applicabile ratione temporis,
poiché la sanzione della segnalazione
all’Autorità era prevista nel solo caso di
irregolarità accertate con riferimento ai
requisiti di ordine speciale di cui all’art.
48 del d.lgs. n. 163/2006 e non anche a
quelle relative ai requisiti di ordine
generale di cui all’art. 38, essendo queste
ultime sanzionabili, in conseguenza, solo
con l’esclusione dalla gara.
L’assunto in questione trova riscontro nel
precedente orientamento ermeneutico della
Sezione, consolidatosi a partire dalla
sentenza n. 3699 del 21.12.2009.
Con tale pronuncia, il Collegio aveva
rilevato che “l'ipotesi di carenza dei
requisiti di carattere generale, regolata
dall'art. 38 del citato d.lgs., che prevede
in tal caso solo l'esclusione del
concorrente dalla gara, è cosa assai diversa
da quella relativa al mancato possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, disciplinata
dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, che
riconnette a tale circostanza non solo
l'esclusione del concorrente dalla gara, ma
anche l'escussione della relativa cauzione
provvisoria e la segnalazione del fatto
all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici”.
Ne consegue, secondo la pronuncia
richiamata, che “l'art. 48 del d.lgs
163/2006, dedicato ai procedimento e
sanzioni, si applica limitatamente ai soli
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi; pertanto, il
procedimento e le sanzioni ex art. 48 non si
applicano alla verifica delle dichiarazioni
sostitutive circa il possesso dei requisiti
di carattere generale; trattandosi, infatti,
di norme sanzionatorie e quindi di stretta
interpretazione, l'esplicito riferimento ai
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi esclude che gli
effetti previsti all'art. 48 possano
estendersi anche al controllo disposto dalla
stazione appaltante delle dichiarazioni
sostitutive relative ai requisiti di ordine
generale di cui all'art. 38 d.lgs. 163/2006.
Pertanto, l'eventuale falsità delle stesse
dichiarazioni sostitutive sui requisiti di
ordine generale non trova disciplina, quanto
alle sanzioni, nell'art. 48”.
Tale orientamento, aderente
all’interpretazione offerta dalla prevalente
giurisprudenza di prime cure nonché da
talune pronunce del giudice d’appello (cfr.,
ad es., Cons. Stato, sez. VI, 28.08.2006, n.
5009), è stato più volte ribadito dalla
Sezione (v., fra le altre, le sentenze n.
3699 del 21.12.2009, n. 957 del 15.02.2010,
n. 3129 del 16.07.2010 e n. 3738 del
22.10.2010).
Esso necessita, però, di essere radicalmente
riconsiderato, alla luce del recente arresto
del giudice amministrativo d’appello (Cons.
Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3567) che,
accogliendo il gravame proposto
dall’Autorità avverso una delle citate
sentenze di questo Tribunale (la n. 957 del
2010), ha affermato l’opposto principio
secondo cui “la segnalazione all'Autorità
va fatta non solo nel caso di riscontrato
difetto dei requisiti di ordine speciale in
sede di controllo a campione, ma anche in
caso di riscontrato difetto dei requisiti di
ordine generale, trattandosi di esclusione
idonea a segnalare una circostanza di
estrema rilevanza per la corretta conduzione
delle procedure di affidamento dei lavori
pubblici”.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di
argomentazione dirimente, sia in ragione
della sua intrinseca logicità e rilevanza
sia perché rappresenta un elemento di
saldatura rispetto alla posizione
prevalentemente assunta dal giudice
d’appello in merito alla questione
controversa (cfr., ad es., Cons. Stato, sez.
IV, 07.09.2004, n. 5792; sez. V, 12.02.2007
n. 554; sez. VI, 04.08.2009, n. 4905 e, più
recentemente, sez. VI, 03.02.2011, n. 782)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della
composizione di una commissione di gara, nel
caso in cui alcuni membri della stessa siano
privi di adeguata competenza tecnica, in
relazione allo specifico settore oggetto
dell'appalto da affidare.
In materia di gare d'appalto, è illegittima
la composizione di una commissione
giudicatrice, nel caso in cui alcuni membri
effettivi della stessa siano privi di
adeguata competenza tecnica, in relazione
allo specifico settore oggetto dell'appalto
da affidare.
La regola fissata dall'art. 84 del d.lgs. n.
163/2006, secondo cui i componenti della
Commissione di gara vanno scelti fra
soggetti dotati di competenza tecnica
adeguata alle peculiarità dello specifico
settore interessato dall'appalto da
assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l'imparzialità dell'azione
amministrativa, ed in quanto tale, non è
suscettibile di essere derogata; la
mancanza, all'interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all'appalto oggetto di gara, non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell'art. 84 citato, in caso
di assenza, nell'organico
dell'amministrazione che ha bandito la gara,
delle specifiche professionalità, i
componenti della Commissione in possesso
delle capacità tecniche e professionali
adeguate all'importanza dell'appalto, devono
essere scelti tra funzionari di altre
amministrazioni, ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
regola fissata dall’art. 84 del codice dei
contratti pubblici, per la quale i
componenti della Commissione di gara vanno
scelti fra soggetti dotati di competenza
tecnica adeguata alle peculiarità dello
specifico settore interessato dall’appalto
da assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l’imparzialità dell’azione
amministrativa e, in quanto tale, non è
suscettibile di essere derogata.
La mancanza, all’interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all’appalto oggetto di gara non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs.
12.04.2006, n. 163, in caso di assenza,
nell’organico dell’amministrazione che ha
bandito la gara, delle specifiche
professionalità, i componenti della
Commissione di gara, in possesso delle
capacità tecniche e professionali adeguate
all'importanza dell'appalto, devono essere
scelti o tra funzionari di altre
amministrazioni ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo.
Il Collegio intende confermarsi a quanto già
affermato nella propria ordinanza n.
2958/2011, la quale, nell'accogliere
l'istanza cautelare proposta dalla società
ricorrente, ha ritenuto fondato il motivo di
doglianza in esame, considerato che:
a) la regola fissata dall’art. 84 del codice
dei contratti pubblici, per la quale i
componenti della Commissione di gara vanno
scelti fra soggetti dotati di competenza
tecnica adeguata alle peculiarità dello
specifico settore interessato dall’appalto
da assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l’imparzialità dell’azione
amministrativa (Cons. St., sez. V,
04.03.2011, n. 1386) e, in quanto tale, non
è suscettibile di essere derogata;
b) la mancanza, all’interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all’appalto oggetto di gara non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs.
12.04.2006, n. 163, in caso di assenza,
nell’organico dell’amministrazione che ha
bandito la gara, delle specifiche
professionalità, i componenti della
Commissione di gara, in possesso delle
capacità tecniche e professionali adeguate
all'importanza dell'appalto, devono essere
scelti o tra funzionari di altre
amministrazioni ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo (Cons. St.,
sez. V, 24.11.2009 n. 7353; Tar Veneto, sez.
I, 08.10.2009, n. 2575)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
OPERE PUBBLICHE.
Sussiste violazione dell'art. 84, Codice dei
Contratti Pubblici per illegittima
composizione della Commissione di gara,
nell'ipotesi in cui due dei soggetti diversi
dal Presidente, con qualifica di membro
effettivo, risultino privi della necessaria
esperienza nello specifico settore oggetto
dell'accordo quadro. In merito deve
rilevarsi che la regola fissata dal
menzionato disposto normativo costituisce
espressione di principi generali,
costituzionali e comunitari, volti ad
assicurare il buon andamento e
l'imparzialità dell'azione amministrativa,
ed, in quanto tale, non è suscettibile di
deroga.
Il ristoro del danno conseguente a lesione
di interesse legittimo pretensivo è
subordinato, pur in presenza di tutti i
requisiti dell'illecito -e dunque della
condotta, della colpa, del nesso di
causalità e dell'evento dannoso- secondo un
giudizio di prognosi formulato ex ante,
alla dimostrazione, ancorché fondata con il
ricorso a presunzioni, della spettanza
definitiva del bene collegato a tale
interesse. Tale giudizio prognostico
favorevole non può in alcun modo essere
formulato nelle ipotesi in cui (come nella
specie) l'annullamento dell'aggiudicazione
consegua unicamente alla riscontrata
illegittima composizione della Commissione
di gara
(TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Direttiva
2004/18/CE - Art. 68 D.lgs. 163/2006 -
Necessità di assicurare una concorrenza
effettiva tramite la partecipazione del
maggior numero possibile di offerenti -
Necessità per le stazioni appaltanti di
specificare le proprie esigenze in termini
di prestazioni - Sussiste - Art. 68
costituisce norma imperativa e di
eterointegrazione.
Il comma 4 dell'art. 68 D.Lgs. n. 163/2006
prevede che "quando si avvalgono della
possibilità di fare riferimento alle
specifiche di cui al comma 3, lettera a), le
stazioni appaltanti non possono respingere
un'offerta per il motivo che i prodotti e i
servizi offerti non sono conformi alle
specifiche alle quali hanno fatto
riferimento, se nella propria offerta
l'offerente prova in modo ritenuto
soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con
qualsiasi mezzo appropriato, che le
soluzioni da lui proposte ottemperano in
maniera equivalente ai requisiti definiti
dalle specifiche tecniche".
Parimenti, per il successivo comma 7 del
medesimo articolo, quando si avvalgono della
facoltà, prevista al comma 3, di definire le
specifiche tecniche in termini di
prestazioni o di requisiti funzionali, le
stazioni appaltanti non possono respingere
un'offerta di lavori, di prodotti o di
servizi conformi ad una norma nazionale che
recepisce una norma europea, ad
un'omologazione tecnica europea, ad una
specifica tecnica comune, ad una norma
internazionale o ad un riferimento tecnico
elaborato da un organismo europeo di
normalizzazione se tali specifiche
contemplano le prestazioni o i requisiti
funzionali da esse prescritti. Per il
successivo comma, in tale ipotesi, nella
propria offerta l'offerente è tenuto a
provare in modo ritenuto soddisfacente dalle
stazioni appaltanti e con qualunque mezzo
appropriato, che il lavoro, il prodotto o il
servizio conforme alla norma ottempera alle
prestazioni o ai requisiti funzionali
prescritti.
Il predetto articolato è diretta espressione
della normativa comunitaria, che in sede di
emanazione della Direttiva 2004/18/CE, posta
a base del codice dei contratti, ha
significativamente innovato la materia
rispetto al passato, sul rilievo che le
disposizioni precedentemente applicabili
obbligavano i committenti pubblici a far
riferimento a taluni strumenti
esaustivamente elencati, ma che
l'applicazione di tali disposizioni
conduceva a situazioni limitative della
scelta del committente all'acquisto dei soli
prodotti conformi alla norma tecnica. E'
pertanto apparso necessario semplificare
tali disposizioni, privilegiando un
approccio che consenta di assicurare una
concorrenza effettiva tramite la
partecipazione del maggior numero possibile
di offerenti, permettendo ai committenti
pubblici anche di specificare le proprie
esigenze in termini di prestazioni.
Nella Direttiva pertanto la definizione
delle specifiche tecniche tramite rinvio ad
una certa normativa è stato posto in termini
meramente alternativi rispetto alla facoltà
di indicare determinate "prestazioni"
o "requisiti funzionali", senza che
il richiamo a questi ultimi possa ritenersi
eccezionale o derogatorio (v. il nuovo
articolo 23, comma 2 secondo cui "le
specifiche tecniche devono consentire pari
accesso agli offerenti e non devono
comportare la creazione di ostacoli
ingiustificati all'apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza").
L'art. 68 del codice dei contratti
costituisce, in ogni caso, una norma
imperativa, per la quale opera il principio
di eterointegrazione, trovando applicazione
a prescindere dal suo mancato riferimento
nella "lex specialis" (TAR Sicilia
Palermo, Sez. I, 15.03.2010 n. 2932). Anche
se le norme destinate a disciplinare la gara
hanno infatti valore di "lex specialis",
le medesime devono essere integrate da
quelle imperative, ai sensi dell'art. 1339
c.c. (TAR Campania Napoli, Sez. I,
11.01.2001 n. 116)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.11.2011 n.
2633 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gara
pubblica - Partecipazione da parte di
associazioni di volontariato - Legittimità -
Condizioni - Esercizio di un'attività
economica.
Con riferimento alla possibilità che le
associazioni di volontariato partecipino a
gare pubbliche, la Corte di Giustizia CE ha
chiarito che le disposizioni della direttiva
2004/18 devono essere interpretate nel senso
di consentire a soggetti che non perseguono
preminente scopo di lucro, che non
dispongono della struttura organizzativa di
un'impresa e che non assicurano una presenza
regolare sul mercato, di partecipare ad un
appalto pubblico di servizi (sentenza
23.12.2009, C 305/08).
In senso conforme si è espresso anche il
Consiglio di Stato che, con indirizzo cui si
aderisce, ha precisato che "l'assenza di
fini di lucro non esclude che le
associazioni di volontariato possano
esercitare un'attività economica, né rileva
la carenza di iscrizione alla Camera di
Commercio o al registro delle imprese, che
non costituiscono requisito indefettibile di
partecipazione alle gare di appalto (Cons.
St. 4236/2009) né, nella fattispecie, ciò
era espressamente stabilito dalle norme di
gara" (Cons. St., Sez. V, 26.08.2010, n.
5956).
Il connotato rilevante ai fini dell'odierna
decisione tesa a sancire la legittimità o
meno della partecipazione di un'associazione
di volontariato, non è, pertanto, la
ricorrenza in capo al soggetto di uno "scopo
di lucro" ma l'esercizio da parte del
partecipante alla gara, di un'attività
definibile come "economica":
quest'ultima certamente non esclusa in
difetto del primo
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.11.2011 n.
2614 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare
pubbliche - Ricorso giurisdizionale - Per
l'annullamento dell'aggiudicazione e, in
subordine, dell'intera gara -
Inammissibilità.
Laddove sia impugnato l'esito di una
procedura di gara, non può essere
soddisfatta la pretesa del ricorrente di
vedere esaminata con precedenza la censura
che conduca al conseguimento
dell'aggiudicazione e, solo in caso di
mancato accoglimento, di ottenere che venga
preso in considerazione un motivo di
illegittimità riguardante l'intera
procedura; ciò in quanto non si può
conseguire un'aggiudicazione a seguito di
una selezione la cui procedura sia
integralmente viziata (cfr., Cons. Stato,
sez. V, 07.07.2011, n. 4052; id. 06.04.2009,
n. 2143)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.11.2011 n.
2607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le clausole di esclusione poste
dalla legge o dal bando sono di stretta
interpretazione, dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute e restando preclusa ogni
forma di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei
partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l'esigenza della più ampia
partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando
che disciplinano i requisiti soggettivi e
oggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche devono essere interpretate nel
rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 della
Costituzione, oltre che dal Trattato
comunitario.
Le clausole di esclusione poste dalla legge
o dal bando sono di stretta interpretazione,
dovendosi dare esclusiva prevalenza alle
espressioni letterali in esse contenute e
restando preclusa ogni forma di estensione
analogica diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando
che disciplinano i requisiti soggettivi e
oggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche devono essere interpretate nel
rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 della
Costituzione, oltre che dal Trattato
comunitario (tra le tante, TAR Trentino Alto
Adige Trento, sez. I, 23.02.2011, n. 50; TAR
Campania Napoli, sez. I, 18.03.2011, n.
1498) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.11.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sui casi in cui la Commissione di
gara giudica in composizione plenaria.
Sui casi in cui le valutazioni effettuate
dalla Commissione di gara siano sindacabili
dal G.A..
La regola secondo cui la Commissione
giudicatrice ha natura di collegio perfetto,
e deve quindi operare con il plenum e non
con la semplice maggioranza dei suoi
componenti, è applicabile allorché la
Commissione sia chiamata a compiere scelte
decisorie e discrezionali, rispetto alle
quali determinante appare il contributo di
tutti i componenti del collegio ai fini di
una corretta formazione della volontà
collegiale; non è invece applicabile
allorché la Commissione è chiamata a
svolgere compiti a carattere non valutativo,
che si sostanziano in un'attività puramente
preparatoria ovvero del tutto vincolata.
---------------
Secondo un costante indirizzo
giurisprudenziale, in materia di gare
d'appalto, le valutazioni effettuate dalla
Commissione costituiscono espressione di
ampia discrezionalità, finalizzate a
stabilire in concreto l'idoneità tecnica
delle offerte. Ne consegue che le
valutazioni stesse non sono sindacabili dal
giudice amministrativo, se non nei casi in
cui sussistano elementi idonei ad
evidenziare uno sviamento logico od un
errore di fatto o, ancora, una
contraddittorietà ictu oculi
rilevabile.
Peraltro, laddove la lex specialis
articoli analiticamente i parametri per
l'assegnazione dei punteggi, risultano
palesi anche le motivazioni del punteggio
dato in relazione alle caratteristiche
tecniche. Nel caso di specie, il Capitolato
speciale di gara prefissava dettagliatamente
il punteggio attribuibile alle singole voci
e sottovoci, indicatori della valenza
tecnica dell'offerta, sicché il giudizio
della Commissione si estrinsecava nel
punteggio assegnato per ciascuna voce (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 02.11.2011 n. 8355 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo di prestare la
cauzione provvisoria per tutti i soggetti
partecipanti ad una gara di appalto,
compresi mandanti e mandatari, nel caso di
RTI non costituito.
La cauzione provvisoria deve essere prestata
da tutti i soggetti partecipanti, compresi
mandanti e mandatari nel caso di RTI non
costituito, di modo che, ove la cauzione,
come nel caso di specie, sia prestata a
mezzo polizza fideiussoria, quest'ultima
deve essere intestata a tutti i soggetti del
raggruppamento, e non solo alla mandataria.
In materia di cauzione provvisoria vanno
considerati, infatti, obbligati a prestare
la cauzione provvisoria tutti i soggetti che
intendono partecipare alla gara, senza
esclusione alcuna, perché individualmente
responsabili delle dichiarazioni rese.
Diversamente opinando, qualora
l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo
designata, bensì dalle mandanti, verrebbe a
configurarsi una carenza di garanzia per la
stazione appaltante.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un RTI
concorrente, che abbia prodotto una cauzione
provvisoria, la cui fideiussione, a garanzia
della stessa, sia stata rilasciata alla sola
impresa mandataria, in violazione di quanto
disposto dall'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.11.2011 n. 5841 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il comma 1 dell’art. 38 D.Lgs.
163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara
al dato sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il comma 2 non
prevede analoga sanzione per l’ipotesi della
mancata o non perspicua dichiarazione: da
ciò discende che solo l’insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall’art. 38 comporta, "ope legis",
l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
"lex specialis" non preveda espressamente la
pena dell’esclusione in relazione alla
mancata osservanza delle puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto
delle dichiarazioni da fornire, facendo
generico richiamo all’assenza delle cause
impeditive di cui alla normativa in esame,
l’omissione o l’incompletezza in ordine a
tali elementi non produce alcun pregiudizio
agli interessi presidiati dalla norma,
ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo
come tale insuscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o -si
ripete- della legge di gara, a fondare
l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.
Va ricordata la prevalente opinione
giurisprudenziale (cfr. ad es. Consiglio di
Stato Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017) da tempo in via
consolidamento, che si muove nella medesima
ottica sopra evidenziata, a tenore della
quale il comma 1 dell’art. 38 cit. ricollega
l’esclusione dalla gara al dato sostanziale
del mancato possesso dei requisiti indicati,
mentre il comma 2 non prevede analoga
sanzione per l’ipotesi della mancata o non
perspicua dichiarazione: da ciò discende che
solo l’insussistenza, in concreto, delle
cause di esclusione previste dall’art. 38
comporta, "ope legis", l’effetto
espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
"lex specialis" non preveda
espressamente la pena dell’esclusione in
relazione alla mancata osservanza delle
puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire,
facendo generico richiamo all’assenza delle
cause impeditive di cui alla normativa in
esame, l’omissione o l’incompletezza in
ordine a tali elementi non produce alcun
pregiudizio agli interessi presidiati dalla
norma, ricorrendo un’ipotesi di mero
formalismo come tale insuscettibile, in
carenza di una espressa previsione
legislativa o -si ripete- della legge di
gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi
sono tassative (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 09.11.2010, n. 7967).
In senso conforme alla prospettata soluzione
depone anche l'art. 45 della direttiva
2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle
sole ipotesi di grave colpevolezza di false
dichiarazioni nel fornire informazioni, non
rinvenibile nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi , essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti (cfr. Cons. St. n.
1017/2010 cit.) (TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 02.11.2011 n. 1497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisiti per l'affidamento di contratti
pubblici.
Appalti pubblici, ha valore la dichiarazione
resa dal legale rappresentante dell'impresa?
Domanda.
La dichiarazione relativa all'art. 38, comma
1, lettere b) e c), del D.Lgs. 12-04-2006,
n. 163, può essere resa dal legale
rappresentante anche in relazione agli altri
Amministratori o al Direttore tecnico in
carica, atteso che il comma 2 dell'art. 38,
parla di autocertificazione resa dal
concorrente o candidato senza individuare il
soggetto tenuto a renderla?
Risposta.
La prescritta dichiarazione di cui all'art.
38 del Codice dei Contratti Pubblici
consente alle Amministrazioni di individuare
tutti i soggetti obbligati a dimostrare il
possesso dei requisiti necessari per poter
contrarre con la P.A. e conseguentemente,
gli eventuali reati che tali soggetti hanno
commesso e per i quali sono stati
condannati. L'omissione di siffatta
dichiarazione è causa di esclusione dalle
procedure di gara. Lo stesso art. 38, D.Lgs.
12-04-2006, n. 163 chiarisce che le
dichiarazioni, attestanti il possesso dei
requisiti generali, devono essere rese in
conformità alle disposizioni del D.P.R.
28-12-2000, n. 445, ovvero, rispondere ai
principi generali in tema di dichiarazioni
sostitutive rese alla Pubblica
Amministrazione ed essere connesse alla
responsabilità penale per le false
dichiarazioni.
Proprio in ragione di siffatto richiamo al
D.P.R. 28-12-2000, n. 445, la Giurisprudenza
sembra ormai orientata nel ritenere che
l'obbligo per il "concorrente o candidato"
di dichiarare il possesso dei requisiti può
ritenersi assolto dal legale rappresentante
dell'impresa anche avuto riguardo ai terzi
(Direttori tecnici o altri soggetti comunque
muniti di poteri di rappresentanza anche se
cessati dalla carica nel triennio
antecedente) e ciò in considerazione del
fatto che anche in questo caso sono operanti
le previsioni di responsabilità penale ed il
potere di verifica da parte della stazione
appaltante.
Diversamente opinando, la disposizione
apparirebbe illogica e contraria al buon
senso comune in quanto finirebbe con il
subordinare la possibilità di partecipazione
a gare pubbliche di un soggetto economico,
alla dichiarazione di un soggetto estraneo e
privo di responsabilità sul punto, cessato
già da tempo dalla carica e magari animato
da spirito di rivalsa nei confronti del
richiedente proprio a causa dell'intervenuta
risoluzione del rapporto di lavoro ovvero
perché deceduto o più semplicemente in
quanto irreperibile, tanto è vero che per
superare tale ostacolo è ammessa la prova
della difficoltà di ritrovamento del
soggetto che dovrebbe rendere la
dichiarazione in questione (02.11.2011
- tratto da www.ispoa.it). |
ottobre 2011 |
|
APPALTI SERVIZI:
Gli atti del convegno "La riforma dei
Servizi Pubblici Locali" tenutosi nell'ottobre
2011 a cura del Centro Studi Marangoni
(link a www.centrostudimarangoni.it):
-
1^ parte; -
2^ parte. |
APPALTI:
La revoca del provvedimento di
aggiudicazione di una gara non può essere
impedita dalla cessione di un ramo
d'azienda.
Se da una parte il divieto di cessione del
contratto, nel settore dei pubblici appalti,
risulta temperato nei casi di cessione di
azienda, ovvero di trasformazione, fusione o
scissione societaria, purché permangano i
requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti,
al fine di non penalizzare i processi di
ristrutturazione delle società, è comunque
imposta la possibilità di verifica dei
predetti requisiti da parte
dell'Amministrazione: in tale ottica, ai
sensi dell'art. 35, c. 1, della l. n.
109/1994, gli atti gli atti sopra indicati
non producono effetti nei confronti delle
Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che
non siano intervenute le comunicazioni, di
cui all'art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991,
circa il nuovo reale assetto societario.
Ne consegue la perdurante inefficacia dei
medesimi atti in relazione al subentro in
rapporti contrattuali, che alla data della
cessione siano già stati revocati
dall'Amministrazione, non solo non
sussistendo, in tale ipotesi, l'esigenza di
non penalizzare i processi di trasformazione
societaria, ma potendo configurarsi la
cessione quale strumento elusivo
dell'inidoneità alla stipula dell'originale
soggetto aggiudicatario (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 31.10.2011 n. 5809 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI RELATIVI
A CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI,
FORNITURE - INQUADRAMENTO GENERALE DELLA
MATERIA E INDICAZIONI OPERATIVE (ANCE,
Direzione Legislazione Opere Pubbliche -
testo e
schema operativo - link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO:
Le risposte dell'ANCI.
Il responsabile del
procedimento.
Si chiede di sapere se come responsabile del
procedimento di lavori, alla luce del nuovo
regolamento attuativo di cui al Dpr n.
207/2010 che nell’art. 9, co. 4, fa
riferimento alla figura del funzionario,
possa essere nominato sia il dipendente di
cat. D1 che cat. C, essendo entrambe queste
figure presenti nel comune.
Per individuare con esattezza la figura di
cui si discute occorre fare riferimento al
co. 5 dell’art. 10 del Codice degli appalti,
Dlgs n. 163/2006, ed in particolare al
successivo co. 6 per il quale spetta al
regolamento la determinazione dei requisiti
di professionalità richiesti al Rup.
Ai sensi del co. 4 dell’art. 9 del nuovo
regolamento (citato dal quesito) “il
responsabile del procedimento è un tecnico,
abilitato all’esercizio della professione o,
quando l’abilitazione non sia prevista dalle
norme vigenti, è un funzionario tecnico,
anche di qualifica non dirigenziale, con
anzianità di servizio non inferiore a cinque
anni”.
In sintesi la lettura dell’articolato ci
dice che il Rup deve essere un tecnico con:
● titolo di studio adeguato all’intervento
da realizzare;
● abilitazione all’esercizio dell’attività
professionale.
Soltanto nel caso in cui l’abilitazione non
sia prevista, le funzioni di Rup possono
essere attribuite a un funzionario tecnico,
anche di qualifica non dirigenziale, con
anzianità di servizio di almeno 5 anni.
Appare interessante notare come il
dispositivo del nuovo regolamento, rispetto
al corrispondente art. 7 del vecchio
regolamento Merloni (Dpr n. 554/1999)
elimini l’ulteriore puntualizzazione secondo
cui si dovrebbe comunque trattare di un
funzionario tecnico “con idonea
professionalità” e specifichi, in
aggiunta rispetto allo stesso art. 7, che
potrebbe trattarsi di un funzionario tecnico
“anche di qualifica non dirigenziale”.
Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici ha più volte chiarito che
la capacità richiesta al soggetto è più
organizzativa e propositiva che meramente
tecnica. Resta ovvio che di fronte alla
realizzazione di opere particolarmente
complesse, è chiaramente opportuno affidare
l’incarico a soggetti in possesso di titolo
di studio più elevato e commisurato alla
tipologia degli interventi da realizzare.
Così, discutendo della figura professionale
del geometra, risulta ormai consolidato che
essendo questi un tecnico e soddisfacendo,
quindi, la prima condizione posta, nel caso
in cui siano soddisfatte anche le ulteriori
condizioni, e cioè l’adeguata
professionalità (non espressamente
contemplata dal nuovo regolamento) e
anzianità di ruolo non inferiore a 5 anni,
questi può essere tranquillamente nominato
Rup.
Il soggetto va prescelto tra i dipendenti di
ruolo dell’ente e la formale nomina
(provvedimento “ad hoc” con data
certa) compete al dirigente o al
responsabile dell’unità organizzativa che
gestisce l’intervento (competenza ad “assegnare
a sé o ad altro dipendente addetto alla
unità la responsabilità della istruttoria e
di ogni altro adempimento inerente il
singolo procedimento”, ai sensi
dell’art. 5 della L. n. 241/1990).
Si terrà altresì presente che secondo quanto
disposto dall’art. 10 del Codice degli
appalti già citato, tale responsabile deve
essere “unico per le fasi della
progettazione, dell’affidamento e
dell’esecuzione”.
Alla luce di quanto chiarito, l’appartenenza
alla categoria C o D, fermo restando le
declaratorie professionali contrattualmente
definite e fatto salvo quanto disciplinato
dal regolamento locale dei servizi e degli
uffici, assume un rilievo poco rilevante nel
contesto di precipuo interesse.
Risulta per contro pregnante la qualifica di
tecnico e la sussistenza degli ulteriori
requisiti sopra citati (tratto da Guida
al Pubblico Impiego n. 10/2011). |
LAVORI PUBBLICI:
Le risposte dell'ANCI.
I livelli di
progettazione.
Per piccoli lavori un ente approva prima la
progettazione preliminare e poi anche quella
definitiva/esecutiva.
La legge è chiara livelli di progettazione
devono essere tre. Però nel caso che
un’opera non abbia procedure espropriative
(il cui avvio parte dalla progettazione
preliminare), né vi è bisogno di Conferenze
di servizi, depositi ecc. (dove serve quella
definitiva) si potrebbe optare per un’unica
progettazione, magari chiamandola
“progettazione completa preliminare,
definitiva ed esecutiva”? E sempre
rispettando i documenti di legge di cui gli
artt. 17 e seguenti del nuovo regolamento?
La possibilità, ipotizzata nel quesito di
accorpare in un’unica progettazione da
definire come progettazione “completa”
e cioè che pur comprenda tutti gli elementi
previsti per ciascuna fase (preliminare,
definitiva ed esecutiva) si ritiene di non
certa ammissibilità.
Ed infatti, se da una parte l’Avcp con la
determinazione n. 9/2005 si è espressa in
senso favorevole all’accorpamento, purché la
fase esecutiva sia sempre presente ed i
lavori non rivestano una particolare
complessità e rilevanza economica, la
giurisprudenza (anche se formatasi in
relazione alla previgente legge n. 109/1994,
tuttavia sostanzialmente omologa sul punto)
tende a ritenere che il triplice livello
previsto “ex lege” preclude impropri
accorpamenti o contrazioni, evidenziando
come le tre fasi debbano rimanere distinte e
separate in quanto ciascuna deve essere
elaborata sulla base del livello precedente
di cui costituisce uno sviluppo
in termini di complessità e rilevanza con la
finalità di garantire la qualità finale
dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez.
IV, 19.03.2003 n. 1467; 10.01.2002 n. 112 e
11.05.2004 n. 2930).
È stato anche precisato peraltro che tale
facoltà di accorpamento non può trovare
fondamento nell’ambito del potere del Rup di
cui all’art. 16 della L. n. 109/1994 (ora si
veda analogamente l’art. 93 del Codice dei
contratti pubblici. E anche l’art. 10 del
Dpr n. 207/2010), il quale consente di dare
una diversa composizione allo studio di
fattibilità o una diversa articolazione agli
elaborati progettuali tenendo conto della
tipologia e rilevanza delle opere da
eseguire, poiché tale facoltà non si può mai
risolvere in quella di eliminare alcuno dei
citati livelli ma solo di adattare, con
idonea motivazione, l’elenco dei vari
elaborati progettuali in concreto ritenuti
necessari (cfr. Cons. Stato, n. 112/2002
citata) (tratto da Guida al Pubblico
Impiego n. 10/2011). |
APPALTI:
A. Barbiero,
La tracciabilità dei flussi finanziari negli
appalti pubblici - Analisi dei principali
adempienti per le imprese appaltatrici
previsti dall'art. 3 della legge n. 136/2010
(28.10.2011 - tratto da
www.albertobarbiero.net). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero,
Le società partecipate non possono gestire
contestualmente servizi pubblici locali e
servizi strumentali (28.10.2011
- tratto da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
Sulle procedure di acquisizione
di servizi in economia ex art. 125 del
d.lgs. n. 163/2006, prima dell'emanazione
del d.P.R. n. 207/2010.
Prima dell'avvento del d.P.R. n. 207/2010,
nelle procedure di acquisizione di servizi
in economia, rimetteva alla Stazione
appaltante la decisione delle garanzie da
richiedere ai concorrenti e gli oneri
dichiarativi a pena di esclusione a carico
dei concorrenti in tema di requisiti morali
erano rimessi alle prescrizioni caso per
caso della lex specialis, potendo
imporsi, tra i contenuti dell'art. 38 del
Codice del 2006, a guisa di principi
inderogabili, soltanto le previsioni di
esclusione dalla partecipazione alle
procedure per i casi elencati nel primo
comma dell'articolo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5742 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
difformità tra bando e lettera d’invito può
produrre una lesione della par condicio dei
partecipanti alla gara.
Nelle procedure ristrette, infatti, vale la
regola dell’inderogabilità del bando da
parte della lettera d’invito, collegata sia
alla funzione meramente integrativa della
lettera d’invito rispetto al bando, sia alla
necessità che le prescrizioni rese note alla
generalità degli aspiranti a partecipare
alla gara non possano essere modificate con
un atto rivolto alle sole imprese che
abbiano chiesto di partecipare.
L’applicazione di questa regola implica che
ove la stazione appaltante riscontri una
illegittimità ovvero intenda modificare le
prescrizioni del bando di gara, non può
procedere ad una sua rettifica mediante la
lettera d’invito, ma è tenuta ad utilizzare
per la modifica lo strumento del contrarius
actus. Parimenti, quando illegittimità
vengano riscontrate nella lettera d’invito,
né l’amministrazione né la Commissione hanno
il potere di emendarla dopo l’apertura delle
offerte, avendo la possibilità di annullare
l’intera gara.
Secondo i giudici del
Consiglio di Stato, pertanto, nonostante
sotto il profilo interpretativo, il
contrasto tra bando e lettera d’invito vada
risolto in base alla prevalenza del primo,
quale lex specialis della selezione
concorsuale (Cons. St. Sez. V, 29.03.2004, n.
1660, che richiama il parere della Sez. II,
n. 149 del 07.03.2001), ciò non toglie che
la difformità tra i due atti
–indipendentemente dai motivi che abbiano,
consapevolmente o per mero errore materiale,
indotto l’amministrazione alla modifica
delle prescrizioni nella lettera d’invito-
sia idonea, in concreto, a pregiudicare
l’imparzialità e l’applicazione uniforme
delle regole nei confronti di tutti i
partecipanti.
Nella pronuncia in commento, la società
ricorrente, al pari degli altri concorrenti,
al momento di presentare l’offerta, ha
dovuto tener conto della contraddittoria
modifica delle prescrizioni sulle cauzioni
ed ha presentato un’offerta confidando (o,
comunque, potendo confidare, non prevedendo
il successivo comportamento della
Commissione di valutazione)
nell’attribuzione di pesi ponderali
contenuti nella lettera d’invito difformi da
quelli indicati nel bando.
Il comportamento della stazione appaltante e
della Commissione, a parere dei giudici di
Palazzo Spada –che prima ha applicato le
regole della lettera d’invito per poi
correggersi applicando i pesi indicati nel
bando- avvalora lo stato di incertezza e la
turbativa al corretto ed uniforme
svolgimento della procedura di selezione
denunciato dalla ricorrente e la violazione
dei principi di correttezza, pubblicità,
trasparenza e par condicio tra i concorrenti
di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice
dei contratti pubblici, applicabili a tutte
le procedure di scelta, sia dell’appaltatore
che del concessionario, anche in base
all’espresso richiamo contenuto nell’art. 30
dello stesso codice
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla regola dell'inderogabilità
del bando da parte della lettera d'invito.
La costituzione della commissione di gara
deve avvenire dopo la scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte.
Nelle procedure ristrette vale la regola
dell'inderogabilità del bando da parte della
lettera d'invito, correlata sia alla
funzione meramente integrativa della lettera
d'invito rispetto al bando, sia alla
necessità che le prescrizioni rese note alla
generalità degli aspiranti a partecipare
alla gara non possano essere modificate con
un atto rivolto alle sole imprese che
abbiano chiesto di partecipare.
L'applicazione di detta regola comporta che
ove la stazione appaltante riscontri una
illegittimità ovvero intenda modificare le
prescrizioni del bando di gara, non può
procedere ad una sua rettifica mediante la
lettera d'invito, ma è tenuta ad utilizzare
per la modifica lo strumento del
contrarius actus. Parimenti, quando
illegittimità vengano riscontrate nella
lettera d'invito, né l'amministrazione né la
commissione hanno il potere di emendarla
dopo l'apertura delle offerte, avendo la
possibilità di annullare l'intera gara.
Pertanto, nel caso di specie, il
comportamento della stazione appaltante e
della commissione -che prima ha applicato le
regole della lettera d'invito per poi
correggersi applicando i pesi indicati nel
bando- avvalora lo stato di incertezza e la
turbativa al corretto ed uniforme
svolgimento della procedura di selezione e
la violazione dei principi di correttezza,
pubblicità, trasparenza e par condicio tra i
concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67
del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.
163/2006), applicabili a tutte le procedure
di scelta, sia dell'appaltatore che del
concessionario, anche in base all'espresso
richiamo contenuto nell'art. 30 dello stesso
codice.
---------------
La costituzione della commissione di gara
deve avvenire dopo la scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte
deve trovare applicazione in concreto,
secondo le circostanze del caso e, quindi,
il suo rispetto va valutato tenendo conto
del termine effettivo di scadenza.
La disposizione dell'art. 84, c. 10, del
d.lgs. n. 163, è infatti espressione di un
principio di ordine generale, rispondente ad
esigenze di imparzialità della procedura di
gara, allo scopo di evitare collusioni tra
commissari e concorrenti, ed è applicabile
ad ogni specie di competizione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5740 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'obbligo per le imprese riunite
dell'indicazione della percentuale delle
prestazioni corrispondenti alla quota di
partecipazione al raggruppamento non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del RTI o alla tipologia delle
prestazioni.
La chiarezza del tenore letterale dell'art.
37, co. 13, del D.Lgs n. 163/2006, impone di
considerare vincolanti, per le imprese
riunite, gli obblighi di specificazione
delle parti delle prestazioni che saranno
eseguite da ciascuna di esse e delle quote
di partecipazione.
Tale obbligo è espressione di un principio
generale che prescinde dall'assoggettamento
della gara alla disciplina comunitaria e non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del raggruppamento (verticale o
orizzontale), o alla tipologia delle
prestazioni (principali o secondarie,
scorporabili o unitarie) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5736 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della P.A. - Gara - Offerte -
Verifica di anomalia - Termini per il
deposito delle giustificazioni - Carattere
ordinatorio.
2. Contratti della P.A. - Verifica di
anomalia - Obbligo di motivazione analitica
- Sussiste solo nel caso in cui la stazione
appaltante esprima un giudizio negativo.
1.
I termini per il deposito delle
giustificazioni richieste in sede di
verifica dell'anomalia delle offerte non
sono perentori (cfr., TAR Lazio Roma, Sez.
III, 09.12.2010 n. 35952).
2.
La verifica di anomalia di un'offerta
richiede una motivazione analitica solamente
nei casi in cui essa non sia giustificata da
elementi congrui e che quindi si concluda
negativamente per gli interessati.
Nel caso in cui la valutazione si esaurisca
in un giudizio di congruità, non è
necessario che il provvedimento finale sia
sorretto da una motivazione articolata che
dia conto delle singole giustificazioni
corredandole con apprezzamenti ulteriori,
essendo sufficiente anche una motivazione
espressa per relationem alle
giustificazioni, quando esse siano perspicue
(cfr., TAR Liguria Genova, sez. II,
20.04.2011, n. 645)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n.
2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nessuna
norma impone che la verifica dell'offerta
anomala sia effettuata dalla commissione
giudicatrice, ben potendo essere a ciò
delegato un terzo; la giurisprudenza ha
affermato, al riguardo, che “quanto alla
verifica dell'anomalia, la stessa è
demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del
1999, al responsabile del procedimento, il
quale può condurla avvalendosi dell'ausilio
di organismi tecnici della stazione
appaltante”.
La verifica di anomalia di un'offerta
richiede una motivazione analitica solamente
nei casi in cui l'anomalia non sia
giustificata da elementi congrui e che
quindi si concluda negativamente per gli
interessati; nel caso in cui la valutazione
si esaurisca in un giudizio di congruità,
non è necessario che il provvedimento finale
sia sorretto da una motivazione articolata
che dia conto delle singole giustificazioni
corredandole con apprezzamenti ulteriori,
essendo sufficiente anche una motivazione
espressa per relationem alle
giustificazioni, quando esse siano
perspicue.
Con il secondo motivo è stata denunciata
l’incompetenza del responsabile del
procedimento nell’effettuazione della
verifica di anomalia, atteso che la stessa
avrebbe dovuto essere effettuata dalla
commissione giudicatrice.
Il motivo deve essere respinto, atteso che
nessuna norma applicabile alla fattispecie
de quo imponeva che la detta verifica fosse
effettuata dalla commissione giudicatrice,
ben potendo essere a ciò delegato un terzo;
la giurisprudenza ha affermato, al riguardo,
che “quanto alla verifica dell'anomalia,
la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R.
n. 554 del 1999, al responsabile del
procedimento, il quale può condurla
avvalendosi dell'ausilio di organismi
tecnici della stazione appaltante”
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.10.2002, n.
5813).
---------------
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la
mancanza di un’adeguata istruttoria e
motivazione del giudizio di congruità
dell’offerta della controinteressata.
Anche tale motivo è infondato, costituendo
principio giurisprudenziale consolidato
quello secondo cui la verifica di anomalia
di un'offerta richiede una motivazione
analitica solamente nei casi in cui
l'anomalia non sia giustificata da elementi
congrui e che quindi si concluda
negativamente per gli interessati; nel caso
in cui la valutazione si esaurisca in un
giudizio di congruità, non è necessario che
il provvedimento finale sia sorretto da una
motivazione articolata che dia conto delle
singole giustificazioni corredandole con
apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente
anche una motivazione espressa per
relationem alle giustificazioni, quando
esse siano perspicue (TAR Liguria, sez. II,
20.04.2011, n. 645)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n. 2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima la correzione di
voci di costo, da parte di un'impresa
chiamata a giustificare l'anomalia di un
offerta, conferendo valori diversi rispetto
a quelli indicati nella documentazione
presentata al momento della partecipazione
alla gara.
Nelle procedure di gara, il sub procedimento
di giustificazione dell'offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti
dell'offerta "in itinere" ma mira, al
contrario, a verificare la serietà di
un'offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile.
È illegittima, pertanto, per violazione
della par condicio, la correzione di voci di
costo, da parte di un'impresa chiamata a
giustificare l'anomalia di un offerta,
conferendo valori diversi rispetto a quelli
indicati nella documentazione presentata al
momento della gara. Un siffatto modo di
concepire il procedimento di verifica
dell'anomalia, che realizza la formulazione
di una nuova offerta, si risolve nella
radicale vanificazione delle regole in
materia di gare pubbliche.
Da ciò discende l'inaccettabilità delle
giustificazioni che, nel tentativo di far
apparire seria un'offerta non adeguatamente
meditata, risultino tardivamente dirette ad
un'allocazione dei costi diversa rispetto a
quella originariamente enunciata. La
possibilità di rimodulare i costi in sede di
giustificazioni, infatti, può indurre i
partecipanti a presentare offerte a basso
costo per poi successivamente effettuare le
necessarie correzioni per evitare l'anomalia
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 27.10.2011 n. 1859 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In materia di appalti pubblici il
principio della unicità dell'offerta
risponde non solo alla necessità di
garantire l'effettiva "par condicio" dei
concorrenti, ma soprattutto a quella di far
emergere la migliore offerta nella gara.
In materia di appalti pubblici il principio
della unicità dell'offerta -che impone ai
partecipanti alle gare di presentare
un'unica proposta tecnica ed economica quale
contenuto della propria offerta-, risponde
non solo alla necessità di garantire
l'effettiva "par condicio" dei
concorrenti, ma soprattutto a quella di far
emergere la migliore offerta nella gara.
In particolare, la necessità di presentare,
in sede di pubbliche gare, una sola offerta
con un'unica soluzione tecnica ed un unico
prezzo ed il fatto che l'Amministrazione sia
tenuta a valutare solo proposte così
formulate risponde, da un lato, al principio
di buon andamento ed imparzialità
dell'azione amministrativa e, dall'altro,
all'esigenza di rispettare il principio di
imparzialità, poiché la presentazione di più
di un'offerta da parte di uno dei
concorrenti, attribuendo allo stesso
maggiori possibilità di conseguire
l'aggiudicazione dell'appalto attraverso la
presentazione di diverse proposte, finirebbe
per ledere la par condicio fra i
concorrenti.
La violazione del principio par condicio
fra i concorrenti non può ritenersi sanata
dalla circostanza che, in presenza di due
diverse proposte contenute nella medesima
offerta, la stessa sia stata ricondotta ad
unicità dalla commissione disponendo
l'esclusione di una delle soluzioni
proposte, risolvendosi in tale ipotesi il
rispetto della "par condicio" a
circostanza meramente eventuale discendente
dall'operato della commissione, laddove la "par
condicio" va assicurata a monte
attraverso l'esclusione della stessa
possibilità di presentazione di duplici
offerte o di plurime proposte nell'ambito
della medesima offerta, la cui
inammissibilità non può che condurre alla
esclusione del concorrente che le ha
formulate dalla gara (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza 27.10.2011 n. 1857 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla validità della consegna,
alla stazione appaltante, di un assegno
circolare quale garanzia presentata da
un'ATI concorrente in una gara d'appalto.
In sede di gara d'appalto, la cauzione
costituisce parte integrante dell'offerta e
non, invece, un elemento di corredo della
stessa, ed ha lo scopo di garantire la
serietà della partecipazione alla gara,
nonché l'adempimento dell'impegno a
contrattare, in caso di aggiudicazione. Tale
funzione è ugualmente assicurata, oltre che
dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria
Provinciale dello Stato ovvero da una
polizza assicurativa o da una fideiussione
bancaria, anche dalla presentazione di un
assegno circolare che, a differenza di
quello bancario, costituisce un ordinario
strumento di pagamento delle obbligazioni
pecuniarie, equivalente al versamento in
contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della
Suprema Corte di Cassazione, la consegna di
assegni circolari, pur non equivalendo
direttamente al pagamento a mezzo di somme
di danaro, estingue l'obbligazione qualora
il rifiuto del creditore appaia contrario
alle regole di correttezza, che gli
impongono l'obbligo di prestare la sua
collaborazione all'adempimento
dell'obbligazione, a norma dell'art. 1175
c.c.; la stessa natura dell'assegno
circolare assicura, al legittimo portatore,
la sicurezza di conseguire l'importo di
danaro in esso indicata, così che, salvo
dubbi sulla sua regolarità od autenticità,
ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile
interesse a ricevere il danaro in contanti,
l'assegno circolare estingue l'obbligazione
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n. 1584 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Partecipazione alle gare,
cauzione anche con assegno (circolare).
Poiché l'assegno circolare, a differenza
dell'assegno bancario, costituisce un
ordinario strumento di pagamento delle
obbligazioni pecuniarie, in tutto e per
tutto equivalente al versamento in contanti
delle somme dovute, ne consegue che in sede
di gara per l'aggiudicazione di lavori
pubblici la presentazione delle cauzioni
mediante assegno circolare deve ritenersi
ritualmente effettuata rispetto alla
previsione del bando che faccia riferimento
al versamento per numerario o in titoli di
Stato o garantiti dallo Stato. In sede di
gara di appalto la cauzione costituisce
parte integrante dell’offerta e non un
elemento di corredo della stessa ed ha, come
ragione di essere, la finalità di garantire
la serietà della partecipazione alla gara e
l'adempimento dell'impegno a contrattare in
caso di aggiudicazione.
Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre
che dalla quietanza rilasciata da una
Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da
una polizza assicurativa o da una
fideiussione bancaria, anche dalla
presentazione di un assegno circolare che, a
differenza dell'assegno bancario,
costituisce un ordinario strumento di
pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in
tutto e per tutto equivalente al versamento
in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della
Suprema Corte di Cassazione la consegna di
assegni circolari, pur non equivalendo
direttamente al pagamento a mezzo di somme
di danaro, estingue l'obbligazione quando il
rifiuto del creditore appare contrario alle
regole di correttezza che gli impongono
l'obbligo di prestare la sua collaborazione
all'adempimento dell'obbligazione a norma
dell'art. 1175 C.C.; la stessa natura
dell'assegno circolare assicura al legittimo
portatore la sicurezza di conseguire la
somma di danaro in esso indicata, così che,
salvo che non vi siano dubbi sulla sua
regolarità o autenticità ovvero salvo che
non vi sia un apprezzabile interesse a
ricevere il danaro in contanti, anziché in
titoli, l'assegno circolare estingue
l'obbligazione.
Con parere 29.03.2007 anche l’Autorità di
Vigilanza sui contratti pubblici ha ritenuto
che Ai fini della cauzione provvisoria, la
presentazione dell’assegno circolare è stata
ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza
amministrativa: "atteso che l'assegno
circolare, a differenza dell'assegno
bancario, costituisce un ordinario strumento
di pagamento delle obbligazioni pecuniarie,
in tutto e per tutto equivalente al
versamento in contanti delle somme dovute,
in sede di gara per l'aggiudicazione di
lavori pubblici la presentazione delle
cauzioni mediante assegno circolare deve
ritenersi ritualmente effettuata rispetto
alla previsione del bando che faccia
riferimento al versamento per numerario o in
titoli di Stato o garantiti dallo Stato”.
Ciò premesso, si tratta di verificare se
l’assegno circolare tratto da una sola delle
imprese (la mandataria) del costituendo
raggruppamento possa garantire in tutto e
per tutto la stazione appaltante anche nel
caso in cui l’eventuale inadempimento sia
ascrivibile ad altra impresa associanda
(mandante).
Ritiene il Collegio che la garanzia offerta
nella specie soddisfi alla disciplina di
gara, in conformità con quanto previsto dal
codice dei contratti pubblici; la cauzione
può essere, infatti, a scelta
dell’offerente, costituita, tra l’altro, in
contanti o in titoli del debito pubblico a
titolo di pegno a favore
dell’amministrazione aggiudicatrice; nel
caso in esame la stessa è stata costituita
con assegno circolare, nel rispetto, per
quanto sopra rilevato, della disciplina di
settore; solo che, nell’allegare detti
assegni all’offerta, non è stato fatto
esplicito riferimento all’ATI costituenda,
né alla mandante.
È non di meno da ritenere che, essendovi
sostanziale coincidenza tra la garanzia in
numerario e l’assegno circolare (che è
coperto dalla banca emittente, che ne
garantisce la copertura per l’intero importo
pari al prescritto 2% dell’importo posto a
base di gara), l’assegno stesso costituisca
una sorta di garanzia reale, in virtù della
quale l’eventuale inadempimento da parte
dell’ATI, indipendentemente dall’impresa
associanda alla quale è dovuto, viene
garantito dalla possibilità stessa, per la
stazione appaltante, di riscuotere l’assegno
stesso presso la banca emittente, senza che
questa possa eccepire alcunché o opporre
ostacoli alla corresponsione del dovuto,
mentre eventuali divergenze interpretative
per ciò che attiene all’impresa
oggettivamente responsabile
dell’inadempimento dovranno essere risolte
tra le imprese associande, senza che nelle
eventuali controversie tra di esse possa
essere coinvolta la stazione appaltante.
Come ritenuto dalla stazione appaltante,
quindi, si è trattato della presentazione di
una garanzia immediata, potendo essa stessa
escutere direttamente la cauzione
presentando in banca il titolo in suo
possesso, senza correre il rischio connesso
ad eventuali eccezioni del terzo in ordine
all’estensione soggettiva della garanzia
(laddove, invece, nell’ipotesi di garanzia
offerta mediante polizza fideiussoria da un
soggetto terzo in base ad un rapporto di
natura obbligatoria, le imprese debbono
essere intestatarie tutte della cauzione
stessa, onde garantire la stazione
appaltante da eventuali eccezioni del
fideiussore in ordine ad inadempimenti
imputabili ai soggetti che non risultano
intestatari della polizza medesima).
Donde, in definitiva, la piena tutela
assicurata da detto strumento finanziario
alla stazione appaltante; strumento che, in
quanto allegato dall’ATI concorrente
all’offerta quale garanzia della stessa e
per il prescritto importo percentuale, non
poteva che essere riferita a quest’ultima ed
agli eventuali inadempimenti di entrambe le
associande (commento tratto da www.ipsoa.it
- TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n.
1584 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Crollo del solaio e
Responsabilità di un dirigente comunale.
Responsabilità di un
dirigente del comune di Livorno per il
delitto di lesioni colpose commesso, con
violazione delle norme sulla prevenzione
degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio
di un dipendente comunale.
In fatto, era accaduto che l'infortunato,
incaricato dall'imputato, unitamente
all'architetto L.M., di eseguire alcune
misurazioni per la ristrutturazione di un ex
sanatorio, sito in un immobile di proprietà
comunale, mentre si trovava al primo piano
di detto immobile, era precipitato nel vano
sottostante in conseguenza del crollo del
solaio. Nella caduta il dipendente ha
riportato lesioni gravissime per la frattura
della colonna vertebrale, con conseguente
perdita quasi totale della capacità di
deambulazione e con danni alle funzioni
respiratorie e della digestione.
Condannato, ricorre in Cassazione - La Corte
annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il reato è estinto per prescrizione.
La Corte afferma che "le diffuse e
coerenti argomentazioni svolte dalla corte
territoriale nella sentenza impugnata
escludono qualsiasi possibilità di
proscioglimento nel merito, ex art. 129
c.p.p., comma 2, posto che dall'esame di
detta decisione non solo non emergono
elementi di valutazione idonei a riconoscere
la prova evidente dell'insussistenza del
fatto contestato all'imputato o della sua
estraneità al medesimo, ma sono rilevabili
valutazioni di segno del tutto opposto,
conducenti alla responsabilità dello stesso.
La sentenza impugnata deve essere, quindi,
annullata senza rinvio, essendo rimasto
estinto per prescrizione il reato ascritto
all'imputato."
Ciò che rileva, invero, in punto di
prevedibilità, è che erano certamente note
all'imputato le condizioni di estremo
degrado del manufatto e di rischio di quanti
vi si fossero avventurati senza che si fosse
provveduto ad eseguire i necessari
interventi di consolidamento.
"Degrado e pericolosità che l'imputato,
responsabile dell'unità alla quale
apparteneva l'I., certamente conosceva, o
avrebbe dovuto doverosamente conoscere,
anche a prescindere dalle segnalazioni della
persona offesa, e che avrebbero dovuto
quantomeno indurlo a segnalare i rischi
connessi all'attività da eseguirsi nella
fase di progettazione -alla quale egli era
deputato-, ed a richiedere e pretendere i
necessari interventi di consolidamento, ove
gli stessi non fossero di sua competenza, e
comunque ad evitare di disporre sopralluoghi
nei locali dell'edificio, proprio per
tutelare l'incolumità dei tecnici che si
trovavano alle sue dirette dipendenze.
Non avendo seguito tali elementari regole di
doverosa prudenza e non avendo considerato
nel relativo documento -secondo quanto
ancora affermano i giudici del merito, senza
essere smentiti- i rischi connessi
all'attività di progettazione, della quale
era stato incaricato, l'imputato ha posto a
repentaglio l'incolumità del personale
appartenente all'unità da lui diretta ed ha
creato le premesse dell'infortunio, del
quale giustamente è stato ritenuto
responsabile." (Corte di Cassazione,
Sez. IV penale,
sentenza 26.10.2011 n. 38773 -
link a http://olympus.uniurb.it). |
APPALTI:
E' irrilevante il possesso del
titolo di studio di un determinato livello
da parte di un commissario di gara, essendo
rilevante, invece, che quest'ultimo sia
esperto nel settore oggetto d'appalto.
Il requisito generale dell’esperienza “nello
specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto”, prescritto dall’art. 84,
comma 2, del codice dei contratti pubblici,
deve essere inteso gradatamente ed in modo
coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare; non è necessario, pertanto, che
l’esperienza professionale di ciascun
componente della commissione copra tutti i
possibili ambiti oggetto di gara, in quanto
è la commissione, unitariamente considerata,
che deve garantire quel grado di conoscenze
tecniche richiesto nella specifica
fattispecie, in ossequio al principio di
buon andamento della pubblica
amministrazione (cfr. TAR Sardegna, Sez. I,
04.06.2008 n. 1126; TAR Piemonte, Sez. II,
22.05.2007 n. 2223).
Il pacifico assunto che, ad onta di quanto
indicato nella determinazione di nomina
della commissione, nel caso di specie, un
componente non possegga il diploma di laurea
in ingegneria, non induce a ritenere lo
stesso sprovvisto di competenza in materia,
essendo descritta nel curriculum una
vasta esperienza in ambito informatico,
corroborata da titolo di studio specifico
(perito elettrotecnico) nonché da vari corsi
di formazione e docenze. Invero, l’art. 84,
comma 2, cit. non richiede che i membri
della commissione giudicatrice debbano
essere tutti laureati, ma semplicemente
pretende che chi è nominato commissario
debba essere esperto nel settore oggetto
d’appalto, con conseguente irrilevanza del
possesso del titolo di studio di un
determinato livello, purché, beninteso, il
titolo di studio vantato sia adeguato alla
prestazione oggetto della gara (come è
puntualmente avvenuto nella presente
fattispecie) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 26.10.2011 n. 4975 -
tratto da www.mediagraphic.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Pmi,
semplificato l'accesso alle gare.
Accesso semplificato
alle gare d'appalto per le piccole e medie
imprese. Le gare saranno assegnate non solo
in base al criterio dell'offerta più bassa,
ma anche in base a quello dell'offerta più
innovativa o con un miglior impatto
ambientale.
Saranno queste le proposte di riforma che la
Commissione europea presenterà dicembre.
Intanto, però, una risoluzione preparata dal
deputato Heide Rühle (Verdi) e approvata dal
Parlamento Ue anticipa le proposte
legislative di riforma dell'esecutivo di
Bruxelles.
«In questa crisi profonda, abbiamo
bisogno di regole chiare: solo così le
autorità pubbliche potranno sostenere
innovazione e crescita», ha detto la
relatrice durante il dibattito.
Fra le varie proposte approvate dall'Aula
per semplificare le procedure di
assegnazione di un appalto vi è la creazione
di un passaporto elettronico che certifichi
rapidamente il rispetto, da parte
dell'impresa in gara, delle regole
comunitarie in materia.
I deputati, per semplificare ulteriormente
l'iter amministrativo, hanno proposto
l'autocertificazione sul possesso dei
requisiti per partecipare all'appalto. In
pratica la richiesta della documentazione
originale da parte delle autorità si farà
solo per le imprese selezionate per la fase
finale della gara.
Le norme semplificate per le pmi partono da
un dato di fatto. Le piccole imprese
ottengono una percentuale di contratti
pubblici minore rispetto al loro peso
nell'economia europea: circa il 31-38%
rispetto a una partecipazione globale
all'economia stimata al 52%. Il motivo
principale, secondo il Parlamento, sono le
procedure di accesso agli appalti, oggi
troppo complicate e costose.
L'aula di Strasburgo per questo ha proposto
di suddividere in lotti gli appalti in modo
da garantire alle piccole e medie imprese
migliori possibilità di partecipazione alle
gare. I deputati hanno chiesto inoltre alla
Commissione di verificare «se per il
subappalto siano necessarie nuove norme, ad
esempio l'istituzione di una catena di
responsabilità» per evitare che le pmi
subappaltatrici siano soggette a condizioni
peggiori di quelle applicabili all'impresa
principale che si è aggiudicata l'appalto.
Infine, per gli eurodeputati il criterio del
«prezzo più basso» non dovrebbe più
essere un fattore determinante per
l'assegnazione dei contratti, ma dovrebbe
essere sostituito da criteri più ampi che
includano l'impatto sociale e ambientale
della proposta e prendano in considerazione
l'intero ciclo di produzione del bene o del
servizio in appalto (articolo ItaliaOggi
del 26.10.2011). |
APPALTI: Stop
alla direttiva sul ritardo dei pagamenti.
Per la commissione bilancio della camera
costa troppo.
Slitta l'applicazione in
Italia della direttiva europea sul ritardo
dei pagamenti (direttiva
2011/7/Ue del 16/02/2011).
Ieri, la commissione bilancio della camera
ha chiesto che il provvedimento sia tolto
dalla legge comunitaria 2011. Il motivo?
Applicarla costa troppo alle casse dello
stato. Almeno per il momento. Così, se
l'aula di Montecitorio dovesse far proprio
l'orientamento della commissione, il
recepimento della direttiva, che regola i
tempi di pagamento di tutte le transazioni
commerciali, sarà congelato.
I deputati, nel dire stop hanno votato un
parere da inoltrare alla commissione
politiche Ue. Nel parere si chiede a chiare
lettere di rinviare l'adozione delle norme.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, l'aut
aut è giunto direttamente dal ministero
dell'economia.
La direttiva stabilisce che, a partire dal
16.03.2013, il periodo di pagamento nelle
transazioni commerciali tra imprese non
superi in linea generale i 60 giorni, anche
se sono ammesse deroghe. Nei contratti con
le imprese, invece, la pubblica
amministrazione sarà tenuta a pagare entro
30 giorni prorogabili a 60 solo in caso, tra
l'altro, di enti pubblici che forniscono
assistenza sanitaria. In caso di ritardo nel
saldo delle fatture, l'Ue ha stabilito
l'obbligo di pagamento degli interessi di
mora.
Lo stop.
Tutto parte da Massimo Polledri (Lnp),
relatore sulla Comunitaria 2011 presso la
commissione bilancio. Il deputato ha chiesto
un chiarimento in merito alla commissione.
In particolare Polledri si è interrogato
sull'opportunità o meno di dar via libera
alla direttiva, visto che, simili
emendamenti, allegati però al ddl
Comunitaria 2010, erano stati bocciati
proprio dalla commissione bilancio.
Con la comunitaria 2011, poi, l'impegno al
recepimento è stato anche rafforzato, poiché
la direttiva sui pagamenti è stata inserita
direttamente nel testo iniziale dl ddl. Al
quesito proposto da Polledri ha risposto il
governo, nella persona del sottosegretario
all'economia Bruno Cesario (Responsabili).
Il sottosegretario ha riportato una nota
della Ragioneria dello stato, che ha messo
in guardia sugli effetti finanziari
dell'adozione delle nuove regole.
In particolare, secondo il dipartimento
guidato da Mario Canzio, il recepimento
della direttiva avrebbe potenziali effetti
negativi sulla finanza pubblica; per
l'esattezza «profili di onerosità».
Sulla base di questa nota il relatore
Polledri ha proposto alla commissione
bilancio di cancellare ogni riferimento
all'adozione della direttiva dall'allegato
alla Comunitaria 2011. Tutto ciò, va detto,
non costerà nulla all'Italia per il momento.
Il recepimento nell'ordinamento italiano
della direttiva sui ritardati pagamenti
dovrà avvenire entro maggio del 2013. Se
Montecitorio dovesse accettare il parere
della commissione bilancio, dunque, al
momento non scatterebbero procedure di
infrazione.
Né messe in mora da parte
di Bruxelles.
Ma, un effetto è chiaro da subito: lo stop
del governo arriva per motivi legati ai
tempi di pagamento imposti alla pubblica
amministrazione (30 giorni al massimo) e,
soprattutto, per la gravosità delle sanzioni
che scatterebbero in capo alle p.a.
irrispettose di questo limite.
Tutto ciò nonostante esista già il dlgs
231/2002, che prevede tempi di pagamento
stringenti; un provvedimento mai rispettato
dalle p.a., visto che, secondo gli ultimi
dati diffusi dall'Ance, oggi le pubbliche
amministrazioni pagherebbero a otto mesi (articolo
ItaliaOggi del 26.10.2011). |
APPALTI:
La titolarità di precedenti concessioni non
cancella l’obbligo dell’Amministrazione
concedente di assoggettare a procedura
comparativa le offerte presentate.
La pregressa esperienza nel noleggio di
articoli da mare, ovvero la titolarità di
precedenti concessioni, non può oscurare
l’obbligo dell’Amministrazione concedente di
assoggettare a procedura comparativa le
offerte presentate, risultando solo in tal
modo soddisfatto il prevalente interesse
all’individuazione dell’affidatario che
offra migliori garanzie di proficua
utilizzazione del bene per finalità di
pubblico interesse, secondo quanto prevede
l’art. 37 del codice della navigazione, il
quale impone l’abbandono dell’originaria
valorizzazione del diritto di insistenza o
di posizioni assimilabili al medesimo, a
vantaggio del confronto concorrenziale tra i
contenuti di più offerte, in modo da
assicurare la migliore gestione possibile
del bene (Cons. Stato, VI, 25/09/2009, n.
5765), in coerenza con il principio
comunitario di non discriminazione. Tale
principio si applica anche a materie diverse
dagli appalti, essendo sufficiente che si
tratti di attività suscettibile di
apprezzamento in termini economici (Cons.
Stato, VI, n. 3642/2008; TAR Piemonte, II,
29/11/2010, n. 4239) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Società pubbliche locali, quali i requisiti
del soggetto adibito ai compiti del R.U.P.?
Domanda.
Una S.r.l. a totale e unica partecipazione
del Comune -che esercita sulla stessa il "controllo
analogo"- deve appaltare un lavoro di
2.500.000 euro per ristrutturare un immobile
di proprietà. Vi chiediamo come la Società
-che ha solo personale impiegatizio e
fungerà da Stazione Appaltante- debba
regolarsi in merito all'individuazione del
R.U.P. così come previsto dall'art. 9 e 10
del D.P.R. 05-10-2010, n. 207 (Regolamento
di Attuazione del Codice dei Lavori
Pubblici).
In particolare chiediamo -nel caso che sia
tenuta anch'essa ad individuarlo- quale sia
il titolo di studio/qualifica richiesto.
Risposta.
Giova ricordare che la questione relativa
alla soggezione di Società costituite o
partecipate dall'Ente Locale all'obbligo di
nominare il Responsabile Unico del
Procedimento (di seguito solo R.U.P.) non è
nuova nella legislazione statale ma trovava
già nella previgente normativa interna in
materia di lavori pubblici, vale a dire nel
complesso costituito dalla L. 11.02.1994, n.
109 e dal D.P.R. 21.12.1999, n. 554,
un'espressa disciplina positiva.
Come noto, la c.d. Legge Merloni
assoggettava le Società costituite e/o
partecipate dagli Enti Locali ai sensi
dell'art. 2, comma 2, lettera b), alle norme
sull'evidenza pubblica, ma le esonerava
dall'obbligo della nomina del R.U.P., posto
che, ai sensi dell'art. 7, comma 1, Legge
cit. tale obbligo era previsto solo in capo
ai soggetti indicati all'art. 2, comma 2,
lettera a), tra i quali non erano comprese
le Società costituite o partecipate dagli
Enti Locali.
L'art. 7, comma 1, L. 11-02-1994, n. 109
doveva leggersi in combinato disposto con
l'art. 7, comma 6, D.P.R. 21.12.1999, n.
554, che vincolava i soggetti non tenuti
all'applicazione dell'art. 7 della Legge a
garantire lo svolgimento dei compiti
previsti per il responsabile del
procedimento dalle norme della legge e del
regolamento che li riguardano.
La situazione giuridica delle Società
costituite o partecipate da Enti Locali di
fronte alla nomina del R.U.P. non sembra
essere mutata nel nuovo quadro normativo
costituito dal D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e
dal D.P.R. 05.10.2010, n. 207.
L'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163 e s.m.i. prevede, infatti, che "Le
stazioni appaltanti che non sono pubbliche
amministrazioni e enti pubblici, in
conformità ai principi della legge
07.08.1990, n. 241, individuano, secondo i
propri ordinamenti, uno o più soggetti cui
affidare i compiti propri del responsabile
del procedimento, limitatamente al rispetto
delle norme del presente codice alla cui
osservanza sono tenuti".
Le Società costituite o partecipate
dall'Ente Locale, ancorché totalitarie, sono
soggetti all'applicazione di questa deroga
perché sono qualificabili alla stregua di
Enti privatistici.
L'attuale disciplina dell'art. 10, comma 9,
D.Lgs. cit. deve, peraltro, essere
sincronizzata con le novità introdotte dalla
L. 11.02.2005, n. 15 nel corpo della L.
07.08.1990, n. 241.
Assume particolare rilevanza il
coordinamento della norma in commento con
l'art. 1, comma 1-ter, L. 07.08.1990, n. 241
e s.m.i., a mente del quale i soggetti
privati preposti all'esercizio di attività
amministrative assicurano il rispetto dei
criteri e dei principi di cui al comma 1,
cioè economicità, di efficacia, di
imparzialità, di pubblicità e di trasparenza
(v. anche art. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163).
In tale prospettiva, la norma settoriale
dell'art. 10 deve intendersi, in coerenza
alla norma generale sul procedimento, nel
senso che gli Enti privatistici, come le
Società miste e le stesse Società a
partecipazione pubblica totalitaria, non
sono strictu sensu obbligate a
nominare un soggetto da adibire al ruolo di
R.U.P. per i procedimenti amministrativi di
rispettiva competenza, come i procedimenti
di evidenza pubblica; tali soggetti hanno,
tuttavia, un distinto obbligo, quello cioè
di affidare a uno o anche più soggetti i
compiti che le legge e il regolamento
demandano al R.U.P. e che scaturiscono
dall'applicazione delle norme del Codice (e
del Regolamento di Attuazione) applicabili
anche a tali Enti privatistici.
Nel caso di specie, dunque, la Società potrà
e dovrà affidare i compiti del R.U.P. a uno
o più soggetti, senza però sottostare
all'obbligo di nominare un soggetto da
adibire al ruolo di R.U.P.
L'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163, peraltro, non offre puntuali
indicazioni circa i criteri di scelta del
soggetto o dei soggetti da adibire ai
compiti di cui all'art. 10, comma 9, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 e, in particolare, circa
la qualificazione -professionale e
lavorativa- del soggetto o dei soggetti da
preporre ai compiti del R.U.P.
La soluzione che meglio si armonizza con la
previsione dell'esonero delle Società
costituite o partecipate da Enti Locali
dall'obbligo di nominare un vero e proprio
R.U.P., dovrebbe ritenersi quella che
esclude che questi Enti, nell'individuare i
soggetti da adibire ai relativi compiti,
siano tenuti in modo rigido a rispettare le
previsioni del Codice e del Regolamento che
identificano requisiti e le qualifiche che
il soggetto da nominare a R.U.P. deve
possedere.
Diversamente, infatti, cioè opinando che
anche Enti privatistici debbono
pedissequamente seguire le stesse regole
previste dall'art. 10 del D.Lgs. 12.04.2006,
n. 163 e del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 per
la scelta del R.U.P. da parte di Pubbliche
Amministrazioni e Enti pubblici, verrebbero
ad essere frustrate le ragioni sottese alla
previsione derogatoria dell'art. 10, comma 9
cit. e svilite le peculiarità, organizzative
e ordinamentali, favorevolmente apprezzate
dal Legislatore codicistico.
Vero è, invece, che gli Enti privatistici in
parola devono garantire che i compiti del
R.U.P. siano esercitati in modo efficiente,
economico, imparziale, trasparente e
proporzionato ai fini pubblici perseguiti,
come si desume dal coordinamento dell'art.
10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e
s.m.i. con l'art. 1, L. 07.08.1990, n. 241
e, ancor prima, con l'art. 2, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 medesimo.
Ciò significa, quindi, che, per tornare al
quesito sottoposto, le Società pubbliche
locali nell'operare la scelta del soggetto o
dei soggetti da adibire ai compiti del
R.U.P. ad esse applicabili:
- potranno operare con maggiore elasticità
sul fronte organizzativo, operando la
designazione in modo più confacente al
proprio ordinamento interno;
- non potranno derogare alla regola -diretto
corollario del principio di imparzialità e
buon andamento dell'azione amministrativa ad
esse applicabile- che impone di affidare i
compiti del R.U.P. a un soggetto in grado di
assolverli adeguatamente e, quindi, a un
soggetto che, ancorché privo della
qualificazione di tecnico, possa sopperire
efficacemente alle sue lacune curriculari
avvalendosi di soggetti adeguatamente
qualificati in relazione alla tipologia e
alla natura dell'intervento (cfr. art. 10,
comma 7, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m.i.)
(24.10.2011 - commento tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI: Concorrente
escluso per mancanza del sigillo previsto
dal bando.
L'uso della ceralacca per sigillare le
buste, qualora previsto dal disciplinare
quale requisito essenziale, determina
l'esclusione del concorrente che non si
attenga a tale previsione a nulla rilevando
la sua fungibilità con altri metodi
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2011 n. 5658 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, sì alla
partecipazione con requisiti ''indiziari''.
Nelle gare d'appalto l'Amministrazione deve
disporre la regolarizzazione della
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione.
La "ratio" dell'art. 46 del d.lgs. n.
163/2006 è ravvisabile nell'esigenza di
assicurare la massima partecipazione alle
gare di appalto (al fine di evitare che
l'esito delle stesse possa essere alterato
da carenze di ordine meramente formale nella
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti), in un'ottica
intesa al contemperamento di principi
talvolta in antitesi, come quello del "favor
partecipationis" e quello della "par
condicio" tra i concorrenti.
Detta disposizione va, quindi, intesa nel
senso che l'Amministrazione deve disporre la
regolarizzazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione: in sostanza,
quando il documento è già stato presentato
in sede di gara, anche se parzialmente, è
consentita la sua regolarizzazione se la
violazione è squisitamente formale ed il
rimedio, in concreto, non altera la "par
condicio" tra i concorrenti, secondo i
principi di proporzionalità e del dovere
dell'Amministrazione di ascoltare i privati
prima di assumere decisioni.
Differente da detta attività amministrativa
volta alla regolarizzazione degli atti è
quella giurisdizionale volta, tramite
istruttoria o acquisizione di atti, a
verificare la fondatezza o meno delle
censure mosse all'operato della
Amministrazione, esperibile quando il
giudicante ritenga di dover attivare i suoi
poteri d'ufficio al superiore fine di
decidere, solo dopo però che le parti
abbiano delineato il tema del contendere.
Il Giudice può, dunque, approfondire aspetti
che non appaiano convincenti o che siano
controversi, ma la cui emersione sia
avvenuta già nel procedimento, mentre egli
non deve finire per integrare la mancante
istruttoria.
Nel caso che occupa l'istruttoria svolta dal
Giudice di primo grado e la accettata
produzione documentale non appare, in base
all'esame degli atti, volta ad operare una
non consentita regolarizzazione degli atti
che avrebbero dovuto essere prodotti in sede
di gara, ma solo ad attivare i suoi poteri
istruttori in ordine a aspetti processuali
controversi, già emersi nel corso del
procedimento, ed in riferimento a requisiti
già auto dichiarati in sede di presentazione
delle offerte (commento tratto da
www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2011
n. 5639 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamenti
blindati per l'ente. Palazzo Spada: sì a
polizza fideiussoria.
Affidamento di servizi
blindato per il comune. È legittima la
clausola del bando che prevede una polizza
fideiussoria per la quale, una volta
ottenuta l'aggiudicazione, il concessionario
dovrà essere in possesso di una fideiussione
bancaria, pari al 10% dell'importo della
gara vinta, in modo che l'ente locale abbia
una garanzia rafforzata del pagamento da
parte del concessionario del canone offerto
per ogni stallo.
È quanto emerge dalla
sentenza 21.10.2011 n. 5636 della V
Sez. del Consiglio di stato.
Stallo escluso.
Accolto il ricorso dell'amministrazione
nell'ambito di un contenzioso
sull'affidamento della gestione dei
parcheggi: legittima l'esclusione dalla gara
dell'azienda concorrente che, con
riferimento alla cauzione prescritta dal
bando, allega all'offerta soltanto
l'appendice scheda-tecnica, secondo lo
schema tipo 1.1. di cui al dm 123/2004,
rilasciata dalla compagnia assicurativa.
Il bando di gara parla chiaro: dispone
espressamente a pena di esclusione che la
polizza fideiussoria debba contenere «l'impegno
a rilasciare, in caso di aggiudicazione
dell'appalto, una fideiussione bancaria pari
al 10% dell'importo di aggiudicazione, oltre
Iva se e in quanto dovuta, da svincolarsi
dopo due mesi dalla fine del contratto con
l'espressa previsione che, se non si
ottempererà al pagamento (del canone), il
comune potrà procedere alla riscossione
della stessa, senza ulteriori adempimenti e
con la contestuale risoluzione del contratto».
La clausola voluta dall'amministrazione è
pienamente lecita perché le relative
prescrizioni puntano a evitare eventuali
contestazioni in sede di esecuzione del
contratto: nonostante le cauzioni
provvisorie e definitive ex articoli 75 e
113 dlgs 163/2006 siano garanzie autonome
e/o a prima richiesta, cioè prive di
accessorietà con il debito dell'obbligato
principale, non si può escludere a priori
che il soggetto aggiudicatario (che è il
debitore principale) possa agire in via di
regresso e/o rivalsa nei confronti del
comune garantito
(articolo ItaliaOggi del 25.10.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Responsabilità
extracontrattuale - Appalto - Gara - Danno
da mancata aggiudicazione - Dimostrazione -
Mancato utilizzo dei mezzi e della
manodopera per lo svolgimento di altre
commesse - Necessaria.
Il danno derivante ad un'impresa dal mancato
affidamento di un appalto è quantificabile
nella misura dell'utile non conseguito, solo
se e in quanto l'impresa possa documentare
di non aver potuto utilizzare mezzi e
maestranze (lasciati disponibili) per
l'espletamento di altri servizi.
Mentre quando tale dimostrazione non sia
stata offerta è da ritenere che l'impresa
possa avere ragionevolmente riutilizzato
mezzi e manodopera per lo svolgimento di
altri, analoghi servizi, così vedendo in
parte ridotta la propria perdita di utilità,
con conseguente riduzione in via equitativa
del danno risarcibile (cfr., Cons. Stato, V,
24.10.2002, n. 5860; Cons. Stato, Sez. VI,
09.11.2006, n. 6607)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.10.2011 n.
2524 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante
non può incamerare la cauzione provvisoria
nel caso di contemporanea partecipazione del
consorzio e del consorziato.
La normativa di settore –sia l’art. 12,
comma 5, della L. n. 109/1994, e sia l’art.
36, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006– non
prevede l’incameramento della cauzione
provvisoria nelle ipotesi di contemporanea
partecipazione del consorzio e del
consorziato alla medesima procedura di gara,
e poiché le norme sanzionatorie che
prevedono l’incameramento della cauzione
provvisoria hanno carattere tassativo, non
possono essere estese ad altre ipotesi
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 21.10.2011 n. 2547 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della P.A. - Partecipazione alla gara - Art.
48, comma 1, D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163
- Cauzione provvisoria - Incameramento da
parte della P.A. - Finalità.
L'incameramento della cauzione provvisoria
da parte dell'Amministrazione, prevista
dall'art. 48, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163, costituisce, in primo luogo, una
garanzia del rispetto dell'ampio patto
d'integrità cui si vincola chi partecipa a
gare pubbliche. In secondo luogo, è
congruente rispetto alla funzione di
garantire la serietà e l'affidabilità
dell'offerta, sanzionando la violazione
dell'obbligo di diligenza gravante
sull'offerente, mediante l'anticipata
liquidazione dei danni subiti dalla stazione
appaltante, tenuto conto che l'operatore
economico, con la domanda di partecipazione,
sottoscrive e si impegna ad osservare le
regole della relativa procedura delle quali
ha, dunque, contezza.
Inoltre, è preordinato ad assicurare il
regolare e rapido espletamento della
procedura e la tempestiva liquidazione dei
danni prodotti dall'alterazione della stessa
a causa della mancanza dei requisiti da
parte dell'offerente e, quindi, la norma è
strumentale rispetto all'esigenza di
garantire l'imparzialità e il buon andamento
dell'azione amministrativa (cfr., Corte
Cost., 13.07.2011, n. 211; sul punto v.
anche, ex multis, TAR Sardegna, sez.
I, 17.06.2011, n. 594; TAR Sicilia Palermo,
sez. III, 18.03.2011, n. 504)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.10.2011 n.
2513 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le offerte con identico
ribasso -se poste a cavallo delle ali- vanno
escluse fittiziamente dalla gara.
Nell'ipotesi caratterizzata dalla presenza,
a cavallo delle ali, di due imprese con
identico ribasso, entrambe le imprese, alla
luce dell’ormai univoco orientamento
giurisprudenziale, codificato dal
regolamento di attuazione approvato con DPR
n. 207/2010, devono essere fittiziamente
escluse dalla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 20.10.2011 n. 2502 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla portata di una
clausola contenuta nell'Accordo di Programma
intercorso tra un Comune ad una Provincia in
materia di affidamento del servizio di
trasporto pubblico locale.
La controversia riguardante la portata della
clausola contenuta nell'Accordo di Programma
in materia di affidamento del servizio di
trasporto pubblico locale ed in particolare
se l'importo da corrispondersi dal Comune
alla Provincia sia una somma
forfettariamente determinata, comunque
dovuta dall'ente locale alla Provincia per
il servizio di trasporto pubblico urbano o
possa essere modulata in ragione della
misura in cui l'ente territoriale assolva ai
propri impegni, va letta alla luce dei
principi dettati dall'art. 1362 cod. civ.,
che evidenziano un rapporto di
sinallagmaticità tra il trasferimento delle
risorse ed il complesso dei servizi che la
Provincia è tenuta ad espletare.
Esiste, dunque, un'interdipendenza
funzionale delle reciproche obbligazioni,
sicché l'importo costituisce il
corrispettivo dovuto dal Comune a fronte
dell'integrale "esatto" adempimento
da parte della Provincia a tutti gli impegni
assunti, che comprendono anche i servizi
definiti nel documento elaborato di comune
accordo.
Una diversa interpretazione della clausola,
non solo non corrisponde al significato
letterale della locuzione usata nell'Accordo
che fa riferimento alle risorse necessarie
all'espletamento del servizio di trasporto
pubblico urbano che completi il livello dei
servizi minimi essenziali, ma determina un
trasferimento di risorse senza causa, ove
non è stato completato il livello dei
servizi minimi.
Pertanto, l'importo in questione sta ad
indicare il valore da computare ai fini
della gara e, quindi, il limite massimo
delle risorse che il Comune si impegna a
trasferire quale corrispettivo di tutti i
servizi previsti dall'Accordo (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 19.10.2011 n. 5627 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un partecipante da una gara per non avere
rispettato la clausola del disciplinare
secondo cui l'offerta tecnica, a pena
d'esclusione, doveva essere firmata o
siglata in ogni sua pagina.
E' legittima l'esclusione di un partecipante
dalla gara per l'affidamento del servizio di
igiene ambientale per la raccolta e
trasporto dei rifiuti per non avere
rispettato la disposizione del disciplinare
secondo cui l'offerta tecnica, a pena
d'esclusione, doveva essere firmata o
siglata in ogni sua pagina dal legale
rappresentante dell'impresa.
La clausola di esclusione corrisponde,
infatti, ad un interesse sostanziale
apprezzabile dell'amministrazione, che è
quello alla autenticità ed alla certezza del
contenuto integrale dell'offerta, assolvendo
la sigla di ogni pagina la funzione di
assicurare provenienza, serietà,
affidabilità e insostituibilità
dell'offerta, in tutti i suoi elementi,
vincolando l'autore al contenuto di tutte le
parti, nella specie separate in singole
schede.
Inoltre, i pur ammissibili temperamenti al
formalismo delle procedure di gara, nei casi
in cui questo sia in grado di compromettere
l'interesse pubblico -ipotesi da escludere
nel caso di specie, in cui tutte le imprese
partecipanti sono state escluse in
applicazione della medesima clausola- non
possono operare fino a spingersi a
configurare l'esistenza, in capo
all'amministrazione, di un potere
discrezionale volto a porre rimedio ad
eventuali insufficienze o inadempienze della
impresa partecipante, soprattutto qualora
queste appaiano imputabili esclusivamente
alla impresa, dovendosi rispettare le regole
di gara al fine di assicurare la par
condicio tra i concorrenti (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 19.10.2011 n. 5619 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sussiste la responsabilità
precontrattuale di un Comune che abbia
proceduto alla revoca di una procedura di
gara a distanza di lungo tempo dalla
pubblicazione del bando, e successivamente
alla fase di valutazione delle offerte
tecniche.
Sussiste la responsabilità precontrattuale
in capo ad un Comune appaltante, che abbia
proceduto alla revoca di una procedura di
gara a distanza di lungo tempo dalla
pubblicazione del bando, e successivamente
alla fase di valutazione delle offerte
tecniche. Costituisce ius receptum il
principio secondo cui, la legittimità
dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di
una gara di appalto, non elimina il profilo
relativo alla valutazione del comportamento
della P.A., con riguardo al rispetto dei
canoni di buona fede e correttezza in senso
oggettivo.
La previsione dell'obbligo di indennizzare
il privato, per eventuali pregiudizi subiti
in conseguenza della revoca, di cui all'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, non fa
venir meno la possibile responsabilità della
stazione appaltante per violazione
dell'obbligo di buona fede, nelle trattative
che conducono alla conclusione del contratto
di appalto. Non costituisce ostacolo al
riconoscimento della responsabilità
precontrattuale dell'ente, la mancata
impugnazione del provvedimento di revoca,
purché sia provato che l'elusione delle
aspettative del concorrente, seppure non
intenzionale, è colposa e contraria ai
canoni di correttezza e buona fede nella
formazione del contratto.
La responsabilità precontrattuale per la
revoca della gara è infatti sempre
configurabile, qualora il fine pubblico
venga attuato attraverso un comportamento
obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà,
sicché, anche dalla revoca legittima degli
atti di gara, può scaturire l'obbligo di
risarcire il danno, nel caso di affidamento
suscitato nell'impresa. Nelle ordinarie
ipotesi di danni conseguenti alla violazione
di interessi legittimi, ai fini del
risarcimento, non vi è una violazione
diretta della disciplina sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici;
l'illegittimità è piuttosto riferibile al
comportamento complessivo della stazione
appaltante, la quale assume, con
ingiustificato ritardo, una legittima
determinazione di revoca della gara,
violando il legittimo affidamento dei
concorrenti.
Nel caso di specie, la delibera comunale
relativa alla revoca è giunta a distanza di
nove mesi dalla pubblicazione del bando di
gara; il decorso di un tempo così lungo
costituisce, di per sé, sintomo di
negligenza e cattiva amministrazione,
giacché le gare per l'affidamento dei
servizi pubblici debbono svolgersi nel
rispetto dei principi di concentrazione e
speditezza delle procedure di evidenza
pubblica, anche al fine di scongiurare le
sopravvenienze legate al passare del tempo,
le quali fanno sì che le condizioni
tecnico-economiche fissate nei bandi di gara
non rispondano più alle effettive esigenze
della P.A. aggiudicatrice (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 19.10.2011 n. 1552 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Appalti e accesso agli atti: registri
contabili sì, relazione del direttore
lavori no.
Il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha
esaminato il ricorso di un'impresa
appaltante contro il diniego di accesso da
parte di un'amministrazione relativo ad
alcuni atti di contabilità e alla relazione
riservata dell'impresa. La sentenza
approfondisce le disposizioni sul divieto di
ostensione previste dall'art. 13 del Codice
appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006).
Un'impresa
in qualità di partecipante ad un consorzio
che è stato subappaltatore di un'altra
società, a seguito della controversia
relativa alla quantificazione dei
corrispettivi del subappalto per la
costruzione di una residenza per un ente
pubblico, richiedeva l'accesso all'intera
pratica amministrativa e contabile
dell'impresa dante causa.
L'oggetto della richiesta di accesso era
comprensiva di contratto; capitolato
speciale, cronoprogramma, libretti delle
misure, contabilità dei lavori, verbali di
consegna; registri di contabilità.
L'amministrazione pubblica di fronte
all'istanza di accesso rispondeva che, ai
sensi dell'art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 163
del 2006, alcuni atti di contabilità e la
relazione riservata dell'impresa non erano
ostensibili. L'impresa presentava ricorso al
Tribunale amministrativo contro il diniego
di accesso.
Il Tribunale amministrativo chiedeva
all'amministrazione di chiarire a quali
documenti si riferissero la relazione
riservata dell'impresa e gli atti di
contabilità richiamati.
Secondo l'amministrazione la relazione
riservata dell'impresa è costituita dalla
relazione riservata del direttore dei
lavori, mentre gli atti di contabilità sono
i registri di contabilità, ritenuti non
ostensibili in ragione del fatto che possono
contenere le controdeduzioni del direttore
lavori, sulle riserve dell'impresa,
esplicitate nelle successive relazioni
riservate.
La sentenza è di interesse in quanto
approfondisce l'ostensibilità o meno del
registro di contabilità e si concentra anche
sul divieto di ostensione della relazione
riservata del direttore dei lavori. In
riferimento al divieto di ostensibilità
della relazione riservata, la sentenza
richiama sia la specifica normativa sia la
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato (v. Cons. di Stato, Ad. plen., 13.09.2007, n. 11).
La "relazione riservata" del direttore dei
lavori è prevista dall' art. 13 comma 5, D.Lgs. n. 163 del 2006 come documenti
oggetto di divieto di ostensione, ed è
citata dal successivo art. 240, stesso
decreto, in tema di accordo bonario.
Il collegio illustra come il divieto in
oggetto sia giustificato non solo con la
finalità di favorire l'eventuale
perfezionamento dell'accordo bonario, ma,
più in generale, in virtù della
"caratteristica di strumento di tutela dei
propri interessi, del quale
l'amministrazione dispone nell'eventuale
contenzioso che l'appaltatore intenda
istaurare per il riconoscimento delle
riserve e per il pagamento del prezzo
integrale dell'opera."
Il collegio osserva che l'art. 13, D.Lgs. n.
163 del 2006 equipara nel divieto di
divulgazione le relazioni del direttore dei
lavori e del collaudatore ai "pareri legali
acquisiti dai soggetti tenuti
all'applicazione del presente Codice": si
tratta di documenti non ostensibili, perché
riferiti ad un contenzioso potenziale o
attuale con l'appaltatore e investiti dalle
stesse esigenze di riservatezza che tutelano
le ragioni di ordine patrimoniale della
stazione appaltante.
Il collegio specifica che il divieto di
ostensione era previsto ab origine, dal
regolamento sui lavori pubblici del 1895,
per la sola relazione del collaudatore.
Il Tribunale ha approfondito la tematica
dell'ostensibilità dei registri di
contabilità che contengono sovente le
"motivate deduzioni" annotate, dal direttore
dei lavori (v.artt. 164 e 165 del richiamato
D.P.R. n. 554 del 1999).
Il collegio ha osservato che i registri di
contabilità sono documenti che si rivolgono
non solo all'amministrazione ma anche
all'esecutore dell'opera pubblica e ha
specificato che esclusivamente nel caso in
cui le riserve vengano da questi confermate
nel conto finale, è prevista la redazione di
una relazione riservata da parte del
direttore dei lavori, indirizzata alla sola
stazione appaltante, quale strumento di
supporto al fine dell'eventuale
raggiungimento di un accordo bonario, e,
comunque, della successiva definizione delle
riserve.
Secondo il Tribunale, l'impresa può pertanto
accedere ai registri di contabilità in
quanto non sussistono pertanto ragioni
ostative alla divulgazione dei registri, non
solo -come è ovvio- nei confronti
dell'appaltatore che è chiamato a firmarlo,
ma anche, come nel caso di specie, nei
confronti di un'impresa avente causa dalla
prima, che abbia necessità di consultarli al
fine di quantificare le proprie pretese.
Il Tribunale ha accolto il ricorso e ha
condannato l'amministrazione ad esibire, nel
termine di quindici giorni i registri di
contabilità, nonché la restante
documentazione (cronoprogramma, libretti
delle misure, etc.).
Il diritto di accesso agli atti di una gara
prevale sulle esigenze di riservatezza
dell'impresa partecipante laddove il diritto
sia esercitato per la la cura e la difesa di
un interesse giuridico (Cons. di Stato, Sez.
VI, 07.06.2006, n. 3418 e Cons. di Stato,
Sez. VI, 20.04.2006, n. 2223); nel caso
in esame, l'impresa richiedente ha richiesto
copia dei documenti connessi alla
controversia relativa alla quantificazione
dei corrispettivi del subappalto.
La sentenza in oggetto è di interesse in
quanto ha riconosciuto il diritto di accesso
al registro di contabilità, documento
strategico nella gestione degli appalti, da
parte del subappaltatore avente causa da
un'altra impresa che ha partecipato
all'appalto (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza
18.10.2011 n. 8013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Può ricorrere contro il bando di
gara la ditta che abbia solo comunicato di
non poter presentare un’offerta remunerativa
in base allo stesso.
---------------
Se è vero che la misura del prezzo a base
d'asta non implica una mera scelta di
convenienza e opportunità, ma una
valutazione alla stregua di cognizioni
tecniche (andamento del mercato nel settore
di cui trattasi, tecnologie che le ditte
devono adoperare nell'espletamento dei
servizi oggetto dell'appalto, numero di
dipendenti che devono essere impiegati,
rapporto qualità-prezzo per ogni servizio)
sulla quale è possibile il sindacato del
giudice amministrativo, va precisato che
tale sindacato è limitato ai casi di
complessiva inattendibilità delle operazioni
e valutazioni tecniche operate
dall'amministrazione, alla illogicità
manifesta, alla disparità di trattamento,
non potendo il giudizio che il Tribunale
compie giungere alla determinazione del
prezzo congruo.
Va difatti ricordato che la legittimazione
del soggetto che contrasta immediatamente il
bando di gara (in relazione alle sue
clausole "escludenti"), senza
partecipare al procedimento, ha una
giustificazione logica evidente,
direttamente collegata alla affermazione
giurisprudenziale dell'onere di sollecita
impugnazione di tale atto lesivo, senza
attendere l'esito della selezione.
La certezza del pregiudizio determinato dal
bando rende superflua la domanda di
partecipazione e l'adozione di un atto
esplicito di esclusione.
Come ben ha ricordato l’Adunanza Plenaria
nella citata sentenza n. 4/2011 “al di
fuori delle ipotesi tassativamente enucleate
dalla giurisprudenza, pertanto, deve restare
fermo il principio secondo il quale la
legittimazione al ricorso, nelle
controversie riguardanti l'affidamento dei
contratti pubblici, spetti esclusivamente ai
soggetti partecipanti alla gara, poiché solo
tale qualità si connette all'attribuzione di
una posizione sostanziale differenziata e
meritevole di tutela. In questa veste, il
ricorrente che ha partecipato legittimamente
alla gara può far valere tanto un interesse
"finale" al conseguimento dell'appalto
affidato al controinteressato, quanto, in
via alternativa l'interesse strumentale alla
caducazione dell'intera gara e alla sua
riedizione".
Ciò premesso, va ricordato che la definitiva
esclusione o l'accertamento della
illegittimità della partecipazione alla gara
o la mancata partecipazione impediscono di
assegnare al concorrente la titolarità di
una situazione sostanziale che lo abiliti ad
impugnare gli esiti della procedura
selettiva.
---------------
Va ricordato,
in punto di diritto, che se è vero che la
misura del prezzo a base d'asta non implica
una mera scelta di convenienza e
opportunità, ma una valutazione alla stregua
di cognizioni tecniche (andamento del
mercato nel settore di cui trattasi,
tecnologie che le ditte devono adoperare
nell'espletamento dei servizi oggetto
dell'appalto, numero di dipendenti che
devono essere impiegati, rapporto
qualità-prezzo per ogni servizio) sulla
quale è possibile il sindacato del giudice
amministrativo, va precisato che tale
sindacato è limitato ai casi di complessiva
inattendibilità delle operazioni e
valutazioni tecniche operate
dall'amministrazione, alla illogicità
manifesta, alla disparità di trattamento,
non potendo il giudizio che il Tribunale
compie giungere alla determinazione del
prezzo congruo (cfr. TAR Sicilia Catania,
sez. II, 09.05.2006, n. 716, Tar Sardegna,
Sez. I, 20.5.2010, n. 1232)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 18.10.2011 n. 992 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Codice appalti senza sponsorizzazioni
(link a www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Volpe,
Appalti pubblici e servizi pubblici.
Dall’art. 23-bis al decreto legge manovra di
agosto 2011 attraverso il referendum:
l’attuale quadro normativo (link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: R.
Cavalli,
Decreto ambiti distribuzione gas: il blocco
delle gare (link a
www.dirittosuweb.com). |
APPALTI SERVIZI: D.
Scarpino,
Gestione di impianti sportivi e
responsabilità civile (link a
www.dirittosuweb.com). |
APPALTI:
R. Cavalli,
Commento al DPCM del 30.06.2011 sulle
stazioni uniche appaltanti (link
a www.dirittosuweb.com). |
APPALTI:
La mancata allegazione del
documento d'identità è causa di esclusione?
I giudici del Tar Lazio hanno ritenuta
legittima l'esclusione da una gara di
appalto di un concorrente che abbia omesso
di allegare il documento di identità alla
busta contenente l'offerta economica.
Il caso.
I giudici del Tar Lazio sono chiamati a
pronunciarsi sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia omesso di allegare il
documento di identità alla busta contenente
l'offerta economica .
La posizione del Tar Lazio.
I giudici del Tar Lazio affermano che è
legittimo il provvedimento di esclusione da
una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che, in violazione di una clausola contenuta
nel bando di gara, abbia omesso di allegare
copia del documento di identità all'offerta
economica presentata, e ciò anche
nell'ipotesi in cui tale copia sia stata
prodotta all'interno della busta contenente
la documentazione amministrativa, in quanto
a fronte del chiaro ed inequivoco disposto
letterale del disciplinare di gara,
l'amministrazione è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella lex specialis, senza
alcuna possibilità di valutazione
discrezionale in ordine alla rilevanza
dell'adempimento, non risolvendosi la
richiesta di allegare il documento di
identità in un mero formalismo, in quanto
detta prescrizione è diretta a comprovare,
oltre alle generalità del dichiarante, il
nesso di imputabilità soggettiva della
dichiarazione ad un determinato concorrente.
Peraltro, detta clausola da un lato trova la
sua ragion d'essere nell'esigenza di
soddisfare un interesse apprezzabile
dell'amministrazione procedente, dando
certezza in ordine alla provenienza della
dichiarazione e, d'altra parte, si limita ad
imporre ai partecipanti uno sforzo minimo e
proporzionato rispetto all'interesse
pubblico perseguito.
In materia di gare relative a contratti
pubblici deve ritenersi indefettibile la
produzione della copia fotostatica del
documento d'identità nel caso in cui si
tratti di supportare la più importante delle
dichiarazioni di volontà che intervengono
nella procedura concorsuale, cioè l'offerta
economica, stante che la prescritta
formalità assolve all'essenziale funzione di
ricondurre incontrovertibilmente al suo
autore l'autenticità dell'apposta
sottoscrizione (commento tratto da
www.ispa.it - TAR Lazio-Roma, Sez.
III-quater,
sentenza 13.10.2011 n. 7931 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione ex
art. 38 dlgs. n. 163/2006.
Nel caso in cui il bando di gara, richiede
genericamente una dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'art. 38, del d.lgs. n. 163/2006,
esso giustifica una valutazione di
gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché questi non può essere
escluso per il solo fatto dell'omissione
formale, cioè di non aver dichiarato tutte
le condanne penali o tutte le violazioni
contributive; andrà escluso solo ove la
stazione appaltante ritenga che le condanne
o le violazioni contributive siano gravi e
definitivamente accertate. La dichiarazione
del concorrente, in tal caso, non può essere
ritenuta falsa.
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'art. 38, ma specifichi che vanno
dichiarate tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; in tal caso, il
bando esige una dichiarazione dal contenuto
più ampio e più puntuale rispetto a quanto
prescritto dalla legge, all'evidente fine di
riservare alla stazione appaltante la
valutazione di gravità o meno dell'illecito,
al fine di esclusione. In siffatta ipotesi,
la causa di esclusione non è solo quella,
sostanziale, dell'essere stata commessa una
grave violazione, ma anche quella, formale,
di aver omesso una dichiarazione prescritta
dal bando (TAR Umbria,
sentenza 13.10.2011 n. 330 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'articolo 38, comma 1,
del dlgs 163/2006 ricollega l'esclusione
dalla gara pubblica al dato sostanziale del
mancato possesso dei requisiti indicati nel
bando mentre il comma 2 non prevede analoga
sanzione per l'ipotesi di mancata o non
perspicua dichiarazione.
Laddove il bando di gara richiede
genericamente una dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'articolo 38 del Codice, esso
giustifica una valutazione di gravità/non
gravità compiuta dal concorrente, sicché
questi non può essere escluso per il solo
fatto dell'omissione formale, cioè di non
aver dichiarato tutte le condanne penali o
tutte le violazioni contributive; andrà
escluso solo ove la stazione appaltante
ritenga che le condanne o le violazioni
contributive siano gravi e definitivamente
accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'articolo 38, ma specifichi che vanno
dichiarate tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; in tal caso, il
bando esige una dichiarazione dal contenuto
più ampio e più puntuale rispetto a quanto
prescritto dalla legge, all'evidente fine di
riservare alla stazione appaltante la
valutazione di gravità o meno dell'illecito,
al fine di esclusione. In siffatta ipotesi,
la causa di esclusione non è solo quella,
sostanziale, dell'essere stata commessa una
grave violazione, ma anche quella, formale,
di aver omesso una dichiarazione prescritta
dal bando.
L’articolo 38 del Codice dei contratti
pubblici considera, come cause di
esclusione, al comma 1, lettera c), tra
l’altro, l’aver riportato condanne per <<reati
gravi in danno dello Stato o della Comunità
che incidono sulla moralità professionale>>.
Il comma 2 prevede che <<Il candidato o
il concorrente attesta il possesso dei
requisiti mediante dichiarazione sostitutiva
in conformità alle disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica 28.12.2000,
n. 445, in cui indica anche le eventuali
condanne per le quali abbia beneficiato
della non menzione>>.
La giurisprudenza prevalente afferma che
l'articolo 38, comma 1, (nelle diverse
fattispecie ivi elencate) ricollega
l'esclusione dalla gara pubblica al dato
sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati nel bando (per la
fattispecie di cui alla lettera c), la
stazione appaltante deve valutare caso per
caso la condotta dell'offerente, tenendo
conto di molteplici aspetti quali quelli
soggettivi, temporali, relazionali per
verificare la sua professionalità per come
nel tempo si è manifestata, dando specifico
conto delle risultanze nella motivazione
dell'eventuale provvedimento di esclusione –
cfr. TAR Umbria, 25.02.2011, n. 58 ), mentre
il comma 2 non prevede analoga sanzione per
l'ipotesi di mancata o non perspicua
dichiarazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato,
V, 24.03.2011, n. 1795).
Laddove il bando richiede genericamente una
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione di cui all'articolo 38 del
Codice, esso giustifica una valutazione di
gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché questi non può essere
escluso per il solo fatto dell'omissione
formale, cioè di non aver dichiarato tutte
le condanne penali o tutte le violazioni
contributive; andrà escluso solo ove la
stazione appaltante ritenga che le condanne
o le violazioni contributive siano gravi e
definitivamente accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'articolo 38, ma specifichi che vanno
dichiarate tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; in tal caso, il
bando esige una dichiarazione dal contenuto
più ampio e più puntuale rispetto a quanto
prescritto dalla legge, all'evidente fine di
riservare alla stazione appaltante la
valutazione di gravità o meno dell'illecito,
al fine di esclusione. In siffatta ipotesi,
la causa di esclusione non è solo quella,
sostanziale, dell'essere stata commessa una
grave violazione, ma anche quella, formale,
di aver omesso una dichiarazione prescritta
dal bando (cfr. Cons. Stato, VI, 21.12.2010,
n. 9324; 24.06.2010, n. 4019; 22.01.2010, n.
1017 – oltre a n. 4082/2009, cit.) (TAR
Umbria,
sentenza 13.10.2011 n. 330 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un'impresa
concorrente, per accertata irregolarità
contributiva, con riguardo ad un importo
eccedente la soglia stabilita dall'art. 8
del d.m. 24.10.2007.
Alla luce della disciplina introdotta dal
d.m. del Ministero del lavoro 24.10.2007 e
dalla successiva circolare applicativa n.
5/2008, la presenza di un d.u.r.c. negativo
alla data di presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, obbliga la
stazione appaltante ad escludere dalla
procedura l'impresa interessata, senza che
si possano effettuare apprezzamenti in
ordine alla gravità degli adempimenti ed
alla definitività dell'accertamento
previdenziale.
Inoltre, la regolarità contributiva deve
essere conservata nel corso di tutto l'arco
temporale impegnato dallo svolgimento della
procedura, mentre non assume rilievo
l'intervento di un adempimento tardivo da
parte dell'impresa.
Pertanto, nel caso di deve ritenersi
legittima la decisione con la quale la
stazione appaltante ha escluso dalla
procedura l'impresa concorrente alla quale
era stata accertata, durante la gara, una
situazione di irregolarità mediante d.u.r.c.
negativo con riguardo ad un importo
eccedente la soglia stabilita dall'art. 8
del citato d.m. 24.10.2007 (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 12.10.2011 n. 5531 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L'avviso d'immissione in
possesso è legittimamente notificato al
proprietario catastale del fondo oggetto
dell'occupazione d'urgenza.
In relazione ad essa va premesso che ai
sensi dell'art. 3, comma 4, della l.
03.01.1978 n. 1, l'avviso d'immissione in
possesso è legittimamente notificato al
proprietario catastale del fondo oggetto
dell'occupazione d'urgenza, essendo onere
del privato interessato curare l'esatta
corrispondenza delle risultanze catastali
alla reale situazione giuridica del bene
oggetto della procedura ablatoria (cfr:
Consiglio Stato, sez. IV, 20.05.1997, n.
957).
E’ ben vero che, più recentemente, la
giurisprudenza amministrativa ha ammorbidito
la portata di tale asserzione, affermando
che il principio generale per cui l'avviso
di immissione in possesso è legittimamente
notificato al proprietario catastale del
fondo non trova applicazione, perché ne
viene meno la logica acceleratoria che lo
sorregge, nell'ipotesi in cui
l'Amministrazione abbia sicura ed esatta
conoscenza della situazione dominicale,
tanto da instaurare un contraddittorio nel
procedimento con i proprietari effettivi e
da notificare a questi altri atti della
procedura (cfr: Consiglio Stato , sez. IV,
17.12.2003, n. 8289), ma tale correttivo non
rileva nel caso di specie, non essendosi
data la prova che l’amministrazione fosse
comunque a conoscenza del dichiarato
trasferimento del diritto di proprietà
sull’area interessata dal procedimento
espropriativo (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 12.10.2011 n. 970 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il Comune non è
competente in ordine alla realizzazione di
una Caserma dei Carabinieri.
La decisione del Comune di annullare in
autotutela le delibere del 2006, con cui si
era deciso di dar corso alla procedura di
finanza di progetto per la scelta del
contraente cui affidare la realizzazione
della Caserma dei Carabinieri, è stata
assunta senza il concorso delle Autorità
statali individuate come competenti dalla
normativa primaria. Difatti, ai sensi
dell’art. 3 della legge n. 16 del 1985 (ora
abrogato dal D.Lgs. n. 66 del 2010, Codice
dell’ordinamento militare), le Caserme dei
Carabinieri, essendo destinate alla difesa,
rientrano tra le opere pubbliche di natura
militare (TAR Lazio, Latina, 15.02.1990, n.
79).
A ciò si ricollega un filone
giurisprudenziale, che il Collegio
condivide, secondo cui “per le opere
militari (tra cui le caserme, pur se ubicate
nell’ambito urbano) tutte le competenze di
programmazione, localizzazione,
progettazione, esecuzione e controllo, sono
di esclusiva pertinenza dell’Autorità
statale, con esclusione di qualsiasi
competenza o intervento di altre Autorità
regionali o comunali” (TAR Sardegna,
Cagliari, II, 06.09.2007, n. 1724).
Nel caso di specie, il Comune sarebbe
intervenuto illegittimamente in un ambito
non rientrante nella propria competenza,
oltretutto senza nemmeno provvedere a
coinvolgere gli organismi a ciò deputati,
attraverso la convocazione, ad esempio, di
una Conferenza di servizi.
Inoltre, l’adozione delle delibera
impugnata, essendo avvenuta nell’esercizio
del potere di autotutela, avrebbe richiesto
necessariamente il coinvolgimento del
soggetto privato inciso dal provvedimento
adottato in precedenza.
Proprio in tema di gare pubbliche è stato
affermato che “con la presentazione della
domanda di partecipazione e, ancor più, con
la predisposizione e l’inoltro dell’offerta,
i soggetti concorrenti assumono una
posizione differenziata e qualificata che
giustifica la posizione di contro
interessati ai quali è necessario comunicare
l’avviso di avvio del procedimento ai sensi
della legge sulla trasparenza
amministrativa, al fine di consentire la
difesa del bene della vita dato dalla chance
di aggiudicazione” (Consiglio di Stato,
V, 29.03.2011, n. 1922).
Questo principio vale a maggior ragione nel
caso de quo, visto che il soggetto
privato era stato individuato quale unico
interlocutore e che, pertanto, poteva fino a
quel momento vantare un interesse
qualificato alla realizzazione, con il
sistema della finanza di progetto, della
Caserma dei Carabinieri (cfr. Consiglio di
Stato, V, 06.10.2010, n. 7334) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 2412 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cause di esclusione: il
giudice non può sostituire la lex specialis
di gara.
Nella ipotesi in cui una causa di esclusione
non sia espressamente contemplata nella
lex specialis di gara, è precluso
all’interprete, sia in sede amministrativa
che giurisdizionale, di desumerla in via
interpretativa.
È peraltro principio consolidato che
l’inosservanza delle prescrizioni del bando
di gara circa le modalità di presentazione
delle offerte, implica l’esclusione dalla
gara solo quando si tratti di prescrizioni
rispondenti ad un particolare interesse
della pubblica amministrazione appaltante, o
poste a garanzia della par condicio dei
concorrenti.
Tuttavia, in assenza di una espressa
previsione e comminatoria di esclusione, non
è consentito al giudice amministrativo di
sovrapporre le proprie valutazioni a quelle
dell’amministrazione che ha predisposto la
lex specialis, dato che il cd.
criterio teleologico ha un valore
esclusivamente suppletivo rispetto a quello
letterale.
Non appare poi superfluo rilevare che, alla
stregua delle norme del bando, nulla poteva
essere giustificato in via preventiva,
tenuto conto che le valutazioni relative
all’ attendibilità delle offerte erano state
effettuate –nel caso di specie– nel rispetto
del principio del contraddittorio
Analogamente l’’ulteriore profilo di censura
relativo al difetto di motivazione, in esito
alla valutazione di congruità dell’offerta,
deve essere respinta.
Sul punto è sufficiente rilevare che, nel
caso di specie, sussiste comunque la
possibilità di ripercorrere il percorso
valutativo, quindi di controllare la
logicità e la congruità del giudizio tecnico
operato dalla stazione appaltante.
Il mezzo di gravame pertanto non merita
accoglimento (commento tratto da
www.leggioggi.it - TAR Lazio-Latina,
sentenza 10.10.2011 n. 792 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
P.a., pagamenti alti con
verifica. Sopra i dieci mila euro controllo
preventivo con Equitalia. Una circolare
della Ragioneria generale dello stato dà
ulteriori indicazioni sul dpr 602/1973.
La pubblica
amministrazione fa un passo indietro. Prima
di effettuare il pagamento a imprese e
privati di somme superiori a 10 mila euro,
la pubblica amministrazione deve effettuare
un controllo preventivo con Equitalia. In
base all'art. 48-bis del dpr 602/1973, dovrà
sempre essere verificato se il creditore ha
in sospeso con l'Erario il pagamento di
cartelle esattoriali.
E questa verifica deve essere effettuata
anche se il credito deriva da una sentenza o
da un provvedimento esecutivo. In caso di
pendenze nei confronti dell'erario la p.a.
non procederà al pagamento. Le disposizioni
restrittive non si applicano nel caso di
erogazioni di finanziamenti e contributi
pubblici.
È quanto emerge dalla
circolare 23.09.2011 n. 27 +
allegato A della della
Ragioneria generale dello stato, con la
quale vengono rese note ulteriori
indicazioni sulla procedura disciplinata
dall'art. 48-bis del dpr n. 602/1973.
Sull'argomento i primi chiarimenti sono
stati forniti con le circolari n. 22/rgs del
29.07.2008 e n. 29/rgs dell'08.10.2009, che
mantengono, come sottolineato dalla recente
circolare, piena validità.
Obblighi di pagamento
derivanti da sentenza.
Il pagamento da cui il legislatore fa
derivare gli obblighi di verifica previsti
dall'articolo 48-bis è relativo, come
precisato nella precedente circolare n.
22/rgs/2008, all'adempimento di un obbligo
contrattuale. Tuttavia, è possibile che
l'obbligazione del pagamento non nasca da un
contratto, bensì da un altro atto o fatto
idoneo a produrla, in conformità dei
principi dell'ordinamento giuridico.
A titolo esemplificativo e non esaustivo,
possono scaturire obblighi di pagamento pur
in assenza di un contratto nei seguenti
casi:
-gestione di affari altrui (c.d.
negotiorum gestio ai sensi dell'articolo
2028 c.c.);
-pagamento dell'indebito (articolo 2033
c.c.);
-arricchimento senza causa (articolo 2041
c.c.);
-risarcimento per fatto illecito (articolo
2043 c.c.);
-rovina di edificio (articolo 2053 c.c.);
-responsabilità precontrattuale (articolo
1337 c.c.).
L'obbligo di pagamento posto a carico
dell'amministrazione può derivare anche da
una sentenza passata in giudicato o da un
provvedimento giurisdizionale esecutivo con
cui il giudice ha determinato concretamente
l'esistenza e la misura del diritto di
credito vantato dal beneficiario nei
confronti della p.a. soccombente.
In merito a tali aspetti, la Ragioneria, con
la recente circolare n. 27/rgs/2011,
chiarisce che anche se il credito deriva da
una sentenza o da un provvedimento
esecutivo, l'amministrazione debitrice dovrà
sempre procedere al controllo preventivo con
Equitalia e verificare se il creditore ha in
sospeso con l'Erario il pagamento di
cartelle esattoriali.
Esecuzione di somme
assegnate dal giudice.
Un altro caso esaminato nella circolare è
quello in cui l'Amministrazione, avendo
assunto la qualità di terzo pignorato a
seguito di un'ordinanza di assegnazione del
giudice dell'esecuzione, si trova a dover
effettuare il pagamento delle somme dovute
non al creditore originario, ma direttamente
al creditore assegnatario.
Al riguardo, la Ragioneria ritiene che la
procedura di verifica dovrà essere
effettuata nei confronti del creditore
assegnatario e non di quello originario.
Dal punto di vista soggettivo, infatti, il
creditore assegnatario (pignorante) subentra
all'originario beneficiario (pignorato)
quale parte nel rapporto di credito nei
confronti dell'Amministrazione debitrice,
tanto che l'eventuale pagamento effettuato
all'originario creditore, in costanza di
pignoramento, non avrebbe alcuna efficacia
liberatoria.
Finanziamenti e contributi
alle imprese.
Tali concessioni sono considerate
prioritarie rispetto alla verifica di
regolarità fiscale. Secondo la circolare n.
27/rgs/2011, nel campo degli incentivi, la
p.a. ha pochi margini di discrezionalità.
Ciò in quanto i requisiti dei soggetti
ammessi agli incentivi sono stabiliti
direttamente dal legislatore e inoltre gli
stessi incentivi sono finalizzati al
raggiungimento degli obiettivi ritenuti
prioritari per l'interesse della
collettività. Pertanto in tal caso
l'interesse pubblico è preminente rispetto
alla procedura di verifica.
Il controllo amministrativo
di regolarità amministrativa.
Alcune difficoltà sono state manifestate in
particolare da parte dei soggetti preposti
al controllo di regolarità
amministrativo-contabile, riguardo il
trattamento di eventuali irregolarità
riscontrate in ordine all'effettuazione
della verifica prescritta dall'art. 48-bis e
dal dm 40/2008. In particolare, sono stati
formulati dubbi circa l'opportunità di
procedere, ogni qual volta si presenti una
situazione di irregolarità, alla denuncia o
alla segnalazione del fatto potenzialmente
dannoso per l'erario, in quanto potrebbe
semplicemente trattarsi di un mero
inadempimento procedurale, senza conseguenze
sulla finanza pubblica.
In presenza di irregolarità, devono essere
primariamente promosse tutte quelle
iniziative di natura conoscitiva per
accertare o escludere i presupposti di un
danno all'erario.
In assenza di chiarimenti soddisfacenti da
parte dell'Amministrazione che ha disposto
il pagamento, diventa comunque necessario,
prima di avanzare una segnalazione alla
competente procura regionale della Corte dei
conti, effettuare una verifica del disposto
pagamento.
La richiesta ad Equitalia.
Nelle more dell'implementazione di un
sistema telematico che renda possibile
effettuare on-line l'accertamento, la
p.a. dovrà formulare apposita richiesta
scritta, utilizzando uno specifico modello
previsto dalla circolare n. 27/rgs/2011, da
inviare a Equitalia.
Sulla base della richiesta, l'ente di
riscossione accerterà se il beneficiario del
pagamento si trova a quel momento in
posizione di inadempienza rispetto
all'obbligo di versamento derivante dalla
notifica di una o più cartelle di pagamento
per un ammontare complessivo pari o
superiore all'importo di 10 mila euro e, nel
solo caso affermativo, se tale posizione di
inadempienza era già esistente, sulla base
dell'obbligo derivante dalle medesime
cartelle, all'epoca in cui è stato
effettuato il pagamento.
L'esito del suddetto accertamento sarà
comunicato da Equitalia direttamente
all'Amministrazione interessata,
indicativamente nel termine di 30 giorni,
attraverso il mezzo indicato da quest'ultima
al momento della richiesta.
Laddove l'esito dell'accertamento palesi un
perdurante stato di inadempimento a carico
del beneficiario, i soggetti tenuti
all'obbligo di denuncia devono provvedere a
trasmettere apposita segnalazione alla
competente procura regionale della
magistratura contabile, in aderenza alle
direttive contenute nella nota del
procuratore generale presso la Corte dei
conti n. p.g. 9434/2007P, del 02.08.2007 (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.10.2011 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di A.T.I.
costituende concorrenti in una gara
d'appalto, la polizza per la cauzione
provvisoria deve essere intestata a tutte le
imprese associate.
In materia di gare d'appalto, i principi
regolanti la polizza fideiussoria, impongono
di considerare soggetti obbligati a prestare
la cauzione provvisoria tutti coloro che
intendano eseguire l'opera e/o la
progettazione, senza esclusione alcuna, in
quanto individualmente responsabili delle
dichiarazioni rese ai fini della la
partecipazione alla gara. Diversamente
opinando, qualora l'inadempimento non
dipenda dalla capogruppo designata, bensì
dalle mandanti, verrebbe a configurarsi una
carenza di garanzia per la stazione
appaltante. Tanto trova ragione nella "causa"
e nella "funzione" della cauzione
provvisoria.
Pertanto, nel caso di ATI costituende, la
garanzia deve essere intestata a tutte le
associate, che sono individualmente
responsabili delle dichiarazioni rese per la
partecipazione alla gara, venendosi,
diversamente, a configurare una carenza di
garanzia per la stazione appaltante qualora
l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo
designata, ma dalle mandanti (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2011 n. 5499 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Per
l'affidamento del servizio di tesoreria
comunale, essendo lo stesso un servizio
gratuito, non è dovuto il pagamento del
contributo all’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici.
Il servizio di tesoreria è in via generale
un servizio gratuito, connotato da una
globale vantaggiosità patrimoniale del
servizio per l’aggiudicatario, che tuttavia
non entra nella causa del contratto,
restando confinata nei motivi individuali
del negozio.
Nel caso di specie, poi, né il bando di
gara, né la lettera di invito, in linea con
la natura del servizio, prevedevano un
qualsivoglia tipo di corrispettivo.
Il capitolato speciale d’appalto, all’art.
6, definiva, infatti, il servizio gratuito
salvo:
● i rimborsi delle spese sostenute per
stampati quando non siano stati forniti
dall’ente, delle spese postali, dei bolli e
di qualsiasi altra spesa erogata durante la
gestione per l’espletamento del servizio
nell’anno, escluse le eventuali spese per le
riscossioni di mandati a favore dell’ente
presso la Sezione di Tesoreria provinciale
del Tesoro (art. 6, punto 2, lett. a e b);
● il pagamento di diritti, interessi e
commissioni per tutte quelle prestazioni non
previste dalla convenzione (art. 6, punto 2,
lett. c).
Le suindicate previsioni, cioè il
riferimento al pagamento di diritti,
interessi e commissioni per tutte quelle
prestazioni non previste dalla convenzione
hanno convinto il TAR che il contratto fosse
connotato da elementi che lo configuravano,
come contratto a titolo oneroso.
Il TAR, invero, non ha considerato, che il
rimborso e il pagamento di diritti,
interessi e commissioni per tutte le
prestazioni non previste dalla convenzione
non costituiscono corrispettivo del servizio
di tesoreria, non sussistendo alcun rapporto
sinallagmatico tra detti oneri e il servizio
di tesoreria.
Queste spese attengono a rapporti estranei
alla convenzione e quindi non partecipano
del contenuto pattizio della convenzione
stessa.
Ciò stante, essendo il servizio di tesoreria
un servizio gratuito, non era dovuto il
pagamento del contributo all’Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici.
L’amministrazione proprio in considerazione
della gratuità del servizio non ha indicato
alcun codice identificativo di gara (CIG)
che è condizione necessaria per il
versamento (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2011 n. 5497 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Gestione
dei tributi: cadono i vincoli sul capitale
sociale. Interessati i soggetti iscritti
all'albo.
Le società partecipanti
alle gare per la gestione dei tributi locali
possono avvalersi del capitale sociale di
altri soggetti iscritti all'albo.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez.
V, con la
sentenza 08.10.2011 n. 5496,
ribaltando la decisione di primo grado.
Sul punto, il Tar Latina aveva escluso la
possibilità di utilizzare l'avvalimento del
capitale sociale minimo, trattandosi di
requisito soggettivo e personalissimo
preordinato a garantire l'affidabilità
dell'impresa partecipante (sentenza
1865/2010).
L'impostazione del Tar non è stata tuttavia
condivisa dal Consiglio di Stato, il quale
ha precisato che l'avvalimento, istituto di
derivazione comunitaria disciplinato
dall'articolo 49 del Dlgs 163/2006, ha
portata generale ed è finalizzato a
soddisfare i requisiti di carattere
economico, finanziario, tecnico,
organizzativo, usufruendo dei requisiti di
un altro soggetto. Pertanto l'avvalimento
del capitale sociale non incontra alcun
limite e prevale su qualunque disposizione
contraria, compresa quella che richiedeva il
requisito del capitale sociale di 10 milioni
di euro per l'iscrizione all'albo dei
soggetti abilitati a effettuare
l'accertamento e la riscossione delle
entrate locali.
Si tratta dell'albo ministeriale introdotto
dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997, che
integra un vero e proprio obbligo per gli
enti locali di riservare la partecipazione
alle gare solo alle imprese in possesso di
questo requisito, che costituisce garanzia
di affidabilità e capacità operativa
assicurata da una preselezione operata a
monte. Il regolamento istitutivo dell'albo
–approvato con Dm Finanze 289/2000– prevede
il possesso di diversi requisiti (tecnici,
finanziari, morali, eccetera) tra cui il
capitale sociale minimo, sul quale è più
volte intervenuto il legislatore. In
particolare il Dl 185/2008 ha quadruplicato
l'importo precedente elevandolo a 10 milioni
di euro, ma la disposizione è stata
censurata e sottoposta al vaglio della Corte
Ue per presunta violazione dei principi di
ragionevolezza e proporzionalità (Tar Milano
210/2010).
Per risolvere il contrasto con l'ordinamento
comunitario, il Dl 40/2010 ha introdotto tre
classi operative, con diverse soglie di
capitale sociale minimo (uno, cinque e dieci
milioni), proporzionate alla popolazione
degli enti, in modo da consentire anche a
operatori di minori dimensioni di poter
svolgere l'attività per i piccoli comuni.
Operatori che, alla luce della decisione
5496/2011 del Consiglio di Stato, potranno
ora partecipare alle gare bandite dai Comuni
più grandi, chiedendo in prestito ad
un'altra società il requisito del capitale
sociale minimo richiesto dal bando.
Restano comunque da sciogliere alcuni nodi.
Andrebbe in primo luogo chiarito se
l'iscrizione all'albo sia necessaria anche
per svolgere attività complementari ed
accessorie (inserimento dati, rilevazione
superfici, bollettazione, eccetera) –come ha
più volte affermato il ministero delle
Finanze e in un primo momento anche il
Consiglio di Stato (2792/2003)– oppure se si
deve seguire l'orientamento più recente del
Consiglio di Stato che ritiene obbligatoria
l'abilitazione «soltanto per
l'affidamento dei servizi di liquidazione,
accertamento e riscossione dei tributi»
non in caso di attività di supporto
(1878/2006).
Inoltre il legislatore si è sempre limitato
a intervenire sulla misura minima del
capitale sociale, requisito che in realtà
non garantisce l'ente locale dagli eventuali
inadempimenti delle società. È necessaria
pertanto una rivisitazione complessiva delle
regole per l'iscrizione all'albo, revisione
peraltro prevista chiaramente dall'articolo
3 del Dl 40/2010, ma rimasta sinora lettera
morta
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - link a
www.corteconti). |
APPALTI:
Sull'ammissibilità del
ricorso all'istituto dell'avvalimento, nel
caso in cui il bando richieda, quale
requisito di partecipazione, un capitale
sociale minimo di importo superiore a quello
posseduto dalla società che intende
partecipare alla gara.
L'istituto
dell'avvalimento (art. 49 del d.lgs. n.
163/2006) ha portata generale, ed è
finalizzato a consentire alle imprese
singole, consorziate o riunite, che
intendano partecipare ad una gara di poter
soddisfare i requisiti di carattere
economico, finanziario, tecnico,
organizzativo, ovvero di attestazione della
certificazione SOA, avvalendosi dei
requisiti o dell'attestazione SOA di altro
soggetto (a prescindere da un'espressa
disposizione del bando in tal senso), ed è
applicabile, ai sensi del successivo art.
50, ai sistemi legali vigenti di
attestazione o di qualificazione nei servizi
e forniture.
La facoltà di avvalersi di tale istituto è
stata riconosciuta ammissibile anche per
integrare requisiti economico - finanziari,
tecnici ovvero organizzativi per
l'iscrizione agli albi professionali.
Pertanto, deve ritenersi ammissibile il
ricorso all'istituto dell'avvalimento, ove
il bando di gara richieda, quale requisito
di partecipazione, un capitale sociale
minimo di importo superiore a quello
posseduto dalla società che intenda
partecipare alla gara.
Trattasi, infatti, di requisito
economico-finanziario che, ai sensi
dell'art. 49, non incontra alcun limite, in
quanto l'interesse sotteso alla norma,
ovvero quello relativo alla solvibilità del
soggetto affidatario del servizio di
riscossione, viene assicurato attraverso
l'impegno dell'impresa ausiliaria di mettere
a disposizione le risorse necessarie di cui
il concorrente è privo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.10.2011 n. 5496 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Può ricorrere
all’avvalimento anche la società che non
abbia il capitale sociale minimo richiesto
dal bando di gara.
Nella controversia in commento era in
discussione la tesi secondo cui l’istituto
dell’avvalimento trova un limite laddove ai
fini della partecipazione a una gara sia
necessario il possesso di un requisito
soggettivo personalissimo come quello del
capitale sociale minimo, dato che esso è
predisposto per garantire l’affidabilità
dell’impresa partecipante.
Tale impostazione non è stata considerata
condivisibile dai giudici del Consiglio di
Stato che innanzi tutto, evidenziano che
l’istituto dell’avvalimento –istituto di
derivazione comunitaria- disciplinato
dall’ordinamento italiano dall’art. 49 del
d.lgv. n. 163 del 2006, ha portata generale.
Esso è finalizzato a consentire alle imprese
singole, consorziate o riunite, che
intendono partecipare ad una gara di poter
soddisfare i requisiti di carattere
economico, finanziario, tecnico,
organizzativo, ovvero di attestazione della
certificazione SOA, avvalendosi dei
requisiti di un altro soggetto o
dell’attestazione SOA di altro soggetto ed è
applicabile, ai sensi del successivo
articolo 50, ai sistemi legali vigenti di
attestazione o di qualificazione nei servizi
e forniture.
Ciò posto, deve ritenersi che ben sia
possibile far ricorso all’istituto
dell’avvalimento, ove il bando di gara
richieda quale requisito di partecipazione
un capitale sociale minimo di importo
superiore a quello posseduto dalla società
che intende partecipare alla gara. Trattasi,
infatti, di requisito economico–finanziario
che ai sensi dell’art. 49 non incontra alcun
limite e prevale su qualunque disposizione
contraria, compresa la disposizione, al
tempo vigente, che richiedeva il requisito
del capitale sociale di 10 milioni di euro
per l’iscrizione all’albo dei soggetti
privati abilitati alle attività di
liquidazione, accertamento e riscossione dei
tributi (art. 32, comma 7, del d.l. n. 185
del 2008, convertito nella l. n. 2 del
2009).
Infatti, l’interesse sotteso alla norma,
cioè quello della solvibilità del soggetto
affidatario del servizio di riscossione
viene assicurato attraverso l’impegno
dell’impresa ausiliaria di mettere a
disposizione per tutta la durata
dell’appalto le risorse necessarie di cui è
carente il concorrente (cfr. per caso
identico, Cons. Stato, V, n. 1624 del 2009).
D’altra parte l’impresa ausiliaria non è
semplicemente un soggetto terzo rispetto
alla gara, dovendosi essa impegnare, non
soltanto verso l’impresa concorrente
ausiliata, ma anche verso l’amministrazione
procedente a mettere a disposizione del
concorrente le risorse di cui questo sia
carente; in tale ipotesi, quindi, l’impresa
ausiliaria diventa titolare passivo di una
obbligazione accessoria dipendente rispetto
a quella principale del concorrente e tale
obbligazione si perfeziona con
l’aggiudicazione a favore del concorrente
ausiliato, di cui segue le sorti (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 13.05.2010, n. 2956)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2011 n. 5496 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto di
partecipazione ad una gara per la
distribuzione del gas naturale, in capo alle
società che gestiscano servizi pubblici
locali in virtù di affidamento diretto,
ovvero di una procedura non avente carattere
di evidenza pubblica.
L'art. 14, c. 5, del d.lgs. n. 164/2000,
recante "Attuazione della direttiva n.
98/30/CE recanti norme comuni per il mercato
interno del gas naturale, a norma dell'art.
41 della l. 17.05.1999, n. 144", commina
l'esclusione, dalle gare aventi ad oggetto
l'attività di distribuzione del gas
naturale, in capo alle società, loro
controllate, controllanti e controllate da
una medesima controllante, le quali
gestiscano di fatto, ovvero per disposizione
di legge, atto amministrativo o contratto,
servizi pubblici locali, in virtù di
affidamento diretto o di una procedura non
avente carattere di evidenza pubblica.
La peculiarità della procedura del
project financing, sussistente nel caso
di specie, nonché la libertà di forme che
caratterizza la prima fase, non esclude
l'applicazione, ad essa, del divieto
previsto per la fase della vera e propria
gara, ove si consideri la finalità di tutela
della concorrenza che tale norma è preposta
a garantire. Ed infatti, la definizione del
quadro progettuale dell'intervento
rappresenta un elemento di assoluta
rilevanza, nell'ambito delle scelte
economiche dei soggetti aspiranti ad
ottenere la concessione, anche prescindendo
dalla titolarità del diritto di prelazione
in capo al promotor.
Ne consegue la necessità che, sin dalla fase
di selezione del promotor, non
debbano sussistere cause di incompatibilità
o preclusive della partecipazione. Al fine
di assicurare condizioni reali di
concorrenzialità nel settore, deve
escludersi la partecipazione alla procedura
in questione di soggetti titolari di
precedenti "affidamenti diretti",
idonea di per sé ad alterare la procedura di
gara pubblica. Il divieto ha portata
generale e va riferito a tutti i soggetti
titolari di un affidamento diretto, e lo
stesso non subisce temperamenti nemmeno
qualora gli affidamenti diretti siano
operati a favore di società che abbiano
svolto una gara per la scelta del socio.
Peraltro, esso (divieto) è correlato al
fatto obiettivo della titolarità di
affidamento diretto, indipendentemente da
ogni considerazione sulla legittimità di
esso, quindi anche nei casi di affidamenti
legittimamente mantenuti in regime
transitorio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.10.2011 n. 5495 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
DOSSIER - La nuova disciplina dei servizi
pubblici locali alla luce del decreto-legge
n. 138 del 13.08.2011 convertito, con
modifiche, dalla legge n. 148 del 14.09.2011
(ANCI, XXVIII Assemblea Anci - Brindisi,
05-08.10.2011). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad un RTI
che abbia omesso di allegare alla propria
offerta alcune giustificazioni preliminari,
qualora ciò non risulti prescritto dal bando
a pena di esclusione.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un RTI
concorrente, che abbia omesso di allegare,
alla propria offerta, alcune giustificazioni
preliminari, qualora ciò non sia
espressamente previsto dal bando a pena di
esclusione. Secondo un consolidato principio
giurisprudenziale, infatti, nell'ambito
delle procedure ad evidenza pubblica, alle
clausole di esclusione deve essere
attribuito valore stringente, dando
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute; è invece preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei
partecipanti, la "par condicio" dei
concorrenti e l'esigenza della più ampia
partecipazione.
Pertanto, dette clausole vanno interpretate
nel rispetto dei principi di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, in
ragione della valenza delle stesse che, di
per sé, costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 Cost., oltre
che dal Trattato comunitario. Nel caso di
specie, l'offerta risulta corredata dalle
giustificazioni preliminari anche con
riferimento alla progettazione esecutiva, il
che non ha precluso alla stazione
appaltante, la quale si è avvalsa della
facoltà di valutare la congruità di ogni
altra offerta che, in base ad elementi
specifici, appaia anormalmente bassa, di
chiedere chiarimenti in merito a taluni
aspetti della stessa offerta, onde
verificarne la congruità.
In mancanza, dunque, di una chiara ed
univoca clausola che imporrebbe alla
stazione appaltante di adottare
provvedimenti espulsivi per l'omessa
produzione degli elementi giustificativi
specificamente indicati, non può disporsi
l'esclusione del concorrente, ove in
concreto si appalesi la necessità di
integrare le giustificazioni preventive
prodotte in modo non esaustivo a supporto
dell'offerta.
Peraltro, in materia di appalti pubblici, le
giustificazioni preliminari, quand'anche
richieste i sensi dell'art. 86, c. 5, del
d.lgs. n. 163/2006, non assurgono a
requisito di partecipazione alla gara a pena
di esclusione, venendo in rilievo la mancata
documentazione delle singole voci che
concorrono a formare il prezzo offerto solo
in via eventuale nella fase successiva a
quella di verifica dell'anomalia, e se ed in
quanto l'offerta ne risulti sospetta (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 07.10.2011 n. 7808 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In materia di gare
d'appalto, l'obbligo di rendere la
dichiarazione relativa a condanne penali
previsto dall'art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, non sussiste per le fattispecie
c.d. "depenalizzate".
L'obbligo relativo alla dichiarazione di
condanne penali, previsto dall'art. 38 del
d.lgs. n. 163/2006, non sussiste per le
fattispecie c.d. "depenalizzate",
ossia per reati non più previsti come tali
dall'ordinamento, e che dunque non possono
in alcun modo incidere sui requisiti
generali del partecipante alla gara. L'art.
38, c. 1, lett. c), laddove dispone
l'esclusione dalle gare nei riguardi di
coloro nei cui confronti sia stata
pronunciata sentenza di condanna passata in
giudicato…., presuppone, agli effetti del
giudizio negativo in ordine alla moralità
professionale dei concorrenti, di competenza
della stazione appaltante, l'attuale
permanenza della riconduzione a reato della
fattispecie che deve essere valutata.
Il venir meno dell'ascrizione a reato della
condotta a suo tempo sanzionata, non vincola
a dichiarare le condanne riportate all'epoca
della vigenza della norma penale applicata
dal giudice, posto che le stesse non possono
più formare oggetto della predetta
valutazione in ordine alla moralità
professionale dell'imprenditore. Può,
pertanto, affermarsi come nessun obbligo di
dichiarazione di una condanna per cui sia
intervenuta la depenalizzazione poteva
derivare, nel caso di specie, dalla legge di
gara.
Tale indirizzo interpretativo ha trovato
recente conferma anche sul piano
legislativo, atteso che il D.L. n. 70/2011,
nel modificare l'art. 38, c. 1, lett. c),
del d.lgs. n. 163/2006, ha previsto che "l'esclusione
ed il divieto in ogni caso non operano
quando il reato è stato depenalizzato"
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 07.10.2011 n. 7788 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto: esclusione e
criterio formalistico.
In ordine al delicato
problema dell’interpretazione delle clausole
del bando di gara la giurisprudenza
stabilisce ancora una volta l’illegittimità
dell’esclusione quando questa sia dovuta ad
un formalismo esasperato.
La
sentenza 07.10.2011 n. 7785 del
TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, riferendosi al
nuovo articolo 46 comma 1-bis del D.Lgs. n.
163/2006 richiama infatti il principio della
tassatività delle clausole di esclusione e
la ratio sottesa alla norma
introdotta dal D.L. 70/2011 (c.d. decreto
sviluppo).
Nel caso trattato dai giudici romani,
attinente ad una gara per l’affidamento del
servizio di manutenzione di alcuni impianti
elevatori suddiviso per lotti, il bando di
gara prevedeva la dimostrazione del
requisito tecnico–professionale in modo
generico ovvero, attraverso la dimostrazione
di aver già compiuto tale servizio in “due
città”.
La stazione appaltante aveva proceduto
all’esclusione della ricorrente in quanto
per uno dei lotti aveva dimostrato
esclusivamente di aver svolto il servizio,
seppur in termine quantitativi notevolmente
superiori rispetto a quanto richiesto dalla
lex specialis, per la sola città di
Roma.
Il seggio di gara, nel provvedere
l’esclusione aveva tuttavia omesso di
considerare che “… per “città” si intende
comunemente un centro abitato piuttosto
esteso, con sviluppo edilizio organizzato,
che sul piano amministrativo, economico,
politico e culturale rappresenta il punto di
riferimento del territorio circostante; il
termine “comune” ha, invece, una
connotazione prettamente tecnica, e
rappresenta la più piccola suddivisione
territoriale amministrativa dello Stato.
Tanto precisato, non vi è dubbio che non
sussista una piena e sicura sovrapposizione
tra i due termini, come invece il seggio di
gara ha ritenuto di fare, con una operazione
che ha condotto all’aberrante conseguenza di
espellere dalla gara una concorrente in
possesso del requisito di capacità tecnica
in misura di gran lunga superiore rispetto
ai limiti minimi indicati nel bando, come,
peraltro, successivamente ammesso dalla
stessa stazione appaltante.
Ed invero, un comune, in senso tecnico, può
non essere una città nella accezione di cui
sopra, e, viceversa una città, ancorché
giuridicamente non possa essere qualificata
quale ente locale territoriale, può avere
una estensione ben più consistente del primo.”
I giudici amministrativi si premurano dunque
di censurare quelle clausole che contrastano
con uno dei principi fondamentali delle
procedure ad evidenza pubblica, il favor
partecipationis.
Il potere discrezionale dell’amministrazione
aggiudicatrice di stabilire determinati
requisiti per la partecipazione alle gare
pubbliche trova infatti un limite nella
funzione delle singole clausole del bando.
Tale funzione consiste “...nel delineare,
attraverso l'individuazione di specifici
elementi indicati della capacità economica,
finanziaria e tecnica, il profilo delle
imprese che si presumono idonee a realizzare
il programma contrattuale perseguito
dall'Amministrazione ed a proseguire nel
tempo l'attività espletata in modo adeguato.”
La stazione appaltante ha quindi il dovere
di valutare i reali requisiti tecnici
forniti in gara dal concorrente e
connetterli con il principio della più ampia
partecipazione degli operatori economici
alla procedura.
Si deve comunque considerare che a seguito
delle continue evoluzioni legislative il
compito delle amministrazioni aggiudicatrici
si dimostra spesso assai arduo ed al fine di
non incorrere in evidenti errori
procedimentali è necessaria una
interpretazione normativa attenta e
diligente (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Obbligo di comunicare l'avvenuta
esclusione.
Nelle gare pubbliche di appalto, l'obbligo
previsto dall'art. 79, comma 5, D.Lgs. n.
163 del 2006 di comunicare l'avvenuta
esclusione, entro un termine non superiore a
cinque giorni, non contiene alcuna espressa
sanzione, e pertanto non può dedursi, da una
omissione che non ha arrecato alcun
nocumento alla parte interessata,
l'esistenza di un vizio tale da rendere
annullabile il provvedimento (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 06.10.2011 n. 5491 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizio di igiene urbana: no
all'affidamento diretto.
Il servizio di igiene
urbana non può affidarsi mediante diretta
convenzione ai sensi e per gli effetti di
cui all’articolo 5 della legge n. 381/1991.
Così il TAR Puglia–Bari, Sez. I, nella
sentenza 06.10.2011 n. 1466.
Le cooperative sociali ex art. 5, L.
381/1991 hanno la facoltà di stipulare
convenzioni con le amministrazioni in deroga
alla disciplina sui contratti pubblici, per
quanto concerne la fornitura di beni e
servizi differenti da quelli socio sanitari
ed educativi.
Tutto ciò purché le citate convenzioni
abbiano quale scopo quello di creare
opportunità di lavoro per le categorie c.d.
di persone svantaggiate (art. 4, l.
381/1991).
Il servizio di igiene urbana, però, quale
servizio pubblico locale diretto al
soddisfacimento dell’intera collettività,
non può essere affidato tramite la citata
modalità in quanto la citata norma (articolo
5, l. 381/1991) attribuisce agli enti
pubblici la facoltà di derogare alla
disciplina in materia, correttamente
interpretata trova applicazione solamente
nella ipotesi in cui l’amministrazione debba
acquistare beni e servizi in proprio favore,
secondo lo schema dell’appalto pubblico di
servizi e forniture, e non anche affidare a
terzi lo svolgimento di servizi pubblici,
mediante lo strumento della concessione
(link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
Il servizio di igiene
urbana, qualificabile come servizio pubblico
locale diretto a soddisfare i bisogni
dell'intera collettività, non può essere
affidato mediante convenzione diretta ai
sensi dell'art. 5 della l. n. 381/1991.
Le cooperative sociali ai sensi dell'art. 5
della l. n. 381 del 1991, possono stipulare
convenzioni con le Amministrazioni in deroga
alla disciplina sui contratti pubblici, per
la fornitura di beni e servizi diversi da
quelli socio-sanitari ed educativi, purché
tali convenzioni siano finalizzate a creare
opportunità di lavoro per le categorie di
persone svantaggiate di cui all'art. 4 della
stessa legge.
Tuttavia, il servizio di igiene urbana,
qualificabile come servizio pubblico locale
diretto a soddisfare i bisogni dell'intera
collettività, non può essere affidato
mediante convenzione diretta ai sensi
dell'art. 5 della l. n. 381 del 1991, poiché
tale norma attribuisce agli enti pubblici la
facoltà di derogare alla disciplina in
materia di contratti per la "fornitura di
beni e servizi diversi da quelli
socio-sanitari ed educativi" e,
correttamente interpretata, può trovare
applicazione nel solo caso in cui
l'Amministrazione debba acquistare beni e
servizi in proprio favore, secondo lo schema
dell'appalto pubblico di servizi i
forniture, e non anche affidare a terzi lo
svolgimento di servizi pubblici, mediante lo
strumento della concessione (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 06.10.2011 n. 1466 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
A. P. Oliveri,
L’audizione dell’AVCP, i bandi tipo ed il
costo del lavoro. Quali giustificazioni
negli appalti pubblici sul costo del
personale dopo il decreto Sviluppo?
(link a www.leggioggi.it). |
LAVORI PUBBLICI:
C. Rapicavoli,
L’ammissibilità del ricorso al leasing
immobiliare per la realizzazione di opere
pubbliche da parte degli enti locali - Corte
dei Conti - Sezioni riunite di controllo n.
49/2011 del 16.09.2011 (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
A. Vetro,
Il danno erariale conseguente alla
violazione delle norme comunitarie ed
interne di evidenza pubblica. I contrasti
giurisprudenziali della Corte dei conti sul
c.d. “danno alla concorrenza”
(link a www.amcorteconti.it). |
APPALTI: Chiarimenti
dal Ministero sulla Stazione Unica
Appaltante.
Il Ministero dell'Interno ha inviato la
lettera-circolare 05.10.2011 n.
11001/119/7/22 di prot. alle
Prefetture delle province italiane,
invitando ad attivarsi per l'adozione delle
Stazioni Uniche Appaltanti, introdotta col
D.P.C.M. 30.06.2011, in attuazione
dell'articolo 13 della legge 13.08.2010, n.
136 - Piano straordinario contro le mafie
(v. art. “E' arrivata la Stazione Unica
Appaltante”).
Ricordiamo che la SUA (Stazione Unica
Appaltante) ha il compito di seguire tutto
l’iter procedurale di affidamento di lavori,
forniture e servizi, collaborando con l’ente
proponente ad individuare i contenuti del
contratto e curando gli eventuali
contenziosi insorti, con la finalità di
prevenire le infiltrazioni mafiose.
La Circolare chiarisce i compiti della
Stazione Unica ed evidenzia i vantaggi per
le amministrazioni che la adottano. La SUA
ha la funzione di curare la procedura della
gara di affidamento nel suo complesso; è una
struttura professionale altamente
qualificata che assicura maggiore efficacia
all'azione amministrativa.
L'Amministrazione ha la facoltà di aderire
alla Stazione, spiega la Circolare, e ciò
contribuisce a rafforzare l'economia legale
e a innalzare il livello di prevenzione
delle infiltrazioni criminali, ricevendo
supporto dal momento dell'individuazione dei
contenuti dello schema di contratto fino a
quello dell'individuazione del contraente
della stipula (13.10.2011 - link a
www.acca.it). |
APPALTI: Stop
antimafia senza sconti. Decide il prefetto.
E il Tar non entra nel merito. Per Palazzo
Spada l'inderdittiva è una misura cautelare
di polizia.
Stop all'appalto
pubblico per l'azienda se uno dei soci
frequenta un capozona della criminalità
organizzata. E ciò anche quando il «colletto
bianco» è incensurato e non risulta affatto
indagato. L'interdittiva anti-mafia,
infatti, è una misura cautelare di polizia e
il giudice amministrativo cui si rivolge
l'azienda che si è vista revocare
l'affidamento non può entrare nel merito,
come farebbe invece il collega del settore
penale: il sindacato risulta invece limitato
a verificare il significato che il prefetto
attribuisce agli elementi di fatto
individuati dalle forze dell'ordine e l'iter
seguito per pervenire allo revoca
dell'appalto.
È quanto emerge dalla
sentenza 05.10.2011 n. 5478,
emessa dalla III Sez. del Consiglio di
Stato.
Operazione trasparenza.
Lo stop imposto dal rappresentante del
governo all'appalto «in odore» di
mafia costituisce una misura preventiva che
è diversa e ha una funzione distinta dalle
misure di prevenzione antimafia di natura
giurisdizionale.
L'interdittiva antimafia serve ad anticipare
la soglia di autotutela amministrativa per
evitare possibili ingerenze criminali nella
attività dell'impresa: ciò che preme
all'amministrazione, innanzitutto, è
accertare l'affidabilità della impresa
affidataria dei lavori.
Non contano, in questo caso, i rilievi
probatori tipici del diritto penale.
Insomma: l'alt del prefetto costituisce
l'esercizio di un'ampia discrezionalità e
tanto basta alla revoca dell'appalto.
L'ufficio territoriale del governo effettua
la sua valutazione sulla scorta di un mero
quadro indiziario: assumono dunque rilievo
gli elementi raccolti dalle forze
dell'ordine ed essi sono sufficienti quando
non è «manifestamente infondato» che
i comportamenti e le scelte
dell'imprenditore possono rappresentare un
veicolo di infiltrazione delle
organizzazioni criminali negli appalti delle
pubbliche amministrazioni. Dopodiché per
l'imprenditore risultato vicino ai clan non
c'è niente da fare: l'interdittiva antimafia
non può essere annullata se il provvedimento
non mostra elementi che possono evidenziare
un deficit di motivazione, di illogicità e
di travisamento, dal momento che il giudice
di merito non ha sindacato di merito in
materia.
Rapporti opachi.
Il ricorso dell'azienda calabrese, nel caso
risolto dal Consiglio di stato, è in parte
rigettato e in parte inammissibile. Sono
davvero inquietanti i rapporti di uno dei
soci della compagine con alcuni boss della
'ndrangheta: le forze dell'ordine
individuano rapporti professionali e anche
frequentazioni private e familiari, dunque
un quadro di relazioni che va oltre lo
stretto necessario in un contesto delicato
come il comparto dei lavori pubblici nelle
aree del Mezzogiorno inquinate dalla
criminalità organizzata.
E la giurisprudenza amministrativa è ferma
nel ritenere i contatti rilevati dalle forze
dell'ordine tra il vincitore dell'appalto e
pregiudicati sospettati di essere «capibastone»
delle consorterie mafiose risultano un
adeguato presupposto per far scattare
l'interdittiva antimafia, a patto che gli
incontri non siano brevi, occasionali o
addirittura casuali (articolo ItaliaOggi
del 12.10.2011). |
APPALTI: Pubblicità
richiesta anche in caso di iter informali.
Anche le gare informali
appaltate mediante procedure in economia
(cottimo fiduciario) –dunque senza
pubblicazione di un bando– sono soggette, ai
fini della legittimità del procedimento,
all'applicazione del principio di pubblicità
dell'apertura dei plichi e delle offerte
economiche; non rilevando motivazioni di
tipo organizzativo dell'ente, quali
l'urgenza di provvedere all'assegnazione
dell'appalto o l'esiguità del personale in
forza alla stazione appaltante. In tal caso,
il procedimento così viziato deve essere
interamente annullato, non potendosi
ammettere alcuna rinnovazione, neanche
parziale, dell'iter di affidamento, tenuto
conto che ogni ripetizione dell'esame
tecnico sarebbe condizionata dalla
conoscenza ormai acquisita delle offerte.
L'orientamento.
Così ha ritenuto la V Sez. del Consiglio
di Stato nella
sentenza 05.10.2011 n. 5454, in
relazione a una gara per servizi informatici
la cui lettera d'invito agli operatori
economici selezionati prevedeva che tutte le
fasi, anche quelle di apertura delle offerte
economiche, si sarebbero svolte in seduta
riservata.
Secondo l'orientamento del Collegio, non
sono ammesse deroghe al principio di
pubblicità delle sedute di gara, neanche nel
caso delle procedure negoziate precedute da
una gara informale, caratterizzate dalle
previsioni semplificate previste
dall'articolo 125 del Dlgs 163/2006, che
sono largamente utilizzate quando il valore
dell'appalto non richiede la pubblicazione
del bando di gara.
La norma in questione introduce l'iter
semplificato del procedimento per appalti di
valore (ora) compresi tra 40.000 e 200.000
euro, caratterizzati dalla consultazione di
almeno (se possibile) cinque operatori
economici nel rispetto dei principi di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, individuati in base a indagini
di mercato o tramite appositi elenchi
predisposti dalla stazione appaltante.
Il principio.
Il principio di pubblicità trova il suo
fondamento nel dettato costituzionale
(articolo 97) e nei principi comunitari. In
questa prospettiva è quindi irrilevante,
come ribadito dal Consiglio di Stato, che la
commissione di gara abbia dato atto nei
verbali della correttezza del procedimento
di verifica e apertura delle offerte, benché
sempre in seduta riservata.
D'altro canto lo stesso Codice degli appalti
richiama il rispetto della pubblicità degli
affidamenti tra i propri principi generali
(articolo 2), applicabili a tutte le
procedure di affidamento previste dal
legislatore (dunque anche alle gare
informali, in economia). Principi ribaditi
anche nel più recente regolamento attuativo
(Dpr 207/2010), che, al comma 2
dell'articolo 331, richiama l'obbligo, anche
per le procedure in economia, di uniformarsi
al rispetto del principio di massima
trasparenza, contemperando l'efficienza
dell'azione amministrativa con i principi di
parità di trattamento, non discriminazione e
concorrenza tra gli operatori economici.
Al comma 1 dello stesso articolo, il
disposto sulla non applicazione alle
procedure in economia degli obblighi di
pubblicità e di comunicazione non si
riferisce ai citati principi generali di
trasparenza bensì al regime ordinario di
pubblicazione del bando di gara previsto in
ambito sovranazionale (articolo 124 del Dlgs
163/2006)
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - link a
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
E' illegittimo l'operato
di una stazione appaltante che abbia svolto
l'intero procedimento di gara, affidato
mediante il sistema del cottimo fiduciario,
in seduta riservata.
La questione portata all’esame della Sezione
consiste nello stabilire se sia ammissibile
e legittimo che i procedimenti per
l’affidamento di lavori, servizi e forniture
attraverso il cottimo fiduciario si svolgano
interamente in seduta riservata.
L’art. 125 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
disciplinando la fornitura di “Lavori,
servizi e forniture in economia”, al
comma 11 prevede espressamente che
l’affidamento mediante cottimo fiduciario
avviene nel rispetto dei principi di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, previa consultazione di almeno
cinque operatori economici, se sussistono in
tale numero soggetti idonei, individuati
sulla base di indagini di mercato ovvero
tramite elenchi di operatori economici
predisposti dalla stazione appaltante,
aggiungendo altresì che “Per servizi o
forniture inferiori a ventimila euro, è
consentito l’affidamento diretto da parte
del responsabile del procedimento”.
L’espresso richiamo al rispetto dei principi
di trasparenza, rotazione e parità di
trattamento esclude innanzitutto che
l’affidamento mediante cottimo fiduciario di
lavori, servizi e forniture sia
riconducibile ad una semplice attività
negoziale, essendo per contro evidente la
preoccupazione del legislatore di
salvaguardare l’applicazione dei principi
costituzionali, cui deve essere improntata
in generale l’azione amministrativa (ed in
particolare il procedimento di scelta del
contraente dei contratti pubblici), posti a
tutela non già a tutela degli interessi
singolari dell’amministrazione appaltante o
degli operatori economici interessati,
quanto piuttosto dell’interesse pubblico
generale alla legalità, imparzialità e buon
andamento dell’azione amministrativa (come
valore essenziale ed imprescindibile
dell’intero ordinamento e della convivenza
sociale) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.10.2011 n. 5454 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Sul divieto di
commistione fra requisiti di partecipazione
e requisiti di valutazione delle offerte.
Il bando di gara è un atto scindibile nelle
sue diverse clausole, con la conseguenza che
l'illegittimità di una di esse non si
estende automaticamente alle altre non
dipendenti.
Costituisce principio generale regolatore
delle gare pubbliche quello che vieta la
commistione fra i criteri soggettivi di
prequalificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta ai
fini dell'aggiudicazione. Detto canone
operativo, che affonda le sue radici
nell'esigenza di aprire il mercato premiando
le offerte più competitive ove presentate da
imprese comunque affidabili, unitamente al
canone di par condicio che osta ad
asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente
soggettivo, trova in definitiva il suo
sostanziale supporto logico nel bisogno di
tenere separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione.
Il bando di gara è un atto scindibile nelle
sue diverse clausole, con la conseguenza che
l'illegittimità di una di esse non si
estende automaticamente alle altre non
dipendenti e addirittura all'intero
provvedimento, comportando il rinnovo
dell'intera procedura. Tuttavia, a
conclusioni diverse deve giungersi quante
volte la clausola illegittima rivesta una
tale importanza (sotto il profilo
quali-quantitativo) nell'economia generale
della gara, da doversi ritenere che essa
rappresenti uno dei contenuti essenziali
delle determinazioni manifestate attraverso
l'indizione della procedura. In siffatte
ipotesi, non è possibile procedere al
giudizio di frazionamento della complessiva
disciplina di gara, attraverso la pura e
semplice avulsione della clausola
illegittima (e dei suoi effetti), né è
possibile valutare la disciplina di gara nel
suo complesso semplicemente come se la
clausola in parola non esset
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.10.2011 n. 5434 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'indicazione nelle
gare di appalto dei costi relativi alla
sicurezza.
Gli oneri della sicurezza, sia nel comparto
dei lavori che in quelli dei servizi e delle
forniture vanno distinti tra oneri non
soggetti a ribasso finalizzati
all'eliminazione dei rischi da interferenze
(adeguatamente quantificati dalla stazione
appaltante nel DUVRI) ed oneri inclusi
nell'offerta, ed aperti quindi al confronto
concorrenziale, concernenti i costi
specifici connessi con l'attività delle
imprese, da indicarsi a cura delle stesse
nelle offerte rispettive, con conseguente
onere per la stazione appaltante di
valutarne la congruità (anche al di fuori
del procedimento di verifica delle offerte
anomale) rispetto all'entità ed alle
caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura.
Tutto ciò si evince dalle disposizioni
dell'art. 86, c. 3-bis e dell'art. 87, c. 4,
del D.Lgs. n. 163/2006, che impongono la
specifica stima ed indicazione dei (e dunque
di tutti i) costi relativi alla sicurezza,
tanto nella fase della "predisposizione
delle gare di appalto" (espressione che
deve intendersi riferita alla "predisposizione"
della documentazione di gara: bando, inviti
e richieste di offerta), quanto nella fase
della formulazione dell'offerta economica.
Pertanto, nella predisposizione della gara
(e cioè dei bandi e della documentazione
integrativa degli stessi), i costi relativi
alla sicurezza derivanti dalla valutazione
delle interferenze devono essere
specificamente indicati (ex art. 86, c.
3-bis., cit.) separatamente dall'importo
dell'appalto posto a base d'asta, con
preclusione di qualsivoglia facoltà di
ribasso dei costi stessi (art. 86, c. 3-ter,
del D.Lgs. n. 163/2006), in virtù della
preclusione legale di indisponibilità di
detti oneri da parte dei concorrenti,
trattandosi di costi necessari, finalizzati
con tutta evidenza alla massima tutela del
bene costituzionalmente rilevante
dell'integrità dei lavoratori (Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 03.10.2011 n. 5421 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
settembre 2011 |
|
LAVORI PUBBLICI:
Lavori per l'alta velocità e
ritrovamenti archeologici. Appalto revocato?
Per licenziare occorre la prova.
La sentenza si occupa del
licenziamento di alcuni lavoratori di
un'impresa appaltatrice di lavori pubblici
per la costruzione dell'alta velocità sulla
linea ferroviaria Roma Napoli, licenziamento
motivato, a seguito del ritrovamento di
reperti archeologici, in relazione alla
revoca dell'appalto ed all'affidamento di
esso ad altra impresa.
La Corte si occupa in particolare del
problema della prova, a carico del datore di
lavoro, dell’impossibilità di utilizzare i
lavoratori in altre mansioni compatibili e
del problema se tale prova possa essere
fornita mediante fatti positivi (quali
l’ammissione alla procedura
dell’amministrazione controllata) e fatti
negativi (quali la mancanza di nuove
assunzioni in qualifiche relative alle
mansioni equivalenti a quelle dei lavoratori
licenziati).
La decisione esclude nella specie la
rilevanza dell’amministrazione controllata
(successiva di alcuni mesi ai recessi) e
delle mancate assunzioni (essendo stato
provato che il cantiere fosse comunque
aperto con alcune maestranze), ed afferma
che, in tema di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo determinato da
ragioni tecniche, organizzative e
produttive, compete al giudice -che non può,
invece, sindacare la scelta dei criteri di
gestione dell'impresa, espressione della
libertà di iniziativa economica tutelata
dall'art. 41 Cost.- il controllo in ordine
all'effettiva sussistenza del motivo addotto
dal datore di lavoro, in ordine al quale il
datore di lavoro ha l'onere di provare,
anche mediante elementi presuntivi ed
indiziari, l'impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte;
tale prova, tuttavia, non deve essere intesa
in modo rigido, dovendosi esigere dallo
stesso lavoratore che impugni il
licenziamento una collaborazione
nell'accertamento di un possibile "repechage",
mediante l'allegazione dell'esistenza di
altri posti di lavoro nei quali egli poteva
essere utilmente ricollocato, e conseguendo
a tale allegazione l'onere del datore di
lavoro di provare la non utilizzabilità nei
posti predetti.
Nel medesimo senso, Cass. Sez. L, Sentenza
n. 3040 del 08/02/2011.
In precedenza, Cass. Sez. L, Sentenza n.
6559 del 18/03/2010 aveva pure affermato che
il giustificato motivo oggettivo di
licenziamento determinato da ragioni
tecniche, organizzative produttive è rimesso
alla valutazione del datore di lavoro, senza
che il giudice possa sindacare la scelta dei
criteri di gestione dell'impresa,
espressione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 Cost.
Pertanto, spetta al giudice il controllo in
ordine all'effettiva sussistenza del motivo
addotto dal datore di lavoro, e l'onere
probatorio grava per intero sul datore di
lavoro, che deve dare prova anche
dell'impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte,
onere che può essere assolto anche mediante
il ricorso a risultanze di natura presuntiva
ed indiziaria, mentre il lavoratore ha
comunque un onere di deduzione e di
allegazione di tale possibilità di
reimpiego.
La decisione in commento è interessante
anche sotto altro profilo, relativo alla
illegittimità del termine apposto ai
contratti di lavoro dei dipendenti in
questione, atteso che la Corte ha ritenuto
adeguatamente motivata la sentenza della
corte territoriale che nella specie aveva
escluso che l’opera di scavi archeologici
propedeutici alla costruzione dell’opera
pubblica (non prevista espressamente nel
contratto di appalto originariamente
stipulato) potesse essere configurata come
avente carattere straordinario ed
occasionale, idonee a legittimare la stipula
di contratti a termine, essendo ritenuto per
converso l’inerenza di tali lavori
all’appalto originario (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile,
sentenza 30.09.2011 n. 20095). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia presentato la sola
prima pagina del certificato di iscrizione
alla Camera di Commercio prescritto a pena
di esclusione dal disciplinare di gara.
Ai sensi dell'art. 46 del D.Lgs. 163/2006,
la stazione appaltante non può sopperire con
il c.d. "potere di soccorso" alla
totale mancanza di un atto prescritto dalla
lex specialis di gara: difatti, i
criteri esposti ai fini dell'integrazione
riguardano semplici chiarimenti di un atto
incompleto, mentre l'omessa allegazione di
un documento o di una dichiarazione previsti
a pena di esclusione non può considerarsi
alla stregua di un'irregolarità sanabile e,
quindi, non ne è permessa la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali, tanto
più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall'ambiguità di
clausole della legge di gara.
Al contrario, il potere di richiedere
chiarimenti ed integrazioni alla ditta
partecipante si applica nelle ipotesi in cui
sussistono dubbi circa l'esistenza dei
requisiti richiesti dal bando ed in ordine
ai quali vi sia, tuttavia, un principio di
prova circa il loro possesso da parte del
concorrente, trattandosi di ipotesi
ontologicamente distinta da quella della
documentazione del tutto mancante: in tali
casi, sussistendo un indizio del possesso
dei requisiti richiesti, l'amministrazione
non può pronunciare l'esclusione dalla
procedura ma è tenuta a richiedere al
partecipante di integrare o chiarire il
contenuto di un documento già presente,
costituendo siffatta attività acquisitiva un
ordinario modus procedendi, ispirato
all'esigenza di far prevalere la sostanza
sulla forma.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
il provvedimento di esclusione da una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia
presentato la sola prima pagina del
certificato di iscrizione alla Camera di
Commercio (documento prescritto a pena di
esclusione dal disciplinare di gara), in
quanto l'allegazione della prima pagina del
certificato camerale costituisce un valido
principio di prova in ordine al possesso di
tale certificazione (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 30.09.2011 n. 4585 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Un
codice delle leggi antimafia. Banca dati,
recesso dal contratto, informazioni per 12
mesi. In Gazzetta Ufficiale il decreto
159/2011 che attua il Piano straordinario.
Via dal 13 ottobre.
Istituzione della banca dati unica della
documentazione antimafia, pubblicità per il
procedimento in cui si applicano misure di
prevenzione, ampliamento delle fattispecie
da cui il prefetto desume il tentativo di
infiltrazione mafiosa, obbligo di recesso
dal contratto in caso di verifica antimafia
interdittiva, raddoppio della validità
dell'informazione antimafia che passa da 6 a
12 mesi.
Sono questi alcuni dei principali contenuti
del corposo Codice delle leggi antimafia,
delle misure di prevenzione e delle nuove
disposizioni in materia di documentazione
antimafia (il decreto legislativo
06.09.2011, n. 159, pubblicato sul
supplemento ordinario n. 214 alla Gazzetta
Ufficiale n. 226 del 28.09.2011) che entrerà
in vigore il 13 ottobre.
Il decreto legislativo attua le deleghe
previste dagli articoli 1 e 2 della legge
13.08.2010, n. 136 (il c.d. Piano
straordinario contro le mafie che ha dato
vita anche alla normativa sulla
tracciabilità dei flussi finanziari) e sarà
seguito, anche su sollecitazione delle
commissioni parlamentari che hanno esaminato
il testo a luglio, da una nuova iniziativa
governativa legislativa che coprirà l'intero
spettro della disciplina sostanziale e
processuale in materia di criminalità
organizzata (intercettazioni «giudiziarie»,
collaboratori e testimoni di giustizia,
regime carcerario previsto dall'art. 41-bis,
colloqui investigativi speciali, attività di
cooperazione giudiziaria).
Venendo al Codice, per quel che riguarda le
misure di prevenzione, si prevedono alcune
importanti novità. In primo luogo la facoltà
di richiedere che il procedimento per
l'applicazione delle misure di prevenzione
sia celebrato in udienza pubblica. Viene poi
stabilito un limite di durata anche per il
procedimento di secondo grado, prevedendo la
perdita di efficacia del sequestro ove non
venga disposta la confisca nel termine di un
anno e sei mesi dalla immissione in possesso
da parte dell'amministratore giudiziario (in
caso di impugnazione della decisione, entro
un anno e sei mesi dal deposito del
ricorso), con possibilità di proroga dei
termini per non più di due volte in caso di
indagini particolarmente complesse.
Viene introdotta la revocazione della
decisione definitiva sulla confisca di
prevenzione, volta a consentire agli enti
assegnatari dei beni confiscati di gestirli
senza timore di doverli restituire. A
seguito del definitivo decreto di confisca,
la revoca sarà possibile solo in casi
eccezionali (difetto originario dei
presupposti, falsità delle prove); in tal
caso, salvo che per i beni di particolare
pregio storico-artistico, verrà restituita
solo una somma di denaro equivalente al
valore del bene. Viene poi dettata la
disciplina dei rapporti tra la confisca di
prevenzione e il sequestro penale e quella
dei rapporti dei terzi con la procedura di
prevenzione, a garanzia della buona fede dei
terzi. In materia di certificazione
antimafia, il codice semplifica ed
omogeneizza una normativa resa
particolarmente complessa dalla
stratificazione delle norme nel tempo.
In particolare, per quel che riguarda la
documentazione antimafia, essa non è
richiesta per contratti di importo inferiore
a 150 mila euro, così come prevede il dpr
252 del 1998; la comunicazione antimafia
sarà utilizzabile per sei mesi dalla data
del rilascio, anche per altri procedimenti;
l'informazione antimafia sarà utilizzabile
per un periodo di dodici mesi dalla data del
rilascio, qualora non siano intervenuti
mutamenti nell'assetto societario e
gestionale dell'impresa oggetto
dell'informazione.
Infine il codice istituisce la banca dati
nazionale unica della documentazione
antimafia, presso il ministero dell'interno,
consultabile dalle stazioni appaltanti,
dalle camere di commercio e dagli ordini
professionali, che semplificherà l'attuale
sistema delle procedure di rilascio della
documentazione, con l'effetto di un
monitoraggio costante delle imprese.
Il codice disciplina anche i poteri di
accesso e di accertamento che fanno capo ai
prefetti, stabilendo che possano essere
esercitati nei cantieri delle imprese
interessate all'esecuzione di lavori
pubblici. Per tali accessi il prefetto si
dovrà avvalere dei gruppi interforze che
effettueranno le indagini nei confronti di
tutti i soggetti che intervengono a
qualunque titolo nel ciclo di realizzazione
dell'opera, anche con noli e forniture di
beni e prestazioni di servizi, ivi compresi
quelli di natura intellettuale, qualunque
sia l'importo dei relativi contratti o dei
subcontratti (articolo
ItaliaOggi del 30.09.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Più
Antimafia negli appalti. Una banca dati
unica nazionale per combattere le
infiltrazioni.
AI RAGGI X - Potenziato il ruolo dei
prefetti nella redazione di dossier sugli
aspiranti partner contrattuali della Pa.
Una banca
dati unica nazionale per combattere le
infiltrazioni mafiose negli appalti con la
pubblica amministrazione. È questa l'arma in
più che il decreto legislativo 159/2011
(pubblicato sul Supplemento ordinario alla «Gazzetta
Ufficiale» 266 del 28 settembre) mette
in campo in materia di misure di prevenzione
personali e patrimoniali, di fatto una delle
poche novelle nella riduzione a testo unico
della normativa antimafia sul versante
amministrativo (per il diritto penale
servirà invece un'altra legge delega, si
veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
La banca dati, che dovrà essere calibrata da
un serie di regolamenti ministeriali
scadenziati per i prossimi sei mesi,
consentirà un monitoraggio in tempo reale
contando tra l'altro sul potenziamento del
ruolo, anche informale, dei prefetti nella
redazione di dossier sugli aspiranti partner
contrattuali della Pa. L'accesso alle
informazioni centralizzate sarà consentito
alle stazioni appaltanti (a questo proposito
viene riconosciuto normativamente il ruolo
della Stazione unica), alle Camere di
commercio e agli Ordini professionali, con
garanzie di tracciamento di chi interrogherà
il terminale.
La profilazione riguarderà i candidati a
contrattare con la pubblica amministrazione,
ma pure chi intende ricevere contributi o
erogazioni pubbliche, anche comunitarie:
rispetto al passato si amplia la platea dei
soggetti radiografabili, includendo i
general contractor. Tra i soggetti
sottoposti alla verifica antimafia è stato
ora inserito il riferimento ai
raggruppamenti temporanei di imprese, la
documentazione antimafia dei quali deve
riferirsi anche alle imprese con sede
all'estero, oltre al direttore tecnico e ai
rappresentanti legali delle associazioni.
L'informazione antimafia coinvolgerà inoltre
i familiari conviventi dei soggetti che la
legge sottopone alla verifica.
Resta invece immutata, nel testo unico, la
soglia di esenzione della comunicazione
antimafia, fissata in 150mila euro del
valore economico del l'operazione da
appaltare o dell'erogazione da ricevere
(erano 300 milioni di lire nel Dpr
252/1998).
Il nuovo codice antimafia sdoppia i termini
di validità della comunicazione antimafia
rispetto alla informazione: mentre la prima
continuerà a valere per sei mesi dalla data
del rilascio (e scatterà automaticamente
dopo la consultazione della banca dati
nazionale), la comunicazione –che può
riguardare anche l'attestazione di tentativi
di infiltrazione mafiosa nelle imprese– avrà
efficacia per 12 mesi.
La competenza per la comunicazione antimafia
resta in carico al prefetto della provincia
in cui l'impresa richiedente ha sede, che
diventa il prefetto dove ha sede il cantiere
nei casi in cui l'azienda è basata
all'estero. Non cambia, invece, la
disciplina dell'autocertificazione per
contratti e subcontratti relativi a lavori,
servizi o forniture dichiarati urgenti e i
provvedimenti di rinnovo di contratti, o per
attività private, sottoposte a regime
autorizzatorio o alla disciplina del
silenzio-assenso.
Confermati infine i poteri di accesso ai
cantieri del prefetto, già introdotti dal
Dpr 150/2010.
---------------
Radiografia allargata
01 | LA COMUNICAZIONE
La comunicazione antimafia è rilasciata dal
prefetto della provincia in cui i soggetti
richiedenti hanno sede (se sono Pa o enti
pubblici o general contractor),
oppure, se richiesta da persone fisiche,
imprese, associazioni o consorzi, è
competenza del prefetto della provincia in
cui gli stessi risiedono o hanno sede.
02 | LA BANCA DATI
Prima di rilasciare il via libera antimafia,
il prefetto deve consultare la neo-istituita
banca dati nazionale. Se l'interrogazione è
negativa, la comunicazione antimafia
liberatoria è immediata, e dà atto della
consultazione al data-base centralizzato.
Nel caso invece emergano divieti o cause di
decadenza, prima di rilasciare una
comunicazione interdittiva il prefetto
verifica l'aggiornamento e l'adeguatezza dei
dati.
03 | AUTOCERTIFICAZIONE
I contratti e subcontratti relativi a
lavori, servizi o forniture dichiarati
urgenti, e i provvedimenti di rinnovo
conseguenti a provvedimenti già disposti,
sono stipulati, autorizzati o adottati
mediante l'acquisizione di relativa
dichiarazione, con la quale l'interessato
attesta che nei suoi confronti non
sussistono cause di divieto, di decadenza o
di sospensione.
04 | LA SOGLIA ESENTE
La "radiografia" antimafia non
riguarda i provvedimenti della Pa, gli atti,
i contratti e le erogazioni da ente pubblico
il cui valore complessivo non superi i
150mila euro, soglia già prevista dal
decreto legge 252 del 1998.
05 | PLATEA AMPIA
La platea dei soggetti interessati dai
controlli preventivi anti-infiltrazioni
mafiose esce allargata dal nuovo testo
unico, estendenosi ai familiari conviventi,
ai direttori tecnici di cantiere e ai
revisori contabili.
A livello di composizione societaria, la
profilazione interesserà i raggruppamenti
temporanei di imprese anche per le imprese
con sede all'estero.
---------------
L'indagine sull'impresa
si allarga a direttori di cantiere e
familiari.
L'indagine amministrativa sulle potenziali
infiltrazioni mafiose nelle imprese che
trattano e lavorano con la Pa si allarga
alla direzione di cantiere e ai revisori
contabili, oltre ai familiari. L'esperienza
degli ultimi anni ha portato alla luce,
soprattutto attraverso le inchieste della
magistratura, un'evoluzione delle modalità
di "eterodirezione" dell'attività
d'impresa da parte della criminalità
organizzata, che non si limita più a
controllare direttamente il consiglio di
amministrazione o le quote sociali ma,
sempre più spesso, introduce suoi propri "referenti"
negli organi di controllo dell'attività
d'impresa. Pertanto le cautele antimafia,
una novità del testo unico, sono state
estese anche al direttore tecnico e ai
componenti del collegio di revisione
contabile (oltre ai già previsti organi di
governance della società).
La documentazione antimafia delle imprese
individuali riguarda il titolare e il
direttore tecnico, mentre nelle
associazioni, imprese, società, consorzi e
raggruppamenti temporanei di imprese, oltre
al direttore tecnico, riguarda il legale
rappresentante delle associazioni, il legale
rappresentante e gli eventuali altri
componenti l'organo di amministrazione delle
società di capitali, anche consortili, e
inoltre ognuno dei consorziati che nei
consorzi e nelle società consortili detiene
una partecipazione superiore al 10% oppure
una partecipazione inferiore al 10% e che
abbia stipulato un patto parasociale "oltre
soglia".
Documentazione antimafia necessaria anche
per i soci o i consorziati per conto dei
quali le società consortili o i consorzi
operino in modo esclusivo nei confronti
della pubblica amministrazione.
L'adempimento di "radiografia"
anti–infiltrazioni mafiose, per le società
di capitali, impegna anche il socio di
maggioranza in caso di società con un numero
di soci pari o inferiore a quattro, o il
socio in caso di società con socio unico.
Nei consorzi, documentazione antimafia
necessaria per chi ne ha la rappresentanza,
così come per gli imprenditori o società
consorziate; tutti i componenti per le
società semplice e in nome collettivo; gli
accomandatari per le società in accomandita;
per le società estere, chi le rappresenta
stabilmente in Italia; per i raggruppamenti
temporanei di imprese, le imprese del
raggruppamento anche se con sede all'estero:
per le società personali, i soci persone
fisiche delle società personali o di
capitali che ne siano socie (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.09.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad un
concorrente che abbia omesso di allegare le
dichiarazioni di cui all'art. 38 del d.lgs.
n. 163/2006, con riferimento ai progettisti
indicati ai sensi dell'art. 53, c. 3, d.lgs.
163/2006.
E' illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un RTI
concorrente, che abbia omesso di allegare,
alla propria offerta, le dichiarazioni
sostitutive in ordine alla sussistenza delle
condizioni di affidabilità morale e
professionale, di cui alle lett. b) e c)
dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, con
riferimento ai progettisti "indicati",
ai sensi dell'art. 53, c. 3, del d.lgs. n.
163/2006.
Secondo la prevalente giurisprudenza
amministrativa, non solo i progettisti
associati, ma anche quelli "indicati",
se di certo non assumono il ruolo di
concorrenti, nondimeno partecipano alla
gara, apportando al concorrente taluni
requisiti da esso non posseduti, con
l'evenienza che di detti requisiti il
progettista indicato può essere chiamato a
dare effettiva dimostrazione ex art. 48 del
medesimo decreto.
Tale necessità sussiste anche in ordine ai
requisiti "generali", i quali
concorrono a formare, insieme con quelli "speciali",
la "legittimazione" all'appalto. In
questa direzione, il possesso dei requisiti
generali di partecipazione alla gara
d'appalto, va verificato anche in capo alle
singole imprese/professionisti, designati
quali esecutori del servizio di
progettazione.
Infatti, una cosa è l'individuazione del
concorrente in possesso dei requisiti
tecnico-organizzativi, necessari ai fini
della realizzazione dell'opera, altro è
l'individuazione del concorrente "moralmente
affidabile"; la relativa verifica va
pertanto eseguita nei confronti "di tutti
i soggetti ammessi a partecipare alle gare",
dunque anche in capo ai progettisti "individuati"
dall'impresa esecutrice.
Diversamente opinando, risulterebbero
violati sia il principio costituzionale di
buon andamento, sia il principio comunitario
di "precauzione", in quanto si
giungerebbe all'irragionevole conclusione
che le garanzie di serietà economica e
moralità professionale, richieste agli
imprenditori ai fini della partecipazione
alle gare, vengano eluse da altri soggetti i
quali, mediante il sistema della mera "indicazione",
riuscirebbero di fatto ad eseguire servizi
per una gara cui non potrebbero essere
ammessi (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 29.09.2011 n. 1666 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La clausola del bando
con cui l’Amministrazione si riserva la
facoltà di non aggiudicare la gara a proprio
insindacabile giudizio è da ritenere
illegittima, occorrendo, per costante
giurisprudenza, il rispetto dei principi di
correttezza e buona fede, nonché l’obbligo
di motivare tale scelta.
La clausola del bando con cui
l’Amministrazione si è riservata la facoltà
di non aggiudicare la gara a proprio
insindacabile giudizio è da ritenere
illegittima, occorrendo, per costante
giurisprudenza, il rispetto dei principi di
correttezza e buona fede, nonché l’obbligo
di motivare tale scelta (Tar Lazio, Roma,
II, n. 8975/2010; Tar Sardegna, I, n.
2167/2010; in particolare, si segnala Tar
Campania, VIII, n. 555/2010, secondo cui “La
partecipazione alla gara evidenzia e
qualifica la posizione del concorrente che
vi è ammesso, cosicché non può
ragionevolmente escludersi una qualsiasi
tutela a fronte degli eventuali ripensamenti
dell'Amministrazione: l'interesse
all'aggiudicazione (che costituisce
l'obiettivo finale di ciascun concorrente)
ha un suo corollario nell'interesse allo
svolgimento e alla definizione della
procedura, secondo le regole fissate dalla
lex specialis. In tale caso, la
discrezionalità dell'Amministrazione,
seppure notevolmente ampia, non è dunque
senza limiti né è del tutto sottratta al
sindacato di legittimità”) (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 29.09.2011 n. 382 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Antimafia,
strategia preventiva. Confische veloci e
blindate - Sotto esame anche i revisori
contabili.
RINVIO TECNICO - Una nuova legge delega per
il riordino del diritto sostanziale con
entrata in vigore entro 24 mesi.
Il nuovo codice delle misure di prevenzione
mafiosa, che abroga le leggi speciali
emanate sul tema dal 1956 in avanti e
riordina in un unico corpo normativo il
contrasto patrimoniale al "416-bis",
diventa legge dello Stato. Il Decreto
legislativo 159 del 06.09.2011 è stato
pubblicato sul Supplemento ordinario n. 214
della Gazzetta Ufficiale n. 226 di ieri, ed
entrerà in vigore tra due settimane, con
esclusione per i procedimenti già in corso.
La pubblicazione di ieri esaurisce la prima
parte della legge delega 136/2010 sul Codice
unico antimafia –scaduta a inizio settembre–
relativa al Libro II, inerente le misure
patrimoniali contro organizzazioni mafiose e
soggetti affiliati. Ci sarà invece una nuova
delega per riordinare, entro 24 mesi, il
diritto sostanziale e processuale, così come
avevano chiesto ad agosto la Commissione
giustizia della Camera e il Comitato per la
legislazione.
Il Libro I, composto da 10 articoli sulla «Criminalità
organizzata di tipo mafioso» a partire
dalla norma base del 416-bis, è stato quindi
congelato, perché tra l'altro non era
prevista l'abrogazione delle disposizioni
confluite nel codice, nonostante la delega
lo prevedesse. Da questo fatto puramente
tecnico sarebbero potute derivare serie
incertezze in sede interpretativa.
La riorganizzazione delle misure di
prevenzione offrirà comunque una migliore
agibilità all'autorità giudiziaria e a
quella amministrativa per l'aggressione dei
patrimoni di origine mafiosa e per il
controllo di personaggi in odore di
criminalità organizzata.
Il Libro II è diviso in cinque titoli, dalle
misure di prevenzione personali a quelle di
prevenzione patrimoniali,
dall'amministrazione, gestione e
destinazione dei beni sequestrati e
confiscati, fino alla tutela dei terzi e i
rapporti con le procedure concorsuali.
Tra le novità, la facoltà di richiedere che
il procedimento per l'applicazione delle
misure di prevenzione sia celebrato in
udienza pubblica e in tempi stretti: il
sequestro perde efficacia se non arriva la
confisca entro 18 mesi dalla immissione in
possesso dell'amministratore giudiziario.
Limitata, inoltre, la possibilità di revoca
della confisca, che spesso blocca l'attività
di reimpiego degli immobili da parte dei
Comuni, che viene agganciata ai requisiti "stretti"
della procedura penale, cioè al difetto
originario dei presupposti per
l'applicazione della misura.
Nuove regole anche per i rapporti dei terzi
con il procedimento di prevenzione, vale a
dire i diritti pendenti al momento
dell'esecuzione del sequestro su un bene. Al
terzo comproprietario è concesso, se in
buona fede, diritto di prelazione per
l'acquisto della quota confiscata al valore
di mercato. Per quanto concerne i contratti
preliminari di vendita, viene confermata la
regola generale del diritto per il
promissario acquirente di far valere il
proprio credito nella procedura di verifica
e pagamento dei crediti.
Stretta infine sui controlli per i soggetti
che contrattano con la pubblica
amministrazione, o che intendono ricevere
contributi od erogazioni pubbliche, anche
comunitarie, soggetti verso i quali si
intensificano gli accertamenti antimafia. La
criminalità organizzata, secondo la
relazione, non si limita più a controllare
direttamente il consiglio di amministrazione
o le quote sociali ma, sempre più spesso
introduce referenti all'interno degli organi
di controllo dell'attività d'impresa. Per
questo le cautele antimafia vengono estese
anche al direttore tecnico e ai componenti
del collegio di revisione contabile, oltre
ai già previsti organi di governance
della società.
---------------
L'intervento
01 | PREVENZIONE MAFIA
Il Codice che è stato pubblicato ieri sulla
Gazzetta Ufficiale riguarda le misure di
prevenzione personali e patrimoniali oltre
all'amministrazione e la destinazione dei
beni confiscati
02 | NUOVA DELEGA
La risistemazione in un unico codice del
diritto penale sostanziale è stata invece
rimessa, per motivi tecnici, a una nuova
legge delega
03 | LEGGI ABROGATE
Il Codice abrogherà, dalla sua entrata in
vigore, tutte le leggi in materia degli
ultimi 55 anni.
Tra le altre: la legge 27.12.1956, n. 1423;
la legge 31.05.1965, n. 575; il Dl
04.02.2010, n. 4, convertito in legge
31.03.2010, n. 50; gli articoli da 18 a 24
della legge 22.05.1975, n. 152; l'articolo
16 della legge 13.09.1982, n. 646; gli
articoli da 2 a 11, 13 e 15 della legge
03.08.1988, n. 327 (articolo Il Sole 24
Ore del 29.09.2011). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'esercizio del diritto di riscatto da
parte di un comune nei confronti di una
società titolare del servizio di gestione
degli impianti di illuminazione pubblica,
nel caso in cui la concessione originaria
sia già scaduta.
L'art. 24 del r.d. 15.10.1925 n. 2578,
secondo cui il potere di riscatto deve
essere esercitato con il preavviso di un
anno, si applica per le concessioni di
servizi già affidati ai privati che vengono
a risolversi prima della naturale scadenza
contrattuale.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo
l'esercizio del diritto di riscatto da parte
del comune nei confronti della società
titolare del servizio di gestione degli
impianti di illuminazione pubblica, senza il
preavviso di un anno, in quanto l'originaria
concessione trentennale era scaduta al
momento dell'esercizio del riscatto e non
poteva considerarsi tacitamente prorogata in
base ad una apposita clausola della
convenzione, poiché prima della scadenza era
entrato in vigore l'art. 6 della l.
24.12.1993 n. 537, che ha introdotto il
divieto di rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, con la
previsione -inserita in sede di successive
modifiche- della nullità dei contratti
stipulati in violazione del predetto
divieto.
Peraltro, l'esercizio del diritto di
riscatto non è subordinato al previo
raggiungimento di un accordo tra le parti
sullo stato di consistenza o sulla
quantificazione dell'indennizzo, in quanto,
la mancata definizione consensuale della
questione patrimoniale implica la rimessione
della controversia economica ad un apposito
collegio arbitrale (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 28.09.2011 n. 5403 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'osservanza delle forme
di pubblicità prescritte per i bandi di gara
è necessaria per consentire agli operatori
del settore di conoscere l'avvenuta
indizione delle procedure e decidere, di
conseguenza, se parteciparvi o meno.
L'osservanza delle forme di pubblicità
prescritte per i bandi di gara è necessaria
per consentire agli operatori del settore di
conoscere l'avvenuta indizione delle
procedure e decidere, di conseguenza, se
parteciparvi o meno, disponendo di un
congruo lasso di tempo per ponderare ed
eventualmente predisporre la loro offerta.
La tutela della concorrenza che il principio
di pubblicità persegue si declina, dunque,
nell'interesse del potenziale concorrente
alla conoscibilità della gara e alla
concreta possibilità di prendervi parte (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.09.2011 n. 4518 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Distribuzione gas, 18
mesi per le gare. Parere del Consiglio di
stato sul dm.
Affidamento del servizio
di distribuzione del gas naturale: ci
saranno fino a diciotto mesi per fare le
gare, la stazione appaltante potrà essere il
Comune più popoloso o la Provincia e la gara
verterà anche sul valore di rimborso al
gestore uscente.
Il Consiglio di Stato, con il
parere 28.09.2011 n. 3598 sullo
schema di regolamento che detta i criteri di
gara e di valutazione dell'offerta per
l'affidamento del servizio della
distribuzione del gas naturale, attuativo
dell'art. 46-bis, comma 1, della legge n.
222 del 2007, ha sbloccato uno dei
provvedimenti centrali per la
liberalizzazione del pubblico servizio di
attività di distribuzione del gas. A questo
regolamento ne seguiranno altri due: quello
sulla definizione territoriale degli ambiti
minimi e quello sulla tutela
dell'occupazione del personale.
Il provvedimento individua il soggetto che
dovrà gestire la gara e i relativi poteri
sostitutivi, stabilisce quali siano gli
obblighi informativi dei gestori, il valore
di rimborso ai titolari degli affidamenti e
concessioni cessanti, il valore del rimborso
al gestore uscente a regime, la proprietà
degli impianti, gli oneri da riconoscere
all'ente locale concedente e ai proprietari
di impianti, i contenuti del bando di gara e
del disciplinare di gara e tutte le altre
norme sullo svolgimento della gara
(requisiti di partecipazione, commissioni di
gara, criteri di aggiudicazione).
Su questo schema, particolarmente articolato
e complesso, il Consiglio di Stato aveva
reso un parere interlocutorio (adunanza del
05.05.2011) con il quale era stata disposta
una ulteriore istruttoria e venivano
richiesti elementi al Dicastero proponente
(MISE) che successivamente (04.08.2011) ha
dettagliatamente risposto ad una serie di
eccezioni che venivano fatte.
Con il parere la sezione consultiva dà il
via libera allo schema chiedendo al
Ministero, dopo avere preso atto della
correttezza dei chiarimenti, ritenuti
condivisibili, di precisare ancora alcuni
elementi. In particolare il Consiglio di
Stato invita l'amministrazione a considerare
l'opportunità di prevedere l'indicazione
diretta, nel regolamento, del Comune più
popoloso o della Provincia a fungere da
stazione appaltante nel caso in cui in un
ambito territoriale non vi sia un comune
capoluogo di provincia. La ragione di questa
richiesta risiede nel fatto che l'intervento
sostitutivo regionale potrebbe essere
limitato ai casi in cui o lo stesso comune
più popoloso o la maggioranza dei comuni
dell'ambito non ritengano possibile che tale
ente svolga convenientemente le funzioni di
stazione appaltante.
Il parere chiede inoltre di ridurre il
termine di 18 mesi decorsi i quali, in
assenza di emanazione del bando, scatta il
potere sostitutivo. Viene poi chiesto al
Mise di lasciare alla stazione appaltante la
valutazione sulla rilevanza delle sanzioni
applicate dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici valutare se l'esclusione
di un concorrente ai fini dell'esclusione di
un concorrente dalla gara (articolo
ItaliaOggi del 06.10.2011). |
APPALTI:
Contratti della P.A. - Appalto -
Gara - Provvedimento di esclusione -
Determina una lesione attuale e concreta -
Conseguenza - Onere di impugnazione
immediato - Sussiste - Anche in pendenza
della procedura.
Il provvedimento di esclusione dalla gara
disposto nei confronti di un'impresa
concorrente determina un definitivo arresto
procedimentale a danno dell'interessata e,
quindi, una lesione immediata e concreta del
proprio interesse, che le impone di
ricorrere subito contro di esso, senza
attendere l'esito della gara
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 28.09.2011 n.
2314 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’art.
43 della Dir. 31.03.2004 n. 2004/18/CE (art.
78 del Dlgs. 163/2006) nel disciplinare il
contenuto dei verbali delle operazioni di
gara non impone la contestualità tra la
verbalizzazione e le operazioni verbalizzate
ma attribuisce ai verbali una funzione di
documentazione e informazione (a garanzia di
tutti i concorrenti e della stessa stazione
appaltante) che non sarebbe utile se la
redazione venisse svolta a notevole distanza
di tempo.
L’unico vincolo per la verbalizzazione è
pertanto quello della tempestività rispetto
alle operazioni verbalizzate. Una volta
accertata questa condizione è irrilevante
che il verbale riguardi una singola riunione
della commissione tecnica o più riunioni o
l’intera procedura. Purché sia tempestivo il
verbale può essere cumulativo.
L’art. 43 della Dir. 31.03.2004 n.
2004/18/CE (art. 78 del Dlgs. 163/2006) nel
disciplinare il contenuto dei verbali delle
operazioni di gara non impone la
contestualità tra la verbalizzazione e le
operazioni verbalizzate ma attribuisce ai
verbali una funzione di documentazione e
informazione (a garanzia di tutti i
concorrenti e della stessa stazione
appaltante) che non sarebbe utile se la
redazione venisse svolta a notevole distanza
di tempo.
L’unico vincolo per la verbalizzazione è
pertanto quello della tempestività rispetto
alle operazioni verbalizzate. Una volta
accertata questa condizione è irrilevante
che il verbale riguardi una singola riunione
della commissione tecnica o più riunioni o
l’intera procedura. Purché sia tempestivo il
verbale può essere cumulativo (v. CS Sez. V
15.03.2010 n. 1507; TAR Lazio Roma Sez. II
01.03.2011 n. 1906) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 28.09.2011 n. 1332 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La dimostrazione
dell'affidabilità dei concorrenti per mezzo
dell'esperienza pregressa non può
trasformarsi in una rendita di posizione per
i soggetti economici che abbiano avuto
rapporti continuativi con le stazioni
appaltanti.
Nel giudizio sull'esperienza la stazione
appaltante, se non si è data regole più
stringenti nella lex specialis, può
certamente effettuare una ponderazione delle
diverse attività praticate dai concorrenti,
trascurando quelle marginali e focalizzando
la propria attenzione su quelle che
rivestono maggiore importanza.
Allo stesso modo può considerare irrilevante
il mancato svolgimento di alcune attività se
nel complesso risultino espletate quelle che
costituiscono la parte più impegnativa
dell'appalto da aggiudicare.
Nell'interpretazione di clausole di questo
tipo deve sempre essere favorita la massima
partecipazione, che a sua volta è una
condizione per assicurare l'effettiva
competizione nel mercato, e
corrispettivamente deve essere dato il
minimo rilievo alle formalità non
necessarie.
La dimostrazione dell'affidabilità dei
concorrenti per mezzo dell'esperienza
pregressa non può infatti trasformarsi in
una rendita di posizione per i soggetti
economici che abbiano avuto rapporti
continuativi con le stazioni appaltanti o
che, specialmente nei settori dove la
concorrenza è minore, abbiano avuto la
possibilità di occupare per più tempo le
poche nicchie di mercato disponibili (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.09.2011 n. 1328 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: I
gravi reati in danno dello Stato o
dell’Unione Europea che incidono sulla
moralità professionale e determinano
l’esclusione dalle gare non sono soltanto
quelli collegabili all’oggetto dell’appalto.
Il concetto di moralità professionale,
ripreso direttamente dall’art. 45, par. 2,
lett. c), della Dir. 31.03.2004 n.
2004/18/CE, coinvolge un ambito che va oltre
la stretta attività professionale del
concorrente.
I gravi errori commessi nell’esercizio
dell’attività professionale (e quindi a
maggior ragione i reati che riguardano
direttamente l’attività professionale) sono
già presi in considerazione come causa
autonoma di esclusione dalla lett. f)
dell’art. 38, comma 1, del Dlgs. 163/2006.
La moralità professionale riguarda invece
l’affidabilità complessiva del concorrente
sotto il profilo etico: l’amministrazione ha
interesse a coltivare rapporti contrattuali
esclusivamente con soggetti economici che
(oltre a osservare i principi giuridici
dell’ordinamento) rispettano le regole del
mercato e della concorrenza.
L’aggiotaggio ex art.
2637 c.c. è un reato che richiede condotte
concretamente idonee a provocare una
sensibile alterazione del prezzo degli
strumenti finanziari. La fattispecie penale
presuppone un disegno diretto a manipolare
il normale funzionamento del mercato per
ottenere dei vantaggi a detrimento degli
altri operatori economici e della platea
degli investitori. È dunque intrinseca a
questo reato una componente di slealtà in
ambito economico che non consente il
contestuale riconoscimento del requisito
della moralità professionale. Quindi, la
condanna per aggiotaggio impedisce la
partecipazione alle gare pubbliche.
Per quanto riguarda la corretta applicazione
dell’art. 38, comma 1, lett. c), del Dlgs.
163/2006, occorre precisare subito che i
gravi reati in danno dello Stato o
dell’Unione Europea che incidono sulla
moralità professionale e determinano
l’esclusione dalle gare non sono soltanto
quelli collegabili all’oggetto dell’appalto.
Il concetto di moralità professionale,
ripreso direttamente dall’art. 45, par. 2,
lett. c), della Dir. 31.03.2004 n.
2004/18/CE, coinvolge un ambito che va oltre
la stretta attività professionale del
concorrente.
I gravi errori commessi nell’esercizio
dell’attività professionale (e quindi a
maggior ragione i reati che riguardano
direttamente l’attività professionale) sono
già presi in considerazione come causa
autonoma di esclusione dalla lett. f)
dell’art. 38, comma 1, del Dlgs. 163/2006.
La moralità professionale riguarda invece
l’affidabilità complessiva del concorrente
sotto il profilo etico: l’amministrazione ha
interesse a coltivare rapporti contrattuali
esclusivamente con soggetti economici che
(oltre a osservare i principi giuridici
dell’ordinamento) rispettano le regole del
mercato e della concorrenza.
L’aggiotaggio ex art. 2637 c.c. (anche nella
versione in vigore all’epoca dei fatti) è un
reato che richiede condotte concretamente
idonee a provocare una sensibile alterazione
del prezzo degli strumenti finanziari. La
fattispecie penale presuppone un disegno
diretto a manipolare il normale
funzionamento del mercato per ottenere dei
vantaggi a detrimento degli altri operatori
economici e della platea degli investitori.
È dunque intrinseca a questo reato una
componente di slealtà in ambito economico
che non consente il contestuale
riconoscimento del requisito della moralità
professionale.
In questa ricostruzione il valore
dell’utilità conseguita attraverso
l’aggiotaggio non ha un peso decisivo, in
quanto la slealtà nei rapporti economici non
è diversa se praticata in vicende modeste o
su ampia scala. Tuttavia anche volendo
introdurre un filtro quantitativo il
risultato nel caso in esame non sarebbe
diverso, tenendo conto che il legale
rappresentante della ricorrente è stato
coinvolto nella scalata alla Banca
Antonveneta. Tale operazione, come
evidenziato dall’Avvocatura Generale dello
Stato nel parere del 19.01.2011, costituisce
uno degli episodi più gravi che abbiano
interessato di recente il settore bancario.
Dunque, anche se svolta in posizione
marginale, la partecipazione a un’iniziativa
eccezionale per mezzi utilizzati e
importanza dell’obiettivo deve essere
senz’altro qualificata come rilevante nella
storia professionale di un soggetto
economico.
Da tutto questo consegue che la condanna per
aggiotaggio impedisce la partecipazione alle
gare pubbliche. Il punto diventa allora la
durata dell’effetto interdittivo.
In proposito si può osservare che l’art. 38,
comma 1, lett. c), del Dlgs. 163/2006,
nell’estendere la disciplina dell’esclusione
anche alle condanne degli amministratori
cessati dalla carica nel triennio anteriore
alla pubblicazione del bando di gara, indica
in via alternativa due condizioni che
escludono l’effetto interdittivo: (1) se
l'impresa dimostri di aver adottato misure
di completa dissociazione dalla condotta
penalmente sanzionata; (2) se sia
intervenuta la riabilitazione (art. 178 cp)
o l’estinzione del reato in caso di
patteggiamento (art. 445, comma 2, cpp).
Occorre verificare la possibilità della
trasposizione di queste norme alla
fattispecie degli amministratori in carica.
L’analogia non sembra sussistere per
l’ipotesi della dissociazione, in quanto il
primo passo in questa direzione da parte
dell’impresa sarebbe proprio la sostituzione
dell’amministratore condannato. Appare
invece ammissibile l’estensione della norma
sulla riabilitazione e sull’estinzione del
reato. La riabilitazione garantisce
attraverso una completa valutazione della
condotta post factum l’effettivo approdo
rieducativo del reo (v. Cass. pen. Sez. I
18.06.2009 n. 31089; Cass. pen. Sez. I
29.09.2009 n. 40018) e dunque per i soggetti
economici costituisce anche la dimostrazione
del recupero di una condotta professionale
eticamente adeguata. L’estinzione del reato
ex art. 445, comma 2, cpp, essendo
automatica, non offre le medesime garanzie,
ma può essere presa in considerazione dalla
stazione appaltante quale ragionevole
termine finale del periodo di esclusione
dalle gare. Mancando però una verifica
giudiziale della buona condotta (che è
propria della sola riabilitazione) la
stazione appaltante conserva il potere di
contestare l’insufficiente recupero della
moralità professionale qualora ravvisi
elementi di continuità con la situazione
pregressa;
Nel caso in esame non risultano conseguite
né la riabilitazione né l’estinzione del
reato ex art. 445, comma 2, cpp. L’indulto
ha semplicemente cancellato una parte della
sanzione pecuniaria sostitutiva senza
incidere sugli effetti penali della condanna
(v. sopra al punto 2) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.09.2011 n. 1327 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.
28.09.2011 n. 226, suppl. ord. n. 214, "Codice
delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonché nuove disposizioni in
materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13.08.2010,
n. 136" (D.Lgs.
06.09.2011 n. 159). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente, per
omessa indicazione dei nominativi dei
rappresentanti e dei direttori tecnici
cessati dalla carica nell'ultimo triennio,
in violazione dell'art. 38, lett. b) e c),
del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia omesso di indicare i nominativi
degli amministratori con rappresentanza e
dei direttori tecnici cessati dalla carica
nell'ultimo triennio, in quanto ciò vìola
l'art. 38, lett. b) e c), c. 1 e 2, del
d.lgs. n. 163/2006.
Nel caso di specie, infatti, la
dichiarazione presentata dall'amministratore
della società concorrente non consente di
individuare i nominativi e le funzioni
svolte dai soggetti cessati dalla carica, e
la stessa risulta, pertanto, indeterminata,
in quanto incompleta di elementi essenziali.
Né è ammissibile un'integrazione postuma ai
sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006,
in quanto, nella fattispecie, la lex
specialis di gara prescrive
espressamente che tale dichiarazione sia
inserita nella busta contenente la
documentazione amministrativa, a pena di
esclusione.
Peraltro, la disposizione di cui all'art.
38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006 pone, a
carico del concorrente, l'onere di attestare
il possesso dei requisiti mediante
dichiarazione sostitutiva, con le modalità
previste dal D.P.R. n. 445/2000, e non
ammette altri mezzi atipici equipollenti.
D'altra parte, lo stesso comma 3 dell'art.
38 D.lgs. n. 163/2006, presuppone
l'assolvimento dell'onere, da parte
dell'interessato, della previa indicazione
degli elementi indispensabili ai fini del
reperimento delle informazioni o dei dati
richiesti; analogamente, la dichiarazione
sostitutiva deve necessariamente contenere
gli estremi identificativi dei soggetti
terzi, cui si riferisce, configurandosi
altrimenti una vera e propria carenza in
ordine all'oggetto della dichiarazione
stessa, che non consente di individuare la
portata liberatoria nei confronti dei terzi,
né l'ampiezza della responsabilità del
dichiarante in ordine alla veridicità
dell'asserita sussistenza dei prescritti
requisiti (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 27.09.2011 n. 5385 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla gestione degli
impianti sportivi: distinzione tra
l'affidamento degli impianti aventi
rilevanza economica da quelli che,
viceversa, ne sono privi (fattispecie
inerente la l.r. Lombardia n. 27/2006).
In attuazione dell'art. 90 della l. 289/2002
(l. finanziaria 2003) che disciplina la
gestione degli impianti sportivi l'art. 1
della l. R. Lombardia n. 27/2006, distingue
l'affidamento degli impianti aventi
rilevanza economica da quelli che,
viceversa, ne sono privi. Solo in relazione
ai primi, stante la necessità di garantire
"una gestione di tipo imprenditoriale", il
legislatore regionale ha previsto la forma
dell'affidamento mediante procedura ad
evidenza pubblica. Al contrario, con
riferimento agli impianti sportivi senza
rilevanza economica, ha ammesso la
possibilità di un loro affidamento in via
diretta. Dispone, infatti, la richiamata
l.r. all'art. 5, c. 2, che "gli enti
locali possono procedere all'affidamento
diretto dell'incarico di gestione di
impianti sportivi senza rilevanza economica
ad associazioni, fondazioni, aziende
speciali, anche consortili, e società a
capitale interamente pubblico, da loro
costituite", aggiungendo al c. 3, che "per
gli impianti sportivi senza rilevanza
economica, le cui caratteristiche e
dimensioni consentono lo svolgimento di
attività esclusivamente amatoriali e
ricreative e richiedono una gestione facile
e con costi esigui, è ammesso l'affidamento
diretto dell'incarico di gestione agli
utilizzatori degli impianti stessi".
Pertanto, nel caso di specie, poiché
l'impianto risulta privo di una sostanziale
rilevanza economica, in quanto per le sue
caratteristiche intrinseche è produttivo di
introiti del tutto esigui ed insufficienti a
coprire i costi di gestione, senza l'apporto
significativo di specifici contributi
comunali, correttamente il Comune ha
affidato la gestione dello stesso in via
diretta alla Polisportiva comunale da lui
appositamente costituita, ai sensi dell'art.
5, c. 2, della citata l.r. Lombardia n.
27/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.09.2011 n. 5379 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
SCHEMA DI LETTERA DI INVITO PER LA PROCEDURA
NEGOZIATA (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
CAPITOLATO SPECIALE D’APPALTO - NUOVO SCHEMA
PREDISPOSTO DAL COMUNE DI BRESCIA
(link a www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
Nell'ambito di una gara
telematica in cui risulta già prescritta
l'utilizzazione della firma digitale, è
ultroneo richiedere che anche le autentiche
notarili debbano avvenire mediante
sottoscrizione digitale.
Il potere-dovere della stazione appaltante
di chiedere un'integrazione documentale per
carenze meramente formali nella
documentazione.
Nell'ambito di una gara telematica in cui
risulta già prescritta l'utilizzazione della
firma digitale, è ultroneo richiedere che
anche le autentiche notarili debbano
avvenire mediante sottoscrizione digitale,
senza consentire ai concorrenti di esibire
una copia per immagine su supporto
informatico di un atto pubblico notarile
fidefacente, in contrasto con quanto
stabilito dall'articolo 1, c. 1, del d.lgs.
n. 82/2005. Pertanto, la stazione
appaltante, ove avesse avuto perplessità
alla luce della documentazione fornita dal
concorrente, avrebbe potuto chiedere, ex
art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei
contratti pubblici), la regolarizzazione
dell'atto in questione, tenendo conto,
peraltro, di quanto stabilito dagli artt. 1,
co. 1, lett. i-ter, e 22, c. 2, del d.lgs.
n. 82/2005, il quale ultimo stabilisce che "le
copie per immagine su supporto informatico
di documenti originali formati in origine su
supporto analogico hanno la stessa efficacia
probatoria degli originali da cui sono
estratte, se la loro conformità è attestata
da un notaio".
Nell'ambito delle procedure ad evidenza
pubblica, ove la formalità richiesta non sia
funzionale a garantire un apprezzabile
interesse pubblico, gli oneri meramente
formali affievoliscono e rilevano le
dichiarazioni implicite desumibili
univocamente dalla documentazione prodotta a
corredo dell'offerta, con la possibilità per
l'ente (in presenza di dubbi o incertezze)
di richiedere ulteriori precisazioni, perché
il precetto del "buon andamento"
(art. 97 cost.) include anche il principio
di cooperazione fra amministrazione ed
amministrati. Infatti, il potere-dovere
della Stazione appaltante di chiedere
un'integrazione documentale (già previsto in
generale dall'art. 6 della l. n. 241 del
1990), trova ormai riscontro nell'art. 46
del codice degli appalti pubblici, il quale
codifica uno strumento inteso a far valere,
entro certi limiti, la sostanza sulla forma,
nell'esibizione della documentazione ai fini
della procedura selettiva, onde non
sacrificare l'esigenza della più ampia
partecipazione per carenze meramente formali
nella documentazione (TAR Lazio-Roma, Sez.
I-ter,
sentenza 23.09.2011 n. 7527 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI - LAVORI PUBBLICI: In
virtù di quanto disposto dall’art. 84, comma
2, del d.lgs. n. 163 del 2006 i componenti
di una Commissione giudicatrice in una gara
di appalto devono essere in possesso delle
capacità tecniche e professionali adeguate
all'importanza dell'appalto, tali da poterli
considerare "periti peritorum" in relazione
ai concreti aspetti sui quali i medesimi
devono formulare il loro giudizio, e tale
capacità non può che essere desunta dal
possesso di un titolo di studio adeguato e
da una pregressa esperienza nel settore.
La necessità del possesso in capo ai
commissari dei requisiti tecnici e della
professionalità necessaria a formulare un
giudizio pienamente consapevole, anche in
mancanza di una specifica previsione
concernente la composizione nel dettaglio
della commissione giudicatrice, costituisce
un canone ispirato a criteri di logicità e
ragionevolezza e riveste la natura di
principio immanente nell'ordinamento
generale, che risponde ai criteri di rango
costituzionale di buon andamento ed
imparzialità dell'azione amministrativa.
Conseguentemente, è illegittima la
Commissione giudicatrice composta da un
ingegnere e due geometri sull’assunto che:
<<Solo uno dei componenti la commissione,
l’ingegnere, rivestiva la qualità di esperto
nello specifico settore oggetto
dell’appalto, precisando, altresì, che “i
due geometri dipendenti dell’amministrazione
comunale, invece, non avrebbero potuto
progettare ciò su cui erano chiamati ed
esprimere il proprio giudizio, non potendo
essere considerati esperti nella
progettazione di lavori di mitigazione del
rischio idrogeologico, nel senso richiesto
dall’art. 84, comma 2, del codice dei
contratti pubblici, in quanto la valutazione
di tale attività richiede competenze che
eccedono quanto previsto dall’art. 16 del
r.d. 11.02.1929, n. 274, recante il
regolamento per la professione di geometra,
che stabilisce proprio l’oggetto ed i limiti
dell'esercizio di tale professione. In
particolare tale regolamento all’art. 16,
lett. q), riconosce ai geometri la
possibilità di svolgere mansioni di perito
comunale, ma solo per le funzioni tecniche
ordinarie nei Comuni con popolazione fino a
diecimila abitanti, escludendo i progetti di
opere pubbliche d'importanza o che
implichino la risoluzione di rilevanti
problemi tecnici">>.
Alla luce dell’art. 84, comma 2, del d.lgs.
n. 163 del 2006 e alla luce del citato
regolamento (ndr:
art. 16 del r.d. 11.02.1929, n. 274)
regolante i limiti all’esercizio della
professione di geometra, poiché la
progettazione dei lavori per la mitigazione
del rischio idrogeologico costituisce un’
opera pubblica di sostanziale importanza,
implicante la risoluzione di problemi
tecnici di una certa complessità, due dei
membri della commissione, geometri del
comune, non avrebbero potuto progettare i
lavori in questione e conseguentemente non
avrebbero potuto essere considerati esperti
nello specifico settore oggetto del
contratto e idonei a poter valutare con la
dovuta cognizione e preparazione i progetti
presentati, perché privi del necessario
titolo di studio attestante il possesso
delle specifiche competenze tecniche di tipo
geomorfologico, geotecniche, geologiche e
idrogeologiche e conseguentemente privi
dell’esperienza nel settore>>.
● Rilevato che con sentenza TAR Basilicata
17.05.2010, n. 280:
- è stato accolto il ricorso della Riunione
temporanea di professionisti (R.T.P. )
Giusti, Spicciarelli, D’Amico, Palma, Di
Lucchio, per l’annullamento
dell’aggiudicazione definitiva in favore
della C & G Engineering s.r.l concernente
l’affidamento dell’incarico “per la
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva, direzione lavori e coordinamento
sicurezza (d.lgs. 494/1996) in fase di
progettazione e di esecuzione e direzione
relativamente ai lavori di mitigazione del
rischio idrogeologico in località Cornale”;
- è stato accolto il motivo di doglianza
relativo al lamentato vizio nella
composizione della Commissione giudicatrice,
sull’assunto che in virtù di quanto disposto
dall’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del
2006 i componenti di una Commissione
giudicatrice in una gara di appalto devono
essere in possesso delle capacità tecniche e
professionali adeguate all'importanza
dell'appalto, tali da poterli considerare "periti
peritorum" in relazione ai concreti
aspetti sui quali i medesimi devono
formulare il loro giudizio, e tale capacità
non può che essere desunta dal possesso di
un titolo di studio adeguato e da una
pregressa esperienza nel settore;
- è stato altresì chiarito che: <<la
necessità del possesso in capo ai commissari
dei requisiti tecnici e della
professionalità necessaria a formulare un
giudizio pienamente consapevole, anche in
mancanza di una specifica previsione
concernente la composizione nel dettaglio
della commissione giudicatrice, costituisce
un canone ispirato a criteri di logicità e
ragionevolezza e riveste la natura di
principio immanente nell'ordinamento
generale, che risponde ai criteri di rango
costituzionale di buon andamento ed
imparzialità dell'azione amministrativa (in
tal senso cfr. Consiglio Stato, sez. V,
18.03.2004, n. 1408)>>;
- è stata quindi ritenuta illegittima la
Commissione giudicatrice composta da un
ingegnere e due geometri sull’assunto che:
<<Solo uno dei componenti la commissione,
l’ingegnere, rivestiva la qualità di esperto
nello specifico settore oggetto
dell’appalto, precisando, altresì, che “i
due geometri dipendenti dell’amministrazione
comunale, invece, non avrebbero potuto
progettare ciò su cui erano chiamati ed
esprimere il proprio giudizio, non potendo
essere considerati esperti nella
progettazione di lavori di mitigazione del
rischio idrogeologico, nel senso richiesto
dall’art. 84, comma 2, del codice dei
contratti pubblici, in quanto la valutazione
di tale attività richiede competenze che
eccedono quanto previsto dall’art. 16 del
r.d. 11.02.1929, n. 274, recante il
regolamento per la professione di geometra,
che stabilisce proprio l’oggetto ed i limiti
dell'esercizio di tale professione. In
particolare tale regolamento all’art. 16,
lett. q), riconosce ai geometri la
possibilità di svolgere mansioni di perito
comunale, ma solo per le funzioni tecniche
ordinarie nei Comuni con popolazione fino a
diecimila abitanti, escludendo i progetti di
opere pubbliche d'importanza o che
implichino la risoluzione di rilevanti
problemi tecnici">>;
- è stato pertanto concluso che <<alla
luce dell’art. 84, comma 2, del d.lgs. n.
163 del 2006 e alla luce del citato
regolamento regolante i limiti all’esercizio
della professione di geometra, poiché la
progettazione dei lavori per la mitigazione
del rischio idrogeologico costituisce un’
opera pubblica di sostanziale importanza,
implicante la risoluzione di problemi
tecnici di una certa complessità, due dei
membri della commissione, geometri del
comune, non avrebbero potuto progettare i
lavori in questione e conseguentemente non
avrebbero potuto essere considerati esperti
nello specifico settore oggetto del
contratto e idonei a poter valutare con la
dovuta cognizione e preparazione i progetti
presentati, perché privi del necessario
titolo di studio attestante il possesso
delle specifiche competenze tecniche di tipo
geomorfologico, geotecniche, geologiche e
idrogeologiche e conseguentemente privi
dell’esperienza nel settore>>;
● Considerato che anche con sentenza in
ottemperanza TAR Basilicata 23.03.2011, n.
221, è stato chiarito che un geometra non
potesse far parte della Commissione di gara
in questione e ciò era desumibile
dall’affermazione che: <<le prestazioni
che l’amministrazione intende far salve
(progettazione preliminare e definitiva)
sono frutto di una attività valutativa
invalida, in quanto posta in essere da una
Commissione priva della legittimazione a
giudicare, poiché composta per due terzi da
geometri, che non avevano, in relazione allo
specifico oggetto di gara, le competenze
tecniche necessarie per potere selezionare i
progetti>>;
● Ritenuto, in conclusione, che:
- la formulazione dell’art. 84 del d.lgs. n.
163/2006, anche quando dispone che “La
commissione è presieduta di norma da un
dirigente della stazione appaltante e, in
caso di mancanza in organico, da un
funzionario della stazione appaltante
incaricato di funzioni apicali, nominato
dall’organo competente” non ha inteso
privilegiare e dare priorità in senso
assoluto al requisito dell'inserimento
nell'organico dell'ente appaltante rispetto
a quello del titolo di studio, il quale,
pertanto, deve comunque essere adeguato
rispetto alle prestazioni che dovranno
essere valutate in sede di gara;
- tale interpretazione, contrariamente a
quanto controdedotto dal Comune intimato, è
corroborata dalla formulazione della
disposizione in commento la quale, nel
prevedere che la Commissione sia “di
norma” presieduta da un dipendente della
stazione appaltante (dirigente o, in
mancanza, da un funzionario apicale),
contempla implicitamente la possibilità che
in casi eccezionali- quali quella
verificatasi nella fattispecie di mancanza
di professionalità adeguate nell’organico
dell’ente- il Presidente sia scelto tra
esperti esterni all’amministrazione;
- secondo un’interpretazione analogica per
la nomina di esperti esterni con funzioni di
Presidente della Commissione di gara, in
caso di mancanza di professionalità adeguate
tra i dirigenti o i funzionari in posizione
apicale nell’ente, si applicano sempre i
criteri dettati dall’art. 84, comma 8, del
d.lgs. n. 163/2006;
● Ritenuto, alla luce di tutto quanto sopra
esposto:
- che per realizzare pienamente l’effetto
conformativo della sentenza e quindi
adeguare la situazione di fatto alla
situazione di diritto il Comune intimato,
stante la carenza in organico di adeguate
professionalità, è tenuto a nominare anche
il Presidente della Commissione tra
professionisti esperti nella progettazione
di lavori di mitigazione del rischio
idrogeologico, da scegliersi tra gli
appartenenti ad una delle seguenti
categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di
iscrizione nei rispettivi albi
professionali, nell’ambito di un elenco,
formato sulla base di rose di candidati
fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo,
nell’ambito di un elenco, formato sulla base
di rose di candidati fornite dalle facoltà
di appartenenza;
● Considerato, in accoglimento del ricorso
che:
- a norma dell’art. 114, comma 4, lett. b),
del cod. proc. amm. è dichiarata la nullità
della determina 31.05.2011, n. 126, nella
parte in cui nomina quale componente, nella
qualità di Presidente, della Commissione
giudicatrice per la valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa per
l’affidamento dei lavori in discorso,
nuovamente un geometra nella persona del
Responsabile del Settore Tecnico del Comune
di Episcopia;
- è assegnato all’Amministrazione resistente
il termine di 30 (trenta) giorni decorrenti
dalla comunicazione (o notifica) della
presente sentenza per conformarsi alla
statuizione contenuta nella sentenza, così
come chiarito;
- può disporsi sin da ora, per il caso di
ulteriore inerzia del Comune intimato, la
conferma della nomina di Commissario “ad
acta” nella persona del dott. Fabrizio
D’Andrea, dirigente a.r. della Regione
Basilicata, nato a Roma il 16.04.1940,
residente in Lavello al vico 3 Leonardo da
Vinci, n. 8, perché, decorsi i termini di
adempimento assegnati all’Amministrazione, a
semplice richiesta della parte ricorrente
adotti tutti gli atti necessari a dare
esecuzione, nei sensi sopraindicati, alla
sentenza di cui trattasi nel termine di gg.
30 (trenta) decorrenti dalla scadenza di
quelli già assegnati all’Amministrazione;
● Ritenuto, infine, che:
- l’istanza di condanna del Comune intimato
al pagamento di una somma di denaro per ogni
inosservanza successiva o ritardo
nell’esecuzione del giudicato a norma
dell’art. 114, comma 4, lett. e), è
inammissibile in virtù dei principi del
giusto processo di cui all’art. 2 del cod.
proc. amm., in quanto non contenuta
nell’atto introduttivo della presente fase
di giudizio, ma formulata per la prima volta
all’udienza camerale, alla quale peraltro il
Comune non ha partecipato (il che non ha
consentito la formazione di un pieno
contraddittorio sul punto);
- non può accogliersi la domanda di condanna
dell’amministrazione al pagamento di una
somma di denaro ex art. 26, comma 2, cod.
proc. amm., stante l’assenza di un
consolidato orientamento giurisprudenziale
sul “dictum” della sentenza oggetto
della presente ottemperanza (TAR Basilicata,
sentenza 23.09.2011 n. 479 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul potere di
autocertificazioni riconosciuto al privato
nelle gare di appalto.
Il potere di autocertificazione riconosciuto
al privato nei casi previsti dalla legge non
è svincolato da ogni controllo sulla
veridicità della stessa autocertificazione
da parte della P.A., la quale è tenuta a
verificare la complessiva affidabilità dei
concorrenti nell'aggiudicazione delle gare
di appalto, anche mediante riscontro diretto
dei dati del casellario giudiziario,
essendo, a tal fine, il certificato
richiesto da soggetti diversi
dall'interessato equiparato a quello
richiesto dall'interessato stesso (Corte di
Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 22.09.2011 n. 19364 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Rifiuto da parte della ditta
interessata di stipulare il contratto di
appalto al fine di ottenere condizioni
contrattuali più convenienti rispetto a
quelle del bando. Provvedimenti che può
adottare la P.A. appaltante.
E’ legittima la determinazione con la quale
la stazione appaltante:
a) ha preso atto della rinuncia
all'aggiudicazione effettuata dalla ditta
vincitrice di una gara di appalto;
b) ha dichiarato la sua decadenza
dall'aggiudicazione;
c) ha disposto l'escussione della polizza
fideiussoria e la segnalazione telematica
all'Autorità di Vigilanza contratti pubblici
delle generalità della ditta stessa ai fini
dell'assunzione dei conseguenti
provvedimenti amministrativi sanzionatori,
nel caso in cui la medesima ditta,
nonostante la conoscenza di tutte le
circostanze e le condizioni incidenti
sull'esecuzione della prestazione in gara,
la consapevole e volontaria presentazione
della propria domanda di partecipazione con
la relativa offerta, e la prestazione della
cauzione provvisoria, si sia più volte
sostanzialmente rifiutata di stipulare il
contratto di appalto, condizionando la
stipula alla preventiva modifica delle
condizioni contrattuali in senso
economicamente ad essa più conveniente e/o
favorevole, rispetto a quelle
originariamente fissate nel bando, accettate
con la domanda di partecipazione
(massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 22.09.2011 n. 1373 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Va
abbandonata la concezione esclusivamente
"sanzionatoria" dell'incameramento della
cauzione provvisoria, la quale, invece, deve
essere ricostruita come garanzia della
serietà e affidabilità dell'offerta che
serve a dare alla stazione appaltante un
ragionevole affidamento sul fatto che tutta
l'attività amministrativa di scelta del
contraente non sia spesa inutilmente e
conduca alla stipulazione del contratto
d'appalto.
La giurisprudenza amministrativa, già nella
vigenza dell'articolo 30 della legge
11.02.1994 n. 109, aveva abbandonato una
concezione esclusivamente "sanzionatoria"
dell'incameramento della cauzione
provvisoria, la quale, invece, viene
ricostruita come garanzia della serietà e
affidabilità dell'offerta che serve a dare
alla stazione appaltante un ragionevole
affidamento sul fatto che tutta l'attività
amministrativa di scelta del contraente non
sia spesa inutilmente e conduca alla
stipulazione del contratto d'appalto
(Consiglio Stato, Sez. V, 12.06.2009 n.
3746; 11.05.2009 n. 2885; 11.12.2007 n.
6362; Sez. IV, 20.07.2007 n. 4098;
30.01.2006 n. 288; Sez. V, 09.09.2005 n.
4642; 30.06.2003 n. 3866; TAR Puglia, Bari,
Sez. I, 24.10.2008 n. 2373; TAR Sicilia,
Palermo, Sez. III, 10.03.2010 n. 2646) (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 22.09.2011 n. 1373 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Negli
appalti di servizi non necessità la
dichiarazione ex art. 38 dlgs 163/2006 da
parte del direttore dei lavori, in quanto
figura non obbligatoriamente prevista.
Il Collegio ritiene di dover confermare il
giudizio circa la non necessità –nel caso di
specie- della dichiarazione ex art. 38 dlgs
163/2006 da parte del direttore dei lavori,
in quanto figura non obbligatoriamente
prevista negli appalti di servizi
(conseguentemente, non è illegittima la
lex specialis della gara per non aver
espressamente inserito l’invocata causa di
esclusione) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.09.2011 n. 5321 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Sulla legittimità in una
gara per l'appalto di forniture della
richiesta di accesso da parte del
concorrente agli atti relativi all'acquisto
dei medesimi prodotti effettuato dalla P.A.
in economia.
In una gara per l'appalto di forniture, è
legittima la richiesta di accesso da parte
del concorrente agli atti relativi
all'acquisto dei medesimi prodotti,
effettuato dalla P.A. in economia.
L'interesse alla documentazione deriva
dall'essere soggetto interessato a fornire
il materiale all'azienda e, quindi, a
verificare le eventuali irregolarità della
procedura per proporre un eventuale ricorso
giurisdizionale.
Nessun rilievo ha la circostanza che si
verta in materia di atti di diritto privato,
e ciò in virtù di un consolidato principio,
secondo cui l'accesso riguarda ogni
tipologia di atto della p.a., compresi
quelli regolati dalle norme privatistiche.
Nel caso di specie, il concorrente, in
qualità di azienda operante nel settore cui
si riferisce la fornitura necessaria per la
stazione appaltante, vanta un interesse a
partecipare alle procedure in economia che,
secondo il disposto dell'art. 125, c. 11,
del d.lgs. n. 163/2006, deve essere svolta
nel rispetto dei principi di trasparenza,
rotazione, parità di trattamento, previa
consultazione di almeno cinque operatori
economici, qualora sussistano in tale numero
soggetti idonei.
Rientrando, pertanto, la predetta società
tra i soggetti idonei, la stessa vanta un
interesse a verificare che i criteri di cui
alla citata norma siano stati osservati;
quanto detto basta per fondare un diritto
all'accesso agli atti relativi alle
forniture in economia. Sarà poi sufficiente
presentare una nuova richiesta, per maturare
il diritto ad ottenere la anche la
documentazione relativa alle successive
forniture in economia (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 21.09.2011 n. 2264 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Anche per gli esclusi
accesso agli atti relativi al servizio
appaltato.
Sussiste il diritto di una ditta che ha
partecipato a una gara finalizzata
all'aggiudicazione di un appalto di
fornitura di prodotti, dalla quale e' stata
esclusa e che ha impugnato gli atti della
medesima gara ottenendone la sospensione in
sede cautelare, di accedere agli atti
relativi agli acquisti di identici prodotti,
effettuati dalla P.A. in economia ex art.
125, comma 11, D.Lgs. n. 163/2006,
successivamente alla suddetta sospensione
cautelare.
La ricorrente, partecipante a una gara per
la fornitura e relativo servizio di gestione
di alcuni dispositivi farmaceutici, con
precedente gravame aveva impugnato il
provvedimento di aggiudicazione in favore di
altra ditta, contestualmente chiedendone
l’annullamento, previa sospensione, dello
stesso.
Il menzionato provvedimento di
aggiudicazione, in virtù della sussistenza
di tutti i presupposti ex lege
imposti, veniva sospeso dall’adito TAR.
A seguito di tale pronunciamento, l’azienda
ospedaliera aveva deciso che, nelle more
della decisione di merito, avrebbe
provveduto a fornirsi dei dispositivi
monouso con procedure in economia.
Di conseguenza, la ricorrente chiedeva di
accedere a tutta la documentazione relativa
agli acquisti fatti in economia per
verificare l’eventuale irregolarità della
procedura e promuovere un nuovo ricorso;
accesso, tuttavia, che veniva negato sulla
scorta della considerazione per cui per la
procedura in economia si sarebbe applicato
il principio di rotazione e la
documentazione non era di interesse della
ricorrente in quanto non inerente al ricorso
presentato avverso l’aggiudicazione.
Avverso quest’ultimo provvedimento è insorta
la ditta, la quale ha eccepito la violazione
degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, del
principio di trasparenza dell’azione della
Pubblica Amministrazione, nonché l’eccesso
di potere per difetto di istruttoria e
motivazione e illogicità manifesta; in
particolare ha evidenziato come la richiesta
di accedere alla documentazione relativa
agli acquisti in economia era legittima
anche solo sulla base della qualità di
azienda operante nel settore, avendo una
legittima aspirazione a essere interpellata.
Peraltro, l’azienda sanitaria aveva
equivocato il tenore della richiesta poiché
era stata intesa come esplorativa dei
rapporti commerciali con la ditta
aggiudicataria della gara sospesa, mentre
invero riguardava gli acquisti effettuati
con qualsiasi soggetto.
Difatti, la ricorrente ha sottolineato come
l’interesse alla documentazione era derivato
dall’essere soggetto interessato a fornire
il materiale all’azienda e, così, diretto a
verificare le eventuali irregolarità della
procedura per proporre un ricorso
giurisdizionale; di converso, a suo avviso,
nessun rilievo aveva la circostanza che si
trattasse di atti di diritto privato, stante
il consolidato principio per cui l’accesso
può riguardare ogni tipologia di atto della
P.A., compresi gli atti di diritto privato.
Costituitasi in giudizio, l’Azienda
Ospedaliera eccepiva, in via preliminare, la
litispendenza esistente rispetto ad analoga
istanza presentata dalla ricorrente con atto
motivi aggiunti nel giudizio avverso
l’aggiudicazione della gara per la fornitura
dei dispositivi monouso.
Il Collegio di Milano in primis ha rigettato
la predetta eccezione in rito in quanto
ritenuta non fondata.
Sul punto ha evidenziato come dall’esame del
ricorso per motivi aggiunti presentato
nell’ambito del gravame principale avverso
il provvedimento di aggiudicazione della
gara, non era stata rilevata l’esistenza di
una richiesta di annullamento dell’impugnato
provvedimento di diniego dell’accesso.
Nel merito, ha poi accolto il ricorso.
Ha sottolineato, difatti, come la società
ricorrente, quale azienda operante nel
settore cui si riferiva la fornitura di
quella resistente, vantava un interesse a
partecipare alle procedure in economia che,
ai sensi dell’art. 125, comma 11, D.Lgs. n.
163/2006, doveva essere svolta nel rispetto
dei principi di trasparenza, rotazione,
parità di trattamento, previa consultazione
di almeno cinque operatori economici.
Sicché, rientrando la società tra i soggetti
idonei, è apparso evidente al TAR come la
ditta aveva un interesse a verificare che i
criteri di cui al citato comma 11 dell’art.
125 cit. erano stati osservati: tanto, a
opinione del giudicante, era sufficiente per
fondare un diritto all’accesso agli atti
relativi alle forniture in economia.
Di converso, ha ritenuto non pertinenti gli
argomenti della stazione appaltante riferiti
a precedenti giurisprudenziali tesi a
dimostrare la mancanza di un interesse della
ricorrente a ottenere l’accesso; ha
precisato sul punto come il fatto che l’ente
pubblico non dovesse motivare in modo
puntuale la ragione per cui non aveva
ritenuto di estendere al precedente
affidatario l’invito a partecipare a
procedure negoziate, non giustificava
l’impugnato diniego di accesso agli atti.
Alla stregua di quanto illustrato, il G.A.
lombardo ha accolto il gravame,
contestualmente riconoscendo il diritto
della ditta ad accedere ai documenti
antecedenti la fornitura in economia,
facendo comunque salvo il diritto della
medesima presentare una nuova istanza di
accesso per quelli adottati successivamente
alla predetta fornitura (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 21.09.2011 n. 2264 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto e libera
concorrenza.
Domanda.
Qual è la portata del principio della libera
concorrenza nelle gare d'appalto pubblico?
Risposta.
Nelle gare d'appalto pubblico opera il
principio della libera concorrenza. Tale
principio trova applicazione, in primo
luogo, nella fase della determinazione del
contenuto del contratto oggetto di gara (con
particolare riferimento all'individuazione
delle prestazioni richieste), quindi, in
caso di gara per l'affidamento di un appalto
di fornitura, sussiste il divieto di
introdurre nelle clausole contrattuali
specifiche tecniche che indicano prodotti di
una determinata fabbricazione o provenienza
(art. 68, comma 3, lettera a), del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163).
Divieto che può essere derogato inserendo
nel bando la menzione "o equivalente",
che è però autorizzata solo quando le
Amministrazioni non possano fornire una
descrizione dell'oggetto dell'appalto
mediante specifiche tecniche
sufficientemente precise, o formulando la "lex
specialis" in termini funzionali (art.
68, comma 3, lettera b) e lettera c), del
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163).
Il principio di equivalenza ha infatti la
funzione di garantire e promuovere la
maggior apertura concorrenziale tanto
nell'ambito del singolo procedimento di
affidamento (il che si collega col
tradizionale principio del favor
partecipationis nelle gare pubbliche),
quanto nel generale mercato degli appalti
pubblici ed è riconosciuto esplicitamente,
sul piano legislativo, dai commi 4 e 7
dell'art. 68 del Codice dei Contratti
Pubblici (20.09.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI: P.
Leozappa,
IL DIVIETO DI RIBASSO D’ASTA SUL COSTO DEL
LAVORO - Intervento al Convegno:
Il decreto sviluppo è legge. Con modifiche,
e quindi con problemi applicativi -
organizzato da IGI in Roma il 20.09.2011 (link
a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: G.
Guidarelli,
IL REGIME DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI DI
IMPORTO INFERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA
NEL SETTORE DELLA GESTIONE DELLE
INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI, TRA CODICE DEI
CONTRATTI E REGOLAMENTAZIONE INTERNA ALLA
STAZIONE APPALTANTE - articolo
estratto e aggiornato dalla Rivista
Trimestrale degli Appalti, n. 4/2010,
1181-1223 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: G.
Marchianò,
L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO E LA FINANZA
DI PROGETTO: UN METODO ALTERNATIVO DI
ANALISI (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
Se la stazione appaltante ci
ripensa scatta la responsabilità
precontrattuale.
Sussiste la
responsabilità precontrattuale di un Comune,
che abbia proceduto alla revoca di una
procedura di gara a distanza di lungo tempo
dalla pubblicazione del bando, e
successivamente alla fase di valutazione
delle offerte tecniche. L'illiceita'
riferibile al comportamento complessivo
dell'Amministrazione, che assume, con
ingiustificato ritardo, una pur legittima
determinazione di revoca della gara,
violando l'affidamento dei concorrenti.
Il Comune di Apricena indiceva una gara per
l'affidamento del servizio di raccolta dei
rifiuti urbani ed assimilati, raccolta
differenziata, spazzamento stradale ed altri
servizi accessori nel territorio comunale.
Successivamente, dopo ben nove mesi, quando
la procedura di gara era giunta alla fase di
valutazione delle offerte tecniche, il
Comune, con deliberazione di Giunta, forniva
al dirigente competente l'indirizzo di
revocare il bando, sulla base della seguente
motivazione: "... Atteso che in sede di
predisposizione dell'erigendo bilancio 2008
ed a seguito di una attenta comparazione dei
costi e dei relativi benefici si è ravvisata
la insostenibilità dei relativi costi,
tenuto anche in considerazione l'aumento di
spesa per il conferimento in discarica,
attualmente ancora quella di Deliceto, non
sbloccandosi la situazione connessa
all'individuazione e realizzazione di un
nuovo sito di conferimento più vicino".
Sulla base di tale indirizzo, il dirigente
revocava il bando e l'indetta gara e
procedeva all'indizione di una nuova gara.
L'impresa A. srl, ammessa alla prima gara,
impugna il provvedimento di revoca,
lamentando di aver subito un danno, a titolo
di responsabilità precontrattuale, in
conseguenza del provvedimento medesimo.
In buona sostanza, l'impresa evidenzia che
il Comune non si è comportato da corretto
contraente, cagionando un danno, correlato
alle spese sostenute per la partecipazione
alla gara, alla perdita di altre occasioni
contrattuali ed alla mancata qualificazione
in vista della partecipazione ad altre gare
del medesimo settore.
In linea generale e sintetica, l'autotutela
può essere definita come la speciale
capacità riconosciuta dall'ordinamento alla
Pubblica Amministrazione di attuare,
autoritativamente, le proprie
determinazioni, dirette al perseguimento di
interessi pubblici, di difendere da se
stessa i propri beni, e di effettuare,
soprattutto, un riesame critico della
propria attività provvedimentale.
Ciò in vista dell'esigenza di assicurare il
più efficace perseguimento dei pubblici
interessi.
Nel settore dei pubblici contratti, per
costante ed univoca giurisprudenza, ed in
conformità ai presupposti ora illustrati,
l'amministrazione può procedere al riesame,
all'annullamento d'ufficio ed alla revoca
degli atti adottati.
La giurisprudenza medesima, tuttavia,
evidenzia l'assoluta necessità che i
provvedimenti di autotutela contengano
un'esplicita ed esaustiva motivazione,
illustrante le ragioni di pubblico
interesse, che stanno a fondamento
dell'agire amministrativo in sede di ritiro.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II, nell'importante
sentenza 07.07.2006 n. 5540,
aderisce pienamente all'unanime indirizzo
giurisprudenziale, ponendo, correttamente e
giustamente, in evidenza i seguenti profili
di motivazione:
a) la revoca deve essere preceduta
dall'avvio di specifico procedimento;
b) la revoca "non può assumere la forma
implicita", ma deve essere congruamente
esplicitata;
c) la stazione appaltante deve puntualmente
motivare la revoca;
d) la motivazione dell'atto di revoca non
può desumersi per relationem dalla
documentazione predisposta per la nuova
procedura di gara, successivamente indetta;
e) occorre effettuare, in sede di
provvedimento di revoca, la comparazione dei
vari interessi in gioco, tale da
giustificare il ritiro degli atti di gara.
Ora, il Tar Lazio, nella pronuncia in esame,
prende in considerazione un aspetto
intimamente connesso alla revoca del bando e
della gara: la possibile presenza di effetti
civilistici di responsabilità
precontrattuale in capo alla stazione
appaltante, pur in presenza di un legittimo
"ripensamento" della medesima.
Primariamente, il Tar ricorda che
costituisce solido principio la
considerazione, secondo la quale la
legittimità dell'atto di revoca
dell'aggiudicazione di una gara di appalto
non elimina il profilo relativo alla
valutazione del comportamento
dell'Amministrazione, con riguardo al
rispetto dei canoni di buona fede e
correttezza, nell'ambito del procedimento di
gara medesimo.
A tal riguardo, va osservato che l'espressa
previsione, contenuta nell'art.
21-quinquies, L. n. 241 del 1990,
dell'obbligo di indennizzare il privato, per
eventuali pregiudizi subiti in conseguenza
della revoca, non fa venir meno la possibile
responsabilità della stazione appaltante per
violazione dell'obbligo di buona fede nelle
trattative che conducono alla conclusione
del contratto di appalto.
Fra l'altro, non può costituire impedimento
al riconoscimento della responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante la
mancata impugnazione del provvedimento di
revoca, purché sia provato che l'elusione
delle aspettative della società ricorrente,
seppure non intenzionale, è colposa e
contraria ai canoni di correttezza e buona
fede nella formazione del contratto.
Pertanto, secondo i giudici amministrativi
pugliesi, la responsabilità precontrattuale
per la revoca della gara può sempre
ritenersi configurabile, allorquando il
pubblico interesse, cui è istituzionalmente
legato l'ente, venga attuato attraverso un
comportamento obbiettivamente lesivo dei
doveri di lealtà e buona fede.
In tal modo, anche in presenza di un
legittimo provvedimento di revoca, può
residuare e sussistere un profilo di
responsabilità precontrattuale, con connesso
obbligo di risarcimento del danno, in
ragione dei legittimi affidamenti suscitati
in favore degli operatori economici
partecipanti alla gara.
Chiariti tali noti principi, il Tar procede
ad affrontare la delicata questione della
necessarietà o meno della presenza della
colpa, ai fini della configurabilità della
responsabilità precontrattuale.
In altri termini, ai fini di tale
responsabilità, occorre la sussistenza di
una condotta colposa in capo alla stazione
appaltante?
In merito, il Tar ricorda che la
giurisprudenza comunitaria ha, di recente,
escluso la necessità di accertare la
componente soggettiva dell'illecito, sulla
base della considerazione che le direttive
comunitarie in materia di ricorsi sono
contrarie ad una normativa processuale
nazionale, che subordini il diritto ad
ottenere il risarcimento al carattere
colpevole di una data condotta posta in
essere dalla stazione appaltante.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
recente
sentenza 24.02.2011 n. 1193, ha
recepito tale orientamento, ritenendo che
non vi è alcuna necessità di accertare la
componente soggettiva dell'illecito.
Tuttavia, i giudici amministrativi pugliesi
ritengono di discostarsi dall'autorevole
precedente, in quanto "la nuova regola
della responsabilità oggettiva in materia di
appalti pubblici deve trovare applicazione
puntuale e rigorosa per il solo ambito
indicato dal giudice comunitario, senza
possibilità di effetto espansivo ad ogni
fenomeno di condotta illecita posta in
essere dall'Amministrazione".
Di conseguenza, occorre procedere
all'analisi puntuale delle condotte poste in
essere dalla stazione appaltante, in quanto
appare evidente, prima facie, che
l'illiceità civile è riferibile al
comportamento complessivo
dell'Amministrazione, che ha assunto, con
ingiustificato ritardo, una pur legittima
determinazione di revoca della gara,
violando l'affidamento dei concorrenti.
Pertanto, venendo alla concreta fattispecie,
il Tar rileva che il Comune ha adottato la
deliberazione giuntale di revoca a distanza
di ben nove mesi dalla pubblicazione del
bando di gara.
Ora, non può non apparire evidente che il
decorso di un tempo così lungo costituisce,
di per sé, sintomo di negligenza e di
cattiva amministrazione, dal momento che le
procedure di gara devono essere gestite e
poste in conclusione con ragionevole
celerità, evitando inutili rallentamenti.
Ciò, anche al fine di evitare che eventi
sopravvenuti possano alterare le condizioni
tecnico-economiche fissate nei bandi e
capitolati di gara. Inoltre, i giudici
osservano che le motivazioni, poste a
fondamento della revoca, riguardano aspetti
di convenienza economica e di sostenibilità
dei costi, che potevano, verosimilmente, già
essere ben noti, facendo uso di normale
diligenza.
In altri termini, il provvedimento di revoca
non presenta alcun evento nuovo ed
imprevedibile, non imputabile all'ente ed
idoneo ad incidere realmente sulla
fattibilità economica dell'affidamento. Fra
l'altro, in una recente sentenza in tema di
revoca dell'aggiudicazione provvisoria, il
TAR Lazio-Roma (Sez. II,
sentenza 19.09.2011 n. 7428) si è
intrattenuto proprio sulla carenza
motivazionale del provvedimento
deliberativo, affermando che "in materia
di contratti pubblici, dopo la pronuncia
dell'aggiudicazione provvisoria,
l'emanazione del provvedimento di revoca, da
parte della Pubblica amministrazione, deve
essere condizionata da limiti rigorosi ed
assistita da maggior cautela.
Ciò, in nome dei principi di tutela
dell'affidamento e della certezza del
diritto nei traffici".
I giudici amministrativi pugliesi non
trascurano, affatto, l'esame della
motivazione di revoca e rilevano che manca
l'illustrazione del "nesso causale tra
l'asserito maggior costo per il conferimento
nella discarica di Deliceto e la decisione
del Comune di abbandonare la gara in corso
per la selezione del concessionario del
servizio di igiene urbana".
Pertanto, in presenza di una chiara condotta
colpevole, è indubbia la responsabilità
precontrattuale del Comune, con conseguente
condanna alle spese effettivamente sostenute
in vista della conclusione dell'affare
(danno emergente) ed alle occasioni
contrattuali perse per aver confidato
nell'impegno assunto (lucro cessante)
(commento tratto da www.ispoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici e
autotutela della pubblica amministrazione:
limiti di esercizio più rigorosi.
In materia di contratti
pubblici, dopo la pronuncia
dell’aggiudicazione provvisoria,
l’emanazione del provvedimento di revoca da
parte della pubblica amministrazione deve
essere condizionata da limiti più rigorosi
ed assistita da maggior cautela. Ciò in nome
dei principi di tutela dell’affidamento e
della certezza del diritto nei traffici.
In tali termini si è espresso il TAR
Lazio-Roma, Sez. II, nella
sentenza 19.09.2011 n. 7428.
Il legittimo affidamento, si chiarisce,
postula la necessità di salvaguardare le
situazioni di soggetti privati che,
confidando nella legittimità dell’atto
rimosso, hanno acquisito il consolidamento
delle posizioni di vantaggio loro attribuite
da questo. Secondo consolidata
giurisprudenza, può considerarsi legittimo
il travolgimento di tali posizioni solo se
esso è giustificato dalla necessità di
assicurare il soddisfacimento di un
interesse, pubblico, di carattere generale
e, come tale, prevalente sulle posizioni
individuali, dandone adeguato conto nella
motivazione del provvedimento di rimozione,
affinché ne sia consentito il controllo di
legittimità in sede giurisdizionale (cfr.
Cons. Stato, sent. 5444/2003).
Non può, pertanto, l’amministrazione, sulla
semplice scorta di una nuova valutazione di
opportunità, decidere di revocare in
autotutela il provvedimento di
aggiudicazione provvisoria, posto che la
procedimentalizzazione pubblicistica delle
trattative preliminari ha la funzione:
a) di vincolare via via sempre più (e sempre
più specificamente) l’Amministrazione, al
fine di evitare che il potere amministrativo
si traduca in arbitrio (e di assicurare che
la nascita dell’obbligazione a suo carico
sorga in forza di regole “ad evidenza
pubblica” o atte ad assicurare la
trasparenza e l’imparzialità dell’azione
pubblica);
b) e non già di creare un sistema nel quale
solamente il contraente privato sia
assoggettato ad obblighi.
E che, pertanto, ritiene il collegio, i
provvedimenti con cui si chiudono le varie
fasi sub-procedimentali sono costitutivi di
effetti obbligatori a carico la della
pubblica amministrazione, né più né meno di
come opererebbero veri e propri contratti
preliminari.
Nel caso di specie, viene conseguentemente
dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di
concludere il procedimento in conformità e
coerenza con le precedenti fasi, tenuto
conto dell’intervenuta aggiudicazione
provvisoria e del conseguente avvenuto
perfezionamento dell’obbligazione di
alienare l’immobile alla sola condizione
dell’esito positivo delle verifiche relative
alla sussistenza, in capo all’offerente
(promissario acquirente) dei requisisti
previsti dal bando (commento tratto da
www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le regole contenute
nella lex specialis di una gara pubblica
devono considerarsi vincolanti non solo per
i partecipanti, ma anche per la stessa
Amministrazione appaltante, che non conserva
alcun margine di discrezionalità nella loro
concreta attuazione, non potendo
disapplicarle neppure nel caso in cui talune
di esse risultino inopportunamente o
incongruamente formulate, salva la sola
possibilità di far luogo, nell'esercizio del
potere di autotutela, all'annullamento del
bando. Orbene, siffatto rigore formale
risponde, per un verso, ad esigenze pratiche
di certezza e celerità, e per altro verso
alla necessità di garantire l'imparzialità
dell'azione amministrativa, nonché la parità
di condizioni tra i concorrenti. Ne deriva
che solo in presenza di una equivoca
formulazione della lettera di invito o bando
di gara può ammettersi una interpretazione
diversa da quella letterale.
In materia di appalti pubblici, la lex
specialis vincola la stazione appaltante
anche laddove, successivamente, si riveli
incongruamente formulata. In ordine
all'interpretazione delle clausole del
bando, si rileva come sia necessario dare
prevalenza alle espressioni letterali
contenutevi, escludendo ogni procedimento
ermeneutico in funzione integrativa diretto
ad evidenziare pretesi significati e ad
ingenerare incertezze nell'applicazione, con
la conseguenza che il significato oggettivo
delle espressioni testuali adoperate deve
prevalere sull'intenzione soggettiva della
stazione appaltante. E', dunque, preclusa, a
garanzia della certezza e dell'imparzialità
dell'Amministrazione, qualsiasi diversa
esegesi delle clausole in parola.
Questo
Consiglio ha da tempo osservato che le
regole contenute nella lex specialis
di una gara vincolano non solo i
concorrenti, ma anche la stessa
Amministrazione, che non conserva alcun
margine di discrezionalità nella loro
concreta attuazione, non potendo
disapplicarle neppure nel caso in cui talune
di esse risultino inopportunamente o
incongruamente formulate, salva la sola
possibilità di far luogo, nell'esercizio del
potere di autotutela, all'annullamento del
bando. Il rigore formale che caratterizza la
disciplina delle procedure di gara risponde,
per un verso, ad esigenze pratiche di
certezza e celerità, e per altro verso alla
necessità di garantire l'imparzialità
dell'azione amministrativa e la parità di
condizioni tra i concorrenti, da ciò
scaturendo la conseguenza che solo in
presenza di una equivoca formulazione della
lettera di invito o bando di gara può
ammettersi una interpretazione diversa da
quella letterale (cfr. C.d.S., V,
02.08.2010, n. 5075).
Le preminenti esigenze di certezza connesse
allo svolgimento delle procedure concorsuali
di selezione dei partecipanti impongono di
ritenere di stretta interpretazione le
clausole del bando di gara, delle quali va
preclusa qualsiasi esegesi non giustificata
da un'obiettiva incertezza del loro
significato; parimenti, si devono reputare
comunque preferibili, a tutela
dell'affidamento dei destinatari, le
espressioni letterali delle previsioni da
chiarire, evitando che il procedimento
ermeneutico conduca all'integrazione delle
regole di gara palesando significati del
bando non chiaramente desumibili dalla sua
lettura testuale (C.d.S., IV, 05.10.2005, n.
5367; V, 15.04.2004, n. 2162).
Nell'interpretazione delle clausole del
bando per l'aggiudicazione di un contratto
della P.A. deve darsi, pertanto, prevalenza
alle espressioni letterali in esse
contenute, escludendo ogni procedimento
ermeneutico in funzione integrativa diretto
ad evidenziare pretesi significati e ad
ingenerare incertezze nell'applicazione
(C.d.S., V, 30.08.2005, n. 4413).
Tutte le disposizioni che in qualche modo
regolano i presupposti, lo svolgimento e la
conclusione della gara, siano esse contenute
nel bando ovvero nella lettera d'invito e
nei loro allegati (capitolati, convenzioni e
simili), concorrono a formarne la disciplina
e ne costituiscono, nel loro insieme, la
lex specialis, per cui, in caso di
oscurità ed equivocità, un corretto rapporto
tra Amministrazione e privato, che sia
rispettoso dei principi generali del buon
andamento dell'azione amministrativa e di
imparzialità e di quello specifico enunciato
nell'art. 1337 c.c. (dovere di buona fede
delle parti nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del
contratto), impone che di quella disciplina
sia data una lettura idonea a tutelare
l'affidamento degli interessati,
interpretandola per ciò che essa
espressamente dice, e restando il
concorrente dispensato dal ricostruire,
attraverso indagini ermeneutiche ed
integrative, ulteriori ed inespressi
significati (C.d.S., V, 01.03.2003, n.
1142).
La formulazione della lettera di invito non
può essere interpretata sulla base delle
intenzioni della stazione appaltante, ma
deve essere letta secondo il suo significato
oggettivo (VI, 04.08.2006, n. 4764).
I canoni di interpretazione di una lettera
di invito, così come delle clausole dei
bandi di concorso, non sono quelli delle
fonti indicate negli art. 12 ss. delle
disposizioni sulla legge in generale
premesse al codice civile, bensì quelli
desunti dagli art. 1362 ss. del codice
anzidetto, attesa la natura della volontà
espressa, assumibile nella nozione generale
del negozio giuridico. Non trova
applicazione neppure la c.d. interpretazione
autentica, quale quella derivante da
precisazioni postume (V, 10.01.2007, n. 37;
VI, 17.12.2008, n. 6281).
In sintesi, dunque:
- la Stazione appaltante è vincolata dalla
lex specialis che si è data, anche
ove –per ipotesi- questa abbia a rivelarsi,
remelius perpensa, incongruamente
formulata;
- nell'interpretazione delle clausole del
bando deve darsi prevalenza alle espressioni
letterali contenutevi, escludendo ogni
procedimento ermeneutico in funzione
integrativa diretto ad evidenziare pretesi
significati e ad ingenerare incertezze
nell'applicazione, palesando significati non
chiaramente desumibili dalla lettura della
formulazione del bando;
- il significato oggettivo delle espressioni
testuali adoperate prevale sull’intenzione
soggettiva della Stazione appaltante;
- a garanzia della certezza e
dell’imparzialità dell’Amministrazione, va
preclusa qualsiasi diversa esegesi delle
clausole del bando, che non sia giustificata
da un'obiettiva incertezza del loro
significato
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 19.09.2011 n. 5282 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le regole contenute
nella lex specialis di gara vincolano non
solo i concorrenti, ma la stessa
Amministrazione.
Il concorrente non può ricostruire,
attraverso indagini ermeneutiche ed
integrative, ulteriori ed inespressi
significati della disciplina di gara.
Le regole contenute nella lex specialis
di gara vincolano non solo i concorrenti, ma
la stessa Amministrazione, la quale non
conserva alcun margine di discrezionalità
nella loro concreta attuazione, non potendo
disapplicarle neppure nel caso in cui esse
risultino inopportunamente formulate, salva
la possibilità di far luogo, nell'esercizio
del potere di autotutela, all'annullamento
del bando. Il rigore formale che
caratterizzante la disciplina delle
procedure di gara risponde, per un verso, ad
esigenze pratiche di certezza e celerità, e
per altro verso alla necessità di garantire
l'imparzialità dell'azione amministrativa e
la par condicio tra i concorrenti; pertanto,
solo in presenza di un'equivoca formulazione
della lettera di invito o bando di gara, può
ammettersi un'interpretazione diversa da
quella letterale. Nell'interpretazione delle
clausole del bando per l'aggiudicazione di
un contratto della P.A. deve darsi, dunque,
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute, escludendo ogni procedimento
ermeneutico in funzione integrativa diretto
ad evidenziare pretesi significati e ad
ingenerare incertezze nell'applicazione.
Tutte le disposizioni che regolano i
presupposti, lo svolgimento e la conclusione
della gara, concorrono a formarne la
disciplina e ne costituiscono, nel loro
insieme, la lex specialis, per cui,
in caso di oscurità ed equivocità, un
corretto rapporto tra P.A. e privato, che
sia rispettoso dei principi generali del
buon andamento dell'azione amministrativa e
di imparzialità, nonché del dovere di buona
fede delle parti nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto,
ex art. 1337 c.c., impone che di quella
disciplina sia data una lettura idonea a
tutelare l'affidamento degli interessati,
interpretandola per ciò che essa
espressamente dice, e restando il
concorrente dispensato dal ricostruire,
attraverso indagini ermeneutiche ed
integrative, ulteriori ed inespressi
significati (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.09.2011 n. 5282 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
È nulla la clausola che
violi la disciplina legislativa sulla
revisione dei prezzi di gara.
In questa pronuncia, il principale argomento
addotto dalla ditta ricorrente, affidataria
dell’esecuzione di lavori di
ristrutturazione e trasformazione di due
edifici della ex struttura ospedaliera
cittadina, riguardava una clausola, in sé
alquanto ambigua: essa veniva intesa
dall’appaltatore nel senso che il Comune si
sarebbe impegnato ad assicurare una
revisione dei prezzi retroattiva.
I giudici del Consiglio di Stato osservano,
tuttavia, che una simile interpretazione
comporterebbe la nullità della clausola per
violazione della disciplina legislativa
dell’istituto revisionale, regime le cui
previsioni, non sono derogabili
dall’autonomia privata. Gli stessi giudici
rammentano, infatti, che l’art. 33 della L
28/02/1986 n. 41, dopo avere escluso la
possibilità di procedere alla revisione dei
prezzi per i lavori relativi ad opere
pubbliche aventi durata inferiore all'anno,
per quelli aventi durata superiore ammette
la revisione (a decorrere dal secondo anno
successivo alla aggiudicazione, e con
esclusione dei lavori già eseguiti nel primo
anno e dell'intera anticipazione ricevuta)
quando, però, l'Amministrazione riconosca
che l'importo complessivo della prestazione
sia aumentato o diminuito in misura
superiore al 10 per cento “per effetto di
variazioni dei prezzi correnti intervenute
successivamente alla aggiudicazione stessa”.
I giudici di Palazzo Spada, inoltre,
sottolineano come un uniforme orientamento
giurisprudenziale escluda in materia di
revisione prezzi la derogabilità della
regolamentazione legale, alla quale viene
riconosciuta valenza imperativa.
Ad esempio, nella pronuncia Cass. Civ., I,
24.02.1994, n. 1876, si legge quanto segue:
“L'art. 2 della L. n. 37 del 1973
dispone: "... la facoltà di revisione dei
prezzi è ammessa, secondo le norme che la
regolano, con esclusione di qualsiasi patto
contrario o in deroga": vuol dire che, a
decorrere almeno dalla data di entrata in
vigore di questa legge, la facoltà (ora
soppressa ex art. 3 d.l. 333/1992,
convertito nella L. 359/1992)
dell'amministrazione appaltante (o
concedente) di procedere alla revisione dei
prezzi non ammetteva, sotto qualsiasi
profilo, deroghe pattizie, nel senso,
esplicitando, che la revisione non poteva
essere preventivamente esclusa o,
all'opposto, resa obbligatoria (Cass.
5333/1980, Cass. 4288/1992, Cass. 4088-1985,
Cass. 4099/1987), né essere regolata con
modalità difformi, in tutto o in parte, dal
regime legale.
Di qui la nullità (attesa la pacifica
imperatività della norma sotto esame) delle
pattuizioni derogative (sostituite, perciò,
di diritto, ex art. 1339 c.c., dalla
disciplina legale), quale che ne fosse il
contenuto e, quindi, anche se attinenti non
all'an ma al quantum della revisione e, in
particolare, alla base del relativo computo,
dato che l'art. 2 cit., rinviando, senza
distinzione alcuna, alle norme (tutte) che
regolavano l'istituto, non consentiva di
degradare a norme dispositive quelle
riguardanti il modo di determinare l'importo
revisionale, …” (tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 19.09.2011 n. 5280 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Per legittimare
l'adozione dell'informativa prefettizia è
sufficiente che emergano elementi indiziari
che considerati nell'insieme rendano
attendibile l'ipotesi del tentativo di
ingerenza da parte delle organizzazioni
criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento
giustificata dalla finalità preventiva
sottesa al provvedimento interdittivo,
comporta che il Prefetto possa ravvisare
l'emergenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa in fatti in sé e per sé privi
dell'assoluta certezza.
- L'informativa sulla sussistenza dei
tentativi di infiltrazione mafiosa che, ai
sensi dell'art. 4 d.lgs. 08.08.1994 n. 490 e
dell'art. 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252,
preclude la stipulazione di contratti con le
pubbliche amministrazioni, non presuppone
l'accertamento di responsabilità penali in
capo ai titolari dell'impresa sospettata,
essendo sufficiente che dalle informazioni,
acquisiste tramite gli organi di polizia, si
evinca un quadro indiziario sintomatico del
pericolo di collegamento tra l'impresa e la
criminalità organizzata. A legittimare
l'adozione dell'informativa prefettizia è
pertanto sufficiente che, ad esito della
istruttoria, emergano elementi indiziari
che, complessivamente considerati, rendano
attendibile l'ipotesi del tentativo di
ingerenza da parte delle organizzazioni
criminali.
Il parametro valutativo di tali elementi
indiziari non è dunque quello della
certezza, ma quello della qualificata
probabilità di infiltrazione mafiosa e nel
rendere le informazioni richieste dal comune
ai sensi dell'art. 10, c. 7, lett. c),
d.P.R. 03.06.1998 n. 252, il Prefetto non
deve basarsi su specifici elementi, ma deve
effettuare la propria valutazione sulla
scorta di uno specifico quadro indiziario,
ove assumono rilievo preponderante i fattori
induttivi della non manifesta infondatezza
che i comportamenti e le scelte
dell'imprenditore possano rappresentare un
veicolo di infiltrazione delle
organizzazioni criminali negli appalti delle
pubbliche amministrazioni.
- L'ampiezza dei poteri di accertamento
giustificata dalla finalità preventiva
sottesa al provvedimento interdittivo,
comporta che il Prefetto possa ravvisare
l'emergenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa in fatti in sé e per sé privi
dell'assoluta certezza, che tuttavia, nel
loro coacervo, siano tali da fondare un
giudizio di possibilità che l'attività
d'impresa possa, anche in maniera indiretta,
agevolare le attività criminali o esserne in
qualche modo condizionata per la presenza,
nei centri decisionali, o comunque per la
colleganza, di soggetti legati ad
organizzazioni malavitose. In sostanza non
si postula quale condizione per
l'applicabilità delle disposizioni in
parola, che ci si trovi al cospetto di una
impresa criminale posseduta o gestita o
controllata da soggetti dediti ad attività
criminali, ma che vi sia la possibilità che
essa possa, anche in via indiretta, favorire
la criminalità.
Pertanto, la circostanza che, nel caso di
specie, vi sia un collegamento economico
legato a partecipazione societarie tra
soggetti incensurati e soggetti facenti
parte o comunque nell'orbita di sodalizi
criminali, con le connesse frequentazioni e
relazioni interpersonali, è indicatore
tipico di rischio di infiltrazioni mafiose
nell'impresa, rilevanti ai fini della
adozione della interdittiva antimafia,
potendosi desumere, secondo dati di comune
esperienza, non una attuale ingerenza delle
organizzazioni mafiose negli affari della
impresa, ma una effettiva possibilità o
meglio un rischio che tale ingerenza
sussista (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.09.2011 n. 5262 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Deve essere escluso da
una gara il concorrente che abbia redatto
l'offerta in modo difforme dal disciplinare
di gara.
Secondo un consolidato principio
giurisprudenziale, è legittima e doverosa il
provvedimento di esclusione da una gara,
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia
redatto l'offerta in modo difforme dal
disciplinare di gara il quale, prescrivendo
l'indicazione del ribasso percentuale in
cifre ed in lettere, sancisca espressamente
l'esclusione in caso di violazione di tale
onere formale, non essendo consentito alla
commissione di ammettere l'offerta difforme
attraverso un'illegittima disapplicazione
della lex specialis della procedura,
con conseguente violazione della par
condicio dei concorrenti.
Nell'ottica del favor partecipationis
e del superamento di prassi eccessivamente
formalistiche, la giurisprudenza ha
affermato che la circostanza che un
concorrente, in sede di presentazione
dell'offerta, abbia indicato soltanto in
cifre e non anche in lettere la percentuale
di ribasso, non può costituire motivo di
esclusione dalla gara, laddove l'offerta
economica contenga comunque la doppia
indicazione, in cifre e in lettere, di tutti
i singoli prezzi unitari, sì che non possa
ingenerarsi alcuna incertezza sulla
consistenza dell'offerta stessa.
Ne consegue che, nel caso di specie, poiché
il raggruppamento ricorrente ha del tutto
omesso di indicare i prezzi in lettere, così
violando la chiara previsione del
disciplinare di gara, che non è suscettibile
di interpretazione diversa da quella
letterale, l'Amministrazione avrebbe dovuto
senz'altro disporne l'esclusione (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 19.09.2011 n. 1370 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: E'
legittima e doverosa l’esclusione
dell’impresa che abbia redatto l’offerta in
modo difforme dal disciplinare di gara che,
prescrivendo l’indicazione del ribasso
percentuale in cifre ed in lettere, sancisca
espressamente l’esclusione in caso di
violazione di tale onere formale, non
essendo consentito alla commissione di gara
di ammettere l’offerta difforme attraverso
un’illegittima disapplicazione della lex
specialis della procedura, con violazione
della par condicio dei concorrenti.
Nell’ottica del favor partecipationis e del
superamento di prassi eccessivamente
formalistiche, la giurisprudenza ha
affermato che la circostanza che un
concorrente, in sede di presentazione
dell’offerta, abbia indicato soltanto in
cifre e non anche in lettere la percentuale
di ribasso, non può costituire motivo di
esclusione dalla gara, laddove l’offerta
economica contenga comunque la doppia
indicazione, in cifre e in lettere, di tutti
i singoli prezzi unitari, sì che non possa
ingenerarsi alcuna incertezza sulla
consistenza dell’offerta stessa. Ma, nel
caso in esame, il raggruppamento ricorrente
ha del tutto omesso di indicare i prezzi in
lettere, così violando la chiara previsione
del disciplinare di gara, che non è
suscettibile di interpretazione diversa da
quella letterale, con l’effetto che
l’Amministrazione avrebbe dovuto senz’altro
disporne l’esclusione.
Ai sensi dell’art. 2.5 del disciplinare di
gara, l’offerta economica doveva “…
riportare, pena esclusione, tutte le
indicazioni di prezzo, in cifre e in
lettere, sulla base di quanto indicato
nell’allegato G”.
Nell’allegato G il corrispettivo offerto dai
concorrenti era scomposto in un analitico
elenco di sottovoci di spesa unitarie, per
ciascuna delle quali doveva essere formulata
una specifica proposta, risolvendosi così
(per la componente economica) in una vera e
propria offerta per prezzi unitari.
Secondo la lex specialis di gara,
dunque, l’indicazione in lettere dei prezzi
unitari era elemento essenziale dell’offerta
economica, tesa preservarne la chiarezza per
il caso di eventuali equivocità
nell’indicazione dei prezzi unitari in
cifre.
Secondo un principio già affermato da questa
Sezione, è legittima e doverosa l’esclusione
dell’impresa che abbia redatto l’offerta in
modo difforme dal disciplinare di gara che,
prescrivendo l’indicazione del ribasso
percentuale in cifre ed in lettere, sancisca
espressamente l’esclusione in caso di
violazione di tale onere formale, non
essendo consentito alla commissione di gara
di ammettere l’offerta difforme attraverso
un’illegittima disapplicazione della lex
specialis della procedura, con
violazione della par condicio dei
concorrenti (così TAR Puglia, Bari, sez. I,
02.04.2003 n. 1543).
Né rileva, in senso contrario, la
giurisprudenza invocata in sede di replica
dalla difesa di parte ricorrente (Cons.
Stato, sez. V, 10.11.2003 n. 7134; Id., sez.
V, 01.03.2005 n. 778), che a ben vedere è
riferita a fattispecie nelle quali il bando
di gara, diversamente che nella procedura
qui esaminata, comminava l’esclusione in
termini generici ed onnicomprensivi per
tutti gli adempimenti formali relativi al
confezionamento dell’offerta.
Del resto, proprio nell’ottica del favor
partecipationis e del superamento di
prassi eccessivamente formalistiche, la
giurisprudenza ha affermato che la
circostanza che un concorrente, in sede di
presentazione dell’offerta, abbia indicato
soltanto in cifre e non anche in lettere la
percentuale di ribasso, non può costituire
motivo di esclusione dalla gara, laddove
l’offerta economica contenga comunque la
doppia indicazione, in cifre e in lettere,
di tutti i singoli prezzi unitari, sì che
non possa ingenerarsi alcuna incertezza
sulla consistenza dell’offerta stessa (così,
in termini del tutto condivisibili, Cons.
Stato, sez. VI, 15.01.2004 n. 106).
Ma, nel caso in esame, il raggruppamento
ricorrente ha del tutto omesso di indicare i
prezzi in lettere, così violando la chiara
previsione del disciplinare di gara, che non
è suscettibile di interpretazione diversa da
quella letterale, con l’effetto che
l’Amministrazione avrebbe dovuto senz’altro
disporne l’esclusione (TAR Puglia-Bari, Sez.
I,
sentenza 19.09.2011 n. 1370 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Lombardo,
La governance delle società a controllo
pubblico: riflessioni a margine della nuova
disciplina normativa dei servizi pubblici
locali (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
F. Scura,
La "nuova" disciplina dei servizi pubblici
locali nella "manovra di Ferragosto"
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Linee di indirizzo per la progettazione
delle opere di difesa del suolo in Regione
Lombardia (Regione Lombardia,
settembre 2011). |
APPALTI:
C. Rapicavoli,
Nuove disposizioni in materia di convenzioni
CONSIP e DURC (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla validità di
eventuali comunicazioni a mezzo fax, da
parte della stazione appaltante, al numero
indicato dai concorrenti in sede di gara.
La comunicazione a mezzo fax ad un numero
indicato espressamente da un concorrente in
sede di gara al fine di ricevere la
documentazione riguardante la procedura
d'appalto, è strumento pienamente idoneo a
garantire l'effettività della comunicazione
stessa.
Inoltre, non è necessaria di un'esplicita
previsione del bando di gara in tal senso,
essendo ormai principio pacifico che
trattasi di uno strumento di comunicazione
ammissibile in via ordinaria (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 16.09.2011 n. 5213 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'associazione per
cooptazione, già contemplata dall'art. 23
del D.Lgs. n. 406 del 1991, consente di far
partecipare all'appalto anche imprese di
modeste dimensioni, non suscettibili di
raggrupparsi nelle forme previste dai commi
2 e 3 dell'art. 95 del D.P.R. n. 554 del
1999, purché l'ammontare complessivo delle
qualificazioni possedute sia almeno pari
all'importo dei lavori che saranno ad essa
affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate
non superino il 20% dell'importo complessivo
dei lavori.
Il ricorso alla cooptazione, essendo un
istituto di carattere speciale che abilita
un soggetto, privo dei prescritti requisiti
di qualificazione (e, dunque, di
partecipazione), alla sola esecuzione dei
lavori oggetto di gara pubblica nei limiti
del 20%, in deroga alla disciplina vigente
in tema di qualificazione SOA, deve
necessariamente scaturire da una
dichiarazione espressa ed inequivoca del
concorrente, onde evitare che un uso
improprio consenta l'elusione della
disciplina inderogabile, in tema di
qualificazione e di partecipazione alle
procedure di evidenza pubblica. Ne consegue
che, in assenza di una espressa ed
inequivoca dichiarazione di cooptazione,
deve senz'altro ritenersi sussistere
un'associazione temporanea di imprese
(orizzontale o verticale), anziché la
cooptazione.
Correttamente il primo giudice ha premesso,
in punto di diritto, come nella
giurisprudenza amministrativa la cd. “associazione
per cooptazione” già contemplata
dall’art. 23 d.lgs. n. 406/1991 (su cui cfr.
Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129 e
Id., 25.07.2006, n. 4655), si caratterizzi
per la possibilità di far partecipare
all’appalto anche imprese di modeste
dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi
nelle forme previste dai commi 2 e 3
dell’art. 95 d.p.r. 554/1999, purché
l’ammontare complessivo delle qualificazioni
possedute sia almeno pari all’importo dei
lavori che saranno ad essa affidati e i
lavori eseguiti dalle cooptate non superino
il 20% dell’importo complessivo dei lavori
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 10.09.2009, n.
5161).
In particolare -mentre parte della
giurisprudenza opina che la possibilità
dell’impresa singola o delle imprese che
intendano riunirsi in associazione
temporanea, in possesso dei requisiti di cui
all’articolo 95 citato, di associare, nei
modi di cui al comma 4, altre imprese
qualificate anche per categorie ed importi
diversi da quelli richiesti nel bando, sia
insita nello stesso dettato normativo che
impone alle imprese cooptate il solo obbligo
della qualificazione e il solo limite
percentuale delle opere (in termini, Cons.
Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129)– appare
senz’altro preferibile ribadire (in
conformità al più recente orientamento: per
tutte cfr. Cons. Stato n. 5161/2009 cit.)
come tale possibilità sia, piuttosto,
subordinata ad un’espressa ed inequivoca
dichiarazione, risultante dalla domanda di
partecipazione alla gara, in assenza della
quale è da ritenere sussistente la figura
(di carattere generale) dell’associazione
temporanea (orizzontale o verticale)
prevista dai commi 2 e 3. E ciò sia in
osservanza della par condicio fra i
partecipanti alla gara (non potendosi
costringere l’Amministrazione a verificare
tutte le ipotesi interpretative in astratto
consentite dalla normativa vigente, al fine
di ricondurvi la tipologia realizzata da
taluno dei concorrenti) sia in
considerazione del diverso grado di impegno,
responsabilità e garanzia dei partecipanti
alla riunione (che vale a differenziare
significativamente le due fattispecie
associative in considerazione) cui si
riconnette un diverso onere di dimostrazione
del possesso dei requisiti di
qualificazione.
La cooptazione, infatti, è un istituto di
carattere speciale che abilita un soggetto,
privo dei prescritti requisiti di
qualificazione (e, dunque, di
partecipazione), alla sola esecuzione dei
lavori nei limiti del 20%, in deroga alla
disciplina vigente in tema di qualificazione
SOA.
Il soggetto cooptato pertanto, come
esattamente rilevato dell’appellante:
- non può acquistare lo status di
concorrente;
- non può acquistare alcuna quota di
partecipazione all’appalto;
- non può rivestire la posizione di
offerente, prima, e di contraente, poi;
- non può prestare garanzie, al pari di un
concorrente o di un contraente;
- non può, in alcun modo, subappaltare o
dichiarare di affidare a terzi una quota dei
lavori, di cui non è titolare, essendo privo
della prescritta SOA.
Il ricorso alla cooptazione, alla luce del
carattere eccezionale e derogatorio
dell’istituto, deve quindi necessariamente
scaturire da una dichiarazione espressa ed
inequivoca del concorrente, per evitare che
un uso improprio consenta l’elusione della
disciplina inderogabile, in tema di
qualificazione e di partecipazione alle
procedure di evidenza pubblica.
In conseguenza, in assenza di una espressa
ed inequivoca dichiarazione di cooptazione,
deve senz’altro ritenersi sussistere
un’associazione temporanea di imprese
(orizzontale o verticale), anziché la
cooptazione (Cons. Stato V Sezione n.
5161/2009) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.09.2011 n. 5187 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Il
leasing rischioso va trattato come il
debito.
ESAME OBBLIGATORIO - Stop alle operazioni se
non sono precedute da un test di convenienza
sulle diverse componenti dei contratti.
Gli effetti finanziari
del leasing in costruendo sono assimilabili
all'indebitamento, con i conseguenti divieti
per gli enti che non hanno rispettato il
Patto di stabilità o superano i limiti
(progressivamente in diminuzione) nel
rapporto fra spese per interessi ed entrate
correnti, quando i rischi riguardanti
l'opera e la sua gestione ricadono
sull'amministrazione.
Lo chiariscono le sezioni riunite di
controllo della Corte dei Conti, che nella
delibera 16.09.2011 n. 49 diffusa
ieri fissano una griglia rigida per
l'attivazione di operazioni sempre più
praticate dagli enti locali per la
realizzazione di opere pubbliche e immobili.
A rendere attraente il leasing è la
possibilità di aprire una strada alternativa
alla costruzione, in grado di evitare i
vincoli del Patto di stabilità. Senza regole
univoche per la contabilizzazione delle
spese e per l'analisi sull'equilibrio dei
conti, però, il rischio è di andare incontro
a una quota crescente di operazioni
finanziarie che sfuggono al controllo.
Nasce da qui l'allerta dei magistrati
contabili, che imbrigliano il leasing in
costruendo fissando una serie di
pre-condizioni indispensabili alla sua
realizzazione. In pratica, con questo
strumento, l'ente ottiene dalla società di
leasing il godimento di un bene per un
determinato numero di anni, dietro pagamento
di un canone periodico; al termine del
periodo, l'ente può riscattare il bene
(l'importo del riscatto è predeterminato nel
contratto iniziale di leasing). A seconda
delle modalità attuative, ricadono sull'ente
o sul privato il rischio di costruzione
(riguardante il fatto che l'opera sia
effettivamente realizzata nei tempi), e
quelli di gestione (il rischio di domanda,
sul fatto che l'opera trovi un utilizzatore,
o quello di disponibilità, sul fatto che
venga concessa all'ente).
Sulla base di questa classificazione,
ripresa dai criteri Eurostat, la Corte fissa
una regola generale: per evitare di dover
assimilare il leasing all'indebitamento, i
rischi devono «pienamente sussistere in
modo sostanziale e non solo formale a carico
del privato». La distribuzione dei
rischi dipende dalle caratteristiche del
singolo contratto (per esempio dalla
presenza del riscatto finale, che secondo la
Corte è «particolarmente conveniente o
addirittura necessario» nel leasing in
costruendo). Ma la delibera fa anche di più,
e sulla scorta di quanto accade per gli
altri contratti finanziari (ad esempio gli
swap) prevede una dettagliata analisi di
convenienza economica dell'operazione come
condizione preventiva indispensabile per la
sua realizzazione.
Per «scongiurare eventuali elusioni dei
vincoli di finanza pubblica», la Corte
chiede di valutare tutte le componenti
dell'operazione proprio in base ai criteri
Eurostat; un'indicazione ancora più
stringente dopo che la manovra estiva ha
introdotto sanzioni economiche ai funzionari
e agli amministratori che mettono in piedi
operazioni elusive del Patto (articolo
Il Sole 24 Ore del 29.09.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Leasing
immobiliare, occhio al debito.
Quando stipulano un
contratto di leasing immobiliare (in base al
quale un soggetto concede in godimento alla
p.a. un bene immobile dietro pagamento di un
canone periodico per un certo numero di
anni) gli enti locali devono rispettare i
limiti all'indebitamento. Perché il «leasing
in costruendo» è un contratto che ha
«un'importante componente di finanziamento»
e perciò va coordinato con i vincoli del
patto di stabilità.
A precisarlo sono state le Sezioni unite di
controllo della Corte dei Conti con la
delibera 16.09.2011 n. 49, resa
nota solo ieri.
A rivolgersi alle sezioni unite è stata la
Corte conti delle Marche a sua volta
interpellata dal comune di Sassocorvaro
(Pu). I supremi giudici amministrativi hanno
sgombrato il campo da dubbi, non cedendo
alla tentazione di interpretare in modo soft
le norme di legge. Una tentazione in cui
invece è caduto il comune marchigiano
ingannato dal fatto che l'art. 3, comma 17
della legge n. 350/2003 non contempla i
contratti di leasing tra le operazioni
finanziarie che per gli enti locali
costituiscono indebitamento ai sensi
dell'art. 119 della Costituzione.
Con il leasing immobiliare, hanno chiarito
invece le sezioni unite, «l'ente vincola
in modo continuativo una parte delle risorse
disponibili per pagare i canoni di
locazione. Si tratta di un vincolo che,
indipendentemente dalle modalità di
contabilizzazione, è assimilabile al debito».
E un'interpretazione formale, basata sul
semplice tenore letterale della norma, «si
porrebbe in contrasto con la ratio della
stessa, non assoggettando al limite di
indebitamento operazioni che sostanzialmente
ne hanno la natura» (articolo
ItaliaOggi del 29.09.2011). |
APPALTI:
Nella valutazione dei
concorrenti, vietato superare i criteri del
bando.
Per la valutazione delle
offerte in gara, la commissione giudicatrice
è tenuta a osservare i soli criteri
individuati nel bando, non potendo
procedere, in caso di loro inutilizzabilità,
a un ulteriore esame discrezionale
qualitativo dei parametri attribuendo o
modificando i punteggi all'esito di
valutazioni comparative tra le varie
offerte.
Con la
sentenza 15.09.2011 n. 5157, la
VI Sez. del Consiglio di Stato ha dunque
evidenziato come nel l'ambito di un appalto
pubblico non è comunque consentito alla
Commissione di gara –nominata dall'ente (ex
articolo 84, comma 1, Dlgs 163/2006) e che
ha scelto di seguire il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa–
di procedere discrezionalmente a una fase di
analisi comparativa non prevista nella
lex specialis. E questo anche nel caso
–non escludibile nel campo dell'Information
technology– di uguaglianza delle offerte
perché riferite allo stesso prodotto
informatico.
Il fatto scaturisce dall'impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione di una gara
indetta per la realizzazione di un sistema
DataWareHouse, in cui le uniche due
imprese concorrenti avevano basato la
propria offerta su identica piattaforma
software.
La Commissione giudicatrice ha ritenuto di
poter individuare la migliore offerta
soltanto attraverso un esame delle soluzioni
di dettaglio nonché delle modalità di
organizzazione dei dati e della mappatura
nei software di processi, affermando,
comunque, che dalla comparazione non vi
sarebbe stata «modifica successiva dei
punteggi, ma solo espressione posticipata di
giudizi». Come osservato dalla Sezione,
questo ulteriore procedimento di valutazione
non era espressamente previsto nel bando di
gara e ha, di fatto, comportato l'esercizio
da parte della commissione, di un potere
discrezionale non consentito,in violazione
di quanto previsto dalla lex specialis,
oltre che delle regole generali indicate
dall'articolo 83, del Dlgs n. 163/2006).
Peraltro, in questi casi proprio la norma in
questione del Codice dei contratti pubblici
consente, per la predisposizione del bando
di gara, non solo di poter individuare i
criteri di valutazione (comma 1), ma di
precisarne, per ciascuno, la relativa
ponderazione (comma 2), e qualora questo
procedimento risulti inapplicabile, di poter
indicare un ordine decrescente di importanza
di tali parametri (comma 3); nonché di
specificare, all'occorrenza, sub-criteri,
sub-pesi o sub-punteggi (comma 4). Consente
inoltre di tenere conto che le metodologie
da utilizzare per attuare la ponderazione o
per attribuire il punteggio a ciascuna
offerta, devono essere conformi a quanto
stabilito dal regolamento attuativo e tali
da consentire di individuare un unico
parametro numerico finale (comma 5).
I criteri di scelta che la Commissione
avrebbe dovuto adottare, vista l'identicità
del prodotto indicato nelle offerte,
avrebbero dovuto pertanto riguardare la
valutazione di fattori qualitativi delle
stesse. Invece si è verificata una fase
irrituale di valutazione discrezionalmente
gestita dalla Commissione. Nel l'ipotesi poi
di stallo vero e proprio, a fronte
dell'impossibilità di poter effettuare una
concreta attribuzione di punteggi, l'unico
rimedio sarebbe stato la reiterazione della
gara con individuazione più precisa e
puntuale dei criteri da seguire (articolo
Il Sole 24 Ore del 03.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: E'
pacifico in giurisprudenza il principio
secondo il quale il concorrente in una gara
d'appalto è titolare di un vero e proprio
interesse sostanziale a non subire i
pregiudizi derivanti dalla segnalazione
all'Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture ed
dalla successiva annotazione nel casellario
informatico della sua esclusione, sempre che
abbia assolto l'onere di impugnare il
provvedimento di esclusione da cui sia
evincibile la ragione a supporto della
relativa adozione.
Tale segnalazione non ha natura
provvedimentale e non risultia pertanto,
direttamente e immediatamente lesiva per
l'impresa coinvolta; si tratta in sostanza
di una comunicazione circa fatti
verificatisi o accertati in relazione ad una
gara (e/o in corso di essa), rispetto alla
quale potranno derivare effetti
pregiudizievoli per l'impresa interessata
solo a seguito dell'annotazione nel
Casellario informatico”, per cui “ne deriva
che l'impugnazione della segnalazione
all'Autorità di Vigilanza deve ritenersi
inammissibile per carenza di interesse, non
avendo tale comunicazione alcuna immediata
lesività per i ricorrenti.
---------------
La giurisprudenza tende ad escludere la
necessità, per la stazione appaltante, di
assumere atti ulteriori (quali la
segnalazione all'Autorità per la Vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture) rispetto alla fisiologica
esclusione dell'impresa dalla gara, tutte le
volte in cui emerga la “buona fede”
dell’impresa stessa.
Tuttavia, secondo TAR Trentino Alto Adige
Trento, 09.02.2011, n. 34 si deve trattare
di casi caratterizzati dalla palmare
(corsivo dell’estensore) buona fede
dell'impresa, che abbia errato in ordine
alla interpretazione del bando o della
normativa generale ed abbia ritenuto di
possedere il requisito in realtà carente o
contestato.
Il Collegio osserva in rito che “è
pacifico in giurisprudenza il principio
secondo il quale il concorrente in una gara
d'appalto è titolare di un vero e proprio
interesse sostanziale a non subire i
pregiudizi derivanti dalla segnalazione
all'Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture ed
dalla successiva annotazione nel casellario
informatico della sua esclusione, sempre che
abbia assolto l'onere di impugnare il
provvedimento di esclusione da cui sia
evincibile la ragione a supporto della
relativa adozione” (così, da ultimo, TAR
Sicilia, Catania, sez. III, 13.06.2011, n.
1460, che richiama sul punto, per tutte, TAR
Lazio Roma, sez. III, 21.09.2009, n. 9039);
nello stesso senso e sempre di recente si è
pronunciato il TAR Campania-Napoli (sez.
VIII, 09.02.2011, n. 762), il quale
-richiamando a sua volta TAR Toscana, sez.
I, n. 2331 del 2008- ha espressamente
ritenuto che “tale segnalazione non abbia
natura provvedimentale e non risulti,
pertanto, direttamente e immediatamente
lesiva per l'impresa coinvolta; si tratta in
sostanza di una comunicazione circa fatti
verificatisi o accertati in relazione ad una
gara (e/o in corso di essa), rispetto alla
quale potranno derivare effetti
pregiudizievoli per l'impresa interessata
solo a seguito dell'annotazione nel
Casellario informatico”, per cui “ne
deriva che l'impugnazione della segnalazione
all'Autorità di Vigilanza deve ritenersi
inammissibile per carenza di interesse, non
avendo tale comunicazione alcuna immediata
lesività per i ricorrenti”.
---------------
Il Collegio
rileva che la giurisprudenza (si veda ancora
lo stesso precedente sopra richiamato per
primo: Tar Catania, n. 1460/2011, e le altre
pronunce ivi menzionate) tende ad escludere
la necessità, per la stazione appaltante, di
assumere atti ulteriori (quali la
segnalazione all'Autorità per la Vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture) rispetto alla fisiologica
esclusione dell'impresa dalla gara, tutte le
volte in cui emerga la “buona fede”
dell’impresa stessa.
Tuttavia, secondo TAR Trentino Alto Adige
Trento, 09.02.2011, n. 34 –richiamata nella
predetta sentenza del Tar Catania– si deve
trattare di casi caratterizzati dalla
palmare (corsivo dell’estensore) buona fede
dell'impresa, che abbia errato in ordine
alla interpretazione del bando o della
normativa generale ed abbia ritenuto di
possedere il requisito in realtà carente o
contestato (cfr., altresì, in termini: TAR
Lazio, Roma, sez. II, 06.03.2009, n. 2341;
TAR Piemonte, sez. I, 23.05.2009, n. 1482)
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.09.2011 n. 1314 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisito della moralità
professionale dell’impresa. Esclusione da
una gara d’appalto per mancata dichiarazione
delle sentenze penali di condanna riportate.
La mancata dichiarazione nelle gare di
appalto delle sentenze penali di condanna
riportate costituisce una causa autonoma di
esclusione dalla gara, a prescindere dal
tipo di prescrizioni contenute nel bando di
gara. Tale principio va confermato anche
dopo l’entrata in vigore dell’art. 46, comma
1-bis D.L.vo n. 163/2006 (entrato in vigore
soltanto con riferimento ai bandi pubblicati
dal 14.05.2011), introdotto dall’art. 4,
comma 2, lett. d), D.L. n. 70/2011 conv.
nella L. n. 106/2011, in quanto anche
quest’ultima norma prevede la sanzione
dell’esclusione dalla gara nel "caso di
mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente Codice" dei
contrati pubblici di cui al D.L.vo n.
163/2006 (1).
Ai fini della dichiarazione nelle gare di
appalto circa il possesso del requisito
della moralità professionale dell’impresa,
va considerato che, per evitare la
dichiarazione di una condanna perché estinta
ex art. 445, comma 2, C.P.P (richiamato
dallo stesso art. 38, comma 1, lett. c,
D.L.vo n. 163/2006, come circostanza che
esime dal dichiarare la condanna definitiva
estinta ai sensi di tale art. 445, comma 2,
C.P.P), risulta necessaria l’adozione di un
apposito provvedimento dichiarativo del
Giudice dell’esecuzione penale ex art. 676
C.P.P., in assenza del quale l’estinzione ex
art. 445, comma 2, C.P.P non opera ipso
jure e/o automaticamente (2).
A seguito della sentenza Corte
Costituzionale 08.10.2010, n. 287, che ha
dichiarato illegittimo l’art. 5, comma 2,
lett. d), DPR n. 313/2002, limitatamente
all’inciso "salvo che non sia stato
concesso alcuno dei benefici di cui agli
artt. 163 e 175 C.P.", deve ritenersi
che non sussista alcun obbligo nelle gare di
appalto di dichiarare quelle condanne
relative "ai provvedimenti giudiziari di
condanna per contravvenzioni, per le quali"
era "stata inflitta" soltanto "la
pena dell’ammenda" "trascorsi 10 anni
dal giorno in cui la pena è stata eseguita
ovvero si è in altro modo estinta",
indipendentemente dal fatto che le condanne
siano state accompagnate dalla concessione
dei "benefici di cui agli artt. 163 e 175
C.P.", cioè rispettivamente dei benefici
della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna nel
certificato del Casellario giudiziale.
Conseguentemente, non possono essere escluse
dalle gare di appalti pubblici le imprese,
le cui persone indicate dall’art. 38, comma
1, lett. c), D.L.vo n. 163/2006, non hanno
dichiarato le sentenze penali di condanna
definitiva per contravvenzioni, punite solo
con la pena pecuniaria dell’ammenda, se
entro 10 anni dall’estinzione della pena
dell’ammenda non hanno compiuto altri reati
(3).
---------------
(1) Cfr. TAR Basilicata 13.06.2011, n.
360; 01.03.2011, n. 106; 20.06.2009, n. 387.
Nella sentenza in rassegna si dà atto
lealmente del fatto che esiste un diverso
orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato,
Sez. VI sentenze 01.04.2011, n. 2018 e
04.08.2009, n. 4905), che applica ai
procedimenti di evidenza pubblica, dove vige
il fondamentale principio della par condicio
tra i concorrenti, la teoria penalistica del
cd. "falso innocuo", considerando lecite le
clausole dei bandi che impongono ai
concorrenti di dichiarare tutte le condanne
penali definitive e, conseguentemente, ha
ritenuto legittimi i relativi provvedimenti
di esclusione.
Al riguardo è stato evidenziato che l’art.
4, comma 2, lett. b, n. 4, D.L. n. 70/2011
conv. nella L. n. 106/2011 statuisce
espressamente l’obbligo dei concorrenti di
indicare "tutte le condanne riportate",
specificando che i concorrenti non sono
tenuti ad indicare soltanto "le condanne per
reati depenalizzati ovvero dichiarati
estinti dopo la condanna stessa, né le
condanne revocate, né quelle per le quali è
intervenuta la riabilitazione".
(2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass. Pen.
Sez. I Sent. n. 49987 del 24.11.2009; Cass.
Pen. Sez. IV Sent. n. 11560 del 27.02.2002;
C.d.S. Sez. V Sent. n. 1331 del 20.03.2007;
TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 401
dell’11.02.2009; TAR Piemonte Sez. I Sent.
n. 2568 del 10.10.2008; TAR Milano Sez. I
Sent. n. 4062 del 15.09.2008; TAR Brescia
Sent. n. 406 del 20.04.2006; TAR Toscana
Sez. Sent. n. 2552 del 25.05.2005; TAR
Veneto Sez. III Sent. n. 2009 del
16.05.2005.
(3) Ha precisato la sentenza in rassegnata
che, dopo la citata pronuncia della Corte
costituzionale, i partecipanti ad una gara
di appalto pubblico non sono tenuti a
dichiarare, oltre le sentenze patteggiate ex
artt. 444 C.P.P., per le quali è stato
ottenuto il provvedimento formale di
estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P. da
parte del Giudice Penale dell’Esecuzione, ed
i provvedimenti giurisdizionali di
riabilitazione ex art. 178 C.P., anche i
provvedimenti giudiziari di condanna, che ai
sensi dell’art. 5 DPR n. 313/2002 non devono
essere iscritti nel Casellario Giudiziale e
perciò anche le sentenze penali di condanna
definitiva per contravvenzioni, punite solo
con la pena pecuniaria dell’ammenda, se "se
durante i 10 anni dall’estinzione della pena
dell’ammenda il condannato non ha compiuto
altri reati" (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Basilicata,
sentenza 15.09.2011 n. 472 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di gare
d'appalto, in presenza di criteri o
sub-criteri di valutazione generici ed
imprecisi sussiste l'obbligo da parte della
commissione giudicatrice di motivare i
singoli punteggi assegnati ai concorrenti.
In materia di gare d'appalto, la necessità
di motivazione da parte della commissione si
affievolisce solo in presenza di criteri o
sub-criteri di valutazione sufficientemente
analitici e precisi. Qualora, questi ultimi
risultino essere generici, la commissione
dovrà motivare esaurientemente i singoli
punteggi. Maggiore è la discrezionalità
della commissione nel giudizio tecnico, più
pressante è l'obbligo di esternare con
precisione l'iter logico percorso.
La motivazione rappresenta lo strumento
tecnico che consente il controllo sul
rispetto dei principi costituzionali della
parità di trattamento e par condicio dei
concorrenti, nonché giurisdizionali, quali
la ragionevolezza e la logicità delle
scelte. Una motivazione non sufficiente o
solo fittizia è da equiparare ad una
non-motivazione.
I criteri motivazionali devono essere
conosciuti dagli offerenti anteriormente
alla presentazione dell'offerta, non essendo
più possibile, in seguito alla recente
abrogazione del c. 4, u.p. dell'art. 83
codice appalti, che la commissione
giudicatrice, prima dell'apertura delle
buste contenenti le offerte, possa fissare i
parametri cui si atterrà per attribuire a
ciascun criterio e sub criterio il punteggio
prestabilito dal bando (T.R.G.A. Trentino
Alto Adige-Bolzano,
sentenza 15.09.2011 n. 317 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Fase
di prequalifica - Finalità.
2. Avvalimento - Onere di documentazione
nella fase di prequalifica - In presenza di
clausole del bando che prevedano una
semplice autodichiarazione - Non sussiste.
3. Contratti della P.A. - Appalto - Gara -
Avvalimento - Contratto - Libertà di forme -
Sussiste - Ammissibilità di qualunque mezzo
di prova idoneo.
1.
La fase di prequalifica è finalizzata alla
valutazione in merito alla sussistenza o
meno dei requisiti tecnici e morali di
accesso alla procedura e a far conoscere
all'Amministrazione la disponibilità del
mercato, per cui il criterio interpretativo
delle indicazioni di gara deve essere
indirizzato a favorire la più ampia
partecipazione alla gara.
2.
Non è richiesta, nella fase di prequalifica,
la documentazione dei requisiti da parte
delle imprese concorrenti, qualora il bando
preveda una semplice dichiarazione del loro
possesso. (Fattispecie in tema di
dichiarazione di avvalimento ex art. 49,
comma 2, lett. g), D.Lgs. n. 163/2006)
(cfr., Cons. Stato, Sez. IV, ord.
22.07.2008, n. 3886).
3.
L'ordinamento non prevede uno schema o un
tipo specifico di contratto di avvalimento
tra imprese. Questo, perciò, conformemente
alla lettera f), del comma 2, dell'art. 49,
D.Lgs. n. 163/2006 rientra tra gli atti da
presentare a cura dell'impresa concorrente
ad una gara pubblica d'appalto, e può
rivestire qualunque forma -anche non
documentale- ed essere provato in qualunque
modo idoneo
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.09.2011 n.
2217 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della P.A. - Appalto di servizi - Bando -
Clausola attributiva dello ius variandi alla
stazione appaltante - Legittima - Condizioni
- Esigenze sopravvenute.
Si deve ritenere legittima, anche negli
appalti di servizi, l'apposizione di una
clausola del disciplinare che permetta alla
stazione appaltante di modificare l'oggetto
del contratto, purché non ne venga alterata
in modo assoluto la natura.
Nel contempo, per assicurare sul piano del
diritto comunitario che la variazione non
divenga uno strumento di elusione della
libertà di concorrenza affidato
all'esclusiva discrezionalità del soggetto
pubblico è necessario che lo ius variandi
sia impiegato per far fronte ad esigenze
sopravvenute alla predisposizione del
regolamento di gara (cfr., TAR Lombardia
Milano, Sez. I, 14.09.2011, n. 2215)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.09.2011 n.
2214 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della P.A. - Appalto - Ius variandi della
stazione appaltante - Sussiste -
Limitazioni.
Sulla base di un bilanciamento degli
interessi in gioco deve ritenersi che:
a) alla stazione appaltante pubblica spetta
lo ius variandi, purché esso sia
contenuto, sulla base della legge o comunque
del regolamento di gara, entro limiti
quantitativi non manifestamente
sproporzionati e perciò stesso contrari al
diritto dell'Unione;
b) non si può escludere che, per valutare
l'identità tra oggetto della gara e oggetto
del contratto, a seguito di variazioni, si
debba tener conto anche delle varianti in
diminuzione, che a propria volta, per quanto
non onerose economicamente, possano mutare
il volto reale dell'affidamento alla luce
del diritto dell'Unione;
c) la variazione, in conformità al diritto
comune, si apprezza sul piano quantitativo,
con riguardo agli effetti che essa produce
sul corrispettivo pattuito;
d) in ogni caso, non sono ammesse varianti
qualitative, pur contenute nei limiti di cui
sopra, se si prova che esse stravolgano la
natura dell'opera (cfr. art. 1661, comma 2,
c.c.), ovvero operino su requisiti
contrattuali introdotti nel regolamento di
gara dalla stazione appaltante allo scopo di
circoscrivere illegittimamente la platea dei
concorrenti, e con l'animo di rinunciarvi
successivamente;
e) le circostanze che giustificano lo ius
variandi debbono manifestarsi
successivamente alla predisposizione del
regolamento di gara (cfr., TAR Lombardia
Milano, Sez. I, 14.09.2011, n. 2215; TAR
Lombardia Milano, Sez. I, 14.09.2011, n.
2214)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.09.2011 n.
2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cessione d'azienda: le
dichiarazioni ex 38, lettere b) e c),
gravano anche sui titolari delle cariche
dell’azienda ceduta.
Gli obblighi dichiarativi previsti dal
menzionato art. 38, lettere b) e c), gravano
anche sui soggetti, titolari delle relative
cariche, facenti parte della compagine
dell’azienda ceduta.
Viene sottolineata, invero, la portata
sostanziale, e non meramente formale, della
disposizione in esame, in quanto finalizzata
a garantire che le stazioni appaltanti siano
messe in grado di verificare la sussistenza
di tutti i requisiti di moralità in capo ai
partecipanti alle procedure di affidamento
di appalti pubblici, così da prevenire il
rischio di influenza da parte di cedenti
eventualmente privi di detti requisiti
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 14.09.2011 n. 1643 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul principio
dell'"equivalenza" desumbile dalla lettera
dell'art. 68 del codice degli appalti (Dlgs.
163/2006).
Il
principio dell'"equivalenza" si
ricava dalla lettera dell'art. 68 del codice
degli appalti (Dlgs. 163/2006), ove è
prescritto che i documenti del contratto,
quali il bando di gara, il capitolato
d'oneri o i documenti complementari devono
dettagliatamente indicare le specifiche
tecniche richieste, senza però individuare
una specifica fabbricazione o provenienza,
al fine di evitare la ingiustificata
restrizione della rosa dei partecipanti alla
gara, con nocumento all'interesse pubblico
sotteso alla più ampia partecipazione alla
stessa. È previsto anche, al c. 13 che, ove
sia necessario al fine della capillare
descrizione di un macchinario ricorrere
all'indicazione di un tipo specifico di
prodotto occorre che tale indicazione sia
accompagnata dall'espressione "o
equivalente".
La ratio delle disposizioni
richiamate contenute nell'art. 68 codice
appalti è chiara. Nel rispetto del principio
della più ampia partecipazione alle gare
finalizzato alla ponderata e fruttuosa
scelta del miglior contraente, si esclude
espressamente, tranne ove sia giustificato
dal particolare oggetto dell'appalto, la
possibilità di indicare marchi o tipi
specifici di produzione, a meno che il
riferimento ad un prodotto non sia
necessario al fine di descrivere
dettagliatamente le caratteristiche che il
bene offerto deve possedere. In questo caso
è obbligatorio fare ricorso al concetto di
equivalenza, con la conseguenza che, in caso
di omissione dell'inciso, il bando
risulterebbe in parte qua illegittimo.
Al riguardo "può intendersi come
equivalente un prodotto che abbia
caratteristiche identiche o analoghe al bene
descritto in capitolato e che garantisca,
almeno, le medesime prestazioni. La stazione
appaltante, in presenza di offerte
equivalenti, deve pertanto verificare la
sussistenza dei requisiti descritti al fine
di effettuare la valutazione dell'offerta"
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 14.09.2011 n. 59 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Tassatività delle
clausole di esclusione.
Era prevedibile attendersi che la
giurisprudenza venisse chiamata a definire i
contorni del principio di tassatività delle
clausole di esclusione, come noto
recentemente introdotto con il decreto-legge
13.05.2011, n. 70 (c.d. decreto sviluppo).
Il TAR Veneto, con
sentenza 13.09.2011 n. 1376
infatti stabilito l’illegittimità
dell’esclusione di una ditta nel caso in cui
abbia presentato una cauzione provvisoria di
importo insufficiente rispetto a quello
richiesto dalla lex specialis, ovvero
una cauzione incompleta, e non già assente,
visto che tale ipotesi di esclusione non è
contemplata dall’art. 46, comma 1-bis, del
D.Lgs n. 163/2006.
A ben guardare, il principio sancito dai
Giudici amministrativi, allo stato in linea
con il dettato normativo recentemente
innovato, probabilmente dovrà essere oggetto
di conferma o di rivisitazione una volta
attuato il disposto dell’art. 64, comma
4-bis, del D.lgs. 163/2006, secondo cui “I
bandi sono predisposti dalle stazioni
appaltanti sulla base di modelli
(bandi-tipo) approvati dall'Autorità, previo
parere del Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti e sentite le categorie
professionali interessate, con l'indicazione
delle cause tassative di esclusione di cui
all'articolo 46, comma 1-bis. Le stazioni
appaltanti nella delibera a contrarre
motivano espressamente in ordine alle
deroghe al bando-tipo.”
In definitiva, nonostante il tenore
perentorio dell’art. 75 del D.lgs. 163/2006,
il quale impone che l'offerta sia corredata
da una garanzia, pari al due per cento del
prezzo base indicato nel bando o
nell'invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione, a scelta dell'offerente, i
Giudici veneti hanno ritenuto che, a seguito
dell’entrata in vigore dell’art. 46, comma
1, del codice dei contratti, la violazione
della predetta norma non determini
l’esclusione del concorrente, ma l’obbligo
della stazione appaltante di richiedere allo
stesso di integrare la cauzione.
Tuttavia è verosimile ritenere che i bandi
tipo, di cui all’art. 64, comma 4-bis, del
D.lgs. 163/2006, una volta emanati,
affronteranno la questione, facendo
definitiva chiarezza sul punto (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In sede di
partecipazione a gara d'appalto, la cauzione
incompleta, non già assente, non comporta
automaticamente l'estromissione dalla gara
ma semplicemente che il partecipante sia
previamente invitato ad integrare la
cauzione, emendando così l’errore compiuto.
L’art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. n.
163/2006, aggiunto dall’art. 4, II comma, n.
2, lett. “d” del DL n. 70/2011, ha
introdotto il principio di tassatività delle
cause di esclusione dei concorrenti dalle
procedure concorsuali, tra le quali non
rientra la prestazione di una cauzione
provvisoria di importo deficitario.
Nel caso di specie -ove peraltro la cauzione
era incompleta, non già assente- l’odierna
ricorrente non poteva essere automaticamente
estromessa dalla gara, ma doveva essere
previamente invitata ad integrare la
cauzione, emendando così l’errore compiuto.
Ciò stante, va accolto il ricorso (per
motivi aggiunti) dd. 21.07.2011 e,
conseguentemente, annullato l’impugnato
provvedimento 19.07.2011 n. 344409 di
esclusione della ricorrente dal “prosieguo
della gara d’appalto” (TAR Veneto, Sez.
I,
sentenza 13.09.2011 n. 1376 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ribasso dell'utile.
Domanda.
E' consentito nelle procedure di appalto il
ribasso dell'utile?
Risposta.
La possibilità di ribassare la percentuale
dell'utile è consentita, soprattutto in
appalti pubblici di importo elevato, pur
escludendosi che un'impresa possa proporre
un'offerta economica sguarnita da qualsiasi
previsione di utile, né è possibile fissare
una quota di utile rigida al di sotto della
quale la proposta dell'appaltatore debba
considerarsi per definizione incongrua.
Assume invece rilievo la circostanza che
l'offerta si appalesi seria e cioè non
animata dall'intenzione di trarre lucro dal
futuro inadempimento delle obbligazioni
contrattuali dovendosi ritenere
ingiustificabile solo l'utile pari a zero (13.09.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: richiesta di accesso ad atti di
gara da parte di un’impresa non
partecipante.
Con nota del 31.08.2011, lo Stato
Maggiore della Marina ha rappresentato a
questa
Commissione che:
- nel gennaio 2011 aveva affidato in appalto
alla RTI Trenitalia spa e FS Logistica spa
il
servizio di trasporto “su ferrovia” di
masserizie del personale delle forze armate;
- contemporaneamente, aveva affidato alla
società JAS Jet Air Service spa il diverso
servizio
di trasporto “su gomma” di masserizie del
personale delle forze armate;
- quest’ultima società aveva chiesto
l’accesso a copia delle singole prestazioni
(effettuate o
affidate e non ancora effettuate) del
servizio di spedizione/trasporto su ferrovia
eseguite dalla RTI
Trenitalia e FS Logistica nel corso del 2011
al fine di verificare quali fossero i
criteri di affidamento
dei servizi di trasporto al vettore
ferroviario anziché al vettore su gomma,
potendo in astratto le
modalità esecutive del contratto d’appalto
aggiudicato alla RTI Trenitalia comportare
un grave
pregiudizio in termini di riduzione di
fatturato.
A fronte di tale istanza di accesso,
l’amministrazione militare adduce forti
dubbi
sull’accoglibilità della richiesta di
accesso in ragione della valutata
insussistenza di profili di
interesse concreto, diretto ed attuale,
corrispondente a situazioni giuridicamente
rilevanti e collegate
ai documenti richiesti, non avendo l’istante
preso parte alla procedura di gara per i
servizi di
trasporto su ferrovia affidati alla RTI
Trenitalia e Fs Logistica.
La Commissione osserva che, di recente, il
Consiglio di Stato (cfr. decisione sez. VI n.
5062
del 30.07.2010) ha affermato che le
disposizioni contenute nella legge 241/1990
devono trovare
applicazione tutte le volte in cui non si
rinvengono disposizioni derogatorie
contenute nel Codice
dei contratti pubblici (ove l’art. 13 del
d.lgs. n 163/2006 stabilisce che <<salvo
quanto
espressamente previsto nel presente codice,
il diritto d’accesso [.] è disciplinato
dalla legge 07.08.1990, n. 241>>). Partendo da questo
presupposto, quindi, occorre interpretare il
comma 6°
dell’art. 13 -secondo cui “è comunque
consentito l’accesso al concorrente che lo
chieda in vista
della difesa in giudizio dei suoi
interessi”- non come un “restringimento” dei
requisiti di
legittimazione all’accesso sul piano
soggettivo (solo ai “concorrenti”) in
quanto, anche nelle
procedure ad evidenza pubblica, deve
comunque sopravvivere quel diritto
generalizzato all’accesso
in capo a tutti coloro che dimostrino di
averne un interesse reale e concreto:
quindi,
indipendentemente dalla loro partecipazione
alla gara.
Pertanto, se la richiesta d’accesso provenga
da un concorrente ad una pubblica gara,
allora
tale richiesta deve sicuramente essere
evasa, ma ciò non significa tout court che,
anche in altri casi -ovvero qualora la richiesta risulti
formulata da un non-concorrente- non
sussista ancora un interesse
reale e concreto a prendere visione della
documentazione, che l’istante deve
motivatamente palesare e
che la P.A. è obbligata a compiutamente
verificare dovendo, in caso affermativo,
concedere
certamente l’accesso.
Nella specie, la Commissione rileva non
soltanto che la società IAS non ha preso
parte alla
gara per l’affidamento dei servizi di
trasporto su ferrovia, i cui atti hanno
formato oggetto della
citata richiesta di accesso documentale, ma
che, ulteriormente, non può in capo ad essa
nemmeno
ravvisarsi un interesse legittimante
l'accesso documentale agli atti della
procedura stessa, non
potendo rilevare in proposito l’interesse
della JAS, aggiudicataria dei servizi di
trasporto su gomma,
di acquisire chiarimenti sulle modalità
esecutive dell’appalto o sui criteri di
selezione dei servizi su
ferrovia rispetto a quelli su gomma.
Ed infatti, l'istanza ostensiva non deve
costituire uno strumento surrettizio di
sindacato
generalizzato sull'azione amministrativa
nell'ambito di una procedura concorsuale cui
si è rimasti
volontariamente estranei, non essendo
ammissibile piegare lo strumento
dell'accesso al perseguimento di una
generica attività informativa ed
esplorativa, attraverso l'enunciazione di un
interesse meramente esplorativo
(Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 13.09.2011
- link a www.commissioneaccesso.it). |
APPALTI:
In caso di discordanza
dei dati del modulo di offerta per
l’aggiudicazione di un’opera per prezzi
unitari prevale il ribasso percentuale
indicato in lettere.
La giurisprudenza ha avuto modo di
evidenziare che nel procedimento di
aggiudicazione di un appalto di opere
pubbliche con il sistema di offerta per
prezzi unitari, ai sensi dell’articolo 90
del D.P.R. 21.12.1999, n. 554, in caso di
discordanza fra i dati indicati nel modulo
di offerta e relativi sia al prezzo che alla
percentuale di ribasso, si deve dare
prevalenza al ribasso percentuale indicato
in lettere (C.d.S., sez. V, 17.09.2008, n.
4445), che costituisce il dato decisivo di
riferimento per la determinazione dei prezzi
unitari, consentendo sia l’identificazione
dell’offerta (art. 90, comma 6), sia la
correzione delle eventuali discordanze
(art.90, comma 79 (C.d.S., sez. V,
10.11.2003, n. 7134; 30.10.2003, n. 6767).
E’ stato anche evidenziato che le
disposizioni contenute nell’articolo 90 del
D.P.R. 21.12.1999, n. 554 delineano un
sistema volto a risolvere, nel rispetto dei
fondamentali canoni di certezza e
trasparenza delle operazioni di affidamento
degli appalti di lavori pubblici, ogni
incertezza derivante da un’offerta
articolata, qual è quella per prezzi unitari
per prevenire eventuali contestazioni circa
l’effettiva volontà della parte privata,
nell’ipotesi di discordanze tra le diverse
componenti dell’offerta (C.d.S., sez. VI,
11.07.2003, n. 4145) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 12.09.2011 n. 5095 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Esclusione di una ditta da una
gara d’appalto con riferimento al fatto che
la ditta interessata ha presentato i
campioni della merce da fornire solo per
tipologia merceologica di appartenenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale
la stazione appaltante ha escluso da una
gara di appalto di forniture un ditta che,
in contrasto con quanto espressamente
richiesto dal bando di gara a pena di
esclusione, ha prodotto, unitamente
all’offerta, i campioni della merce da
fornire con esclusivo riferimento alla
tipologia merceologica di appartenenza,
piuttosto che un campione per ogni singolo
prodotto da fornire, per ogni dimensione e
colorazione; infatti, negli appalti di
forniture, la presentazione di una
campionatura completa è funzionale al
rispetto dell'obbligo contrattuale di
depositare presso la stazione appaltante i
campioni degli articoli da fornire, al fine
di verificare, nel corso dell'esecuzione del
contratto, che la qualità di ciascun bene
corrisponda all'impegno assunto
dall'aggiudicatario in sede di offerta
(fattispecie relativa a gara per la
fornitura di servizi di lavaggio e noleggio
biancheria, vestiario e fornitura kit
sterili della durata triennale) (massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 12.09.2011 n. 924 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
A. Avino,
Quale destino per le società miste alla luce
dell’art. 4 del D.L. 138/2011?
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Gare, forme e termini per le offerte: come
funziona la pubblicità legale
(link a www.ipsoa.it). |
APPALTI:
M. Urbani,
“Molto rumore per nulla” - Una
possibile interpretazione dell'art. 81,
comma 3-bis, del codice introdotto dalla
Legge 12.07.2011 n. 106 di conversione del
decreto-legge 13.05.2011 n. 70. |
APPALTI: Gare,
più facile correre in gruppo.
Appalti: semplificate le richieste per i
raggruppamenti. Sentenza del consiglio di
stato sui requisiti per le imprese in ati nei concorsi in due fasi.
Nelle procedure di appalto in due fasi non è
necessaria per i raggruppamenti la
corrispondenza fra requisiti, quote di
partecipazione e quote di esecuzione del
contratto.
Lo afferma il Consiglio di stato,
Sez. V, con la
sentenza
09.09.2011 n. 5073.
Nel caso di specie l'appellante
chiedeva l'esclusione dalla gara dell'AtI
aggiudicataria perché i requisiti richiesti
dal bando erano posseduti interamente dalla
capogruppo impedendo in tal modo che vi
fosse una corrispondenza tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione
delle singole imprese, nonché tra quote di
partecipazione e quote di esecuzione del
servizio. Il Consiglio di stato, partendo
dall'assunto che la procedura era articolata
in due fasi ha affermato che l'adempimento
dei requisiti di capacità economica e
finanziaria e di capacità tecnica riguarda
solo la fase di qualificazione e non quella
di offerta.
Inoltre, il Consiglio di stato afferma che
per i servizi non vi sarebbe necessità di
corrispondenza tra requisiti e quote anche
nella fase di offerta. A sostegno di tale
tesi, i giudici hanno affermato che tale
corrispondenza «non è richiesta
espressamente dal bando e non è neppure
coerente, per quanto riguarda gli appalti di
servizi, con le puntuali previsioni
dell'art. 37 del codice dei contratti che al
quarto comma stabilisce che nell'offerta
devono essere specificate le parti (e non le
quote) che saranno eseguite dai singoli
operatori economici riuniti, aggiungendo al
tredicesimo comma che i concorrenti riuniti
in raggruppamento temporaneo devono eseguire
le prestazioni corrispondenti alla quota di
partecipazione al raggruppamento».
Pertanto secondo i giudici, il principio di
corrispondenza tra requisiti, quote di
partecipazione al raggruppamento e quote di
esecuzione non può trovare applicazione per
l'appalto di servizi in oggetto perché
l'adempimento dei requisiti è già avvenuto
in una fase distinta rispetto all'offerta
(qualificazione). Inoltre viene precisato
che per quanto riguarda la fase di offerta
il principio di corrispondenza, già
affermato in materia di lavori e sancito
nell'art. 37, comma 6, del codice, non è
estensibile agli appalti di servizi
(articolo ItaliaOggi del 07.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI:
Dall’omissione della
stazione appaltante di un elemento
obbligatorio del disciplinare di gara non
consegue l’esclusione del concorrente che
non abbia formulato la dichiarazione
prevista dalla legge.
---------------
Sebbene l'allegazione di un documento di
identità ad una dichiarazione sostitutiva
dell'atto di notorietà non costituisca un
vuoto formalismo, rappresentando un
fondamentale elemento della fattispecie
normativa diretta a comprovare, oltre alle
generalità del dichiarante,
l'imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione a una
determinata persona fisica, è stato tuttavia
osservato che detta prescrizione, pure
essenziale, di carattere formale deve essere
applicata verificando se nel contesto dei
singoli casi lo scopo della normativa non
sia comunque raggiunto, evitando
interpretazioni che in concreto possano
risultare di sproporzionato e perciò inutile
rigore, venendo con ciò a ledere, per
converso, l'altresì rilevante principio
della massima partecipazione alle procedure
competitive.
Quanto alla dedotta mancata dichiarazione di
insussistenza delle cause ostative di cui
alla lettera m)-ter, dell’art. 38 del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, deve evidenziarsi che,
indipendentemente da ogni questione in
ordine alla dedotta assoluta vincolatività
del modello di domanda (che non prevedeva la
dichiarazioni in questione e che, d’altra
parte, secondo la stazione appaltante
appellata, doveva essere utilizzato a pena
di esclusione, costituendo un completamento
della lex specialis, neppure
impugnata), se è pur vero, come sostenuto
dall’appellante, che qualora la stazione
appaltante ometta di inserire nella
disciplina di gara un elemento previsto come
obbligatorio dall'ordinamento giuridico,
soccorre il meccanismo di integrazione
automatica, analogamente a quanto avviene
nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374
e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le
eventuali lacune del provvedimento adottato
dalla p.a., a ciò tuttavia non consegue in
modo diretto ed automatico l’esclusione
dalla gara del concorrente che, come nel
caso di specie, non abbia formulato la
dichiarazione espressamente prevista dalla
legge, dovendo tenersi conto che, non solo
fondamentali esigenze di certezza del
diritto e tutela della par condicio dei
concorrenti impediscono all'amministrazione
di disattendere i precetti fissati nella
normativa di gara dalla stessa formulata, ma
soprattutto del principio di affidamento
(formalmente elevato al rango di principio
generale dell'azione amministrativa
dall'art. 1, comma 1, della legge
07.08.1990, n. 241) che impedisce che sul
cittadino possano ricadere gli errori
dell'amministrazione (in termini, C.d.S.,
Sezione VI, 13.06.2008, n. 2959).
Di conseguenza, a tutto voler concedere, i
componenti avrebbe dovuto essere invitati a
integrare il requisito mancante non per loro
colpa, ma per omissioni e lacune della
lex specialis della gara addebitabili
all’amministrazione pubblica; peraltro, come
già rilevato in precedenza e come
evidenziato dai primi giudici, non è stato
provato dall’appellante che in capo ai
componenti del R.T.I. aggiudicatario
sussistessero le cause ostative indicate
nella più volte ricordata lett. m-ter),
dell’articolo 38 del D. Lgs. 12.04.2006, n.
163, così che anche sotto tale profilo la
prospettata sanzione di esclusione che
avrebbe dovuto ricollegarsi a tale omissione
è da ritenersi illogica, irragionevole ed
esorbitante.
---------------
Quanto infine all’allegazione di un
documento di identità scaduto alla
dichiarazione resa da uno dei soggetti
rilevanti (tale sig. David Selby), la
Sezione osserva che, sebbene detta
allegazione non costituisca un vuoto
formalismo, rappresentando un fondamentale
elemento della fattispecie normativa diretta
a comprovare, oltre alle generalità del
dichiarante, l'imprescindibile nesso di
imputabilità soggettiva della dichiarazione
a una determinata persona fisica (C.d.S.,
sez. V, 21.05.2009, n. 3165; 07.11.2007, n.
5761), è stato tuttavia osservato che detta
prescrizione, pure essenziale, di carattere
formale deve essere applicata verificando se
nel contesto dei singoli casi lo scopo della
normativa non sia comunque raggiunto,
evitando interpretazioni che in concreto
possano risultare di sproporzionato e perciò
inutile rigore, venendo con ciò a ledere,
per converso, l'altresì rilevante principio
della massima partecipazione alle procedure
competitive (C.d.S, sez. VI, 22.10.2010, n.
7608).
Nel caso di specie, ad avviso della Sezione,
è decisivo rilevare che il documento di
identità, ancorché di validità scaduta, era
stato effettivamente allegato alla
dichiarazione e che l’appellante neppure nel
presente grado di appello ha messo in dubbio
la riferibilità della dichiarazione in
questione al soggetto che l’ha resa, essendo
stato così raggiunto il fine stabilito dalla
norma; così che, a tutto voler concedere,
l’amministrazione avrebbe potuto chiedere la
produzione di un documento di identità
valido, ma giammai escludere dalla gara il
raggruppamento per effetto di tale
irregolarità (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5073 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il tratto distintivo
della concessione dall’appalto di servizi.
È la modalità della
remunerazione il tratto distintivo della
concessione dall’appalto di servizi: si avrà
concessione quando l’operatore si assuma in
concreto i rischi economici della gestione
del servizio, rifacendosi essenzialmente
sull’utenza per mezzo della riscossione di
un qualsiasi tipo di canone o tariffa,
mentre si avrà appalto quando l’onere del
servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull’amministrazione.
Le concessioni, nel quadro del diritto
comunitario, si distinguono dagli appalti
non per il titolo provvedimentale
dell’attività, né per il fatto che ci si
trovi di fronte ad una vicenda di
trasferimento di pubblici poteri o di
ampliamento della sfera giuridica del
privato (che sarebbe un fenomeno tipico
della concessione in una prospettiva
coltivata da tradizionali orientamenti
dottrinali), né per la loro natura
autoritativa, o provvedimentale, rispetto
alla natura contrattuale dell’appalto, ma
per il fenomeno di traslazione dell’alea
inerente una certa attività in capo al
soggetto privato.
Quando l’operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio,
percependone il corrispettivo dall’utente
mediante la riscossione di un qualsiasi tipo
di canone o tariffa, allora si ha
concessione: è la modalità della
remunerazione, quindi, il tratto distintivo
della concessione dall’appalto di servizi.
Così, si avrà concessione quando l’operatore
si assuma in concreto i rischi economici
della gestione del servizio, rifacendosi
essenzialmente sull’utenza per mezzo della
riscossione di un qualsiasi tipo di canone o
tariffa, mentre si avrà appalto quando
l’onere del servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull’amministrazione.
Tale assunto, è stato più volte confermato
dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è
in presenza di una concessione di servizi
allorquando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto del
prestatore di sfruttare la propria
prestazione ed implicano che quest’ultimo
assuma il rischio legato alla gestione dei
servizi in questione (Corte Giustizia CE,
Sez. III, 15.10.2009, C-196/08), mentre in
caso di assenza di trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione, l’operazione rappresenta un
appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez.
III, 10.09.2009, C-206/08) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5068 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul criterio distintivo
tra concessione di servizi e appalto di
servizi.
Il servizio di trasporto scolastico deve
essere inquadrato nella categoria degli
appalti.
Le concessioni, nel quadro del diritto
comunitario, si distinguono dagli appalti
non per il titolo provvedimentale
dell'attività, né per il fatto che ci si
trovi di fronte ad una vicenda di
trasferimento di pubblici poteri o di
ampliamento della sfera giuridica del
privato, né per la loro natura autoritativa
o provvedimentale rispetto alla natura
contrattuale dell'appalto, ma per il
fenomeno di traslazione dell'alea inerente
una certa attività in capo al soggetto
privato. La giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE ha ribadito che si è in
presenza di una concessione di servizi
allorquando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto del
prestatore di sfruttare la propria
prestazione ed implicano che quest'ultimo
assuma il rischio legato alla gestione dei
servizi in questione, mentre in caso di
assenza di trasferimento al prestatore del
rischio legato alla prestazione,
l'operazione rappresenta un appalto di
servizi.
Il servizio di trasporto scolastico deve
essere inquadrato nella categoria degli
appalti e non già in quella dei servizi di
trasporto pubblico locale. Pertanto, nel
caso di specie, legittimamente
l'amministrazione comunale ha esperito una
procedura di gara invece di procedere
all'affidamento diretto del servizio, atteso
che i presupposti normativi non le
consentivano tale scelta (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5068 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Al
servizio di trasporto scolastico deve essere
applicata la normativa sugli appalti.
La vicenda in commento nasce dalla delibera
con cui il Consiglio di un Comune veneto
disponeva di vendere il ramo d’azienda “Trasporto
scolastico” di proprietà di una propria
controllata (100%) a un’altra società.
Con “Protocollo d’Intesa” si
conveniva fra le parti che “allo spirare
del succitato termine fissato per
l’affidamento del servizio, il Comune
procederà all’esperimento di idonea
procedura di gara, garantendo alla società
acquirente. il diritto di prelazione
…..laddove i presupposti normativi lo
consentissero, si procederà in luogo
dell’esperimento della procedura di gara
come sopra prevista, all’affidamento diretto
del servizio alla predetta società per
almeno un quinquennio (se consentito), in
conformità alle disposizioni allora vigenti,
fermo restando il perseguimento dei
summenzionati obbiettivi e standard
qualitativi”.
Alla scadenza dell’affidamento diretto del
servizio di scuolabus, la società acquirente
faceva presente al Comune che allo spirare
del termine stabilito lo stesso avrebbe
dovuto, per effetto degli obblighi
negoziali, provvedere all’affidamento del
servizio di trasporto scolastico
direttamente alla società partecipata per
almeno un quinquennio. Sennonché il Comune
rigettava l’istanza ad ottemperare perché “l’attuale
disciplina di cui all’art. 23-bis del D.L.
112/2008, convertito in L. 133/2008, nel
testo modificato dall’art. 15 del D.L.
135/2009, non consente siffatta procedura di
affidamento diretto”, e per il motivo
che “detto servizio correttamente deve
essere inquadrato nella categoria degli
appalti e non già in quella dei servizi di
trasporto pubblico locale”.
La società acquirente proponeva, pertanto,
ricorso al Tar per il Veneto, che lo
respingeva dando luogo all’appello in
rassegna. Il Consiglio di Stato, in
proposito, ha rilevato senza indugio come la
questione non sia sussumibile nella
categoria della concessione di servizio
pubblico (diversamente da quanto ritenuto
dall’appellante), ma piuttosto in quella
dell’appalto.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza
dello stesso Consiglio ha già avuto modo di
precisare che le concessioni, nel quadro del
diritto comunitario, si distinguono dagli
appalti non per il titolo provvedimentale
dell’attività, né per il fatto che ci si
trovi di fronte ad una vicenda di
trasferimento di pubblici poteri o di
ampliamento della sfera giuridica del
privato, (che sarebbe un fenomeno tipico
della concessione in una prospettiva
coltivata da tradizionali orientamenti
dottrinali), né per la loro natura
autoritativa o provvedimentale rispetto alla
natura contrattuale dell’appalto, ma per il
fenomeno di traslazione dell’alea inerente
una certa attività in capo al soggetto
privato (cfr. Sez. VI 15.05.2002, n. 2634).
Quando l’operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio, spiegano
i giudici di Palazzo Spada, percependone il
corrispettivo dall’utente mediante la
riscossione di un qualsiasi tipo di canone o
tariffa, allora si ha concessione: è la
modalità della remunerazione, quindi, il
tratto distintivo della concessione
dall’appalto di servizi. Così, si avrà
concessione quando l’operatore si assuma in
concreto i rischi economici della gestione
del servizio, rifacendosi essenzialmente
sull’utenza per mezzo della riscossione di
un qualsiasi tipo di canone o tariffa,
mentre si avrà appalto quando l’onere del
servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull’amministrazione.
E tale assunto, è stato più volte confermato
dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è
in presenza di una concessione di servizi
allorquando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto del
prestatore di sfruttare la propria
prestazione ed implicano che quest’ultimo
assuma il rischio legato alla gestione dei
servizi in questione (Corte Giustizia CE,
Sez. III, 15.10.2009, C-196/08), mentre in
caso di assenza di trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione, l’operazione rappresenta un
appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez.
III, 10.09.2009, C-206/08).
A ciò aggiungasi che l’art. 23 del D.Lgs n.
163/2006 esclude l’applicabilità della
normativa sugli appalti nel caso in cui
oggetto della gara sia il servizio al
pubblico di trasporto mediante autobus, e
tale non può ragionevolmente essere inteso
il servizio di trasporto scolastico.
Una cosa, infatti, è il servizio pubblico
degli autobus, offerto ad un pubblico
indifferenziato che vi accede liberamente
mediante il semplice pagamento del
biglietto, altra è il servizio di trasporto
scolastico che, viceversa, è dedicato
esclusivamente agli alunni degli istituti
considerati e comporta, quindi, ben precise
e limitate modalità di accesso (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5068 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'incameramento della cauzione
provvisoria prestata da un concorrente
conseguente all'inadempimento dell'obbligo
assunto con la sottoscrizione del patto
d'integrità.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, il patto d'integrità
configura un sistema di condizioni (o
requisiti) la cui accettazione è presupposto
necessario e condizionante la partecipazione
delle imprese alla specifica gara di cui
trattasi. Con la sottoscrizione del patto
d'integrità, al momento della presentazione
della domanda, l'impresa concorrente accetta
regole del bando che rafforzano
comportamenti già doverosi per coloro che
sono ammessi a partecipare alla gara e che
prevedono, in caso di violazione di tali
doveri, sanzioni di carattere patrimoniale,
oltre alla conseguenza, ordinaria a tutte le
procedure concorsuali, della estromissione
della gara.
L'incameramento della cauzione non ha,
quindi, carattere di sanzione
amministrativa, come tale riservata alla
legge, ma costituisce la conseguenza
dell'accettazione di regole e doveri
comportamentali, accompagnati dalla
previsione di una responsabilità
patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione
dalla gara, assunti su base pattizia,
rinvenendosi la loro fonte nel Patto
d'integrità accettato dal concorrente con la
sottoscrizione. Pertanto, nel caso di specie
è legittimo l'incameramento della polizza
fideiussoria prestata dal concorrente, sul
rilievo della sussistenza di un collegamento
sostanziale tra quest'ultimo ed altra
impresa partecipante alla gara, e quindi
della violazione del patto di integrità
debitamente accettato e sottoscritto.
Infatti, il collegamento sostanziale rientra
nel novero degli accordi finalizzati a
limitare la concorrenza, che l'impresa aveva
dichiarato insussistenti all'atto di
partecipare alla gara (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5066 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La sottoscrizione del
“Patto d’integrità” può comportare
l’incameramento della cauzione a favore
della stazione appaltante.
Il ricorrente della controversia in rassegna
aveva partecipato a una gara indetta da un
Comune lombardo per i lavori di integrazione
e completamento di un progetto di
riqualificazione urbana.
Il bando disponeva che le concorrenti alla
gara erano tenute, a pena di esclusione, a
sottoscrivere ed a presentare, unitamente
all’offerta, il “Patto d’integrità”
per il tramite del quale si impegnavano, tra
l’altro, “a non accordarsi con altri
partecipanti alla gara per limitare in alcun
modo la concorrenza”. Per questa
ragione, il Comune, escludeva la società
ricorrente, avendo rilevato elementi tali da
far presumere forme di collegamento
sostanziale in violazione a quanto previsto
dal bando di gara e dal Patto d’integrità.
Il Comune, inoltre, stante “la gravità
degli indizi”, comunicava che avrebbe
provveduto ad applicare l’ulteriore sanzione
dell’escussione della polizza fideiussoria,
in conformità al Patto d’integrità
sottoscritto dai partecipanti della gara.
La ditta ricorrente, nella pronuncia in
commento, appella pertanto tanto
l’escussione della polizza fideiussoria,
quando l’esclusione dalla gara non avendo
ricevuto soddisfazione dal Tribunale
Amministrativo Regionale della Lombardia.
Respingendo l’appello i giudici del
Consiglio di Stato ricordano che secondo
l’insegnamento ormai consolidato della
stessa sezione il Patto d’integrità
configura un sistema di condizioni (o
requisiti) la cui accettazione è presupposto
necessario e condizionante la partecipazione
delle imprese alla specifica gara di cui
trattasi.
Con la sottoscrizione del Patto d’integrità,
al momento della presentazione della
domanda, l’impresa concorrente accetta
regole del bando che rafforzano
comportamenti già doverosi per coloro che
sono ammessi a partecipare alla gara e che
prevedono, in caso di violazione di tali
doveri, sanzioni di carattere patrimoniale,
oltre alla conseguenza, ordinaria a tutte le
procedure concorsuali, della estromissione
della gara.
L’incameramento della cauzione non ha quindi
carattere di sanzione amministrativa, come
tale riservata alla legge, ma costituisce la
conseguenza dell’accettazione di regole e
doveri comportamentali, accompagnati dalla
previsione di una responsabilità
patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione
dalla gara, assunti su base pattizia,
rinvenendosi la loro fonte nel Patto
d’integrità accettato dal concorrente con la
sottoscrizione. Legittimamente, pertanto,
secondo i giudici di Palazzo Spada, il
Comune ha escusso la polizza fideiussoria
prestata dall’appellante sul rilievo (in
questa sede incontestato ed ormai
incontestabile) della sussistenza di un
collegamento sostanziale tra quest’ultima ed
altra impresa partecipante alla gara, e
quindi della violazione del Patto di
integrità debitamente accettato e
sottoscritto dall’appellante stessa.
Diversamente ritenendo, il Patto si
risolverebbe in una generica enunciazione di
obblighi quasi tutti privi di qualsiasi
conseguenza in caso di loro inosservanza, in
palese ed insanabile contrasto con le
finalità perseguite dal Patto stesso
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2011 n. 5066 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti
pubblici: arrivano i bandi-tipo.
Al via i bandi-tipo per gli appalti pubblici
di lavori, forniture e servizi e la messa a
punto dei costi standard per il settore
della sanità. Il passaggio alla definizione
concreta dei bandi-tipo per gli appalti
pubblici è stato deciso ieri dal Consiglio
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici presieduta da Sergio Santoro.
Ora l'iter prevede il passaggio per
l'audizione che si terrà il 29 settembre,
quando saranno sentiti gli operatori del
settore e i rappresentanti delle principali
stazioni appaltanti che porteranno le loro
osservazioni sul documento di consultazione
diffuso sul sito dell'Authority
(www.avcp.it). Gli aspetti di maggiore
rilievo oggetto della consultazione
riguarderanno la tassatività delle clausole
a pena di esclusione al fine di ridurre i
costi degli adempimenti amministrativi e del
contenzioso; il peso del costo del lavoro
nella valutazione delle offerte per
garantire in ogni caso il rispetto dei
minimi salariali, con particolare attenzione
alla fase di esecuzione delle commesse nella
quale si può sviluppare una efficace e reale
azione di contrasto al lavoro nero e al
lavoro sottopagato.
Scopo del lavoro dell'Autorità è quello di
ridurre sensibilmente i costi finanziari e
gli oneri amministrativi a carico delle
stazioni appaltanti e delle imprese,
generati dai meccanismi delle attuali
procedure di affidamento e gestione dei
contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture. Per realizzare questo scopo
l'Autorità ritiene necessario costruire un
efficace sistema di controllo della gestione
e della esecuzione dei singoli contratti,
funzionale all'avvio dei cicli di
spending review, in modo da ottimizzare
l'impiego delle risorse finanziarie
pubbliche, evidenziando quelle allocate su
progetti non operativi e dando così certezze
sia dei tempi di pagamento, che del
finanziamento di nuovi progetti di sviluppo.
L'Autorità ha altresì in corso, in
collaborazione con le altre pubbliche
amministrazione interessate, le attività per
l'elaborazione dei costi standard, così come
prescritto per il settore della sanità dal
dl 98/2011 che prevede debbano essere
operativi a partire dal primo luglio 2012 (articolo
ItaliaOggi del 09.09.2011). |
APPALTI:
Raggruppamento
orizzontale e raggruppamento verticale –
Nozione – Differenze – Art. 37 d.lgs. n.
163/2006.
Nel raggruppamento orizzontale, di cui
all’art. 37, c. 2, d.lgs. n. 163/2006,
ciascuna delle imprese riunite è
responsabile nei confronti
dell’amministrazione committente dell’intera
prestazione: in tal caso la distribuzione
del lavoro per ciascuna impresa non rileva
all’esterno (C.d.S., sez. V, 28.03.2007, n.
1440; 24.04.2002, n. 2208; 04.11.1999, n.
1805); nel raggruppamento verticale, invece,
un’impresa, ordinariamente capace per la
prestazione prevalente, si associa ad altre
imprese provviste della capacità per le
prestazioni scorporabili (Cd.S., sez. V,
28.03.2007, n. 1440).
Mentre nel raggruppamento di tipo
orizzontale, in cui tutte le imprese sono in
possesso di un’identica specializzazione
rispetto all’oggetto dell’appalto, la
suddivisione delle prestazioni è quindi
meramente quantitativa, nel raggruppamento
di tipo verticale la suddivisione delle
prestazioni tra le varie imprese è di
carattere qualitativo; a tale distinzione
corrisponde poi anche una diversa
articolazione della responsabilità tra
amministrazione appaltante e l’A.T.I., nel
senso che mentre nell’associazione di tipo
orizzontale tutti gli operatori economici
sono solidalmente responsabili nei confronti
dell’amministrazione appaltante per tutte le
obbligazioni nascenti dal contratto di
appalto, nell’associazione di tipo verticale
la sola mandataria resta responsabile
dell’intero appalto, mentre le mandanti sono
responsabili solo per le attività
scorporabili da esse prestate.
Appalti di lavori -
A.T.I. mista – Nozione.
In tema di appalto di lavori, è ammessa
anche la figura di A.T.I. mista, che ricorre
allorquando, in presenza di un appalto
complesso, le opere della categoria
prevalente siano assunte, invece che dalla
sola impresa capogruppo, da un’associazione
orizzontale composta da essa con taluna
delle imprese mandanti ovvero allorquando le
opere scorporabili siano assunte in tutto o
in parte orizzontalmente dalle imprese
mandanti.
A.T.I. mista –
Esecuzione della prestazione principale –
Riserva alla sola mandataria –
Individuazione della prestazione principale
- Scelta discrezionale dell’amministrazione
– Specifiche finalità dell’affidamento.
La pur ampia flessibilità che deve essere
riconosciuta allo strumento del
raggruppamento temporaneo di imprese, con
particolare riferimento all’ipotesi di
A.T.I. mista, non può giungere al
travolgimento e alla sostanziale abrogazione
della espressa norma che riserva alla sola
mandataria, nel caso di appalto di forniture
e servizi, l’esecuzione della prestazione
principale: si tratta di una previsione che
affida alla scelta discrezionale
dell’amministrazione, in rapporto alle
specifiche finalità che essa intende
perseguire con l’affidamento all’esterno del
servizio oggetto di gara, l’individuazione
della prestazione principale che deve essere
eseguita dalla mandataria, consentendole
quindi un pregnante controllo
sull’affidabilità della stessa e sulle
conseguenti responsabilità per le
obbligazioni derivanti dal contratto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2011 n. 5051 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Fino all’aggiudicazione
l’amministrazione può disporre la revoca del
bando di gara per concreti motivi di
interesse pubblico che ne rendano
inopportuna la prosecuzione.
Dopo aver indetto una gara per l’appalto
della manutenzione ordinaria delle aree a
verde pubblico e pubblicato il relativo
bando sulla Gazzetta Ufficiale pervenivano
ai competenti uffici del comune in causa i
plichi dei soggetti interessati alla gara.
Tuttavia, essendo necessario, secondo
l’amministrazione comunale, ampliare il
raggio di intervento il bando veniva
revocato. Gli appellanti contestano pertanto
la revoca dell’originaria gara per
l’affidamento della manutenzione ordinaria
delle aree a verde pubblico.
Giova al riguardo, secondo i giudici del
Consiglio di Stato, rilevare che il primo
comma dell’art. 21-quinquies della legge
07.08.1990, n. 241, al primo periodo,
stabilisce che per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse ovvero nel caso di
mutamento della situazione di fatto o di una
nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo
ad efficacia durevole può essere revocato da
parte dell’organo che lo ha emanato ovvero
da altro organo previsto dalla legge,
aggiungendo al secondo periodo che la revoca
determina la inidoneità del provvedimento
revocato a produrre ulteriori effetti.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire,
continuano i giudici di Palazzo Spada, che,
secondo la predetta norma, tre sono i
presupposti che in via alternativa
legittimano l'adozione di un provvedimento
di revoca di un provvedimento amministrativo
ad efficacia durevole da parte dell'Autorità
emanante ovvero da altro organo previsto
dalla legge, cioè sopravvenuti motivi di
pubblico interesse, mutamento della
situazione di fatto e nuova valutazione
dell'interesse pubblico originario (C.d.S.,
sez. V, 18.01.2011, n. 283) e che deve
essere considerato legittimo il
provvedimento di revoca di una gara di
appalto, disposta in una fase non ancora
definita della procedura concorsuale, ancora
prima del consolidarsi delle posizioni delle
parti e quando il contratto non è stato
ancora concluso, motivato anche con
riferimento al risparmio economico che
deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in
quanto la ricordata disposizione ammette un
ripensamento da parte della amministrazione
a seguito di una nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario (C.d.S.,
sez. III, 13.04.2011, n. 2291).
Sempre in tema di procedure ad evidenza
pubblica è stato evidenziato che fino a
quando non sia intervenuta l’aggiudicazione,
rientra nel potere discrezionale
dell’amministrazione disporre la revoca del
bando di gara e degli atti successivi,
laddove sussistano concreti motivi di
interesse pubblico tali da rendere
inopportuna, o anche solo da sconsigliare,
la prosecuzione della gara, puntualizzando
che le ragioni tecniche nell’organizzazione
del servizio attinenti le modalità di
presenziamento, il riassetto societario, la
volontà di provvedere in autoproduzione e
non mediante esternalizzazione, la necessità
di consentire attraverso tale scelta
organizzativa un maggior assorbimento di
personale in un quadro di attività
concertate in sede sindacale mirante alla
valorizzazione del personale interno, sono
tutti profili attinenti al merito
dell’azione amministrativa e di conseguenza
insindacabili da parte del giudice, in
assenza di palesi e manifesti indici di
irragionevolezza (C.d.S., sez. V,
09.04.2010, n. 1997) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2011 n. 5050 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è necessario che i
requisiti e mezzi di partecipazione alla
gara siano già disponibili nel corso della
procedura.
---------------
Le prescrizioni contenute nella "lex
specialis" della gara sono dirette ad
assicurare la trasparenza e l'imparzialità
dell'Amministrazione, nonché la parità di
condizioni tra i concorrenti, e devono
rispondere al comune canone di
ragionevolezza, in stretta relazione con i
richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione
vanno quindi interpretate seguendo il
criterio della stretta interpretazione, per
non ledere il contrapposto interesse alla
più ampia partecipazione dei concorrenti
alla procedura di gara.
Pertanto, di esse clausole va evitata
un'applicazione meccanica che contraddica,
alla luce delle specifiche circostanze del
caso concreto, la fondamentale ed immanente
esigenza di ragionevolezza dell'attività
amministrativa, finendo così per porsi in
contrasto con le stesse finalità di tutela
cui sono preordinati i generali canoni
applicativi delle regole della
contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o
di una dichiarazione previsti a pena di
esclusione può dunque considerarsi alla
stregua di un'irregolarità insanabile e,
quindi, non ne è permessa l'integrazione o
la regolarizzazione postuma; pertanto, alla
stazione appaltante è precluso sopperire,
con l'integrazione, alla totale mancanza di
un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46,
d.lgs. n. 163/2006, deve ritenersi
consentita l'integrazione documentale
riguardante semplici chiarimenti di un
documento incompleto.
Una interpretazione finalistica e
teleologica delle disposizioni in tema di
requisiti di partecipazione alla gara, di
cui è espressione anche il principio di
avvalimento, porta a ritenere che, in sede
di gara, possa essere fornita la
dimostrazione in ordine al possesso, certo
ed incondizionato, al momento della stipula
del contratto e della successiva esecuzione,
dei requisiti e dei mezzi all'uopo
necessari.
Non è quindi necessario che i mezzi siano
già disponibili all'epoca della procedura,
mentre è invece necessario che nel corso
della procedura si dimostri che essi saranno
disponibili al momento dell'assunzione e
dell'esecuzione degli impegni negoziali.
Una diversa interpretazione che preveda
l'anticipazione al momento della procedura
del possesso dei mezzi, non è da considerare
effettuabile perché imporrebbe la
dispendiosa acquisizione di dotazioni
funzionali alla sola esecuzione dell'appalto
prima ancora che vi sia certezza in ordine
all'aggiudicazione, mentre l'interesse
dell'Amministrazione a non prendere in
considerazione offerte prive del crisma
della necessaria serietà deve ritenersi
soddisfatto dalla piena dimostrazione che
detti requisiti saranno certamente
disponibili al tempo all'uopo rilevante,
ossia al momento dell'effettiva contrazione
del vincolo negoziale (Consiglio Stato, sez.
VI, 23.12.2005, n. 7376).
---------------
Le prescrizioni
contenute nella "lex specialis" della
gara sono dirette ad assicurare la
trasparenza e l'imparzialità
dell'Amministrazione, nonché la parità di
condizioni tra i concorrenti, e devono
rispondere al comune canone di
ragionevolezza, in stretta relazione con i
richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione
vanno quindi interpretate seguendo il
criterio della stretta interpretazione, per
non ledere il contrapposto interesse alla
più ampia partecipazione dei concorrenti
alla procedura di gara.
Pertanto, di esse clausole va evitata
un'applicazione meccanica che contraddica,
alla luce delle specifiche circostanze del
caso concreto, la fondamentale ed immanente
esigenza di ragionevolezza dell'attività
amministrativa, finendo così per porsi in
contrasto con le stesse finalità di tutela
cui sono preordinati i generali canoni
applicativi delle regole della
contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o
di una dichiarazione previsti a pena di
esclusione può dunque considerarsi alla
stregua di un'irregolarità insanabile e,
quindi, non ne è permessa l'integrazione o
la regolarizzazione postuma; pertanto, alla
stazione appaltante è precluso sopperire,
con l'integrazione, alla totale mancanza di
un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46,
d.lgs. n. 163/2006, deve ritenersi
consentita l'integrazione documentale
riguardante semplici chiarimenti di un
documento incompleto
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2011 n. 5040 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Solo l'omessa
allegazione di un documento previsto a pena
di esclusione è da ritenersi alla stregua di
un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne
è consentita l'integrazione ovvero la
regolarizzazione postuma.
Le prescrizioni contenute nella "lex
specialis" di gara sono dirette ad
assicurare la trasparenza e l'imparzialità
dell'Amministrazione, nonché la parità di
condizioni tra i concorrenti, e devono
rispondere al comune canone di
ragionevolezza, in stretta relazione con i
richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione
vanno quindi interpretate seguendo il
criterio della stretta interpretazione, onde
non ledere l'interesse alla più ampia
partecipazione dei concorrenti alla
procedura di gara. Pertanto, di esse va
evitata un'applicazione meccanica che
contraddica la primaria esigenza di
ragionevolezza dell'attività amministrativa,
finendo per porsi in contrasto con le stesse
finalità di tutela cui sono preordinati i
canoni applicativi delle regole concernenti
la contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o
di una dichiarazione previsti a pena di
esclusione è da ritenersi alla stregua di
un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne
è consentita l'integrazione ovvero la
regolarizzazione postuma. Pertanto, alla
stazione appaltante è precluso sopperire,
con l'integrazione, alla totale mancanza di
un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46,
d.lgs. n. 163/2006, la stessa deve ritenersi
consentita, se riguardante semplici
chiarimenti relativi ad un atto incompleto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2011 n. 5040 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Documentazione
da tenere in cantiere. Ecco il quadro
completo.
Conservare la documentazione in cantiere
rappresenta uno degli adempimenti più
importanti e delicati per la gestione della
sicurezza.
La documentazione risulta molto spesso
cospicua: si va dai documenti a carattere
generale (notifica preliminare, piani di
sicurezza, piani di lavoro, tesserini di
riconoscimento, etc.) fino alla
documentazione specifica relativa ai
macchinari e alle attrezzature
(dichiarazioni CE delle attrezzature,
registri di controllo, etc.).
Il Coordinamento dei CPT della Lombardia, al
fine di garantire la sicurezza per i
lavoratori dei cantieri edili, ha pubblicato
un documento contenente il quadro sinottico
della principale documentazione che deve
essere tenuta in cantiere.
Il documento, chiaro e sintetico, fornisce
indicazioni su tutta la documentazione con
indicazioni su chi deve emetterla, chi è il
destinatario e il punto normativo di
riferimento, oltre alle note (08.09.2011
- link a www.acca.it). |
APPALTI:
P.A., senza moralità
professionale niente contratti.
Il requisito della
moralità professionale, richiesto per la
partecipazione alle gare pubbliche di
appalto, è da considerarsi mancante
nell'ipotesi di commissione di un reato
specifico connesso al tipo di attività che
il soggetto deve svolgere.
L’Autorità di Vigilanza per i contratti
pubblici inseriva nel Casellario informatico
una annotazione, relativa alla revoca
dell’aggiudicazione disposta da parte della
più importante società autostradale per
false dichiarazioni nel possesso dei
requisiti da parte di una ditta
partecipante. L’inserimento dell’annotazione
è stato successivamente comunicato alla
società interessata.
Nel frattempo, altra società operante nel
medesimo settore aveva indetto una gara per
l’affidamento dei lavori di manutenzione
straordinaria di una determinata strada.
Nella domanda presentata, la società
ricorrente comunicava la sussistenza a suo
carico di un decreto penale di condanna in
precedenza emesso in relazione a violazioni
di norme sulla salute e sicurezza dei
lavoratori, ma non la annotazione pendente
nel Casellario.
La stazione appaltante, così, ne disponeva
l’esclusione dalla gara sia in relazione
alla mancata dichiarazione dell’annotazione,
che alla mancanza dei requisiti di
partecipazione, trattandosi di reato
incidente sulla moralità professionale;
inviava, dunque, la segnalazione
dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza.
Quest’ultima, tuttavia, archiviava il
procedimento relativo a un’eventuale
ulteriore annotazione per false
dichiarazioni, in quanto risultava che
l’impresa aveva ricevuto la comunicazione
dell’annotazione successivamente alla
compilazione della domanda di partecipazione
alla gara.
Avverso il provvedimento di esclusione della
gara, l’invio della comunicazione
dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza e
la prima annotazione da parte della medesima
è insorta la ditta interessata, invocandone
l’annullamento con contestuale domanda di
risarcimento danni.
Il TAR di Roma, dichiarata l’irricevibilità
per tardività del ricorso limitatamente alla
prima annotazione inserita dall’Autorità di
Vigilanza, nel merito ha ritenuto
inammissibile l’impugnazione proposta
avverso la comunicazione dell’avvenuta
esclusione da parte della seconda società
stradale all’Authority, atteso che il
menzionato atto, avendo natura
endoprocedimentale, non appariva
immediatamente lesivo né autonomamente
impugnabile.
Infatti, ha proseguito il Collegio
capitolino, la segnalazione nel casellario
informatico non aveva prodotto alcun
effetto, se non quello dell’avvio del
procedimento presso l’Autorità.
Di conseguenza, l’unico atto conclusivo con
valenza provvedimentale era rappresentato
dall’eventuale annotazione disposta dalla
medesima; al contrario, la semplice
segnalazione all’Autorità costituiva una
mera comunicazione circa fatti verificatisi
o accertati in relazione a una gara,
rispetto alla quale potevano derivare
effetti pregiudizievoli per l'impresa
interessata solo a seguito di annotazione
nel Casellario informatico (v., di recente,
TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.02.2011,
n. 762).
Passando a esaminare l’impugnazione proposta
avverso il provvedimento di esclusione dalla
gara, l’adito giudicante ha dichiarato
l’infondatezza del gravame.
In proposito, il G.A. ha sottolineato come
l’impugnato provvedimento di esclusione non
era fondato solo sulla mancata dichiarazione
dell’annotazione successivamente inserita
dall’Autorità e che, quindi, non risultava
ancora conosciuta al momento di
presentazione della domanda.
Invero, ha proseguito, l’esclusione dalla
gara era stata determinata anche
sull’autonoma valutazione della sussistenza
del precedente decreto penale di condanna,
quale elemento ostativo alla partecipazione
alla gara, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006, trattandosi di reato
considerato incidente sulla moralità
professionale.
Tale valutazione, a opinione del Tribunale,
non poteva ritenersi né in contrasto con la
disposizione dell’art. 38 cit., né
irragionevole, trattandosi di decreto penale
per reato relativo alla violazione di norme
sulla sicurezza dei lavoratori.
Difatti, ha precisato che l'art. 38, comma
1, D.Lgs. n. 163 del 2006, nel testo
applicabile al momento dello svolgimento
della gara, prevedeva alla lett. c)
l’esclusione dalla partecipazione alle
procedure di affidamento delle concessioni e
degli appalti di lavori, forniture e servizi
dei soggetti nei cui confronti è stato
emesso, oltre al resto, decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile per reati
gravi che incidono sulla moralità
professionale.
In argomento, ha ancora richiamato un
recente orientamento giurisprudenziale che,
in relazione alla cd. “incidenza sulla
moralità professionale”, ha evidenziato
la rilevanza dell'interesse
dell'Amministrazione a non contrarre
obbligazioni con soggetti che non
garantiscono adeguata moralità professionale
in relazione al tipo di contratto oggetto
della gara (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
12.04.2007, n. 1723).
A non differente conclusione il Collegio
romano è pervenuto in relazione alla nozione
di gravità del reato, la quale dev’essere
valutata non in relazione alla
considerazione penalistica del reato, ma
all’interesse dell’Amministrazione al
corretto adempimento delle obbligazioni
oggetto del contratto.
Conseguentemente, ha ritenuto che la gravità
del reato, ai sensi dell’art. 38 cit., non è
esclusa dalla lieve pena edittale prevista
nella fattispecie penale o dalla natura
contravvenzionale del reato, ma dev’essere
valutata in relazione all’incidenza del
reato sulla moralità professionale (commento
tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 07.09.2011 n. 7143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' legittimo il
provvedimento di esclusione da una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente, in relazione ad
un decreto penale per un reato relativo alla
violazione di norme sulla sicurezza dei
lavoratori.
La gravità del reato, ai sensi dell'art 38,
c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, non
è esclusa dalla lieve pena edittale prevista
nella fattispecie penale o dalla natura
contravvenzionale del reato. La gravità del
reato deve essere valutata in relazione alla
incidenza del reato sulla moralità
professionale; il contenuto del contratto
oggetto della gara assume allora importanza
fondamentale al fine di apprezzare il grado
di "moralità professionale" del
singolo concorrente.
Pertanto, è irrilevante, rispetto a siffatta
valutazione della stazione appaltante, la
gravità del reato sanzionato in sede penale
in relazione alla pena edittale o al fatto
che si tratti di contravvenzioni. Nel caso
di specie, pertanto, si deve ritenere
legittima la valutazione della stazione
appaltante che abbia escluso una concorrente
da una gara di appalto di lavori, in
relazione ad un decreto penale per un reato
relativo alla violazione di norme sulla
sicurezza dei lavoratori (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 07.09.2011 n. 7143 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
segnalazione all’Autorità è una mera
comunicazione circa fatti verificatisi o
accertati in relazione ad una gara, rispetto
alla quale potranno derivare effetti
pregiudizievoli per l'impresa interessata
solo a seguito di annotazione nel Casellario
informatico.
La segnalazione nel casellario informatico
non produce alcun effetto, che non sia
l’avvio del procedimento presso l’Autorità
di Vigilanza. L’unico atto conclusivo con
valenza provvedimentale è rappresentato
dalla eventuale annotazione disposta
dall’Autorità di Vigilanza.
La segnalazione all’Autorità è una mera
comunicazione circa fatti verificatisi o
accertati in relazione ad una gara, rispetto
alla quale potranno derivare effetti
pregiudizievoli per l'impresa interessata
solo a seguito di annotazione nel Casellario
informatico (cfr. di recente Tar Campania,
sez. VIII, 09.02.2011, n. 762)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 07.09.2011 n. 7143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
requisito della moralità professionale
richiesto per la partecipazione alle gare
pubbliche di appalto risulta mancante
nell'ipotesi di commissione di un reato
specifico connesso al tipo di attività che
il soggetto deve svolgere.
La nozione di gravità del reato deve essere
valutata non in relazione alla
considerazione penalistica del reato, ma
all’interesse dell’Amministrazione al
corretto adempimento delle obbligazioni
oggetto del contratto. Ne deriva che la
gravità del reato, ai sensi dell’art. 38,
non è esclusa dalla lieve pena edittale
prevista nella fattispecie penale o dalla
natura contravvenzionale del reato. La
gravità del reato anche deve essere valutata
in relazione alla incidenza del reato sulla
moralità professionale; il contenuto del
contratto oggetto della gara assume allora
importanza fondamentale al fine di
apprezzare il grado di "moralità
professionale" del singolo concorrente. Di
conseguenza, è irrilevante rispetto a tale
valutazione della stazione appaltante la
gravità del reato sanzionato in sede penale
in relazione alla pena edittale o al fatto
che si tratti di contravvenzioni.
L'art. 38,
comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006,
nel testo applicabile al momento dello
svolgimento della gara, prevedeva alla
lettera c) la esclusione dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi dei soggetti: “nei
cui confronti è stata pronunciata sentenza
di condanna passata in giudicato, o emesso
decreto penale di condanna divenuto
irrevocabile, oppure sentenza di
applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell'articolo 444 del codice di
procedura penale, per reati gravi in danno
dello Stato o della Comunità che incidono
sulla moralità professionale”.
La giurisprudenza ha interpretato la
incidenza sulla moralità professionale, nel
senso della rilevanza dell'interesse
dell'Amministrazione a non contrarre
obbligazioni con soggetti che non
garantiscano adeguata moralità professionale
in relazione al tipo di contratto oggetto
della gara.
Il requisito della moralità professionale
richiesto per la partecipazione alle gare
pubbliche di appalto è stato considerato
mancante nell'ipotesi di commissione di un
reato specifico connesso al tipo di attività
che il soggetto deve svolgere (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n.
1723, proprio rispetto alla condanna per
violazione della normativa antinfortunistica
in una gara di appalto di lavori).
Anche la nozione di gravità del reato deve
essere valutata non in relazione alla
considerazione penalistica del reato, ma
all’interesse dell’Amministrazione al
corretto adempimento delle obbligazioni
oggetto del contratto.
Ne deriva che la gravità del reato, ai sensi
dell’art. 38, non è esclusa dalla lieve pena
edittale prevista nella fattispecie penale o
dalla natura contravvenzionale del reato.
La gravità del reato anche deve essere
valutata in relazione alla incidenza del
reato sulla moralità professionale; il
contenuto del contratto oggetto della gara
assume allora importanza fondamentale al
fine di apprezzare il grado di "moralità
professionale" del singolo concorrente.
Di conseguenza, è irrilevante rispetto a
tale valutazione della stazione appaltante
la gravità del reato sanzionato in sede
penale in relazione alla pena edittale o al
fatto che si tratti di contravvenzioni (cfr.
Consiglio Stato, sez. VI, 04.06.2010, n.
3560 rispetto alla condanna per violazione
delle norme sulla disciplina igienica della
produzione e della vendita di sostanze
alimentari rispetto alla gara per un
servizio di ristorazione).
Nel caso di specie, si deve, quindi,
ritenere legittima la valutazione della
stazione appaltante che ha escluso la
impresa ricorrente da una gara di appalto di
lavori di manutenzione stradale, in
relazione ad un decreto penale per un reato
relativo alla violazione di norme sulla
sicurezza dei lavoratori.
La norma dell’art. 38 fa salva
l'applicazione dell'art. 178 del codice
penale.
La giurisprudenza, anche di questa sezione,
ha, dunque, considerato rilevante, sotto
tale profilo, la pronuncia di
riabilitazione, per escludere che una
pronuncia di condanna continui ad incidere
sulla moralità professionale di una impresa
(cfr. Consiglio Stato, sez. V, 25.01.2011,
n. 513; TAR Lazio Roma, sez. III,
22.05.2009, n. 5194).
Come è noto, l’orientamento
giurisprudenziale ritiene, altresì, che la
riabilitazione (o l'estinzione del reato per
cui è stata applicata la pena su richiesta,
per decorso del termine di legge) debba
essere giudizialmente dichiarata, poiché il
giudice dell'esecuzione è l'unico soggetto,
al quale l'ordinamento conferisce la
competenza a verificare che siano venuti in
essere tutti i presupposti e sussistano
tutte le condizioni per la relativa
declaratoria (Consiglio Stato, sez. V,
20.10.2010, n. 7581)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 07.09.2011 n. 7143 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Partecipazione alle
gare, dichiarazione dell'amministratore di
fatto ok.
Devono essere inclusi nel novero dei
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione
sul possesso dei requisiti generali per la
partecipazione alle gare di appalto quelle
persone in grado di impegnare la società
verso i terzi ed i procuratori ad negotia
laddove, a dispetto del nomen, l'estensione
dei loro poteri conduca a qualificarli come
amministratori di fatto. L’art. 38 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, prevede che la
dichiarazione sul possesso dei requisiti
generali per la partecipazione alle gare di
appalto debba essere resa dagli
amministratori muniti di potere di
rappresentanza.
In tale dizione, a parere del Collegio,
devono essere ricompresi tutti i soggetti
che possiedono poteri gestionali di ampiezza
tale che le conseguenze dei loro personali
comportamenti possano trasmettersi in capo
all’impresa partecipante alla gara.
La ratio della previsione di cui al
suddetto art. 38 é quella di evitare che
alle gare per l’affidamento di contratti
pubblici partecipino imprese la cui gestione
possa essere inquinata da comportamenti
antigiuridici da parte di coloro che
concorrono ad assumerne le decisioni, di
talché la suddetta partecipazione metta a
rischio sia il rispetto delle regole
fondamentali dell’evidenza pubblica, sia la
corretta esecuzione del contratto una volta
affidato.
E se tale è la ratio della norma in
questione, non vi è ragione di escludere dal
suo ambito di applicazione quei soggetti
che, pur essendo qualificati come meri
procuratori dell’impresa partecipante,
tuttavia possiedano poteri gestori ampi al
punto di poter influire sulle decisioni
aziendali.
Così opinando non viene consentita
un’integrazione postuma della legge di gara
come la ricorrente denuncia, ma si assume
un’interpretazione della stessa secondo un
canone di buona fede che vincola non solo
l’amministrazione ma anche il privato, e si
impone alle parti quale obbligo di lealtà.
Il rispetto di tale obbligo impone di
evitare le interpretazioni cavillose o
meramente letterali, per privilegiare invece
lo spirito delle disposizioni oggetto
dell'interpretazione.
La giurisprudenza dominante afferma infatti
che l’obbligo di rendere le dichiarazioni
sostitutive deve essere ricollegato
all'oggettiva sussistenza di poteri gestori
generali e continuativi ricavabili dalla
procura (C.d.S. VI, 12.10.2006 n. 6089), e
che l'identificazione delle persone fisiche
munite del potere di rappresentanza della
società partecipante alla gara pubblica e,
per questo, tenute a presentare la
dichiarazione medesima va effettuata non
solo in base alle qualifiche formali
rivestite, ma anche alla stregua dei poteri
sostanziali ad essi attribuiti.
Ne segue che devono essere inclusi nel
novero dei soggetti tenuti a rendere la
dichiarazione quelle persone in grado di
impegnare la società verso i terzi ed i
procuratori ad negotia laddove, a
dispetto del nomen, l'estensione dei
loro poteri conduca a qualificarli come
amministratori di fatto (C.d.S. V,
20.10.2010 n. 7578).
Come correttamente dedotto nel provvedimento
impugnato, nel caso di specie i procuratori
della ricorrente erano muniti non solo di
poteri rappresentativi, ma anche gestori, in
quanto entrambi dotati della capacità di
intrattenere ogni tipo di rapporto giuridico
con la stazione appaltante e di
sottoscrivere contratti senza che fosse
necessaria né in via preventiva, né in via
di ratifica, l’adesione del legale
rappresentante dell’impresa medesima.
Trattasi di una situazione in cui tali
soggetti sono procuratori solo nominalmente,
ma in via di fatto appaiono essere i veri
gestori della partecipazione dell’impresa
ricorrente alle gare di appalto.
Tale situazione non poteva non essere nota
all’impresa stessa che, conseguentemente,
avrebbe dovuto rendere la dichiarazione
anche con riferimento ai suddetti soggetti o
quantomeno chiedere in proposito chiarimenti
alla stazione appaltante.
Questo non è stato fatto e pertanto ritiene
il Collegio che legittimamente il Comune
intimato abbia disposto l’esclusione della
ricorrente dalla gara.
Il Collegio non ignora che una pronuncia del
Consiglio di Stato (C.d.S. V, 25.01.2011 n.
513) ha affermato principi diversi
sostenendo che, poiché l’art. 38 del d.lgs.
163/2006 richiede la compresenza della
qualifica di amministratore e del potere di
rappresentanza, la sua applicazione non
potrebbe essere estesa ai soggetti, quali il
procuratore, che amministratori non sono.
La normativa civilistica infatti riserva la
gestione dell’impresa esclusivamente a
questi ultimi mentre il procuratore ha solo
la sua rappresentanza di diritto comune.
L’assunto è suffragato dalla considerazione
che detta disposizione limita la
partecipazione delle imprese alle gare di
appalto e con essa la libertà di iniziativa
economica, sicché assumerebbe carattere
eccezionale e non sarebbe suscettibile di
applicazione analogica.
È discutibile che l’art. 38 del d.lgs.
163/2006 sia norma eccezionale.
La normativa sull’evidenza pubblica pone
infatti una serie di regole tendenti a
garantire che le gare per l’affidamento dei
pubblici contratti avvengano secondo criteri
di trasparenza e parità di trattamento
evitando che vi partecipino imprese le
quali, a causa del comportamento dei loro
amministratori, possono condizionarne
negativamente lo svolgimento.
Sotto questo profilo l’art. 38 del d.lgs.
163/2006 non sembra che tenda a restringere
la libertà d’impresa quanto invece a
tutelarla, impedendo che la stessa possa
essere incisa dal comportamento di imprese
che non danno garanzie di affidabilità.
Le sue disposizioni quindi non limitano, ma
anzi tutelano maggiormente la libertà
economica perché garantiscono che la
concorrenza, nell’ambito delle procedure per
l’affidamento dei contratti pubblici,
avvenga secondo regole certe e nel rispetto
del principio di parità di trattamento al
fine della costruzione di un mercato libero,
aperto, concorrenziale ed efficiente.
Non trattasi quindi di norma eccezionale e
pertanto nulla osta alla sua applicazione
analogica.
Peraltro nel caso di specie non vi è
necessità di ricorrere al procedimento
analogico poiché l’interpretazione secondo
buona fede della legge di gara, a parere del
Collegio, non poteva che condurre a
ricomprendere nel novero dei soggetti tenuti
ad autodichiarare l’assenza di condizioni
ostative alla partecipazione alla procedura
de qua anche coloro che, se pure non muniti
formalmente della qualifica di
amministratore, fossero tuttavia
concretamente dotati di poteri gestionali e
decisori in ordine alla politica aziendale
rispetto (quantomeno) alle gare per
l’affidamento di contratti pubblici.
L’assunto secondo il quale l’art. 38 del
d.lgs. 163/2006 non ricomprenderebbe i
procuratori muniti di potere gestorio ma non
qualificati come “amministratori” non
appare convincente poiché è ancorato
all’analisi formale dei poteri connessi alle
cariche rivestite dai soggetti che agiscono
in nome e per conto dell’impresa.
Le esigenze sottese alle previsioni di cui
alle norme ostative alla partecipazione alle
gare di appalto, consistenti nell’evitare
che le stesse vengano inquinate da imprese
che non diano garanzie di correttezza,
possono essere soddisfatte solo ove se ne
assuma un’interpretazione sostanzialistica
centrata sull’esame dei poteri concretamente
dispiegabili, caso per caso, da tali
soggetti.
Laddove un procuratore, in base alla procura
conferitagli, possieda come nel caso di
specie anche poteri gestori non può non
essere tenuto a rendere la dichiarazione
sostitutiva ex art. 38, d.lgs. 163/2006.
Trattasi, si ripete, di interpretazione
secondo buona fede della lex specialis
alla quale sono tenuti anche i soggetti
privati.
Deve infine essere rilevato che la stazione
appaltante non avrebbe legittimamente potuto
ammettere la ricorrente alla
regolarizzazione, poiché questa può essere
attivata per chiedere chiarimenti o
integrare dichiarazioni esistenti e giammai
per supplire alla mancanza di una
dichiarazione che l’impresa avrebbe dovuto
produrre entro un termine perentorio (C.d.S.
IV, 10.05.2007 n. 2254; TAR Piemonte I,
08.06.2010 n. 2722) (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 07.09.2011 n. 1381 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
perentorio il termine sul controllo dei
requisiti ex art. 48, co. 2, D.Lgs.
163/2006.
La giurisprudenza è pressoché uniformemente
orientata ad affermare la perentorietà del
termine di cui al primo comma dell’ art. 48
D.Lgs. 163/2006. Quanto al secondo comma,
parte della giurisprudenza (confortata anche
dalla determinazione dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici n. 5/2009)
ritiene che esso non preveda un termine
perentorio entro il quale la documentazione
comprovante i requisiti deve essere fornita
(in tal senso si è espresso anche questo
Tribunale nella sentenza della sez. II
03.07.2009 n. 1171); mentre l'opposto
orientamento è stato seguito, ad esempio, da
TAR Palermo, sez. III, 08.10.2009 n. 1608;
TAR Lazio, sez. III, 23.07.2009 n. 7493; TAR
Bari, sez. I, 14.08.2008 n. 1971.
Il Collegio, nel confronto tra le opposte
tesi, ritiene più convincente quella da
ultimo richiamata, sulla base delle seguenti
considerazioni: l'esigenza di assicurare
tempi certi e celeri vale sia durante lo
svolgimento della gara, sia dopo
l'aggiudicazione provvisoria e in vista
della conclusione del procedimento;
confligge con tale esigenza la mancanza di
un termine perentorio per la presentazione
della documentazione comprovante i requisiti
dell’aggiudicatario; sotto il profilo
letterale il richiamo del comma 2 alla "richiesta
di cui al comma 1" va riferito alla
richiesta "di comprovare, entro dieci
giorni dalla data della richiesta medesima,
il possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa" e dunque anche al
termine di 10 giorni ivi indicato,
pacificamente ritenuto perentorio; da ciò
consegue che l'impugnata esclusione della
ricorrente risulta legittimamente disposta
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 07.09.2011 n. 1380 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
L'art. 38 del d.lgs. n.
163/2006 esclude una valutazione
discrezionale da parte della P.A., in ordine
alla gravità o meno della violazione
concernente gli obblighi tributari.
Ai fini della configurabilità del requisito
della regolarità fiscale, va escluso ogni
rilievo alla modestia dell'entità del debito
definitivamente accertato non essendo
previsto, da parte della stazione
appaltante, alcun apprezzamento
discrezionale in merito alla gravità ed
all'elemento psicologico della violazione,
in quanto la formulazione dell'art. 38 del
d.lgs. n. 163/2006 è riferita a qualsivoglia
violazione, anche di importo esiguo, senza
che sia consentito all'amministrazione
procedente, né al concorrente, valutarne la
rilevanza e la buona o mala fede del
contribuente, giacché tale valutazione è
stata effettuata dal legislatore al fine di
garantire l'affidabilità dell'offerta e
nell'esecuzione del contratto, nonché la
correttezza e serietà del concorrente.
Un'interpretazione opposta del citato art.
38 comporterebbe il conferimento alla P.A.
di un potere discrezionale in ordine alla
gravità dell'infrazione, anche in settori in
cui è positivamente esclusa. Pertanto, anche
una violazione quantitativamente non ampia
degli obblighi tributari risulta sufficiente
per determinare l'esclusione del concorrente
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 07.09.2011 n. 1380 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'interdittiva antimafia
non obbedisce a finalità di accertamento di
responsabilità, bensì di massima
anticipazione dell'azione di prevenzione,
rispetto alla quale risultano rilevanti
anche fatti e vicende solo sintomatiche ed
indiziarie.
In materia di interdittiva antimafia
prevista dall'art. 4 d.lgs. n. 490/1994, e
art. 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è stato
più volte ribadito dalla giurisprudenza
amministrativa che l'interdittiva non
obbedisce a finalità di accertamento di
responsabilità, bensì di massima
anticipazione dell'azione di prevenzione,
rispetto alla quale risultano rilevanti
anche fatti e vicende solo sintomatiche ed
indiziarie.
Conseguentemente non occorre che sia provata
l'esistenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo
un giudizio prognostico latamente
discrezionale, la mera possibilità di
interferenze della criminalità rivelate da
fatti sintomatici o indiziari.
Inoltre, gli elementi raccolti non vanno
considerati separatamente dovendosi
piuttosto stabilire se sia configurabile un
quadro indiziario complessivo, dal quale
possa ritenersi attendibile l'esistenza di
un condizionamento da parte della
criminalità (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 06.09.2011 n. 5019 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Cause di esclusione.
La disciplina di cui all'art. 38, comma
primo, lett. m-ter del Codice dei Contratti
Pubblici, introdotta dall'art. 2 della legge
n. 94 del 2009, introduce una nuova autonoma
causa di esclusione dalle procedure di
aggiudicazione, ma non fa venire meno la
vigente disciplina in materia di
informazioni antimafia. Ciò rilevato,
pertanto, la circostanza che un determinato
accadimento possa risultare, in concreto,
inidoneo ad integrare la fattispecie di cui
al menzionato art. 38, non impedisce affatto
che esso possa essere considerato quale
univoco elemento indiziario ai fini
dell'adozione dell'informativa antimafia.
L'intervenuto annullamento giurisdizionale
di una informativa antimafia per difetto di
istruttoria e di motivazione, non preclude
alla competente Amministrazione di svolgere
un nuovo procedimento, che conduca ad un
completo ed approfondito rinnovo della
valutazione dei fatti. In tale contesto
deve, pertanto, escludersi qualsiasi intento
elusivo del giudicato, da parte
dell'Amministrazione, in quanto certamente
titolare, in seguito all'annullamento
dell'originaria informativa, del potere di
svolgere un nuovo procedimento valutativo,
correlato alla acquisizione di ulteriori
elementi istruttori.
Il rinnovo del procedimento, semmai,
costituisce proprio uno degli effetti
conformativi della pronuncia di
annullamento, ferma restando la eventuale
sindacabilità della nuova determinazione,
anche alla luce dei vincoli derivanti dal
giudicato (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.09.2011 n. 5014 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Risarcimento dei danni
per responsabilità precontrattuale della
P.A..
Va accolta la domanda di risarcimento dei
danni per responsabilità precontrattuale
della P.A., avanzata da una ditta
concorrente ad una gara per l’affidamento di
un appalto, nel caso in cui la stazione
appaltante, senza alcuna preventiva
comunicazione alle ditte interessate, abbia
disposto la revoca in autotutela della
procedura di gara, per la sopravvenuta
necessità di predisporre un nuovo progetto
preliminare, tendente alla ottimizzazione
delle risorse pubbliche impegnate, e tale
revoca -nonostante che la suddetta necessità
fosse conosciuta da molto tempo prima- sia
stata adottata a procedura di gara pressoché
ultimata (nella specie, quando restava
soltanto di dover procedere all’apertura
della busta del "prezzo offerto")
(1).
---------------
(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna
che, nell’ipotesi prospettata, la revoca è
stata disposta quando un apprezzabile
affidamento dei concorrenti si era già
formato, a fronte della tardiva indicazione
della necessità della revisione progettuale,
con la conseguenza che, da una parte, il
comportamento dell’Amministrazione deve
ritenersi contrastante con il dovere di
correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c.,
che deve permeare i rapporti anche
contrattuali con le parti private, e che,
dall’altra, deve ritenersi emergente la
responsabilità precontrattuale della P.A.
E’ stato ricordato che, secondo la
giurisprudenza, nel caso di revoca legittima
degli atti della procedura di gara, può
sussistere una responsabilità
precontrattuale della pubblica
amministrazione nel caso di affidamenti
suscitati nella impresa dagli atti della
procedura ad evidenza pubblica poi rimossi
(Cons. Stato, Ad. plen., 05.09.2005, n. 6;
V, 30.11.2007, n. 6137; 08.10.2008, n. 4947;
11.05.2009, n. 2882; VI, 17.12.2008, n.
6264) potendo aver confidato l’impresa sulla
possibilità di diventare affidataria e,
ancor più, in caso di aggiudicazione
intervenuta e revocata, sulla disponibilità
di un titolo che l’abilitava ad accedere
alla stipula del contratto stesso (Cons.
Stato, Ad. plen., n. 6 del 2005) (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.09.2011 n. 5002 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
False dichiarazioni.
Inserimento della relativa impresa nel
casellario telematico nel caso di falso
imputabile.
L’inserimento nel casellario informatico, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 17, comma
1, lettera m), e dell’art. 27, comma 2,
lettere s) e t), del d.P.R. 25.01.2000, n.
34, non può essere disposto solo nel caso di
falso non imputabile (1). L’imputabilità,
tuttavia, non può ricondursi in via
esclusiva al solo caso della diretta ed
immediata riconducibilità all’imprenditore
della falsa dichiarazione, ma ha portata più
ampia, perché -per un’immanente esigenza di
tutela dell’affidamento delle
amministrazioni pubbliche- si debbono a
questi effetti ascrivere tra i fatti
sfavorevolmente imputabili anche condotte
non uniformate alla diligenza esigibile nel
mercato dei pubblici appalti, qual è nel
caso di omissione di adeguati controlli in
occasione dell’acquisto di un ramo di
azienda.
Nel caso di acquisto di ramo di azienda,
incombe sull’imprenditore acquirente -che da
quel momento diviene attributario delle
qualificazioni- l’onere della verifica della
veridicità delle preesistenti attestazioni
relative al plesso aziendale da lui
acquisito e di cui assume, con le utilità,
il rischio. Al cessionario d’azienda possono
dunque non essere, a questi fini, addebitate
false dichiarazioni del cedente solo in caso
di comprovata impossibilità di loro
conoscenza, seppur in presenza di opportune
verifiche effettuate in occasione della
cessione, in relazione alle dimensioni
dell’impresa e al settore di attività
interessato (2).
---------------
(1) Cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez.
VI, 04.02.2010, n. 515 e 08.07.2010, n. 4442
Le attestazioni inerenti i lavori effettuati
dalle imprese, infatti, costituiscono la
base di ufficiali certificazioni sui
requisiti di capacità tecnica e finanziaria,
che attestano con effetti di affidamento di
tutte le amministrazioni la capacità
dell’imprenditore rispetto all’oggetto dei
contratti pubblici, e che perciò sono
necessari per partecipare alle gare indette
dalle amministrazioni medesime per
realizzare col mezzo di quei contratti opere
e lavori pubblici.
(2) Cfr., in senso conforme, Cons. Stato,
Sez. II, parere n. 1661/2005 del 25.05.2005,
per il quale rimane imputabile
all’acquirente la falsità non difficilmente
accertabile, ad es. mediante i certificati
penali e dei carichi pendenti dei gestori
della cedente.
In applicazione del principio nella specie è
stata ritenuta legittima l’iscrizione nel
casellario giudiziale di una falsa
dichiarazione resa dall’acquirente di un
ramo di azienda circa la mancanza di
risoluzioni contrattuali, dichiarazione
smentita dal fatto che in precedenza, nei
confronti dell’impresa che aveva ceduto il
ramo d’azienda, una P.A. aveva avviato
azione di risoluzione, in danno
dell’impresa, del contratto di appalto.
E’ stato ritenuto che di tale situazione
contenziosa non sembrava illogico ritenere
che potesse avere avuto notizia sia
l’acquirente del ramo di azienda a circa due
mesi di distanza dall’avvio dell’azione di
risoluzione, sia l’acquirente successiva,
che dell’attestazione contestata intendeva
avvalersi ai fini della qualificazione.
In tal caso la dimostrazione della non
conoscenza della causa di esclusione
spettava quindi all’impresa e non certo
all’Autorità di Vigilanza, che aveva
ravvisato ragionevoli e concordanti indizi
per desumerne l’imputabilità di cui trattasi
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.09.2011 n. 4997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'onere di verificare la
veridicità delle preesistenti attestazioni
incombe sul cessionario d'azienda.
Con
sentenza 05.09.2011 n. 4997, il
Consiglio di Stato, Sez. VI, ha precisato
che incombe sull’imprenditore, acquirente di
un ramo d’azienda, l’onere della verifica
della veridicità delle preesistenti
attestazioni relative al plesso aziendale da
lui acquisito e di cui assume, oltre alle
utilità, anche il rischio.
La decisione del Consiglio di Stato ha
riformato la sentenza del TAR Roma, con la
quale era stato annullato il provvedimento
con cui l’Autorità di Vigilanza sui lavori
pubblici aveva comunicato ad una società il
suo inserimento nel casellario informatico,
per accertate falsità nelle dichiarazioni
rese sui requisiti e condizioni rilevanti
per la partecipazione alle procedure di
gara.
In particolare, il TAR Roma aveva motivato
la sua decisione sulla circostanza che la
falsa dichiarazione non fosse riconducibile
direttamente alla società ricorrente, poiché
la certificazione non veritiera seguiva
l’acquisto di un ramo d’azienda da una
società che, a sua volta, aveva acquistato
la struttura aziendale, già fornita di
attestazione di qualificazione, da un’altra
società.
In riforma della sentenza di primo grado, il
Consiglio di Stato ha chiarito che
l’imputabilità di una falsa dichiarazione
può essere ascritta anche all’imprenditore
che ha tenuto una condotta non uniformata
alla diligenza esigibile nel mercato dei
pubblici appalti, come nel caso in cui abbia
omesso di effettuare adeguati controlli in
occasione dell’acquisto di un ramo di
azienda.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Dal
principio generale di successione nei
rapporti giuridici oggettivi dell’azienda
ceduta (cfr. art. 2558 Cod. civ.) nel cui
novero rientrano anche gli effetti di queste
dichiarazioni circa l’affidabilità morale e
professionale indistintamente valevoli verso
le stazioni appaltanti pubbliche, consegue
che, in caso di acquisto di ramo di azienda,
incombe sull’imprenditore acquirente –che
dal momento diviene attributario delle
qualificazioni– l’onere della verifica della
veridicità delle preesistenti attestazioni
relative al plesso aziendale da lui
acquisito e di cui assume, con le utilità,
il rischio.
Al cessionario d’azienda possono dunque non
essere, a questi fini, addebitate false
dichiarazioni del cedente solo in caso di
comprovata impossibilità di loro conoscenza,
seppur in presenza di opportune verifiche
effettuate in occasione della cessione, in
relazione alle dimensioni dell’impresa e al
settore di attività interessato (cfr. in
senso conforme, Cons. Stato, II, parere n.
1661/2005 del 25.05.2005, per il quale
rimane imputabile all’acquirente la falsità
non difficilmente accertabile, ad es.
mediante i certificati penali e dei carichi
pendente dei gestori della cedente)”.
In conclusione, secondo i giudici del
Consiglio di Stato, l’imprenditore che
acquista un ramo d’azienda deve adottare
tutta la diligenza, esigibile nel mercato
dei pubblici appalti, e necessaria per la
tutela dell’affidamento delle
amministrazioni pubbliche (commento tratto
da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’interpretazione del
bando di gara soggiace alle stesse regole
dettate dal codice civile per
l’interpretazione dei contratti.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, l’interpretazione degli
atti amministrativi (ivi compreso il bando
di gara) soggiace alle stesse regole dettate
dall’art. 1362 e ss. c.c. per
l’interpretazione dei contratti, tra le
quali assume carattere preminente quella
collegata all’interpretazione letterale (in
quanto compatibile con il provvedimento
amministrativo), dovendo in ogni caso il
giudice ricostruire l’intento
dell’amministrazione ed il potere che essa
ha inteso esercitare in base al contenuto
complessivo dell’atto e tenendo conto del
rapporto tra le premesse ed il suo
dispositivo (C.d.S., sez. V, 09.11.2010, n.
7966; 16.06.2009, n. 3880); occorre poi
aggiungere, per un verso, che secondo il
criterio di interpretazione di buona fede
(ex art. 1366 c.c.) gli effetti degli atti
amministrativi devono essere individuati
solo in base a ciò che il destinatario può
ragionevolmente intendere, anche in ragione
del principio costituzionale di buon
andamento che impone alla P.A. di operare in
modo chiaro e lineare, in modo da fornire ai
cittadini regole di condotte certe e sicure,
soprattutto quando da esse possano derivare
conseguenze negative (C.d.S., sez. V,
19.11.2010, n. 7260) e, per altro verso, che
solo in caso di oscurità ed equivocità delle
clausole del bando (e degli atti che
regolano i rapporti tra cittadini e P.A.)
può ammettersi una lettura idonea a tutela
dell’affidamento degli interessati in buona
fede, non potendo generalmente addebitarsi
al cittadino un onere di ricostruzione
dell’effettiva volontà dell’amministrazione
attraverso complesse indagini ermeneutiche
ed integrative (C.d.S., sez. V, 17.10.2008,
n. 5064; 28.03.2007, n. 1141) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 05.09.2011 n. 4980 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Bandi
di gara senza pretese inutili. Negli appalti
niente clausole a pena di esclusione oltre i
presupposti di riferimento. Dl sviluppo.
Cambia anche la valutazione delle offerte da
parte dell'ente che dovrà avvenire
sottraendo al ribasso i costi del lavoro.
Le stazioni appaltanti
non possono inserire clausole a pena di
esclusione che non rispettino i presupposti
di riferimento indicati dalla normativa in
materia di appalti e devono valutare le
offerte sottraendo al ribasso i costi del
lavoro.
In base alle novità introdotte nel Codice
dei contratti pubblici dal decreto Sviluppo
(Dl 70/2011) e dalla sua legge di
conversione (106/2011), le amministrazioni
devono impostare gli atti di gara con regole
che non prevedano adempimenti inutili, tali
da ostacolare gli operatori economici,
mentre questi ultimi sono tenuti a formulare
le loro proposte con valori che non possono
andare al di sotto dei minimi salariali.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici (Avcp) ha aperto una consultazione
su questi temi (sul sito www.avcp.it, alla
voce «Consultazioni online»), che si
chiuderà il 10 settembre: le imprese e le Pa
possono produrre le loro osservazioni in
merito.
I limiti.
Il primo profilo di attenzione è determinato
dal neo-introdotto comma 1-bis dell'articolo
46, il quale stabilisce che nei bandi di
gara e nelle lettere di invito possono
essere inserite clausole a pena di
esclusione solo se collegate a obblighi
previsti da norme del Codice, del
regolamento attuativo o di altre leggi,
oppure se volte a garantire il corretto
sviluppo delle operazioni di gara (con
riferimento alla certezza della provenienza
e del contenuto dell'offerta, all'integrità
dei plichi, alla segretezza e alla
completezza delle offerte). Le stazioni
appaltanti non possono inserire altre
clausole escludenti, poiché sono nulle, in
quanto non sostenute da un presupposto
normativo.
L'Avcp sta predisponendo i bandi-tipo
(previsti dall'articolo 64, comma 4-bis del
Codice), che conterranno le clausole
tassative a pena di esclusione, ma nel
documento di consultazione chiede la
collaborazione dei soggetti pubblici e
privati impegnati negli appalti per
risolvere alcuni aspetti critici (come
l'esclusione in caso di mancata
effettuazione del sopralluogo, per il quale
la normativa non prevede un obbligo
specifico).
L'Autorità ha peraltro già definito alcune
clausole tipo, relative a specifici obblighi
previsti dal Codice, con riferimento
particolare a quelle inerenti al termine di
ricezione delle offerte e alla cauzione
provvisoria: tali elementi possono già
essere assunti dalle stazioni appaltanti per
l'elaborazione dei bandi di gara in questa
fase transitoria.
Nuovo criterio.
La seconda grande novità introdotta
nell'articolo 81 del Codice riguarda la
previsione (comma 3-bis) che le
amministrazioni devono determinare l'offerta
migliore al netto delle spese relative al
costo del personale, valutato sulla base dei
minimi salariali definiti dalla
contrattazione collettiva nazionale di
settore, e delle misure di adempimento delle
disposizioni in materia di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro.
Su questo dato normativo si sono formate due
linee interpretative.
La prima, elaborata dal gruppo di lavoro
degli esperti delle Regioni (www.itaca.org),
sostiene che la stazione appaltante dovrebbe
indicare "ex ante" nel bando di gara
l'importo del costo del lavoro. Di
conseguenza, l'importo complessivo posto a
base di gara dovrebbe essere suddiviso in
tre parti: una parte pari al costo del
lavoro (tempo previsto per esecuzione del
lavoro moltiplicato per i minimi salariali),
una parte pari al costo della sicurezza e
una parte pari al costo dei materiali, dei
noli a caldo e a freddo, delle attrezzature
e delle spese generali, nonché all'utile
delle imprese.
Il secondo orientamento è invece quello
elaborato dall'Avcp nel documento di
consultazione, nel quale l'Autorità afferma
che l'obiettivo della disposizione
(contrastare il lavoro nero e il lavoro
sottopagato) verrebbe perseguito in modo più
efficace verificando il rispetto della
normativa sulla manodopera, nella fase di
esecuzione delle commesse (articolo
Il Sole 24 Ore del 05.09.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Stazione unica
appaltante ad adesione volontaria.
LOTTA ALLE MAFIE - L'obiettivo della
centrale è salvaguardare dai possibili
condizionamenti di organizzazioni criminali.
Le amministrazioni pubbliche possono aderire
alla stazione unica appaltante, per
salvaguardare la fase dell'affidamento
dell'appalto da possibili condizionamenti di
organizzazioni criminali.
Nell'ambito del piano straordinario contro
le mafie (legge 136/2010) è stato emanato il
Dpcm 30.06.2011 (pubblicato nella Guri del
29 agosto), che disciplina le competenze e i
profili organizzativi dei particolari
organismi. Le "Sua" sono configurate
come centrali di committenza, riconducibili
al modello generale definito dagli articoli
3 e 33 del codice dei contratti pubblici, ma
con una finalizzazione che combina
l'ottimizzazione delle procedure con la
capacità di contrastare più efficacemente i
tentativi di infiltrazione mafiosa negli
appalti.
Le attività attribuite alla stazione unica
appaltante sono focalizzate sulla gestione
della procedura di gara, collaborando con
l'ente che intende affidare l'appalto
nell'impostazione dei documenti descrittivi
(capitolato speciale, schema di contratto),
definendo la procedura di gara e occupandosi
in via esclusiva della redazione degli atti
regolatori della gara (bando, disciplinare e
lettera di invito), con piena responsabilità
nella definizione dei criteri selettivi (in
caso di utilizzo dell'offerta economicamente
più vantaggiosa).
La gestione della gara in tutte le sue fasi
(compresa la nomina della commissione
giudicatrice, quando necessaria) costituisce
l'attività fondamentale della particolare
centrale di committenza, che deve
svilupparla in tutti i suoi profili
operativi: dall'assolvimento degli obblighi
di pubblicità all'effettuazione dei
controlli sul possesso dei requisiti di
ordine generale e di capacità nei confronti
dei concorrenti e dell'aggiudicatario.
La collaborazione con le amministrazioni
titolari dell'appalto si estende anche alla
fase di stipulazione del contratto. La Sua,
inoltre, ha competenza per la cura dei
contenziosi insorti in relazione alla
procedura di affidamento, fornendo anche gli
elementi tecnico-giuridici per la difesa in
giudizio. Su questo profilo, il riparto
degli oneri connessi alla gestione del
contenzioso deve essere definito nell'ambito
della convenzione che regola i rapporti tra
la stazione appaltante unica e le
amministrazioni pubbliche aderenti. Con tale
accordo devono essere definiti l'ambito di
operatività del particolare organismo, i
criteri dimensionali degli appalti che ne
determinano l'intervento (ad esempio, per
agre sopra la soglia comunitaria), le
interazioni tra il responsabile del
procedimento
delle amministrazioni aderenti e quello
della centrale di committenza, nonché gli
obblighi informativi reciproci (tra cui
anche quelli relativi alle varianti in corso
di esecuzione, che l'ente deve evidenziare
al soggetto affidante).
L'assetto organizzativo e gestionale della
Sua, con caratteristiche di notevole
flessibilità, ben si coniuga con la
prospettiva di una costituzione di più
organismi di questo tipo in ambito
regionale, proprio in virtù dell'ampia
possibilità di scelta delle amministrazioni
pubbliche, che possono aderirvi attribuendo
la competenza allo svolgimento di singole
gare o di particolari tipologie. Un comune
di limitate dimensioni e con una struttura
organizzativa ridotta potrebbe per esempio
aderire alla stazione unica appaltante solo
per le gare di maggiore complessità e
importo.
Il Dpcm fa comunque salve le normative
regionali che disciplinano moduli
organizzativi e strumenti di raccordo tra
gli enti territoriali per l'espletamento
delle funzioni e delle attività riferibili
alla Sua, quando hanno lo scopo di garantire
l'integrazione, l'ottimizzazione e
l'economicità delle stesse funzioni,
attraverso formule convenzionali,
associative o di avvalimento nell'ambito
delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione
vigente. A garanzia dell'efficacia
dell'attività delle Sua, il Dpcm prevede la
collaborazione informativa e di supporto
delle prefetture - utg, mentre sul piano più
operativo, gli enti possono avvalersi dei
provveditorati interregionali delle opere
pubbliche per le complesse e delicate
attività di verifica dei progetti per lavori
pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del
04.09.2011). |
APPALTI:
Differimento
dell'accesso agli atti di gara.
Il
Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 01.09.2011 n. 4905 ha
precisato che in un appalto pubblico
l’accesso al contenuto delle valutazioni
della commissione, in merito alla verifica
delle anomalie, deve essere differito fino
al momento dell’aggiudicazione definitiva.
Per una migliore comprensione della
decisione si precisa che l’articolo 13
(Accesso agli atti e divieti di
divulgazione) del d.lgs. 163/2006 nel suo
comma 2 prevede, in particolare, il
differimento del diritto di accesso: “…c)
in relazione alle offerte, fino
all'approvazione dell'aggiudicazione; c-bis)
in relazione al procedimento di verifica
della anomalia dell'offerta, fino
all'aggiudicazione definitiva”.
La sentenza in commento è stata pronunciata
in seguito ad un ricorso in materia di
accesso presentato da una società che, non
avendo positivamente superato la valutazione
di congruità dell’offerta, aveva chiesto il
rilascio della copia dei verbali relativi
alle valutazioni effettuate dalla
commissione di gara.
Questa istanza veniva differita dalla
stazione appaltante, ai sensi dell’articolo
13, comma 2, lett. c-bis, fino
all’aggiudicazione definitiva.
Avverso questa decisione la società
presentava ricorso dinanzi al TAR Sardegna,
il quale accoglieva il gravame sul
presupposto che il differimento contenuto
nell’articolo 13 del codice dei contratti
pubblici non trovasse applicazione alle
offerte presentate dallo stesso ricorrente.
In seguito all’appello presentato dalla
stazione appaltante, e in riforma della
decisione del giudice di prime cure, il
Consiglio di Stato ha chiarito come le
previsioni dell’articolo 13 hanno “…un
contenuto precettivo generale e non
derogabile, come si deduce anche dal fatto
che il cit. art 13, al co. 3, dispone che
gli atti richiamati non possono essere resi
"in qualsiasi altro modo noti", mentre le
possibilità di deroga alle prescrizioni in
esso contenute (v. co. riferimento al co. 5,
lett. a) e b)) sono specificamente
individuate.
Del resto, le disposizioni trovano logica
giustificazione nell’esigenza che proceda
alla valutazione delle offerte senza
possibili turbative, che potrebbero derivare
dalla conoscenza, all’esterno, delle
valutazioni adottate prima della conclusione
del procedimento; il differimento, poi, non
comprime la tutela degli interessati, perché
riguarda atti endoprocedimentali, non
autonomamente impugnabili”.
sezione ha ulteriormente sottolineato come
il differimento sia del tutto in linea con
le disposizioni contenute nell’articolo 79
(informazioni circa i mancati inviti, le
esclusioni e le aggiudicazioni) il quale nel
suo comma 5-quater fa salvi i provvedimenti
di differimento dell’accesso adottati ai
sensi dell’articolo 13.
In conclusione i giudici della V sezione
hanno chiarito come sia legittima la
decisione di una stazione appaltante che
decida di differire l’accesso al contenuto
delle valutazioni della commissione, in
merito alla verifica delle anomalie, sino al
momento dell’aggiudicazione definitiva
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Per
l'impugnazione degli atti delle procedure di
affidamento, ivi comprese le procedure di
affidamento di incarichi e concorsi di
progettazione e di attività
tecnico-amministrative ad esse connesse,
relativi a pubblici lavori, servizi o
forniture, il ricorso e i motivi aggiunti
devono essere proposti nel termine di 30
giorni; tale termine normalmente decorre
dalla ricezione della comunicazione di cui
all'art. 79 d.lgs. 12.04.2006 n. 163, salva
ovviamente l'ipotesi della piena conoscenza
dell'atto, acquisita con altre modalità,
come d'altronde ribadito dall'art. 41 del
codice: fra queste ipotesi, rientra quella
in cui all'atto dell'esclusione dalla gara
sia presente un rappresentante della impresa
esclusa.
Alla presenza in sede di gara ben può essere
equiparata la consegna di copia del
provvedimento ad un soggetto che, per la
qualificazione spesa, ben poteva ritenersi
legittimato al ricevimento, secondo il
principio generalmente affermato con
riferimento al dipendente dell’impresa che
abbia ricevuto la notifica o la raccomandata
inviata a mezzo posta (essendo sufficiente
che esista una relazione tra consegnatario e
destinatario idonea a far presumere che il
primo porti a conoscenza del secondo l'atto
ricevuto).
Il Collegio ritiene che la comunicazione
dell’avvenuta aggiudicazione, effettuata a
mani di una dipendente dell’impresa
ricorrente e risalente all’11.10.2010, fosse
idonea a far decorrere il termine per
l’impugnazione, atteso che il contenuto
della stessa deve ritenersi sufficiente a
garantire la piena conoscenza dell’atto
lesivo, in specie con riferimento agli
specifici elementi di lesività dedotti,
chiaramente conoscibili addirittura sin
dalla pubblicazione del bando di gara.
E’ pur vero, infatti, che nel caso di uso di
modalità di comunicazione diverse da quelle
espressamente previste dall’art. 79 del
d.lgs. 163/2006, non vi è presunzione di
piena conoscenza del contenuto dell’atto con
cui è stata disposta l’aggiudicazione, ma
ciò non esclude che sia comunque possibile
dimostrare che la modalità utilizzata abbia
consentito la piena conoscenza, così da far
decorrere, da tale momento, il termine per
l’impugnazione.
In tal senso si è già espressa la
giurisprudenza, con la sentenza del TAR
Puglia, Bari, I, 01.03.2011, n. 359, nella
quale si afferma il principio, che questo
Collegio ritiene di poter condividere,
secondo cui “Per l'impugnazione degli
atti delle procedure di affidamento, ivi
comprese le procedure di affidamento di
incarichi e concorsi di progettazione e di
attività tecnico-amministrative ad esse
connesse, relativi a pubblici lavori,
servizi o forniture, il ricorso e i motivi
aggiunti devono essere proposti nel termine
di trenta giorni; tale termine normalmente
decorre dalla ricezione della comunicazione
di cui all'art. 79 d.lgs. 12.04.2006 n. 163,
salva ovviamente l'ipotesi della piena
conoscenza dell'atto, acquisita con altre
modalità, come d'altronde ribadito dall'art.
41 del codice: fra queste ipotesi, rientra
quella in cui all'atto dell'esclusione dalla
gara sia presente un rappresentante della
impresa esclusa”.
Alla presenza in sede di gara ben può essere
equiparata la consegna di copia del
provvedimento ad un soggetto che, per la
qualificazione spesa, ben poteva ritenersi
legittimato al ricevimento, secondo il
principio generalmente affermato con
riferimento al dipendente dell’impresa che
abbia ricevuto la notifica o la raccomandata
inviata a mezzo posta (essendo sufficiente
che esista una relazione tra consegnatario e
destinatario idonea a far presumere che il
primo porti a conoscenza del secondo l'atto
ricevuto, come chiarito da Cassazione
civile, sez. lav., 10.01.2007, n. 239).
Ne consegue che, nel caso di specie, deve
ritenersi raggiunta la piena conoscenza del
provvedimento lesivo sin dalla consegna di
copia del provvedimento di aggiudicazione
alla dipendente dell’impresa che ne ha
sottoscritto copia per ricevuta (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.09.2011 n. 1296 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
potere riconoscibile alle p.a. di
sospendere, revocare e/o annullare le
procedure di gara, soprattutto se ancora
nella fase endoprocedimentale
dell’aggiudicazione provvisoria, è sempre
esercitabile.
Infatti, nei contratti d'appalto
l'Amministrazione aggiudicatrice non è
obbligata a stipulare il contratto con
l'impresa aggiudicataria ed essa ben può
rimuovere gli effetti dell'atto di
aggiudicazione provvisoria e finanche di
quello di aggiudicazione definitiva, purché
la conseguente azione amministrativa sia
condotta coi necessari crismi della
legittimità. Inoltre, l'aggiudicazione
provvisoria, anche se individua un
potenziale aggiudicatario definitivo della
gara, è un atto ancora ad effetti instabili,
del tutto interinali, e determina solo la
nascita di una mera aspettativa, con la
conseguenza che è sempre possibile per
l’Amministrazione procedere in autotutela.
In sostanza, è riconosciuto che
l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto
pubblico, essendo atto endoprocedimentale,
determina nell'impresa che l'ha ottenuta,
soltanto una mera aspettativa di fatto alla
conclusione del procedimento e non già una
posizione giuridica qualificata che,
viceversa, può solo derivare
dall'aggiudicazione definitiva; pertanto,
non può ritenersi preclusa alla stazione
appaltante la possibilità di procedere alla
sua revoca o annullamento allorché la gara
stessa non risponda più alle esigenze
dell'Ente e sussista un interesse pubblico,
concreto ed attuale, all'eliminazione degli
atti divenuti inopportuni, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse dell'aggiudicatario provvisorio
nei confronti dell'Amministrazione; tale
potere, già previsto dalla disciplina di
contabilità generale dello Stato che
consente il diniego di approvazione per
motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D.
23.05.1924 n. 827), trova il proprio
fondamento nel principio generale
dell'autotutela della Pubblica
amministrazione, che rappresenta una delle
manifestazioni tipiche del potere
amministrativo, direttamente connesso ai
criteri costituzionali di imparzialità e
buon andamento della funzione pubblica.
-------------
L’aggiudicazione provvisoria può ben può
essere posta nel nulla purché la relativa
decisione sia motivata in misura idonea alla
fattispecie.
In sostanza, se l'aggiudicazione provvisoria
della gara d'appalto è inidonea a generare
nella ditta provvisoriamente vincitrice una
posizione consolidata, sull'Amministrazione
che intende esercitare il potere di
autotutela incombe comunque un onere di
motivazione, sia pure fortemente attenuato,
circa le ragioni di interesse pubblico che
l’hanno determinata, essendo sufficiente che
sia reso palese almeno il ragionamento
seguito per giungere alla determinazione
negativa attraverso l'indicazione degli
elementi concreti ed obiettivi in base ai
quali essa ritiene di non procedere più
all'aggiudicazione definitiva.
Il Collegio ricorda che il potere
riconoscibile alle p.a. di sospendere,
revocare e/o annullare le procedure di gara,
soprattutto se ancora nella fase
endoprocedimentale dell’aggiudicazione
provvisoria, è sempre esercitabile.
Infatti, nei contratti d'appalto
l'Amministrazione aggiudicatrice non è
obbligata a stipulare il contratto con
l'impresa aggiudicataria ed essa ben può
rimuovere gli effetti dell'atto di
aggiudicazione provvisoria e finanche di
quello di aggiudicazione definitiva, purché
la conseguente azione amministrativa sia
condotta coi necessari crismi della
legittimità (TAR Sicilia, Ct, Sez. I,
25.02.2011, n. 463). Inoltre,
l'aggiudicazione provvisoria, anche se
individua un potenziale aggiudicatario
definitivo della gara, è un atto ancora ad
effetti instabili, del tutto interinali, e
determina solo la nascita di una mera
aspettativa, con la conseguenza che è sempre
possibile per l’Amministrazione procedere in
autotutela (TAR Calabria, Cz, Sez. I,
16.09.2010, n. 2561; TAR Veneto, Sez. I,
14.09.2010, n. 4745).
In sostanza, è riconosciuto che
l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto
pubblico, essendo atto endoprocedimentale,
determina nell'impresa che l'ha ottenuta,
soltanto una mera aspettativa di fatto alla
conclusione del procedimento e non già una
posizione giuridica qualificata che,
viceversa, può solo derivare
dall'aggiudicazione definitiva; pertanto,
non può ritenersi preclusa alla stazione
appaltante la possibilità di procedere alla
sua revoca o annullamento allorché la gara
stessa non risponda più alle esigenze
dell'Ente e sussista un interesse pubblico,
concreto ed attuale, all'eliminazione degli
atti divenuti inopportuni, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse dell'aggiudicatario provvisorio
nei confronti dell'Amministrazione; tale
potere, già previsto dalla disciplina di
contabilità generale dello Stato che
consente il diniego di approvazione per
motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D.
23.05.1924 n. 827), trova il proprio
fondamento nel principio generale
dell'autotutela della Pubblica
amministrazione, che rappresenta una delle
manifestazioni tipiche del potere
amministrativo, direttamente connesso ai
criteri costituzionali di imparzialità e
buon andamento della funzione pubblica (TAR
Campania, Na, Sez. VIII, 03.05.2010, n.
2263).
---------------
Ebbene, se è
vero, come riportato in precedenza, che è
sempre consentito alla stazione appaltante
procedere in autotutela durante la fase
dell’aggiudicazione provvisoria -così che
non è configurabile una posizione
consolidata di ogni concorrente (che si
ritiene potenzialmente aggiudicatario in
luogo di quello provvisorio) al fine di
pretendere la conclusione del procedimento
secondo i suoi canoni di (corretta)
aggiudicazione– è comunque principio
giurisprudenziale consolidato quello secondo
il quale l’aggiudicazione provvisoria può
ben può essere posta nel nulla purché la
relativa decisione sia motivata in misura
idonea alla fattispecie (TAR Lazio, Sez. II,
30.04.2010, n. 8975).
In sostanza, se l'aggiudicazione provvisoria
della gara d'appalto è inidonea a generare
nella ditta provvisoriamente vincitrice una
posizione consolidata, sull'Amministrazione
che intende esercitare il potere di
autotutela incombe comunque un onere di
motivazione, sia pure fortemente attenuato,
circa le ragioni di interesse pubblico che
l’hanno determinata, essendo sufficiente che
sia reso palese almeno il ragionamento
seguito per giungere alla determinazione
negativa attraverso l'indicazione degli
elementi concreti ed obiettivi in base ai
quali essa ritiene di non procedere più
all'aggiudicazione definitiva (TAR
Lombardia, Bs, Sez. II, 16.02.2011, n. 302,
Cons. Stato, Sez. V, 29.12.2009 n. 8966 e
Sez. IV, 31.05.2007 n. 2838; TAR Lazio, Sez.
II-ter, 09.11.2009 n. 10991).
Nel caso di specie, il Collegio rileva che,
pur concordando sul principio di ordine
generale che consente alla stazione
appaltante di poter dare luogo,
nell’applicare la potestà di revocare
l’aggiudicazione provvisoria, ad un
provvedimento motivato in forma attenuata,
si riscontra una carenza assoluta di
motivazione da parte della Soprintendenza,
che non ha chiarito in alcun modo, né almeno
accennato, quali siano le condizioni
dell’invito di gara che esigevano una
migliore precisazione e per quale ragione
solo alla data del 21.09.2010, dopo l’invio
alla ricorrente della richiesta
documentazione integrativa da parte
dell’Amministrazione al fine di procedere
all’aggiudicazione definitiva, sia emersa
questa esigenza in relazione a motivi di
interesse pubblico attuale e concreto.
Sotto tale profilo, quindi, appare fondato,
in maniera assorbente rispetto al terzo
motivo (per tuziorismo comunque da
dichiarare infondato in quanto, come
ricordato, l'aggiudicazione provvisoria
della gara d'appalto ha natura di atto
endoprocedimentale, inserendosi nell'ambito
della procedura di scelta del contraente
come momento necessario ma non decisivo,
atteso che la definitiva individuazione del
concorrente cui affidare l'appalto risulta
cristallizzata soltanto con l'aggiudicazione
definitiva e vantando in tal caso
l'aggiudicatario provvisorio solo
un'aspettativa alla conclusione del
procedimento, per cui non occorre la
comunicazione di avvio del procedimento di
annullamento d'ufficio (Cons. Stato, Sez. V,
08.03.2011, n. 1446; TAR Campania, Na, Sez.
I, 02.11.2010, n. 22122), quanto lamentato
dalla ricorrente con i primi due motivi di
ricorso in ordine alla carenza di
motivazione della determinazione impugnata
(TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 01.09.2011 n. 1372 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2011 |
|
APPALTI SERVIZI:
Affidamento pubblici servizi -
Interesse al ricorso - Sussiste anche
laddove il vantaggio non sia diretto ma
eventuale.
L'interesse al ricorso avverso l'affidamento
ad altro concorrente di un servizio pubblico
sussiste non solo nel caso in cui
dall'annullamento dell'atto impugnato derivi
al ricorrente un diretto e immediato
vantaggio (quale, ad esempio, lo scorrimento
in graduatoria e l'affidamento alla
ricorrente seconda classificata), ma anche
nel caso in cui il vantaggio sia successivo
ed eventuale (caducazione dell'intera gara e
rinnovo delle procedure di selezione ad
evidenza pubblica), dovendosi dichiarare
inammissibile il gravame solo laddove
risulti che la parte ricorrente non potrebbe
in nessun caso risultare aggiudicataria in
caso di accoglimento del ricorso e di
indizione di nuova procedura selettiva (TAR
Lombardia Milano, Sez. I, 16.12.2009 n.
5357)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2113 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Onere immediata
impugnazione del bando di gara - Soltanto
ove sia impedita la possibilità di
partecipazione alla procedura selettiva;
2. Aggiudicazione basata
esclusivamente su criteri soggettivi dei
candidati e non correlati all'oggetto
dell'appalto - Illegittimità - Preferenze
per aree geografiche di operatività dei
concorrenti - illegittimità.
1. Sussiste l'onere di immediata
impugnazione del bando soltanto nelle
ipotesi in cui sia impedita la
partecipazione formale o sostanziale alla
procedura selettiva da intendersi come
obiettiva impossibilità di presentare
un'offerta competitiva alla gara (TAR
Campania Napoli, sez. I, 14.01.2005,
n. 158, C.S. Sez. IV, 26.11.2009 n.
7442).
2. E' illegittima l'aggiudicazione disposta
dalla stazione appaltante basata unicamente
su criteri soggettivi dei candidati
(controlli effettuati nel passato su una
determinata area geografica, possesso di
attestazioni, abilitazioni, certificazioni),
senza alcuna correlazione con il concreto
svolgimento dei servizi oggetto dell'appalto
(Fattispecie nella quale il TAR ha
altresì rilevato che i criteri soggettivi a
base di gara, oltreché non pertinenti con
l'oggetto dell'appalto, risultavano
palesemente discriminatori, privilegiando i
concorrenti che avevano già operato in
Regione Lombardia e, in particolare, nella
Provincia di Pavia)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2112 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara -
Apertura offerte tecniche in seduta
riservata - Illegittimità - Ratio.
E' illegittimo l'operato della commissione
di gara, da cui discende l'illegittimità
dell'intero procedimento di selezione, che
procede all'apertura delle offerte tecniche
in seduta privata senza la presenza dei
rappresentanti delle imprese che hanno preso
parte alla gara.
Come sottolineato dalla
giurisprudenza amministrativa, infatti, la
ratio che sorregge il divieto di aprire la
documentazione tecnica in seduta riservata è
quella di assicurare la massima trasparenza
della procedura selettiva in quanto i
concorrenti, senza una ricognizione pubblica
del contenuto documentale delle offerte, non
sarebbero garantiti dal pericolo di
manipolazioni successive delle offerte
proprie e di quelle altrui, eventualmente
dovute ad inserimenti, sottrazioni o
alterazioni di documenti (cfr., da ultimo,
Cons. Stato, Ad. Plen., 28.07.2011 n. 13)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Se la lex specialis
induce in errore omissivo il concorrente,
correttamente l'amministrazione deve
ammettere quest'ultimo ad integrare
successivamente la documentazione carente.
Nel caso di specie, risultava evidente
dall’esame della modulistica allegata, che
questa era carente in ordine alla
dichiarazione da rendere, ai sensi dell’art.
38 del decreto legislativo n. 163 del 2006,
relativamente ad alcune dichiarazioni prese
in considerazione dall’articolo suddetto,
per cui l’appellante, in presenza di un
modello da seguirsi necessariamente, ma
carente, ha voluto adeguarsi al modello
medesimo, per non patire in concreto la
comminatoria dell’esclusione dalla gara.
Il complesso degli atti predisposto
dall’Amministrazione, avendo ingenerato
l’equivoco, ha determinato l’errore omissivo
dell’appellante; pertanto, correttamente la
stessa amministrazione, prendendo atto
dell’equivocità delle proprie
determinazioni, ha considerato l’omissione
in parola frutto della non coerenza del
bando ed ha conseguentemente ammesso la
stessa ricorrente ad integrare
successivamente la dichiarazione carente,
cosa che è stata fatta e da cui è risultata
la inesistenza della sanzione.
In presenza di questa situazione, in cui la
stessa amministrazione aveva determinato
l’errore dell’appellante, si appalesa
corretta la successiva integrazione, la
quale non può ritenersi violativa del
principio della “par condicio” fra i
concorrenti, in quanto si è, al contrario,
proprio con l’integrazione successiva, posto
rimedio ad uno sbilanciamento iniziale e si
è ripristinata proprio quella “par
condicio” che il soggetto appellato
ritiene violata, con il risultato di avere
quella pluralità di candidati cui il
principio di concorrenza tende nelle
procedure concorsuali della pubblica
amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.08.2011 n. 4861 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Il provvedimento di
esclusione dell'impresa dalla gara pubblica
deve essere sottoposto ad impugnazione entro
30 giorni dall'acquisita conoscenza del
medesimo, configurandosi, in caso contrario,
una impugnazione tardiva.
Il provvedimento di esclusione dell'impresa
dalla gara pubblica, in quanto atto della
procedura, deve essere sottoposto ad
impugnazione, a norma dell'art. 120, comma
quinto, D.Lgs. n. 104 del 2010, entro trenta
giorni dall'acquisita conoscenza del
medesimo, configurandosi, in caso contrario,
una impugnazione tardiva.
La tardiva impugnazione del provvedimento di
esclusione dalla gara pubblica determina il
consolidamento e la definitiva
inoppugnabilità del medesimo, nonché, da un
lato, il sopravvenuto difetto di interesse
in capo all'escluso riguardo alla gara di
riferimento e, dall'altro, la insussistenza
di ogni obbligo dell'Amministrazione
procedente in merito all'esame della domanda
di autotutela formulata, in relazione alla
quale deve, pertanto, ritenersi legittimo il
silenzio serbato (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 30.08.2011 n. 1264 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, insindacabili le
valutazioni tecniche della commissione.
Nelle gare di appalto, le valutazioni
tecniche espresse dalla Commissione di gara
sono insindacabili in sede giurisdizionale
ove non inficiate da profili di erroneità,
illogicità e sviamento.
La segnalata decisione affronta la notoria
tematica relativa alla censurabilità in sede
giurisdizionale delle valutazioni tecniche
espresse da una Commissione di valutazione
in sede di celebrazione di una gara di
appalto.
La ricorrente partecipava a una gara
d’appalto mediante procedura aperta indetta
da una civica amministrazione per
l’esecuzione di alcuni lavori; il bando
prevedeva l’aggiudicazione con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
ex art. 83, D.Lgs 12.04.2006, n. 163, previa
valutazione anche di eventuali proposte
migliorative che, per espressa previsione
della lex specialis, non dovevano
integrare varianti o alternative
progettuali, dovendosi conformare ai sub
criteri fissati dal disciplinare di gara.
Poiché si classificava al secondo posto
nella graduatoria finale, la deducente ha
impugnato l’aggiudicazione definitiva
dell’appalto in favore della
controinteressata, avendo quest’ultima
conseguito un maggior punteggio.
Ha formulato, oltre al resto, censure
relative alle valutazioni rese dalla
Commissione di gara all’offerta tecnica
presentata dalla ditta aggiudicatrice, in
quanto presuntivamente non conforme alle
previsioni del bando, nonché l’omessa
valutazione da parte del medesimo organo
degli elementi migliorativi della propria
offerta tecnica.
Con atto di motivi aggiunti, inoltre, la
ditta interessata ha contestato che il
procuratore speciale dell’aggiudicataria,
avendo assunto -in virtù di apposita
procura- amplissimi poteri decisionali,
gestionali e di rappresentanza della
società, avrebbe dovuto rendere le
dichiarazioni ex art. 38, D.Lgs. n.
163/2006, pena l’esclusione dalla gara.
La controinteressata, da par sua, ha
proposto ricorso incidentale con cui ha
contestato l’ammissione alla gara della
ricorrente principale.
Il TAR di Bari ha dapprima ritenuto il
ricorso introduttivo manifestamente
infondato e, pertanto, ha proceduto
all’esame prioritario dello stesso, pur a
fronte della proposizione del ricorso
incidentale "paralizzante" (cfr.
Cons. Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4).
Orbene, l’adito G.A., richiamando il
principio in massima, ha precisato come le
valutazioni tecniche espresse dalla
Commissione di gara sono insindacabili in
sede giurisdizionale ove non inficiate -come
nella specie- da profili di erroneità, di
illogicità e di sviamento.
Tanto, sulla scorta della considerazione per
cui le scelte dell’amministrazione
aggiudicatrice in materia di valutazione
dell’offerta tecnica sono ampiamente
discrezionali e, pertanto, si sottraggono al
sindacato giurisdizionale qualora non
manifestamente irragionevoli, arbitrarie,
contraddittorie o sproporzionate.
Siffatta impostazione, ha osservato il
Collegio, è stata del resto ampiamente
recepita in giurisprudenza, la quale in
argomento ha precisato che: "Nell’ambito
di una procedura di appalto-concorso,
condotta secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, la
valutazione in ordine all’idoneità ed alla
qualità di un progetto costituisce
espressione paradigmatica di lata
discrezionalità tecnica, con conseguente
insindacabilità del merito di dette
valutazioni ove non inficiate da profili di
erroneità, di illogicità e di sviamento"
(ex multis, Cons. Stato, Sez. V,
21.01.2009, n. 282).
Di conseguenza, nella vicenda sottoposta
alla sua delibazione, il giudicante ha
osservato che le deficienze e gli aspetti
tecnici del progetto dell’aggiudicataria su
cui sono state incentrate le censure della
ricorrente principale non erano supportate
da idonei elementi di prova ai sensi
dell’art. 64, comma 1 c.p.a., risolvendosi
in mere affermazioni sull’inidoneità del
progetto della controinteressata: indi,
rispetto alle stesse non era configurabile
un sindacato sostitutivo del Giudice
amministrativo.
A non differente conclusione il G.A. barese
è giunto anche per quel che attiene la
censura relativa al tempo impiegato dalla
Commissione (meno di un’ora e mezza) per
l’esame delle offerte tecniche presentate
dalle concorrenti; ha ritenuto, infatti, che
l’elemento temporale, in sé considerato, non
si manifesta affatto sintomatico di
un’illegittimità dell’azione amministrativa
(cfr. TAR Puglia, Bari, 06.04.2010, n.
1279).
Per quanto concerne le eccezioni portate dal
ricorso per motivi aggiunti, i Giudici
baresi le hanno rigettate, atteso che, come
recentemente precisato dal Supremo Consesso
amministrativo: "L’art. 38, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, nell’individuare i
soggetti partecipanti a gare pubbliche e
tenuti a rendere la dichiarazione di
onorabilità, fa riferimento soltanto agli
amministratori muniti di potere di
rappresentanza, ossia a soggetti titolari di
ampi e generali poteri di amministrazione,
con la conseguenza che una valutazione
ampliativa, e quindi non ancorata a precisi
criteri prestabiliti per legge circa
l’ampiezza dei poteri attribuiti con la
procura, finirebbe per scalfire la garanzia
di certezza del diritto sotto il profilo, di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese, della
possibilità di partecipare ai pubblici
appalti" (Cons. Stato, Sez. V,
24.03.2011, n. 1782; idem, 25.01.2011, n.
513, per cui: "I procuratori speciali
della società muniti di poteri di
rappresentanza non rientrano del novero dei
soggetti di cui all’art. 38, D.Lgs. n.
163/2006 tenuti alle dichiarazioni
sostitutive finalizzate alla verifica del
possesso dei requisiti di moralità della
società stessa"; e ancora, Cons. Stato,
Sez. IV, 12.01.2011, n. 134).
Per tal ragione, si è pure precisato che
nelle gare pubbliche indette per
l’aggiudicazione di appalti con la pubblica
amministrazione, i c.d. “procuratori
speciali” possono farsi rientrare fra
gli amministratori muniti di potere di
rappresentanza, sui quali incombe l’obbligo
di dichiarazione ex art. 38 cit., solo ove
titolari di poteri gestori generali e
continuativi ricavabili dalla procura, e non
per effetto del conferimento a essi del mero
potere di rappresentanza negoziale della
società, ivi compresa la facoltà di
partecipare alle gare e stipulare contratti.
Sicché, nello specifico, il Tribunale
amministrativo di Bari ha concluso come il
procuratore speciale della controinteressata
non fosse munito di poteri generali e
continuativi di gestione tali da farlo
assimilare a un amministratore della
società, obbligato in quanto tale a rendere
le dichiarazioni di cui al richiamato art.
38 e, da tanto, ne ha fatto derivare la
reiezione del gravame principale e
aggiuntivo (commento tratto da www.ipsoa.it
- TAR Puglia-Bari,
sentenza 30.08.2011 n. 1244 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.
29.08.2011 n. 200 "Stazione Unica
Appaltante, in attuazione dell’articolo 13
della legge 13.08.2010, n. 136 - Piano
straordinario contro le mafie" (D.P.C.M.
30.06.2011).
---------------
Centrale regionale per
gli appalti. Stazione unica territoriale per
le forniture, i servizi e i lavori. In
Gazzetta Ufficiale sbarca il Dpcm che
individua l'organo di gestione delle
committenze.
La stazione unica appaltante come centrale
di committenza a livello regionale per la
gestione di appalti di forniture, servizi e
lavori, non sarà obbligatoria ma
facoltativa; rimarrà comunque un utile
strumento per il controllo, anche antimafia,
degli appalti e per rendere più omogenee le
procedure di gara a livello territoriale.
È quanto si desume dalla lettura del Dpcm
30.06.2011 (pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 200 del 29.08.2011) che
istituisce la stazione unica appaltante in
attuazione dell'articolo 13 della legge
13.08.2010, n. 136 relativo al Piano
straordinario contro le mafie approvato dal
Consiglio dei ministri il 28.01.2010.
Il provvedimento, sul quale si era espressa
positivamente la Conferenza unificata lo
scorso 25 maggio, prima della firma del
decreto avvenuta il 2 luglio, è finalizzato
a promuovere l'istituzione in ambito
regionale, provinciale e comunale di una o
più stazioni uniche appaltanti con
l'obiettivo di rendere più penetrante
l'attività di prevenzione e contrasto ai
tentativi di condizionamento della
criminalità mafiosa, favorendo la celerità
delle procedure, l'ottimizzazione delle
risorse e il rispetto della normativa in
materia di sicurezza sul lavoro.
Va però segnalato che se il provvedimento ha
la finalità di incentivare «una maggiore
diffusione anche attraverso la
sensibilizzazione delle amministrazioni
aggiudicatrici», nei fatti tale finalità
potrebbe essere vanificata dalla natura
facoltativa della costituzione della Sua. Il
ricorso alla stazione unica appaltante (una
o più su base regionale) non rappresenterà
infatti un obbligo per le amministrazioni
che saranno sempre libere di scegliere se
aderire o meno.
Il provvedimento riguarda lo stato, le
regioni, gli enti pubblici territoriali, gli
altri enti pubblici non economici, gli
organismi di diritto pubblico, le
associazioni, unioni e concorsi di enti
pubblici, le imprese pubbliche e i soggetti
che operano in virtù di un diritto speciale
o di esclusiva. La Sua ha natura giuridica
di centrale di committenza e, come prevede
il Codice dei contratti pubblici, ha il
compito di procedere all'acquisizione di
forniture, lavori e servizi destinati ad
altre amministrazioni e all'aggiudicazione
di appalti o alla conclusione di accordi
quadro.
Nei fatti deve quindi deve gestire la
procedura di gara, compito che si
concretizza, ad esempio, nella cura della
fase di pubblicità e nell'invio delle
comunicazioni agli interessati,
nell'effettuazione delle verifiche in ordine
al possesso dei requisiti di partecipazione,
nella nomina della commissione giudicatrice
(in caso di aggiudicazione con offerta
economicamente più vantaggiosa) e nella
gestione degli eventuali contenziosi.
La Sua dovrà anche collaborare con l'ente
che ha ad essa aderito per quanto attiene
alla messa a punto dello schema di
contratto, alla scelta della procedura di
gara, alla predisposizione dei capitolati
speciali e generali, alla scelta del
criterio di aggiudicazione da utilizzare e
alla predisposizione di tutti gli atti di
gara (bando, disciplinare e lettere di
invito) e del contratto. Il rapporto fra la
Sua e gli enti aderenti viene regolato da
una convenzione di cui il Dpcm definisce i
contenuti essenziali della convenzione. In
particolare dovranno essere definite le
procedure interessate, ma anche l'aspetto
relativo al rimborso dei costi sostenuti, la
suddivisione degli oneri concernenti i
contenziosi.
L'ente che ha aderito alla stazione unica
sarà tenuto alla trasmissione, alla Sua e
alla prefettura, dei contratti stipulati e
delle varianti intervenute nel corso
dell'esecuzione dei contratti.
Per rendere incisivi i controlli sugli
appalti si prevede un collegamento
stringente fra la competente prefettura, ove
affluiranno tutte le informazioni e i dati
utili alla prevenzione delle infiltrazioni
della criminalità organizzata, e la Sua che
dovrà mettere a disposizione della
prefettura ogni dato utile concernente le
imprese partecipanti alla gara. Prevista la
delega del compito di verifica dei progetti
e dell'esame delle varianti al
Provveditorato interregionale per le opere
pubbliche (articolo ItaliaOggi del
31.08.2011).
---------------
Stazioni uniche
appaltanti ''centrali'' di legalità.
Il decreto è finalizzato a promuovere
l'istituzione in ambito regionale di una o
più Stazioni uniche appaltanti, denominate
''SUA'', con modalità che ne incentivino una
maggiore diffusione anche attraverso la
sensibilizzazione delle amministrazioni
aggiudicatrici, in modo da perseguire
l'obiettivo di rendere più penetrante
l'attività di prevenzione e contrasto ai
tentativi di condizionamento della
criminalità mafiosa, favorendo al contempo
la celerità delle procedure,
l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto
della normativa in materia di sicurezza sul
lavoro.
La stazione unica appaltante (SUA) con le
funzioni previste dall'articolo 33 del
decreto legislativo n. 163/2006, come
richiamato dall'articolo 13 della legge
13.08.2010, n. 136, può svolgere un ruolo
essenziale per promuovere ed attuare
interventi idonei a creare condizioni di
sicurezza, trasparenza e legalità favorevoli
al rilancio dell'economia e dell'immagine
delle realtà territoriali ed al ripristino
delle condizioni di libera concorrenza,
anche assicurando, con un costante
monitoraggio, la trasparenza e la celerità
delle procedure di gara e l'ottimizzazione
delle risorse e dei prezzi.
L'individuazione delle attività e dei
servizi della SUA, unitamente
all'indicazione degli elementi essenziali
delle convenzioni tra i soggetti che vi
aderiscono, mira ad agevolarne una maggiore
diffusione, in modo da perseguire
l'obiettivo di rendere più penetrante
l'attività di prevenzione e contrasto ai
tentativi di condizionamento della
criminalità mafiosa, favorendo al contempo
la celerità delle procedure,
l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto
della normativa in materia di sicurezza sul
lavoro.
Sono fatte salve le normative regionali che
disciplinano moduli organizzativi e
strumenti di raccordo tra gli enti
territoriali per l'espletamento delle
funzioni e delle attività di cui al presente
decreto, aventi lo scopo di garantire
l'integrazione, l'ottimizzazione e
l'economicità delle stesse funzioni,
attraverso formule convenzionali,
associative o di avvalimento nell'ambito
delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione
vigente.
Il Governo, le regioni e le province
autonome, le province e i comuni, in sede di
Conferenza unificata, si scambiano
annualmente, ai sensi dell'articolo 9, comma
2, lettera e), del decreto legislativo
28.08.1997, n. 281, dati ed informazioni
relativi all'attuazione del decreto, con
riguardo ai rispettivi ambiti di competenza.
Ferme restando le forme di monitoraggio e di
controllo degli appalti previste dalla
normativa vigente, le Prefetture-UTG possono
chiedere alla SUA di fornire ogni dato e
informazione ritenuta utile ai fini di
prevenzione delle infiltrazioni della
criminalità organizzata. I dati e le
informazioni ottenute possono essere
utilizzate dal Prefetto anche ai fini
dell'esercizio del potere di accesso e di
accertamento nei cantieri delle imprese
interessate all'esecuzione dei lavori
pubblici (30.08.2011 - commento
tratto da www.ipsoa.it).
---------------
Stazione unica
appaltante: pubblicato in Gazzetta ufficiale
il DPCM.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 200
del 29.08.2011 il Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 30.06.2011 avente
ad oggetto l’istituzione delle Stazioni
Uniche Appaltanti a livello regionale, in
attuazione dell’articolo 13 della legge
13.08.2010, n. 136 – Piano straordinario
contro le mafie.
Si tratta di un provvedimento suddiviso in 6
articoli che stabilisce finalità, compiti e
raggio d’azione della Stazione Unica
Appaltante (SUA).
A livello regionale dovranno essere
istituite una o più SUA con l’obiettivo di
rendere più penetrante l’attività di
prevenzione e contrasto ai “tentativi di
condizionamento della criminalità mafiosa,
favorendo al contempo la celerità delle
procedure, l’ottimizzazione delle risorse e
il rispetto della normativa in materia di
sicurezza sul lavoro.”
L’art. 2 elenca i soggetti che potranno
aderire, in via facoltativa, alle SUA,
ovvero: le Amministrazione dello Stato, le
regioni, gli enti locali, gli enti pubblici
territoriali, gli altri enti pubblici non
economici, gli organismi di diritto
pubblico, le associazioni, unioni, consorzi,
e gli altri soggetti di cui all’articolo 32
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
nonché le imprese pubbliche e i soggetti che
operano in virtù di diritti speciali o
esclusivi concessi loro dall’autorità
competente secondo le norme vigenti.
Il successivo art. 3 stabilisce quale dovrà
essere l’attività delle SUA. Si tratta
infatti di centrali di committenza con il
compito di:
a) collaborare con l'ente aderente alla
corretta individuazione dei contenuti dello
schema del contratto, tenendo conto che lo
stesso deve garantire la piena rispondenza
del lavoro, del servizio e della fornitura
alle effettive esigenze degli enti
interessati;
b) concordare con l'ente aderente la
procedura di gara per la scelta del
contraente;
c) collaborare nella redazione dei
capitolati di cui all'articolo 5, comma 7,
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
laddove l'ente aderente non sia una
Amministrazione aggiudicatrice statale e non
abbia adottato il capitolato generale di cui
al comma 8 del medesimo articolo 5;
d) collaborare nella redazione del
capitolato speciale;
e) definire, in collaborazione con l'ente
aderente, il criterio di aggiudicazione ed
eventuali atti aggiuntivi;
f) definire in caso di criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, i criteri di
valutazione delle offerte e le loro
specificazioni;
g) redigere gli atti di gara, ivi incluso il
bando di gara, il disciplinare di gara e la
lettera di invito;
h) curare gli adempimenti relativi allo
svolgimento della procedura di gara in tutte
le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di
pubblicità e di comunicazione previsti in
materia di affidamento dei contratti
pubblici e la verifica del possesso dei
requisiti di ordine generale e di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa;
i) nominare la commissione giudicatrice in
caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
l) curare gli eventuali contenziosi insorti
in relazione alla procedura di affidamento,
fornendo anche gli elementi
tecnico-giuridici per la difesa in giudizio;
m) collaborare con l'ente aderente ai fini
della stipulazione del contratto;
n) curare, anche di propria iniziativa, ogni
ulteriore attività utile per il
perseguimento degli obiettivi di cui
all'articolo 1, comma 2;
o) trasmettere all'ente aderente le
informazioni di cui all'articolo 6, comma 2,
lettera a).
Il decreto (art. 4) stabilisce inoltre che i
rapporti tra e l’ente aderente dovranno
essere regolati da convenzioni che
definiranno l’ambito di operatività della
SUA, le modalità di rimborso dei costi da
essa sostenuti, la spettanza degli eventuali
oneri in ordine ai contenziosi nonché
l’obbligo per l’ente aderente di comunicare
alla SUA l’elenco dei contratti per i quali
si prevede l’affidamento, oltre a qualsiasi
altra informazione utile relativa
all’esecuzione dei contratti.
Gli articoli 5 e 6 mettono invece in luce i
compiti delle Prefetture, che dovranno
esercitare delle forme di controllo
sull’attività delle SUA, richiedendo “ogni
dato e informazione ritenuta utile ai fini
di prevenzione delle infiltrazioni della
criminalità organizzata”, e monitorando ogni
passaggio della procedura di gara (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI: G.U.U.E.
27.08.2011 n. L 222/1 "REGOLAMENTO
DI ESECUZIONE (UE) N. 842/2011 DELLA
COMMISSIONE del 19.08.2011 che
stabilisce modelli di formulari per la
pubblicazione di bandi e avvisi nel settore
degli appalti pubblici e che abroga il
regolamento (CE) n. 1564/2005".
---------------
Appalti, nuovi formulari
per la pubblicazione in GUUE. Cambiano i
modelli di formulari per la pubblicazione di
bandi e avvisi nel settore degli appalti
pubblici.
Le direttive 89/665/CEE e 2004/18/CE
stabiliscono che le forniture, i lavori e i
servizi pubblici devono essere pubblicizzati
nella Gazzetta ufficiale dell'Unione
europea.
Occorre che gli avvisi di queste
pubblicazioni comprendano le informazioni
stabilite in tali direttive.
Le direttive 92/13/CEE e 2004/17/CE
stabiliscono che gli appalti pubblici nei
settori dell'acqua, dell'energia, dei
trasporti e delle telecomunicazioni devono
essere pubblicizzati nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea.
Occorre che gli avvisi di queste
pubblicazioni comprendano le informazioni
stabilite in tali direttive.
A norma della direttiva 2009/81/CE alcuni
appalti di lavori, di forniture e di servizi
nel settore della difesa e della sicurezza
sono pubblicizzati nella Gazzetta ufficiale
dell'Unione europea.
Occorre che gli avvisi di questa
pubblicazione comprendano le informazioni
stabilite in tale direttiva.
Il regolamento (CE) n. 1564/2005 della
Commissione, del 07.09.2005, che stabilisce
modelli di formulari per la pubblicazione di
bandi e avvisi relativi a procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici,
stabilisce i modelli di formulari di cui
alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e
alle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE.
Al fine di soddisfare le prescrizioni della
direttiva 2009/81/CE e di garantire la piena
efficacia delle direttive 89/665/CEE,
92/13/CEE, 2004/17/CE e 2004/18/CE, occorre
adattare ed integrare i formulari allegati
al regolamento (CE) n. 1564/2005.
Occorre inoltre aggiornare alcuni elementi
dei modelli di formulari per tenere conto
del progresso tecnico.
Dati il numero e la portata degli
adeguamenti necessari, è opportuno
sostituire il regolamento (CE) n. 1564/2005
(29.08.2011 - commento tratto da
www.ipsoa.it).
---------------
Nuovi formulari per bandi e avvisi da
pubblicare in GUUE.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale
dell’Unione europea del 27.08.2011 (L 222)
il “Regolamento di esecuzione (UE) n.
842/2011 della Commissione, del 19.08.2011,
che stabilisce modelli di formulari per la
pubblicazione di bandi e avvisi nel settore
degli appalti pubblici e che abroga il
regolamento (CE) n. 1564/2005”.
Nell’attesa che siano pubblicati
dall’Autorità per i contratti pubblici i
bandi e gli avvisi tipo a livello nazionale,
europea è intervenuta prevedendo l’utilizzo
per le stazioni appaltanti di bandi e
formulari tipo ai fini della pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale comunitaria.
Il regolamento contiene una serie di
allegati, precisamente 19, aventi ad oggetto
i modelli che le amministrazioni
aggiudicatrici dovranno utilizzare.
Eccoli di seguito riportati:
Allegato I: formulario standard 1: Avviso di
preinformazione;
Allegato II: formulario standard 2: Bando di
gara;
Allegato III: formulario standard 3: Avviso
relativo agli appalti aggiudicati;
Allegato IV: formulario standard 4: Avviso
indicativo periodico — Settori speciali;
Allegato V: formulario standard 5: Bando di
gara — Settori speciali;
Allegato VI: formulario standard 6: Avviso
relativo agli appalti aggiudicati — Settori
speciali;
Allegato VII: formulario standard 7: Sistema
di qualificazione — Settori speciali;
Allegato VIII: formulario standard 8: Avviso
sul profilo del committente;
Allegato IX: formulario standard 9: Bando di
gara semplificato nell'ambito di un sistema
dinamico di acquisizione;
Allegato X: formulario standard 10:
Concessione di lavori pubblici;
Allegato XI: formulario standard 11: Bando
di gara — Appalti aggiudicati da un
concessionario che non è un'amministrazione
aggiudicatrice;
Allegato XII: formulario standard 12: Bando
di concorso di progettazione;
Allegato XIII: formulario standard 13:
Risultati di un concorso di progettazione;
Allegato XIV: formulario standard 15: Avviso
volontario per la trasparenza ex ante;
Allegato XV: formulario standard 16: Avviso
di preinformazione — Difesa e sicurezza;
Allegato XVI: formulario standard 17: Bando
di gara — Difesa e sicurezza;
Allegato XVII: formulario standard 18:
Avviso relativo agli appalti aggiudicati —
Difesa e sicurezza;
Allegato XVIII: formulario standard 19:
Avviso di subappalto — Difesa e sicurezza.
A norma di quanto stabilito dall’articolo 6
del regolamento l’utilizzo dei nuovi
formulari sarà obbligatorio a partire dal
ventesimo giorno successivo alla
pubblicazione in Gazzetta ufficiale europea,
quindi da venerdì 16 agosto.
È stato quindi abrogato il “vecchio”
regolamento n. 1564/2005 che stabiliva i
modelli di formulari per la pubblicazione di
bandi e avvisi a livello comunitario.
Il nuovo regolamento, rispetto al n.
1564/2005, prevede in particolare un maggior
numero di formulari ed una miglior
specificazione.
Si tratta quindi di un ulteriore intervento
su una materia che dovrà, secondo le ultime
indiscrezioni provenienti da Bruxelles,
essere oggetto nei prossimi mesi di una
completa rivisitazione.
Ai sensi dell’art. 6, il regolamento “entra
in vigore il ventesimo giorno successivo
alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale
dell'Unione europea.” (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI:
Sul procedimento di
scelta da parte della P.A. del soggetto con
cui concludere un contratto di appalto.
La scelta da parte della P.A. del soggetto
con cui concludere un contratto di appalto
si realizza attraverso una serie
procedimentale, regolata da norme
pubblicistiche, preordinate
all'individuazione del miglior contraente,
dal punto di vista soggettivo e oggettivo, e
la serie procedimentale si impernia sui
postulati di trasparenza ed imparzialità
che, a loro volta, si concretizzano nel
principio di par condicio tra tutti i
concorrenti, realizzata attraverso la previa
predisposizione del bando di gara, e nel
principio di concorsualità, segretezza,
completezza, serietà, autenticità e
compiutezza delle offerte formulate rispetto
alle prescrizioni ed alle previsioni delle
lex specialis, nonché nella previa
predisposizione, da parte
dell'Amministrazione appaltante, dei criteri
di valutazione delle offerte.
Tali principi, dunque, sono preordinati a
finalità pubblicistiche tali da vincolare al
loro rispetto non solo la P.A., ma anche
coloro che intendono partecipare alla gara:
su questi ultimi incombe, infatti, l'obbligo
di presentare offerte che, al di là del loro
profili tecnico-economico, devono avere le
caratteristiche della compiutezza, della
completezza, della serietà, della
indipendenza e della segretezza, le quali
soltanto assicurano quel gioco della libera
concorrenza e del libero confronto
attraverso cui giungere all'individuazione
del miglior contraente possibile (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 25.08.2011 n. 4809 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta.
E' principio inderogabile in qualunque tipo
di gara quello secondo cui devono svolgersi
in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità dei
plichi contenenti l'offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa che
di documentazione riguardante l'offerta
tecnica ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è da valutare illegittima
l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della Commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra quindi un vizio del
procedimento che comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara, giacché
la pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
dev'essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi
in mancanza di un riscontro immediato, senza
che rilievi l'assenza di prova
dell'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2011 n. 4806 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' principio
inderogabile in qualunque tipo di gara
quello secondo cui devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è da valutare illegittima
l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della Commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra un vizio del
procedimento che comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara, giacché
la pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
dev'essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post una volta
rotti i sigilli ed aperti i plichi in
mancanza di un riscontro immediato, senza
che rilievi l'assenza di prova
dell'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti.
Osserva la Sezione che è principio
inderogabile in qualunque tipo di gara
quello secondo cui devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è da valutare illegittima
l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della Commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra quindi un vizio del
procedimento che comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara
(Consiglio Stato, sez. VI, 22.04.2008, n.
1856), giacché la pubblicità delle sedute
risponde all'esigenza di tutela non solo
della parità di trattamento dei concorrenti,
ai quali dev'essere permesso di effettuare
gli opportuni riscontri sulla regolarità
formale degli atti prodotti e di avere così
la garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi
in mancanza di un riscontro immediato
(Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n.
901), senza che rilievi l'assenza di prova
dell'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti (Consiglio Stato, sez. V,
16.06.2009, n. 3844 e 04.03.2008, n. 901)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2011 n. 4806 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sciopero del personale della ditta
appaltatrice.
Domanda.
Nel caso in cui il personale della ditta
appaltatrice del servizio di nettezza urbana
scioperi a causa del mancato pagamento della
quattordicesima, creando un grave disagio
per il servizio, quali iniziative può
assumere il Comune nei confronti della ditta
appaltatrice per rivalersi del danno subito?
Risposta.
Nel caso di specie occorre porre
l'attenzione sul comportamento tenuto dalla
ditta appaltatrice del servizio di nettezza
urbana, laddove non avendo provveduto al
pagamento delle spettanze contrattuali del
proprio personale ha provocato,
indirettamente, uno sciopero e conseguenti
danni alla collettività (rappresentata
dall'Amministrazione Comunale).
Infatti, una volta indetto lo sciopero, si
potrebbe discutere anche di eventuali
responsabilità connesse con la mancata
adozione di misure per limitare i danni da
sciopero ma, sul punto, la Giurisprudenza
non consente significative manovre di
intervento (App. Milano, 09.02. 2004 e Trib.
Milano, 09.03.2006).
Quindi, per poter richiedere il risarcimento
del danno subito occorrerà dimostrare il
nesso di causalità diretta fra il mancato
pagamento della quattordicesima al personale
(e la sua illegittimità) e i danni prodotti
in conseguenza dell'inevitabile sciopero che
ne è derivato (dimostrando anche che lo
sciopero appariva come una conseguenza
inevitabile di tale azione).
In base ai dati forniti riteniamo
difficilmente percorribile questa strategia
processuale.
Resta da valutare se sussistono invece
condizioni contrattuali (Contratto di
servizio) che possano consentire la
definizione di un risarcimento del danno per
i fatti indicati (25.08.2011 - tratto
da www.ipsoa.it). |
APPALTI: La
verifica di anomalia non ha per oggetto la
ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, ma mira ad accertare
se l'offerta, nel suo complesso, sia
attendibile o inattendibile, e dunque se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto. Pertanto, il
procedimento di verifica è avulso da ogni
formalismo ed è improntato alla massima
collaborazione tra stazione appaltante e
offerente; il contraddittorio deve essere
effettivo; non vi sono preclusioni alla
presentazione di giustificazioni, ancorate
al momento della scadenza del termine di
presentazione delle offerte; mentre
l'offerta è immodificabile, modificabili
sono le giustificazioni, e sono ammesse
quelle sopravvenute e compensazioni tra
sottostime e sovrastime, purché l'offerta
risulti nel suo complesso affidabile al
momento dell'aggiudicazione, a garanzia di
una seria esecuzione del contratto.
---------------
Non è escluso che si possa procedere in sede
di verifica di anomalia ad un limitato
rimaneggiamento dei suoi elementi, purché la
proposta contrattuale non venga modificata o
alterata.
Non può essere fissata, ai fini della
valutazione di anomalia delle offerte
presentate nelle gare di appalto, una quota
rigida di utile al di sotto della quale
l'offerta debba considerarsi per definizione
incongrua, dovendosi invece avere riguardo
alla serietà della proposta contrattuale e
risultando in sé ingiustificabile solo un
utile pari a zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un
guadagno importante, quando il contratto
abbia un importo elevato.
La verifica d’anomalia è disciplinata
dall’art. 88 del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163, per il quale “la
richiesta di giustificazioni è formulata per
iscritto e può indicare le componenti
dell'offerta ritenute anormalmente basse,
ovvero, alternativamente o congiuntamente,
invitare l'offerente a dare tutte le
giustificazioni che ritenga utili.
All'offerente è assegnato un termine non
inferiore a dieci giorni per presentare, per
iscritto, le giustificazioni richieste.
La stazione appaltante, se del caso mediante
una commissione costituita secondo i criteri
fissati dal regolamento di cui all'articolo
5, esamina gli elementi costitutivi
dell'offerta tenendo conto delle
giustificazioni fornite, e può chiedere per
iscritto ulteriori chiarimenti, se resi
necessari o utili a seguito di tale esame,
assegnando un termine non inferiore a cinque
giorni lavorativi.
Prima di escludere l'offerta, ritenuta
eccessivamente bassa, la stazione appaltante
convoca l'offerente con un anticipo non
inferiore a cinque giorni lavorativi e lo
invita a indicare ogni elemento che ritenga
utile.
Se l'offerente non si presenta alla data di
convocazione stabilita, la stazione
appaltante può prescindere dalla sua
audizione.
La stazione appaltante esclude l'offerta
che, in base all'esame degli elementi
forniti, risulta, nel suo complesso,
inaffidabile.
La stazione appaltante sottopone a verifica
la prima migliore offerta, se la stessa
appaia anormalmente bassa, e, se la esclude,
procede nella stessa maniera
progressivamente nei confronti delle
successive migliori offerte, fino ad
individuare la migliore offerta non anomala.”.
L’art. 88 prevede una scansione di natura
dilatoria, i cui termini non possono essere
inferiori a disposizione ivi previsti.
Ne consegue che nulla vieta –nel rispetto
del canone di ragionevolezza, comunque
conformato all’esigenza che le procedure di
aggiudicazione si concludano celermente ed
in tempi certi- che la stazione appaltante
assegni termini superiori.
Per la pacifica giurisprudenza, la verifica
di anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, ma mira ad accertare
se l'offerta, nel suo complesso, sia
attendibile o inattendibile, e dunque se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto. Pertanto, il
procedimento di verifica è avulso da ogni
formalismo ed è improntato alla massima
collaborazione tra stazione appaltante e
offerente; il contraddittorio deve essere
effettivo; non vi sono preclusioni alla
presentazione di giustificazioni, ancorate
al momento della scadenza del termine di
presentazione delle offerte; mentre
l'offerta è immodificabile, modificabili
sono le giustificazioni, e sono ammesse
quelle sopravvenute e compensazioni tra
sottostime e sovrastime, purché l'offerta
risulti nel suo complesso affidabile al
momento dell'aggiudicazione, a garanzia di
una seria esecuzione del contratto
(Consiglio Stato, sez. VI, 21.05.2009, n.
3146).
---------------
Per la pacifica
giurisprudenza non è escluso che si possa
procedere in sede di verifica di anomalia ad
un limitato rimaneggiamento dei suoi
elementi, purché la proposta contrattuale
non venga modificata o alterata (Consiglio
Stato, sez. VI, 07.03.2008, n. 1007; sez.
VI, 26.04.2005, n. 1889; sez. V, 11.11.2004,
n. 7346)
Ad avviso delle appellanti, l’incidenza del
“rimaneggiamento” (55 voci di costo,
che nell’offerta complessiva assumono un
valore pari al 59,8% del prezzo
dell’appalto) sarebbe tale da suggerire
l’utilizzo del termine stravolgimento: esso
non sarebbe consentito dalla legge.
In contrario senso, rileva invece il
Collegio che l’art. 87, comma 1, del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, nella
versione antecedente alla modifica
introdotta dall’articolo 4-quater, comma 1,
lettera c), punto 1), del D.L. 01.07.2009,
n. 78 dispone che, “Quando un'offerta
appaia anormalmente bassa, la stazione
appaltante richiede all'offerente le
giustificazioni, eventualmente necessarie in
aggiunta a quelle già presentate a corredo
dell'offerta, ritenute pertinenti in merito
agli elementi costitutivi dell'offerta
medesima”.
L’utilizzo dell’inciso “in aggiunta”
esclude la fondatezza delle dette censure e
consente di rilevare che, purché l’utile di
impresa sia indicato e risulti permanere
all’esito della verifica d’anomalia, e
purché non si registrino indebite “sostituzioni
di voci”, il rimaneggiamento
dell’offerta appare non soltanto consentito,
ma addirittura fisiologico.
L’entità del rimaneggiamento deve ovviamente
essere rapportato al numero delle “voci”
ed all’importo complessivo dell’appalto: nel
caso di specie la pluralità di voci in cui
si articolava l’offerta, la complessità
delle opere, e l’elevatissimo importo dei
lavori (circa 360 milioni di Euro) ben
consentono di ritenere che non si verta in
una ipotesi di inammissibile stravolgimento
dell’offerta ma, appunto, di un limitato –e
per questo consentito ed ammissibile-
rimaneggiamento che non ne ha alterato la
sostanza.
Anche tale profilo di censura
conclusivamente va respinto.
Va anche respinta (ancorché non sia stata
formulata dall’appellante BPT in forma di
motivo autonomo) l’affermazione contenuta
nelle conclusioni dell’elaborato peritale di
parte (a firma dell’Ing. ...)
dell’08.03.2010, e richiamata nelle censure,
secondo cui la percentuale di utile
riscontrato dalla stazione appaltante non
sarebbe stata “accettabile”.
Al contrario, armonicamente con le
conclusioni della giurisprudenza (Consiglio
Stato, sez. VI, 16.01.2009, n. 215) non può
essere fissata, ai fini della valutazione di
anomalia delle offerte presentate nelle gare
di appalto, una quota rigida di utile al di
sotto della quale l'offerta debba
considerarsi per definizione incongrua,
dovendosi invece avere riguardo alla serietà
della proposta contrattuale e risultando in
sé ingiustificabile solo un utile pari a
zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un
guadagno importante, quando il contratto
abbia un importo elevato
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.08.2011 n. 4801 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: P.a.,
niente risarcimento se c'è incertezza sulla
gara. Tar Lombardia: l'impresa non risponde
di dichiarazioni mendaci.
Deve essere respinta la
domanda di risarcimento dei danni proposta
da una p.a. nei confronti dell'impresa
aggiudicataria di un appalto pubblico a
seguito dell'annullamento
dell'aggiudicazione stessa per dichiarazioni
mendaci rese, nel caso in cui sussista una
situazione di obiettiva incertezza circa il
contenuto delle dichiarazioni da rendere in
base alla lex specialis della gara.
Questo è quanto hanno precisato i giudici
del TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la
sentenza 24.08.2011 n. 1261.
La controversia verte intorno alla domanda
risarcitoria presentata da un comune nei
confronti di una ditta aggiudicataria di un
appalto del servizio di ristorazione e poi
esclusa ai sensi dell'art. 12, comma 1,
lett. b), dlgs 157/1995 dal momento che,
contrariamente a quanto dichiarato dal
procuratore speciale della società, il
Tribunale di Modena aveva emesso, a suo
carico, sentenza irrevocabile di
applicazione della pena per violazioni in
materia fiscale.
Più precisamente l'ente locale aveva
proposto la domanda facendo leva su una
norma del capitolato speciale d'appalto
della gara secondo la quale «in caso di
non veridicità delle dichiarazioni
rilasciate» l'aggiudicazione verrà
annullata «ed il servizio potrà essere
affidato al concorrente che segue in
graduatoria, fatti salvi i diritti del
comune per il risarcimento di tutti i danni
che potranno derivare all'amministrazione
anche in successivo esperimento della gara
o, comunque, per il maggior costo del
servizio rispetto a quello che sarebbe stato
sostenuto senza la decadenza
dell'aggiudicatario».
Il comune aveva commisurato, pertanto, i
danni subiti ai maggiori esborsi sostenuti
per il servizio affidato alla seconda in
graduatoria. La ditta aveva sostenuto,
invece, la mancanza dell'elemento soggettivo
richiesto dall'art. 12 dlgs n. 157/1995,
poiché la sentenza di patteggiamento in cui
era incorso il procuratore speciale era
antecedente alla sua assunzione nella
società e si riferiva a un'attività che non
rilevava e per questo non era tenuto a farne
menzione in sede di gara.
I giudici amministrativi respingono il
ricorso. Hanno osservato, infatti, come sia
la giurisprudenza comunitaria sia quella
interna individuano quale «esimente»
dell'amministrazione, sotto il profilo della
sua responsabilità per l'attività volta, la
sussistenza di una obiettiva situazione di
incertezza circa le corrette determinazioni
da assumere. Secondo il Collegio elementari
ragioni di «parità delle parti»
impongono, pertanto, di riconoscere identica
e speculare «esimente» in capo al
privato, quando sia l'amministrazione ad
agire per pretendere il risarcimento di un
danno, che ritiene provocato dalla condotta
colposa del medesimo soggetto privato.
Facendo applicazione di questo principio a «parti
rovesciate» nei confronti dell'impresa
esclusa, è stato riconosciuto che, avendo
già una precedente sentenza precisato che la
pena patteggiata, la quale aveva dato luogo
all'esclusione, non fosse da riferire
all'impresa aggiudicataria, quantomeno il
beneficio del dubbio andava accordato in
merito alla mendacità della dichiarazione di
non versare nella condizione di cui all'art.
12, lett. b), dlgs 157/1995: è ravvisabile,
nel caso specifico, una situazione di
obiettiva incertezza circa il contenuto
della dichiarazione da rendere ai sensi del
capitolato speciale d'appalto, tale da
escludere il necessario requisito della
colpa in ordine a quanto, poi,
effettivamente dichiarato (articolo
ItaliaOggi dell'01.09.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Informativa antimafia,
divieto d'accesso sempre da motivare.
E' illegittimo, per
difetto di motivazione e per violazione del
diritto difesa, il diniego opposto dal
Prefetto in merito a un'istanza ostensiva
avanzata da una società privata tendente a
ottenere copia di un'informativa prefettizia
antimafia con cui e' stata comunicata la
risoluzione di alcuni contratti di appalto.
Con apposita istanza di accesso, una società
subappaltatrice ha chiesto alla competente
Prefettura di prendere visione ed estrarre
copia dell’informativa antimafia ex art. 10
del D.P.R. n. 252/1998, nonché di tutta la
documentazione a essa connessa posta alla
base della risoluzione dei contratti di
appalto dalla medesima stipulati con alcune
società appaltatrici e subappaltatrici.
L’istanza veniva rigettata sulla scorta
delle disposizioni di cui all’art. 24 della
L. n. 241/1990, al D.P.R. n. 352/1992 e al
D.M. n. 415/1994.
Avverso quest’ultimo provvedimento di
diniego è insorta la ditta esonerata.
Il TAR di Catanzaro, in via preliminare, ha
sottolineato come la questione dedotta in
giudizio concerna esclusivamente
l’accessibilità degli atti istruttori posti
alla base dell’informativa prefettizia
sfavorevole, adottata ai sensi della vigente
legislazione di contrasto e prevenzione dei
fenomeni di infiltrazione malavitosa delle
attività imprenditoriali, in conseguenza
della quale, rispettivamente, le società
appaltatrici e subappaltatrici avevano
comunicato alla ricorrente la risoluzione
dei contratti di appalto precedentemente
stipulati.
In particolare, l’adito G.A., ravvisando
l’applicabilità alla specie del D.M.
10.05.1994, n. 415 (Regolamento per la
disciplina delle categorie di documenti
sottratti al diritto di accesso ai documenti
amministrativi), ha evidenziato come il
presupposto art. 24 della L. n. 241/1990
costituisca la fonte di rango primario di
riferimento: difatti, il comma 2 della
menzionata disposizione sancisce
l’emanazione di uno o più decreti intesi a
disciplinare le modalità di esercizio del
diritto di accesso e gli altri casi di
esclusione di tale diritto in relazione
all’esigenza di salvaguardare "l’ordine
pubblico e la prevenzione e repressione
della criminalità" (lett. c); e ancora,
il successivo comma 4 prevede che: "Le
singole Amministrazioni hanno l’obbligo di
individuare, con uno o più regolamenti da
emanarsi entro i sei mesi successivi, le
categorie di documenti da esse formati o
comunque rientranti nella loro disponibilità
sottratti all’accesso per le esigenze di cui
al comma 2".
I criteri per l’attuazione della norma testé
richiamata, ha soggiunto il giudicante, sono
stati stabiliti con l’art. 8 del D.P.R. n.
352/1992, il cui comma 5, lett. c) prevede
che i documenti amministrativi possono
essere sottratti all’accesso quando: "riguardino
le strutture, i mezzi, le dotazioni, il
personale e le azioni strettamente
strumentali alla tutela dell’ordine
pubblico, alla prevenzione e alla
repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche
investigative, alla identità delle fonti di
informazione e alla sicurezza dei beni e
delle persone coinvolte, nonché all’attività
di polizia giudiziaria e di conduzione delle
indagini".
Di conseguenza, l’adito G.A., alla stregua
dell’illustrato quadro normativo, non ha
mancato di sottolineare come in linea
generale la sottrazione all’accesso, per
espressa previsione del menzionato art. 8,
comma 5, debba avvenire nel rispetto della
norma (art. 8, comma 2) secondo cui: "I
documenti non possono essere sottratti
all'accesso se non quando essi siano
suscettibili di recare un pregiudizio
concreto agli interessi indicati nell'art.
24 della legge 07.08.1990, n. 241. I
documenti contenenti informazioni connesse a
tali interessi sono considerati segreti solo
nell'ambito e nei limiti di tale
connessione. A tale fine, le amministrazioni
fissano, per ogni categoria di documenti,
anche l'eventuale periodo di tempo per il
quale essi sono sottratti all'accesso".
Sicché il Collegio, in relazione ai
documenti chiesti in ostensione dalla
ricorrente, ha ritenuto opportuno premettere
la sostanziale differenza tra l’informativa
antimafia, generalmente consistente nella
mera formula rituale con la quale il
Prefetto, sulla base delle risultanze in suo
possesso afferma la sussistenza di elementi
interdittivi a carico dell'impresa -atto per
sua natura pienamente ostensibile- e le
risultanze istruttorie "a monte", cui
ha attinto l'Autorità prefettizia per
pervenire al giudizio sfavorevole formulato
a carico della ditta medesima.
Orbene, in relazione a tali atti istruttori
"a monte", il TAR calabrese ha
chiarito come l'accesso poteva essere
escluso solo per quelle parti della
documentazione in possesso
dell'Amministrazione coperte da segreto
istruttorio in quanto afferente a indagini
preliminari o procedimenti penali in corso,
oppure se e nella misura in cui avesse
coinvolto, a qualunque titolo, terzi
soggetti interessati dalle informative di
polizia di sicurezza, ovvero, ancora, ove
potevano essere addotti specifici motivi
ostativi riconducibili a imprescindibili
esigenze di tutela di accertamenti -in corso
di svolgimento- di polizia di sicurezza e di
contrasto alla delinquenza organizzata (in
tal senso, TAR Campania, Napoli, Sez. V,
14.06.2006, n. 6985).
Nel caso di specie, il Collegio ha
evidenziato come il diniego opposto alla
ricorrente non fosse coerente con quanto
statuito nelle norme illustrate, atteso che
la motivazione del provvedimento negativo
contiene uno sterile richiamo alle norme
legislative e regolamentari sopra
scrutinate, senza però alcuna
puntualizzazione in ordine alla “idoneità
del documento”, di cui è stata chiesta
l’esibizione, a pregiudicare in concreto
l’interesse alla salvaguardia dell’ordine
pubblico, come espressamente previsto
dall’art. 24, comma 2, lett. c), della L. n.
241 del 1990.
Di conseguenza, a opinione del G.A. di
Catanzaro, la mancata ostensione
dell’informativa antimafia ex art. 10 del
D.P.R. n. 252 del 1998 nonché della
documentazione a essa connessa, poiché non
motivata con riferimento alle concrete
ragioni che impedivano la divulgazione del
documento, anche, eventualmente, nelle forme
"deboli" della mera visione ovvero
dell’estrazione di copia con tecniche di
mascheramento, ha pregiudicato il diritto di
difesa della ricorrente società (art. 24
Cost.), non consentendole di contestare nel
merito le ragioni effettive su cui si
fondava il provvedimento lesivo che aveva
dato luogo alla risoluzione dei contratti di
appalto stipulati (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 24.08.2011 n. 1146 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: MANOVRA
BIS/ Codice appalti per le public utility.
Acquisto di beni e servizi solo attraverso
gare pubbliche. Con la manovra scatta
l'obbligo di creazione di appositi uffici
per la gestione di tutti gli adempimenti.
Public utility obbligate
a bandire gare pubbliche per l'acquisto di
beni o servizi e, comunque, ad applicare per
intero il codice dei contratti pubblici.
Lo prevede il decreto sulla manovra
economica bis (decreto legge 138/2011), che
interviene sull'intero comparto dei servizi
pubblici locali. Ma vediamo di illustrare la
novità, che obbligano le public utility
anche a creare uffici ad hoc per
gestire le gare e tutti i relativi pesanti
adempimenti (dalla pubblicazione del bando
al contenzioso).
Rischia di sfumare la possibilità di gestire
con gli strumenti del diritto privato (e
senza vincoli pubblicistici) l'acquisizione
di beni e servizi. L'articolo 4, comma 15,
del citato decreto prevede che le società
cosiddette «in house» e le società a
partecipazione mista pubblica e privata,
affidatarie di servizi pubblici locali,
applicano, per l'acquisto di beni e servizi,
le disposizioni di cui al decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163.
Si tratta del codice dei contratti pubblici,
che disciplina le varie forme di affidamento
dei pubblici contratti, nel rispetto delle
regole di concorrenza e pubblicità, a
partire proprio dalla gara pubblica o
comunque di procedure rispettose del
principio della par condicio tra le imprese.
L'assoggettamento alle regole del codice dei
contratti pubblica comporta l'impossibilità
di ricorrere senza alcun vincolo al libero
mercato. Il soggetto tenuto alla
applicazione del codice dei contratti deve,
infatti, muoversi all'interno delle griglie
che relegano la trattativa privata a una
posizione residuale.
Deve, quindi, applicare le procedure
pubbliche, ristrette o negoziate, a seconda
dei casi con pubblicazione dei bandi (se
previsto) oppure può ricorrere alle
procedure in economia o cottimo fiduciario.
L'assoggettamento alle regole del codice dei
contratti significa avere personale
preparato, in grado di scrivere le gare e di
gestire i vari passaggi procedurali,
compresi quelli relative alle fasi
precontenziose e contenziose di recente
modificate dal codice del processo
amministrativo (dlgs 104/2010).
Si tratta di passaggi procedurali in cui la
società deve individuare responsabili del
procedimento, seggio di gara, commissioni
aggiudicatrici e deve curare tutti gli
adempimenti connessi, dalle determinazioni a
contrarre, alla pubblicazione dei bandi di
gara (a seconda dei casi sulla gazzetta
ufficiale, anche europea), alle
comunicazioni e agli avvisi, ai rapporti con
l'autorità di vigilanza sui contratti
pubblici (dalla richiesta del cig alle
segnalazioni di notizie negative sul conto
delle imprese concorrenti o esecutrici).
Inoltre si applicano le regole sulla
tracciabilità dei pagamenti e sulla
indicazione del cig sui documenti di
pagamento.
Tutto ciò, in base al decreto sulla
manovra-bis, è a carico che delle società
cosiddette «in house» e delle società
a partecipazione mista pubblica e privata,
affidatarie di servizi pubblici locali.
Tutte le società che gestiscono servizi
pubblici locali devono applicare il codice
dei contratti pubblici. E se questa
disciplina non pone problemi per la società
in house, che rappresentano il braccio
operativo dell'ente pubblico, il quale
esercita sulle stesse un controllo analogo a
quello esercitato su un proprio ufficio,
forti ripercussioni si avranno invece sulle
società miste, in cui vi è la presenza di un
socio privato. Tra l'altro, molto spesso,
nella prassi ci si aspetta che la società
mista possa costituire uno strumento per
operare in maniera più snella, a partire
dalla deroga alle regole della evidenza
pubblica per l'acquisizione di beni e
servizi.
La società mista che gestisce un pubblico
servizio (public utility) è, invece,
sotto questo profilo interamente equiparata
all'ente pubblico. Di questo occorrerà darne
conto, con una disposizione chiarificatrice,
all'interno dei contratti di servizio tra
ente e public utility; inoltre l'ente
committente deve esercitare attività di
vigilanza e controllo sul rispetto del
codice dei contratti da parte della società
mista.
Va sottolineato, comunque, che l'articolo 4,
comma 15, del decreto 138/2011 fa
riferimento espresso ai contratti di
acquisizione di beni e servizi, mentre non
si riferisce, almeno sul piano letterale,
alla aggiudicazione di contratti relativi a
lavori.
In conseguenza dell'articolo 4, comma 15,
citato si allarga la platea dei soggetti
tenuti all'applicazione del codice dei
contratti pubblici.
A tale proposito si deve ricordare che il
decreto 131/2011 ricomprende le società in
house nell'ambito pubblico anche per un
altro profilo: le società cosiddette «in
house» affidatarie dirette della
gestione di servizi pubblici locali sono
assoggettate al patto di stabilità interno
secondo le modalità che saranno definite con
decreto ministeriale.
Gli enti locali dovranno vigilare
sull'osservanza, da parte delle società in
house al cui capitale partecipano, dei
vincoli derivanti dal patto di stabilità
interno (articolo
ItaliaOggi del 20.08.2011). |
LAVORI PUBBLICI: Pavimentazione
di marciapiedi comprendenti porzioni di
suolo privato.
Non risulta possibile
eseguire la pavimentazione di marciapiedi
comprendenti porzioni di suolo privato senza
procedere alla preventiva acquisizione di
tali beni, atteso che l'intervento comunale
si tradurrebbe -con riferimento a dette
porzioni- in un'indebita spesa pubblica.
Inoltre, l'assenza del titolo non
consentirebbe, al Comune, di provvedere alla
manutenzione dei predetti tratti di
marciapiede.
---------------
Il Comune rappresenta che:
· negli anni 1970-1980 ha posto in opera le
cordonate stradali lungo alcune strade
comunali, ma non ha ancora provveduto alla
pavimentazione dei marciapiedi;
· lo spazio sterrato utilizzato quale
marciapiede è compreso tra le predette
cordonate ed i recinti privati, alcuni dei
quali, però, sono stati costruiti in
arretramento rispetto al confine di
proprietà;
· non risulta evidente, in loco, quale sia
il limite tra proprietà pubblica e proprietà
privata[1], cosicché la collettività
utilizza lo spazio nella sua totalità;
· l'Amministrazione comunale intende
procedere alla pavimentazione anche dei
predetti spazi sterrati, al fine di renderli
più decorosi, sicuri e conformi alla norme
sul superamento delle barriere
architettoniche.
Pur avendo già fatto ricorso, in altre
circostanze, alla procedura semplificata per
l'accorpamento al demanio stradale delle
porzioni di terreno utilizzate ad uso
pubblico, prevista dall'art. 31, commi 21 e
22, della legge 23.12.1998, n. 448, il
Comune chiede di conoscere se possa eseguire
la pavimentazione suddetta, che insisterebbe
anche su porzioni di suolo privato
utilizzate da illo tempore quale
viabilità pedonale pubblica, senza dover
procedere alla preventiva acquisizione di
tali porzioni e, conseguentemente, al
frazionamento catastale, in quanto questo
risulterebbe oneroso per l'Amministrazione e
materialmente difficoltoso.
Al quesito si ritiene di dover fornire
risposta negativa, atteso che, pur
risultando necessario provvedere
all'integrale pavimentazione dei
marciapiedi, in relazione alle preminenti
necessità di garantire la sicurezza degli
utenti e di provvedere al superamento delle
barriere architettoniche, l'intervento
comunale non preceduto dall'acquisizione
delle aree si tradurrebbe -quanto alla
porzione di opera ricadente sul suolo
privato- in un'indebita spesa pubblica, alla
quale potrebbero far seguito ulteriori
esborsi a carico del bilancio dell'Ente,
anche a seguito dell'instaurazione di
possibili contenziosi, sia da parte dei
soggetti catastalmente titolari della
proprietà, quanto dei pedoni che ritengano
di vantare indennizzi per lesioni subite in
tali tratti privati (ma apparentemente di
proprietà pubblica).
Inoltre, l'assenza del titolo non
consentirebbe, all'Ente, di provvedere alla
manutenzione dei predetti tratti di
marciapiede.
---------------
[1] Mentre esso risulta rilevabile dai
rilievi catastali eseguiti dal Comune
(19.08.2011 - link a
www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI: Indennizzo
ai commercianti per mancati guadagni
derivanti da lavori pubblici.
E' legittima
l'erogazione di un indennizzo, da parte del
comune, ai commercianti che possono provare
di aver subito un pregiudizio di tipo
economico dal perdurare di lavori pubblici
oltre il termine fissato per la loro
conclusione.
L'ente è tenuto a regolamentare i criteri e
le modalità di ripartizione dei vantaggi
economici prima di procedere all'erogazione
degli stessi.
---------------
Il Comune ha chiesto un parere sulla
legittimità della richiesta di risarcimento,
da parte di alcuni esercizi commerciali, per
i mancati introiti derivanti dal perdurare
di lavori pubblici. Riferisce l'ente che
l'amministrazione sta procedendo ad una
sistemazione straordinaria di alcune delle
principali vie del paese, e che, per
consentire l'esecuzione dei lavori, la
viabilità è stata modificata in modo da
garantire l'accesso alle strade interessate
dagli interventi ai soli frontisti. Precisa,
infine, che per la loro complessità, i
lavori hanno superato i tempi preventivati.
Si osserva in via preliminare, che ai sensi
della legge regionale 09.01.2006, n. 1, art.
16, 'Il Comune è titolare di tutte le
funzioni amministrative che riguardano i
servizi alla persona, lo sviluppo economico
e sociale e il governo del territorio
comunale (...)'. Pertanto, nell'ambito
della propria autonomia organizzatoria, il
comune può programmare misure rivolte a
singoli settori di intervento, purché
riguardino la propria comunità[1].
Con riferimento alla natura degli interventi
eseguiti dall'ente, si richiama un parere
dell'ANCI[2] in cui emerge che: 'i
cantieri gestiti dalle amministrazioni e le
conseguenti limitazioni alla viabilità, se
eseguite in conformità alle leggi vigenti,
sono senz'altro atti leciti. (...) L'atto
lecito, in quanto tale, è privo della
qualificazione di antigiuridicità pertanto
solo eccezionalmente l'atto lecito dannoso
dà diritto ad un indennizzo, e mai ad un
risarcimento del danno (ossia ad un
integrale ristoro del pregiudizio arrecato).'
Nella scelta della modalità di
indennizzo[3], e nella quantificazione dello
stesso, il comune è libero di optare fra
varie possibilità[4], ma sempre nel rispetto
di quanto stabilito dall'articolo 12 della
legge 07.08.1990, n. 241[5].
Da ultimo, si richiama l'attenzione sulla
possibilità, per l'amministrazione, di
esercitare azione di rivalsa sull'impresa
contrattualmente inadempiente per non aver
concluso le opere entro il termine
concordato.
---------------
[1] Si veda il parere prot. 4809 del
26.03.2009, reperibile sul sito:
www.autonomielocali.regione.fvg.it
[2] Parere del 03.11.2009, nel quale l'ANCI
ritiene che ai commercianti possa essere
riconosciuto un adeguato ristoro solo se non
sono rispettati i termini stabiliti di
conclusione dei lavori e se i commercianti
sono in grado di dimostrare concretamente di
aver subito un pregiudizio a causa del
ritardo con cui è stata ultimata l'opera.
[3] L'articolo 39 della legge regionale
20.03.2000, n. 7, il quale trova
applicazione anche per gli enti locali,
secondo i rispettivi ordinamenti, stabilisce
che: 'Gli incentivi alle imprese sono
concessi in forma di contributo in conto
capitale, contributo in conto interessi,
finanziamento agevolato, concessione di
garanzia'.
[4] A titolo esemplificativo, si segnala
l'iniziativa intrapresa dal Comune di Tivoli
(Roma), intervenuto a regolamentare la
materia, prevedendo un contributo per
commercianti e artigiani sulla base di un
apposito fondo iscritto a bilancio. Il
regolamento e il bando sono consultabili su
internet alla pagina:
www.comune.tivoli.rm.it/contributo_commercianti
[5] Recita il comma 1 dell'articolo 12 della
l. 241/1990: 'La concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione, da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi'
(16.08.2011 - link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Contratti
pubblici. Pagamenti osservati speciali.
Obbligo di tracciamento per chi è tenuto ad
applicare il Dlgs 163/2006. Determinante per
far scattare la procedura è la
qualificazione del primo committente della
filiera.
Con la
determinazione 4/2011 dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici risultano
ora completi e definiti in chiave
interpretativa sia l'ambito soggettivo sia
l'ambito oggettivo di applicazione della
legge 136/2010 in materia di tracciabilità
dei pagamenti.
La chiave di lettura fondamentale è
costituita dal codice dei contratti pubblici
(il decreto legislativo 163/2006): poiché la
normativa antimafia –nel cui contesto è
inserito l'articolo 3 della legge 136/2010–
trova applicazione generalizzata ai "contratti
pubblici", sono tenuti all'osservanza
degli obblighi di tracciabilità tutti i
soggetti sottoposti all'applicazione del
codice dei contratti pubblici.
Determinante è la qualificazione del primo
anello della catena della tracciabilità e
cioè del primo committente della filiera: la
tracciabilità va applicata se esso assume la
qualità di "stazione appaltante",
secondo la definizione dell'articolo 3,
comma 33, del Dlgs 163. In buona sostanza,
la verifica circa la necessità di
applicazione delle norme sulla tracciabilità
presuppone un'analisi sull'obbligo di
applicazione del codice dei contratti
pubblici.
Se il committente riconosce in sé la figura
di "stazione appaltante", gli
obblighi di tracciabilità –a partire dal
codice identificativo di gara (Cig) per
finire con il bonifico sul conto dedicato–
si estendono a tutta la filiera delle
imprese, secondo l'ampia interpretazione di
essa fornita dall'Autorità dei lavori
pubblici sempre con la stessa determinazione
4/2011.
Per ciò che riguarda l'ambito oggettivo di
applicazione della legge 136, l'Autorità ha
confermato che tutto ruota intorno al
concetto di «contratto di appalto
pubblico», quale definito dal comma 6
dell'articolo 3 del Dlgs 163, ovvero un
contratto a titolo oneroso, stipulato per
iscritto tra una stazione appaltante o un
ente aggiudicatore e uno o più operatori
economici, avente per oggetto l'esecuzione
di lavori, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi come definiti dal
codice stesso.
Su questa falsariga si sviluppano poi le
posizioni su fattispecie singole, per le
quali è utile la lettura del capitolo 4 e di
taluni paragrafi del capitolo 3 della
determinazione 4/2011: vengono, per esempio,
esclusi dagli obblighi di tracciabilità i
contratti di locazione e di compravendita di
beni immobili, i contratti d'opera
intellettuale e talune fattispecie di
servizi sanitari, mentre vengono ricompresi
i servizi bancari e alcuni servizi legali.
La disamina sull'ambito oggettivo di
applicazione degli obblighi di tracciabilità
deve però essere condotta in relazione al
rapporto tra "stazione appaltante" e
appaltatore. Infatti, una volta individuata
in tale fase l'applicabilità, i contratti a
valle –a prescindere dalla loro natura– sono
sempre soggetti agli obblighi nella misura
in cui li si collochi nella filiera delle
imprese coinvolte nell'esecuzione
dell'appalto pubblico.
Ad esempio, nel caso di opera pubblica ove
stazione appaltante sia il comune, il
rapporto professionale (qualificato come
contratto d'opera intellettuale) che
l'appaltatore avesse con il responsabile
della sicurezza sarebbe soggetto agli
obblighi di tracciabilità (articolo
Il Sole 24 Ore del 15.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE
NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI
ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N.
163/2006.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
n. 160 del 12.07.2011, Serie Generale, la
Legge n. 106/2011, di conversione del c.d.
Decreto Sviluppo (D.L. 13.05.2011, n. 70).
Il testo della Legge, che è entrata in
vigore il giorno successivo alla sua
pubblicazione (ossia il 13.07.2011),
modificando il testo del D.L. Sviluppo
interviene sulle novità introdotte da
quest’ultimo.
Tra le più significative vi sono quelle che
hanno modificato le cause di esclusione
dalla partecipazione agli appalti pubblici.
E’ stato infatti modificato l’art. 38 del
Codice degli appalti, il D.Lgs. 163/2006 che
prevede le seguenti dichiarazioni:
a) dichiarazione circa i requisiti personali
(antimafia, moralità professionale);
b) dichiarazione dei requisiti del punto a)
per i cessati dalla carica (nell’ultimo anno
e non più nel triennio);
c) dichiarazione circa i requisiti
dell’impresa (fallimento, tasse, contributi,
sicurezza, ecc.).
Qualora il bando riporti in allegato uno
schema di tali dichiarazioni è opportuno che
l’impresa li utilizzi. In mancanza si
consiglia di utilizzare i seguenti schemi
predisposti dagli uffici del Collegio:
1)
Modello B1 - Dichiarazione
concernente l’inesistenza di cause
d’esclusione dalle gare d’appalto per
l’esecuzione di lavori pubblici di cui alle
lettere b), c) e m-ter) dell’art. 38, comma
1, del D.Lgs. n. 163/2006;
2)
Modello B1-bis per i cessati
dalla carica - Dichiarazione concernente
l’inesistenza di cause d’esclusione dalle
gare d’appalto per l’esecuzione di lavori
pubblici di cui alla lettera c), comma 1,
dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006;
3)
Modello B2 - Dichiarazione
concernente l’inesistenza di cause
d’esclusione dalle gare d’appalto per
l’esecuzione di lavori pubblici di cui
all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto aperte
agli esterni. È legittimo in particolari
materie integrare le commissioni con
esperti.
Sempre più difficile
gestire gare di appalto per lavori, servizi
e forniture, anche ricorrendo agli
specialisti delle stazioni uniche appaltanti
varate dal Dpcm 30.06.2011. Norme e
giurisprudenza si sovrappongono, come nel
caso dell'individuazione del costo del
personale all'interno del prezzo per
l'esecuzione di un appalto.
L'offerta da preferire in sede di gara, per
l'articolo 4 del decreto legge 70/2011
(legge 106/2011) va determinata al netto
delle spese relative al costo del personale.
Il seggio di gara, tuttavia, spesso non
possiede le competenze per sindacare tale
costo, ad esempio per valutarne l'anomalia
che prelude al lavoro nero o dequalificato.
Il costo del lavoro, infatti, non si
identifica con il minimo salariale (che è
inderogabile), ma è una voce connessa alla
produttività.
Il tema è stato affrontato da una
commissione di gara nominata da un'Azienda
sanitaria locale, che ha dovuto verificare
se in una gara per servizi di vigilanza un
concorrente avesse formulato un'offerta
bassa in modo anomalo violando i limiti
posti dalle tariffe adottate dal Prefetto
per la vigilanza, oppure trascurando le
tabelle ministeriali sul costo del lavoro.
Nel caso specifico, la Commissione
giudicatrice aveva affidato l'accertamento
sull'eventuale anomalo ribasso, a un tecnico
esterno: non era infatti possibile
ipotizzare, all'epoca in cui la Commissione
esaminatrice era stata designata, questa
tipologia di problemi da risolvere (cioè il
rispetto della contrattazione collettiva e
del costo del lavoro delle guardie giurate
da impiegare nella sorveglianza).
L'inserimento di un consulente esterno
nell'attività della commissione di gara è
stato poi oggetto di contestazione, ma il
TAR Puglia-Bari, Sez. I (sentenza
11.08.2011 n. 1209) ha condiviso
il coinvolgimento di un esperto esterno,
anche durante le operazioni di gara.
Osserva infatti il Tar che la stazione
appaltante può legittimamente rivolgersi a
un esperto al fine di valutare l'anomalia
dell'offerta: ben può, quindi, un consulente
del lavoro essere interpellato dalla
Commissione giudicatrice anche nel corso
dell'esame delle offerte, allo stesso modo
in cui è stato ritenuto legittimo
l'interpello di un cuoco durante una gara
per servizi mensa (Cons. Stato, 7265/2010) o
un esperto in materia di retribuzioni del
comparto cooperative sociali (Cons. Stato,
6765/2008) in un appalto di servizi di
trasporto infermi.
A un consulente si può chiedere ausilio non
solo in sede di gara, ma anche in sede di
successiva contestazione in giudizio, com'è
avvenuto a Roma nella gara manutenzione del
verde, quando un tecnico nominato dal
giudice (Cons. Stato, 3807/2011) ha
precisato il regime degli sgravi
contributivi su cui poteva contare un
concorrente, entrando nel merito non solo
dell'offerta di gara, ma anche
dell'organizzazione imprenditoriale e della
produttività della mano d'opera.
Con la Stazione unica appaltante sarà più
agevole avere commissioni qualificate,
evitando non solo il ricorso a consulenti
esterni, ma anche errori più banali quali la
composizione di commissioni giudicatrici in
numero pari (e non dispari).
Si prevedono poi ulteriori difficoltà nella
corretta gestione delle gare, per la
prossima entrata in vigore del Codice
antimafia (approvato definitivamente il
03.08.2011 ed in attesa di pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale), mentre già si segnala
la prima applicazione della sanzione per
lite temeraria, con raddoppio del contributo
fiscale a carico del ricorrente che abbia
agito in modo avventato: il TAR Puglia-Bari,
Sez. I (sentenza
30.08.2011 n. 1264) ha condannato
al pagamento di 8.000 euro un imprenditore
che contestava l'esclusione da una gara per
servizio di soccorso stradale: la somma è
andata a beneficio dell'Erario, in quanto né
il Comune né l'aggiudicatario si erano
costituti in giudizio (articolo
Il Sole 24 Ore del 04.09.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Il
giudizio di verifica della congruità di
un’offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell’offerta
nel suo insieme e costituisce espressione di
un potere tecnico-discrezionale
dell’amministrazione di per sé insindacabile
in sede di legittimità, salva l’ipotesi in
cui le valutazioni siano manifestamente
illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica
di anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l'offerta, nel suo complesso,
sia attendibile o inattendibile, e dunque se
dia o meno serio affidamento circa la
corretta esecuzione dell’appalto.
La verifica di anomalia dell’offerta
costituisce un sub-procedimento formalmente
distinto (ancorché collegato) rispetto al
procedimento di evidenza pubblica di
individuazione della proposta migliore, e si
esprime in un’indagine di contenuto
tecnico-economico secondo una precisa
ratio di fondo che è quella di evitare
l’aggiudicazione a prezzi tali da non
garantire la qualità del lavoro, fornitura o
servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha
ripetutamente osservato che il giudizio di
verifica della congruità di un’offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
(Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n.
6495) e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell’amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l’ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto (Consiglio di
Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV
– 20/05/2008 n. 2348).
Al contempo occorre rilevare che la verifica
di anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l'offerta, nel suo complesso,
sia attendibile o inattendibile, e dunque se
dia o meno serio affidamento circa la
corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio
di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146).
Sotto altro punto di vista, il Collegio ha
in altra causa affermato che attraverso il
Piano Economico Finanziario (e per analogia
mediante le giustificazioni) ciascun
concorrente debba dimostrare la propria
capacità di eseguire correttamente la
prestazione alle condizioni economiche
proposte, cosicché l’amministrazione possa
ammettere alla gara le offerte che
risultino, nel loro complesso, affidabili:
si tratta dello strumento che avvalora la
sostenibilità economica dell’operazione e
che per questo non può essere considerato
assolutamente intangibile ed immodificabile,
ma viceversa suscettibile di specificazioni,
chiarimenti, limitate integrazioni ed
aggiustamenti.
Soccorrono in proposito i principi elaborati
dalla giurisprudenza in materia di verifica
dell’offerta anomala ai sensi dell’art. 88
del D.Lgs. 163/2006, che individuano
nell’affidabilità complessiva dell’offerta
il criterio guida della stazione appaltante
per la formulazione del giudizio e che
riconoscono il valore del contraddittorio e
delle giustificazioni quali mezzi utili per
sviluppare l’indagine con piena cognizione
di causa. E’ stato sottolineato che nel
corso del procedimento il concorrente può
addurre qualsiasi elemento che ritenga utile
per evidenziare la remuneratività
dell’offerta, e in tale contesto le
giustificazioni preventive non possono
costituire un vincolo tale da non poter
essere superate –e all’occorrenza
modificate– da quelle successive (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI – 08/04/2004 n.
1999).
Per questo motivo la rielaborazione del
Piano economico finanziario (o delle
giustificazioni) in momenti posteriori non
può costituire di per sé un vizio
insanabile, trattandosi di fase nella quale
il contraddittorio deve necessariamente
svilupparsi (cfr. sentenza Sezione
26/05/2009 n. 1064 confermata in appello da
Consiglio di Stato, sez. V – 10/02/2010 n.
653) (TAR Lombardia-Brescia. Sez. II,
sentenza 10.08.2011 n. 1242 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gli atti del convegno tenutosi nel giugno
2011 a cura del Centro Studi Marangoni
(link a www.centrostudimarangoni.it):
-
1^ parte; -
2^ parte; -
3^ parte. |
APPALTI:
In materia di procedure
selettive, le clausole di esclusione sono di
stretta interpretazione, in forza del
preminente interesse alla massima
partecipazione, tanto più al cospetto di
previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le
clausole di esclusione sono di stretta
interpretazione, in forza del preminente
interesse alla massima partecipazione, tanto
più al cospetto di previsioni non del tutto
chiare e non prive di margini di ragionevole
incertezza. Pertanto, nel caso di specie,
sulla base del dato testuale della
disciplina di gara e muovendo dalla premessa
che la procedura aveva ad oggetto
l'affidamento del servizio di vigilanza e
prevenzione armata e che il servizio di
portierato costituiva solamente un'opzione
eventuale, è illegittima l'esclusione dalla
gara di una società per non essere iscritta
alla camera di commercio per il servizio di
portierato.
L'inciso racchiuso nell'art. 3 del
capitolato -secondo cui i candidati
avrebbero dovuto dichiarare ai sensi
dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere
iscritti al Registro della camera di
commercio- deve infatti essere interpretato
per coerenza sistematica, nella sua indubbia
genericità, come riferito alla sola attività
principale oggetto dell'appalto, concernente
la vigilanza armata (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 4665 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In materia di procedure
selettive, le clausole di esclusione sono di
stretta interpretazione, in forza del
preminente interesse alla massima
partecipazione, tanto più al cospetto di
previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le
clausole di esclusione sono di stretta
interpretazione, in forza del preminente
interesse alla massima partecipazione, tanto
più al cospetto di previsioni non del tutto
chiare e non prive di margini di ragionevole
incertezza.
Pertanto, nel caso di specie, sulla base del
dato testuale della disciplina di gara e
muovendo dalla premessa che la procedura
aveva ad oggetto l'affidamento del servizio
di vigilanza e prevenzione armata e che il
servizio di portierato costituiva solamente
un'opzione eventuale, è illegittima
l'esclusione dalla gara di una società per
non essere iscritta alla camera di commercio
per il servizio di portierato.
L'inciso, racchiuso nell'art. 3 del
capitolato -secondo cui i candidati
avrebbero dovuto dichiarare ai sensi
dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere
iscritti al Registro della camera di
commercio- deve infatti essere interpretato
per coerenza sistematica, nella sua indubbia
genericità, come riferito alla sola attività
principale oggetto dell'appalto, concernente
la vigilanza armata (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 4665 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla definizione di
c.d. società di terzo grado e applicabilità
alle medesime dell'art. 13 del D.L. n. 223
del 2006: limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle
società caratterizzate da forme di
partecipazione indiretta o mediata, che non
sono state costituite da amministrazioni
pubbliche e non sono finalizzate a
soddisfare esigenze strumentali delle
medesime.
Il presupposto per l'eventuale applicazione
del divieto contenuto nell'art. 13 del d.l.
n. 223 del 2006, anche nei confronti delle
società di terza generazione o cd società di
terzo grado è che la società costituita o
posseduta dall'ente locale svolga servizi
strumentali per lo stesso. In presenza di
tale circostanza la finalità del d.l. n.
223, di evitare effetti distorsivi della
libera concorrenza, si persegue non solo
vietando le attività diverse da quelle
classificabili come strumentali rispetto
alle finalità dell'ente pubblico, ma anche
vietando la partecipazione delle società
strumentali ad altre società.
In effetti, l'alterazione della libera
concorrenza può realizzarsi anche in via
mediata, ossia fruendo dei vantaggi
derivanti dall'investimento del capitale di
una società strumentale in altro soggetto
societario costituito con finalità neppure
indirettamente strumentali, ma anzi
intrinsecamente imprenditoriali. Tale
principio si evince in particolare dalla
decisione n. 326 del 2008 della Corte
costituzionale, che ha ritenuto il divieto
imposto alle società strumentali di detenere
partecipazioni in altre società volto ad
evitare che le società in questione svolgano
indirettamente, attraverso proprie
partecipazioni o articolazioni, attività
loro precluse.
Divieto, peraltro, che la Corte ha ritenuto
non esteso alla detenzione di qualsiasi
partecipazione o alla adesione a qualsiasi
ente, bensì circoscritto alla detenzione di
partecipazioni in società o enti che operino
in settori preclusi alle società stesse.
---------------
Sono applicabili alle società controllate da
società strumentali e costituite con
capitale di queste gli stessi limiti che
valgono per le società controllanti, ove si
tratti di attività inerenti a settori
precluse a queste ultime. Infatti,
l'utilizzazione di capitali di una società
strumentale per partecipare, attraverso la
creazione di una società di terzo grado, a
gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia
pure indirettamente, l'elusione del divieto
di svolgere attività diverse da quelle
consentite a soggetti che godano di una
posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a
contrario la previsione dello scorporo di
attività non più consentite alle società
strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del
"Decreto Bersani", dovendosi tale
disposizione intendere nell'unico senso
compatibile con il divieto imposto alle
società strumentali di partecipare ad enti,
sancito dal comma 1 del medesimo articolo e
cioè come volta a costituire un nuovo
soggetto societario, destinato a concorrere
in pubbliche gare per lo svolgimento di un
servizio di interesse generale, che non
comporti l'intervento finanziario dell'ente
strumentale.
Tale interpretazione trova del resto
conferma nella circostanza che l'obbligo di
cessione a terzi delle società e delle
partecipazioni vietate, abrogato dalla l.
finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l.
27.12.2006, n. 296), è stato poi
ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l.
24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la
previsione di un termine di adempimento più
volte prorogato, da ultimo con l'art. 71,
co. 1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 04.08.2011 n. 17 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla definizione di
c.d. società di terzo grado e applicabilità
alle medesime dell'art. 13 del D.L. n. 223
del 2006: limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle
società caratterizzate da forme di
partecipazione indiretta o mediata, che non
sono state costituite da amministrazioni
pubbliche e non sono finalizzate a
soddisfare esigenze strumentali delle
medesime.
- Il presupposto per l'eventuale
applicazione del divieto contenuto nell'art.
13 del d.l. n. 223 del 2006, anche nei
confronti delle società di terza generazione
o cd società di terzo grado è che la società
costituita o posseduta dall'ente locale
svolga servizi strumentali per lo stesso.
In presenza di tale circostanza la finalità
del d.l. n. 223, di evitare effetti
distorsivi della libera concorrenza, si
persegue non solo vietando le attività
diverse da quelle classificabili come
strumentali rispetto alle finalità dell'ente
pubblico, ma anche vietando la
partecipazione delle società strumentali ad
altre società. In effetti, l'alterazione
della libera concorrenza può realizzarsi
anche in via mediata, ossia fruendo dei
vantaggi derivanti dall'investimento del
capitale di una società strumentale in altro
soggetto societario costituito con finalità
neppure indirettamente strumentali, ma anzi
intrinsecamente imprenditoriali.
Tale principio si evince in particolare
dalla decisione n. 326 del 2008 della Corte
costituzionale, che ha ritenuto il divieto
imposto alle società strumentali di detenere
partecipazioni in altre società volto ad
evitare che le società in questione svolgano
indirettamente, attraverso proprie
partecipazioni o articolazioni, attività
loro precluse. Divieto, peraltro, che la
Corte ha ritenuto non esteso alla detenzione
di qualsiasi partecipazione o alla adesione
a qualsiasi ente, bensì circoscritto alla
detenzione di partecipazioni in società o
enti che operino in settori preclusi alle
società stesse.
- Sono applicabili alle società controllate
da società strumentali e costituite con
capitale di queste gli stessi limiti che
valgono per le società controllanti, ove si
tratti di attività inerenti a settori
precluse a queste ultime. Infatti,
l'utilizzazione di capitali di una società
strumentale per partecipare, attraverso la
creazione di una società di terzo grado, a
gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia
pure indirettamente, l'elusione del divieto
di svolgere attività diverse da quelle
consentite a soggetti che godano di una
posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a
contrario la previsione dello scorporo di
attività non più consentite alle società
strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del
"Decreto Bersani", dovendosi tale
disposizione intendere nell'unico senso
compatibile con il divieto imposto alle
società strumentali di partecipare ad enti,
sancito dal comma 1 del medesimo articolo e
cioè come volta a costituire un nuovo
soggetto societario, destinato a concorrere
in pubbliche gare per lo svolgimento di un
servizio di interesse generale, che non
comporti l'intervento finanziario dell'ente
strumentale.
Tale interpretazione trova del resto
conferma nella circostanza che l'obbligo di
cessione a terzi delle società e delle
partecipazioni vietate, abrogato dalla l.
finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l.
27.12.2006, n. 296), è stato poi
ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l.
24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la
previsione di un termine di adempimento più
volte prorogato, da ultimo con l'art. 71,
co. 1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 04.08.2011 n. 17 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Via libera al codice. Un ddl
su intercettazioni e collaboratori.
Antimafia, da settembre si cambia.
Certificazione lunga, più poteri ai
prefetti, banca dati doc.
Ampliato il termine di
validità (da 6 a 12 mesi) della durata della
certificazione antimafia liberatoria per le
imprese che lavorano nel circuito
dell'economia legale. Ai prefetti la
possibilità di desumere il «tentativo di
infiltrazione mafiosa» da sentenze di
condanna anche non definitive per reati
«strumentali» che valutate «unitamente a
concreti elementi» facciano ritenere che
l'attività d'impresa possa essere oggetto
del condizionamento mafioso, anche
indiretto. Costituzione di una banca dati
nazionale che raccoglie la documentazione
contro le organizzazioni criminali.
Il codice delle leggi antimafia, delle
misure di prevenzione e delle nuove norme in
materia di documentazione antimafia,
presentato dal ministro dell'interno Roberto
Maroni e varato ieri dal consiglio dei
ministri è articolato in quattro libri ed
entrerà in vigore definitivamente il
prossimo 7 settembre, come annunciato dal
neo-guardasigilli Nitto Palma.
Il codice, si legge in un comunicato del
Viminale, punta a «razionalizzazione,
semplificazione e coordinamento» della
normativa antimafia vigente necessaria con
le numerose leggi speciali entrate in vigore
negli anni. Sono stati infatti accolti i
desiderata del parlamento, con il
recepimento di 11 delle 21 modifiche
avanzate nei pareri delle commissioni
parlamentari e dal comitato di
coordinamento. Accolta anche la richiesta di
stralcio dei primi dieci articoli per i
quali, sempre a settembre, sarà varato un
disegno di legge.
Tenuto conto che i pareri resi dagli organi
parlamentari (Comitato per la legislazione e
Commissioni giustizia della camera e del
senato) hanno evidenziato, si legge in un
comunicato di palazzo Chigi, la volontà di «innovare
l'ordinamento in maniera maggiormente
significativa», il Consiglio ha deciso
di avviare una nuova iniziativa legislativa
che copra l'intero spettro della disciplina
sostanziale e processuale in materia di
criminalità organizzata: dalle
intercettazioni «giudiziarie», alla
disciplina sui collaboratori e testimoni di
giustizia, dal regime carcerario previsto
dall'art. 41-bis, ai colloqui investigativi
speciali e alle attività di cooperazione
giudiziaria con altri stati nel settore
della confisca.
Per questo motivo, anche in considerazione
dei limiti materiali della legge delega e la
prossima scadenza del termine per il suo
esercizio (settembre 2011), il Consiglio ha
deciso di stralciare le norme contenute nel
libro I del nuovo Codice e di approntare un
nuovo disegno di legge.
Cinque libri e 131 articoli, il nuovo codice
riordina una legislazione frastagliata,
prodotto di anni di sentenze e provvedimenti
che hanno fatto giurisprudenza. Il codice,
così come uscito dal Cdm, si muove lungo tre
direttrici: cattura dei latitanti, carcere
duro e aggressione ai patrimoni criminali.
Preoccupazione aveva suscitato il passaggio
(articolo 1 della legge delega 136/2010) in
cui si fa riferimento alla durata del
sequestro: 18 mesi in tutto se non
interviene la confisca del bene sottratto
alla mafia. Nel nuovo codice, tuttavia, è
prevista la possibilità di prorogare il
sequestro di sei mesi e per non più di due
volte, in caso di indagini complesse.
Altre novità contenute nel testo varato dal
Consiglio dei ministri riguardano il
procedimento per l'applicazione delle misure
di prevenzione -il soggetto potrà richiedere
che si proceda in pubblica udienza- e
soprattutto la disciplina, completamente
innovativa, di cinque aspetti della misura
di prevenzione patrimoniale: revoca della
confisca, rapporti tra sequestro di
prevenzione e sequestro penale, tutela dei
terzi, rapporti con le procedure
concorsuali, effetti fiscali del sequestro.
La revoca della confisca sarà possibile solo
in casi eccezionali come la falsità delle
prove o il difetto originario dei
presupposti. In tale caso sarà restituita, a
eccezione degli immobili di particolare
pregio artistico o storico, solo una somma
di denaro equivalente al valore del bene.
Per regolare i rapporti tra sequestro di
prevenzione e sequestro penale, il codice
prevede che, qualora lo stesso bene sia
colpito da entrambi i provvedimenti,
l'amministrazione e la gestione del bene
devono seguire le norme sulla prevenzione
come la nomina di un amministratore
giudiziario, relazione periodica ecc.
L'amministratore giudiziario diventa «sostituto
d'imposta» ovvero paga provvisoriamente
le imposte relative ai beni sequestrati.
Alla fine della procedura, se i beni vengono
restituiti, l'amministratore recupera quanto
versato. Al fine di tutelare creditori terzi
è previsto che dal bene sequestrato sia
preventivamente estratta la parte spettante
al creditore. Ovviamente, sempre che il
credito non sia frutto di attività illecita
(articolo ItaliaOggi del 04.08.2011). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L'elemento fiduciario
nei rapporti con la stazione appaltante.
L’esclusione di una impresa da una procedura
ad evidenza pubblica per grave negligenza o
malafede è illegittima qualora la p.a. abbia
provveduto a confermare la fiducia nei
confronti dell’impresa rinnovando o
prorogando l’affidamento di diversi
contratti.
Tale principio è stato ribadito dal
Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 03.08.011 n. 4629,
nell’ambito di una gara d’appalto per
l’affidamento di servizi cimiteriali.
Nel caso di specie la ricorrente era stata
esclusa per grave negligenza nell’esecuzione
di un precedente rapporto con
l’amministrazione pubblica (violazione
dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs.
1634/2006) e per irregolarità contributive
(violazione dell’art. 38, comma 1, lett. e),
del d.lgs. 163/2006).
In primo grado il Tar aveva confermato la
legittimità del provvedimento della stazione
appaltante.
In sede di Consiglio di Stato è stata,
invece, messa in luce la reale posizione
dell’impresa ricorrente, che per ragioni non
dipendenti dal proprio operato era stata
costretta a ritardare l’esecuzione di un
servizio pubblico affidatole.
Successivamente, tuttavia, la stessa
amministrazione aveva proceduto a rinnovare
all’impresa l’affidamento di diversi
servizi, dimostrando così l’affidabilità
della stessa.
I giudici di Palazzo Spada hanno infatti
sostenuto che: “La proroga e
l’affidamento di contratti all’impresa
appellante da parte del Comune nel periodo
giugno–dicembre 2010 (relativi alla
manutenzione di verde pubblico e di
rotatoria nonché di servizio spargisale),
senza alcun riferimento a pregresse
inadempienze, sono chiari indizi dello
sviamento e della contradditorietà di cui è
affetto l’atto di esclusione dalla gara per
cui è causa per grave negligenza o malafede
nello svolgimento di prestazioni affidate
all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento
fiduciario nei rapporti contrattuali della
pubblica amministrazione fin dal momento
genetico, nell’interesse pubblico a non
stipulare nuovi contratti con l’impresa
resasi responsabile di grave negligenza,
trova un evidente limite nel caso in cui la
stessa amministrazione operi una valutazione
favorevole sul piano tecnico–morale
dell’impresa rinnovandole fiducia attraverso
la proroga o l’affidamento di diversi
contratti (Cons. St. Sez. VI, 28.07.2010, n.
5029).”
L’atto di esclusione è pertanto illegittimo
se non dimostra in maniera adeguata
l’inaffidabilità dell’impresa.
I giudici di appello si sono inoltre
soffermati su un ulteriore motivo di
esclusione, prontamente impugnato
dall’impresa ricorrente: la violazione
dell’art. 38, comma 1, lett. e), del d.lgs.
163/2006.
Il provvedimento di esclusione si basava
infatti anche su un presunta irregolarità
contributiva, non sussistente nel caso di
specie poiché fondata su un “contenzioso
amministrativo in corso” per il
pagamento di oneri contributivi.
Da un’attenta lettura dell’art. 38, comma 1,
lett. e), si rileva pertanto che
l’esclusione può essere disposta soltanto
nel caso in cui le imprese “…si siano
rese responsabili di violazioni gravi e
definitivamente accertate...”.
L’interpretazione della legge, in questo
caso l’art. 38, non è opera semplice e di
intuitiva applicazione ma deve
necessariamente essere oggetto di un’attenta
analisi ed un adeguato approfondimento così
da evitare applicazioni fuorvianti del
volere del legislatore (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Ai
fini della rilevanza sul piano del venir
meno dell’affidabilità dell’impresa, della
gravità della negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va fornita un’adeguata prova ed
il provvedimento deve essere motivato
adeguatamente.
- Con riferimento ad un contenzioso
amministrativo in corso per il pagamento di
oneri contributivi, occorre osservare che la
chiara prescrizione recata dall’art. 38,
comma 1, lett. e), nel senso di escludere
dalla partecipazione solo le imprese che si
siano rese responsabili di violazioni gravi
e definitivamente accertate, porta ad
escludere che la pendenza di un contenzioso
possa essere considerata di per sé indice di
inaffidabilità, essendo possibile un esito
favorevole della lite, eventualità che fa
prevalere il principio della più ampia
partecipazione.
---------------
- Le norme che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche vanno interpretate nel rispetto
dei principi di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione e la mancanza di una
norma con effetto preclusivo che preveda, in
caso di cessione d’azienda anteriore alla
partecipazione alla gara –cui è assimilabile
l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di
dichiarazione dei requisiti soggettivi della
cedente, conduce ad escludere la sanzione
espulsiva nei confronti dell’impresa
cessionaria o affittuaria che non abbia reso
la dichiarazione sulla cedente.
La nomina della Commissione di valutazione
da parte del Vice Segretario Generale del
Comune deve considerarsi legittima, potendo
egli esercitare, in caso di impedimento da
parte del titolare della funzione, i poteri
connessi alla posizione vicaria,
nell’interesse al buon andamento
dell’amministrazione.
La proroga e l’affidamento di contratti
all’impresa appellante da parte del Comune
nel periodo giugno–dicembre 2010 (relativi
alla manutenzione di verde pubblico e di
rotatoria nonché di servizio spargisale),
senza alcun riferimento a pregresse
inadempienze, sono chiari indizi dello
sviamento e della contraddittorietà di cui è
affetto l’atto di esclusione dalla gara per
cui è causa per grave negligenza o malafede
nello svolgimento di prestazioni affidate
all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento
fiduciario nei rapporti contrattuali della
pubblica amministrazione fin dal momento
genetico, nell’interesse pubblico a non
stipulare nuovi contratti con l’impresa
resasi responsabile di grave negligenza,
trova un evidente limite nel caso in cui la
stessa amministrazione operi una valutazione
favorevole sul piano tecnico-morale
dell’impresa, rinnovandole fiducia
attraverso la proroga o l’affidamento di
diversi contratti (Cons. St. Sez. VI,
28.07.2010, n. 5029).
Peraltro, il motivo d’appello è fondato
anche sotto il profilo della errata
valutazione da parte del primo giudice in
ordine alla mancata confutazione da parte
dell’interessata di ogni responsabilità o
negligenza nell’esecuzione del contratto
evocato.
Risulta, infatti, agli atti che a seguito
della contestazione da parte del Comune
della negligenza dimostrata in un’operazione
di sepoltura, l’impresa, con nota
02.01.2009, aveva giustificato il proprio
comportamento in ragione del notevole
ritardo con cui era stata ricevuta la salma
e di eventi a sé non imputabili.
La disposta esclusione appare, pertanto, in
contrasto anche con il principio per cui, ai
fini della rilevanza sul piano del venir
meno dell’affidabilità dell’impresa, della
gravità della negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va fornita un’adeguata prova ed
il provvedimento deve essere motivato
adeguatamente (Cons. St. Sez. V, 22.02.2011,
n. 1107; 21.01.2011, n. 409).
Nella specie, entrambi gli elementi (prova
della negligenza ed adeguata motivazione)
risultano carenti.
Quanto al secondo motivo di esclusione,
riferito ad un contenzioso amministrativo in
corso per il pagamento di oneri
contributivi, occorre osservare che la
chiara prescrizione recata dall’art. 38,
comma 1, lett. e), nel senso di escludere
dalla partecipazione solo le imprese che si
siano rese responsabili di violazioni gravi
e definitivamente accertate, porta ad
escludere che la pendenza di un contenzioso
possa essere considerata di per sé indice di
inaffidabilità, essendo possibile un esito
favorevole della lite, eventualità che fa
prevalere il principio della più ampia
partecipazione (Cons. St. Sez. V,
21.04.2009, n. 2399).
---------------
Le
norme che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche vanno interpretate nel rispetto
dei principi di tipicità e tassatività delle
ipotesi di esclusione e la mancanza di una
norma con effetto preclusivo che preveda, in
caso di cessione d’azienda anteriore alla
partecipazione alla gara –cui è assimilabile
l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di
dichiarazione dei requisiti soggettivi della
cedente, conduce ad escludere la sanzione
espulsiva nei confronti dell’impresa
cessionaria o affittuaria che non abbia reso
la dichiarazione sulla cedente (Cons. St.
Sez. V, 15.11.2010, n. 8044; 21.05.2010, n.
3213);
La nomina della Commissione di valutazione
da parte del Vice Segretario Generale del
Comune deve considerarsi legittima, potendo
egli esercitare, in caso di impedimento da
parte del titolare della funzione, i poteri
connessi alla posizione vicaria,
nell’interesse al buon andamento
dell’amministrazione
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.08.2011 n. 4629 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Stangata
per chi perde al Tar. Lite temeraria? Negli
appalti si paga da 8 mila a 20 mila. Il
consiglio dei ministri esamina oggi la
riforma del processo amministrativo (dlgs
104/2010).
Stangata per chi perde
al Tar e al Consiglio di stato. Anche così
il ministero dell'economia fa cassa.
La
bozza di decreto legislativo correttivo del
Codice del processo amministrativo
(dlgs 104/2010) oggi al vaglio del consiglio
dei ministri obbliga, infatti, il giudice a
condannare chi ha intentato una lite
temeraria a pagare allo stato una sanzione
di importo non inferiore al doppio del
contributo unificato e non superiore nel
massimo al quintuplo.
Si tratta di cifre pesanti: per esempio una
soccombenza in un ricorso su appalti può
costare da almeno 8 mila euro fino a 20 mila
euro.
Il pugno duro deriva dalla proposta
riscrittura del secondo comma dell'articolo
26 del codice del processo amministrativo,
dedicato alle spese di giudizio.
Nella versione attuale in caso di lite
temeraria il giudice può (non «deve»)
condannare d'ufficio (quindi anche senza
richiesta di parte) chi perde al pagamento a
favore di chi vince di una somma di denaro
equitativamente determinata (senza minimi e
massimi).
La lite è giudicata temeraria quando la
decisione è fondata su ragioni manifeste o
orientamenti giurisprudenziali consolidati.
La modifica del decreto correttivo lascia
intatta la definizione della lite temeraria.
Sul punto non si può non sottolineare come
sia molto forte la discrezionalità del
giudice, che ha campo libero per valutare se
una ragione è manifesta oppure no. Meno alea
si registra, invece, per il presupposto del
consolidamento di orientamenti
giurisprudenziali, che si ritiene deve
realizzarsi a livello di Consiglio di stato.
Il resto della disposizione viene, invece,
rivoluzionato. Innanzi tutto la condanna al
risarcimento diventa obbligatoria: la nuova
versione testualmente dispone che «il
giudice condanna d'ufficio la parte
soccombente al pagamento di una sanzione
pecuniaria»; viene abbandonato
l'espressione incentrata sull'uso
dell'ausiliare «potere» («può
condannare»); così si vincola il giudice
a condannare chi con temerarietà ha iniziato
un giudizio o ha resistito con altrettanta
temerarietà in giudizio. La norma vale tra
l'altro anche per la pubblica
amministrazione soccombente, che farà bene a
esercitare l'autotutela quando l'atto
impugnato non è difendibile.
In secondo luogo il beneficiario delle somme
non è più l'altra parte e cioè quella che ha
vinto in giudizio; il beneficiario è lo
stato. È evidente che da un risarcimento
alla parte vincitrice si passa a una
sanzione per chi perde.
Infine si passa dalla valutazione equitativa
del giudice, quale criterio per la
determinazione dell'importo del
risarcimento, a una misura predeterminata
dalla legge con un minimo e un massimo, come
è usuale che sia per le sanzioni.
L'ammontare del risarcimento deve essere non
inferiore al doppio e non superiore al
quintuplo del contributo unificato dovuto
per il ricorso introduttivo del giudizio.
Le cifre sono considerevoli e si aggiungono
alle spese di soccombenza (e cioè il
rimborso delle spese legali sostenute da chi
ha vinto).
Passiamo in rassegna le diverse possibilità.
Per i ricorsi in materia di
accesso ai documenti amministrativi, contro
il silenzio della pa, in materia di
cittadinanza e residenza, soggiorno e
ingresso in Italia e per quelli di
esecuzione e ottemperanza la lite temeraria
può costare da 600 a 1.500 euro. Per i
ricorsi cui si applica il rito abbreviato la
sanzione va da 3 mila euro a 7 mila e
cinquecento euro. Per i ricorsi in materia
di appalti si va da 8 mila a 20 mila euro.
Infine per tutti gli altri ricorso il minimo
è 1.200 euro e il massimo è 3 mila euro.
Peraltro se si dovesse considerare l'importo
del contributo unificato aumentato della
metà (sanzione prevista nel caso in cui il
difensore non indichi in atto l'indirizzo di
posta elettronica certificata e il numero di
fax) le cifre lieviterebbero ancora.
Tra l'altro sull'indicazione dei recapiti la
bozza di correttivo, modificando l'articolo
136 del codice, consente agli avvocati di
indicare nel ricorso e nel primo atto
difensivo un indirizzo di posta elettronica
certificata e un numero fax, che possono
essere anche diversi dagli indirizzi del
domiciliatario: quindi il dominus può
indicare la propria pec o i proprio fax
anche se si elegge domicilio presso un
avvocato di altra sede (articolo
ItaliaOggi del 03.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: OEPV
e criteri di valutazione della lex
specialis.
Domanda.
Quando la Commissione giudicatrice di un
appalto pubblico che prevede il criterio
dell'aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa può integrare
i criteri di valutazione della lex
specialis?
Risposta.
Ai fini dell'attribuzione del punteggio, non
contrasta con il diritto comunitario,
l'integrazione dei criteri di valutazione a
condizione che:
a) non siano modificati i criteri di
valutazione stabiliti dalla lex specialis
di gara;
b) non sia influenzata la preparazione delle
offerte a cagione della previsione di
elementi, che, se fossero stati noti al
momento della formulazione delle offerte,
avrebbero potuto indurre i partecipanti al
procedimento di evidenza pubblica ad una
diversa articolazione delle offerte;
c) non siano introdotte discriminazioni a
danno dei concorrenti (02.08.2011 -
commento tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI: In
caso di annullamento in sede giurisdizionale
dell'esclusione di un concorrente da una
gara per l'aggiudicazione di pubblici
appalti, l'operare congiunto dei principi di
segretezza delle offerte nei procedimenti di
aggiudicazione e del principio di
conservazione dell'atto amministrativo fa sì
che la rinnovazione della gara conseguente
alla riammissione del concorrente
illegittimamente escluso debba retroagire in
modo diverso a seconda del criterio previsto
per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia
effettuata in base a criteri oggettivi e
vincolati, è sufficiente rinnovare la fase
di valutazione delle offerte; nel caso,
invece, di aggiudicazione basata su
apprezzamenti discrezionali, con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
sarebbe necessario rinnovare l'intero
procedimento di gara, a partire dalla stessa
fase della presentazione delle offerte.
Il Collegio non ignora la ricorrente
giurisprudenza secondo cui, in caso di
annullamento in sede giurisdizionale
dell'esclusione di un concorrente da una
gara per l'aggiudicazione di pubblici
appalti, l'operare congiunto dei principi di
segretezza delle offerte nei procedimenti di
aggiudicazione e del principio di
conservazione dell'atto amministrativo fa sì
che la rinnovazione della gara conseguente
alla riammissione del concorrente
illegittimamente escluso debba retroagire in
modo diverso a seconda del criterio previsto
per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia
effettuata in base a criteri oggettivi e
vincolati, è sufficiente rinnovare la fase
di valutazione delle offerte; nel caso,
invece, di aggiudicazione basata su
apprezzamenti discrezionali, con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
sarebbe necessario rinnovare l'intero
procedimento di gara, a partire dalla stessa
fase della presentazione delle offerte
(Consiglio Stato, Sez. V, 20.10.2005, n.
5892 e 21.01.2002, n. 340).
Come si legge nella sentenza del TAR
Campania, Napoli, Sez. I, 26.01.2011, n.
462, che il Collegio ritiene di poter
condividere nelle sue conclusioni, però, in
altre occasioni il giudice di appello ha
ammesso la possibilità di rinnovazione
parziale dei giudizi anche a buste aperte,
osservando che il principio di segretezza
dell'offerta economica non costituisce un
valore assoluto, ma un valore che richiede
pur sempre di essere posto in relazione e
coordinato con gli altri beni tutelati
dall'ordinamento giuridico, tenendo conto,
congiuntamente, del principio di
conservazione degli atti giuridici e del
canone di buona amministrazione ed in primo
luogo del principio costituzionale di
effettività della tutela giurisdizionale
delle situazioni giuridiche soggettive,
oltre che dei criteri di efficienza ed
efficacia dell'azione amministrativa che
verrebbero frustrati da un rinnovo integrale
delle operazioni di gara, comportante un
aggravio procedimentale per la dilatazione
dei tempi per addivenire all'aggiudicazione
(C.d.S., sez. IV, 30.06.2004, n. 4834;
C.d.S., sez. VI, 01.10.2004, n. 6457;
C.d.S., sez. VI, 24.02.2005, n. 683) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1235 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
DPCM sulle stazioni
uniche appaltanti: nuova vita per le
centrali committenti?
Il decreto
è diretto a promuovere l'istituzione, in
ambito regionale, di una o più stazioni
uniche appaltanti, con l'obiettivo di
rendere più penetrante l'attività di
prevenzione e contrasto ai tentativi di
condizionamento della criminalità mafiosa,
favorendo la celerità delle procedure,
l'ottimizzazione delle risorse ed il
rispetto della normativa in materia di
sicurezza sul lavoro.
Tuttavia, occorre prendere atto che la
facoltatività dell'adesione alle SUA,
elemento non contrastato in ragione delle
delicate questioni istituzionali e
costituzionali connesse, può dar luogo ad un
rilevante disincentivo, in presenza dei ben
noti fenomeni di "campanilismo gestionale"
delle stazioni appaltanti. Occorre, invero,
tener ben presente che il ricorso alla
Stazione Unica Appaltante (una o più, su
base regionale) non rappresenterà un obbligo
per le Pubbliche amministrazioni, ma una
facoltà.
Certamente, la L. n. 136 del 2010, recante
il "Piano straordinario contro le mafie,
nonché la delega al Governo in materia di
normativa antimafia", viene ricordata,
soprattutto, per l'introduzione
dell'innovativo istituto della tracciabilità
dei flussi finanziari, di cui agli artt. 3 e
6.
Invero, oltre tale importante e discusso
istituto, oggetto di nuovi interventi
normativi e di continue precisazioni da
parte dell'Autorità di Vigilanza, la L. n.
136 del 2010, contiene altri importanti
interventi:
- le deleghe al Governo, per riformare la
normativa e la documentazione antimafia;
- il nuovo sistema di controllo degli
automezzi adibiti al trasporto dei materiali
e di identificazione degli addetti:
- l'introduzione del nuovo reato di "turbata
libertà del procedimento di scelta del
contraente" (art. 353-bis codice
penale).
Fra questi, anche l'istituzione, in ambito
regionale, di una Stazione Unica Appaltante,
al fine di garantire trasparenza, regolarità
ed economicità nella gestione degli appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture,
oltre che per prevenire, in tal modo, le
infiltrazioni di natura malavitosa.
L'art. 13 prevede, poi, l'emanazione, entro
sei mesi, di un DPCM, diretto a stabilire
quali enti, organismi e società potranno
aderire alla SUA, quali saranno le attività
ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi
dell'art. 33 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006).
La SUA, come anche chiarito dal comma 2,
lettera b), del predetto art. 13, ha natura
giuridica di centrale di committenza e cura,
per conto degli enti aderenti,
l'aggiudicazione dei contratti pubblici in
ambito regionale, provinciale e comunale.
Le centrali di committenza nascono per un
chiaro fine: porre in essere un processo di
razionalizzazione della spesa, intesa come
attività volta a "spendere meglio",
in modo da assicurare un corretto rapporto
tra risorse da impiegare rispetto ai
risultati da perseguire (efficienza), e
soprattutto tra risorse impiegate e
risultati infine raggiunti (efficienza).
Razionalizzare per spendere
meno.
E' questa l'unica possibilità che residua,
dopo il non più possibile ulteriore
innalzamento del livello della pressione
fiscale, se si vuole evitare che ulteriori
tagli delle spese incidano sui servizi resi
ai cittadini.
Se non si vogliono ridurre ulteriormente i
servizi, bisogna, allora, utilizzare al
meglio le risorse disponibili.
Uno dei campi in cui lo spazio di manovra in
tal senso è enorme è quello degli acquisti
di beni e servizi.
Ebbene, è proprio in tale prospettiva che si
inserisce l'istituto delle centrali di
committenza e quello della programmazione
degli acquisti, strumenti coordinati di
razionalizzazione della spesa pubblica.
Dunque, in tale scenario, nacque, verso la
fine degli anni 2000, la CONSIP S.p.A.
(Concessionaria Servizi Informatici
Pubblici), organismo a struttura societaria,
interamente posseduto dal Ministero
dell'Economia, con il compito di stipulare
convenzioni, in base alle quali le imprese
fornitrici si impegnano ad accettare
ordinativi di fornitura fino alla
concorrenza di un quantitativo di beni o di
servizi predeterminato.
La fonte normativa originaria è costituita
dall'art. 26, L. 23.12.1999, n. 488
(Finanziaria 2000), la quale delineò un
sistema in cui, tramite procedure ad
evidenza pubblica, vengono scelte imprese
per la fornitura di beni e servizi alle
Pubbliche amministrazioni ad uguali
condizioni.
Viene, quindi, previsto che le singole
Amministrazioni, sulla base delle
convenzioni stipulate dal Ministero
dell'Economia per il tramite della CONSIP
sua concessionaria, possono emettere
ordinativi di forniture di beni e servizi,
perfezionando così la procedura di ogni
singolo acquisto.
In origine, l'obbligo di aderire alle
convenzioni stipulate dalla Consip era
previsto solo per le Amministrazioni
centrali e periferiche dello Stato, mentre
le altre Pubbliche amministrazioni, pur
avendo una mera facoltà di adesione, avevano
l'obbligo di utilizzare i parametri di
qualità e di prezzo delle convenzioni stesse
nel caso di acquisto di beni comparabili con
quelli oggetto di convenzionamento.
Con l'art. 24, L. n. 289 del 2002 (legge
finanziaria per l'anno 2003), fu introdotto
l'obbligo generalizzato di adesione per
tutte le Pubbliche amministrazioni e fu
prevista la nullità dei contratti stipulati
in violazione del divieto.
Successivamente, il Legislatore è tornato
nuovamente sulla questione della
facoltatività-obbligatorietà, con l'art. 3,
comma 166, L. n. 350 del 2003 (Finanziaria
2004), con il quale si eliminò ogni tipo di
obbligo di adesione e Consip divenne, di
conseguenza, uno strumento facoltativo di
raffronto tra prezzi.
Tuttavia, va osservato che la declassazione
dell'istituto contrastava con quel processo,
che si andava sempre più consolidando e che
era teso alla centralizzazione degli
acquisti.
Solo pochi mesi dopo, la facoltatività di
aderire alle convenzioni, appena
reintrodotta, fu quindi nuovamente mitigata
con il D.L. n. 168 del 2004, convertito
nella L. n. 191 del 2004, con il quale fu
mantenuta come facoltativa la possibilità di
adesione, ma fu introdotto l'obbligo, in
caso acquisto di autonomo di beni
comparabili, di raffrontare i prezzi con
quelli previsti dalle convenzioni Consip e
di utilizzare questi ultimi come base d'asta
al ribasso.
La nuova politica di razionalizzazione degli
acquisti ha condotto, poi, all'introduzione,
da parte delle leggi finanziarie che si sono
succedute negli ultimi anni, di nuovi
strumenti di centralizzazione delle
procedure di gara, che operano a livello
locale.
Precisamente:
a) a livello comunale, attraverso le
aggregazioni di enti locali per gli acquisti
di beni e servizi (L. n. 266 del 2005, commi
158-160);
b) a livello provinciale, attraverso l'art.
33 del Codice dei contratti pubblici, il
quale prevede che le amministrazioni
pubbliche possano affidare il compito di
stazione appaltante alla Provincia, sulla
base di apposito disciplinare, con rimborso
delle spese e degli oneri sostenuti, al fine
di alleggerire i piccoli Comuni dall'onere
di effettuare le gare;
c) a livello regionale, attraverso le
Centrali regionali di committenza.
L'art. 1, commi 455-457 della legge
finanziaria 2007, ha introdotto la
possibilità per le Regioni, anche unitamente
ad altre Regioni, di costituire centrali di
committenza, con il compito di stipulare
convenzioni per acquisto di beni e servizi,
in favore di amministrazioni locali, ASL e
tutte le altre amministrazioni con sede nel
territorio.
L'art. 13, L. n. 136 del 2010, nel chiaro
intento di rivitalizzare le centrali di
committenza, ha previsto l'espressa
emanazione di un DPCM, avente il primario
compito di disciplinare i seguenti aspetti
delle SUA:
- gli enti, gli organismi e le società che
possono aderire alla SUA;
- le attività ed i servizi svolti dalla SUA,
ai sensi dell'art. 33 del Codice dei
contratti pubblici;
- gli elementi essenziali delle convenzioni
tra i soggetti che aderiscono alla SUA;
- le forme di monitoraggio e di controllo
degli appalti, ferme restando le
disposizioni vigenti in materia.
Dunque, con l'emanazione
del DPCM del 30.06.2011, firmato
dal Presidente del consiglio dei ministri e
dai ministri Maroni, Alfano, Romani,
Matteoli, Sacconi, Fitto e Brunetta, può
finalmente "nascere" la stazione
unica appaltante, su base regionale, cui
potranno fare riferimento le Amministrazioni
statali, le Regioni e gli Enti locali, come
centrale di committenza per l'affidamento di
appalti di lavori, forniture e servizi.
L'ente interessato ad avvalersi della SUA
dovrà stipulare una convenzione per
disciplinare la collaborazione.
Per quanto concerne le finalità generali,
appare chiaro che il decreto è diretto a
promuovere l'istituzione, in ambito
regionale, di una o più stazioni uniche
appaltanti, con l'obiettivo di rendere più
penetrante l'attività di prevenzione e
contrasto ai tentativi di condizionamento
della criminalità mafiosa, favorendo la
celerità delle procedure, l'ottimizzazione
delle risorse ed il rispetto della normativa
in materia di sicurezza sul lavoro.
Le Pubbliche amministrazioni interessate
sono numerose:
a) Amministrazioni dello Stato;
b) Regioni;
c) Enti pubblici territoriali;
d) Enti pubblici non economici;
e) Organismi di diritto pubblico;
f) Associazioni, Unioni e Consorzi, comunque
denominati, costituiti dai soggetti
precedenti;
g) altri soggetti pubblici, previsti
dall'art. 32 del Codice dei contratti
pubblici;
h) Imprese pubbliche e soggetti operanti in
virtù di diritti speciali o esclusivi.
Tutti questi soggetti pubblici potranno
agire nel rispetto delle prescrizioni, di
cui al comma 3, dell'art. 33, del Codice e,
precisamente:
- divieto di affidare a soggetti pubblici o
privati l'espletamento delle funzioni e
delle attività di stazione appaltante di
lavori pubblici:
- possibilità, per le amministrazioni
aggiudicatrici, di affidare le funzioni di
stazione appaltante di lavori pubblici ai
servizi integrati infrastrutture e trasporti
(SIIT) o alle amministrazioni provinciali,
sulla base di apposito disciplinare che
prevede altresì il rimborso dei costi
sostenuti dagli stessi per le attività
espletate, nonché a centrali di committenza.
Occorre, invero, tener ben presente che il
ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una
o più, su base regionale) non rappresenterà
un obbligo per le Pubbliche amministrazioni,
ma una facoltà.
Nello svolgimento della funzione di centrale
di committenza, che, in base al Codice dei
contratti pubblici,si esplica
nell'acquisizione di forniture, lavori e
servizi destinati ad altre amministrazioni e
nell'aggiudicazione di appalti o nella
conclusione di accordi quadro, la SUA ha il
compito primario di "gestire la procedura
di gara".
In tal senso, i poteri della SUA sono
alquanto penetranti e comprendono:
- la collaborazione, con l'ente pubblico
aderente, per l'individuazione del contenuto
dello schema del contratto, cioè l'oggetto
dell'appalto;
- l'individuazione concordata della precisa
procedura di scelta del contraente, compreso
il criterio di aggiudicazione;
- la redazione di tutti gli atti di gara;
- la nomina della commissione di gara.
La SUA dovrà, inoltre, prendersi carico
dello svolgimento della procedura di gara,
curando anche la fase di pubblicità e le
comunicazioni agli interessati, oltre a
effettuare anche le verifiche in ordine al
possesso dei requisiti di partecipazione.
Sempre alla SUA spetta il compito di curare
gli eventuali contenziosi ed, infine,
collaborare con l'ente aderente per la
stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali
della convenzione, facendo particolare
riferimento all'ambito di applicazione della
medesima (cioè la o le procedure
interessate), ai profili attinenti il
rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla
suddivisione degli oneri relativi ai
contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da
parte dell'ente aderente alla SUA ed alla
Prefettura, dei contratti stipulati e delle
varianti intervenute nel corso
dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di
monitoraggio e di controllo sugli appalti,
il DPCM prevede uno stretto collegamento fra
le Prefetture, soggetto cui dovranno
affluire tutte le informazioni ed i dati
utili alla prevenzione delle infiltrazioni
della criminalità organizzata, e la SUA,
alla quale le Prefetture medesime metteranno
a disposizione le informazioni sulle imprese
partecipanti alla gara.
La Pubblica amministrazione aderente alla
SUA potrà, ancora, delegare la verifica dei
progetti e l'esame delle varianti al
provveditorato interregionale per le opere
pubbliche.
Come è ben facile arguire, si è in presenza
di un provvedimento corposo ed articolato,
che costituisce, senza dubbio, un ulteriore
tentativo di rivitalizzare le centrali di
committenza.
Tuttavia, occorre prendere atto che la
facoltatività dell'adesione alle SUA,
elemento non contrastato in ragione delle
delicate questioni istituzionali e
costituzionali connesse, può dar luogo ad un
rilevante disincentivo, in presenza dei ben
noti fenomeni di "campanilismo gestionale"
delle stazioni appaltanti (01.08.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA -
LAVORI PUBBLICI: G.U.
01.08.2011 n. 177 "Attuazione della
direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale
dell’ambiente, nonché della direttiva
2009/123/CE che modifica la direttiva
2005/35/CE relativa all’inquinamento
provocato dalle navi e all’introduzione di
sanzioni per violazioni" (D.Lgs.
07.07.2011 n. 121).
---------------
Registro di carico e
scarico rifiuti - Esclusione dall'obbligo di
tenuta.
Col D.Lgs. 121/2011 è stata ripristinata
l'esclusione dall'obbligo di tenuta del
registro di carico e scarico per le Imprese
che raccolgono e trasportano i propri
rifiuti speciali non pericolosi derivanti
dalle attività di demolizione, costruzione,
nonché i rifiuti che derivano dalle attività
di scavo.
Le imprese di costruzione che trasportano i
propri rifiuti non pericolosi dovranno
pertanto compilare soltanto il formulario di
identificazione dei rifiuti (FIR) non
essendo obbligate né all'iscrizione a
Sistri, né alla tenuta del registro di
carico e scarico degli stessi.
L'esclusione dall'obbligo di tenuta del
registro dovrà essere riportata
nell'apposito spazio del FIR riservato alle
annotazioni indicando: "Esclusione
dall'obbligo di tenuta del registro di
carico e scarico - artt. 190 e 188, del
DLgs. n. 152/2006". |
APPALTI: G.U.
01.08.2011 n. 177 "Pubblicazione nei siti
informatici di atti e provvedimenti
concernenti procedure ad evidenza pubblica o
di bilanci, adottato ai sensi dell’articolo
32 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.P.C.M.
26.04.2011).
---------------
Bandi di gara e bilanci
della PA: tutto online, tutto in chiaro.
Il decreto stabilisce le modalità di
pubblicazione nei siti informatici delle
amministrazioni e degli enti pubblici,
ovvero di loro associazioni, degli atti e
dei provvedimenti concernenti procedure ad
evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i
quali è prevista la pubblicazione sulla
stampa quotidiana.
Pubblicazione gare.
Il decreto stabilisce, nel rispetto della
normativa in materia di protezione dei dati
personali di cui al decreto legislativo
30.06.2003, n. 196 e successive
modificazioni, le modalità di pubblicazione
nei siti informatici delle amministrazioni e
degli enti pubblici, ovvero di loro
associazioni, degli atti e dei provvedimenti
concernenti procedure ad evidenza pubblica,
nonché dei bilanci per i quali è prevista la
pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Per le procedure ad evidenza pubblica, il
sito informatico è rappresentato dal profilo
di committente e le amministrazioni e gli
enti pubblici, ovvero le loro associazioni,
sono rappresentate dalle amministrazioni
aggiudicatrici.
Le amministrazioni aggiudicatrici pubblicano
i bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sul
profilo di committente in una apposita
sezione dedicata, denominata «Bandi di
gara», direttamente raggiungibile dalla
home-page, dotata di caratteristiche
di indirizzabilità e di ergonomicità tali da
consentire un'immediata e agevole
consultazione.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sono
pubblicati in base alla tipologia degli
stessi, distinta per bandi di lavori, per
bandi di servizi e per bandi di forniture,
cui sono collegati i relativi avvisi di
aggiudicazione.
I bandi e gli avvisi di gara sono pubblicati
nei termini previsti dal Codice dei
contratti per ciascuna tipologia di
procedura di affidamento e restano
consultabili, con le modalità previste
dall'art. 3, fino alla data di scadenza del
bando o dell'avviso. Gli esiti di gara sono
pubblicati nei termini previsti dal Codice
dei contratti e restano consultabili fino a
tutto il centottantesimo giorno successivo
alla data di pubblicazione dell'esito.
I bandi ed avvisi di gara scaduti
confluiscono automaticamente in un'apposita
sezione dedicata, denominata «Bandi di
gara scaduti», e restano consultabili
fino a tutto il centottantesimo giorno
successivo alla data di pubblicazione del
relativo esito di gara.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara,
successivamente alla scadenza del termine
sono consultabili secondo le modalità
stabilite da ciascuna amministrazione
aggiudicatrice e rese note sul profilo del
committente.
Ogni bando, avviso ed esito di gara contiene
gli elementi e le informazioni indicati dal
Codice dei contratti, secondo il formato dei
modelli di formulari adottati dalla
Commissione europea, ed è indicizzato con i
campi informativi delle Tabelle di cui
all'Allegato 2.
Bilanci.
Gli Enti pubblicano i propri bilanci in
un'apposita sezione del proprio sito
informatico denominata «Bilanci»,
direttamente raggiungibile dalla
home-page e dotata di caratteristiche di
indirizzabilità e di ergonomicità tali da
consentire un'immediata e agevole
consultazione.
I soggetti pubblicano i propri bilanci
utilizzando i modelli stabiliti dal decreto
del Presidente della Repubblica 15.02.1989,
n. 90, di attuazione dell'art. 6 della legge
25.02.1987, n. 67.
I bilanci sono consultabili in ordine
cronologico, senza alcuna limitazione
temporale.
I soggetti tenuti all'applicazione del
presente decreto registrano l'indirizzo web
del sito informatico nell'Indice degli
indirizzi delle pubbliche amministrazioni di
cui all'art. 57-bis del CAD e ne
garantiscono i relativi aggiornamenti (02.08.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
luglio 2011 |
|
APPALTI: Appalti
«semplificati» sempre da motivare.
LA CHIAMATA - Necessario coinvolgere almeno
cinque concorrenti per gare fino a 500mila
euro e dieci per soggetti nella soglia
superiore.
Gli appalti di lavori
pubblici sino a un milione di euro possono
essere aggiudicati con procedura negoziata,
a seguito di una gara informale.
Il decreto Sviluppo (Dl 70/2011, convertito
dalla legge 106/2011) ha completamente
ridefinito la disciplina contenuta
nell'articolo 122 del Codice dei contratti
pubblici, aumentando il valore massimo
(nella normativa previgente attestato a
500mila euro) ed eliminando la precedente
distinzione tra il percorso semplificato
(legato al semplice dato di valore) entro i
100mila euro e quello fondato su un minimo
confronto di mercato per la fascia di valore
superiore.
Le motivazioni.
Le stazioni appaltanti devono motivare il
ricorso alla particolare procedura, che
costituisce comunque deroga rispetto alle
procedure ordinarie (aperte e ristrette),
evidenziando le ragioni nella determinazione
a contrarre, come evidenziato dalla
giurisprudenza e dall'Avcp (Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici) nella
determinazione 2/2011.
Queste motivazioni dovranno essere
riconducibili a situazioni specifiche e
determinanti l'urgenza della realizzazione,
comunque diverse da quelle che possono
consentire l'utilizzo delle più limitate
fattispecie comprese nei commi 2 e 5
dell'articolo 57 del Codice.
La selezione.
La nuova disposizione assume come
riferimento per la selezione il format
della gara informale preceduta da una
verifica di mercato per l'individuazione
degli operatori economici, con esplicito
rinvio all'articolo 57, comma 6, dello
stesso Dlgs 163/2006, stabilendo
contestualmente il necessario rispetto dei
principi dell'ordinamento comunitario.
Le amministrazioni devono coinvolgere nel
particolare confronto concorrenziale almeno
cinque soggetti qualificati per
l'affidamento di appalti di valore sino a
500mila euro e almeno dieci per
l'aggiudicazione di quelli con valore
compreso tra 500mila e 1 milione di euro.
Le amministrazioni possono scegliere le
modalità della prequalificazione, ricorrendo
all'indagine di mercato (da pubblicizzare
adeguatamente quando l'importo dell'appalto
sia molto significativo) oppure avvalendosi
di elenchi aperti, da costituire e gestire
nel rispetto delle indicazioni dell'Avcp
prodotte nella determinazione 2/2011 (che
permettono il superamento dei limiti posti
dall'articolo 40, comma 5 del Codice).
L'indagine di mercato.
La selezione del numero minimo di operatori
qualificati da ricondurre alla gara tra
tutti quelli in possesso dei requisiti potrà
avvenire mediante sorteggio o mediante
l'applicazione di criteri reputazionali, che
dovranno in ogni caso essere resi noti
dall'amministrazione.
La gara informale permette alle stazioni
appaltanti di ottimizzare alcuni passaggi
(tempistica ridotta per le offerte, fase
della verifica delle offerte incongrue,
eccetera) che ne riducono i tempi di
svolgimento, ma il suo svolgimento deve
tener conto delle previsioni contenute nel
codice per le procedure negoziate senza
bando, come il termine minimo di dieci
giorni per la presentazione delle offerte
(articolo 122, comma 6, lettera d) e i
contenuti essenziali della lettera di invito
(articolo 64 e allegato IXA).
La gara informale è comunque una procedura
derogatoria rispetto ai percorsi selettivi
di massima evidenza pubblica. Quindi la
stazione appaltante deve applicare il
principio di rotazione, che vieta per un
certo periodo di tempo il coinvolgimento in
successive procedure simili o in economia
dell'operatore economico aggiudicatario.
La pubblicità.
La nuova formulazione del comma 7
dell'articolo 122 del Codice comporta anche
l'effettuazione di adeguata pubblicizzazione
dell'avvenuto affidamento.
Questa si concretizza, per gli appalti sino
a 500mila euro, mediante la pubblicazione di
avviso sull'albo pretorio, sul sito internet
dell'amministrazione, su quello
dell'osservatorio e su quello del ministero
delle Infrastrutture, mentre per gli appalti
sino a 1 milione di euro è prevista la
pubblicazione (oltre che sui tre siti
internet) anche sulla «Gazzetta Ufficiale»
e, per estratto, su un quotidiano nazionale
e su uno locale.
L'esecuzione dell'appalto.
Sul piano dell'esecuzione dell'appalto la
norma prevede una regola che ne impedisce la
frammentazione, stabilendo che per i lavori
appartenenti alla categoria prevalente
l'appaltatore non possa affidarne la
realizzazione in subappalto o con
subcontratti per una quota superiore al 20%
del valore della stessa (mentre per le opere
specialistiche vale la norma particolare
contenuta nell'articolo 37, comma 11 del
Codice).
Questo limite deve essere evidenziato
chiaramente nella lettere di invito,
affinché gli operatori economici non
producano offerte con indicazione di
subappalti quantitativamente superiori, che
determinerebbero l'esclusione dalla gara
delle stesse.
-------------------------
CODICE APPALTI
Le nuove regole per la procedura negoziata
per gli appalti di lavori pubblici
permettono alle amministrazioni pubbliche
(enti locali in particolare) di semplificare
i percorsi di affidamento per un'ampia serie
di opere pubbliche. La norma offre nuove
opportunità agli operatori economici con
qualificazioni più basse.
I nuovi riferimenti di valore per la
procedura negoziata sino a un milione di
euro erano già utilizzabili dal 14.05.2011
(data di entrata in vigore del Dl Sviluppo).
I limiti al subappalto e ai subcontratti per
la categoria prevalente si applicano alle
procedure indette dopo il 13.07.2011 (data
di entrata in vigore della legge di
conversione)
La procedura negoziata con gara informale
può essere utilizzata per gli appalti di
lavori pubblici (di qualsiasi tipo) con
valore sino a un milione di euro. Per
l'affidamento di appalti sino a 500mila euro
è possibile coinvolgere nella selezione solo
cinque operatori economici, mentre nella
fascia superiore devono esserne coinvolti
almeno dieci
La norma non prevede disposizioni attuative
La gara informale per l'affidamento
dell'appalto di lavori sino a un milione di
euro deve essere svolta nel rispetto del
modulo definito dall'articolo 57, comma 6
del Codice e delle disposizioni (tempistica
minima offerte, contenuti essenziali lettera
d'invito) correlate. La disposizione
comporta l'applicazione all'aggiudicatario
del principio di rotazione (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.07.2011). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: La
correzione dei regolamenti amplia
l'affidamento diretto.
Le stazioni appaltanti possono affidare
direttamente servizi e forniture di beni
sino al limite di 40mila euro.
L'articolo
4 del decreto Sviluppo ha infatti modificato
i limiti di valore per le acquisizioni in
economia mediante aggiudicazione diretta a
un operatore economico, previsti dal comma
11 dell'articolo 125 del Codice dei
contratti pubblici e precedentemente
attestati a 20mila euro.
L'innovazione normativa determina
l'omogeneizzazione della soglia di
riferimento per beni e servizi con quella
per i lavori, innestandosi nel quadro di
riferimento. Le amministrazioni che hanno
regolamenti per la disciplina dei contratti
o delle procedure in economia che prevedono
espressamente la vecchia soglia devono
modificarli, se intendono utilizzare il
nuovo limite dei 40mila euro, poiché più
volte la giurisprudenza ha affermato che un
valore inferiore stabilito dal regolamento
dell'ente rispetto a quello del riferimento
legislativo costituisce norma di
autolimitazione, che deve essere rispettata.
L'affidamento diretto di beni e servizi
entro i 40mila euro può comunque essere
utilizzato dalle stazioni appaltanti solo
quando queste abbiano determinato, mediante
norma regolamentare o atto amministrativo
generale, le tipologie di beni e servizi
acquisibili in economia (e i relativi valori
massimi di acquisto), come richiesto
dall'articolo 125 del Codice (comma 10) e
come evidenziato in termini di rafforzamento
dall'articolo 330 del Dpr 207/2010.
Per rendere più agevole per le
amministrazioni la gestione degli
affidamenti per acquisti di valore limitato,
lo stesso decreto Sviluppo, al comma 14-bis
dell'articolo 4, prevede che per i contratti
di valore inferiore ai 20mila euro la
regolarità contributiva sia accertata
mediante autocertificazione presentata
dall'affidatario.
La nuova soglia per gli affidamenti diretti
non vale tuttavia per i servizi di
ingegneria e architettura, poiché il comma
10 dell'articolo 267 del Dpr 207/2010, che
regola l'applicazione delle procedure in
economia a queste particolari attività, ha
mantenuto il limite dei 20mila euro. A
togliere ogni dubbio residuo su questa
scelta è intervenuta, proprio con la legge
106/2011, una modifica alla norma che ha
soppresso nella stessa disposizione del
regolamento, nel riferimento al comma 11
dell'articolo 125 del Codice, il rinvio al
secondo periodo (che è proprio quello
dell'affidamento diretto), non lasciando
alcun margine interpretativo contrario.
Ha il valore di norma di integrazione e di
specificazione anche quella introdotta nel
comma 2 dell'articolo 92 del regolamento
attuativo del Codice, inerente la
distribuzione dei requisiti nell'ambito di
un raggruppamento temporaneo di imprese. La
nuova disposizione evidenzia come,
nell'ambito dei propri requisiti posseduti,
la mandataria debba in ogni caso assumere,
in sede di offerta, i requisiti in misura
percentuale superiore rispetto a ciascuna
delle mandanti con riferimento alla
specifica gara (comportando correlativamente
la realizzazione dei lavori nella
percentuale corrispondente alle quote di
partecipazione).
Tra gli altri interventi correttivi e
integrativi al Dpr 207/2010 assumono rilievo
le modifiche ad alcuni commi dell'articolo
357, che determinano l'allungamento a un
anno dall'entrata in vigore del regolamento
attuativo del periodo transitorio sia per la
sostituzione dei valori delle attestazioni
Soa rilasciate in base alla precedente
normativa (comma 12), sia per l'adeguamento
dei certificati di esecuzione lavori emessi
in questa fase (commi 14 e 15), sia ancora
per l'utilizzo dei riferimenti delle vecchie
attestazioni e per la gestione delle nuove
in relazione alla predisposizione degli atti
di gara da parte delle stazioni appaltanti
(commi 16 e 17) (articolo Il Sole 24 Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI: Un
freno alle modifiche contrattuali.
IL TETTO - Il limite del 20 per cento per le
contestazioni dell'appaltatore si applica
alle gare indette dopo il 14.07.2011 - IL
SUBENTRO - In caso di fallimento o di
risoluzione causata da gravi inadempienze
l'appaltante può scegliere il secondo in
classifica.
I profili critici
relativi all'esecuzione del contratto di
appalto sono sottoposti a limiti più
rigorosi, dei quali devono tener conto sia
la stazione appaltante sia gli operatori
economici appaltatori.
L'articolo 4 della legge 106/2011 ha
introdotto nel Codice dei contratti pubblici
una serie di norme che contengono il
dimensionamento di alcuni tipi di varianti
in corso di esecuzione, specificano
ulteriormente il meccanismo della
compensazione nei prezzi, e pongono uno
sbarramento netto all'apposizione di
riserve.
La prima modifica significativa è nella
previsione inserita all'articolo 132, comma
3 del Codice, dove si stabilisce che
l'importo in aumento delle varianti
migliorative non possa superare il 5 per
cento del valore originario del contratto, e
debba trovare copertura nella somma
stanziata per l'esecuzione dell'opera al
netto del 50 per cento dei ribassi d'asta
conseguiti.
La novità è operativa dall'entrata in
vigore, il 13.07.2011, della legge 106/2011.
La riduzione dei parametri quantitativi di
riferimento per le situazioni eccezionali
relative al contratto torna anche le
modifiche introdotte all'articolo 133 del
Codice, con la revisione della disciplina
della compensazione (commi 4 e 5).
Il meccanismo può essere attivato quando il
prezzo di singoli materiali da costruzione,
per effetto di circostanze eccezionali,
subisca variazioni in aumento o in
diminuzione, superiori al 10 per cento
rispetto al prezzo rilevato con decreto del
ministero delle Infrastrutture e dei
trasporti nell'anno di presentazione
dell'offerta.
In tal caso la compensazione può aver luogo,
in aumento o in diminuzione, ma solo per la
metà della percentuale eccedente il 10 per
cento (con dimezzamento rispetto alla
quantificazione indicata originariamente
dalla norma) e nel limite delle risorse
accantonate per imprevisti. La compensazione
è determinata applicando la metà della
percentuale di variazione che eccede il 10
per cento al prezzo dei singoli materiali da
costruzione impiegati nelle lavorazioni
contabilizzate nell'anno solare precedente
al decreto.
Questa norma risulterà tuttavia applicabile
solo dopo l'entrata in vigore del Dm di
rilevazione delle percentuali di scostamento
per il 2011 (che dovrà essere adottato entro
il 31.03.2012) e ai lavori eseguiti e
contabilizzati a decorrere dall'01.01.2011.
I limiti di maggiore impatto in relazione
agli sviluppi operativi dell'appalto sono
tuttavia rinvenibili nella complessiva
rimodulazione dell'articolo 240-bis del
Codice dei contratti, che prevede la
disciplina delle riserve.
L'innovazione stabilisce che l'importo
complessivo delle riserve (iscrivibili
dall'appaltatore in caso di problematiche
imputabili alla stazione appaltante) non può
in ogni caso essere superiore al 20 per
cento dell'importo contrattuale.
Questo limite è inderogabile, e
responsabilizza sia gli operatori economici
sia le stazioni appaltanti, analogamente a
quanto previsto dal nuovo comma 1-bis dello
stesso articolo 240-bis, per il quale non
possono essere oggetto di riserva gli
aspetti progettuali che, ai sensi
dell'articolo 112 del regolamento, sono
stati oggetto di verifica.
Da questo quadro consegue che l'esecuzione
dell'appalto non ha più margini di
incertezza, e non lascia più appigli per la
regolazione impropria di aspetti
problematici mediante le riserve. Il nuovo
meccanismo responsabilizza i progettisti, i
verificatori e il responsabile del
procedimento, chiamato a validare (articolo
55 del Dpr 207/2010) la verifica degli
elaborati progettuali.
Queste disposizioni si applicano peraltro ai
contratti le cui gare siano state indette
(con bando o con lettera di invito)
successivamente alla data di entrata in
vigore (14.05.2011) del Dl 70/2011.
Il maggior rigore prefigurato per
l'esecuzione degli appalti e la sussistenza
di un ampio quadro di norme di legge che
prevedono cause determinanti la risoluzione
del contratto rendono molto più probabili
situazioni nelle quali le stazioni
appaltanti saranno chiamate a risolvere il
rapporto con l'operatore economico esecutore
sulla base del percorso delineato
dall'articolo 136 del codice («risoluzione
per grave inadempimento»).
In tali casi, o quando l'appaltatore
fallisce, le amministrazioni hanno tuttavia
ora la possibilità di ricorrere al soggetto
classificato come secondo nella graduatoria
della gara, poiché l'articolo 140 del Dlgs
163/2006 è stato modificato, eliminando la
regola che in precedenza imponeva la
previsione di questa facoltà nel bando.
-------------------------
I limiti e i vincoli
01|LIMITI PER
VARIANTI
Le varianti in corso di esecuzione,
migliorative rispetto all'appalto, sono
possibili nel limite del 5% dell'importo del
contratto, e possono essere finanziare solo
con il 50% del ribasso d'asta.
02|LIMITI PER COMPENSAZIONI
Le compensazioni per le variazioni dei
prezzi dei materiali sono possibili solo per
la metà della percentuale eccedente il
valore di scostamento che sarà rilevato con
decreto ministeriale il cui termine di
adozione è fissato per il 31.03.2012.
03|LIMITI PER RISERVE
Le riserve (cioè le osservazioni che
l'appaltatore fa alla stazione appaltante
rispetto a problemi rilevati nella gestione
dell'appalto) possono essere apposte solo
entro il limite del 20% del valore del
contratto.
Non possono essere oggetto di riserva gli
aspetti progettuali sottoposti alla verifica
ai fini della validazione del progetto,
effettuata dai verificatori nominati dalla
stazione appaltante.
04|SCORRIMENTO DELLA
GRADUATORIA DELLA GARA
Quando l'appalto si è risolto per fallimento
dell'appaltatore o per altre cause di
risoluzione, la stazione appaltante può
ricorrere al secondo classificato nella
graduatoria della gara per affidargli la
prosecuzione dell'opera, senza necessità di
doverlo prevedere nel bando.
05|IL COSTO DEL PERSONALE
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con
valori non inferiori alla spesa sostenuta
dalle imprese concorrenti per il personale e
per la sicurezza sul lavoro. Il decreto
legge Sviluppo stabilisce che l'offerta
migliore è determinata al netto delle spese
relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva e delle
misure imposte dalle norme sulla sicurezza
del lavoro.
-------------------------
CODICE APPALTI
Le novità in materia di varianti, prezzi e
riserve riguardano la regolazione dei
rapporti tra stazioni appaltanti e
appaltatori.
Le innovazioni sulle varianti sono
operative, come quelle sulle riserve, che si
applicano però agli appalti indetti dopo il
14.05.2011. Quelle sulla compensazione dei
prezzi dei materiali si applicheranno dopo
il Dm di rilevazione degli scostamenti.
I limiti per le varianti migliorative e per
la compensazione delle variazioni di prezzo
sono ridotti del 50%. Per le riserve è
stabilito un limite complessivo del 20% del
valore del contratto.
Per poter essere applicate, le novità in
materia di compensazione dei prezzi dei
materiali richiedono un decreto ministeriale
di rilevazione.
I profili operativi su varianti,
compensazione e riserve sono contenute nel
Dpr 207/2010
(articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011). |
APPALTI: Sicurezza
e personale senza chance di ribassi.
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con
valori non inferiori alla spesa sostenuta
dalle imprese concorrenti per il personale e
per la sicurezza sul lavoro.
La legge 106/2011 ha introdotto
nell'articolo 81 del Codice una nuova
disposizione che sottrae questi costi al
ribasso rispetto alla base d'asta.
Il comma 3-bis stabilisce che l'offerta
migliore è determinata al netto delle spese
relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva. e delle
misure imposte dalle norme sulla sicurezza
del lavoro. Per applicare la regola, ogni
stazione appaltante deve far emergere nella
progettazione dell'appalto il modello
organizzativo di riferimento per la base
d'asta.
Negli appalti di lavori, l'operazione è
sintetizzabile con l'indicazione del numero
degli operatori impiegato per ogni giornata,
basandosi sui dati di capitolato speciale e
Psc. Nei servizi e forniture l'assetto
operativo è desumibile dalla descrizione dei
processi nel capitolato speciale e dalla
loro quantificazione in termini di monte ore
e risorse umane qualificate. Si arriva così
alla spesa di personale, basata sui minimi
salariali stabiliti dal Ccnl.
Sui costi per la sicurezza, bisogna detrarre
gli oneri per tutti gli obblighi in materia,
organizzativi (medico competente, eccetera),
formativi (decreto legislativo 81/2008) e
funzionali (dispositivi di protezione
individuale, eccetera).
In pratica, occorre individuare un valore
che costituisce la proiezione dei costi
sostenuti per gli adempimenti in materia di
sicurezza sul lavoro dall'impresa
concorrente, con determinazione di una quota
standard.
Negli appalti di lavori pubblici ci si
riferisce al calcolo dei costi della
sicurezza "interni".
Negli appalti di servizi e beni bisogna fare
riferimento a prezziari specifici e
sviluppando indagini di mercato, che
consentano l'elaborazione di valori
standard. Anche questi elementi vanno
evidenziati in rapporto alla base d'asta
come inderogabili (articolo Il Sole 24
Ore del 30.07.2011). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi pubblici locali -
Partecipazione alla gara in ATI -
Corrispondenza sostanziale tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione al
raggruppamento - Non è prevista dalla legge.
Il canone normativo di corrispondenza
sostanziale tra quote di qualificazione e
quote di partecipazione all'ATI e tra quote
di partecipazione e quote di esecuzione,
sancito nell'art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163
del 2006 in materia di lavori, non è
estendibile agli appalti di servizi (per i
quali il nostro ordinamento non contempla un
rigido sistema normativo di qualificazione
dei soggetti esecutori) in cui è
riconosciuta alle amministrazioni
aggiudicatrici una più ampia discrezionalità
nell'individuazione dei requisiti di
capacità tecnica e nella correlazione di
questi con l'istituto del raggruppamento
d'imprese.
Ed infatti, l'art. 37 comma 4, del d.lgs. n.
163 del 2006 si limita a stabilire che le
ATI devono specificare le parti del servizio
che saranno eseguite da ciascun singolo
operatore, mentre il successivo art. 42
nulla dispone in merito al rapporto tra
requisiti di capacità tecnica e quota di
partecipazione all'associazione temporanea
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
29.07.2011 n.
2037 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Correttezza
contributiva e fiscale: irrilevante
l'adempimento tardivo dell'obbligazione
tributaria.
La correttezza contributiva e fiscale è
richiesta all’impresa partecipante alla
selezione per l’aggiudicazione dell’appalto
come requisito indispensabile per la
partecipazione alla gara, con la conseguenza
che, ai fini della valida partecipazione
alla selezione, l’impresa deve essere in
regola con tali obblighi fin dalla
presentazione della domanda, restando
irrilevante un eventuale adempimento tardivo
dell’obbligazione tributaria.
Quanto alla questione relativa all’esiguità
della pretesa fiscale, osserva il CGA,
l’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nella
versione predecente alle modifiche
introdotte dal Decreto Sviluppo- non
richiedeva il requisito della gravità in
relazione alla irregolarità di cui alla
lettera g) in materia di pagamento di
imposte e tasse. Sotto la vigenza di quella
norma era, quindi, da ritenere rilevante
ogni violazione, anche di importo
esiguo (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
C.G.A.R.S.,
sentenza 28.07.2011 n. 530 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Al momento del riconoscimento di un
debito fuori bilancio, il Consiglio
deve prendere atto, anzitutto, che l'obbligazione si
riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per
poi dichiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla
prestazione in termini di arricchimento per l'ente.
L’accertamento della sussistenza dei predetti elementi
attiene alla dimostrazione dell'effettiva utilità che l'ente
ha tratto dalla prestazione altrui, in termini di
misurazione dell'utilità ricavata dalla prestazione di beni
o servizi eseguita dal terzo creditore.
Il
legislatore ha correttamente indicato il requisito dell’“utilità”
della prestazione, che deve essere accertata e dimostrata, “senza
che si possa rinvenire nella legislazione una precisa
nozione della fattispecie”, demandando alla delibera
consiliare di riconoscimento l’individuazione delle singole
fattispecie e dei requisiti delle spese in questione, in un
ottica di efficienza, efficacia e buona amministrazione.
---------------
Con riferimento, poi, alla possibilità che il riconoscimento
di debito possa comprendere anche ulteriori elementi come
l’“utile d’impresa” deve richiamarsi l’orientamento
secondo cui
l’utile d’impresa, in quanto rappresentativo della
componente economica della controprestazione integrante il
guadagno del privato, non può in alcun modo costituire, come
tale, un arricchimento per l’Ente.
---------------
Il Sindaco del comune di Bellaria Igea-Marina (RN), per il
tramite del Consiglio delle Autonomie Locali, ha inoltrato a
questa Sezione, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della
legge 05.06.2003 n. 131, richiesta di parere riguardante
l’interpretazione dell’articolo 194, comma 1, lett. e), del
TUEL con riferimento ai requisiti dell’“utilità e
arricchimento dell’Ente”, che devono essere accertati e
dimostrati, con riferimento alla possibilità di attivare la
procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio per
passività pregresse, emerse nel corso dell’anno 2010, ma
riferibili ad annualità precedenti.
In particolare l’Ente chiede se il concetto di utilità
debba essere connotato dal carattere dell’indispensabilità,
necessità e urgenza e se nella determinazione del quantum
dell’arricchimento debba essere decurtato il 15% costituito
dall’utile d’impresa.
...
Nel merito, si osserva che l'art. 194 del T.U.E.L. (d.lgs.
167/2000) consente, infatti, la riconoscibilità della
legittimità di un debito fuori bilancio per acquisizione di
beni e servizi "nei limiti degli accertati e dimostrati
utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito
dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di
competenza".
Al momento del riconoscimento, il Consiglio
deve prendere atto, anzitutto, che l'obbligazione si
riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per
poi dichiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla
prestazione in termini di arricchimento per l'ente.
L’accertamento della sussistenza dei predetti elementi
attiene alla dimostrazione dell'effettiva utilità che l'ente
ha tratto dalla prestazione altrui, in termini di
misurazione dell'utilità ricavata dalla prestazione di beni
o servizi eseguita dal terzo creditore.
Sull’argomento deve, altresì, richiamarsi il principio
contabile n. 2, punto 98, Ministero dell’Interno -
Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti
locali .
Tanto premesso, occorre precisare che il
legislatore ha correttamente indicato il requisito dell’“utilità”
della prestazione, che deve essere accertata e dimostrata, “senza
che si possa rinvenire nella legislazione una precisa
nozione della fattispecie”, demandando alla delibera
consiliare di riconoscimento l’individuazione delle singole
fattispecie e dei requisiti delle spese in questione, in un
ottica di efficienza, efficacia e buona amministrazione.
Da tale orientamento, condiviso anche da altre Sezioni
regionali di questa Corte (cfr. deliberazione 67/2007/Par. e
173/2009/Par. della Sezione di Controllo per la Calabria;
deliberazione 10/2008/Par. della Sezione di Controllo per la
Campania) il Collegio ritiene non sussistano sopravvenute
argomentazioni giuridiche per discostarsene.
Con riferimento, poi, alla possibilità che il riconoscimento
di debito possa comprendere anche ulteriori elementi come
l’“utile d’impresa” deve richiamarsi l’orientamento
di questa Corte (Corte dei conti, Trentino Alto Adige,
sezione giurisdizionale, 02.07.2008 n. 34) secondo cui
l’utile d’impresa, in quanto rappresentativo della
componente economica della controprestazione integrante il
guadagno del privato, non può in alcun modo costituire, come
tale, un arricchimento per l’Ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 28.07.2011 n. 32).
---------------
L'arricchimento
non deve essere inteso necessariamente come accrescimento
patrimoniale, potendo questo consistere anche in un
risparmio di spesa (Cassazione Civile, Sezione I,
12.07.1996, n. 6332). Esso va stabilito con riferimento a
criteri oggettivi (ad es. la congruità dei prezzi andrà
valutata sulla base delle indicazioni e delle rilevazioni
del mercato o dei prezzari e tariffe approvati da enti
pubblici a ciò deputati, o dagli ordini professionali).
Principio contabile n. 2, punto 98:
Il riconoscimento della legittimità dei debiti fuori
bilancio ascrivibili alla lettera (e) dell’art.
194 del TUEL comporta
l’accertamento della sussistenza non solo dell’elemento
dell’utilità
pubblica, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza, ma
anche quello dell’arricchimento senza giusta causa.
Ai fini del riconoscimento della legittimità
dei debiti fuori bilancio ascrivibili alla lettera e)
dell’art. 194 del TUEL la sussistenza
dell’utilità conseguita va valutata in relazione alla
realizzazione dei vantaggi economici
corrispondenti agli interessi istituzionali dell’ente. Sono,
comunque, da qualificarsi utili e vantaggiose
le spese specificatamente previste per legge.
L'arricchimento corrisponde alla diminuzione patrimoniale
sofferta senza giusta causa dal soggetto privato e terzo che
va indennizzato nei limiti dell'arricchimento ottenuto
dall'ente.
Principio contabile n. 2, punto 90:
L’elaborazione dottrinale e le pronunce giurisprudenziali
conducono a considerare il debito
fuori bilancio quale
obbligazione pecuniaria riferibile all’ente, assunta in
violazione delle
norme di contabilità
pubblica che riguardano la fase della spesa ed in
particolare di quelle che
disciplinano l’assunzione di impegni di spesa. |
APPALTI: Appalti
a trasparenza piena. Le buste delle offerte
vanno aperte in seduta pubblica.
LA MOTIVAZIONE - Se non è prevista la
pubblicità le parti non sono garantite da
eventuali manipolazioni dei documenti.
La commissione
giudicatrice deve aprire le buste delle
offerte tecniche in seduta pubblica, per
assicurare il rispetto del principio di
pubblicità anche in questa fase della gara
con l'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria
ha sancito con la
sentenza 28.07.2011 n. 13 la
pubblicizzazione dell'apertura dei plichi
contenenti i documenti illustrativi della
parte tecnico-qualitativa delle offerte,
ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali
sul tema e di fatto integrando le previsioni
del codice dei contratti e del Dpr 207/2010.
Gli orientamenti definiti nel tempo dalla
giurisprudenza amministrativa hanno da un
lato ritenuto l'obbligo di pubblicità delle
sedute delle commissioni di gara riferibile
solo alle fasi di apertura dei plichi dei
documenti amministrativi e delle offerte
economiche, mentre dall'altro hanno
precisato che nelle gare di appalto devono
svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità di
tutti i plichi contenenti l'offerta,
compresi quelli con la parte
tecnico-qualitativa.
La decisione n. 13/2011 evidenzia come la
mera constatazione dell'integrità delle
buste soddisfi solo parzialmente le esigenze
di trasparenza e pubblicità, in quanto non
consente ai concorrenti presenti di rendersi
conto della presenza nelle buste dei
documenti recanti le offerte tecniche, così
come avviene per i documenti amministrativi
e per le offerte economiche.
Il Consiglio di Stato rileva che in tal modo
i concorrenti non sono garantiti dal
pericolo di manipolazioni successive delle
offerte, con inserimenti, sottrazioni o
alterazioni di documenti.
La garanzia di pubblicità per tutte le
operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell'eventuale anomalia
dell'offerta, è rafforzata dalle previsioni
del regolamento di attuazione del codice
degli appalti, nel quale viene prevista
invece la seduta riservata per le
valutazioni di natura tecnico-discrezionale.
Tuttavia il Dpr 207/2010 non disciplina
espressamente il passaggio dell'apertura
delle buste delle offerte tecniche.
La decisione dell'adunanza plenaria colma
questa lacuna, sancendo che la verifica
dell'integrità di questi plichi è destinata
a garantire che il materiale documentale da
gestire nella procedura di gara sia
completo. La pubblicità di questo passaggio
tutela sia la parità di trattamento dei
concorrenti, che possono effettuare
riscontri sulla regolarità formale degli
atti prodotti avendo così la garanzia che
non siano successivamente intervenute
indebite alterazioni, sia l'interesse
pubblico alla trasparenza e all'imparzialità
dell'azione amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa inoltre che la
verifica dei documenti contenuti nella busta
dell'offerta tecnica consiste in un semplice
controllo preliminare degli atti inviati,
che non può eccedere la funzione di
ufficializzare l'acquisizione della
documentazione di cui si compone l'offerta
tecnica.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, proceda ad un esame della
documentazione leggendo il solo titolo degli
atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale
della seduta (articolo
Il Sole 24 Ore del 02.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità del
principio della pubblicità delle operazioni
di gara alle operazioni di apertura delle
offerte tecniche nelle gare con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
La "verifica della integrità dei plichi"
non esaurisce la sua funzione nella
constatazione che gli stessi non hanno
subito manomissioni o alterazioni, ma è
destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato.
La suddetta regola costituisce corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno in materia di trasparenza e
di pubblicità nelle gare per i pubblici
appalti e, come tale, merita di essere
confermata e ribadita con specifico
riferimento all'apertura della busta
dell'offerta tecnica. Tale operazione,
infatti, come per la documentazione
amministrativa e per l'offerta economica,
costituisce passaggio essenziale e
determinante dell'esito della procedura
concorsuale, e quindi richiede di essere
presidiata dalle medesime garanzie, a tutela
degli interessi privati e pubblici coinvolti
dal procedimento.
La verifica dei documenti contenuti nella
busta dell'offerta tecnica deve consistere
in un semplice controllo preliminare degli
atti inviati, che non può eccedere la
funzione, che ad essa riconosce la
giurisprudenza, di ufficializzare la
acquisizione della documentazione di cui si
compone l'offerta tecnica. L'operazione non
deve andare al di là del mero riscontro
degli atti prodotti dall'impresa
concorrente, restando esclusa ogni facoltà
degli interessati presenti di prenderne
visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, abbia proceduto ad un esame
della documentazione leggendo il solo titolo
degli atti rinvenuti, e dandone atto nel
verbale della seduta (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria,
sentenza 28.07.2011 n. 13 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Onde
stabilire la necessità o meno di rendere
pubbliche le operazioni compiute in
determinate fasi di un procedimento
amministrativo finalizzato alla scelta di un
contraente, occorre distinguere il momento
inderogabile, costituito dall'apertura dei
plichi contenenti le offerte, che è
operazione preliminare, rispetto alla
diversa operazione costituita dalla
valutazione delle offerte stesse che,
invece, a certe condizioni, può svolgersi
senza la presenza delle parti.
- Il regolamento di attuazione del codice
degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207),
confermando nella sostanza la disciplina già
dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta
orientato a garantire la pubblicità per
tutte le operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell’eventuale anomalia
dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta
riservata per le valutazioni di natura
tecnico-discrezionale. Nel senso che si
debba comunque svolgere in pubblico la
verifica della integrità di tutti i plichi
contenenti l’offerta presentata, con
esplicita menzione anche di quello
riguardante l’offerta tecnica, si è
pronunciata anche la giurisprudenza
successiva.
- La giurisprudenza amministrativa ha avuto
modo di approfondire la tematica delle
operazioni preliminari da svolgere in seduta
pubblica, affermando che la “verifica della
integrità dei plichi” non esaurisce la sua
funzione nella constatazione che gli stessi
non hanno subito manomissioni o alterazioni,
ma è destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post una volta
rotti i sigilli ed aperti i plichi, in
mancanza di un riscontro immediato.
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola
affermata dalla giurisprudenza appena
richiamata costituisca corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno sopra ricordati in materia
di trasparenza e di pubblicità nelle gare
per i pubblici appalti e, come tale, meriti
di essere confermata e ribadita con
specifico riferimento all’apertura della
busta dell’offerta tecnica. Tale operazione,
infatti, come per la documentazione
amministrativa e per l’offerta economica,
costituisce passaggio essenziale e
determinante dell’esito della procedura
concorsuale, e quindi richiede di essere
presidiata dalle medesime garanzie, a tutela
degli interessi privati e pubblici coinvolti
dal procedimento.
- La verifica dei documenti contenuti nella
busta consiste in un semplice controllo
preliminare degli atti inviati, che non può
eccedere la funzione, che ad essa riconosce
la giurisprudenza, di ufficializzare la
acquisizione della documentazione di cui si
compone l’offerta tecnica. L’operazione non
deve andare al di là del mero riscontro
degli atti prodotti dall’impresa
concorrente, restando esclusa ogni facoltà
degli interessati presenti di prenderne
visione del contenuto. La garanzia di
trasparenza richiesta in questa fase si
considera assicurata quando la commissione,
aperta la busta del singolo concorrente,
abbia proceduto ad un esame della
documentazione leggendo il solo titolo degli
atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale
della seduta. Così circoscritte le formalità
da compiere, la verifica della
documentazione non incorre nella denunciata
violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163
del 2006
Il quesito non concerne la fase di
valutazione del pregio tecnico dell’offerta,
essendo pacifico che tale operazione debba
svolgersi in seduta riservata.
L’indirizzo frequentemente seguito dalle
Sezioni giurisdizionali, nel senso –come
ricordato dall’ordinanza di rimessione- del
riconoscimento di un preciso obbligo di
svolgimento in seduta pubblica, a pena di
illegittimità della procedura, delle
operazioni di apertura delle sole buste
contenenti la documentazione amministrativa
e l’offerta economica, è certamente sorretto
da puntuali previsioni normative di
pubblicità (artt. 64, comma 5, 67, comma 5,
91, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999,
applicabile alla fattispecie ratione
temporis, e ora d.P.R. n. 207 del 2010,
artt. 117, 119, comma 6, 120, comma 2), che
non si rinvengono con riguardo all’apertura
della busta dell’offerta tecnica.
I dati normativi citati, imponendo la
valutazione dell’offerta tecnica in seduta
riservata, senza dettare alcun precetto in
ordine all’apertura del plico, sembrano
accreditare l’avviso che tale operazione,
diversamente da quanto ritenuto e disposto
per la busta della documentazione
amministrativa e quella dell’offerta
economica, non debba necessariamente
svolgersi in seduta pubblica e sia
tacitamente rinviata al momento della
valutazione di merito in separata sede.
Occorre tuttavia verificare se tale
conclusione sia compatibile con un riscontro
di ordine sistematico condotto alla stregua
dei principi che reggono l’affidamento degli
appalti pubblici, ed in particolare quello
di pubblicità.
Il principio di pubblicità delle gare per i
contratti pubblici è radicato in canoni di
diritto comunitario e interno costantemente
applicati dalla giurisprudenza
amministrativa.
In proposito è agevole il richiamo, oltre
che all’art. 97 della Costituzione, alle
Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, da cui è
scaturito il Codice italiano dei contratti
pubblici, le quali agli articoli,
rispettivamente, 10 e 2, stabiliscono, con
espressione di portata ineludibile: “Le
amministrazioni aggiudicatrici …agiscono con
trasparenza”.
“La pubblicità delle sedute è la
principale manifestazione della trasparenza
amministrativa …”, –afferma una
decisione della Sezione remittente
(16.06.2005 n. 3166), poi confermata dal
d.lgs. n. 163 del 2006, che, nel recepire le
Direttive ricordate, all’art. 2, comma 1,
specifica il precetto comunitario imponendo
che l’aggiudicazione degli appalti pubblici
avvenga nel rispetto del principio, oltre
che di trasparenza, di “pubblicità con le
modalità indicate dal presente codice”.
E se è vero che il d.lgs. n. 163 non enuncia
direttamente alcuna regola specifica in
materia di svolgimento delle sedute di gara,
per un verso, al comma 3 dello stesso art. 2
rende applicabili le disposizioni sul
procedimento amministrativo di cui alla
legge n. 241 del 1990 “per tutto quanto
non espressamente previsto nel presente
codice”; per altro verso, rimette al
regolamento la disciplina delle modalità con
le quali devono operare le commissioni che
procedono alla scelta dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (art. 84).
Sul richiamo alla trasparenza nella
disciplina del procedimento amministrativo
non è il caso di indugiare.
Quanto alla normativa regolamentare,
l’attenta analisi che ne ha condotto la
giurisprudenza, sia con riguardo all’art. 89
del R.D. 23.05.1924 n. 827 che al d.P.R. n.
554 del 1999 in materia di appalti di lavori
pubblici (sez. V, 09.10.2002 n. 5421,
16.06.2005 n. 3166; 11.05.2007 n. 2355), pur
rilevando l’insufficienza dei dati normativi
disponibili, è pervenuta alla conclusione,
confortata anche dall’orientamento della
giurisdizione contabile (Corte dei conti,
sez. contr. St., 09.12.1999, n. 108),
secondo cui, onde stabilire la necessità o
meno di rendere pubbliche le operazioni
compiute in determinate fasi di un
procedimento amministrativo finalizzato alla
scelta di un contraente, occorre distinguere
il momento inderogabile, costituito
dall'apertura dei plichi contenenti le
offerte, che è operazione preliminare,
rispetto alla diversa operazione costituita
dalla valutazione delle offerte stesse che,
invece, a certe condizioni, può svolgersi
senza la presenza delle parti.
Il regolamento di attuazione del codice
degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207),
confermando nella sostanza la disciplina già
dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta
orientato a garantire la pubblicità per
tutte le operazioni di gara, compresa la
comunicazione dell’eventuale anomalia
dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta
riservata per le valutazioni di natura
tecnico-discrezionale.
Nel senso che si debba comunque svolgere in
pubblico la verifica della integrità di
tutti i plichi contenenti l’offerta
presentata, con esplicita menzione anche di
quello riguardante l’offerta tecnica, si è
pronunciata anche la giurisprudenza
successiva (Cons. Stato, sez. V, 23.12.2010,
n. 8155; 28.10.2008 n. 5386; sez. VI,
22.04.2008 n. 1856).
Ciò premesso, e con specifico riguardo al
quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, va
sottolineato che la giurisprudenza
amministrativa ha avuto modo di approfondire
la tematica delle operazioni preliminari da
svolgere in seduta pubblica, affermando che
la “verifica della integrità dei plichi”
non esaurisce la sua funzione nella
constatazione che gli stessi non hanno
subito manomissioni o alterazioni, ma è
destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara, giacché la
pubblicità delle sedute risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato (Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010,
n. 6939; 10.11.2010, n. 8006; 04.03.2008, n.
901; sez. VI, 22.04.2008, n. 1856; sez. V,
03.12.2008, n. 5943; sez. IV, 11.10.2007, n.
5354; sez. V, 18.03.2004, n. 1427).
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola
affermata dalla giurisprudenza appena
richiamata costituisca corretta
interpretazione dei principi comunitari e di
diritto interno sopra ricordati in materia
di trasparenza e di pubblicità nelle gare
per i pubblici appalti e, come tale, meriti
di essere confermata e ribadita con
specifico riferimento all’apertura della
busta dell’offerta tecnica. Tale operazione,
infatti, come per la documentazione
amministrativa e per l’offerta economica,
costituisce passaggio essenziale e
determinante dell’esito della procedura
concorsuale, e quindi richiede di essere
presidiata dalle medesime garanzie, a tutela
degli interessi privati e pubblici coinvolti
dal procedimento.
---------------
Con riferimento
specifico alla paventata ostensione di
documenti al pubblico presente, in pretesa
violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163
del 2006, va precisato che la verifica dei
documenti contenuti nella busta consiste in
un semplice controllo preliminare degli atti
inviati, che non può eccedere la funzione,
che ad essa riconosce la giurisprudenza, di
ufficializzare la acquisizione della
documentazione di cui si compone l’offerta
tecnica. L’operazione non deve andare al di
là del mero riscontro degli atti prodotti
dall’impresa concorrente, restando esclusa
ogni facoltà degli interessati presenti di
prenderne visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, abbia proceduto ad un esame
della documentazione leggendo il solo titolo
degli atti rinvenuti, e dandone atto nel
verbale della seduta.
Così circoscritte le formalità da compiere,
la verifica della documentazione non incorre
nella denunciata violazione dell’art. 13 del
d.lgs. n. 163 del 2006
(Consiglio
di Stato, ad. plenaria,
sentenza 28.07.2011 n. 13 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
T. Servetto e R. Maccia,
Gara di appalto e cause di esclusione di cui
all'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs.
163/2006 (link a www.diritto.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
Le perle nella determinazione 07.07.2011, n.
4, dell’Autorità: «Linee guida sulla
tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi
dell’articolo 3 della legge 13.08.2010, n.
136» (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
L’aggiudicazione definitiva, la sua
efficacia e la verifica della regolarità
contributiva, dopo l’entrata in vigore del
regolamento (link a
www.linobellagamba.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La Manovra correttiva 2011 - DL n. 98 del
06.07.2011, convertito dalla Legge n. 111
del 15.07.2011 - Misure
economico-finanziarie di interesse per il
settore delle costruzioni (ANCE,
18.07.2011). |
APPALTI:
S. Giacchetti,
Codice degli appalti pubblici: la “dichiarazione
giurata” ovvero l’arte di complicarsi
inutilmente la vita (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sull'obbligo
ovvero sulla facoltà di procedere alla
valutazione dell'offerta anomala.
Ai sensi dell’art. 86, co. 2, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, “Nei contratti di cui
al presente codice, quando il criterio di
aggiudicazione è quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, le stazioni
appaltanti valutano la congruità delle
offerte in relazione alle quali sia i punti
relativi al prezzo, sia la somma dei punti
relativi agli altri elementi di valutazione,
sono entrambi pari o superiori ai quattro
quinti dei corrispondenti punti massimi
previsti dal bando di gara”.
Ai sensi del successivo co. 3 dello stesso
articolo, “In ogni caso le stazioni
appaltanti possono valutare la congruità di
ogni altra offerta che, in base ad elementi
specifici, appaia anormalmente bassa”.
Risulta evidente che, mentre il richiamato
art. 86, comma 2, impone un obbligo di
procedere alla verifica nei casi di anomalia
da quella stessa previsione individuati, il
successivo comma 3 si limita a facoltizzare
la stazione appaltante a procedere alla
suddetta verifica sempre che l’offerta, pur
in assenza delle condizioni indicate dal
comma precedente, appaia, in base ad
elementi specifici, anormalmente bassa.
In sostanza la citata disciplina distingue
tra obbligo di procedere alla verifica nei
casi di anomalia individuati dalla legge e
facoltà riservata all'Amministrazione di
ipotizzare autonomamente, "in base ad
elementi specifici", casi di anomalia
diversi da quelli prestabiliti (in termini,
ex multis, Cons. Stato Sez. V,
08.09.2008, n. 4270).
L’art. 86, co. 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
si pone in linea con quella giurisprudenza
comunitaria secondo cui il sistema
legislativo italiano -che àncora
l'attivazione del procedimento di verifica
di anomalia ad un calcolo matematico
automatico, imponendo alle stazioni
appaltanti di sottoporre a verifica tutte le
offerte che eguagliano o superano la soglia
di anomalia- è legittimo solo a condizione
che sia fatto salvo il potere delle stazioni
appaltanti di sottoporre a verifica anche
offerte che, pur collocandosi al di sotto
della soglia di anomalia, appaiano ciò non
di meno sospette (C. giust. CE 27.11.2001,
CC-285-286/99).
La citata disposizione, quindi, è volta a
chiarire che, anche al di fuori dei casi
contemplati dall’art. 86, co. 2, D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante
non può essere precluso di attendere alla
verifica di congruità dell’offerta.
Si tratta di previsione facoltizzante, volta
a riconoscere la sussistenza del potere
della stazione appaltante, anche al di là
dei casi di anomalia legislativamente
predeterminati.
Il legislatore, anzi, nel riconoscere tale
facoltà, ha inteso evitare arbitrii delle
stazioni appaltanti, laddove, anche per
ragioni di economia dei mezzi giuridici,
dispone che, perché si possa attivare la
verifica di anomalia facoltativa, occorre
che vi sia un fumus, un sospetto di
anomalia, sulla base di “elementi
specifici”.
E’ quanto induce a ritenere che debba essere
motivata la decisione di attendere alla
verifica nonostante non ricorrano le
condizioni indicate dall’art. 86, co. 2,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, non anche quella
di non procedere in tal senso (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 27.07.2011 n. 4489 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Modulistica allegata al
bando - Difformità rispetto alle
prescrizioni della lex specialis di gara -
Principio del favor partecipationis.
La circostanza che il concorrente abbia
puntualmente seguito le indicazioni fornite
dalla stazione appaltante, nella modulistica
pubblicata insieme al bando, non può andare
a suo danno, se detta modulistica si rivela
in parte non esattamente conforme alle
prescrizioni della lex specialis di
gara, dovendo prevalere in tal caso, a
fronte di un’obiettiva incertezza ingenerata
dagli atti predisposti dalla stazione
appaltante, il principio del favor
partecipationis e quello di tutela del
legittimo affidamento (in questo senso, di
recente: TAR Toscana, sez. I, 21.06.2010 n.
2006; TAR Puglia, Bari, sez. I, 08.06.2011
n. 842) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 27.07.2011 n. 1170 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI:
INQUINAMENTO -
Approvazione di nuovo tracciato stradale -
Incremento dell’inquinamento acustico e
atmosferico - Singoli incisi -
Legittimazione a ricorrere - Criterio della
vicinitas - Diritto alla salute.
In tema di approvazione del tracciato di una
nuova strada destinata a creare un
significativo incremento del traffico
veicolare potenzialmente idoneo ad incidere
in senso pregiudizievole sui terreni
agricoli immediatamente limitrofi (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849),
sussiste, anche sulla base del criterio
della "vicinitas", la legittimazione
ad agire dei singoli a tutela di interessi
incisi da atti e comportamenti
dell'amministrazione che li ledono
direttamente e personalmente (nella
fattispecie i ricorrenti lamentavano il
concreto pregiudizio che il consistente
incremento del traffico sulle vie in
prossimità delle quali risiedono causerebbe
alla loro salute, alla loro incolumità ed in
generale alle loro condizioni di vita).
Appare inoltre evidente l’incidenza delle
misure in contestazione con primari diritti
dei medesimi, anche di ordine
costituzionale, quali quello alla salute, e
la conseguente sussistenza di legittimazione
ed interesse a ricorrere.
INQUINAMENTO - Modifiche
alla viabilità - Incremento di traffico -
Studi e verifiche istruttorie.
Le modifiche alla viabilità comportanti
incremento di traffico e, dunque, di
emissioni inquinanti e rumorose ed
influenti, per tali motivi, sulla salute,
sull’incolumità e sui comportamenti di vita
dei soggetti incisi devono essere precedute
da studi specifici o da altre verifiche
istruttorie che diano conto della concreta
situazione e delle ragioni di interesse
pubblico per le quali solo la soluzione poi
adottata, e non altre alternative, sarebbe
stata quella rispondente alle esigenze da
soddisfare, pur comportando le conseguenze
deleterie alla stessa connesse (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.07.2011 n. 1982 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le disposizioni che
derogano alla regola della procedura di
evidenza pubblica, in quanto eccezionali
rispetto ai principi che informano la
materia, sono di stretta interpretazione.
E' illegittimo l'affidamento diretto da
parte di un comune a Poste Italiane s.p.a.
della gestione del servizio di elaborazione
informatica e di notificazione dei verbali
relativi alle sanzioni amministrative
previste dal codice della strada.
Le disposizioni che derogano alla regola
della procedura di evidenza pubblica, in
quanto eccezionali rispetto ai principi che
informano la materia, sono di stretta
interpretazione. Ne deriva la necessità di
una valutazione rigorosa e puntuale circa la
ricorrenza dei presupposti che giustificano
la sottrazione dell'affidamento alla regola
del confronto competitivo.
L'art. 19, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006 n.
163, sottrae alle disposizioni in materia di
appalti pubblici i soli affidamenti disposti
in base ad un diritto esclusivo di cui
l'aggiudicatario dispone. Pertanto, nel caso
di specie, è illegittimo l'affidamento
diretto da parte di un comune a Poste
Italiane s.p.a. della gestione del servizio
di elaborazione informatica e di
notificazione dei verbali relativi alle
sanzioni amministrative previste dal codice
della strada, in quanto l'attività
attribuita senza procedere alla gara
(fornitura di software e hardware e
l'acquisizione da parte di Poste Italiane,
nel caso di notificazioni non andate a buon
fine, di informazioni anagrafiche presso i
Comuni di residenza sui destinatari dei
verbali e la ristampa dei verbali per la
rinotifica oltre alle attività connesse ai
ruoli), va ben oltre i diritti esclusivi
vantati dalla società in quanto
concessionaria del servizio di recapito
universale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4452 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: No
all'affidamento diretto senza eccezioni:
anche se si tratta di Poste Italiane.
Il Comune che intende
affidare all'esterno il servizio di
elaborazione informatica e di gestione e
spedizione delle multe stradali deve
attivare almeno un confronto concorrenziale.
E questa formalità non può essere trascurata
nemmeno in caso di affidamento del servizio
a Poste Italiane.
Lo ha evidenziato il Consiglio di stato,
Sez. V, con la
sentenza 25.07.2011 n. 4452.
Un comune della provincia di Napoli ha
affidato senza alcuna verifica il servizio
di gestione delle multe stradali a Poste
Italiane spa. Contro questa determinazione
il precedente fornitore del servizio ha
avanzato con successo ricorso al Tar.
E pure il Consiglio di stato ha confermato
la decisione del tribunale amministrativo.
Il comune negli atti convenzionali
sottoposti all'attenzione del collegio ha
evidenziato la necessità di liberare
personale di polizia da attività
amministrativa affidando a terzi non solo il
servizio di notifica ma anche attività
complementari e propedeutiche all'ufficio
contravvenzioni.
In pratica oggetto dell'affidamento sarebbe
la fornitura di hardware e software ad
hoc con l'attività di data entry,
notifiche, pagamenti e rendicontazione
elettronica dell'intero procedimento.
Tali essendo le coordinate fattuali della
vicenda, specifica il collegio, "la
sezione reputa che l'affidamento diretto,
derogatorio rispetto ai principi
dell'ordinamento comunitario e nazionale,
che impongono alle amministrazioni pubbliche
il ricorso a procedure di evidenza pubbliche
informate a logiche concorrenziali, non
trovi fondamento nelle norme richiamate
dall'appellante, ossia l'art. 19, comma 2, e
l'art. 57, comma 5, lett. a) del codice dei
contratti pubblici".
Le deroghe alla regola delle procedure di
evidenza pubblica, prosegue la sentenza,
sono di stretta interpretazione.
Anche se Poste Italiane è concessionaria del
servizio postale universale, questi diritti
esclusivi coprono "tuttavia, solo una
parte del complesso dei servizi affidati dal
comune di Casoria a Poste Italiane.
Esorbitano, infatti, dal raggio di azione di
tali diritti esclusivi i servizio, pure
oggetto dell'affidamento, relativi alla
fornitura di software e hardware e delle
attività di archiviazione ed alla parte
della gestione completa delle notifiche che
comprende attività che si collocano in un
momento sia logicamente che cronologicamente
anteriore a quello in cui l'invio postale è
preso in consegna dal fornitore del
servizio.
In particolare esulano dal fuoco della
predetta riserva di legge l'acquisizione da
parte di Poste Italiane, nel caso di
notificazioni non andate a buon fine, di
informazioni anagrafiche presso i comuni di
residenza sui destinatari dei verbali e la
ristampa dei verbali per la rinotifica
tramite il servizio postale o tramite il
messo comunale del comune di residenza,
nonché le attività connesse ai ruoli che
pure sono dedotte in convenzione".
In pratica l'affidamento diretto del
servizio completo di gestione delle multe
stradali a Poste Italiane, senza alcuna
valutazione concorrenziale, non trova
fondamento nella normativa nazionale
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Si evita il ricorso
all’evidenza pubblica solo in riferimento ai
servizi coperti dal diritto di esclusiva
dell'aggiudicatario.
Il Codice dei Contratti Pubblici non si
applica agli aggiudicatori che sono titolari
di un diritto esclusivo solo ove l’oggetto
del rapporto consista nel contenuto
dell’esclusiva. Così, se ha senso sottrarre
Poste Italiane (in quanto titolare di un
diritto esclusivo sulle notifiche degli atti
in virtù del fatto di essere concessionaria
del servizio postale universale ai sensi
dell’art. 23, comma 2, del dlgs 22.07.1999
n. 261 e del dm 17.04.2000)
dall’applicazione del Codice e quindi dal
principio dell’evidenza pubblica in
relazione alla notificazione degli atti, non
ha senso escludere l’applicazione dei
principi comunitari in riferimento alla
fornitura di software e hardware, alla
archiviazione e alla gestione completa delle
notifiche (ivi compresa quindi la stampa dei
verbali su bollettino premarcato e
imbustamento, dell’atto) attività che si
collocano cronologicamente e logicamente in
un momento anteriore a quello in cui l’invio
postale è preso in consegna dal fornitore
del servizio.
Sulla base di questa osservazione,
escludendo l’applicazione dell’articolo 19
del Codice dei Contratti pubblici, i giudici
di Palazzo Spada hanno posto nel nulla
l’affidamento diretto, posto in essere da un
comune a Poste Italiane, dei servizi
aggiuntivi a quelli di notifica degli atti.
D’altro canto non vale a mantenere
l’impianto dell’affidamento diretto, il
riferimento all’art. 57, comma 5, lett. a),
del D.Lgs. 163/2006.
La norma invocata, inserita nel corpo
dell’articolo che disciplina i casi di
affidamento mediante procedura negoziata
senza previa pubblicazione di bando di gara,
dispone quanto segue: “Nei contratti
pubblici relativi a lavori e negli appalti
pubblici relativi a servizi, la procedura
del presente articolo è, inoltre,
consentita: a) per i lavori o i servizi
complementari, non compresi nel progetto
iniziale né nel contratto iniziale, che, a
seguito di una circostanza imprevista, sono
divenuti necessari all'esecuzione dell'opera
o del servizio oggetto del progetto o del
contratto iniziale, purché aggiudicati
all'operatore economico che presta tale
servizio o esegue tale opera, nel rispetto
delle seguenti condizioni: a.1) tali lavori
o servizi complementari non possono essere
separati, sotto il profilo tecnico o
economico, dal contratto iniziale, senza
recare gravi inconvenienti alla stazione
appaltante, ovvero pur essendo separabili
dall'esecuzione del contratto iniziale, sono
strettamente necessari al suo
perfezionamento; a.2) il valore complessivo
stimato dei contratti aggiudicati per lavori
o servizi complementari non supera il
cinquanta per cento dell'importo del
contratto iniziale”.
Come si evince dalla norma, viene richiesto
il concorso di entrambi le condizioni. Di
tale ultima combinazione non risulta alcuna
giustificazione dagli atti della procedura
né dalla delibera o determina a contrarre e
ciò anche in violazione dell’art. 57, comma
1, del Codice dei Contratti Pubblici che
impone alla stazione appaltante di dare
conto, in tale sede, delle ragioni che
giustificano il ricorso alla procedura
negoziata (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4452 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'incompatibilità del
Commissario di gara determina
l'illegittimità del provvedimento di
aggiudicazione definitiva.
In materia di appalti pubblici la situazione
di incompatibilità di un commissario di gara
rende illegittima l’attività svolta dalla
commissione, ivi compresi i provvedimenti di
aggiudicazione provvisoria e definitiva che
di conseguenza devono considerarsi
irrimediabilmente viziati e devono essere
annullati.
Con questo principio il Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 25.07.2011 n. 4450 ha
accolto il ricorso presentato da una società
avverso il provvedimento di aggiudicazione
del servizio di distribuzione del gas
naturale in un comune della Lombardia.
La ricorrente, seconda aggiudicataria, aveva
impugnato il provvedimento contestando in
particolare come fra i componenti della
commissione di gara fosse presente un
ingegnere, in qualità di consulente, che si
trovava in una macroscopica situazione di
incompatibilità, avendo provveduto alla
preparazione degli atti di gara, alla
perizia del valore degli impianti e
all’analisi economico-patrimoniale del
servizio.
Il Consiglio di Stato adito, accogliendo
questa censura, ha preliminarmente chiarito
come le disposizioni contenute nell’articolo
84, 4° comma (Commissione giudicatrice nel
caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più
vantaggiosa), del d.lgs. 163/2006 secondo il
quale “I commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcun'altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta”,
si applicano a tutte le gare di appalto di
lavori, servizi e forniture in quanto
espressione dei principi di imparzialità e
buona amministrazione predicati
dall’articolo 97 della Costituzione.
In applicazione di tale norma è stato
precisato che l’ingegnere “…versava
quindi in una situazione di incompatibilità
e non poteva essere membro della commissione
di gara: come tale i relativi atti di
costituzione e la successiva attività da
essa svolta, ivi compreso il provvedimento
di aggiudicazione provvisoria e definitiva,
devono considerarsi irrimediabilmente
viziati e devono essere annullati (così
C.d.S., sez. VI, 29.12.2010, n. 9577,
secondo cui "Ai sensi dell'art. 84, d.lgs.
n. 163 del 2006, applicabile anche nei
settori speciali in quanto richiamato
espressamente dall'art. 206, d.lgs. n. 163
del 2006, quando il criterio di
aggiudicazione è quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, va nominata
una Commissione di gara, e in tale
Commissione i componenti diversi dal
presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcuna altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta
(comma 4). È chiaro che l'incompatibilità,
mirando a garantire l'imparzialità dei
commissari di gara, si riferisce a soggetti
che abbiano svolto incarichi relativi al
medesimo appalto, ad es. incarichi di
progettazione, di verifica della
progettazione, incarichi di predisposizione
della legge di gara, e simili.
L'incompatibilità non può estendersi a
qualsivoglia funzionario dipendente dalla
stazione appaltante, che svolge incarichi
amministrativi o tecnici che non sono
relativi allo specifico appalto")”.
In conclusione i giudici della V sezione
hanno sottolineato come questa situazione di
incompatibilità ha viziato irrimediabilmente
tutto il procedimento di aggiudicazione
poiché l’attività svolta dal componente
della commissione andava oltre le funzioni
del mero consulente la cui caratteristica è
quella di fornire un’attività occasionale di
supporto tecnico ab externo (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le eventuali incongruità
contenute nell’offerta e nel piano
economico-finanziario non sono di per sé
idonee a riverberarsi sull’offerta
presentata dall’aggiudicataria.
Le eventuali incongruità contenute
nell’offerta e nel piano
economico-finanziario non sono di per sé
idonee a riverberarsi sull’offerta
presentata dall’aggiudicataria, giacché il
piano economico–finanziario, essendo
ontologicamente diverso dall’offerta, ben
può contenere indicazioni, specificazioni,
chiarimenti, limitati integrazioni ed
aggiustamenti, valutabili
dall’amministrazioni ai fini del giudizio
complessivo di validità ed affidabilità
dell’offerta, senza che ciò possa in alcun
modo far ritenere stravolta l’offerta
originaria presentata; deve anche
aggiungersi che la giurisprudenza ha anche
precisato che “laddove l’amministrazione
consideri congrua l’offerta sulla base delle
spiegazioni fornite dal concorrente in sede
di verifica dell’anomalia non occorre che la
relativa documentazione sia fondata su una
articolata motivazione ripetitiva delle
medesime giustificazioni ritenute
accettabili o espressiva di ulteriori
apprezzamenti, essendo sufficiente anche una
motivazione per relationem…” (C.d.S.,
sez. IV, 30.10.2009, n. 6708), tanto più che
la verifica delle offerte anomale non ha per
oggetto la ricerca di specifiche e singole
inesattezze dell’offerta economica, mirando
invece ad accertare se l’offerta nel suo
complesso sia attendibile e, dunque, se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4450 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: RIFIUTI
- AVVALIMENTO DEL REQUISITO DELL’ISCRIZIONE
ALL’ALBO NAZIONALE DEI GESTORI - FINALITÀ.
Oggetto del contratto di avvalimento non può
essere solo la qualificazione
(tecnico-professionale), ma anche un
complesso di beni organizzato per
l'esercizio delle attività di impresa.
Pertanto il contratto di avvalimento, in
forza del quale l'impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell'appalto, non può avere un
contenuto assolutamente generico e
indefinito.
La necessità di produrre sia la
"dichiarazione" di avvalimento, sia il
"contratto" stipulato con l'impresa
ausiliaria non può tradursi in incombenze
meramente formali, ma deve sostanziarsi
nell'impegno concreto a mettere a
disposizione diretta della partecipante le
risorse necessarie a corredo del requisito
tecnico richiesto, la cui effettiva
disponibilità consente la partecipazione
dell'impresa alla gara.
La specificazione dei requisiti, contenuta
nella dichiarazione di avvalimento, non può
essere resa, come nel caso di specie, per il
tramite di un generico rinvio a tutti i
requisiti “economico finanziari e tecnico
organizzativi necessari per la
partecipazione alla gara”, ma deve indicare,
in maniera dettagliata, i singoli requisiti
(fatturato globale, fatturato specifico,
risorse organizzative ed umane) di cui
l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò
al fine di consentire un efficace controllo
incrociato sul possesso dei requisiti nei
confronti sia della ditta concorrente sia di
quella ausiliaria.
---------------
Il rimedio della regolarizzazione postuma
degli atti prodotti dai partecipanti alla
gara è attivabile, per giurisprudenza
costante, solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta,
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano invece
puntualmente rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis.
La finalità
dell'istituto dell’avvalimento é chiaramente
quella di consentire la massima
partecipazione alle gare ad evidenza
pubblica, permettendo alle imprese non in
possesso dei requisiti tecnici, di sommare,
unicamente per la gara in espletamento, le
proprie capacità tecniche ed
economico-finanziarie a quelle di altre
imprese.
Deve peraltro dubitarsi della possibilità di
sopperire, mediante avvalimento, alla
mancanza di un requisito soggettivo, quale
l’iscrizione in un albo.
Sul piano letterale, l’articolo 49 del
codice dei contratti pubblici, nel
disciplinare l’istituto dell’avvalimento,
non contiene alcuno specifico divieto in
ordine ai requisiti soggettivi che possono
essere comprovati mediante tale strumento,
che assume una portata generale.
D’altra parte, è fuori discussione che,
nell’ottica dell’ordinamento comunitario,
l’avvalimento miri ad incentivare la
concorrenza, nell’interesse delle imprese,
agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi
soggetti: pertanto, deve essere evitata ogni
lettura aprioristicamente restrittiva
dell’ambito di operatività della nuova
disciplina.
In questa prospettiva, non persuade
l’indirizzo interpretativo che ha affermato
l’esistenza di un divieto assoluto e
inderogabile di ricorrere all’avvalimento,
per dimostrare la disponibilità dei
requisiti soggettivi di “qualità”,
dovendosi piuttosto procedere di volta in
volta a verificare la compatibilità
dell’istituto in esame con la finalità
proprie del requisito soggettivo prescritto
dalla legge come condizione ineludibile per
l’esercizio dell’attività.
In ogni caso, anche a voler ammettere
l’astratta operatività dell’avvalimento, non
può essere trascurata l’evidente difficoltà
“pratica” di dimostrare, in concreto,
l’effettiva disponibilità di un requisito
che, per le sue caratteristiche, è collegato
all’intera organizzazione dell’impresa, alle
sue procedure interne, al bagaglio delle
conoscenze utilizzate nello svolgimento
delle attività.
In questo contesto, è onere della
concorrente dimostrare che l’impresa
ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare”
il requisito soggettivo richiesto, quale
mero valore astratto, ma assume
l’obbligazione di mettere a disposizione
dell’impresa ausiliata, in relazione
all’esecuzione dell’appalto, le proprie
risorse e il proprio apparato organizzativo,
in tutte le parti che giustificano
l’attribuzione del requisito di qualità (a
seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali
qualificanti).
Oggetto del contratto di avvalimento non può
pertanto essere solo la qualificazione
(tecnico-professionale), ma anche un
complesso di beni organizzato per
l'esercizio delle attività di impresa (TAR
Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n. 3451,
Autorità Vigilanza sui Contratti Pubblici,
parere n. 155 del 20.12.2007).
Pertanto il contratto di avvalimento, in
forza del quale l'impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell'appalto, non può avere un
contenuto assolutamente generico e
indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione"
di avvalimento, sia il "contratto"
stipulato con l'impresa ausiliaria non può
tradursi in incombenze meramente formali, ma
deve sostanziarsi nell'impegno concreto a
mettere a disposizione diretta della
partecipante le risorse necessarie a corredo
del requisito tecnico richiesto, la cui
effettiva disponibilità consente la
partecipazione dell'impresa alla gara.
Nella fattispecie, il contratto di
avvalimento prevede unicamente un generico
impegno a fornire i mezzi, le risorse,
l’iscrizione, nonché le competenze tecniche
ed esperienze, senza alcuna indicazione
reale e concreta in ordine alla tipologia di
risorse (macchinari, strutture
organizzative, uomini, strumenti)
effettivamente messi a disposizione
dell’ausiliata.
Il ricorso all’avvalimento deve essere
coerente con la ratio, sottesa alla
normativa in tema di controllo sul possesso
dei requisiti di partecipazione (art. 48 del
codice dei contratti), della agevole
verificazione, da parte della stazione
appaltante, di quanto dichiarato in sede di
gara, soprattutto quando i requisiti di
carattere economico, finanziario, tecnico ed
organizzativo risultino distribuiti tra
impresa concorrente ed impresa ausiliaria.
Ne discende che la specificazione dei
requisiti, contenuta nella dichiarazione di
avvalimento, non può essere resa, come nel
caso di specie, per il tramite di un
generico rinvio a tutti i requisiti “economico
finanziari e tecnico organizzativi necessari
per la partecipazione alla gara”, ma
deve indicare, in maniera dettagliata, i
singoli requisiti (fatturato globale,
fatturato specifico, risorse organizzative
ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende
avvalersi; ciò al fine di consentire un
efficace controllo incrociato sul possesso
dei requisiti nei confronti sia della ditta
concorrente sia di quella ausiliaria (cfr.
in tal senso TAR Napoli, I, n. 2148 del 2009
e TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008 n. 430).
A conforto della bontà della opzione
ermeneutica esposta soccorre il dettato
dell’articolo 88 del Regolamento di
attuazione (d.P.R. n. 207 del 2010), il
quale impone che il contratto di avvalimento
riporti “in modo compiuto, esplicito ed
esauriente: a) oggetto: le risorse e i mezzi
prestati in modo determinato e specifico; b)
durata; c) ogni altro utile elemento ai fini
dell'avvalimento”.
Al contrario non emerge, in alcun modo, che
il contratto prodotto in sede di gara
stabilisca anche un chiaro impegno
dell’impresa ausiliaria di fornire
strutture, personale qualificato, tecniche
operative, mezzi collegati alla qualità
soggettiva “concessa”. Né può
ritenersi che tale impegno comprenda,
implicitamente, anche quello relativo alla
concreta “cessione” dei mezzi organizzativi
correlati al conseguimento della
certificazione (cfr. C.d.S., Sez. III, n.
2344 del 2011).
Detto obbligo esecutivo, poi, non deriva
nemmeno dall’assunzione di responsabilità
solidale nei confronti della stazione
appaltante.
Né, infine, può sostenersi che
l’incompletezza della dichiarazione di
avvalimento avrebbe potuto essere sanata
mediante l’acquisizione di chiarimenti
integrativi ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs.
n. 163/2006.
Il rimedio della regolarizzazione postuma
degli atti prodotti dai partecipanti alla
gara è attivabile, per giurisprudenza
costante, solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta
(come nella presente fattispecie),
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano invece
puntualmente rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis (cfr.
TAR Sicilia Catania, Sez. III, 17.05.2007 n.
846; TAR Trentino Alto Adige Trento,
04.12.2006 n. 390 e TAR Calabria Catanzaro,
Sez. II, 07.02.2006 n. 127).
Pertanto, la dichiarazione di avvalimento
prodotta dalla ricorrente, attesa la sua
portata generica e non individualizzante,
non poteva essere ritenuta conforme all’art.
49 cit. e alle prescrizioni della lex
specialis, rendendo così doverosa per la
stazione appaltante l’adozione del
provvedimento di esclusione, in diretta
applicazione dell’apposita clausola
contemplata all’art. 6, punto 8, del bando.
La rilevata insufficienza della
dichiarazione di avvalimento in questione è
idonea di per sé a supportare l’intero
impianto motivazionale del provvedimento di
esclusione. Ciò rende ininfluenti le
rimanenti doglianze della ricorrente dirette
a contestare altri profili, che rimangono
assorbiti.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso,
l’annullamento dell’aggiudicazione gravata e
la declaratoria di inefficacia del contratto
in via retroattiva, non avendo le parti
offerto elementi idonei a giustificare la
soluzione contraria (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 25.07.2011 n. 3976 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
G.U. 25.07.2011 n. 171 "Trasmissione dei
dati dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture - settori ordinari e
speciali - uniformazione delle soglie minime
di importo" (AVCP,
comunicato del Presidente del 15.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 30 del
25.07.2011, "Indirizzi per l’uso e la
manomissione del sottosuolo" (decreto
D.G. 19.07.2011 n. 6630). |
APPALTI:
Aggiudicazione provvisoria e successiva
negazione in via di autotutela.
Domanda.
La
stazione appaltante, dopo la provvisoria
aggiudicazione di un appalto pubblico, può
in via di autotutela negare liberamente
l'aggiudicazione?
Risposta.
Poiché in materia di appalti pubblici,
l'aggiudicazione provvisoria è inidonea a
generare nella ditta provvisoriamente
aggiudicataria una posizione consolidata di
vantaggio, l'Amministrazione che intende
esercitare il potere di autotutela rispetto
all'aggiudicazione provvisoria ha l'onere di
motivazione fortemente attenuato, circa le
ragioni di interesse pubblico che lo hanno
determinato, essendo sufficiente che sia
reso palese il ragionamento seguito per
giungere alla determinazione negativa
attraverso l'indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi in base ai quali si
ritiene di non procedere all'aggiudicazione
(25.07.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Inammissibile il ricorso
avverso il bando in caso di mancata
partecipazione alla gara.
La mancata partecipazione alla gara rende
indifferenziata e non qualificata la pretesa
della ricorrente all’aggiudicazione, come
affermato dalla dec. del Consiglio di Stato
Ad. Plen. n. 4/20111 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 22.07.2011 n. 2006 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la
clausola di un bando per l'affidamento del
servizio di refezione scolastica, che impone
ai partecipanti l'effettiva disponibilità di
un centro di cottura nel territorio comunale
o di allestirlo esclusivamente in una data
area.
L'autorizzazione sanitaria per la gestione
di un centro cottura deve risultare
necessariamente intestata direttamente al
soggetto che svolge il servizio.
In caso di appalto del servizio di refezione
scolastica, il richiedere l'effettiva
disponibilità di un centro di cottura nel
territorio comunale alla data di
presentazione della domanda, senza
consentire all'impresa di organizzarsi
all'esito della vittoriosa partecipazione,
equivarrebbe a riservare la gara stessa alla
sole imprese che già operano nel territorio,
in palese violazione delle disposizioni
comunitarie e che, peraltro, è illegittima
per irragionevolezza e contrasto con i
principi comunitari di massima tutela della
concorrenza tra imprese, il bando per
l'affidamento del servizio di refezione
scolastica, che impone ai partecipanti di
allestire un centro per la cottura e la
preparazione dei pasti esclusivamente in una
data area, tutte le volte in cui tale
prescrizione non sia utile ai fini della
individuazione del miglior contraente e non
sia giustificabile con addotte finalità di
controllo dell'attività di confezionamento,
dal momento che contrasta con i principi di
economicità e di risparmio su scala
aziendale, in quanto si determina un
indubbio favoritismo per i pochi (o unici)
soggetti che già sono presenti in quel
preciso ambito territoriale, dovendo
considerarsi sufficiente, per le specifiche
finalità dell'amministrazione, solo una
clausola che stabilisca i tempi massimi di
trasporto dei pasti e la possibilità, da
parte dell'Amministrazione, di verificare il
loro rispetto.
L'autorizzazione sanitaria per la gestione
di un centro cottura deve risultare
necessariamente intestata direttamente al
soggetto che svolge il servizio, poiché la
responsabilità del titolare
dell'autorizzazione sanitaria (che viene
rilasciata intuitu personae e sulla
base dei requisiti del solo soggetto
richiedente) è personale e l'Amministrazione
non può consentire che tale autorizzazione
sia intestata a soggetti terzi (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 22.07.2011 n. 476 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizio di refezione
scolastica - Richiesta di effettiva
disponibilità di un centro di cottura nel
territorio comunale (o in una data area)
alla data di presentazione della domanda -
Illegittimità.
In caso di appalto del servizio di refezione
scolastica, il richiedere l’effettiva
disponibilità di un centro di cottura nel
territorio comunale alla data di
presentazione della domanda, senza
consentire all’impresa di organizzarsi
all’esito della vittoriosa partecipazione,
equivarrebbe a riservare la gara stessa alla
sole imprese che già operano nel territorio,
in palese violazione delle disposizioni
comunitarie (cfr. da ultimo, TAR Sicilia,
sede Palermo, sez. III, 24.09.2010, n.
10824, e TAR Abruzzo, sede L’Aquila,
11.02.2010, n. 88); analogamente, è
illegittima per irragionevolezza e contrasto
con i principi comunitari di massima tutela
della concorrenza tra imprese, il bando per
l’affidamento del servizio di refezione
scolastica, che impone ai partecipanti di
allestire un centro per la cottura e la
preparazione dei pasti esclusivamente in una
data area, tutte le volte in cui tale
prescrizione non sia utile ai fini della
individuazione del miglior contraente e non
sia giustificabile con addotte finalità di
controllo dell’attività di confezionamento,
dal momento che contrasta con i principi di
economicità e di risparmio su scala
aziendale, in quanto si determina un
indubbio favoritismo per i pochi (o unici)
soggetti che già sono presenti in quel
preciso ambito territoriale, dovendo
considerarsi sufficiente, per le specifiche
finalità dell’amministrazione, solo una
clausola che stabilisca i tempi massimi di
trasporto dei pasti e la possibilità, da
parte dell’Amministrazione, di verificare il
loro rispetto (Cons. St. sez. V, 22.06.2010,
n. 3887, e TAR Puglia, sede Bari, sez. I,
03.11.2009, n. 2602) (TAR Abruzzo-Pescara,
Sez. I,
sentenza 22.07.2011 n. 476 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Cantieri temporanei e
mobili. Lavori in corso, senza segnalazione
rischio responsabilità penale.
La segnalazione di
lavori in corso di esecuzione e
l'interdizione al pubblico dell'accesso alla
zona dagli stessi interessata, non
richiedendo alcuna autorizzazione, comporta
la responsabilità penale per la violazione
dell'art. 673 c.p. nel caso in cui un
cantiere non sia delimitato in alcun modo
con apposizione di reti o paletti, ciò in
quanto l'omessa collocazione di segnali atti
ad impedire pericoli alle persone in
transito (o comunque l'adozione di idonee
cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus
all'incolumità pubblica) costituisce preciso
obbligo spettante a coloro che abbiano la
gestione dei lavori nel cantiere.
Interessante pronuncia della Corte di
Cassazione sul tema della responsabilità
penale per il reato previsto dall'art. 673
c.p. applicato alla normativa
antinfortunistica. Il caso, come si vedrà,
alquanto banale, riguardava il
danneggiamento di un veicolo in sosta
provocato dalla mancata apposizione della
cartellonistica di sicurezza in un cantiere
ove erano in corso lavori di manutenzione
straordinaria in un centro commerciale.
La Corte, nel disattendere le doglianze
difensive, ritiene invece responsabili
coloro cui spettava la gestione del cantiere
medesimo per i danni cagionati al veicolo in
sosta, affermando l'importante principio di
diritto secondo cui l'omessa collocazione di
segnali atti ad impedire pericoli alle
persone in transito (o comunque l'adozione
di idonee cautele volte a scongiurare
qualsiasi vulnus all'incolumità pubblica)
costituisce preciso obbligo spettante a
coloro che abbiano la gestione dei lavori
nel cantiere.
Il caso.
Il caso La vicenda processuale, come già
evidenziato, vedeva imputati il legale
rappresentante di una s.r.l., impresa
esecutrice dei lavori di manutenzione
straordinaria in corso di svolgimento in un
centro commerciale, unitamente al direttore
dei suddetti lavori, ritenuti colpevoli
della violazione dell'art. 673 c.p. ad essi
contestato per avere, nelle rispettive
qualità, omesso di collocare «segnali e/o
ripari prescritti dalla legge e
dall'Autorità per impedire pericoli alle
persone in luogo di pubblico transito» e
segnatamente di aver omesso di collocare
segnaletica atta a delimitare l'area in cui
svolgevano lavori con mezzi pesanti
(sollevatore idraulico), che si ribaltava
danneggiando un veicolo in sosta.
La responsabilità dei due imputati, in
particolare, veniva fondata in sede di
merito valorizzando in particolare le
dichiarazioni rese da alcuni agenti della
polizia municipale che, accorsi sul posto
nell'immediatezza del fatto, avevano
riferito che il cantiere di lavoro non era
delimitato in alcun modo, da ciò desumendosi
che i due imputati avevano omesso di
collocare segnali o ripari (reti, paletti),
atti a delimitare e comunque a segnalare, in
orizzontale e in verticale, l'area
interessata da una possibile caduta
accidentale del mezzo meccanico impiegato
(sollevatore), evento ritenuto prevedibile e
prevenibile.
In particolare il Tribunale aveva escluso
che gli imputati potessero utilmente
invocare la buona fede in ragione della
supposta inerzia dell'autorità
amministrativa, ritenendo «ovvio che
un'attività pericolosa come quella di
sollevare bancali di guaine isolanti o
mattonelle del peso anche di cinque o sei
quintali richiedesse attenzioni particolari
e misure di salvaguardia e di interdizione
rigorose nei confronti di chiunque si
trovasse a passare, tenuto conto che si
trattava di operazioni temporalmente
circoscritte (della durata complessiva di
20-30 minuti) e che dunque si risolvevano in
tempo accettabile».
Il ricorso.
Resistevano alla condanna ambedue gli
imputati. Per quanto di interesse in questa
sede, il direttore dei lavori sosteneva,
tenuto conto anche di quanto risultante
dalle deposizioni di alcuni operai presenti
in cantiere, che erano state adottate le
dovute precauzioni, consistite nella
collocazione di un nastro rosso e bianco
lungo tutto il perimetro della superficie
interessata alle operazioni di fissaggio di
una guaina impermeabile sul tetto del centro
commerciale, nastro che, essendosi rotto a
seguito della caduta del mezzo meccanico,
come riferito dai predetti testi, era stato
immediatamente rimosso dopo il sinistro, per
non intralciare le operazioni di soccorso
dell'operaio che manovrava il sollevatore
idraulico, rimasto bloccato al posto di
comando.
Senza contare che, come pure riferito
dall'imputato e dai summenzionati testi, il
responsabile dei lavori aveva incaricato
alcuni dipendenti dell'impresa di adoperarsi
affinché nessun passante si avvicinasse o
sostasse nell'area interessata alle
operazioni di fissaggio e sollevamento del
materiale utilizzato per l'esecuzione dei
lavori, specificandosi nel ricorso, tra
l'altro, che lo stesso direttore dei lavori
aveva invitato anche il proprietario del
veicolo poi danneggiato dal ribaltamento del
sollevatore, a spostarlo, ricevendo un
rifiuto a ragione del motivo che lo stesso
sarebbe rimasto in sosta solo un attimo.
Soprattutto, però, la difesa del direttore
dei lavori sosteneva che lo scopo perseguito
dalla norma incriminatrice (art. 673 c.p.),
imponendo l'adozione di segnalazioni e
ripari, è quello di evitare un pericolo alle
persone, sicché, posto che nel caso di
specie, come emerso dall'istruttoria
dibattimentale, erano stati adottati
accorgimenti più che adeguati allo scopo, in
quanto perfettamente idonei alla tutela del
bene protetto (delimitazione del cantiere
con un nastro rosso e bianco; presenza di
dipendenti incaricati di impedire l'accesso
ai passanti nell'area delimitata, non
transennarle con delimitazioni fisse),
l'evento accaduto non poteva assolutamente
venire addebitato ad una condotta omissiva
degli imputati, tanto più che lo stesso
doveva ritenersi cagionato, come precisato
dall'imputato, da un imprevisto ed
imprevedibile «malfunzionamento» del
macchinario di sollevamento, posto che il
principale tipo di rischio staticamente
connesso alla utilizzazione di tale mezzo
meccanico è quello della caduta verticale
del carico e non certo quello del
ribaltamento del mezzo meccanico, specie ove
si consideri che a fronte di una portata
massima di venti quintali il carico
sollevato il giorno del sinistro non
superava i cinque o sei quintali.
In ordine al ricorso proposto dal titolare
dell'impresa esecutrice dei lavori, in
particolare, veniva sottolineata la non
configurabilità a carico dell'esecutore del
lavori, ma semmai a carico del committente,
di un obbligo di osservanza delle
prescrizioni in materia di sicurezza.
La decisione della
Cassazione.
I giudici di legittimità, nel ritenere
infondati i motivi di impugnazione, hanno
rigettato ambedue i ricorsi proposti
nell'interesse degli imputati. Come di
consueto, è utile un inquadramento normativo
della questione. Nella specie è stato
contestato agli imputati il reato
contravvenzionale previsto dall'art. 673
c.p., norma inserita nel Libro 3°, sez. II,
del codice penale, dedicata alle
contravvenzioni concernenti l'incolumità
pubblica e, più specificamente, di quelle
concernenti l'incolumità delle persone nei
luoghi di pubblico transito o nelle
abitazioni.
L'art. 673 c.p, in particolare, prevede
-sotto la rubrica Omesso collocamento o
rimozione di segnali o ripari- due diverse
condotte, sanzionate penalmente con la pena
alternativa dell'arresto o dell'ammenda: 1)
quella di chiunque omette di collocare i
segnali o i ripari prescritti dalla legge o
dall'autorità per impedire pericoli alle
persone in un luogo di pubblico transito,
ovvero rimuove i segnali o i ripari
suddetti, o spegne i fanali collocati come
segnali; 2) quella di chi rimuove apparecchi
o segnali diversi da quelli indicati nella
disposizione precedente e destinati a un
servizio pubblico o di pubblica necessità,
ovvero spegne i fanali della pubblica
illuminazione.
In merito ai profili di ricorso, in
particolare, osservano gli Ermellini, quanto
al profilo dell'esistenza di una posizione
di garanzia tale da giustificare l'esistenza
della responsabilità penale sotto il profilo
causale, che indubbiamente la stessa grava
sul legale rappresentante dell'impresa
esecutrice dei lavori ed utilizzatrice del
mezzo meccanico ribaltatosi, non rilevando
la circostanza che questi non fosse il
committente dei lavori.
Sul punto, evidenziano correttamente i
giudici di Piazza Cavour, non osta
all'affermazione della responsabilità penale
dell'esecutore quella giurisprudenza in tema
di infortuni sul lavoro in un cantiere edile
(Cass. pen., sez. 3, 21.02.2007, n. 7209,
imp. B., in Ced Cass. 235882), secondo cui
il committente (dei lavori) rimane il
soggetto obbligato in via principale
all'osservanza degli obblighi imposti in
materia di sicurezza, non escludendosi
affatto, nell'eventualità -pacificamente
verificatasi nel caso in esame- di nomina di
un responsabile dei lavori -inteso come
soggetto incaricato dell'esecuzione dei
lavori- la sussistenza della responsabilità
penale di quest'ultimo.
Quanto, poi, al secondo profilo inerente lo
scopo della norma violata, sottolineano i
giudici come fosse pacifico che il cantiere
non risultasse delimitato in alcun modo con
apposizione di reti o paletti: orbene,
precisa la Corte, la segnalazione dei lavori
e l'interdizione al pubblico dell'accesso
alla zona interessata non richiedeva alcuna
autorizzazione, e comunque -ove la si fosse
ritenuta necessaria- l'asserita inerzia nel
suo rilascio da parte delle autorità
preposte non valeva in ogni caso ad
escludere la responsabilità degli imputati.
Trattasi di principio, quest'ultimo,
assolutamente condivisibile, che trova un
suo specifico precedente in una remota
decisione (Cass. pen., Sez. 1, 14.01.1998,
n. 425, imp. C., in Ced. Cass. 209436)
secondo cui rientra nella nozione di "riparo",
prevista dall'art. 673 c.p., l'esecuzione di
tutte quelle opere atte ad impedire pericoli
alle persone in un luogo di pubblico
transito: ne consegue che deve ritenersi
sussistente il reato in questione
ogniqualvolta il soggetto destinatario delle
prescrizioni dettate dall'Autorità non
esegua le suddette opere nei termini
stabiliti o, in mancanza, in un termine
ragionevole.
Né la responsabilità può ritenersi esclusa
nel caso che le opere da eseguire siano
soggette ad eventuali provvedimenti di
autorizzazione da parte dell'Autorità,
atteso che è compito del soggetto,
destinatario dell'ordine, di adoperarsi
sollecitamente per rimuovere gli eventuali
ostacoli di natura burocratica che si
frappongano alla rapida esecuzione delle
opere.
Il principio, si noti, è stato recentemente
ribadito da altra recentissima decisione
(Cass. pen., Sez. 1, n. 5098
dell'11.02.2011, imp. V., in Ced Cass.
249798) che ha ritenuto sussistente il reato
in questione ogniqualvolta il soggetto
destinatario delle prescrizioni dettate
dall'Autorità sulla sicurezza delle strade
non esegua le opere necessarie allo scopo
nei termini stabiliti, anche qualora tali
opere siano soggette a provvedimenti
autorizzativi di terzi, essendo compito del
soggetto preposto di adoperarsi
sollecitamente per rimuovere gli eventuali
ostacoli che si frappongano all'attuazione
dell'adempimento (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 21.07.2011 n. 29156 -
link a http://olympus.uniurb.it). |
APPALTI:
Casi in cui è ammessa la
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando.
La procedura negoziata, senza previa
pubblicazione del bando di gara, è ammessa
nei soli e limitati casi individuati dal
legislatore all’art. 57 del D.Lgs. n. 163
del 2006, trattandosi di procedura che,
derogando all’ordinario obbligo
dell’Amministrazione di individuare il
privato contraente attraverso il confronto
concorrenziale, riveste carattere di
eccezionalità e richiede un particolare
rigore nella individuazione ed apprezzamento
dei presupposti che possono legittimarne il
ricorso (cfr., ex multis, Corte
giustizia CE, 13.01.2005, n. 84) di cui,
peraltro, deve essere data adeguata
motivazione nella deliberazione o
determinazione a contrarre (art. 57, comma
1), in modo da scongiurare ogni possibilità
che l’amministrazione utilizzi situazioni
genericamente affermate, come un "commodus
discessus" dall'obbligo di esperire una
pubblica procedura di selezione che è la
sola con carattere di oggettività e
trasparenza (Cfr. TAR Lazio-Roma, Sez. I,
18.02.2009, n. 1656).
Illegittimamente la stazione appaltante, al
fine di affidare un appalto di forniture, fa
ricorso, per ragioni di natura tecnica e di
unicità del prodotto da acquisire,
all’istituto della procedura negoziata senza
previa pubblicazione del bando, ex art. 57
del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei
contratti pubblici) nel caso in cui, da un
parte, abbia erroneamente ritenuto che i
prodotti oggetto della fornitura fossero
infungibili, e, dall’altra, abbia dato
contezza dei motivi di carattere tecnico per
cui ha ritenuto di poter trattare e affidare
l’appalto unicamente ad una determinata
società solo successivamente
all’affidamento, e, in particolare, soltanto
nell’avviso volontario per la trasparenza,
pubblicato nella G.U.C.E. (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Piemonte, Sez.
II,
sentenza 21.07.2011 n. 803 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Costo del personale e
sicurezza nella selezione delle offerte
negli appalti - Prime indicazioni elaborate
dal Gruppo di lavoro interregionale sui
contratti presso ITACA.
La legge 106/2011 di conversione del DL
70/2011 (decreto sviluppo), entrata in
vigore lo scorso 13 luglio, ha introdotto un
importante novità nel criterio di scelta
dell’offerta migliore che sicuramente avrà
importanti ricadute su tutto il sistema di
aggiudicazione e selezione degli appalti
regolato dal codice dei contratti.
In particolare la nuova norma, volta a
migliorare le condizioni di lavoro e in
genere a sostenere l’importante settore
degli appalti, introduce il comma 3-bis
all’art. 81 del d.lgs. 163/2006: “L’offerta
migliore è altresì determinata al netto
delle spese relative al costo del personale,
valutato sulla base dei minimi salariali
definiti dalla contrattazione collettiva
nazionale di settore tra le organizzazioni
sindacali dei lavoratori e le organizzazioni
dei datori di lavoro comparativamente più
significative sul piano nazionale, e delle
misure di adempimento delle disposizioni in
materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro”.
La norma impone di salvaguardare comunque e
sempre il valore della manodopera quale
costo non negoziabile, e pertanto da
sottrarre al mercato e alla concorrenza, in
analogia con quanto previsto già per gli
oneri di sicurezza.
Il Gruppo di lavoro interregionale “Codice
contratti” operante presso ITACA e
coordinato da Regione Piemonte, ha adottato
nell’incontro tenuto lo scorso 14 luglio, un
documento recante “PRIME
INDICAZIONI PER L’APPLICAZIONE DELLE
MODIFICAZIONI INTRODOTTE ALL’ART. 81 DEL
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI DALLA LEGGE
12.07.2011, N. 106, DI CONVERSIONE DEL DL
70/2011”.
Il documento, che sarà trasmesso alla
Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome per le opportune valutazioni, vuole
essere un primo contributo a supporto delle
stazioni appaltanti che si trovano ad
applicare una norma che indubbiamente
impatta su tutte le procedure di gara,
settori e per qualunque importo e che avrà
rilevanti sviluppi anche nelle fase di
gestione del contratto (tratto dal sito
www.itaca.org).
---------------
Il costo del lavoro non
è negoziabile! Le modifiche introdotte dalla
“Legge Sviluppo” e le prime indicazioni
operative.
La Legge 106/2011 (Legge di conversione del
Decreto Sviluppo) ha introdotto una
importante novità nel criterio di scelta
dell’offerta che avrà ripercussioni su tutto
il sistema di aggiudicazione degli appalti.
In particolare la nuova norma introduce il
comma 3-bis all’art. 81 del Codice degli
Appalti (D.Lgs. 163/2006): “L’offerta
migliore è determinata al netto delle spese
relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti
dalla contrattazione collettiva nazionale di
settore tra le organizzazioni sindacali dei
lavoratori e le organizzazioni dei datori di
lavoro comparativamente più significative
sul piano nazionale, e delle misure di
adempimento delle disposizioni in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
La norma, quindi, impone di salvaguardare
sempre e comunque il valore della manodopera
quale costo non negoziabile, così come già
previsto per i costi della sicurezza.
Il Gruppo di lavoro interregionale “Codice
contratti” operante presso ITACA e
coordinato da Regione Piemonte, ha adottato
nell’incontro tenuto lo scorso 14 luglio, un
documento recante “Prime indicazioni per
l’applicazione delle modificazioni
introdotte all’art. 81 del Codice dei
Contratti pubblici dalla Legge 12.07.2011,
n. 106, di conversione del DL 70/2011”.
Il documento, che sarà trasmesso alla
Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome per le opportune valutazioni, vuole
essere una guida in grado di fornire
indicazioni operative sui Lavori pubblici,
alla luce delle nuove disposizioni normative
(21.07.2011 - commento tratto da
www.acca.it). |
APPALTI SERVIZI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
21.07.2011, "Indirizzi in materia di
affidamento dei servizi e convenzioni tra
enti pubblici e cooperative sociali in
attuazione della d.g.r. n. 1353/2011" (deliberazione
G.R. 13.07.2011 n. 6459). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI:
L’approvazione di un
progetto preliminare di opera pubblica
appartiene alla competenza generale
residuale della Giunta.
L’approvazione di un progetto preliminare di
opera pubblica appartiene alla competenza
generale residuale della Giunta, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 42 e 48
d.lgs. 267 del 2000, salvo che
l’approvazione del progetto comporti una
variante allo strumento urbanistico, nel
qual caso la competenza appartiene al
Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.07.2010, n.
4890) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1258 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla possibilità di
modificare la composizione di un RTI
concorrente in una gara d'appalto prima
della fase di presentazione dell'offerta.
In materia di composizione dei
raggruppamenti temporanei e di loro
modificazione la norma di riferimento è
l'art. 37, c. 9, del D.Lgs. n. 163/2006 che
dispone: "… Salvo quanto disposto ai
commi 18 e 19, è vietata qualsiasi
modificazione alla composizione dei
raggruppamenti temporanei e dei consorzi
ordinari di concorrenti rispetto a quella
risultante dall'impegno presentato in sede
di offerta".
Se il divieto di modificazioni è correlato
all'assunzione dell'impegno che consegue
alla presentazione dell'offerta è logico
ritenere che l'ordinamento non esclude la
possibilità di modificazioni prima che
l'offerta sia presentata, anche se la
procedura è già stata avviata (ed è il caso
della procedura ristretta, che contempla una
previa fase di qualificazione).
Nella fase precedente la formulazione
dell'offerta, d'altra parte, il concorrente
non assume nessun impegno particolare: non
quello alla partecipazione (che dipende
dalle valutazioni della stazione
appaltante), né quello di presentare
un'offerta in caso di invito (che il
concorrente resta libero di accogliere o
meno) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1254 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La clausola di un bando
che, preveda requisiti soggettivi di
ammissione tali da precludere in modo sicuro
l'utile partecipazione di determinate
categorie di soggetti è direttamente lesiva
e deve, pertanto, essere immediatamente
impugnata.
Nel caso in cui la clausola della "lex
specialis" preveda requisiti soggettivi
di ammissione tali da precludere in modo
sicuro l'utile partecipazione di determinate
categorie di soggetti, com'è il caso
dell'impossibilità di far ricorso
all'istituto dell'avvalimento, deve essere
immediatamente impugnata dall'impresa che
risulti priva di siffatti requisiti, in
quanto il bando è immediatamente lesivo;
soltanto nell'ipotesi in cui la predetta
clausola presenti, invece, un profilo di
ambiguità, nel senso di non rendere
immediatamente percepibile l'effetto
preclusivo della partecipazione per le
imprese prive di un determinato requisito
soggettivo, il bando non assume carattere
immediatamente lesivo e, pertanto, deve
essere impugnato unitamente all'atto con il
quale l'impresa è stata esclusa dalla gara,
in applicazione proprio della clausola
suscettibile di diverse interpretazioni (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 19.07.2011 n. 6478 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'istituto della
revisione dei prezzi negli appalti di
servizi o forniture ad esecuzione periodica
o continuativa: finalità e termine di
prescrizione.
La natura dell'istituto della revisione dei
prezzi negli appalti di servizi o forniture
ad esecuzione periodica o continuativa
disciplinata dall'art. 115 del Codice dei
Contratti Pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006)
ha una duplice funzione: da un lato di
tutela dell'esigenza dell'Amministrazione di
evitare che il corrispettivo del contratto
di durata subisca aumenti incontrollati nel
corso del tempo tali da sconvolgere il
quadro finanziario sulla cui base è avvenuta
la stipulazione del contratto; dall'altro di
tutela dell'interesse dell'impresa a non
subire l'alterazione dell'equilibrio
contrattuale conseguente alle modifiche dei
costi che si verifichino durante l'arco del
rapporto e che potrebbero indurla ad una
surrettizia riduzione degli standard
qualitativi delle prestazioni.
La disciplina dettata in materia di
revisione prezzi negli appalti di servizi o
forniture ad esecuzione periodica o
continuativa, di cui all'art. 115 del d.lgs.
n. 163/2006, ha carattere imperativo ed
un'eventuale clausola contrattuale difforme
rispetto alla disciplina normativamente
prevista, deve ritenersi nulla. La legge non
ha, invece, provveduto a stabilire
espressamente un periodo massimo oltre il
quale non sia possibile richiedere di
procedere alla revisione del prezzo.
Considerata la natura indisponibile del
diritto in questione, nonché la mancanza di
un espresso termine normativo entro il quale
il diritto possa essere fatto valere, la
richiesta può essere effettuata entro il
termine di prescrizione quinquennale dettato
dall'art. 2948, n. 4) c.c..
Pertanto, nel caso di specie, la relativa
richiesta della società di revisione dei
prezzi non poteva essere respinta in quanto
non era decorso il suddetto termine di
prescrizione e conseguentemente le deve
essere riconosciuto il diritto al pagamento
degli importi dovuti a titolo di revisione
prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.07.2011 n. 4362 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sulla caduta massi è
responsabile l'Anas... ma entro quali
limiti?
Spetta all'ANAS impedire
la caduta massi anche se non è tenuta a
sigillare l'intera scarpata sottostante.
E' quanto ha stabilito dalla Corte di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 18.07.2011 n. 15720, con
la quale si afferma che, se la frana ha
avuto origine da un luogo diverso da quello
in custodia dell'ANAS, l'evento deve
considerarsi imprevedibile.
Il caso vedeva un automobilista essere
travolto da grossi massi mentre era alla
guida del proprio mezzo. In particolare, il
materiale roccioso era franato da terreni di
proprietà di terzi, a monte, per qualche
centinaio di metri rispetto alla strada
statale. Tra la strada e i suddetti terreni,
sempre a monte, correva una linea
ferroviaria con il relativo muro di
contenimento, innalzato dalle ferrovie,
rispetto all'originario muro, dopo la
precedente caduta di massi i quali,
provenienti dai terreni dei terzi suddetti,
avevano spostato i binari e danneggiato il
muro di contenimento.
Secondo l'orientamento dominante nella
giurisprudenza di legittimità, richiamato
dagli ermellini, la responsabilità ex art.
2051 c.c. sussiste in relazione a tutti i
danni da essa cagionati, sia per la sua
intrinseca natura, sia per l’insorgenza in
essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo
dal caso fortuito, che può essere
rappresentato -con effetto liberatorio
totale o parziale- anche dal fatto del
danneggiato, avente un'efficacia causale
tale da interrompere del tutto il nesso
eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o
da affiancarsi come ulteriore contributo
utile nella produzione del danno.
In relazione alle strade aperte al pubblico
transito si ritiene che la disciplina di cui
all'art. 2051 c.c. sia applicabile in
riferimento alle situazioni di pericolo
connesse alla struttura o alle pertinenze
della strada, essendo configurabile il caso
fortuito in relazione a quelle situazioni
provocate dagli stessi utenti, ovvero da una
repentina e non specificamente prevedibile
alterazione dello stato della cosa che,
nonostante l'attività di controllo e la
diligenza impiegata allo scopo di garantire
un intervento tempestivo, non possa essere
rimossa o segnalata, per difetto del tempo
strettamente necessario a provvedere.
Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o
meno della repentina alterazione della cosa,
occorre, secondo il giudice nomofilattico,
aver riguardo, per quanto concerne pericoli
derivanti da situazioni strutturali e dalle
caratteristiche della cosa, al tipo di
pericolosità che ha provocato l'evento di
danno e che, ove si tratti di una strada,
può atteggiarsi diversamente, in relazione
ai caratteri specifici di ciascun tratto ed
agli eventi analoghi che lo abbiano in
precedenza interessato.
Nel caso di specie la Terza Sezione ha
ritenuto imprevedibile la frana di maggiore
consistenza, che ha determinato
l'alterazione dello stato della cosa in
custodia, sebbene abbia riconosciuto che
negli anni precedenti si erano verificate
frane, proprio provenienti dai terreni a
monte, che la stessa ANAS, negli anni
precedenti, aveva predisposto opere per far
fronte allo stesso problema e che nella zona
intermedia a monte, di spettanza delle
Ferrovie, erano già state predisposte delle
opere.
Tali circostanze, concludono gli ermellini,
avrebbero dovuto condurre ad interrogarsi
sul se l'alterazione della cosa per via
della frana fosse, piuttosto, prevedibile e
se da parte dell'ANAS erano state poste in
essere le idonee misure di sicurezza sulla
strada (link a www.altalex.com). |
LAVORI PUBBLICI:
L'Anas paga i danni se
il terreno privato frana.
L’Anas deve pagare i
danni all’automobilista investito da una
frana anche se questa proviene dal terreno
di un privato.
La Corte di Cassazione, Sez. III civile, con
la
sentenza 18.07.2011 n. 15720
inchioda l’azienda alle sue responsabilità
escludendo la possibilità di scaricare su
terzi l’obbligo di segnalare rischi o porre
in sicurezza le aree in prossimità delle
strade statali.
La prevedibilità
dell’evento.
Gli ermellini hanno così ribaltato i
verdetti con cui sia del Tribunale sia della
Corte d’Appello di merito avevano negato il
diritto del ricorrente a ottenere un
indennizzo dall’Anas per i danni causati
alla sua automobile dal cedimento di un
terreno a monte della strada che stava
percorrendo.
Secondo i giudici di merito, infatti, la
responsabilità prevista dall’articolo 2051
del codice civile si applica alle situazioni
di pericolo che si possono verificare sulle
strade pubbliche o aperte al pubblico ma va
esclusa, quando l’evento è imprevedibile o
perché causato dallo stesso utente o perché
dovuto a un’alterazione “repentina dello
stato della cosa”, come avvenuto,
secondo la Corte d’Appello di Milano, nel
caso analizzato.
Per i giudici di secondo grado l’Anas,
infatti, non poteva ipotizzare né evitare
una frana che proveniva da un terreno di
proprietà di terzi e non aveva di
conseguenza alcun obbligo né di segnalare un
pericolo non individuabile né di mettere in
atto interventi di salvaguardia.
Non è d’accordo la Cassazione, che rinvia la
causa alla Corte d’Appello invitandola a
tenere nella debita considerazione
soprattutto due circostanze che proverebbero
la prevedibilità dell’evento. Negli anni
precedenti quel tratto stradale era già
stato interessato da sfaldamenti di piccola
entità, comunque tali da indurre le Ferrovie
dello stato a mettere in sicurezza i binari
a ridosso della zona. Crolli presi in
considerazione, come risultava da una
relazione tecnica, anche dalla stessa Anas,
che aveva predisposto delle opere, per
fronteggiare lo stesso problema (commento
tratto e link a
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
APPALTI: Il
termine di 10 gg., entro il quale l'impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria, e le
sanzioni conseguenti alla sua inosservanza
(ndr: escussione della cauzione provvisoria
e segnalazione all’Autorità di Vigilanza)
sono automatiche e non vanno applicate solo
in caso di comprovata impossibilità per
l'impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità ovvero
allorché, comprovando un oggettivo
impedimento a rispettare il termine, ne
abbia tempestivamente chiesto la proroga.
Premesso che:
- la società ricorrente ha partecipato alla
gara indetta dal Comune di Zibido San
Giacomo per l’aggiudicazione dei lavori
relativi alla realizzazione della pista
ciclabile, venendone esclusa all’esito delle
indagini a campione, con escussione della
cauzione provvisoria e segnalazione
all’Autorità di Vigilanza, per la mancata
produzione della documentazione richiesta
entro il termine perentorio di 10 giorni
(30.07.2009) e tardivamente inviata dopo tre
giorni (03.08.2009) a causa della asserita
mancata ricezione del fax;
...
Considerato che:
- l’art. 48 del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163, al primo comma, prescrive
che “Le stazioni appaltanti prima di
procedere all'apertura delle buste delle
offerte presentate, richiedono ad un numero
di offerenti non inferiore al 10 per cento
delle offerte presentate, arrotondato
all'unità superiore, scelti con sorteggio
pubblico, di comprovare, entro dieci giorni
dalla data della richiesta medesima, il
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. Quando tale prova
non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni
appaltanti procedono all'esclusione del
concorrente dalla gara, all'escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'articolo 6, comma
11. L'Autorità dispone altresì la
sospensione da uno a dodici mesi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento”;
- con la determinazione n. 5 del 21.05.2009
l’Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici, in merito alla natura del termine
di dieci giorni entro cui i concorrenti
sorteggiati devono documentare i requisiti
richiesti nel bando ed oggetto di
autodichiarazione, ha ribadito quanto già
precisato dall’Autorità nel precedente atto
di regolazione n. 15 del 2000 con riguardo
all’art. 10 della legge n. 109/1994 (“Il
termine di dieci giorni è perentorio e
improrogabile, nel senso che il suo
obiettivo decorso senza che il sorteggiato
abbia fatto pervenire alla stazione
appaltante la necessaria documentazione
implica l'automatico effetto dell'esclusione
dalla gara, dell'incameramento della
cauzione provvisoria e della segnalazione
alla stessa Autorità per i provvedimenti di
competenza. Né assume rilievo l'effettivo
possesso dei requisiti da parte
dell'operatore economico ovvero la
documentazione degli stessi successivamente
al decorso dei dieci giorni assegnati, dal
momento che, per come è formulata la norma,
rileva, al fine della produzione degli
effetti sanzionatori, il solo dato,
obiettivo e formale, dell'inadempimento nel
termine prescritto”);
- questo Consiglio in più occasioni ha avuto
modo di statuire che il suddetto termine di
dieci giorni, entro il quale l'impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria, e le
sanzioni conseguenti alla sua inosservanza
sono automatiche e non vanno applicate solo
in caso di comprovata impossibilità per
l'impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità ovvero
allorché, comprovando un oggettivo
impedimento a rispettare il termine, ne
abbia tempestivamente chiesto la proroga
(sez. V: 13.12.2010 n. 8739 e 01.10.2010 n.
7263; sez. VI, 15.06.2009 n. 3804)
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 18.07.2011 n. 2852 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Corte
dei conti Lombardia. A volte riportare i
servizi all'interno è più conveniente.
Messo in discussione il dogma della
riduzione della spesa di personale. A fronte
della possibilità di reinternalizzare un
servizio, con conseguente oggettivo
risparmio in termini di costi, si può
giustificare un aumento della spesa per i
dipendenti?
Il problema è stato posto dal comune di
Porto Mantovano alla Corte dei conti
Lombardia, la quale, pur cavalcando una
soluzione favorevole all'ente locale,
rimette la questione alle Sezioni Riunite.
Il presupposto viene identificato in una
situazione considerata ottimale dal punto di
vista della gestione del personale, cioè un
rapporto fra spesa di personale e spesa
corrente che si aggira attorno al 22% e un
rapporto fra dipendenti e residenti pari a 1
ogni 400 circa.
Dati alla mano, il Comune dimostra che
riportare all'interno un'attività, prima
esternalizzata, comporta maggiori costi a
livello di personale, ma l'incremento viene
assorbito da minori oneri in termini di
uscite per servizi, con una differenza di
gran lunga a favore del comune. La Corte
lombarda osserva come le disposizioni sulla
riduzione della spesa di personale non
rappresentano mere indicazioni, ma devono
essere considerate veri e propri vincoli,
che si inseriscono in quel coordinamento
della finanza pubblica, previsto dal
l'articolo 119 della Costituzione.
D'altro canto, però, i giudici contabili non
si nascondono che i principi di economicità
e di efficacia non rappresentano solo
criteri che devono guidare le scelte
discrezionali della pubblica
amministrazione, ma devono essere
considerati elementi che caratterizzano la
legittimità del l'azione amministrativa, di
cui l'autorità giudiziaria può ben chiederne
conto. Si colloca, quindi, in quell'alveo
del buon andamento tutelato dall'articolo 97
della Costituzione.
Già in altra occasione, le Sezioni riunite
hanno sottolineato che sulla spesa di
personale è necessaria un'analisi molto più
dettagliata per arrivare a una
quantificazione più precisa. Il
coordinamento delle diverse esigenze
tutelate dalla stessa Costituzione diventa
sempre più complesso se si considera anche
il principio dell'autonomia organizzativa
degli enti territoriali previsto dal
l'articolo 114.
In altri termini, la Corte si chiede se
l'efficienza, l'efficacia e l'economicità
non costituiscano un confine invalicabile
anche per le esigenze di finanza pubblica,
che si reggono sui tagli alla spesa storica.
Le argomentazioni risultano estremamente
convincenti, anche se la Corte non ha
affondato il colpo, in quanto una crepa del
sistema potrebbe aprire il campo a
comportamenti elusivi che possono realmente
mettere in crisi i delicati equilibri dei
conti pubblici (articolo
Il Sole 24 Ore del 18.07.2011
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI E FORNITURE: G.U.
18.07.2011 n. 165 "Saggio degli interessi
da applicare a favore del creditore nei casi
di ritardo nei pagamenti nelle transazioni
commerciali" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
comunicato). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Appalto
di manodopera, la Cassazione chiarisce.
L'argomento relativo all'appalto illegale di
manodopera nell'ambito della contrattazione
privata è sempre di attualità.
Interessante si presenta sul tema la lettura
della sentenza 15.07.2011 n. 15615
della Cassazione.
In tema di interposizione nelle prestazioni
di lavoro l'esercizio di un potere di
controllo da parte del committente è
compatibile con un regolare contratto di
appalto e, sotto questo profilo, può
ritenersi legittima la predeterminazione da
parte del committente anche delle modalità
temporali e tecniche di esecuzione del
servizio o dell'opera oggetto dell'appalto
che dovranno essere rispettate
dall'appaltatore, con la conseguenza che non
può ritenersi sufficiente ai fini della
configurabilità di un appalto fraudolento la
circostanza che il personale dell'appaltante
impartisca disposizioni agli ausiliari
dell'appaltatore, occorrendo verificare se
le disposizioni impartite siano
riconducibili al potere direttivo del datore
di lavoro, in quanto inerenti a concrete
modalità di svolgimento delle prestazioni
lavorative, oppure al solo risultato di tali
prestazioni, il quale può formare oggetto di
un genuino contratto di appalto.
Tanto richiamato, ferma la ratio legis che
sottende la disciplina di cui al dlgs n.
276/2003 e l'autonomia e la specificità
degli istituti ivi previsti rispetto alle
disposizioni previgenti abrogate dal
medesimo dlgs e alle disposizioni del codice
civile, l'interprete può, tutt'ora,
rinvenire nei principi sopra richiamati
alcuni parametri significativi al fine della
verifica della ricorrenza o meno di un
contratto di appalto attraverso il quale si
intenda eludere le disposizioni che
disciplinano il mercato del lavoro.
Nella fattispecie in esame, la Corte di
appello di Torino aveva accolto il ricorso
in appello proposto da un lavoratore che
aveva domandato l'accertamento della
sussistenza di un rapporto di lavoro in capo
alla committente ai sensi dell'art. 29,
comma 3-bis, del dlgs n. 276/2003,
nell'ambito di un contratto di appalto,
avente ad oggetto servizi informatici, che
prevedeva lo svolgimento dell'attività
lavorativa dei dipendenti della società
appaltatrice presso la struttura della
committente, con mezzi materiali propri
della committente e in gruppi di lavoro
formati anche dai dipendenti della società
committente.
La sentenza della Corte ha poi confermato la
sentenza d'appello
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011). |
APPALTI: Nelle
gare d'appalto è necessario presentare la
dichiarazione attestante il requisito della
moralità professionale dell’impresa,
intendono assumere come destinatari di tale
obbligo tutti i soggetti-persone fisiche
titolari dei poteri di rappresentanza o che
tali poteri hanno avuto nel triennio
precedente (ed ora nell’anno precedente).
Anche per gli amministratori di società fuse
per incorporazione in una società
(incorporante) partecipante ad una gara
debba essere presentata la dichiarazione
attestante il requisito della moralità
professionale previsto dall’art. 38, comma
1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
-------------
Le associazioni temporanee di impresa (anche
costituende) devono indicare, a pena di
esclusione, anche nelle gare per l'appalto
di pubblici servizi (o di forniture) le
quote di partecipazione delle singole
imprese associate e le parti del servizio (o
delle forniture) che ogni singola impresa
dovrà eseguire.
Ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs.
n. 163 del 2006 (secondo il quale "i
concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione al raggruppamento"), deve
sussistere una perfetta simmetria (anche)
tra la quota di servizi e la quota di
effettiva partecipazione al raggruppamento e
che la quota di partecipazione deve essere
stabilita e manifestata, a pena di
inammissibilità dell'offerta, dai componenti
del raggruppamento all’atto di
partecipazione alla gara. Infatti con tale
disposizione, che è valida anche per gli
appalti di servizi, il legislatore ha inteso
evitare che alla spendita dei requisiti di
partecipazione (e di qualificazione) non
corrisponda un identico impegno in sede di
esecuzione dei lavori.
Deve
innanzitutto ricordarsi che l’art. 38, comma
1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006,
prevede l’esclusione dalla partecipazione
alle procedure di affidamento dei soggetti
nei cui confronti sono state emesse sentenze
di condanna per reati gravi che incidono
sulla moralità professionale e che, nelle
società a responsabilità limitata e per
azioni, ricoprono la carica di
amministratore con poteri di rappresentanza
o di direttore tecnico.
L’esclusione e il divieto, secondo quanto
stabilito dalla disposizione all’epoca in
vigore, operano poi anche nei confronti dei
soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara (mentre ora l’esclusione e il
divieto operano nei confronti dei soggetti
cessati dalla carica nel solo anno
antecedente la data di pubblicazione del
bando, per effetto della modifica disposta
con il comma 2 dell’art. 4, del D.L.
13.05.2011, n. 70, con i limiti previsti dal
comma 3 dello stesso articolo).
Il comma 2 dell’articolo 38 precisa, poi,
che il concorrente attesta il possesso dei
requisiti mediante dichiarazione sostitutiva
resa con le modalità stabilite dal DPR
28.12.2000, n. 445.
Le indicate disposizioni, pertanto, nel
prevedere la necessaria presentazione della
dichiarazione attestante il requisito della
moralità professionale dell’impresa,
intendono assumere come destinatari tutti i
soggetti-persone fisiche titolari dei poteri
di rappresentanza della stessa o che tali
poteri hanno avuto nel triennio precedente
(ed ora nell’anno precedente).
Ciò precisato, in generale, occorre ora
affrontare la questione, rilevante nel caso
di specie, riguardante l’inclusione, fra i
soggetti per i quali la dichiarazione deve
essere presentata, anche degli
amministratori di società incorporate nel
triennio la data di pubblicazione del bando
(ed ora nell’anno precedente).
Ritiene questo Collegio che la sentenza
appellata, sul punto, debba essere condivisa
dovendosi ritenere che anche per gli
amministratori di società fuse per
incorporazione in una società (incorporante)
partecipante ad una gara debba essere
presentata la dichiarazione attestante il
requisito della moralità professionale
previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c),
del d.lgs. n. 163 del 2006.
Infatti la fusione tra società, nella
ipotesi di fusione impropria o per
incorporazione, non comporta, anche a
seguito della riforma del diritto societario
(d.lgs. 17.01.2003 n. 6), la completa
estinzione della società incorporata ma
determina l'integrazione della stessa nella
società incorporante con una evoluzione
della forma giuridica del soggetto
incorporato che conserva comunque una
propria riconoscibilità pur in un nuovo
assetto organizzativo nel quale si determina
una riunificazione soggettiva delle
compagini sociali ed una riunificazione
oggettiva dei patrimoni.
E, in ogni caso, si determina una
prosecuzione nella società incorporante di
tutti in rapporti attivi e passivi della
società incorporata. Infatti il primo comma
dell’art 2504-bis del c.c., prevede che “La
società che risulta dalla fusione o quella
incorporante assumono i diritti e gli
obblighi delle società partecipanti alla
fusione, proseguendo in tutti i loro
rapporti, anche processuali, anteriori alla
fusione”.
Si deve pertanto ritenere che l’obbligo
previsto dall'art. 38, comma 1, lett. c),
del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, operi anche
con riferimento ai titolari di poteri di
rappresentanza delle imprese incorporate per
fusione.
Diversamente, come correttamente affermato
nella appellata sentenza, la mera e formale
confluenza di un'azienda priva di requisiti
di moralità, ma ampiamente dotata degli
altri requisiti di partecipazione, in
un'azienda non dotata dei requisiti di
partecipazione ma dotata dei requisiti di
moralità, consentirebbe alla prima di
continuare agevolmente a concorrere alle
procedure di appalto, con la conseguente
facile elusione delle disposizioni poste a
garanzia della moralità professionale dei
partecipanti alle gare pubbliche dall'art.
38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
---------------
Questa Sezione,
in linea con la giurisprudenza più recente
(Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2010, n.
744), ha peraltro ritenuto, con diverse
pronunce, che le associazioni temporanee di
impresa (anche costituende) devono indicare,
a pena di esclusione, anche nelle gare per
l'appalto di pubblici servizi (o di
forniture) le quote di partecipazione delle
singole imprese associate e le parti del
servizio (o delle forniture) che ogni
singola impresa dovrà eseguire (Consiglio di
Stato, sez. III n. 2132 del 06.04.2011 cit.;
n. 2804 e n. 2805 dell’11.05.2011).
In tali pronunce, dalle quali non v’è
ragione di discostarsi, si è affermato che,
ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs.
n. 163 del 2006 (secondo il quale "i
concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione al raggruppamento"),
deve sussistere una perfetta simmetria
(anche) tra la quota di servizi e la quota
di effettiva partecipazione al
raggruppamento e che la quota di
partecipazione deve essere stabilita e
manifestata, a pena di inammissibilità
dell'offerta, dai componenti del
raggruppamento all’atto di partecipazione
alla gara. Infatti con tale disposizione,
che è valida anche per gli appalti di
servizi, il legislatore ha inteso evitare
che alla spendita dei requisiti di
partecipazione (e di qualificazione) non
corrisponda un identico impegno in sede di
esecuzione dei lavori.
Si è infatti giustamente osservato che il
comma 13 dell’articolo 37 statuisce, in
generale (e senza distinguere fra appalti di
lavori ed appalti di servizi e forniture),
che “I concorrenti riuniti in
raggruppamento temporaneo devono eseguire le
prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al
raggruppamento”.
La chiarezza del tenore letterale della
disposizione impone di considerare
vincolanti, per le imprese riunite, gli
obblighi di specificazione delle parti delle
prestazioni che saranno poi eseguite da
ciascuna di esse nonché le quote di
partecipazione al RTI e tale obbligo deve
ritenersi espressione di un principio di
carattere generale che prescinde
dall'assoggettamento (o meno) della gara
alla disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla natura del
raggruppamento (verticale o orizzontale) o
alla tipologia delle prestazioni (principali
o secondarie, scorporabili o unitarie).
Si è anche chiarito che la necessità di
indicare nell'offerta le parti del servizio
che saranno eseguite dalle singole imprese
risponde a diverse esigenze di pubblico
interesse:
a) consentire la conoscenza preventiva, da
parte della stazione appaltante, di chi (fra
i diversi partecipanti all’ATI) è il
soggetto che si è impegnato effettivamente
ad eseguire il servizio in ogni sua parte;
b) agevolare la verifica, da parte della
commissione di gara e poi del responsabile
del procedimento, delle competenza tecniche
degli esecutori per ogni parte del servizio;
c) rendere effettiva la composizione del
raggruppamento e rispondente a reali
esigenze di unire capacità tecniche e
finanziarie integrative e complementari;
d) rendere possibile una maggiore speditezza
nella fase di esecuzione del contratto;
e) non consentire la partecipazione di
imprese non qualificate che potrebbero
aggirare (anche solo per parte del servizio)
le norme di ammissione stabilite dal bando;
f) non consentire, ai fini della valutazione
tecnica delle offerte, la partecipazione di
un raggruppamento composto da imprese con
una presenza meramente fittizia.
Si è quindi chiarito che l’obbligo di
specificazione delle quote di partecipazione
trova (ovviamente) applicazione anche per le
ATI costituende che sono tenute anch'esse ad
indicare, già nella fase di ammissione alla
gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le
quote di partecipazione di ciascuna impresa
al futuro raggruppamento e le quote di
ripartizione delle prestazioni oggetto
dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 15.07.2011 n. 4323 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisiti di
partecipazione alla gara. Limiti del potere
della stazione appaltante di introdurne
ulteriori e maggiormente selettivi rispetto
a quelli stabiliti dalle norme.
Il potere discrezionale dell'amministrazione
appaltante di determinare le regole della
gara e, in specie, di introdurre requisiti
di partecipazione alla gara, oggettivi e/o
soggettivi -ulteriori e maggiormente
selettivi rispetto a quelli stabiliti dalle
norme- incontra il limite del rispetto del
principio di proporzionalità e di
ragionevolezza; in tal modo i requisiti non
devono restringere indebitamente l’accesso
alla procedura e devono essere giustificati
da specifiche esigenze imposte dal peculiare
oggetto dell'appalto (1).
E’ illegittima, per violazione dei principi
di proporzionalità e ragionevolezza, la
clausola di un bando di gara per
l’affidamento dell’appalto del servizio di
mensa scolastica che, ai fini della
partecipazione alla gara stessa, richieda, a
pena di esclusione, il requisito del
possesso di un pregresso fatturato nello
specifico settore oggetto della gara
(ristorazione scolastica) nove volte
superiore a quello oggetto di gara; tale
requisito, infatti, è eccessivo ed
ingiustificato, per la mancata correlazione
con l’interesse pubblico specifico ad una
particolare qualificazione delle imprese
partecipanti.
---------------
(1) Cfr. TAR Sardegna, sez. I, 12.10.2010
n. 2293.
Ha osservato la sentenza in rassegna, che la
peculiarità del servizio, e la giusta
aspirazione ad elevati standard di qualità
ed efficienza, non giustifica né la
previsione di un livello di fatturato del
tutto sproporzionato, né la sua limitazione
allo specifico settore di gara (ristorazione
scolastica), quando è noto che i medesimi
requisiti di esperienza e professionalità
possono essere maturati in settori del tutto
affini o comunque sovrapponibili, come ad
es. la ristorazione collettiva
socio-sanitaria (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.07.2011 n. 1062 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pendenze con l'Agenzia delle Entrate ed
esclusione dal contratto d'appalto.
Domanda.
Si chiede se deve essere pronunciato o meno
il provvedimento di esclusione dalla stipula
di un contratto di appalto nei confronti di
una ditta che alla data di presentazione
dell'offerta di gara risultava già avere
pendenze con l'Agenzia delle Entrate.
Risposta.
L'oggetto del quesito riguarda la
possibilità o meno di esclusione dalla
stipula di un contratto di appalto nei
confronti di una ditta che risulta avere
pendenze con l'Agenzia delle Entrate. In
tema di requisiti soggettivi per la
partecipazione a gare di appalto, la
ratio dell'art. 38, comma 1, lettera g),
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, il quale
stabilisce l'esclusione dei "soggetti che
hanno commesso violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana o dello Stato in
cui sono stabiliti", risponde
all'esigenza di garantire l'Amministrazione
relativamente alla solvibilità e solidità
finanziaria del soggetto con il quale
contrae.
In relazione alla rilevata ratio
appare necessario che sia di volta in volta
in concreto indagata la vicenda relativa
all'assolvimento degli obblighi di pagamento
di imposte e tasse per accertarne la
rilevanza, mirando la necessaria verifica ad
appurare non già la sussistenza di una mera
singola violazione, ma la globale regolarità
sul piano tributario di ciascuna impresa
partecipante alla gara quale eventuale
futura contraente con la P.A., capace di
accreditare la solvibilità delle imprese;
singole, isolate omissioni di modesto
contenuto, incapaci in quanto tali di
reagire su tale globale situazione
finanziaria, non possono giustificare la
grave conseguenza dell'esclusione da una
pubblica gara, tra l'altro di facoltativa
applicazione nei singoli ordinamenti
nazionali.
Inoltre non può essere considerata
irregolare la posizione dell'impresa
partecipante a gara pubblica qualora sia
ancora pendente il termine di 60 giorni per
l'impugnazione (o per l'adempimento) ovvero,
qualora sia stata proposta impugnazione, non
sia passata ancora in giudicato la pronuncia
giurisdizionale (TAR Veneto Sez. I,
27.01.2011 n. 115; Cons. Stato Sez. V,
20.04.2010, n. 2213) (15.07.2011 -
commento tratto da www.ipsoa.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
relazione geologica non può essere
sostituita da una qualsiasi, indeterminata
valutazione di idoneità da parte del
progettista (professionista diverso dal
geologo), in quanto la disciplina relativa
ai lavori pubblici impone chiaramente alla
stazione appaltante l'acquisizione della
detta relazione geologica ai fini della
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva.
E' stato, anche di recente, affermato (cfr.
Cons. St., sez. VI, 23.09.2009, n. 5666) che
la relazione geologica non può essere
sostituita da una qualsiasi, indeterminata
valutazione di idoneità da parte del
progettista (professionista diverso dal
geologo), in quanto la disciplina relativa
ai lavori pubblici impone chiaramente alla
stazione appaltante l'acquisizione della
detta relazione geologica ai fini della
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva.
Ed invero, ai sensi del D.P.R. n. 554/1999
(in particolare degli artt. 35 e 37
–applicabili ratione temporis alla
gara in argomento), è prevista
l'acquisizione obbligatoria agli atti
progettuali della relazione geologica,
obbligatorietà che emerge, altresì, da
ulteriori fonti normative (legge n. 64 del
02.02.1974 e D.M. 11.03.1988) nel caso in
cui l’area sia classificata, come nella
specie, “zona sismica di secondo livello”
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-Ter,
sentenza 14.07.2011 n. 6324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contrasto tra bando di
gara e lettera di invito.
In tema di gare
pubbliche, nel caso di contrasto tra il
bando e la lettera di invito, prevale il
primo, quale lex specialis della selezione
concorsuale, non modificabile mediante
lettera di invito.
Questo è il principio espresso con la
sentenza 14.07.2011 n. 4278 dai
giudici della VI sezione del Consiglio di
Stato in accoglimento di un ricorso
presentato da una società che era stata
esclusa da una gara sulla base delle
disposizioni contenute nella lettera di
invito.
La lettera d’invito, impugnata insieme al
provvedimento di esclusione, prevedeva che i
partecipanti dovessero avere la
disponibilità dei mezzi necessari per
l’esecuzione dell’appalto esclusivamente per
proprietà o avvalimento.
La società ricorrente riteneva illegittima
questa richiesta in quanto più restrittiva
rispetto ai requisiti di ammissione previsti
dal bando nel quale, ad eccezione dei mezzi
necessari per una particolare tipologia di
trasporto, tutti gli altri lavori potevano
essere eseguiti anche con mezzi che erano
nella disponibilità dei partecipanti tramite
noleggio.
La VI sezione, accogliendo la tesi della
ricorrente, ha sottolineato come la
disposizione in oggetto si riferisse solo ad
una particolare tipologia di trasporto e che
non poteva essere genericamente estesa a
tutti gli altri mezzi necessari per la
realizzazione dell’appalto.
Ed infatti “Osserva, in conclusione, il
Collegio che la lettera di invito contiene
una disciplina dei requisiti di ammissione
alla procedura più restrittiva di quella
prevista dal bando, o meglio dalle sue norme
integrative.[…] Trova quindi applicazione il
principio, affermato da Cons. Stato, V,
29.03.2004, n. 1660, secondo cui in tema di
gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il
bando e la lettera di invito, prevale il
primo, quale lex specialis della selezione
concorsuale, non modificabile mediante
lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A.,
18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II,
07.03.2001, n. 149/2001)”.
In conclusione secondo il Consiglio di
Stato, e in conformità con l’orientamento
espresso in precedenza dalla stessa
giurisprudenza amministrativa, il bando di
gara prevale sulle diverse e contrastanti
disposizioni contenute nella lettera di
invito (tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, motivata sulla base della lettera
d'invito, contenente una disciplina più
restrittiva rispetto alla normativa di gara.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione da una gara, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un RTI,
sulla base della disciplina contenuta nella
lettera d'invito, più restrittiva rispetto
alla normativa di gara, prevista nel bando.
Nel caso di specie, la lettera di invito
impone la disponibilità in proprietà od in
avvalimento di tutti i mezzi necessari per
l'esecuzione del contratto, in quanto
espressamente elenca le lavorazioni per le
quali i medesimi sono necessari. Il suddetto
enunciato è contrario alle disposizioni
della normativa di gara, contenute nelle
norme integrative al bando e nel capitolato
speciale prestazionale.
Trova, pertanto, applicazione il principio
secondo cui, in tema di gare pubbliche, nel
caso di contrasto tra il bando e la lettera
di invito, prevale il primo, quale lex
specialis della selezione concorsuale,
non modificabile mediante lettera d'invito
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.07.2011 n. 4278 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
tema di gare pubbliche, nel caso di
contrasto tra il bando e la lettera di
invito, prevale il primo, quale lex
specialis della selezione concorsuale, non
modificabile mediante lettera d'invito.
Osserva il Collegio che la lettera di invito
contiene una disciplina dei requisiti di
ammissione alla procedura più restrittiva di
quella prevista dal bando, o meglio dalle
sue norme integrative.
Deve essere poi osservato che la stazione
appaltante non propone alcuna
giustificazione del suddetto contrasto.
Torva quindi applicazione il principio,
affermato da Cons. Stato, V, 29.03.2004, n.
1660, secondo cui in tema di gare pubbliche,
nel caso di contrasto tra il bando e la
lettera di invito, prevale il primo, quale
lex specialis della selezione
concorsuale, non modificabile mediante
lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A.,
18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II,
07.03.2001, n. 149/2001) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 14.07.2011 n. 4278 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le spese contrattuali
gravano sull’affidatario. La terminologia,
anche generica di contraente, utilizzata nel
r.d. del 1924 non è dirimente nel senso di
ritenere che esse possano essere pretese
solo dopo la stipulazione del contratto;
anzi, la natura stesse di tali spese
(imposte, bolli, ecc.) ne implica una
contestualità/anteriorità con la
stipulazione. D’altro canto l’art. 139 del
d.p.r. 207/2010 chiarisce che le spese di
contratto sono a carico dell’"affidatario”.
La vigente normativa preclude la
stipulazione del contratto in ipotesi di
mancanza attuale di correntezza
contributiva, sicché la stazione appaltante
correttamente ha preso atto
dell’impossibilità di stipulare il
contratto, unitamente alla circostanza
correttamente già contestata, revocando
l’affidamento con determinazione per tale
profilo vincolata.
E’ pacifico che le spese contrattuali
gravino sull’affidatario. La terminologia,
anche generica di contraente, utilizzata nel
r.d. del 1924 non è dirimente nel senso di
ritenere che esse possano essere pretese
solo dopo la stipulazione del contratto;
anzi la natura stesse di tali spese
(imposte, bolli, ecc.) ne implica una
contestualità/anteriorità con la
stipulazione. D’altro canto l’art. 139 del
d.p.r. 207/2010 chiarisce che le spese di
contratto sono a carico dell’"affidatario”
(in tal caso quindi espressamente
utilizzando una qualificazione che esclude
l’intervenuta stipulazione del contratto).
La ricorrente deduce di avere eccepito in
compensazione crediti derivanti
dall’anticipata esecuzione dei lavori.
Poiché per altro la stessa ricorrente
dichiara che trattavasi di crediti che
sarebbero emersi da un sal non ancora
emesso, come eccepito dall’amministrazione,
il credito eccepito in compensazione non era
né liquido né esigibile sicché alcun onere
dell’amministrazione vi era di considerarlo.
Né pare corretta la censura di “sproporzione”
poiché rilevante è non tanto l’importo in
contestazione quanto l’ostacolo che la
condotta della ricorrente ha
ingiustificatamente frapposto alla
stipulazione del contratto; inoltre, a
contrario, proprio l’indisponibilità a
versare una somma non rilevante e comunque
presupposta per la stipulazione del
contratto poneva la vicenda contrattuale in
inevitabile fase di stallo e risultava
sintomatica di non solvibilità dell’impresa.
A ciò si aggiunga che, nelle more del
procedimento di revoca, è emersa una
inadempienza contributiva della ricorrente
(per altro la seconda, essendone emersa una
prima, poi sanata, a ridosso
dell’aggiudicazione).
Sul punto occorre precisare che trova
applicazione non solo l’art. 38 co. 2 lett.
i), come sostenuto in ricorso, bensì l’art.
38 co. 3, quanto al rapporto tra correntezza
contributiva e stipulazione del contratto;
detto comma oltre alla verifica delle
dichiarazioni rese in sede di
partecipazione, tra cui quella di cui
all’art. 38 lett. i), ai fini di una
eventuale esclusione, per quanto in
specifico riguarda l’”affidatario” e
quindi la stipulazione del contratto, rinvia
all’art. 2 del d.l. n. 210/2002 il quale
recita: “Le imprese che risultano
affidatarie di un appalto pubblico sono
tenute a presentare alla stazione appaltante
la certificazione relativa alla regolarità
contributiva a pena di revoca
dell'affidamento”.
Si ritiene pertanto che la vigente normativa
precluda la stipulazione del contratto in
ipotesi di mancanza attuale di correntezza
contributiva, sicché la stazione appaltante
correttamente ha preso atto
dell’impossibilità di stipulare il
contratto, unitamente alla circostanza
correttamente già contestata, revocando
l’affidamento con determinazione per tale
profilo vincolata.
Il regolamento del codice appalti prevede
poi la verifica di gravità, con riscontro di
almeno due durc negativi, nei confronti
dell’appaltatore già firmatario del
contratto; analoga previsione non è
richiamata per quanto concerne le
irregolarità riscontrate al momento della
stipulazione del contratto (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 14.07.2011 n. 783 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: La
strada cede? Paga il comune.
Se il trattore resta drammaticamente
coinvolto nel cedimento strutturale di una
strada comunale spetta all'amministrazione
ristorare economicamente gli eredi della
vittima.
Lo ha evidenziato la Corte di cassazione,
sez. III civ., con la sentenza 13.07.2011
n. 15384.
Un operatore che stava percorrendo una
strada siciliana con il trattore è rimasto
vittima di un grave incidente derivante dal
ribaltamento del mezzo per cedimento della
strada. A seguito della richiesta di
risarcimento dei danni il tribunale ha
rigettato la domanda ma la Corte d'appello
ha ribaltato l'esito della vertenza
condannando il comune al pagamento. La
Cassazione ha confermato questa
determinazione nonostante l'assoluzione in
sede penale dei tecnici comunali.
L'incidente, specifica il collegio, è stato
determinato dalla banchina cedevole ovvero
dall'impossibilità per il conducente di
accorgersi del rischio. Del resto è
pacifico, prosegue la sentenza, che lo
sfortunato conducente «circolava su
strada rettilinea e pianeggiante, non
procedeva a lavorazioni su terreni scoscesi
o con notevole pendenza, per cui non aveva
nessun obbligo di azionare il dispositivo di
sicurezza» (articolo
ItaliaOggi del 01.09.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: La
responsabilità precontrattuale della PA può
prescindere dalla legittimità del suo
operato.
Al fine del riconoscimento della
responsabilità precontrattuale non si deve
tener conto della legittimità dell’esercizio
della funzione pubblica cristallizzato nel
provvedimento amministrativo, bensì della
correttezza del comportamento
complessivamente tenuto dall’amministrazione
durante il corso delle trattative e della
formazione del contratto.
Sulla base di questo principio il Consiglio
di Stato, Sez. VI, con
sentenza 12.07.2011 n. 4196 ha
riconosciuto la responsabilità
precontrattuale per il comportamento tenuto
da un Comune e dalla regione Toscana che
dopo aver aggiudicato un appalto per la
realizzazione di un termovalorizzatore hanno
poi successivamente adottato atti e
provvedimenti tali da rendere
definitivamente impossibile la realizzazione
dell’impianto.
In particolare, successivamente
all’aggiudicazione dell’appalto, sull’area
di realizzazione dell’impianto venivano
posti una serie di vincoli ambientali,
paesaggistico e archeologici che di fatto
determinavano l’impossibilità della sua
realizzazione.
Avverso tali provvedimenti la società
aggiudicataria proponeva ricorso chiedendone
l’annullamento e il risarcimento dei danni.
In seguito al giudizio di primo grado svolto
dinanzi il TAR Toscana e nel quale erano
state rigettate le richieste della
ricorrente, veniva proposto appello al
Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato adito, pur
riconoscendo la legittimità dei
comportamenti delle Pubbliche
amministrazioni che avevano determinato la
revoca dell’appalto, ha sottolineato come “…ai
fini della configurabilità della
responsabilità precontrattuale della p.a.,
non si deve tener conto della legittimità
dell’esercizio della funzione pubblica
cristallizzato nel provvedimento
amministrativo, bensì della correttezza del
comportamento complessivamente tenuto
dall’Amministrazione durante il corso delle
trattative e della formazione del contratto,
alla luce dell’obbligo delle parti di
comportarsi secondo buona fede ai sensi
dell’articolo 1337 c.c.[…] Se ciò è vero, ne
risulta confermata la configurabilità di cui
all’art. 1337 cod. civ. anche nell’ipotesi
in cui la mancata stipula del contratto sia
dipesa da fattori non imputabili
all’amministrazione (ad es., il factum
principis ovvero il radicale mutamento della
situazione di fatto sottesa alla vicenda di
causa – Cons. Stato, sent. 1763 del 2006
cit.), laddove –tuttavia– l’amministrazione
si sia comunque resa colpevole di un
contegno non compatibile con il generale
obbligo di realizzazione degli adempimenti
necessari a garantire la validità,
l’efficacia o l’utilità del rapporto
sostanziale”.
In conformità a tale principio i giudici
della VI sezione hanno riconosciuto la
responsabilità del Comune e della Regione
Toscana, per aver ritardato l’adozione di
alcuni provvedimenti di loro competenza
nonostante fossero già a conoscenza della
sopravvenuta impossibilità di realizzazione
dell’opera.
In merito al quantum del danno risarcibile è
stato precisato come generalmente in materia
di responsabilità precontrattuale sono
risarcibili le spese inutilmente sopportate
nel corso delle trattative svolte in vista
della conclusione del contratto, nonché il
ristoro della perdite, se adeguatamente
provate, di ulteriori occasioni di
stipulazione di altri contratti.
Tale criterio tuttavia è stato soggetto ad
alcuni temperamenti da parte dei giudici
della VI sezione in quanto, pur trattandosi
di comportamento contrario a buona fede in
senso soggettivo tenuto dall’amministrazione
nel corso della fase precontrattuale, la
mancata stipula del contratto “…non
costituisca un effetto di tale
comportamento, bensì l’effetto di fattori
ulteriori autonomamente idonei, sotto il
profilo causale, a determinare
l’impossibilità di stipulare il contratto”.
Sulla base di queste considerazioni il
Consiglio di Stato ha formulato il criterio
in base al quale le amministrazioni
condannate dovranno determinare la somma di
denaro da proporre alla società appellante.
In conclusione con la sentenza in commento è
stata valorizzata anche nei rapporti tra
privato e pubblica amministrazione la
necessità del rispetto del principio di
correttezza e buona fede il quale impone
alle parti del rapporto il dovere di agire
in modo da preservare gli interessi
dell’altra, a prescindere dall’esistenza di
specifici obblighi contrattuali o di quanto
espressamente stabilito da singole norme di
legge (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Revisione prezzi va al
Tar. Competente anche per quantificarne
l'entità. Il Consiglio di stato ribalta la
tesi del Tribunale amministrativo del Lazio.
Il giudice
amministrativo è competente a decidere se vi
sia diritto alla revisione prezzi e a
quantificarne l'entità.
È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato,
Sez. III, con la
sentenza 12.07.2011 n. 4165 che
prende in considerazione alcuni profili di
competenza in materia di controversie
relative alla revisione prezzi (o, per
meglio dire, di adeguamento dei prezzi
contrattuali).
La controversia, riguardante un appalto di
lavori realizzati in un cimitero, era stata
già decisa dal Tar del Lazio che aveva
escluso la possibilità che il giudice
amministrativo potesse esprimersi, oltre che
sul riconoscimento del diritto alla
revisione prezzi (l'«an»), anche sul
«quantum» della stessa. Per il Tar
del Lazio: «L'eventuale controversia
relativa alla determinazione dei criteri
liquidatori e alla loro applicazione non può
che essere ricompresa nella cognizione del
giudice ordinario, involgendo in sostanza,
le norme del contratto d'appalto che
regolano il diritto alla revisione dei
prezzi».
La sentenza di secondo grado, invece, ha
ribaltato la tesi del Tar prendendo le mosse
dal quanto dispone il Codice dei contratti
pubblici afferma che, per effetto di quanto
disposto prima dall'art. 244 del dlgs n. 163
del 2006 (codice dei contratti pubblici) e
poi dall'art. 133, comma 1, lett. e), punto
2 del codice del processo amministrativo,
l'ambito della giurisdizione esclusiva in
materia di revisione dei prezzi ha ora una
portata ampia e generale. Il Consiglio di
stato ha ritenuto quindi che debba ritenersi
superato il tradizionale orientamento
interpretativo (fatto proprio dal Tar per il
Lazio), secondo cui al giudice
amministrativo spettavano le sole
controversie in materia di «an» della
pretesa alla revisione del prezzo, mentre
competevano al giudice ordinario le
questioni inerenti alla quantificazione del
compenso.
Il Consiglio di stato ha affermato quindi,
con fare tranchant, che «si deve
quindi ritenere che, ai sensi delle citate
disposizioni, rientra nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo ogni
controversia concernente la revisione dei
prezzi di un contratto di appalto, compreso
il profilo del quantum debeatur (in termini:
Cassazione civile, ss.uu. n. 13892 del
15.06.2009; n. 9152 del 17.04.2009;
Consiglio di stato, sez. VI, n. 1247 del
03.03.2010; Consiglio stato, sez. V, n. 935
del 17.02.2010)». Parrebbe quasi che il
Consiglio di stato voglia imputare al
giudice di primo grado la mancata conoscenza
della norma del processo amministrativo.
In ogni caso va ricordato, peraltro, che
nella concreta determinazione del «quantum
debeatur», è intervenuta la recente
approvazione del cosiddetto «decreto
sviluppo» che ha corretto la
disposizione del Codice dei contratti
pubblici, prevedendo che, qualora il prezzo
di singoli materiali da costruzione, per
effetto di circostanze eccezionali, subisca
variazioni in aumento o in diminuzione,
superiori al 10% rispetto al prezzo rilevato
dal ministero delle infrastrutture nell'anno
di presentazione dell'offerta, la
compensazione, in aumento o in diminuzione,
si applica per la metà (e non più per
l'intero) della percentuale eccedente il 10%
(articolo
ItaliaOggi del 24.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Valutazione delle
offerte da parte della commissione di una
gara pubblica - Attribuzione dei punteggi in
forma soltanto numerica – Presupposti.
Circa le
modalità attraverso le quali le valutazioni
svolte dalle Commissioni aggiudicatrici
devono essere estrinsecate nei verbali di
gara, la giurisprudenza ha chiarito che
occorre che tali scelte siano motivate in
forma intellegibile, sia per ovvie ragioni
di trasparenza dell'azione
dell'amministrazione (e per consentire così
la comprensione delle scelte operate), sia
per permettere alla stessa amministrazione
di poter procedere all'aggiudicazione della
gara e poi (eventualmente) al giudice
amministrativo di poter effettuare il
controllo di legittimità richiesto. Si è
però anche chiarito che quanto più ampia e
dettagliata è la griglia di valutazione,
tanto più la motivazione, per i singoli
aspetti presi in considerazione, può essere
succinta fino a potersi esprimere con un
giudizio molto sintetico o anche con un voto
solo numerico (Consiglio di Stato, sez. V,
n. 8410 del 03.12.2010).
Ne consegue che nella fase di valutazione
delle offerte da parte della commissione di
una gara pubblica, l'attribuzione dei
punteggi in forma soltanto numerica è
consentita quando il numero delle sottovoci,
con i relativi punteggi, entro i quali
ripartire i parametri di valutazione di cui
alle singole voci, sia sufficientemente
analitico da delimitare il giudizio della
commissione nell'ambito di un minimo e di un
massimo, rendendo così evidente l'iter
logico seguito nel valutare i singoli
progetti sotto il profilo tecnico, in
applicazione di puntuali criteri
predeterminati, essendo altrimenti
necessaria una puntuale motivazione del
punteggio attribuito (Consiglio di Stato,
sez. III, n. 1583 dell'11.03.2011) (massima
tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 12.07.2011 n. 4163 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara - Errore
materiale nell'indicazione di un dato
numerico - Soccorso istruttorio ai sensi
dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 -
Necessità - Esclusione dalla gara -
Illegittimità.
In ossequio al principio del favor partecipationis contenuto nell'art. 46 del
d.lgs. n. 163/2006 (di portata ancora
maggiore nella formulazione risultante
all'esito delle modifiche apportante dal D.L.
n. 70/2011) laddove la commissione di gara
verifichi l'esistenza di un errore materiale
o di altra irregolarità sanabile essa non
può comminare l'esclusione dalla gara ma ha
l'onere di richiedere chiarimenti in ordine
al contenuto di un documento.
Ciò al fine di evitare che il numero dei
concorrenti possa restringersi per carenze
documentali di ordine formale e di orientare
l'azione amministrativa sulla concreta
verifica del possesso dei requisiti di
partecipazione in capo ai concorrenti
(Fattispecie nella quale il ricorrente era
stato illegittimamente escluso dalla
procedura selettiva per essere incorso in un
errore materiale nell'indicazione
dell'ammontare del fatturato annuo dovuto
all'errata apposizione di una virgola)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
12.07.2011 n.
1878 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: G.U.
12.07.2011 n. 160 "Testo
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
coordinato con la legge di conversione
12.07.2011, n. 106, recante:
«Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia.».
---------------
N.B.: le modifiche
apportate dalla legge di conversione hanno
efficacia dal giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella G.U. e cioè
dal 13.07.2011.
Per
comodità, si veda e si legga
a confronto il testo del Decreto Sviluppo
prima e dopo la conversione (link
a www.leggioggi.it). |
APPALTI:
P. Corciulo,
L'avvalimento (11.07.2011
- link a http://doc.sspal.it). |
LAVORI PUBBLICI:
P. Corciulo,
Il sistema di qualificazione (11.07.2011
- link a http://doc.sspal.it). |
APPALTI:
P. Corciulo,
Il subappalto (11.07.2011
- link a http://doc.sspal.it). |
APPALTI SERVIZI:
V. Avaltroni,
L’assetto della disciplina del S.I.I.
(Servizio Idrico Integrato) dopo il
referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011 -
note d’approfondimento (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Guida pratica per i
contratti pubblici di servizi e forniture (a
cura del Dipartimento per le Politiche di
Gestione e di Sviluppo delle Risorse Umane):
-
Vol. 3° - Il contratto ed il contenzioso.
---------------
I primi due volumi sono stati qui pubblicati
lo scorso 17.01.2011 e precisamente:
-
Vol. 2° - L’evidenza pubblica;
-
Vol. 1° - Il mercato degli appalti
(N.B.: la stesura del volume è precedente
all’approvazione del Regolamento di
attuazione del Codice dei contratti da parte
del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il
testo pertanto sarà aggiornato a cura degli
autori nelle parti interessate dalle
disposizioni di dettaglio contenute nel
Regolamento). |
APPALTI: E'
inammissibile l'impugnazione del bando da
parte dell'impresa non partecipante.
Secondo un condiviso orientamento
giurisprudenziale, è inammissibile
l'impugnazione del bando da parte
dell'impresa non partecipante, la quale
deduca che la formulazione dello stesso è
stata fatta in modo tale non da precludere
assolutamente, ma soltanto da rendere non
remunerativa, la partecipazione alla gara
stessa (in tal senso TAR Lombardia Milano,
I, 05.12.2008, n. 5755) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 1330 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bando di gara -
Presentazione delle offerte - Plico e buste
sigillati e controfirmati sui lembi di
chiusura - Finalità della previsione -
Nozione di “lembo di chiusura”.
La previsione del bando di gara, che impone
la presentazione da parte dei concorrenti di
plico e buste sigillati e controfirmati sui
lembi di chiusura, risponde alla ratio
di garantire la genuinità e paternità della
domanda di partecipazione e della
documentazione a questa allegata, la quale
può essere assicurata solo se la sigillatura
sia tale da impedire che il plico possa
essere aperto senza che ne resti traccia
visibile e possa essere anche solo
teoricamente manomesso (vedi Consiglio di
Stato, IV, 10.03.2011, n. 1553).
Tale previsione va, però, interpretata in
maniera non formalistica al fine di
garantire la massima partecipazione alla
gara e la concorrenza tra gli operatori del
settore.
Si è, pertanto, condivisibilmente ritenuto
che per "lembo di chiusura" di una
busta deve intendersi quello costituente
l'imboccatura della stessa soggetto ad
operazione di chiusura a sé stante, sicché è
sufficiente che l'adempimento formale
imposto al concorrente venga limitato ai
lembi della busta chiusi dall’utilizzatore,
con esclusione di quelli preincollati dal
fabbricante (in tal senso Consiglio di
Stato, VI, 04.06.2007, n. 2946 e 20.04.2006,
n. 2200) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 1315 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: CONTRIBUTO
DI GARA.
"L'unica prescrizione imposta dalla
legge, ai fini dell'ammissibilità
dell'offerta, è l'effettivo versamento del
contributo, restando del tutto irrilevante
le modalità, attraverso le quali tale
versamento viene di fatto eseguito. Deve,
conseguentemente, ritenersi illegittima la
clausola del disciplinare di gara che
impone, a pena di esclusione, l'osservanza
di specifiche modalità del versamento
anzidetto, così attribuendo rilievo a
condotte non espressamente previste dalla
legge e oltretutto violando il generale
principio del favor partecipationis"
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 591).
In relazione alle concrete modalità di
versamento dell'illustrato contributo di
gara, è intervenuta, alla fine dello scorso
anno, un'interessante pronuncia (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 16.12.2010 n. 6770). I
giudici amministrativi toscani, in tale
occasione, hanno posto in collegamento le
modalità di corresponsione con il ben noto
principio di proporzionalità ed hanno,
significativamente, affermato che non appare
conforme al medesimo "la clausola del
bando di gara, prescrivente l'esclusione
dell'impresa, che non osservi le previste
modalità di corresponsione del contributo di
gara. Infatti, la sanzione dell'espulsione
dalla gara appare eccessiva e non
proporzionata rispetto all'obiettivo di
garantire il pagamento del dovuto
contributo, dal momento che il pagamento
medesimo è stato effettuato con
tempestività, seppur con mezzo irregolare in
quanto diverso da quelli contemplati".
In altri termini, è stato ben chiarito che
le modalità di pagamento non possono che
afferire ad elementi del tutto formali ed
estranei alla finalità dell'istituto del
contributo di gara.
Di conseguenza, tali concrete modalità
devono essere attentamente verificate, ai
fini della loro congruità e ragionevolezza,
attraverso il filtro del principio di
proporzionalità, il quale impone di tener
conto dei seguenti due elementi di
valutazione:
a) adeguamento del potere al fine da
raggiungere;
b) realizzazione del fine con il minor
pregiudizio degli interessi coinvolti.
In altri termini, occorre verificare se:
- la decisione amministrativa risulta
funzionale rispetto alle finalità perseguite
dalla Pubblica amministrazione e, quindi,
adeguata rispetto alla funzione;
- se la medesima non risulti, ad ogni modo,
eccessiva nella misura, cioè spropositata
rispetto al perseguimento dell'interesse
pubblico primario e tale da sacrificare "troppo"
ed in modo ingiustificato gli altri
interessi coinvolti nella procedura
amministrativa.
La pronuncia in esame perviene ai medesimi
approdi ermeneutici, raggiunti dal Tar
Toscana, attraverso una diversa
impostazione, che trae forza e linfa
argomentativa dal primato dell'effettività.
Il Tar Bologna, primariamente, evidenzia che
anche il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.
n. 163/2006), al comma 12°, dell'articolo 8,
conferma, seppur indirettamente, che il
contributo di gara costituisce l'esclusivo
strumento di finanziamento, per garantire
l'attuazione dei suoi compiti istituzionali,
stante l'espresso divieto di porre nuovi o
maggiori oneri a carico del bilancio dello
Stato.
Chiarita l'assoluta importanza, anche in
sede meta-giuridica, del contributo, il Tar
Bologna riconsidera il già illustrato
articolo 1, comma 67, della legge n.
266/2005, ove, in modo inequivoco, si
stabilisce che il contributo medesimo
costituisce una condizione di ammissibilità
dell'offerta, nell'ambito delle procedure di
gara.
Ma, è ciò rappresenta la fondamentale
domanda, cos'è che realmente costituisce "condizione
di ammissibilità"? L'intervenuto
pagamento, comunque e tempestivamente
effettuato od il pagamento effettuato
mediante determinate modalità?
E' questo il "cuore" centrale del
problema, che, da qualche anno, la
giurisprudenza sta affrontando. Si è detto
prima che il Tar Toscana ha affrontato e
risolta le indicate questioni, facendo un
corretto e condivisibile utilizzo del
principio di proporzionalità.
Il Tar Bologna, nella sentenza in esame, si
dimostra "maggiormente diretto", nel
senso che perviene ai punti nodali della
questione, senza alcuna intermediazione. Ad
avviso dei giudici amministrativi bolognesi,
"l'unica prescrizione imposta dalla legge
ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è
l'effettivo versamento del contributo,
restando del tutto irrilevante le modalità
attraverso le quali tale versamento viene di
fatto eseguito".
Gli importanti esiti ermeneutici, ricompresi
in tale statuizione, possono essere così
riassunti:
a) la normativa di settore impone solo
l'effettivo versamento del contributo di
gara;
b) le concrete modalità di corresponsione
sono irrilevanti.
La conseguenza logica di tale impostazione è
ovvia: ciò che è importante è che il
contributo sia stato effettivamente
corrisposto ed in modo tempestivo, cioè
entro il termine di presentazione delle
offerte. Se l'operatore economico comprova
tale effettivo e tempestivo pagamento, non
può, in alcun modo, procedersi
all'esclusione, in quanto sono irrilevanti
le modalità di pagamento, seppur previste
(in modo irragionevolmente sbagliato) come "esclusive"
in sede di disciplinare di gara.
Sulla base di tali condivisibili
argomentazioni, il Tar Bologna qualifica
come illegittima la clausola del
disciplinare di gara, che impone, a pena di
esclusione, l'osservanza di specifiche
modalità del versamento anzidetto, in quanto
attribuisce "rilievo a condotte non
espressamente previste dalla legge e
oltretutto violando il generale principio
del favor partecipationis"
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Tassa sulle gare,
versamento senza esclusioni.
L'unica prescrizione
imposta dalla legge ai fini
dell'ammissibilità dell'offerta, è
l'effettivo versamento del contributo,
restando del tutto irrilevante le modalità
attraverso le quali tale versamento viene di
fatto eseguito.
Con la sentenza che si presenta, il giudice
amministrativo si pronuncia in ordine alla
disciplina, in sede di bando di gara, delle
modalità di versamento della cosiddetta "tassa
sulle gare", ovvero il contributo dovuto
all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture, ex
art. 1, comma 67, L. 23.12.2005, n. 266.
Invero, tale contributo è dovuto per la
partecipazione agli appalti pubblici, e va
versato secondo le modalità, nell'ammontare
e nei termini indicati dalla stessa
Autorithy, con apposita delibera e relative
istruzioni operative.
In particolare, va fatto osservare che le
sopra richiamate modalità sono fissate in un
atto di normazione secondaria (la suddetta
deliberazione).
I soggetti vigilati, infatti, nell'adempiere
all'onere di effettuare il versamento delle
contribuzioni, debbono attenersi alle
istruzioni operative pubblicate sul sito
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture.
Inoltre, esse sono generalmente ribadite nel
bando di gara predisposto dalla stazione
appaltante.
E' jus receptum che il versamento
della predetta tassa è condizione
d'ammissibilità alla procedura di selezione
del contraente, e che la
mancata/insufficiente effettuazione del
citato versamento costituisce ope legis
legittima causa d'estromissione dalla gara
d'appalto.
Infatti, il dibattito giurisprudenziale si è
più di recente orientato sui vizi relativi
alle modalità del versamento per opera dei
partecipanti, piuttosto che alla relativa
disciplina da parte della stazione
appaltante.
S'inserisce in tale dibattito la
sentenza 08.07.2011 n. 591,
pronunciata dal TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. I, nella quale si afferma che il
versamento della tassa sulle gare effettuato
con modalità diverse da quelle impartite nel
bando di gara può rappresentare una mera
irregolarità, ma non una violazione di
gravità tale da esigere un'apposita norma di
esclusione del concorrente dalla procedura
concorsuale.
Secondo il giudice emiliano, infatti,
l'unica prescrizione imposta dalla legge ai
fini dell'ammissibilità dell'offerta, è
l'effettivo versamento del contributo,
restando del tutto irrilevante le modalità
attraverso le quali tale versamento viene di
fatto eseguito e, conseguentemente, deve
ritenersi illegittima la clausola del
disciplinare di gara che impone, a pena
d'esclusione, l'osservanza di specifiche
modalità del versamento anzidetto, così
attribuendo rilievo a condotte non
espressamente previste dalla legge e
oltretutto violando il generale principio
del favor partecipationis.
In altri termini: è illegittima la clausola
di un bando che disponga l'esclusione da una
gara d'appalto per versamento del contributo
all'AVCP effettuato con modalità differenti
rispetto a quelle richieste dalla lex
specialis.
Dalla statuizione deriva l'inefficacia ex
tunc del contratto stipulato con la
ditta risultata aggiudicataria dell'appalto,
stante l'annullamento degli atti presupposti
e conseguenti allo svolgimento della gara
medesima, con obbligo di riammissione del
ricorrente alla selezione, prima
ingiustamente pretermesso, per il
riesercizio, da parte dell'Amministrazione,
dell'attività tecnico-valutativa concernente
le offerte presentate e la conseguente nuova
aggiudicazione (commento tratto da
www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E’ consentito effettuare
la richiesta di documentazione dei requisiti
da parte dei concorrenti sia prima che dopo
l’apertura delle buste.
E' sicuramente illegittimo il “modus
procedendi” della commissione giudicatrice
di un pubblico concorso che, dopo aver
aperto le buste contenenti le domande di
partecipazione, recanti l'indicazione dei
nominativi e dei titoli in possesso dei
partecipanti, proceda alla determinazione
dei criteri di valutazione dei titoli da
essi posseduti, atteso che la semplice
apertura delle buste dà luogo alla
conoscenza potenziale del contenuto e,
quindi, all'oggettiva ed astratta
possibilità che possa essere influenzata la
fissazione dei criteri, con violazione della
“par condicio”.
Osserva la
Sezione che è sicuramente illegittimo il “modus
procedendi” della commissione
giudicatrice di un pubblico concorso che,
dopo aver aperto le buste contenenti le
domande di partecipazione, recanti
l'indicazione dei nominativi e dei titoli in
possesso dei partecipanti, proceda alla
determinazione dei criteri di valutazione
dei titoli da essi posseduti, atteso che la
semplice apertura delle buste dà luogo alla
conoscenza potenziale del contenuto e,
quindi, all'oggettiva ed astratta
possibilità che possa essere influenzata la
fissazione dei criteri, con violazione della
“par condicio”.
Eguale rigore non può, tuttavia, adottarsi
in relazione alla fattispecie per cui è
causa, atteso che la possibilità (a seguito
della conoscenza della entità delle offerte,
in pendenza del procedimento di verifica dei
requisiti) di influenzare e determinare le
sorti dell'aggiudicazione dell'appalto in
dipendenza della risposta fornita o meno
alla richiesta di documentazione dei
requisiti da parte dei concorrenti
sorteggiati appare astratta e niente affatto
oggettiva.
Peraltro l’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006
prevede, al comma 1, che le stazioni
appaltanti prima di procedere all'apertura
delle buste delle offerte presentate,
richiedono ad un numero di offerenti non
inferiore al 10 per cento delle offerte
presentate scelti con sorteggio pubblico, di
comprovare, entro dieci giorni dalla data
della richiesta medesima, il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. Al comma 2, prevede
che la richiesta di cui al comma 1 è,
altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla
conclusione delle operazioni di gara, anche
all'aggiudicatario e al concorrente che
segue in graduatoria, qualora gli stessi non
siano compresi fra i concorrenti
sorteggiati.
E’ quindi consentito, in base a dette
disposizioni, effettuare detta richiesta sia
prima che dopo l’apertura delle buste, il
che esclude che il legislatore abbia voluto,
con la disposizione in esame, impedire che
possano essere influenzate e determinate le
sorti dell'aggiudicazione dell'appalto in
dipendenza della risposta fornita alla
richiesta di documentazione.
Aggiungasi che deve concordarsi con il
Giudice di prime cure che non è stato
comunque provato che l’inversione de qua
abbia compromesso la trasparenza e
l’imparzialità della procedura, avendo
formulato al riguardo l’appellante solo mere
ipotesi ed avendo avanzato solo il “sospetto”
che la conoscenza dei ribassi abbia potuto
condizionare il seggio di gara,
influenzandone le determinazioni in merito
all’ammissione o all’esclusione delle
imprese sorteggiate per la verifica.
Peraltro la stazione appaltante era tenuta a
verificare secondo un criterio oggettivo i
requisiti effettivamente posseduti dai
partecipanti, sorteggiati ai fini del
controllo, il che impediva apprezzamenti
discrezionale circa il possesso degli
stessi, che difficilmente avrebbero potuto
essere falsati da essi partecipanti al
surrettizio fine di falsare gli esiti della
gara.
In ogni caso, la stazione appaltante ha
asserito al riguardo che la verifica dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa era avvenuta
mediante acquisizione dei dati del
casellario delle imprese istituito presso
l’Autorità di Vigilanza dei Lavori Pubblici
con l’accertamento della sussistenza di
eventuali annotazioni a carico delle imprese
interessate ostative alla permanenza in
gara, e che solo dopo tale verifica aveva
proceduto all’apertura delle offerte
economiche
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 07.07.2011 n. 4053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'art. 38, d.lgs. n.
163/2006 indica una differenza tra la
regolarità contributiva richiesta al
partecipante alla gara ai sensi del comma 1,
lettera i), di detto articolo, e la
regolarità contributiva richiesta
all'aggiudicatario al fine della stipula del
contratto.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta
norma, può essere escluso solo in presenza
di gravi violazioni, definitivamente
accertate, sicché le violazioni non gravi, o
ancora non definitive, non sono causa di
esclusione.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta
norma, può essere escluso solo in presenza
di gravi violazioni, definitivamente
accertate, sicché le violazioni non gravi, o
ancora non definitive, non sono causa di
esclusione. Invece, al fine della stipula
del contratto, l'affidatario deve presentare
la certificazione di regolarità contributiva
ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 210/2002.
---------------
La disposizione di cui all'art. 38, comma 1,
lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, deve
essere interpretata nel senso che il
concorrente, in presenza di un bando di gara
che richieda genericamente una sua
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione di cui alla citata lett. i),
possa essere escluso soltanto qualora la
stazione appaltante sia oggettivamente certa
che l'eventuale debito contributivo
dichiarato sia grave e definitivamente
accertato, e cioè non esistano in atti di
gara elementi che possano condurre a diversa
conclusione, autonomamente dalle risultanze
del D.U.R.C., mediante accertamenti
ulteriori.
Osserva il
Collegio che l'art. 38, d.lgs. n. 163/2006,
come correttamente dedotto con l’atto di
appello, indica una differenza tra la
regolarità contributiva richiesta al
partecipante alla gara ai sensi del comma 1,
lettera i), di detto articolo, e la
regolarità contributiva richiesta
all'aggiudicatario al fine della stipula del
contratto.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta
norma, può essere escluso solo in presenza
di gravi violazioni, definitivamente
accertate, sicché le violazioni non gravi, o
ancora non definitive, non sono causa di
esclusione.
Invece, al fine della stipula del contratto,
l'affidatario deve presentare la
certificazione di regolarità contributiva ai
sensi dell'art. 2, d.l. n. 210/2002 (ex art.
38, co. 3, d.lgs. n. 163/2006, che prevede
che “resta fermo, per l'affidatario,
l'obbligo di presentare la certificazione di
regolarità contributiva di cui all'articolo
2, del decreto-legge 25.09.2002, n. 210,
convertito dalla legge 22.11.2002, n. 266 e
di cui all'articolo 3, comma 8, del decreto
legislativo 14.08.1996, n. 494 e successive
modificazioni e integrazioni”); detto
art. 2 del d.l. n. 210/2002, a sua volta,
prevede il rilascio del D.U.R.C., che
attesta contemporaneamente la regolarità
contributiva quanto agli obblighi nei
confronti dell'I.N.P.S., dell'I.N.A.I.L. e
delle Casse edili.
La disposizione di cui all'art. 38, comma 1,
lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, deve
essere interpretata nel senso che il
concorrente, in presenza di un bando di gara
che richieda genericamente una sua
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione di cui alla citata lett. i),
possa essere escluso soltanto qualora la
stazione appaltante sia oggettivamente certa
che l'eventuale debito contributivo
dichiarato sia grave e definitivamente
accertato, e cioè non esistano in atti di
gara elementi che possano condurre a diversa
conclusione, autonomamente dalle risultanze
del D.U.R.C., mediante accertamenti
ulteriori (Consiglio Stato, sez. V,
11.01.2011, n. 83).
Nel caso che occupa, tuttavia, la lettera di
invito, sullo specifico punto non impugnata,
prevedeva che la stazione appaltante avrebbe
dovuto procedere alla verifica d’ufficio, ai
fini degli accertamenti relativi alle cause
di esclusione “ai sensi dell’art. 38,
comma 3, D.Lgs. 163/2006” nei confronti
dei soggetti sorteggiati, cioè sulla base
della certificazione di regolarità
contributiva di cui all'articolo 2, del d.l.
n. 210/2002.
Non è quindi applicabile alla fattispecie
l’orientamento giurisprudenziale per il
quale l'art. 38, comma 1, lett. i), del
d.lgs. n. 163 del 2006) deve essere
interpretato nel senso che il principio
dell'autonomia del procedimento di rilascio
del D.U.R.C. impone che la stazione
appaltante, pur dovendo basarsi sulle
certificazioni risultanti da quest'ultimo
documento (prendendole come un dato di fatto
inoppugnabile), debba altresì valutare,
innanzi tutto, se sussistono procedimenti
diretti a contestare gli accertamenti degli
enti previdenziali riportati nel DURC, o
condoni, ed in secondo luogo se la
violazione riportata nel DURC, in relazione
all'appalto o fornitura in questione o alla
consistenza economica della ditta
concorrente o ad altre circostanze, risulti
o no "grave” (Consiglio Stato, sez.
IV, 15.09.2010, n. 6907).
Sulla base della clausola della lettera di
invito, legittimamente, nel caso che occupa,
la stazione appaltante ha fatto riferimento
alle risultanze dei certificati di
regolarità contributiva in questione, senza
procedere ad ulteriori indagini.
Aggiungasi che, alla stregua di quanto
chiarito con il d.m. 24.10.2007 del
Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, in attuazione dell'art. 1, co.
1176, l. n. 296/2006, si può affermare che
il D.U.R.C. attesta solo le irregolarità
contributive “definitivamente accertate”,
e solo quelle che superano una “soglia di
gravità”, fissata autonomamente dal
citato d.m., con la conseguenza che la
declaratoria di non regolarità contributiva
è grave indizio, ai fini dell'art. 38, co.
1, lett. i), codice appalti, che sia stata
commessa una violazione grave e
definitivamente accertata.
La censura in esame non può quindi essere
positivamente valutata, considerato altresì
sia che al c.d. “principio
sostanzialistico” non è possibile
ricorrere quando una disposizione della "lex
specialis", non impugnata, preveda
espressamente una clausola di esclusione
particolare rispetto alla normativa generale
e sia che non risulta violato l’art. 29
della Direttiva del Consiglio 18.06.1992
92/50/CEE, richiamato dalla sentenza della
Corte di Giustizia CE n. C-226/04 del 2006,
perché (anche se il legislatore nazionale
non ha previsto) la regolarizzazione
successiva dell’inadempimento, tuttavia la
stazione appaltante si è conformata a
principi di trasparenza e par condicio,
definendo in anticipo, con la clausola della
“lex specialis” suddetta, le
condizioni sostanziali e procedurali
relative alla partecipazione della gara
de qua (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 07.07.2011 n. 4053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sebbene la legge non
qualifichi come perentorio il termine per la
produzione della documentazione richiesta a
comprova dei requisiti ai sensi dell'art.
48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006,
l'orientamento prevalente ritiene che il
termine in questione avrebbe natura
perentoria perché, pur non essendo
qualificato tale dalla lettera della norma,
la perentorietà sarebbe insita nella
automaticità della comminatoria prevista per
la sua inosservanza.
Osserva il Collegio che, sebbene la legge
non qualifichi come perentorio il termine
per la produzione della documentazione
richiesta a comprova dei requisiti ai sensi
dell'art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del
2006, l'orientamento prevalente ritiene che
il termine in questione avrebbe natura
perentoria perché, pur non essendo
qualificato tale dalla lettera della norma,
la perentorietà sarebbe insita nella
automaticità della comminatoria prevista per
la sua inosservanza.
In conformità al principio generale per il
quale il termine è perentorio solo ove sia
espressamente qualificato come tale, o non
sia stata apposta la specifica indicazione
delle relative conseguenze, il seguente,
comma 2, del citato art. 48, prevede, a
differenza di quanto stabilito per il
controllo a campione previsto dal comma 1
dello stesso articolo, un termine di natura
ordinatoria per la presentazione dei
documenti comprovanti il possesso dei
requisiti di capacità economica-finanziaria
e tecnico-organizzativa da parte
dell'aggiudicatario provvisorio.
Identiche considerazioni vanno effettuate
con riguardo al termine di dieci giorni
dalla conclusione delle operazioni di gara,
previsto dal comma 2 del ridetto art. 48 per
l’inoltro della richiesta di prova del
possesso dei requisiti anche
all'aggiudicatario e al concorrente che
segue in graduatoria, qualora gli stessi non
siano compresi fra i concorrenti sorteggiati
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 07.07.2011 n. 4053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Ai sensi dell'art. 24,
c. 4, del D.Lgs. n. 93/2011, fino al
28.06.2011, sono legittime le gare bandite
dai comuni per l'affidamento del servizio di
distribuzione di gas naturale.
L'art. 24, c. 4, del D.Lgs. n. 93/2011,
stabilisce che nel caso in cui gli enti
locali, alla data di entrata in vigore del
medesimo decreto (28.06.2011), abbiano
pubblicato bandi di gara per l'affidamento
del servizio di distribuzione di gas
naturale e non siano pervenuti
all'aggiudicazione dell'impresa vincitrice,
possono procedere all'affidamento del
servizio di distribuzione di gas naturale
secondo le procedure applicabili alla data
di indizione della relativa gara, senza
dover attendere la determinazione degli
ambiti, come invece richiesto dal D.M. del
19.01.2011.
Fatto salvo ciò, a decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto (29.06.2011)
le gare per l'affidamento del servizio di
distribuzione sono effettuate unicamente per
ambiti territoriali di cui all'art. 46-bis,
c. 2, del d.l. 01.10.2007, n. 159,
convertito, con modificazioni, dalla l.
29.11.2007, n. 222 (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
ordinanza 07.07.2011 n. 1104 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, per
impugnare l'esclusione solo motivi
specifici. Valida la valutazione sintetica
della commissione.
Non e' sufficiente
dedurre genericamente il difetto di
motivazione del provvedimento di esclusione
da una procedura di gara qualora la
commissione non si sia limitata ad
attribuire un mero punteggio numerico, ma
abbia -sia pure sinteticamente- evidenziato
per ogni offerta e per ciascuno dei criteri
di valutazione, i punti di forza e quelli di
debolezza.
L’oggetto della decisione in esame concerne
l’impugnazione del provvedimento di
esclusione di una ditta da una procedura di
gara per l’affidamento del servizio di
pulizia e sanificazione presso le strutture
dell’Azienda sanitaria unica regionale,
nonché del relativo bando di gara.
Nello specifico, con il provvedimento
impugnato l’A.S.U.R. aveva disposto
l’esclusione della società ricorrente dalla
fase di valutazione delle offerte economiche
in quanto la stessa non aveva conseguito il
punteggio tecnico minimo richiesto dal
bando.
Di conseguenza, la predetta ditta ha gravato
il menzionato provvedimento, eccependo,
oltre al resto, che la lex specialis,
pur indicando i criteri e sub-criteri di
valutazione, non specificava i criteri
motivazionali a cui la commissione si
sarebbe dovuta attenere, così impedendo la
verifica dei percorsi argomentativi con cui
aveva assegnato i punteggi.
Tanto, a opinione della ricorrente, in
violazione dell’obbligo di motivazione di
cui agli artt. 79 e 83 del D.Lgs. n.
163/2006.
Con gravame aggiuntivo, la deducente, alla
luce dell’avvenuta conoscenza dei verbali di
gara, ha contestato il difetto di
motivazione degli stessi provvedimenti,
nonché l’illegittima introduzione da parte
della commissione di un criterio di
valutazione non previsto dal bando (e questo
con specifico riferimento all’assegnazione
del punteggio per la voce “numero dei
dipendenti e monte ore annuo di servizio”).
Il Collegio di Ancona, in relazione alle
censure afferenti il merito delle
valutazioni compiute dalla commissione, ha
ritenuto infondate tutte le obiezioni
sollevate dalla deducente.
Sul punto, ha dapprima rigettato il motivo
con cui si era lamentato che la commissione
avesse introdotto un nuovo criterio di
valutazione non previsto dal bando in
relazione al “Numero dei dipendenti e
monte ore annuo di servizio” e che non
aveva comunque motivato congruamente il
punteggio assegnato alla ricorrente.
Al riguardo, hanno precisato i Giudici
marchigiani, tenuto conto della
denominazione letterale del criterio, un
parziale accoglimento del ricorso sarebbe
stato “inverosimile”, poiché del
tutto logico è apparso il criterio secondo
cui, a fronte di un maggior numero di
addetti e di ore annue, l’offerta doveva
essere premiata in termini di punteggio.
Inoltre, per quel che concerne gli altri
punteggi, l’adito TAR ha evidenziato come, a
livello generale, non apparisse sufficiente,
ai fini dell’accoglimento del ricorso,
dedurre genericamente il difetto di
motivazione, tanto più laddove la
commissione non si era limitata ad
attribuire il punteggio numerico, ma, sia
pure sinteticamente, aveva evidenziato per
ogni offerta e per ciascuno dei criteri di
valutazione, i punti di forza e quelli di
debolezza.
E infatti, ha precisato che, nella vicenda
sottoposta al suo vaglio, la commissione,
dopo aver evidenziato i punti di forza del
progetto tecnico presentato dalla
ricorrente, ha altresì sottolineato come le
carenze dello stesso avevano determinato
l’assegnazione di un punteggio tecnico
inferiore a quello minimo richiesto dal
bando di gara.
Da siffatta analisi, ha soggiunto il
Collegio, le censure circa un presunto
difetto di motivazione dei provvedimenti
impugnati non meritavano accoglimento in
quanto non si poteva ritenere che la
commissione avesse operato in modo
superficiale o che non avesse dato conto
delle ragioni per le quali aveva assegnato
alle varie parti delle offerte certi
punteggi anziché altri.
Invero, ha concluso il G.A. di Ancona, la
ricorrente, al fine di mettere in dubbio
l’operato della commissione, avrebbe dovuto
procedere alla verifica dei singoli punteggi
assegnati ai vari progetti tecnici
presentati, nonché dei criteri di
valutazione previsti dal bando e, qualora
avesse riscontrato anomalie, avrebbe dovuto
dedurre censure specifiche, in modo da
indurre il Tribunale ad annullare gli atti
di gara o, quantomeno, a disporre una
consulenza tecnica per chiarire i punti
controversi.
Diversamente, l’impugnazione in questione ha
assunto un mero carattere “esplorativo”,
in quanto, agli effetti finali, è stato
chiesto al giudice di sostituire proprie
valutazioni a quelle dell’organo a ciò
preposto, le quali, oltre tutto,
presentavano un margine di opinabilità
soggettiva non sindacabile in sede
giudiziaria.
Sotto tali profili, il ricorso è stato
respinto, con conseguente declaratoria di
legittimità degli atti impugnati e
compensazione delle spese legali in ragione
della complessità della questione esaminata
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Marche,
sentenza 07.07.2011 n. 576 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici –
Gara – Divieto di frazionamento dei
requisiti per i RTI – Ricorso all’istituto
dell’avvalimento - Provvedimento di
esclusione – Illegittimità – Sussiste.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione da una gara adottato da una
stazione appaltante nei confronti di
un'impresa per aver fatto ricorso
all'istituto dell'avvalimento, motivato su
una disposizione del bando di gara che
prescriveva il divieto di frazionamento dei
requisiti per i raggruppamenti temporanei di
imprese.
Il provvedimento di esclusione comminato
dall'amministrazione procedente è
irragionevole, in quanto la concorrente non
si è presentata alla gara in raggruppamento
con altre imprese, bensì singolarmente
(massima tratta da www.centrostudi-sv.org -
TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 06.07.2011 n. 5958 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Centrale di committenza - Scelta
di un'Amministrazione di aderirvi -
Facoltatività - Specifica motivazione
dell'interesse pubblico - Non sussiste.
L'applicazione della fattispecie
contrattuale della "Centrale di committenza"
è giuridicamente qualificabile come
contratto normativo e non postula un obbligo
di adesione, con l'effetto che la decisione
di aderire alla convenzione, resta pur
sempre una scelta con l'unica differenza che
non richiede da parte della amministrazione
che se ne avvale una specifica motivazione
dell'interesse pubblico che la sottende, in
quanto l'individuazione del miglior
contraente è avvenuta a monte nel rispetto
dei principi comunitari (TAR Campania
Napoli, sez. I, 04.11.2010, n. 22688).
In altri termini è l'ente che, nell'ambito
della sua autonomia e nell'esercizio di
un'attività non imposta ma consentita dalla
legge, assume la decisione di avvalersi o di
non avvalersi della convenzione con altri
enti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.10.2010,
n. 7261)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
06.07.2011 n.
1819 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara pubblica - Aggiudicazione tramite
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando - Art. 57 del D.lgs.
163/2006 - Tassatività delle ipotesi di
applicazione della procedura - Violazione - Caducazione di tutti gli atti di gara -
Necessità di indire nuova gara ad evidenza
pubblica.
E' principio consolidato che la procedura
disciplinata dall'art. 57 del D.Lgs.
163/2006 abbia portata derogatoria rispetto
alla regola secondo cui la procedura di
evidenza pubblica costituisce un
indispensabile presidio a garanzia del
corretto dispiegarsi della libertà di
concorrenza e della trasparenza dell'operato
delle amministrazioni (ex multis: Cons.
Stato, sez. VI, 28.01.2011, n. 642).
Ne
discende che l'utilizzo di tale modulo
procedurale, al di fuori delle ipotesi ivi
tassativamente previste, vizia in radice gli
atti posti in essere dall'Amministrazione
che se ne avvalga, che vanno, pertanto,
annullati con conseguente caducazione degli
atti a valle eventualmente adottati in
spregio all'ordinanza sospensiva, con
conseguente obbligo per la stazione
appaltante di provvedere ex novo
mediante indizione di procedura ad evidenza
pubblica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
06.07.2011 n.
1814 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, per il mancato rispetto di semplici
irregolarità formali, agevolmente
percepibili come tali.
Secondo un
consolidato principio giurisprudenziale, il
mancato rispetto delle formalità richieste
dal bando di gara, ancorché a pena di
esclusione, deve essere interpretato alla
luce del comune canone di ragionevolezza, ed
in ossequio all'esigenza di assicurare la
massima partecipazione alla gara, non
legittima l'esclusione del concorrente
ogniqualvolta questi sia incorso, come nel
caso di specie, in una semplice irregolarità
formale, immediatamente percepibile come
tale ed insuscettibile di compromettere il
regolare corso della procedura, avuto
riguardo agli interessi pubblici presidiati
dalla previsione invocata dalla stazione
appaltante.
Nel caso di specie, l'impresa esclusa,
contrariamente alle disposizioni del bando
di gara, aveva contrassegnato i plichi
contenenti la documentazione amministrativa,
mediante la medesima numerazione. La
corretta identificazione delle buste non
investe elementi sostanziali dell'offerta,
ma ha la funzione di permetterne l'apertura
nel corretto ordine; né detta funzione può
dirsi pregiudicata dall'erronea numerazione
dei plichi, grazie alla corretta indicazione
del contenuto riportata sui plichi stessi.
Peraltro, in siffatta ipotesi,
l'amministrazione procedente avrebbe dovuto
richiedere chiarimenti alle imprese
interessate, esercitando quella facoltà, di
carattere generale, che si collega proprio
all'esigenza di evitare che la massima
partecipazione alle gare sia compromessa da
carenze meramente formali (TAR Toscana, Sez.
II,
sentenza 06.07.2011 n. 1155 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
1. Escussione cauzione
provvisoria in tutti i casi di mancata
conferma dei requisiti dichiarati in sede di
partecipazione.
2. Sull'obbligo di intestazione della
cauzione provvisoria, in caso di RTI, in
capo a mandanti e mandatarie.
1. Nell'appalto dei lavori pubblici,
l'escussione della cauzione provvisoria ai
sensi dell'art. 10 L. 11.02.1994 n. 109, il
cui scopo è liquidare in via forfetaria il
danno subito dalla Stazione appaltante per
omessa stipulazione del contratto per fatto
imputabile all'aggiudicatario provvisorio,
riguarda non solo l'assenza della capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa di questi, ma anche
tutti i casi in cui abbia prodotto
dichiarazioni non confermate dal successivo
riscontro della relativa documentazione o
abbia effettuato false dichiarazioni (Cons.
Stato, Sez. V, 29.12.2009, n. 8908; Sez. IV,
07.06.2005, n. 2933).
2. Nel caso di partecipazione di un
costituendo raggruppamento temporaneo di
imprese ad una gara d'appalto, la polizza
fideiussoria, mediante la quale viene
costituita la cauzione provvisoria, deve
essere intestata non solo alla società
capogruppo ma anche alle mandanti che sono
individualmente responsabili delle
dichiarazioni rese per la partecipazione
alla gara, ciò al fine di evitare il
configurarsi di una carenza di garanzia per
la Stazione appaltante con riferimento a
quei casi in cui l'inadempimento non dipenda
dalla capogruppo designata ma dalle mandanti
(TAR Valle d’Aosta, 14.01.2010, n. 6; TAR
Sicilia, Ct, Sez. III, 26.10.2009, n. 1744)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.07.2011 n. 1146 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di
costituenda associazione temporanea
d'imprese (ATI), la cauzione provvisoria
deve essere intestata a tutte le imprese
associate.
In tema di contratti pubblici, vige la
regola per cui, nel caso di costituenda
associazione temporanea d'imprese, la
cauzione provvisoria deve essere intestata a
tutte le associate, che sono individualmente
responsabili delle dichiarazioni rese per la
partecipazione alla gara, diversamente
configurandosi una carenza di garanzia per
la stazione appaltante quante volte
l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo
designata, ma dalle mandanti; pertanto, il
fidejussore deve richiamare la natura
collettiva della partecipazione alla gara di
più imprese, identificandole singolarmente e
contestualmente e deve dichiarare di
garantire con la cauzione provvisoria non
solo la mancata sottoscrizione del
contratto, ma anche ogni altro obbligo
derivante dalla partecipazione alla gara,
obbligo prettamente solidale nell'ipotesi di
partecipazione in r.t.i. e presentazione di
un'unica offerta a tale centro di
imputazione riconducibile.
Proprio la natura di garanzia per la
stazione appaltante e la funzione aggiuntiva
di risarcimento "forfetario" del
maggior danno pretendibile nei confronti
dell'impresa escussa non solo comportano che
la responsabilità delle false dichiarazioni
è ascrivibile all'intera compagine
associanda sotto il profilo della garanzia
prestata e della relativa escussione ma
anche che non è possibile compensare il
maggior danno eventualmente subito dalla
stazione appaltante dall'aggiudicazione ad
un'offerta potenzialmente più onerosa, come
pure lamentato dalla ricorrente (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 06.07.2011 n. 1146 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Cause di esclusione ex
art. 38 d.lgs n. 163/2006 - Bando - Generica
richiesta di dichiarazione di insussistenza
- Valutazione di gravità compiuta dal
concorrente - Cause di esclusione formali e
sostanziali.
Laddove il bando richiede genericamente una
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, esso giustifica una valutazione di
gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché il concorrente non può
essere escluso per il solo fatto
dell’omissione formale, cioè di non aver
dichiarato tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; andrà escluso
solo ove la stazione appaltante ritenga che
le condanne o le violazioni contributive
siano gravi e definitivamente accertate. La
dichiarazione del concorrente, in tale caso,
non può essere ritenuta <<falsa>>
(Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244;
Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons.
St., sez. V, 22.02.2007 n. 945,).
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso, e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all’art. 38, codice, ma specifichi che
vanno dichiarate tutte le condanne penali, o
tutte le violazioni contributive: in tal
caso, il bando esige una dichiarazione dal
contenuto più ampio e più puntuale rispetto
a quanto prescritto dall’art. 38 codice,
all’evidente fine di riservare alla stazione
appaltante la valutazione di gravità o meno
dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione
non è solo quella, sostanziale, dell’essere
stata commessa una grave violazione, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 06.07.2011 n. 1021 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: REGOLARIZZAZIONE
DOCUMENTALE.
"L'articolo 46 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) ed il relativo
dovere di soccorso alle imprese non è
invocabile, quando la procedura di gara è
prevenuta alla fase di valutazione
dell'offerta. Invero, il perimetro
applicativo del citato articolo resta
circoscritto e contenuto alla fase della
prequalificazione, atteso che la norma
dispone che la stazione appaltante invita i
concorrenti a chiarire il contenuto di
dichiarazioni o documenti presentati in sede
di offerta ed è doverosamente delimitato
temporalmente e confinato alla fase nella
quale l'Amministrazione deve ammettere alla
gare le imprese. Viceversa, la norma non può
trovare applicazione per interpretare,
chiarire, completare dati afferenti alla
successiva fase dell'offerta in senso
proprio, pena la violazione della par
condicio" (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 06.07.2011 n. 739).
Quando il Tar parla della "prequalificazione"
intende riferirsi alla fase, preliminare
all'apertura del plico contenente l'offerta,
in cui si effettua l'esame della completezza
e della validità delle previste
autodichiarazioni e presentazioni di
documenti. Allora, solo in tale fase, ad
avviso dei giudici piemontesi, è possibile "completare
o fornire chiarimenti in ordine al contenuto
dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati".
Nella successiva fase, cioè quella
dell'apertura e della valutazione
dell'offerta, la regolarizzazione non è più
possibile. Orbene, anche alla luce delle
precedenti sentenze riportate, occorre
prendere atto che si è in presenza di un
orientamento, confermato anche dalla
pronuncia in esame, diretto ad operare una
diversa restrizione del potere di
regolarizzazione. Non più solo
chiarificazione di documenti già presentati
e divieto di integrazione, ma limitazione
della portata prescrittiva dell'intera
disposizione normativa alla sola fase della
"prequalificazione", cioè quella
antecedente all'apertura del plico
contenente l'offerta.
Invero, deve osservarsi che il 1° comma
dell'articolo 46 del Codice fa riferimento
al "contenuto dei certificati, documenti
e dichiarazioni presentati". Ora, dal
momento che anche l'offerta sembra
costituire una "dichiarazione", per
cui potrebbe agevolmente rientrare
nell'alveo precettivo della norma in esame,
l'orientamento giurisprudenziale indicato
opera una significativa esegesi della
disposizione, che sembra travalicare
l'elemento puramente letterale
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il dovere di soccorso ex
art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei
contratti) non è esercitabile in sede di
offerta pena l'alterazione della par
condicio.
Il DUVRI (documento valutazione rischi)
presuppone che l'amministrazione abbia
valutato l'esistenza di interferenze
tecniche con scelta discrezionale.
L'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei
contratti) ed il relativo dovere di soccorso
alle imprese non è invocabile, quando la
procedura di gara è prevenuta alla fase di
valutazione dell'offerta.
Invero, il perimetro applicativo del citato
art. 46 resta circoscritto e contenuto alla
fase della prequalificazione, atteso che la
norma dispone che la stazione appaltante
invita i concorrenti a chiarire il contenuto
di dichiarazioni o documenti presentati in
sede di offerta ed è doverosamente
delimitato temporalmente e confinato alla
fase nella quale l'Amministrazione deve
ammettere alla gare le imprese.
Viceversa la norma non può trovare
applicazione per interpretare, chiarire
completare dati afferenti alla successiva
fase dell'offerta in senso proprio, pena la
violazione della par condicio.
---------------
Il DUVRI presuppone che la stazione
appaltante abbia previamente valutato
l'esistenza di interferenze tecniche
correlate all'espletamento del servizio,
rientrando pertanto nella sua
discrezionalità tecnica predisporre il
Documento già in fase di redazione del
contratto d'appalto ovvero rinviarne
l'elaborazione una volta prescelto
l'aggiudicatario (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 06.07.2011 n. 739 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le indicazioni fornite
dalla stazione appaltante nella modulistica
"ufficiale", difformi rispetto alle
prescrizioni della lex specialis, non
possono pregiudicare la partecipazione alla
gara del concorrente.
La circostanza che un concorrente abbia
puntualmente seguito le indicazioni fornite
dalla medesima stazione appaltante nella
modulistica "ufficiale" non può
andare in danno del medesimo, se detta
modulistica risulta poi non esattamente
conforme alle prescrizioni della "lex
specialis” di gara; deve prevalere in
tal caso, a fronte di una obiettiva
incertezza ingenerata dagli atti predisposti
dalla stazione appaltante e della buona fede
che va riconosciuta al concorrente, il
principio del “favor partecipationis”.
La carenza riscontrata non poteva pertanto
comportare l'esclusione dalla procedura
concorsuale del concorrente interessato (la
stazione appaltante, semmai, avrebbe potuto
invitare il concorrente stesso ad integrare
la documentazione carente, ferma restando,
in caso di aggiudicazione, la verifica
dell’effettivo possesso anche dei requisiti
di cui si tratta).
Nel caso che occupa la dichiarazione
relativa al possesso dei requisiti di cui
all’art. 28 del d.P.R. n. 34/2000 era
espressamente richiesta dal disciplinare di
gara, alla voce riguardante "Modalità di
presentazione e criteri di ammissibilità
delle offerte", con riguardo ai
documenti che dovevano essere contenuti
nella busta "A", a pena di esclusione, con
specifico riferimento alla ipotesi che il
concorrente non fosse in possesso
dell'attestato SOA.
Il modello di dichiarazione sostitutiva
predisposto dalla stazione appaltante,
allegato al disciplinare, e poi
effettivamente utilizzato dalle società di
cui trattasi, non conteneva invero alcun
riferimento alla dichiarazione relativa al
possesso dei requisiti ex art. 28 del citato
d.P.R. (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.07.2011 n. 4029 -
link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: Appalti,
unica regia. Ecco la stazione su base
regionale. Firmato il decreto. E le p.a.
locali sosterranno i costi.
Al via la stazione unica
appaltante, su base regionale, cui potranno
fare riferimento le amministrazioni statali,
le regioni e gli enti locali come centrale
di committenza per l'affidamento di appalti
di lavori, forniture e servizi; alla
stazione unica appaltante (SUA) gli enti
rimborseranno i costi sostenuti e il
rapporto fra l'ente e la SUA sarà definito
da apposita convenzione.
È quanto prevede
il dpcm firmato dal presidente del consiglio
dei ministri e dai ministri
Maroni, Alfano, Romani, Matteoli, Sacconi,
Fitto e Brunetta sulla stazione unica
appaltante previsto dall'art. 13 della legge
13.08.2010, n. 136 (Piano straordinario
contro le mafie approvato dal consiglio dei
ministri il 28.01.2010).
Il decreto è finalizzato a promuovere
l'istituzione in ambito regionale di una o
più stazioni uniche appaltanti con
l'obiettivo di rendere più penetrante
l'attività di prevenzione e contrasto ai
tentativi di condizionamento della
criminalità mafiosa, favorendo la celerità
delle procedure, l'ottimizzazione delle
risorse e il rispetto della normativa in
materia di sicurezza sul lavoro.
Il ricorso alla stazione unica appaltante
(una o più su base regionale) non
rappresenterà un obbligo per le
amministrazioni ma una facoltà; potranno
aderire alla SUA lo stato, le regioni, gli
enti pubblici territoriali, gli altri enti
pubblici non economici, gli organismi di
diritto pubblico, le associazioni, unioni e
concorsi di enti pubblici, le imprese
pubbliche e i soggetti che operano in virtù
di un diritto speciale o di esclusiva.
Nello svolgimento della funzione di centrale
di committenza (che in base al Codice dei
contratti pubblici si esplica
nell'acquisizione di forniture, lavori e
servizi destinati ad altre amministrazioni e
nell'aggiudicazione di appalti o nella
conclusione di accordi quadro) rientra in
generale l'attività di «gestione della
procedura di gara», ma anche la
collaborazione con l'ente che ha aderito
alla SUA per la messa a punto dello schema
di contratto, la scelta della procedura di
gara, la predisposizione dei capitolati
speciali e generali, l'applicazione dei
criteri di valutazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, quale
criterio di aggiudicazione utilizzare e per
predisporre tutti gli atti di gara (bando,
disciplinare e lettere di invito).
La SUA dovrà inoltre prendersi carico dello
svolgimento della procedura di gara, curando
anche la fase di pubblicità e le
comunicazioni agli interessati, oltre a
effettuare anche le verifiche in ordine al
possesso dei requisiti di partecipazione;
sempre alla SUA spetta il compito di
nominare la commissione giudicatrice (in
caso di aggiudicazione con offerta
economicamente più vantaggiosa), curare gli
eventuali contenziosi e infine collaborare
con l'ente per la stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali
della convenzione facendo particolare
riferimento, all'ambito di applicazione
della convenzione (cioè la o le procedure
interessate), ai profili attinenti il
rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla
suddivisione degli oneri relativi ai
contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da
parte dell'ente aderente, alla SUA e alla
prefettura, dei contratti stipulati e delle
varianti intervenute nel corso
dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di
monitoraggio e di controllo sugli appalti il
dpcm prevede un serrato collegamento fra
prefetture, soggetto cui dovranno affluire
tutte le informazioni e i dati utili alla
prevenzione delle infiltrazioni della
criminalità organizzata, e SUA, alla quale
le prefetture metteranno a disposizione le
informazioni sulle imprese partecipanti alla
gara.
Chi aderisce alla SUA potrà invece delegare
la verifica dei progetti e l'esame delle
varianti al provveditorato interregionale
per le opere pubbliche. L'ente interessato
ad avvalersi della SUA dovrà stipulare una
convenzione per disciplinare la
collaborazione (articolo
ItaliaOggi del 05.07.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Ricorsi appalti,
contributo unificato doppio.
Ritocco all'aumento del
contributo unificato per i ricorsi sugli
appalti: è (solo) raddoppiato. Per tutte le
controversie, a prescindere dal valore.
Questa la versione della manovra Tremonti
nel testo inviato al Quirinale, che non
contiene la novella alla legge Pinto
sull'indennizzo per processi troppo lunghi e
neppure la sospensione dei processi agli
irreperibili. Anche se spunta una
sospensione d'ufficio delle sentenze civili
esecutive, dietro pagamento di cauzione.
Sul contributo unificato il testo della
manovra, nell'ultima versione, prevede che
per i ricorsi sugli appalti (articolo 119,
comma 1, lettere a) e b) del codice del
processo amministrativo, dlgs 104/2010), il
contributo dovuto è di 4 mila euro. Si
tratta del raddoppio rispetto all'importo
attualmente dovuto, pari a 2 mila euro.
Insomma un incremento deciso, anche se di
importo più basso rispetto a una versione
antecedente del decreto-legge.
Scorrendo i testi precedenti si trovava,
infatti, un incremento progressivo per fasce
di valore: si prevedeva il contributo dovuto
di 3 mila euro per le controversie è pari o
inferiore ad euro 200 mila; di euro 4 mila
per quelle di importo compreso tra 200 mila
euro e un milione; di euro 5 mila per le
controversie di valore superiore a un
milione.
Peraltro il risultato finale non dovrebbe
pesare sulla finanza pubblica, considerato
che l'aumento a 4 mila euro si applica anche
alle controversie per cui si prevedeva solo
un aumento a 3 mila euro.
Il risultato peserà di certo sulle spalle di
chi vuole difendersi in giudizio; anche le
pubbliche amministrazioni dovranno fare
molta attenzione al contenzioso. Una
eventuale soccombenza comporterà un
potenziale rimborso di somme molto alte:
anche il solo rimborso del contributo
unificato può raggiungere cifre salate: si
pensi al rimborso del contributo pagato per
il ricorso e per un successivo atto di
motivi aggiunti e la restituzione tocca già
8 mila euro.
La manovra contiene, infine, due novità per
il codice di procedura civile e, in
particolare, per il regime della sospensione
delle sentenze esecutive nella pendenza di
giudizi di impugnazione. Con una aggiunta
all'articolo 283 del codice di procedura
civile si prevede che la sospensione
dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione
della sentenza di primo grado è in ogni caso
concessa per condanne di ammontare superiore
a dieci milioni di euro se la parte che ne
fa istanza presta idonea cauzione.
Allo stesso modo all'articolo 373 si prevede
che la sospensione della sentenza impugnata
in cassazione è in ogni caso concessa per
condanne di ammontare superiore a venti
milioni di euro dietro idonea cauzione (articolo
ItaliaOggi del 05.07.2011). |
APPALTI:
Nella materia delle
procedure di evidenza pubblica, la nozione
di "offerta condizionata" non coincide con
la figura civilistica della "condizione"
intesa come evento futuro ed incerto da cui
si fa dipendere l'efficacia del negozio, ma
ricorre quando l'offerente subordina il
proprio impegno contrattuale a che la
controparte accetti una controproposta
concernente un patto aggiuntivo o
modificativo rispetto allo schema proposto
dalla stazione appaltante; di conseguenza
essa è inammissibile, atteso che le regole
dell'evidenza pubblica esigono la perfetta
conformità tra il regolamento contrattuale
predisposto dalla stazione appaltante e
l'offerta presentata dal candidato. In
sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa
partecipante può dirsi condizionata e,
quindi, inammissibile, quando il concorrente
subordina la sua adesione al contratto a
condizioni estranee all'oggetto del
procedimento ovvero ad elementi non previsti
nelle norme di gara o di capitolato.
Recenti pronunce giurisprudenziali hanno
chiarito che, nella materia delle procedure
di evidenza pubblica, la nozione di "offerta
condizionata" non coincide con la figura
civilistica della "condizione" intesa
come evento futuro ed incerto da cui si fa
dipendere l'efficacia del negozio, ma
ricorre quando l'offerente subordina il
proprio impegno contrattuale a che la
controparte accetti una controproposta
concernente un patto aggiuntivo o
modificativo rispetto allo schema proposto
dalla stazione appaltante; di conseguenza
essa è inammissibile, atteso che le regole
dell'evidenza pubblica esigono la perfetta
conformità tra il regolamento contrattuale
predisposto dalla stazione appaltante e
l'offerta presentata dal candidato (TAR
Umbria Perugia, sez. I, 11.06.2010, n. 369).
In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa
partecipante può dirsi condizionata e,
quindi, inammissibile, quando il concorrente
subordina la sua adesione al contratto a
condizioni estranee all'oggetto del
procedimento ovvero ad elementi non previsti
nelle norme di gara o di capitolato (TAR
Umbria Perugia, sez. I, 13.04.2010, n. 239)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 04.07.2011 n. 5827 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La cauzione provvisoria
deve essere riportata all’istituto della
caparra cofirmataria: la sua ratio consiste
infatti nell’garantire la serietà e
affidabilità dell'offerta ovvero nel fornire
una garanzia per la mancata sottoscrizione
del contratto per fatto dell'aggiudicatario.
Le stazioni appaltanti non sono libere di
decidere di non avvalersi della cauzione
provvisoria, richiedendo ad esempio solo la
cauzione definitiva, di cui all’art. 113
d.lgs. n. 163/2006 ovvero consentendo
comunque la partecipazione anche delle
imprese che non l’abbiano prestata.
Pertanto, anche nel caso in cui il bando non
contempli la sanzione dell’esclusione per la
mancata prestazione della cauzione
provvisoria, l’offerta che non sia corredata
dalla cauzione provvisoria deve ugualmente
essere dichiarata inammissibile, essendo la
cauzione provvisoria un elemento essenziale
dell’offerta.
La regolarizzazione documentale (in sede di
gara) può riguardare solo gli aspetti non
essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione
provvisoria costituisce un elemento
essenziale dell'offerta e, pertanto, non può
esserne richiesta la regolarizzazione dopo
che siano scaduti i termini per la
presentazione di essa. La giurisprudenza,
inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione
è ammissibile, nel rispetto della par
condicio tra i concorrenti, solo per
l'integrazione e la regolarizzazione della
documentazione di gara che sia già stata
prodotta.
L’art. 75 del
codice dei contratti prevede al comma 1 come
obbligatoria la prestazione della cauzione
provvisoria, che deve corredare l’offerta.
Essa, pari al 2% del prezzo base indicato
nel bando o nell’invito, può avere la forma
di cauzione o di fideiussione. L’art. 75,
comma 8, prevede inoltre che l’offerta debba
essere inoltre corredata, a pena di
esclusione, dall’impegno di un fideiussore a
rilasciare la garanzia fideiussoria per
l’esecuzione del contratto, qualora
l’offerente risultasse aggiudicatario.
Rileva in primo luogo il collegio che la
cauzione provvisoria, secondo l’orientamento
prevalente della giurisprudenza
amministrativa e confermato dalle Sezioni
Unite della Cassazione, deve essere
riportata all’istituto della caparra
cofirmataria: la sua ratio consiste
infatti nell’garantire la serietà e
affidabilità dell'offerta (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 04.02.2009, n. 2634 e TAR
Lazio Roma, sez. I, 19.03.2010, n. 4321),
ovvero nel fornire una garanzia per la
mancata sottoscrizione del contratto per
fatto dell'aggiudicatario (TAR Lazio Roma,
sez. III, 15.01.2010, n. 280).
Si tratta di un istituto di rilevante
importanza in quanto è posto a presidio
dell’interesse della amministrazione a non
essere coinvolta in contrattazioni non
serie.
La norma, data la sua centralità nel sistema
disegnato dal codice dei contratti, non può
essere derogata dal bando poiché altrimenti
verrebbe ad essere vanificato il controllo
sulla sussistenza dei requisiti dei
partecipanti alla gara ai sensi dell’art.
48, che prevede come sanzione appunto
l’incameramento della cauzione provvisoria e
l’amministrazione inoltre verrebbe ad essere
privata della possibilità di rivalersi
immediatamente su di una somma già
disponibile per il caso di mancata
sottoscrizione del contratto per fatto
dell’affidatario (salva la possibilità di
agire per l’ulteriore danno).
Va inoltre rilevato che l’art. 75 è
costruito come norma imperativa, in quanto
la possibilità per le amministrazioni
procedenti di disporre –nel bando-
diversamente da quanto in essa previsto è
limitata alla sola questione della durata
della garanzia (art. 75, comma 5). Per il
resto, lo stesso art. 75 disciplina in modo
completo e dettagliato ogni aspetto della
prestazione della cauzione.
Sulla base di tali argomentazioni deve
affermarsi –come peraltro già rilevato in
giurisprudenza– che le stazioni appaltanti
non siano libere di decidere di non
avvalersi della cauzione provvisoria,
richiedendo ad esempio solo la cauzione
definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n.
163/2006 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
12.06.2009, n. 3746) ovvero consentendo
comunque la partecipazione anche delle
imprese che non l’abbiano prestata.
Pertanto, anche nel caso in cui il bando non
contempli la sanzione dell’esclusione per la
mancata prestazione della cauzione
provvisoria, l’offerta che non sia corredata
dalla cauzione provvisoria deve ugualmente
essere dichiarata inammissibile, essendo la
cauzione provvisoria un elemento essenziale
dell’offerta (Cons. di Stato sez. IV, n.
7380 del 15.11.2004).
Nel caso in esame, peraltro, al punto 7 del
bando, la stazione appaltante aveva
espressamente richiamato l’art. 75 del
codice dei contratti. Risulta pertanto
irrilevante la circostanza che non fosse
espressamente prevista anche la sanzione
dell’inammissibilità per la mancata
prestazione della cauzione provvisoria,
giacché –come si è visto– l’art. 75 deve
essere letto nel senso di imporre
l’esclusione di una impresa che non abbia
prestato la dovuta cauzione provvisoria.
Tanto chiarito, appare evidente come non
fosse possibile ricorrere alla
regolarizzazione di cui all’art. 46 del
codice dei contratti.
Infatti, la regolarizzazione può –secondo il
più recente indirizzo giurisprudenziale–
riguardare solo gli aspetti non essenziali
dell’offerta. Invece, la cauzione
provvisoria costituisce –come si è visto- un
elemento essenziale dell'offerta e, pertanto
non può esserne richiesta la
regolarizzazione dopo che siano scaduti i
termini per la presentazione di essa (cfr.
in termini TAR Campania Salerno, sez. I,
17.01.02008, n. 55, Cons. di Stato sez. V,
n. 1495 del 13.03.2002, TAR Veneto n. 1145
del 21.04.2004; TAR Veneto n. 1325 del
13.04.2002 e in un caso di difformità della
cauzione provvisoria prestata rispetto alle
prescrizioni del bando, TAR Lazio Roma, sez.
III, 04.08.2006, n. 6915).
La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che
la regolarizzazione è ammissibile, nel
rispetto della par condicio tra i
concorrenti, solo per l'integrazione e la
regolarizzazione della documentazione di
gara che sia già stata prodotta (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. III, 14.02.2006, n. 1066
che non ha consentito, dopo lo spirare del
prescritto termine, la sostituzione della
polizza fideiussoria costituente cauzione).
Nemmeno può valorizzarsi, infine, ad avviso
del collegio, quell’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale la
sussistenza di un affidamento incolpevole da
parte della controinteressata a fronte di
clausole ambigue del bando giustifica il
ricorso alla regolarizzazione, nel rispetto
del favor partecipationis (cfr. TAR
Sicilia Catania, sez. III, 16.12.2008, n.
2355)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 04.07.2011 n. 5827 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: Art. 7 D.L. n. 70/2011 - c.d.
Decreto sviluppo - prime indicazioni
operative (Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali,
circolare 04.07.2011 n. 16/2011). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Regolamento appalti, una check list
per le offerte anomale (link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI: SUBAPPALTO.
Nelle gare per l'aggiudicazione di appalti
pubblici, la dichiarazione resa dalla ditta
appaltante all'atto della presentazione
dell'offerta, secondo cui la stessa si
riserva di subappaltare alcuni lavori in
caso di aggiudicazione, costituisce un
presupposto essenziale, non ai fini della
partecipazione alla gara, ma in vista della
successiva autorizzazione della stazione
appaltante.
In ogni caso, l'indicazione delle imprese
subappaltatrici deve essere effettuata in
sede di deposito del contratto presso la
stazione appaltante, e non in corso di
esecuzione del contratto (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 01.07.2011 n. 5806 -
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'ammissione ad una gara di un
concorrente che abbia dichiarato di voler
ricorrere al subappalto, senza tuttavia
indicare il subappaltatore, né i requisiti
di partecipazione da quest'ultimo posseduti.
Ai sensi
dell'art. 118 del d.lgs. n. 163/2006, le
dichiarazioni relative al subappalto possono
essere rese in fase esecutiva, ma solo
qualora l'appaltatore abbia i requisiti per
eseguire in proprio l'opera senza ricorrere
al subappalto.
Infatti, in mancanza del possesso dei
requisiti da parte dell'appaltatore, il
ricorso al subappalto si configura alla
stregua di un avvalimento, con conseguente
obbligo delle dichiarazioni al momento
dell'offerta, così come previsto dall'art.
49 del d.lgs. n. 163/2006.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
il provvedimento di ammissione ad una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che, essendo
privo dei requisiti necessari per
partecipare alla procedura, abbia dichiarato
di voler ricorrere al subappalto, senza
tuttavia indicare il subappaltatore, né i
requisiti di partecipazione da quest'ultimo
posseduti (TAR Lazio-Sez. III,
sentenza 01.07.2011 n. 5806 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Subappalto e
dichiarazioni obbligatorie.
Il concorrente, qualora sprovvisto dei
requisiti necessari per la partecipazione
alla gara, ha l’obbligo di indicare
espressamente il soggetto subappaltatore ed
il possesso dei requisiti da quest’ultimo
posseduti.
Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez. III,
con la
sentenza 01.07.2011 n. 5806,
nell’ambito di una gara per l’affidamento
dei lavori di manutenzione di edifici
universitari.
Nel caso in esame l’aggiudicatario aveva
proposto ricorso incidentale nei confronti
di una delle concorrenti che a sua volta
aveva impugnato dinanzi ai Giudici di primo
grado l’avvenuta aggiudicazione.
Oggetto del ricorso incidentale era in
particolare l’illegittimità dell’ammissione
alla gara perché nella domanda di
partecipazione non sarebbero stati indicati
i subappaltatori oltre al fatto che il
ricorrente principale sarebbe stato
sprovvisto dei requisiti per assumere
direttamente le opere per cui aveva
dichiarato il subappalto.
I Giudici di prime cure ritengono fondata la
domanda proposta dall’aggiudicatario
sull’assunto che “L'affidamento in
subappalto o in cottimo è sottoposto alle
seguenti condizioni:
1) che i concorrenti all'atto dell'offerta o
l'affidatario, nel caso di varianti in corso
di esecuzione, all'atto dell'affidamento,
abbiano indicato i lavori o le parti di
opere ovvero i servizi e le forniture o
parti di servizi e forniture che intendono
subappaltare o concedere in cottimo;
2) che l'affidatario provveda al deposito
del contratto di subappalto presso la
stazione appaltante almeno venti giorni
prima della data di effettivo inizio
dell'esecuzione delle relative prestazioni;
3) che al momento del deposito del contratto
di subappalto presso la stazione appaltante
l'affidatario trasmetta altresì la
certificazione attestante il possesso da
parte del subappaltatore dei requisiti di
qualificazione prescritti dal presente
codice in relazione alla prestazione
subappaltata e la dichiarazione del
subappaltatore attestante il possesso dei
requisiti generali di cui all'articolo 38;
4) che non sussista, nei confronti
dell'affidatario del subappalto o del
cottimo, alcuno dei divieti previsti
dall'articolo 10 della legge 31.05.1965, n.
575, e successive modificazioni.”
Su quale debba essere l’esatta
interpretazione dell’art. 118 del D.Lgs.
163/2006, la giurisprudenza ha più volte
sostenuto che la mancata o incompleta
dichiarazione non incide sulla
partecipazione ma esclusivamente sulla
possibilità di ricorrere al subappalto
(Consiglio di Stato n. 3969/2009; Consiglio
di Stato 9577/2010).
Questa interpretazione presuppone tuttavia
che l’appaltatore possegga i requisiti per
eventualmente eseguire l’opera, viceversa si
correrebbe il rischio che possa realizzare
l’opera un soggetto sprovvisto dei requisiti
necessari, “con inutilità di tutto il
sistema di qualificazione dei lavori
pubblici.”
In conclusione, tali considerazioni derivano
dal prevalente orientamento
giurisprudenziale secondo il quale in caso
di mancanza dei requisiti da parte
dell’appaltatore il ricorso al subappalto è
sostanzialmente un avvalimento, con la
conseguente applicazione del regime delle
dichiarazioni previste dall’art. 49 del
Codice dei contratti (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti
e presentazione delle offerte, al bando chi
non rispetta il bando!
La presentazione delle
offerte nei bandi di gara pubblici deve
essere effettuata secondo le indicazioni
richieste dal bando di gara; la ditta
partecipante rischia di essere estromessa
dalla gara qualora presenti le offerte con
caratteristiche non previste dal bando.
La questione.
I giudici amministrativi hanno affrontato un
caso molto particolare che però ci è utile
per comprendere l’argomento oggetto del
presente commento: come la presentazione
delle offerte nei bandi di gara devono
essere pedissequamente osservate dai
partecipanti all’appalto.
Il caso preso in esame dai giudici
amministrativi riguarda l’impugnazione, da
parte di una società, della comunicazione di
esclusione dalla gara per l'affidamento
della fornitura di sistemi, infrastrutture
tecnologiche e servizi per l'archivio
digitale e cartaceo di una provincia
pugliese; il motivo dell’esclusione è che il
plico dell'offerta tecnica non contiene il
CD con i files su PDF come espressamente
previsto a pena d’esclusione dal
disciplinare di gara.
Il disciplinare di gara, infatti, prevede
espressamente che “ai fini di una più
agevole consultazione, dovrà essere
consegnata a pena di esclusione una copia
dell'offerta tecnica in formato elettronico
PDF memorizzato su supporto non modificabile
(es. CD.R o DVD.R) includendo gli eventuali
allegati”.
La procedura semplificata.
Per la risoluzione del caso è stata attuata
la procedura semplificata di cui
all’articolo 60 del nuovo codice del
processo amministrativo. Il Codice del
processo amministrativo approvato con il
decreto legislativo 02.07.2010, n. 104,
conferma la cd. definizione del giudizio con
sentenza in forma semplificata, ovvero la
possibilità che il collegio definisca
direttamente la causa in sede di decisione
della domanda cautelare.
E si ha salvezza del diritto di ciascuna
delle parti di chiedere termini per proporre
motivi aggiunti, ricorso incidentale,
regolamento di giurisdizione o di
competenza. In tal caso, ove necessario, il
collegio dispone l’integrazione del
contraddittorio e fissa contestualmente la
data per il prosieguo della trattazione.
La mancanza di questa previsione era innanzi
avvertita quale problematica, in quanto la
decisione di definire il giudizio nel merito
da parte del giudice, non permetteva alla
parte di lamentare ulteriori profili
dell’atto, tramite ricorso incidentale o
proposizione di motivi aggiunti.
La decisione dei giudici
amministrativi.
I giudici amministrativi della Puglia
ritengono che il ricorso presentato dalla
ditta avverso l’esclusione dalla
partecipazione alla gara sia da respingere .
Le clausole del bando sono chiare e
inequivoche nel stabilire l'esclusione dalla
gara nell'ipotesi di mancata produzione del
CD, per cui non vi è spazio per una
qualsiasi interpretazione di tipo
teleologico in relazione al “principio
del favor partecipationis”.
La richiesta di produrre il CD, inserita
nella lex specialis, non è neppure
incongrua, illogica o sproporzionata: si
tratta del deposito di supporti informatici
di facile e corrente utilizzo (soprattutto
per una società che si occupa proprio di
elaborazione dati), che appare funzionale
allo scopo evidenziato nel capitolato (di
rendere la procedura di gara celere e
sicura, concretizzando così una delle
direttive ispiratrici della disciplina, sia
sostanziale sia processuale, degli appalti
pubblici), senza comportare alcun aggravio
significativo a carico della concorrente.
Il TAR della Puglia respinge il ricorso e
condanna la società esclusa dal bando di
gara al pagamento nei confronti della
provincia pugliese dell’importo di euro
5.000,00 maggiorate di CPI e IVA (commento
tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 01.07.2011 n. 1007 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, per omessa allegazione di un CD,
contenente i files dell'offerta in formato
pdf, nel caso in cui ciò sia prescritto dal
bando.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di una ditta
concorrente, che abbia omesso di allegare il
CD contenente i files dell'offerta in
formato pdf, in quanto, nel caso di specie,
la clausola del bando è chiara ed inequivoca
nel comminare l'esclusione dalla gara,
nell'ipotesi di mancata adempimento della
suddetta previsione, pertanto non vi è
spazio per una qualsiasi interpretazione di
tipo teleologico in relazione al principio
del favor partecipationis.
Peraltro, la richiesta di produrre il CD,
inserita nella lex specialis, non
risulta illogica né sproporzionata, in
quanto trattasi del deposito di supporti
informatici di facile e corrente utilizzo,
soprattutto per una società che si occupa
proprio di elaborazione dati, e che appare
funzionale allo scopo di rendere la
procedura di gara celere e sicura,
concretizzando, in tal modo, una delle
direttive ispiratrici della disciplina
sostanziale e processuale in materia di
appalti pubblici, senza comportare alcun
aggravio a carico della concorrente (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 01.07.2011 n. 1007 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
giugno 2011 |
|
APPALTI: Sul
potere rappresentativo del procuratore
stabile dell'impresa e sull'individuazione
dei soggetti tenuti a rendere le
dichiarazioni ex articolo 38.
1. In assenza di un' espressa comminatoria
di esclusione, il potere rappresentativo del
procuratore stabile dell'impresa risultante
dal certificato camerale, non deve essere
dimostrato attraverso la produzione della
procura, richiesta solo in caso di
procuratore occasionale.
2. I procuratori della società non sono
tenuti a rendere le dichiarazioni di cui
all'articolo 38 del d.lgs. n. 163/2006.
3. L'articolo 84 del d.lgs. 163/2006 non si
applica agli appalti di servizi di cui
all'Allegato II B (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.06.2011 n. 3926 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Raggruppamenti
temporanei di imprese, fidejussione per
tutte.
Nel caso di partecipazione di un costituendo
raggruppamento temporaneo di imprese ad una
gara di appalto, la polizza fideiussoria,
mediante la quale viene costituita la
cauzione provvisoria, deve essere intestata
non solo alla società capogruppo, ma anche
alle mandanti.
La doglianza chiama in causa l'art. 75
d.lgs. n. 163/2006 ed il punto 5, paragrafo
VI, del disciplinare, in tema di cauzione
provvisoria.
In giurisprudenza si è da tempo affermato il
principio per cui, nel caso di
partecipazione di un costituendo
raggruppamento temporaneo di imprese ad una
gara di appalto, la polizza fideiussoria,
mediante la quale viene costituita la
cauzione provvisoria, deve essere intestata
non solo alla società capogruppo, ma anche
alle mandanti.
Ciò al fine di evitare il configurarsi una
carenza di garanzia per la stazione
appaltante con riferimento a quei casi in
cui l'inadempimento non dipenda dalla
capogruppo designata, ma appunto dalle
mandanti (Cons. Stato, Ad.Pl.. n. 8/2005;
VI, 23.07.2009, n. 4648).
La stessa giurisprudenza ha precisato,
peraltro, che il fidejussore, per assicurare
in modo pieno l'operatività della garanzia
di fronte ai possibili inadempimenti da "coprire"
con la cauzione provvisoria, deve richiamare
la natura collettiva della partecipazione
alla gara di più imprese, identificandole
singolarmente e contestualmente, e deve
dichiarare di garantire con la cauzione
provvisoria non solo la mancata
sottoscrizione del contratto, ma anche ogni
altro obbligo derivante dalla partecipazione
alla gara, pena l'esclusione dal
procedimento (Consiglio Stato Ad. Pl.,
04.10.2005, n. 8).
Da tale clausola si desume, invero: che il
Consorzio ha stipulato la scrittura
fideiussoria nella propria specifica qualità
di capogruppo mandataria, in procinto di
presentare offerta in gara per l'affidamento
dell'appalto in discussione; di riflesso,
che la garanzia prestata, che riguarda il "pagamento
delle somme dovute dal contraente per il
mancato adempimento degli obblighi ed oneri
inerenti alla partecipazione alla gara",
attiene a tutti gli obblighi discendenti
dalla partecipazione del raggruppamento alla
gara, e quindi non solo a quelli che gravano
il predetto Consorzio in proprio, ma anche a
quelli che gli si riversano quale
mandatario, onde la stessa garanzia è
destinata ad operare per tutte le somme che
nella detta qualità possano essere pretese
nei confronti del medesimo Consorzio.
Rientrano, dunque, nella portata della
garanzia anche le inadempienze ascrivibili a
fatti -non della capogruppo ma- di una delle
imprese mandanti, di cui la mandataria
dovrebbe pur sempre rispondere, per il
vincolo di solidarietà che discende dalla
presentazione dell'offerta congiunta, anche
ai sensi dell'art. 6 del disciplinare di
gara.
E questo è esattamente quanto richiesto
dalla giurisprudenza dominante e dalla
normativa di gara, la quale ultima, con la
prescrizione per cui "la cauzione dovrà
prestarsi a nome di tutte le imprese facenti
parte del raggruppamento... non ancora
costituito", esigeva proprio -e
semplicemente- che la garanzia coprisse
anche i fatti imputabili alle imprese
mandanti (cfr. C.d.S., V, 21.04.2009, n.
2400).
Solo per completezza si ricorda, quindi, che
nella sentenza n. 8/2005 dell'Adunanza
Plenaria si è ritenuta decisiva, per
pervenire al risultato dell'inidoneità della
garanzia, la circostanza che nella polizza
fideiussoria del caso non si facesse
riferimento (contrariamente a quanto occorso
nella presente vicenda) al fatto che
l'impresa cui la polizza era intestata aveva
partecipato all'incanto in qualità di
mandataria di una costituenda ATI (nel senso
dell'essenzialità di tale puntualizzazione
ai fini della completezza della garanzia v.
anche C.d.S., V, 28.05.2010, n. 3401).
La conclusione della regolarità della
cauzione provvisoria presentata dall'attuale
appellata trova ulteriore fondamento in ciò,
che "la non necessità della
sottoscrizione da parte dei soggetti che
concorrono alla gara ai fini del
perfezionamento di un contratto che può
soggiacere al procedimento semplificato di
formazione di cui all'art. 1333 c.c., non
toglie che l'intervento della
sottoscrizione... sia comunque apprezzabile,
congiuntamente a tutti gli ulteriori
elementi sopra specificati, al fine di
individuare i soggetti beneficiari della
polizza e, quindi, la perimetrazione del
rischio garantito" (C.d.S., V,
07.04.2011 n. 2169) (commento tratto da
www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.06.2011 n. 3924 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La motivazione di "non
gravità" del reato è implicita
nell'ammissione alla gara.
Il codice degli appalti
non richiede l’esplicitazione del giudizio
di ammissione di un concorrente per quanto
riguarda i precedenti penali che non
incidono sull’affidabilità professionale
dell’impresa.
E’ questo il principio che è stato espresso
con la
sentenza 30.06.2011 n. 3924 dalla
V sezione del Consiglio di Stato.
Il ricorso aveva origine con l’impugnazione
degli atti relativi all’aggiudicazione della
procedura aperta per l’affidamento della
gestione integrata del patrimonio
immobiliare e dei servizi per il
funzionamento delle scuole d’infanzia. In
particolare il ricorrente contestava come la
stazione appaltante non avesse espresso
alcun giudizio di affidabilità morale e
professionale, relativamente ad una serie di
condanne penali dichiarate dal legale
rappresentante della società
controinteressata, nonostante che tale
giudizio fosse richiesto dal disciplinare di
gara.
Il Consiglio di Stato, in conformità con la
decisione del 1° grado, ha precisato come
l’esigenza di un giudizio espresso di
ammissione di un concorrente potrebbe al più
essere imposto per quanto riguarda i
precedenti penali che obiettivamente si
presentino, prima facie,
riconducibili ai “reati gravi in danno
dello Stato o della Comunità” e che
incidono sulla morale professionale; al
contrario un giudizio espresso non è
richiesto per tutti gli altri casi in cui i
precedenti penali dichiarati non manifestino
alcuna incidenza sull’affidabilità
professionale dell’impresa.
In particolare è stato chiarito come “A
conferma della legittimità dell’azione
amministrativa si osserva che, né la
disciplina speciale di gara, né il Codice
degli appalti, prescrivono che il giudizio
favorevole all’ammissione di un concorrente
debba essere necessariamente esplicitato e
formalizzato. La giurisprudenza di questo
Consiglio è infatti nel senso che la
Stazione appaltante, che non ritenga il
precedente penale dichiarato dal concorrente
incisivo della sua moralità professionale,
non è tenuta ad esplicitare in maniera
analitica le ragioni di siffatto
convincimento, potendo la motivazione di non
gravità del reato risultare anche implicita
o per facta concludentia, ossia con
l'ammissione alla gara dell'impresa, mentre
è la valutazione di gravità, semmai, che
richiede l'assolvimento di un particolare
onere motivazionale (C.d.S., III,
11.03.2011, n. 1583). La stazione appaltante
deve invero motivare puntualmente le
esclusioni, e non anche le ammissioni, se su
di esse non vi è, in gara, contestazione
(C.d.S. VI, 24.06.2010, n. 4019)”.
In conclusione secondo i giudici del
Consiglio di Stato la stazione appaltante
non è tenuta ad esplicitare le ragioni in
base alle quali ammette un concorrente alla
gara ritenendo che i precedenti penali
dichiarati non siano incisivi sulla moralità
professionale dell’impresa (commento tratto
da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La necessità di una
formalizzazione del giudizio di ammissione
va esclusa in tutti i casi in cui si
manifesti subito la non incidenza delle
condotte emerse sull'affidabilità
professionale dell'impresa.
Nel caso di partecipazione di un RTI ad una
gara di appalto, la polizza fideiussoria
deve essere intestata non solo alla società
capogruppo, ma anche alle mandanti.
Il Codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006)
non prevede che il giudizio favorevole
all'ammissione di un'impresa ad una gara
d'appalto debba essere necessariamente
formalizzato.
Pertanto, nel caso di specie, la stazione
appaltante qualora non ritenga il precedente
penale dichiarato dal concorrente incisivo
della sua moralità professionale, non è
tenuta ed esplicitare in maniera analitica
le ragioni di siffatto convincimento,
potendo la motivazione di non gravità del
reato risultare anche per facta
concludentia, ossia con l'ammissione
alla gara dell'impresa, mentre è la
valutazione di gravità che richiede
l'assolvimento di un particolare onere
motivazionale. La stazione appaltante deve
invero motivare puntualmente le esclusioni,
e non anche le ammissioni, se su di esse non
vi è contestazione.
Pertanto, se può ammettersi che un'esigenza
di motivazione espressa si imponga al
cospetto di precedenti penali che
obiettivamente si presentino, prima facie,
riconducibili all'area dei "reati gravi
in danno dello Stato o della Comunità"
ed incidenti sulla morale professionale, sì
da esigere una specifica valutazione
amministrativa al riguardo, la necessità di
una formalizzazione del giudizio di
ammissione va invece esclusa in tutti i
casi, in cui si manifesti subito la non
incidenza delle condotte emerse
sull'affidabilità professionale
dell'impresa.
---------------
In giurisprudenza si è da tempo affermato il
principio secondo cui, nel caso di
partecipazione di un RTI ad una gara di
appalto, la polizza fideiussoria, mediante
la quale viene costituita la cauzione
provvisoria, deve essere intestata non solo
alla società capogruppo, ma anche alle
mandanti. Ciò al fine di evitare il
configurarsi una carenza di garanzia per la
stazione appaltante, con riferimento a quei
casi in cui l'inadempimento non dipenda
dalla capogruppo designata, bensì dalle
mandanti.
Peraltro, il fideiussore, al fine di
assicurare l'operatività della garanzia di
fronte ai possibili inadempimenti da "coprire"
con la cauzione provvisoria, deve richiamare
la natura collettiva della partecipazione
alla gara di più imprese, identificandole
singolarmente e contestualmente, e deve
dichiarare di garantire, mediante la
cauzione provvisoria, non solo la mancata
sottoscrizione del contratto, ma ogni altro
obbligo derivante dalla partecipazione alla
gara, pena l'esclusione dal procedimento.
Rientrano, dunque, nella portata della
garanzia, anche le inadempienze ascrivibili
a fatti di una delle imprese mandanti, di
cui la mandataria dovrebbe pur sempre
rispondere, in virtù del vincolo di
solidarietà che discende dalla presentazione
dell'offerta congiunta (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 30.06.2011 n. 3924 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Commissione giudicatrice
- Variazione della consistenza numerica
dell’organo successiva all’apertura delle
buste - Illegittimità.
E’ illegittima l’integrazione della
Commissione giudicatrice avvenuta in un
momento successivo a quello dell’apertura
delle buste delle offerte tecniche.
Va precisato, al riguardo, che la
giurisprudenza amministrativa ha escluso
l’immanenza nell’ordinamento di un principio
di immodificabilità delle commissioni di
gara, ammettendo che i loro membri possano
essere sostituiti quando ciò sia reso
necessario da esigenze di rapidità e
continuità dell’azione amministrativa (Cons.
Stato, sez. V, 03.12.2010, n. 8400).
Viceversa, deve ritenersi preclusa la
variazione della consistenza numerica
dell’organo, intervenuta in un momento in
cui i membri originari dello stesso avevano
già potuto prendere conoscenza dei contenuti
delle offerte tecniche presentate dai
concorrenti.
Evidenti esigenze di trasparenza e di
rispetto della parità di trattamento dei
concorrenti (nonché di garanzia di
continuità delle operazioni valutative)
impongono di individuare in tale momento il
limite invalicabile oltre il quale non può
essere variata la consistenza numerica della
Commissione.
Commissione di gara -
Sedute - Principi di concentrazione e
continuità.
Le finalità di imparzialità, pubblicità,
trasparenza e speditezza dell’azione
amministrativa impongono che le sedute delle
commissioni di gara si ispirino al principio
di concentrazione e continuità, tendendo a
concentrare, ove possibile, l’esame delle
offerte tecniche ed economiche in una sola
seduta o, comunque, evitando soluzioni di
continuità che favoriscano possibili
influenze esterne idonee a minare l’assoluta
indipendenza di giudizio dell’organo
incaricato della valutazione (Cons. Stato,
sez. V, 23.11.2010, n. 8155).
Comunicazione di
aggiudicazione definitiva - Omissione -
Conseguenze.
L’omissione della comunicazione di
aggiudicazione definitiva non incide sulla
legittimità dell’aggiudicazione medesima, ma
solo sulla decorrenza del termine per
l’impugnazione (cfr., fra le ultime, T.A.R.
Campania, Napoli, sez. I, 11.03.2011, n.
1441) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.06.2011 n. 711 - link
a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Come calcolare i costi della sicurezza e
della manodopera.
La Regione Umbria ha pubblicato le Linee
Guida per il calcolo dei costi e gli oneri
per la sicurezza e del costo presunto della
manodopera.
Le somme indicate devono essere congrue
relativamente al lavoro da affidare e non
possono essere soggette a ribasso d’asta.
Nel documento sono riportati:
- Linee guida per il calcolo dei costi e
degli oneri della sicurezza e per la
determinazione del costo presunto della
manodopera nell'affidamento dei lavori
pubblici;
- Esempio di calcolo per l’attuazione delle
linee guida;
- Schema delle somme componenti un quadro
economico su cui non effettuare il ribasso
ai sensi dell’art. 23 della L.R. n. 23/2010;
- Contabilità dei costi e degli oneri nei
subappalti;
- Tabella delle categorie di cui al D.P.R.
554/1999 e D.P.R 207/2010;
- Elenco degli oneri della sicurezza;
- Elenco costi minimi della manodopera da
non assoggettare a ribasso d’asta
(30.06.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI: Il
termine per l'impugnazione
dell'aggiudicazione decorre dalla
comunicazione anche nel caso in cui
l'Amministrazione abbia omesso di indicare
nella stessa i vantaggi dell'offerta
vincitrice.
Qualora l'appalto sia stato aggiudicato con
il criterio del prezzo più basso, il termine
per impugnare l'aggiudicazione decorre dalla
comunicazione anche nel caso in cui tale
comunicazione risulti priva degli elementi
indicati all’art. 79, comma 2°, del D. Lgs.
n. 163/2006 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 29.06.2011 n. 1244 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
È possibile discostarsi,
in sede di giustificazione dell’anomalia,
dalle tabelle ministeriali recanti il costo
della manodopera solo sulla scorta di una
dimostrazione puntuale e rigorosa.
La Sezione reputa che le censure svolte
dall’appellante non scalfiscano la ragione
di anomalia data dal ridotto tasso di
assenteismo utilizzato per la formulazione
dell’offerta, ragione che, nell’economia del
provvedimento gravato in prime cure, risulta
idonea a sorreggere, in via autonoma, il
giudizio finale negativo evidenziando
l’inaffidabilità complessiva dell’offerta.
Va osservato, in punto di fatto, che la
stazione appaltante ha riscontrato
l’eccessivo scostamento del “costo orario
medio del lavoro” posto a base
dell’offerta rispetto al corrispondente
parametro delle apposite tabelle
ministeriali, e ciò in quanto la misura del
tasso di assenteismo del personale era stato
indicato dalla ditta nel 3,4% a fronte del
ben più alto 6,5% (per assenze dovute a
malattia, infortuni e maternità) risultante
dai valori tabellari. Secondo
l’Amministrazione, in particolare, ai fini
della determinazione delle “ore annue
mediamente lavorate”, la mera produzione
di un dato riepilogativo delle assenze del
personale nel triennio 2006/2008 avrebbe
rappresentato uno strumento in sé inidoneo a
superare il vincolo, ancorché non
inderogabile, derivante dalle tabelle
ministeriali.
La Sezione, a confutazione dei motivi di
appello all’uopo formulati, deve rimarcare
che se è vero che le tabelle ministeriali
recanti il costo della manodopera espongono
dati non inderogabili, si deve altresì
convenire che le medesime assolvono ad una
funzione di parametro di riferimento dal
quale è possibile discostarsi, in sede di
giustificazione dell’anomalia, solo sulla
scorta di una dimostrazione puntuale e
rigorosa. E tanto specie se si considera che
il dato delle “ore annue mediamente
lavorate” dal personale coinvolge eventi
(malattie, infortuni, maternità) che non
rientrano nella disponibilità dell’impresa e
che quindi, per definizione, necessitano di
stima di carattere prudenziale.
Nel caso di specie detto onere probatorio
non risulta assolto in modo adeguato.
Infatti, la semplice produzione dei modelli
di pagamento INPS relativi ai dati
dell’ultimo triennio non è idonea ad
assolvere a detta funzione dimostrativa in
quanto, per un verso, reca dati aziendali
indistinti e disaggregati che non tengono
nel debito conto del personale specifico da
adibire all’appalto, per altro verso non
introduce dati significativi in relazione
all’esecuzione di un contratto per il quale,
ai sensi del contratto collettivo di
settore, è prevista l’assunzione del
personale in servizio presso la società
precedentemente deputata all’espletamento
del servizio. L’inadeguatezza di detta
documentazione risulta ancor più
significativa in rapporto alla rilevante
misura dello scostamento, che avrebbe
richiesto una dimostrazione particolarmente
rigorosa.
Si deve, in definitiva, convenire che il
giudizio individuale sull’inaffidabilità
dell’offerta in ragione del non giustificato
scostamento del tasso di assenteismo dalla
tabella ministeriale non meritevole di
costituisce espressione di discrezionalità
valutazione tecnica che non appare inficiata
da profili di illogicità e sviamento
suscettibili di sindacato in sede
giurisdizionale. Non risulta apprezzabile
neanche la comparazione con l’offerta
dell’aggiudicataria, posto che le
giustificazioni delle offerte vanno
apprezzate in relazione alle posizioni ed
alle prospettazioni individuali delle
singole imprese (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.06.2011 n. 3865 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Va
esclusa la possibilità generalizzata di
modifica, in sede di giustificazioni, delle
voci di costo, cambiandole ad libitum,
essendo solo consentito di procedere ad una
modifica delle giustificazioni delle singole
voci di costo (rispetto alle giustificazioni
già fornite), lasciando le voci di costo
invariate, oppure ad un aggiustamento di
singole voci di costo, che trovi il suo
fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei
costi, o in originari e comprovati errori di
calcolo, o in altre ragioni plausibili.
L’assunto fatto proprio dal Giudice di prime
cure, che le voci di costo non sono
modificabili senza alcuna motivazione, va
quindi inteso nel senso che esse non sono
modificabili al solo scopo di assicurarsi
che il prezzo complessivo offerto resti
immutato e si superino le contestazioni
sollevate dalla stazione appaltante su
alcune voci di costo.
Il procedimento di verifica di anomalia può
essere avulso da ogni formalismo inutile e
può essere improntato alla massima
collaborazione tra stazione appaltante e
offerente, senza preclusioni alla modifica
di giustificazioni di singole voci di costo
fornite prima della scadenza del termine di
presentazione delle offerte, purché
l'offerta risulti nel suo complesso
affidabile al momento dell'aggiudicazione, e
a tale momento dia garanzia di una seria
esecuzione del contratto.
La giurisprudenza esclude la esistenza della
possibilità generalizzata di modifica, in
sede di giustificazioni, delle voci di
costo, cambiandole ad libitum (Cons.
St., sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; Cons. St.,
sez. VI, 19.05.2000 n. 2908), essendo solo
consentito di procedere ad una modifica
delle giustificazioni delle singole voci di
costo (rispetto alle giustificazioni già
fornite), lasciando le voci di costo
invariate, oppure ad un aggiustamento di
singole voci di costo, che trovi il suo
fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei
costi, o in originari e comprovati errori di
calcolo, o in altre ragioni plausibili.
L’assunto fatto proprio dal Giudice di prime
cure, che le voci di costo non sono
modificabili senza alcuna motivazione, va
quindi inteso nel senso che esse non sono
modificabili al solo scopo di assicurarsi
che il prezzo complessivo offerto resti
immutato e si superino le contestazioni
sollevate dalla stazione appaltante su
alcune voci di costo (Consiglio Stato, sez.
VI, 15.06.2010, n. 3759).
Nel caso che occupa l’A.T.I. appellante non
ha posto in essere gli aggiustamenti (dello
stesso tipo di quelli sopra indicati) che
possono ritenersi consentiti, ma ha
modificato, come da quadro sinottico
depositato nel giudizio di primo grado dalla
... s.p.a., i prezzi unitari proprio allo
scopo di assicurarsi che il prezzo
complessivo rimanesse immutato, con
violazione del principio di par condicio tra
concorrenti e privazione di ogni rilievo dei
prezzi unitari (Consiglio Stato, Sez. IV,
11.04.2006, n. 2021).
In conclusione, il procedimento di verifica
di anomalia può essere avulso da ogni
formalismo inutile e può essere improntato
alla massima collaborazione tra stazione
appaltante e offerente, senza preclusioni
alla modifica di giustificazioni di singole
voci di costo fornite prima della scadenza
del termine di presentazione delle offerte,
purché l'offerta risulti nel suo complesso
affidabile al momento dell'aggiudicazione, e
a tale momento dia garanzia di una seria
esecuzione del contratto (Consiglio Stato,
sez. VI, 21.05.2009, n. 3146).
Ciò non può, tuttavia, ritenersi che sia
avvenuto nel caso che occupa, in cui tutti i
prezzi unitari sono stati modificati ed è
stata effettuata una tardiva trasmigrazione
dei costi da una voce all'altra, il che ha
dimostrato che l’offerta non era nel
complesso affidabile (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 28.06.2011 n. 3864 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Consorzi - Requisiti di
natura tecnica singolarmente posseduti dalle
imprese consorziate - Cumulo - Requisiti
generali di partecipazione - Ordine pubblico
e moralità - Singole imprese - Possesso e
documentazione.
Con riferimento alle aggregazioni consortili
cui l’ordinamento riconosce la qualità di
soggetti con propria abilitazione a
concorrere per l’affidamento di commesse
pubbliche, sono le singole imprese
consorziate, dotate di autonoma personalità
e di distinta organizzazione di impresa, i
soggetti chiamati ad assumere in concreto le
opere o i servizi oggetto dell’appalto,
onde, se è in astratto ammissibile cumulare
i requisiti di natura tecnica singolarmente
posseduti dalle imprese consorziate, tale
principio non implica affatto che i
requisiti generali di partecipazione,
relativi alla regolarità della gestione
delle singole imprese sotto il profilo
dell’ordine pubblico, anche economico, e
della moralità, possano ritenersi accertati
con esclusivo riferimento al consorzio e non
debbano invece essere posseduti e
documentati dalle singole imprese designate
quali esecutrici del servizio o dell’opera.
(Cons. Stato, Sez. V, 30.01.2002 n. 507;
Cons. St., sez. IV, 07.04.2008 n. 1485;
Cons. St., sez. VI, 24.11.2009 n. 7380;
Cons. Stato, Sez. VI, 15.06.2010 n. 3759).
Modello GAP - Mancata
specifica previsione nel bando di gara -
Sanzione dell’esclusione - Inapplicabilità -
Ragioni.
Nel caso in cui la disciplina di gara per
l’affidamento di un appalto nulla disponga
circa la produzione del modello GAP, nessuna
sanzione, tanto meno di esclusione dalla
gara, può essere disposta a carico
dell’impresa concorrente che abbia fatto
legittimo affidamento sul tenore del bando e
del disciplinare di gara e ad essi si sia
attenuta, anche perché il modello GAP non
rappresenta un requisito aggiuntivo per la
partecipazione alle gare, vincolante
immediatamente sia le stazioni appaltanti
che i concorrenti in sede di espletamento
delle procedure selettive, e risponde
piuttosto a finalità di polizia, onde la sua
compilazione costituisce adempimento di un
obbligo che, pur sorgendo per l’ente
appaltante e per il privato in occasione
della indizione della gara di appalto, non
attiene al contenuto della gara, rimanendo
estraneo al rapporto che sorge da questa (v.
TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 11.03.2010
n. 2807) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 28.06.2011 n. 216 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
La giurisdizione del
giudice amministrativo in materia di appalti
pubblici è limitata alle controversie
concernenti la fase pubblicistica di scelta
del contraente e non comprende le vicende
successive alla stipulazione del contratto.
Sulle questioni relative alla fase di
esecuzione dei contratti pubblici (vicenda
alla quale non sfugge l'esecuzione
dell'oggetto di una concessione con
riferimento ai rapporti tra il
concessionario ed un sub-appaltatore, come
nel caso di specie), la giurisprudenza è
stata sempre chiarissima e ferma
nell'affermare che la giurisdizione del
giudice amministrativo in materia di appalti
pubblici è limitata alle controversie
concernenti la fase pubblicistica di scelta
del contraente e non comprende le vicende
successive alla stipulazione del contratto,
afferendo queste ultime alla fase paritetica
di esecuzione che è riservata al giudice
ordinario.
Infatti, per pacifica opinione
giurisprudenziale, le disposizioni recanti
devoluzione alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo di tutte le
controversie relative alle procedure di
affidamento di appalti pubblici riguardano
il solo segmento pubblicistico dell'appalto,
inclusi i provvedimenti di non ammissione
alla gara o di esclusione dei concorrenti, e
non anche la fase concernente l'esecuzione
del rapporto, ove resta operante la
competenza giurisdizionale del giudice
ordinario, come giudice dei diritti, al
quale spetta verificare la conformità alla
normativa positiva delle regole attraverso
cui i contraenti hanno disciplinato i loro
contrapposti interessi e delle relative
condotte attuative (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 27.06.2011 n. 5662 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La dichiarazione
sostitutiva di cui all'art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, inerente a circostanze relative a
terzi, deve essere resa solo nella misura in
cui fatti ed atti dichiarati rientrino nella
conoscenza diretta del dichiarante.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,
relativamente alle dichiarazioni sostitutive
rese in ordine a stati, qualità personali e
fatti relativi a terzi, va interpretata in
relazione ai principi generali in tema di
dichiarazioni rese alla P.A. Proprio perché
il soggetto può rendere la dichiarazione
afferente al terzo solo relativamente a
quanto rientri nella propria diretta
conoscenza, ne consegue che, in presenza di
una norma che richiede la predetta
dichiarazione, quest'ultima deve essere resa
se nel senso di attestare solo ciò che è a
conoscenza del dichiarante, ben potendo
l'amministrazione procedere alle opportune
verifiche, in ordine alla sussistenza dei
requisiti in capo a tali soggetti.
Pertanto, la dichiarazione in ordine alle
ragioni che hanno reso impossibile o gravosa
la produzione della dichiarazione "diretta"
da parte dei soggetti interessati, appare
del tutto superflua, né la mancanza di tale
dichiarazione può comportare l'esclusione
dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.06.2011 n. 3862 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gli appalti devono essere aggiudicati mediante
procedure ad evidenza pubblica, principio rispetto al quale
l’affidamento diretto costituisce deroga ed eccezione che,
ove anche prevista, è solo consentita e non certamente
imposta, con la conseguenza che ove la P.A. appaltante, pur
in presenza di una possibilità di deroga, opti invece per la
gara ad evidenza pubblica, la relativa scelta appare
comunque ineccepibile.
Influenzata dall’erroneo
convincimento di aver titolo all’affidamento dei lavori alle
stesse condizioni di quelli espletati in precedenza, sempre
in forza dell’assunto che non sarebbe superato il limite del
sesto quinto, e cioè sulla base di un ribasso del 13%,
appare altresì la doglianza con la quale si contesta la
pretesa della P.A. ad un ulteriore ribasso dell’8%, per un
totale del 21%.
Ineccepibilmente infatti la P.A., nell’esercizio dei suoi
poteri discrezionali di scelta, ha posto come condizione
l’ulteriore ribasso, e non vale neppure affermare,
trattandosi di una inammissibile ingerenza in questioni di
merito a detta P.A. soltanto spettanti, che l’affidamento
dei lavori in questione all’impresa appellante avrebbe
rappresentato la scelta più conveniente, tenuto conto che la
somma risparmiata con il ribasso aggiuntivo preteso sarebbe
stata in gran parte assorbita dalle spese relative alle due
perizie e alla nuova progettazione esecutiva ora disposta.
E ciò senza tener conto che alla conclusione negativa alla
quale ora ci si oppone la P.A. era pervenuta anche in forza
dell’art. 25 L. 11.02.1994 n. 109, nel testo all’epoca
vigente di cui all’art. 8-ter L. 02.06.1995 n. 216, che non
prevede, tra le varianti previste, la tipologia della
variante in questione: a prescindere da ogni dubbio se tale
disposizione potesse o meno formalmente considerarsi in
vigore, ne risulta infatti evidente la ratio legis
che mira ad evitare, a tutela sia del pubblico interesse che
della concorrenza, ogni possibile elusione del principio
generale in base al quale gli appalti devono essere
aggiudicati mediante procedure ad evidenza pubblica,
principio rispetto al quale l’affidamento diretto
costituisce deroga ed eccezione: deroghe ed eccezioni che,
ove anche previste, sono solo consentite e non certamente
imposte, con la conseguenza che ove l’amministrazione
appaltante, pur in presenza in ipotesi di una possibilità di
deroga, opti invece per la gara ad evidenza pubblica, la
relativa scelta appare comunque ineccepibile
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.06.2001 n. 3508 - link a
www.dirittoeschemi.it). |
APPALTI: La
clausola escludente della lex specialis deve
essere immediatamente impugnata a pena di
irricevibilità del ricorso.
Secondo i noti princìpi sanciti dalla
decisione n. 1/2003 dell’A.P. del Consiglio
di Stato, ribaditi –dopo l’entrata in vigore
del codice del processo amministrativo-
dalla sentenza n. 4/2011 della stessa A.P.,
quando venga contestata una clausola del
bando “escludente”, in relazione alla
illegittima previsione di determinati
requisiti di qualificazione, sorge in capo
alla parte un onere di immediata
impugnazione della clausola
medesima (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 27.06.2011 n. 1222 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Mancata presentazione
del contratto di avvalimento: legittima
esclusione da gara.
La mancata produzione
del contratto di avvalimento, nell’ambito
della documentazione amministrativa da
presentare in sede di gara, legittima la
stazione appaltante alla esclusione del
concorrente inadempiente.
E’ questo il principio stabilito dal TAR
Toscana, Sez. I, con
sentenza 27.06.2011 n. 1110.
Nel caso di specie il ricorrente aveva
partecipato, in costituendo raggruppamento
di imprese, alla gara indetta per
l’affidamento dell’incarico di redazione del
Regolamento urbanistico e di costruzione del
SIT a supporto dell’atto di governo. In
assenza di produzione del contratto di
avvalimento, il ricorrente è stato escluso
dalla gara. Conseguentemente viene
contestata l’esclusione dalla gara, facendo
riferimento all’istituto dell’avvalimento in
ambito comunitario.
In particolare, il ricorrente sostiene che
tale istituto è funzionale a garantire la
massima partecipazione dei concorrenti alle
gare pubbliche e, pertanto, la stazione
appaltante avrebbe dovuto chiedere
chiarimenti in luogo di escludere il
concorrente sulla base della mancata
produzione del contratto di avvalimento.
Al contrario, osservano i giudici del TAR
Toscana, l’articolo 49 del Codice degli
appalti stabilisce che in caso di ricorso
all’istituto dell’avvalimento il concorrente
deve produrre una serie di documenti tra cui
“una dichiarazione sottoscritta
dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima
si obbliga verso il concorrente e verso la
stazione appaltante a mettere a disposizione
per tutta la durata dell’appalto le risorse
necessarie di cui è carente il concorrente”
(cfr. lett. d]) nonché “in originale o
copia autentica il contratto in virtù del
quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei
confronti del concorrente a fornire i
requisiti e a mettere a disposizione le
risorse necessarie per tutta la durata
dell’appalto” (cfr. lett. f]).
Nel caso affrontato è di tutta evidenza che
la stazione appaltante nel disciplinare di
gara ha richiesto, oltre alla dichiarazione
sottoscritta dall’impresa ausiliaria, anche
il contratto in originale o in copia
autenticata. Altrettanto chiaro è che la
parte ricorrente non ha prodotto copia del
contratto, giacché si sostiene che lo stesso
è stato concluso in forma verbale e non era
quindi possibile produrne una copia
cartacea. Si sostiene altresì che comunque
la stazione appaltante avrebbe dovuto
ritenere sufficiente la dichiarazione
prodotta dalla ditta ausiliaria.
Richiamando, la giurisprudenza più recente
il TAR ha evidenziato la estrema importanza
della cognizione in sede di gara di tale
contratto anche al fine di poter esaminare
in concreto le pattuizioni stabilite tra le
parti e poter quindi appurare se dalle
stesse emerga una concreta cessione di mezzi
e risorse tra ausiliaria e concorrente, tale
da dare concretezza all’istituto
dell’avvalimento stesso (Cons. Stato, sez.
III, 18.04.2011, n. 2344).
La necessaria produzione in giudizio del
contratto di avvalimento appare quindi
tutt’altro che eccessiva o irrazionale e
comporta che gli accordi tra le parti in
tale materia dovranno senz’altro rivestire
una forma scritta, tale da poter essere
prodotti nella documentazione di gara. Deve
quindi evidenziarsi che, contrariamente a
quanto sostenuto in ricorso, la semplice
dichiarazione di impegno della ausiliaria a
fornire al concorrente quanto necessario per
l’esecuzione del contratto non può dirsi
sostituiva e assorbente rispetto alla
produzione del vero e proprio contratto di
avvalimento, giacché soltanto quest’ultimo
contiene le specifiche pattuizioni tra
impresa ausiliaria e concorrente e consente
quindi la verifica della serietà degli
impegni assunti dall’ausiliaria anche in
termini di messa a disposizione di mezzi e
risorse a favore dell’impresa che partecipa
alla gara.
Sulla base di queste valutazioni, il TAR
Toscana ha respinto il ricorso e condannato
il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio liquidate in € 2000 (link a
www.altalex.com). |
APPALTI:
Il concorrente che
intenda far ricorso all'istituto
dell'avvalimento deve produrre in sede di
gara il relativo contratto.
In caso di ricorso all'istituto
dell'avvalimento, ai sensi dell'art. 49, c.
2, del d.lgs. n. 163/2006, il concorrente
deve produrre una dichiarazione sottoscritta
dall'impresa ausiliaria, con cui
quest'ultima si obbliga verso il primo e nei
confronti della stazione appaltante a
mettere a disposizione le risorse necessarie
di cui è difetta il concorrente, nonché in
originale o copia autentica il contratto in
virtù del quale l'impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell'appalto.
La cognizione in sede di gara di tale
contratto è importante per poter esaminare
in concreto le pattuizioni stabilite tra le
parti, ed appurare se, dalle stesse, emerga
una concreta cessione di mezzi e risorse tra
ausiliaria e concorrente. La necessaria
produzione in giudizio del contratto di
avvalimento è quindi ragionevole, e comporta
che gli accordi tra le parti in tale materia
dovranno senz'altro rivestire una forma
scritta, tale da poter essere prodotti nella
documentazione di gara.
Inoltre, la necessità che l'utilizzo
dell'avvalimento sia accompagnato dalla
produzione in atti del relativo contratto,
non è in contrasto con la normativa europea
in materia, trattandosi di un onere
probatorio che può essere facilmente assolto
e che riveste, peraltro, una chiara funzione
di certezza delle relazioni giuridiche (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 27.06.2011 n. 1110 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara a carico del cui progettista siano
risultate delle condanne penali non
dichiarate.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa, a
carico del cui progettista siano risultate,
a seguito della verifica del possesso dei
requisiti di partecipazione e dall'esame del
relativo certificato del casellario
giudiziale, annotazioni di cui l'incaricato
del progetto non aveva dichiarato
l'esistenza.
Anche a prescindere da ogni considerazione
circa natura e gravità dei reati per i quali
il professionista era stato condannato, in
ogni caso è la stessa dichiarazione non
veritiera che, ai sensi della normativa di
gara, imponeva l'esclusione (TAR Lazio-Roma,
Sez. I-bis,
sentenza 24.06.2011 n. 5651 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: INTERPRETAZIONE
CLAUSOLE BANDO DI GARA.
In tema di interpretazione delle clausole di
un bando di gara, è evidente che un corretto
rapporto tra amministrazione e privato,
rispettoso dei principi generali di buon
andamento dell'azione amministrativa, di
imparzialità e di correttezza, impone che il
bando contenga regole chiare, in modo da
evitare equivoci ed ambigue interpretazioni.
Tuttavia, a chi partecipa ad una gara, in
quanto operatore del settore e, quindi,
soggetto qualificato, si richiede una
lettura complessiva e globale delle regole
della medesima, in modo da poter pervenire
ad una interpretazione sistematica di tutte
le clausole (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.06.2011 n. 3387 -
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla ratio del divieto
di all'art. 13 del D.L. 223/2006 (decreto
Bersani) e sull'interpretazione della
locuzione "oggetto esclusivo".
Sul periodo transitorio per la cessazione
degli affidamenti diretti e divieto di
partecipazione alle gare.
L'art. 13 del D.L. 223/2006, convertito in
l. 248/2006 (c.d. decreto Bersani) trova
fondamento nel fatto che l'U.E. ha
reiteratamente previsto la necessità che gli
Stati membri provvedano alla
regolamentazione dell'accesso al mercato
degli appalti pubblici da parte di organismi
di proprietà o partecipati da Enti pubblici
(IV considerando della Direttiva
2004/18/CE).
Lo scopo del divieto di cui al citato art.
13 è quello di evitare le distorsioni alla
concorrenza provocate dalle Società che
fruiscono dei vantaggi connessi
all'affidamento senza gara: esse potrebbero
partecipare alle procedure comparative
sfruttando le posizioni privilegiate
acquisite senza il previo confronto
concorrenziale.
Se dunque la ratio è quella di
tutelare i principi di concorrenza e di
trasparenza nonché quello di libertà di
iniziativa economica -che risulterebbero
turbati dalla presenza (diretta o indiretta)
della mano pubblica la quale provoca
un'elusione del rischio d'impresa- devono
considerarsi partecipate da amministrazioni
pubbliche regionali o locali anche le
Società partecipate da Società intermedie
controllate da dette amministrazioni: il
divieto previsto dall'art. 13, in altri
termini, deve ritenersi applicabile ad
un'impresa partecipata da un'altra impresa,
che a sua volta è controllata da
amministrazioni pubbliche locali.
---------------
La locuzione "oggetto esclusivo"
contemplata all'art. 13 del D.L. 223/2006,
va riferita al rapporto con l'Ente
territoriale di riferimento in senso
rafforzativo del legame con lo stesso, che
non consente proiezioni "extra ambito":
diversamente opinando si perviene ad
un'interpretazione sostanzialmente
abrogatrice della disposizione, in quanto è
sufficiente contemplare nello Statuto un
oggetto sociale plurimo -peraltro consueto
nell'odierna realtà delle Società
partecipate- per scongiurare la sua
applicazione, in contrasto con la ratio
già diffusamente descritta.
---------------
La data del 31/12/2010, per la cessazione
degli affidamenti diretti sancisce la
definitiva scadenza del periodo transitorio,
oltre la quale nessuna deroga all'apertura
alla concorrenza può essere consentita. Il
temperamento costituito dalla possibilità di
partecipare alle "prime gare" ha
esaurito la sua funzione con la conclusione
della fase transitoria e non può più essere
ritenuto ammissibile, in quanto estenderebbe
ulteriormente nel tempo un beneficio già
garantito agli affidatari diretti per 8
anni.
Il sistema delineato con la stratificazione
normativa (art. 113 del D.Lgs. 267/2000, c.
15-bis e art. 23-bis del D.L. 112/2008), ha
infatti garantito a sufficienza i soggetti
beneficiari di affidamenti diretti,
legittimando il prolungamento o comunque il
mantenimento dell'efficacia dei contratti in
corso fino al 31/12/2010, pur in costanza
del sacrificio della logica aspirazione
degli operatori del settore al rispetto del
principio comunitario della parità di
trattamento, attraverso l'assegnazione dei
servizi pubblici mediante un confronto
comparativo aperto a tutte le imprese
interessate (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 24.06.2011 n. 939 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: G.U.
24.06.2011 n. 145 "Determinazione, per il
periodo 01.01.2011-31.12.2011, della misura
del tasso d’interesse di mora da applicare
ai sensi dell’articolo 30 del capitolato
generale di appalto dei lavori pubblici"
(D.M.
27.05.2011).
---------------
Appalti, tasso di mora
2011 al 4,08 per cento.
Rispetto al 2010, il tasso si abbassa
ancora di 0,20 punti percentuali. Dal 2009
ad oggi il saggio è passato dal 6,64 per
cento all'attuale 4,08 per cento.
Ai sensi dell'art. 133, comma 1, del decreto
legislativo del 12.04.2006, n. 163, la
misura del tasso di interesse di mora da
applicare ai sensi dell'art. 30 del
capitolato generale di appalto dei lavori
pubblici, approvato con decreto del
Ministero dei lavori pubblici del
19.04.2000, n. 145, e' fissata per il
periodo 01.01.2011-31.12.2011 al 4,08 per
cento. |
APPALTI SERVIZI: Riscossione,
gare con più requisiti.
I bandi di gara per
l'affidamento dell'accertamento e della
riscossione dei tributi locali possono
prevedere ulteriori requisiti di
partecipazione, oltre all'iscrizione
nell'albo ministeriale previsto
dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997 e dal Dm
289/2000.
È quanto emerge dalla
sentenza 23.06.2011 n. 3809 del
Consiglio di Stato, Sez. V, che ha ritenuto
legittimo il bando pubblicato dal Comune di
Lecce nella parte in cui chiedeva che le
società partecipanti avessero svolto
nell'ultimo quinquennio lo stesso servizio
oggetto di gara in almeno un comune con
popolazione pari o superiore a 90mila
abitanti.
In primo grado il Tar Lecce aveva
evidenziato che l'iscrizione nell'albo dei
concessionari costituiva presunzione di
idoneità alla gestione del servizio, e
quindi la previsione di ulteriori requisiti
restringeva il numero dei partecipanti alla
gara e comprimeva i principi di
proporzionalità, libera concorrenza e non
discriminazione. Di qui l'annullamento del
bando, considerato peraltro che il Comune
non aveva dimostrato la sussistenza di
situazioni particolari, tali da rendere
necessario un restringimento delle
condizioni partecipative.
Il Consiglio di Stato ha respinto queste
censure, sostenendo che l'iscrizione
nell'albo costituisce un'astratta
presunzione del possesso dei requisiti di
capacità tecnica ed economico-finanziaria,
non potendo escludersi il potere
dell'amministrazione di fissare ulteriori
requisiti, tenuto conto dell'oggetto del
contratto (tributi da gestire e popolazione
residente) e al fine di rendere il servizio
più efficiente ed efficace.
In realtà la questione delle clausole
restrittive si trascina da una decina
d'anni, cioè da quando è operativo l'albo
nazionale di cui al Dm 289/2000, al quale
risultano iscritte un centinaio di società
(comprese quelle del gruppo Equitalia).
Inizialmente alcune pronunce (tra cui Tar
Lecce 2499/2004 e Tar Milano 2676/2004)
hanno escluso la possibilità di richiedere
il possesso di requisiti ulteriori rispetto
all'iscrizione all'albo.
Si è poi sviluppato un orientamento
favorevole alla richiesta di requisiti
aggiuntivi (Tar Bologna 100/2004, Tar Bari
995/2005, Tar L'Aquila 454/2005), confermato
dal Consiglio di Stato prima con la sentenza
5318/2005 e poi con la pronuncia 7247/2009,
che ha ritenuto legittima la richiesta di
aver gestito nell'ultimo quinquennio servizi
uguali in comuni oltre i 50mila abitanti.
Alcuni Tar sono comunque rimasti fermi sulle
loro posizioni. Ora, tuttavia, deve
prevalere la linea possibilista del
Consiglio di Stato. Ma ad alcune condizioni.
Si deve trattare di clausole non arbitrarie
o sproporzionate rispetto all'oggetto e al
valore del contratto, tali da non limitare
–oltre lo stretto indispensabile– la platea
dei concorrenti, evitando di precostituire
situazioni di privilegio (articolo
Il Sole 24 Ore del 25.07.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
I bandi di gara
d'appalto per gli affidamenti dei servizi
pubblici, possono prevedere requisiti di
capacità più rigorosi di quelli indicati
dalla legge, purché non discriminanti
rispetto alle regole proprie del settore.
I bandi di gara, quali atti generali, si
sottraggono all'obbligo di motivazione.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, i bandi di gara d'appalto
per gli affidamenti dei servizi pubblici,
possono prevedere requisiti di capacità più
rigorosi di quelli indicati dalla legge,
purché non discriminanti rispetto alle
regole proprie del settore, rientrando nel
potere discrezionale della P.A. la
fissazione di requisiti di partecipazione
superiori a quelli previsti dalla legge, e
di conseguenza, può pretendere
l'attestazione di requisiti di capacità
tecnica, diversi ed ulteriori dalla semplice
iscrizione in albi od elenchi.
L'esercizio di tale potere discrezionale
costituisce attuazione dei principi
costituzionali di imparzialità e buon
andamento dell'azione amministrativa di cui
all'art. 97 Cost., sostanziandosi
nell'apprestamento degli strumenti e misure
più adeguati, efficienti ed efficaci, al
fine di un corretto ed effettivo
perseguimento dell'interesse pubblico
concreto, in relazione all'oggetto
dell'appalto da affidare, laddove le
previsioni contenute nelle relative
disposizioni normative di settore sono volte
a stabilire una semplice presunzione di
possesso dei requisiti minimi e, pertanto,
ben possono essere derogati
dall'amministrazione.
Di conseguenza le scelte così operate dalla
P.A. sono ampiamente discrezionali, e si
sottraggono, pertanto, al sindacato del
G.A..
---------------
I bandi di gara, quali atti generali, si
sottraggono all'obbligo di motivazione, così
che il sindacato sulla scelta di fissare
requisiti ulteriori e più rigorosi di quelli
previsti dalla legge, riguarda il corretto
esercizio del potere amministrativo sotto il
profilo della ragionevolezza e non
arbitrarietà, in relazione all'oggetto del
contratto e all'interesse pubblico
perseguito.
La clausola contestata, nel caso di specie,
è diretta all'accertamento in concreto del
requisito di capacità tecnica, al fine del
corretto espletamento del delicato servizio
di accertamento e riscossione dell'imposta
comunale sulla pubblicità.
D'altra parte, l'iscrizione nell'Albo dei
soggetti abilitati ad effettuare attività di
accertamento e riscossione dei tributi degli
enti locali, costituisce una presunzione del
possesso dei requisiti di capacità tecnica
ed economico-finanziaria, non potendo
tuttavia escludersi, in mancanza di
un'apposita norma in tal senso, il potere
dell'amministrazione di fissare ulteriori
requisiti, tenuto conto dell'effettivo
oggetto del contratto, al fine di rendere il
servizio quanto più efficiente ed efficace
possibile (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2011 n. 3809 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla necessità di una
compiuta verbalizzazione delle cautele da
osservare ai fini della conservazione dei
plichi contenenti le offerte.
La commissione deve adottare le cautele
idonee a garantire la segretezza degli atti
di gara e a prevenire rischi di
manomissioni, indicando nel verbale tali
cautele e dando atto a verbale della
integrità dei plichi.
In particolare, dal verbale deve risultare
il nominativo di colui cui siano
materialmente consegnati i plichi, che ne
assume le conseguenti responsabilità, ovvero
-con chiarezza e univocità- deve risultare
l'ufficio cui sono consegnati e all'interno
del quale essi vanno conservati (con
individuazione immediata del suo
responsabile): in qualsiasi momento, ogni
autorità giurisdizionale o amministrativa (a
seconda dei casi e delle relative funzioni,
anche di vigilanza) dalla lettura dei
verbali di consegna deve poter agevolmente
accertare quali siano stati i passaggi dei
plichi, ove essi siano stati collocati nel
corso del tempo, chi abbia posto mano su di
essi e ogni altra circostanza attinente alla
loro integrità e conservazione.
Poiché le cautele sono idonee solo se
assicurano la conservazione dei plichi in
luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e
con individuazione di un soggetto o ufficio
responsabile dell'inaccessibilità del luogo
a terzi, anche se non occorrono 'formule
sacramentali' la verbalizzazione è legittima
se, oltre a indicare le cautele adottate,
indica, sotto la responsabilità dei
verbalizzanti, che le cautele sono state
efficaci in quanto i plichi sono integri
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.06.2011 n. 3803 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
merito alla necessità di una compiuta
verbalizzazione delle cautele da osservare
ai fini della conservazione dei plichi
contenenti le offerte, la commissione deve
adottare le cautele idonee a garantire la
segretezza degli atti di gara e a prevenire
rischi di manomissioni, indicando nel
verbale tali cautele e dando atto a verbale
della integrità dei plichi.
Dal verbale deve risultare il nominativo di
colui cui siano materialmente consegnati i
plichi, che ne assume le conseguenti
responsabilità, ovvero –con chiarezza e
univocità– deve risultare l’ufficio cui sono
consegnati e all’interno del quale essi
vanno conservati (con individuazione
immediata del suo responsabile).
L'integrità dei plichi contenenti le offerte
delle imprese partecipanti è, al contempo,
la condizione di segretezza delle stesse e
la garanzia del pieno dispiegarsi del
principio della par condicio di tutti i
concorrenti, per l’effettivo rispetto dei
principi enunciati dall'art. 97 Cost., di
buon andamento e di imparzialità cui deve
conformarsi l'azione amministrativa.
La verbalizzazione è legittima se, oltre a
indicare le cautele adottate, indica, sotto
la responsabilità dei verbalizzanti, che le
cautele sono state efficaci in quanto i
plichi sono integri.
La Sezione -sulla questione relativa alla
necessità di una compiuta verbalizzazione
delle cautele da osservare ai fini della
conservazione dei plichi contenenti le
offerte- ritiene di aderire all’indirizzo
secondo cui la commissione deve adottare le
cautele idonee a garantire la segretezza
degli atti di gara e a prevenire rischi di
manomissioni, indicando nel verbale tali
cautele e dando atto a verbale della
integrità dei plichi (Cons. Stato, sez. V,
12.12.2009 n. 7804; Cons. Stato, sez. V,
03.02.2000 n. 661).
Più nel dettaglio, dal verbale deve
risultare il nominativo di colui cui siano
materialmente consegnati i plichi, che ne
assume le conseguenti responsabilità, ovvero
–con chiarezza e univocità– deve risultare
l’ufficio cui sono consegnati e all’interno
del quale essi vanno conservati (con
individuazione immediata del suo
responsabile): in qualsiasi momento, ogni
autorità giurisdizionale o amministrativa (a
seconda dei casi e delle relative funzioni,
anche di vigilanza) dalla lettura dei
verbali di consegna deve poter agevolmente
accertare quali siano stati i passaggi dei
plichi, ove essi siano stati collocati nel
corso del tempo, chi abbia posto mano su di
essi e ogni altra circostanza attinente alla
loro integrità e conservazione.
Si tratta di una regola che, pur in mancanza
di apposita previsione da parte del
legislatore, è agevolmente desumibile da
basilari criteri di legalità e trasparenza,
nonché dalla stessa ratio che
sorregge e giustifica il ricorso alla gara
pubblica per l'individuazione del contraente
cui assegnare l'appalto: non v’è dubbio,
infatti, che l'integrità dei plichi
contenenti le offerte delle imprese
partecipanti è al contempo la condizione di
segretezza delle stesse e la garanzia del
pieno dispiegarsi del principio della par
condicio di tutti i concorrenti, per
l’effettivo rispetto dei principi enunciati
dall'art. 97 Cost., di buon andamento e di
imparzialità cui deve conformarsi l'azione
amministrativa (Cons. Stato, sez. V,
20.03.2008, n. 1219; Cons. Stato, sez. V,
28.03.2008, n. 1296; Cons. Stato, sez. V,
06.03.2006, n. 1068, Cons. Stato, sez. IV,
18.03.2002, n. 1612).
Poiché le cautele sono idonee solo se
assicurano la conservazione dei plichi in
luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e
con individuazione di un soggetto o ufficio
responsabile dell’inaccessibilità del luogo
a terzi, anche se non occorrono ‘formule
sacramentali’, la verbalizzazione è
legittima se, oltre a indicare le cautele
adottate, indica, sotto la responsabilità
dei verbalizzanti, che le cautele sono state
efficaci in quanto i plichi sono integri
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.06.2011 n. 3803 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Legittima l'esclusione
dalla gara di un'impresa il cui progettista
abbia omesso di presentare il casellario
giudiziale e il certificato dei carichi
pendenti, in violazione di quanto richiesto
a pena di esclusione dal bando.
Le prescrizioni contenute nella lex
specialis hanno portata vincolante e
l'Amministrazione è tenuta a darvi precisa
ed incondizionata esecuzione, senza alcuna
possibilità di valutazione discrezionale
circa la rilevanza dell'inadempimento e
l'incidenza di questo sulla regolarità della
procedura selettiva o ancora sulla congruità
della sanzione contemplata dalla disciplina
di gara, alla cui osservanza la stessa
Amministrazione si è autovincolata al
momento dell'adozione del bando, cfr., ex
multis, Cons. Stato, Sez. V, 16.03.2010,
n. 1513) (massima tratta e link a
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 23.06.2011 n. 1838). |
APPALTI:
Partecipazione ad una gara pubblica -
Verifica dei requisiti ex art. 38 del D.lgs.
163/2006 - Dichiarazione di pendenza di un
procedimento per l'applicazione di una delle
misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965
- Soggetti tenuti alla dichiarazione -
Amministratori con rappresentanza e
Direttore tecnico - Ampliamento dei soggetti
tenuti alla dichiarazione - Possibilità -
Verifica delle funzioni sostanziali di tali
soggetti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n.
163/2006, individua i soggetti tenuti a
rilasciare la prescritta dichiarazione
(sull'eventuale pendenza di un procedimento
per l'applicazione di una delle misure ai
sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965) negli
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza o nel direttore tecnico.
Parte della giurisprudenza (Cons. Stato,
Sez. V, n. 375/2009), ispirata dalla ratio
sottesa alla norma di verificare
l'affidabilità, complessivamente
considerata, dell'operatore economico che
andrà a stipulare il contratto di appalto
con la stazione appaltante, individuando
coloro che effettivamente sono in grado di
manifestare all'esterno al volontà
dell'azienda, ha ricercato, in via
interpretativa, di ampliare l'ambito di
applicazione della disposizione includendo
nel novero dei dichiaranti anche soggetti
che, pur non ricoprendo le specifiche
cariche indicate, siano, tuttavia, titolari
di ampi poteri decisionali tali da
consentire di determinare gli indirizzi di
gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato
orientamento occorrerebbe quindi "avere
riguardo alle funzioni sostanziali del
soggetto, più che alle qualifiche formali,
altrimenti la ratio legis potrebbe venire
agevolmente elusa e dunque vanificata"
(Cons. Stato, Sez. VI n. 523/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
23.06.2011 n.
1687 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - URBANISTICA: Edilizia residenziale pubblica - Gara per
l'assegnazione delle aree - Offerta -
Mancanza di una firma su un elaborato
grafico - Può configurarsi come mera
irregolarità - Condizioni.
La mancanza di una firma su un elaborato
grafico ben può ritenersi una irregolarità,
tale da non costituire causa di esclusione,
anche quando il disciplinare di gara
prescriva che gli elaborati progettuali
debbano essere sottoscritti in ogni loro
pagina, dai legali rappresentanti
dell'impresa e dai professionisti abilitati,
nel caso in cui la pagina risulta
ininfluente per la valutazione dell'intero
elaborato e la mancanza della firma non
consenta la sostituzione della pagina (cfr.
TAR Trento, sent. n. 60/2009)
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.06.2011 n.
1665 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - VARI:
A. Marco,
La vessatorietà delle clausole nel contratto
di assicurazione. Cenni normativi e
giurisprudenziali (link a
www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla distinzione tra
appalto di servizi e concessione di servizi
pubblici.
Mentre negli appalti pubblici di servizi
l'appaltatore svolge la sua attività in
favore di una p.a., la quale utilizza le
relative prestazioni ai fini dell'eventuale
erogazione del servizio pubblico a vantaggio
della collettività, nella concessione di
pubblico servizio il concessionario
sostituisce la p.a. nell'erogazione del
servizio, ossia nello svolgimento
dell'attività diretta al soddisfacimento
dell'interesse collettivo.
L'appalto di servizi concerne dunque
prestazioni rese in favore
dell'Amministrazione, mentre la concessione
di servizi riguarda sempre un articolato
rapporto trilaterale, che interessa
l'Amministrazione, il concessionario e gli
utenti del servizio.
Ciò comporta, di regola, ulteriori
conseguenze sull'individuazione dei soggetti
tenuti a pagare il corrispettivo
dell'attività svolta; normalmente, nella
concessione di pubblici servizi il costo del
servizio grava sugli utenti, mentre
nell'appalto di servizi spetta
all'Amministrazione l'onere di compensare
l'attività svolta dal privato (TAR
Lombardia- Milano, Sez. I,
sentenza 22.06.2011 n. 1622 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Informative
prefettizie.
Il TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I,
nella
sentenza 21.06.2011 n. 518, ha
affermato che: "Diversamente
dall'informativa prefettizia tipica, che ha
carattere interdittivo di ulteriori rapporti
negoziali con le amministrazioni appaltanti,
la c.d. informativa atipica non ha carattere
di per sé interdittivo, ma consente
l'attivazione degli ordinari strumenti di
discrezionalità nel valutare l'avvio o il
prosieguo dei rapporti contrattuali, alla
luce dell'idoneità morale del partecipante
alla gara di assumere la posizione di
contraente con la Pubblica amministrazione".
Primariamente, i giudici amministrativi
reggini evidenziano la diversità
dell'informativa atipica, per quanto
concerne gli effetti: mentre l'informativa
tipica ha carattere interdittivo, nel senso
che impedisce di diritto l'instaurazione di
rapporti negoziali con l'impresa, attraverso
il divieto di stipula del contratto,
l'informativa atipica non presenta tale
carattere, ma consente solo (e non è poco!)
l'esercizio dei poteri discrezionali di
intervento sui provvedimenti amministrativi
posti in essere, sulla base, appunto, delle
informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun
obbligo legale interdittivo, ma solo
l'obbligo di valutare attentamente le
notizie acquisite, al fine di decidere se il
soggetto interessato presenta l'idoneità
morale necessaria per iniziare o proseguire
le prestazioni contrattuali. Proprio per
tale sua caratteristica di non costituire un
"legale impedimento", l'informativa
atipica non necessita di un grado di
comprovazione probatoria analogo a quello
richiesto per dimostrare l'appartenenza di
un soggetto ad associazioni di tipo
camorristico o mafioso. Infatti, osserva il
Tar, si fonda su elementi, anche indiziari,
(che la stazione appaltante non ha né il
potere né l'onere di verificarne la portata
o i presupposti) ottenuti con l'ausilio di
particolari indagini, che possono risalire
anche ad eventi verificatisi a distanza di
tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che
l'informativa atipica consente alla stazione
appaltante di adottare un provvedimento di
diniego di stipula del contratto o di
prosecuzione del rapporto contrattuale in
corso, che potrà essere sufficientemente
motivato anche per relationem,
essendole riservato "un margine assai
ristretto di valutazione discrezionale,
mentre il dovere di ampia motivazione
sussiste solo nel caso della scelta della
prosecuzione del rapporto per inderogabili
ed indeclinabili necessità della
prestazione, non altrimenti assicurabile"
(Tar Campania, sez. Napoli I, n.
16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che
il potere di indagine e di sindacato del
giudice amministrativo è abbastanza
limitato: "Le informative atipiche , in
quanto atti meramente partecipativi di
circostanze di fatto, non determinano un
divieto legale a contrarre e non comportano,
necessariamente ed inevitabilmente,
l'adozione di provvedimenti pregiudizievoli
per il privato, l'assunzione dei quali è
rimessa alla discrezionalità della stazione
appaltante; in questi casi, il sindacato del
giudice amministrativo non può entrare nel
merito restando circoscritto a verificare
sotto il profilo della logicità il
significato attribuito agli elementi di
fatto e l'iter procedimentale seguito per
pervenire a determinate conclusioni"
(Tar Campania, sez. Salerno I, n.
11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche,
la giurisprudenza si è, poi, interrogata
anche sulla "compatibilità comunitaria"
dell'istituto, pervenendo ad una positiva
risposta, fondata sulla considerazione che
le cause di esclusione dagli appalti,
previste dal diritto comunitario, e
puntualmente recepite dall'ordinamento
interno non sono esaustive e tassative,
potendo i Legislatori nazionali prevederne
ulteriori, a salvaguardia di interessi
pubblici generali, diversi da quello della
tutela della concorrenza, e fondate su
ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui
espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene
infondato il ricorso per tre precise
ragioni. In primo luogo, si fa osservare che
l'impresa ricorrente non ha impugnato né
censurato il contenuto dell'informativa
atipica, che il Comune ha assunto a
necessario ed esclusivo presupposto
motivazionale del provvedimento di revoca.
In secondo luogo, si rileva che il
ricorrente non ha evocato in giudizio la
Prefettura di Reggio Calabria, che tale
provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente
l'apparato motivazionale del ricorso, in
quanto il medesimo si limita a contestare la
circostanza della carenza di requisiti di
ordine generale, senza avvedersi che, in
realtà, l'Amministrazione si è uniformata al
contenuto dell'informativa, rispetto alla
quale non sono dedotte censure, rimanendo
incontestati due puntuali ed inequivoci
fatti: a) la sottoposizione del ricorrente
ad indagini per i gravi reati contestatigli,
aventi immediata e diretta incidenza
sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla
capacità a contrarre con la Pubblica
amministrazione; b) la rilevanza di tali
circostanze in ordine all'efficacia propria
delle informative antimafia atipiche (tratto
dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le peculiarità delle
informative prefettizie.
Sinora, in tema di informative antimafia, si
è fatto riferimento alle sole informative "tipiche"
o "interdittive", che impediscono il
sorgere o il continuare del rapporto
contrattuale. Accanto a queste, si sono
diffuse le cosiddette informative "supplementari"
o "atipiche", sostenute dalla prassi
amministrativa e dall'elaborazione
giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa,
sostenuta da una giurisprudenza molto
attenta alle ragioni di prevenzione da
infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche
un terzo tipo di informativa prefettizia,
denominata, appunto, "informativa
supplementare atipica", la quale trova
un fondamento normativo, invero debole ...
LA VICENDA E LE INFORMATIVE
ANTIMAFIA
Il Comune di San Lorenzo indiceva una gara
per il conferimento dell'appalto dei lavori
di riqualificazione dell'acquedotto in
località Tavoliere.
La gara veniva vinta dall'impresa
individuale M.P. Prima di procedere alla
stipula del contratto, il Comune disponeva
la revoca dell'aggiudicazione definitiva,
sulla base di un'informativa prefettizia
atipica, ove venivano comunicate ed
illustrate vicende di rilevanza penali,
interessanti il titolare dell'impresa.
Precisamente, nell'informativa si
evidenziava che l'imprenditore risultava
indagato per gravi reati, quali
l'associazione per delinquere finalizzata a
commettere delitti di turbativa d'asta ed
altri, turbata libertà degli incanti e
falsificazione di valori di bollo.
A fronte di tale provvedimento, il Comune ha
ritenuto che l'imprenditore fosse privo dei
requisiti di ordine generale, di cui
all'art. 38 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006), necessari
per procedere alla stipula del contratto di
appalto. Avverso il provvedimento comunale
di revoca dell'aggiudicazione definitiva
propone ricorso l'impresa vincitrice della
gara.
La categoria delle informazioni prefettizie,
disciplinata dagli artt. 10 e 11, D.P.R. n.
252 del 1998, si presenta indubbiamente
variegata.
La normativa obbliga le stazioni appaltanti
ad acquisire tali informazioni prima di
stipulare, approvare o autorizzare i
contratti di o i subcontratti, le cessioni o
i cottimi di valore superiore, attualmente,
ad € 154.937,07.
Infatti, ove emergano elementi relativi a "tentativi
di infiltrazione mafiosa nelle società o
imprese interessate", le amministrazioni
non possono stipulare, approvare o
autorizzare i contratti o subcontratti, né
autorizzare, rilasciare o, comunque,
consentire concessioni ed erogazioni. La
prima tipologia di informazione prefettizia
è contemplata dalle lettere a) e b), del
comma 7, dell'art. 10, D.P.R. n. 252 del
1998. Si tratta di atti meramente
ricognitivi di provvedimenti giudiziari di
applicazione di misure cautelari o di
sottoposizione a giudizio o di adozione di
sentenze di condanna o di applicazione (o
anche di mera proposta) di misure
interdittive. La natura ricognitiva di tale
informativa prefettizia si desume, con
estrema chiarezza, dalla presenza di
provvedimenti giudiziari, dei quali il
Prefetto si limita a dare notizia alla
stazione appaltante richiedente.
Più delicata appare, invece, la seconda
tipologia di informativa prefettizia,
contemplata dalla lettera c) del medesimo
comma 7, dell'art. 10, da leggere in
combinato con l'art. 4, comma 4, D.Lgs. n.
490 del 1994. Si tratta, precisamente, di
accertamenti autonomi, posti in essere dalla
Prefettura, sulla base di attività di
indagine effettuata dagli organi inquirenti.
Tale categoria, infatti, consente ai
Prefetti di accertare, con efficacia
impeditiva per la stipulazione di contratti,
l'esistenza di elementi relativi a tentativi
di infiltrazione mafiosa, fattispecie
quantomai insidiosa sotto il profilo
dell'esatta individuazione dei relativi
confini. La giurisprudenza configura tale
provvedimento come una misura cautelare di
tipo preventivo, che prescinde dal concreto
accertamento penale di reati eventualmente
commessi. Precisamente, secondo un
orientamento pressoché unanime, tali
informative non devono assurgere al rango di
prova dell'intervenuta infiltrazione,
essendo ciò un quid pluris non
richiesto dalla normativa, ma devono
fondarsi su fatti e vicende aventi valore
sintomatico ed indiziario, sufficiente a
dare contezza dell'esistenza di elementi,
dai quali sia deducibile il tentativo di
ingerenza mafiosa.
Il citato potere prefettizio, di
accertamento e di valutazione, si inquadra
in un sistema di cautele, diretto ad
individuare quei soggetti che, pur non
essendo formalmente interdetti, presentano
non di meno delle "controindicazioni",
derivanti dalla sussistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, diretti a
condizionare le scelte e gli indirizzi delle
imprese coinvolte in pubblici appalti.
Pertanto, solo il Prefetto è legittimato a
compiere apprezzamenti sull'esistenza di
elementi, sintomatici e rivelatori
dell'influenza esercitata dalle
organizzazioni criminali sull'operatore
economico, che aspiri a contrattare con la
Pubblica Amministrazione.
Ragione e giustificazione di tale competenza
esclusiva deve essere ricercata nella
tipicità della materia in questione, la
quale richiede un'anticipazione della soglia
di difesa sociale e, dunque, una tutela più
che avanzata nel campo del contrasto della
criminalità organizzata.
A tal proposito, la giurisprudenza ben
evidenzia che, in tale settore, si prescinde
dalle classiche soglie di rilevanza
probatorie, tipiche del diritto penale, per
cercare di cogliere l'affidabilità
dell'impresa affidataria dei lavori,
complessivamente intesa.
Sinora, in tema di informative antimafia, si
è fatto riferimento alle sole informative "tipiche"
o "interdittive", che impediscono il
sorgere o il continuare del rapporto
contrattuale.
Accanto a queste, si sono diffuse le
cosiddette informative "supplementari"
o "atipiche", sostenute dalla prassi
amministrativa e dall'elaborazione
giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa,
sostenuta da una giurisprudenza molto
attenta alle ragioni di prevenzione da
infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche
un terzo tipo di informativa prefettizia,
denominata, appunto, "informativa
supplementare atipica", la quale trova
un fondamento normativo, invero debole,
nell'art. 10, comma 9, D.P.R. n. 252 del
1998, che, a sua volta, richiama l'art.
1-septies, D.L. 06.09.1982, n. 629,
convertito nella L. 12.10.1982, n. 726 .
La debolezza del fondamento risiede,
innanzitutto, nel fatto che la norma
richiamata concerne i poteri dell'ex Alto
commissario per la lotta alla mafia e si
limita a disciplinare la possibilità che
vengano comunicati alle autorità (competenti
al rilascio di licenze, autorizzazioni o
concessioni) elementi di fatto o altre
indicazioni, utili alla valutazione dei
requisiti soggettivi del richiedente.
Inoltre, il citato comma 9 stabilisce che
tale rinvio non opera, quanto alle
informazioni prefettizie antimafia, "salvo
che gli elementi o le altre indicazioni
fornite siano rilevanti ai fini delle
valutazioni discrezionali ammesse dalla
legge".
Nella concreta prassi amministrativa, si
attribuisce, abitualmente, rilevanza anche a
questo ulteriore tipo di informativa
prefettizia, la quale presenta profili di
similitudine con quella disciplinata
dall'art. 10, comma 7, lett. c), in
considerazione della loro comune natura non
ricognitiva di provvedimenti giudiziari.
Al riguardo, la giurisprudenza da tempo
segnala che tale informativa, cosiddetta
supplementare atipica ha il suo fondamento
nel principio generale di collaborazione tra
pubbliche amministrazioni ed è priva di
efficacia interdittiva automatica, ma
consente l'attuazione degli ordinari poteri
discrezionali di ritiro del contratto da
parte della stazione appaltante.
Infatti, tale informativa, in virtù della
sua natura esclusivamente indiziaria,
conferisce alla stazione appaltante il
potere, delicato ma ristretto nel suo
contenuto, di effettuare una propria
valutazione, che può trascurare l'importanza
degli elementi ostativi notiziati, solo in
ragione di una motivazione puntuale e "forte".
L'ANALISI DEL TAR REGGIO
CALABRIA
Il Tar Reggio Calabria respinge il ricorso
sulla base di un'articolata analisi
dell'informativa prefettizia atipica.
Primariamente, i giudici amministrativi
reggini evidenziano la diversità
dell'informativa atipica, per quanto
concerne gli effetti: mentre l'informativa
tipica ha carattere interdittivo, nel senso
che impedisce di diritto l'instaurazione di
rapporti negoziali con l'impresa, attraverso
il divieto di stipula del contratto,
l'informativa atipica non presenta tale
carattere, ma consente solo (e non è poco!)
l'esercizio dei poteri discrezionali di
intervento sui provvedimenti amministrativi
posti in essere, sulla base, appunto, delle
informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun
obbligo legale interdittivo, ma solo
l'obbligo di valutare attentamente le
notizie acquisite, al fine di decidere se il
soggetto interessato presenta l'idoneità
morale necessaria per iniziare o proseguire
le prestazioni contrattuali. Proprio per
tale sua caratteristica di non costituire un
"legale impedimento", l'informativa
atipica non necessita di un grado di
comprovazione probatoria analogo a quello
richiesto per dimostrare l'appartenenza di
un soggetto ad associazioni di tipo
camorristico o mafioso.
Infatti, osserva il Tar, si fonda su
elementi, anche indiziari, (che la stazione
appaltante non ha né il potere né l'onere di
verificarne la portata o i presupposti)
ottenuti con l'ausilio di particolari
indagini, che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che
l'informativa atipica consente alla stazione
appaltante di adottare un provvedimento di
diniego di stipula del contratto o di
prosecuzione del rapporto contrattuale in
corso, che potrà essere sufficientemente
motivato anche per relationem,
essendole riservato "un margine assai
ristretto di valutazione discrezionale,
mentre il dovere di ampia motivazione
sussiste solo nel caso della scelta della
prosecuzione del rapporto per inderogabili
ed indeclinabili necessità della
prestazione, non altrimenti assicurabile"
(TAR Campania, Sez. Napoli I, n.
16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che
il potere di indagine e di sindacato del
giudice amministrativo è abbastanza
limitato:
"Le informative atipiche, in quanto atti
meramente partecipativi di circostanze di
fatto, non determinano un divieto legale a
contrarre e non comportano, necessariamente
ed inevitabilmente, l'adozione di
provvedimenti pregiudizievoli per il
privato, l'assunzione dei quali è rimessa
alla discrezionalità della stazione
appaltante; in questi casi, il sindacato del
giudice amministrativo non può entrare nel
merito restando circoscritto a verificare
sotto il profilo della logicità il
significato attribuito agli elementi di
fatto e l'iter procedimentale seguito per
pervenire a determinate conclusioni"
(TAR Campania, Sez. Salerno I, n.
11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche,
la giurisprudenza si è, poi, interrogata
anche sulla "compatibilità comunitaria"
dell'istituto, pervenendo ad una positiva
risposta, fondata sulla considerazione che
le cause di esclusione dagli appalti,
previste dal diritto comunitario, e
puntualmente recepite dall'ordinamento
interno non sono esaustive e tassative,
potendo i Legislatori nazionali prevederne
ulteriori, a salvaguardia di interessi
pubblici generali, diversi da quello della
tutela della concorrenza, e fondate su
ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui
espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene
infondato il ricorso per tre precise
ragioni.
In primo luogo, si fa osservare che
l'impresa ricorrente non ha impugnato né
censurato il contenuto dell'informativa
atipica, che il Comune ha assunto a
necessario ed esclusivo presupposto
motivazionale del provvedimento di revoca.
In secondo luogo, si rileva che il
ricorrente non ha evocato in giudizio la
Prefettura di Reggio Calabria, che tale
provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente
l'apparato motivazionale del ricorso, in
quanto il medesimo si limita a contestare la
circostanza della carenza di requisiti di
ordine generale, senza avvedersi che, in
realtà, l'Amministrazione si è uniformata al
contenuto dell'informativa, rispetto alla
quale non sono dedotte censure, rimanendo
incontestati due puntuali ed inequivoci
fatti: a) la sottoposizione del ricorrente
ad indagini per i gravi reati contestatigli,
aventi immediata e diretta incidenza
sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla
capacità a contrarre con la Pubblica
amministrazione; b) la rilevanza di tali
circostanze in ordine all'efficacia propria
delle informative antimafia atipiche (tratto
da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 21.06.2011 n. 518 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul carattere non
interdittivo dell'informativa antimafia c.d.
"atipica".
La c.d. informativa "atipica",
diversamente dalla quella tipica, non ha
natura di per sé interdittiva, ma consente
l'attivazione degli ordinari strumenti di
discrezionalità nel valutare l'avvio od il
prosieguo dei rapporti contrattuali, alla
luce dell'idoneità morale del concorrente di
assumere la posizione di contraente con la
P.A. Pertanto, essa non necessita di un
grado di dimostrazione probatoria analogo a
quello richiesto per dimostrare
l'appartenenza di un soggetto ad
associazioni malavitose, e si basa su
elementi, anche indiziari, ottenuti con
l'ausilio di particolari indagini che
possono risalire anche ad eventi datati.
L'informativa atipica consente alla stazione
appaltante, che non ha il potere né l'onere
di verificare la portata ed i presupposti
dell'informativa antimafia, di adottare un
provvedimento di diniego di stipula del
contratto o di prosecuzione del rapporto,
che risulterà sufficientemente motivato
anche per relationem, essendole
riservato un margine ristretto di
valutazione discrezionale; diversamente, il
dovere di ampia motivazione sussiste solo
nel caso in cui si opti per la prosecuzione
del rapporto per necessità della
prestazione, non altrimenti assicurabile
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 21.06.2011 n. 518 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Decreto Sviluppo, il
Senato darà ora il via definitivo al D.L.
70/2011 con le modifiche apportate dalla
Camera (n. 2791 AS).
Approda al Senato per il voto definitivo,
probabilmente senza modifiche (non c’è più
il tempo), il Decreto Sviluppo.
Il disegno di legge di conversione,
trasmesso ieri dalla Camera (era il
4357 AC), ha preso il numero
2791 AS.
Di seguito:
1-
Il testo coordinato del D.L. 70/2011, dopo
le modifiche apportate dalla Camera dei
Deputati col voto di fiducia del 21.06.2011
(link a www.leggioggi.it). |
APPALTI:
A. P. Mazzuccato,
L’attestazione di intervenuta efficacia
dell’aggiudicazione definitiva negli appalti
pubblici (link a
www.altalex.com). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Misure urgenti per
l’economia: Governo ottiene la fiducia.
Nella seduta odierna (21.06.2011) la Camera
con 317 voti a favore e 293 contro ha votato
la fiducia posta dal Governo
sull'approvazione, senza subemendamenti ed
articoli aggiuntivi, del suo
emendamento Dis. 1.1 interamente
sostitutivo dell'articolo unico del disegno
di legge di conversione del decreto-legge
13.05.2011 n. 70 concernente Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia (C.
4357-A) (il cosiddetto "decreto
sviluppo"). |
APPALTI:
Procedura negoziata.
Domanda.
In
che termini opera la procedura negoziata?
Risposta.
L'art. 56 del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163,
rubricato "Procedura negoziata previa
pubblicazione di un bando di gara",
stabilisce al comma 1, lettera a), che le
stazioni appaltanti possono aggiudicare i
contratti pubblici mediante procedura
negoziata, previa pubblicazione di un bando
di gara, "quando, in esito
all'esperimento di una procedura aperta o
ristretta o di un dialogo competitivo, tutte
le offerte presentate sono irregolari o
inammissibili, in ordine a quanto disposto
dal presente codice in relazione ai
requisiti degli offerenti e delle offerte",
aggiungendo, per un verso, che "nella
procedura negoziata non possono essere
modificate in modo sostanziale le condizioni
iniziali del contratto" e, per altro
verso, che "le stazioni appaltanti
possono omettere la pubblicazione del bando
di gara se invitano alla procedura negoziata
tutti i concorrenti in possesso dei
requisiti di cui agli articoli da 34 a 45
che, nella procedura precedente, hanno
presentato offerte rispondenti ai requisiti
formali della procedura medesima".
Tale norma in esame ribadisce la regola
generale secondo cui l'aggiudicazione di un
contratto pubblico deve avvenire attraverso
l'espletamento delle procedure ristrette
aperte e di quelle ristrette, ai sensi degli
artt. 54 e 55 del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163,
ponendosi rispetto a tale regola generale
come deroga, atteso che, secondo quanto
stabilito dall'art. 3, comma 40, del citato
D.Lgs., le procedure negoziate sono
caratterizzate dal fatto che le stazioni
appaltanti consultano direttamente gli
operatori economici da loro prescelti e
negoziano con uno o più di essi le
condizioni dell'appalto (art. 3, comma 40).
Esse costituiscono quindi lo strumento,
espressamente previsto dal Legislatore, per
assicurare nel campo dei contratti pubblici
l'attuazione dei principi costituzionali di
imparzialità e buon andamento fissati
dall'art. 97, attraverso il contemperamento
degli opposti principi di libera
concorrenza, parità di trattamento, non
discriminazione, trasparenza,
proporzionalità e pubblicità, posti a
garanzia della più ampia partecipazione
possibile degli operatori economici, con
quelli di economicità, efficacia e
tempestività propri dell'azione
amministrativa (così come indicati dall'art.
2, comma 1, del Codice dei Contratti
Pubblici), allorquando sia rimasta senza
esito una precedente procedura aperta o
ristretta o un dialogo competitivo per la
irregolarità o la inammissibilità delle
offerte presentate.
Pur dovendo ammettersi l'esistenza di un
evidente collegamento tra la procedura
aperta o ristretta o il dialogo competitivo,
infruttuosi, e la successiva procedura
negoziata, nel senso tra l'altro che il
ricorso a quest'ultima postula proprio
l'effettivo infruttuoso svolgimento di una
delle prime, occorre tuttavia precisare che
le due procedure sono e restano
assolutamente autonome e distinte tra di
loro, come si desume agevolmente dal fatto
che esse siano disciplinate da separati
bandi, di tal che per effetto di detto
collegamento non si configura una
fattispecie unitaria a formazione
progressiva (21.06.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Sulle condizioni che
devono sussistere affinché una società
capogruppo possa essere chiamata a
rispondere di responsabilità amministrativa,
ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.
Una società capogruppo può essere chiamata a
rispondere, ai sensi del d.lgs. n. 231 del
2001, per il reato commesso nell'ambito
dell'attività di altra società del gruppo,
purché nella sua consumazione concorra una
persona fisica che agisca per conto della
holding perseguendo anche l'interesse di
quest'ultima (Corte di Cassazione, Sez. V
penale,
sentenza 20.06.2011 n. 24583 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La partecipazione di un
RTI alla procedura indetta per l'affidamento
di appalti pubblici è subordinata alla
condizione che, la mandataria e le altre
imprese associate, siano in possesso dei
requisiti di qualificazione per la
rispettiva quota.
In base a quanto disposto dall'art. 37, c.
13, d.lg. n. 163 del 2006, deve ritenersi
sussistente un principio di "stretta
consequenzialità" fra quota di
partecipazione della singola impresa al
raggruppamento temporaneo, percentuale di
esecuzione dei lavori in appalto e
qualificazione dell'impresa.
Pertanto, la partecipazione alla procedura
indetta per l'affidamento della
realizzazione di opere pubbliche delle
associazioni temporanee è comunque
subordinata alla condizione che la
mandataria e le altre imprese associate
siano in possesso dei requisiti di
qualificazione per la rispettiva quota
percentuale. Proprio al fine di impedire la
verificazione di situazioni distorsive degli
ordinati assetti concorrenziali, si palesa,
infatti, imprescindibile l'esigenza di non
trasformare la riunione di imprese in uno
strumento elusivo delle regole impositive di
un livello minimo di capacità per la
partecipazione agli appalti.
Conseguentemente, nel caso di specie,
l'impresa doveva essere esclusa dalla gara
in quanto sprovvista della qualificazione
necessaria richiesta per la partecipazione,
a norma degli artt. 37 e dell'art. 40 del
d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 20.06.2011 n. 3698 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla scelta normativa
di non estendere l'art. 12 del DPR n.
252/1998 anche agli appalti di servizi.
La scelta normativa di non estendere l'art.
12 del DPR 252/1998 anche agli appalti di
servizi, pur se opinabile, non risulta
irragionevole alla luce delle più cospicue
garanzie ratione temporis predisposte
in tema di appalti di lavori (si pensi
all'albo costruttori e, quindi, all'Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici ed al
sistema di qualificazione SOA), idonee a
garantire un controllo sull'affidabilità
delle imprese operanti in questo settore,
più penetrante rispetto al campo degli
appalti di servizi e di forniture.
---------------
L'art. 10, c. 2, del D.p.r. 252/1998,
laddove dispone il divieto il divieto per le
Amministrazioni destinatarie di informazioni
di infiltrazioni mafiose di: "stipulare,
approvare o autorizzare i contratti o i
subcontratti, autorizzare, rilasciare o
comunque consentire le concessioni o le
erogazioni", persegue un'esigenza di
tutela dell'ordine pubblico, al fine di
anticipare la soglia di difesa sociale nel
campo della lotta alla criminalità
organizzata, rispetto alla quale l'art. 12
del medesimo D.p.r. 252/1998 si pone quale
eccezione ad una manipolazione analogica.
Il citato art. 12 del D.p.r. 252/1998,
ponendosi come eccezione, si riferisce
espressamente ai lavori pubblici e non anche
agli appalti di servizi, tuttavia l'appalto
in oggetto, trattandosi di una concessione
di costruzione e gestione, si qualifica sia
come appalto di lavori che di servizi
pertanto, va esclusa un'applicazione in via
analogica del precetto anzidetto, nonché
dell'art. 37, c. 19, del Codice dei
Contratti, che fa riferimento al subentro di
un diverso mandante nella fase di esecuzione
del contratto e non in quella
dell'affidamento, nella quale un'intervenuta
interdittiva antimafia impedisce al
concorrente la possibilità di aggiudicarsi
l'appalto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.06.2011 n. 3697 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
procedura d'appalto per mancata
sottoscrizione da parte del legale
rappresentante della dichiarazione relativa
agli specifici requisiti di partecipazione.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di una ditta che
abbia reso la dichiarazione relativa al
possesso dei requisiti di partecipazione,
priva della sottoscrizione del legale
rappresentante.
L'avviso pubblico indetto dalla stazione
appaltante, nel prevedere, tra i requisiti
richiesti per la partecipazione alla
procedura, un determinato fatturato e la
realizzazione, nel triennio precedente, di
almeno due servizi analoghi, dispone che il
possesso dei requisiti prescritti sia
attestato, a pena di esclusione, mediante
autocertificazione resa ai sensi del D.P.R.
n. 445/2000 dal legale rappresentante
dell'impresa; le autocertificazioni di cui
al predetto decreto necessitano, per la loro
giuridica esistenza ed efficacia, della
sottoscrizione del soggetto dichiarante, che
costituisce fondamentale elemento della
fattispecie normativa diretta a comprovare
l'imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione ad una
determinata persona fisica, per cui l'avviso
pubblico ed il conseguente provvedimento di
esclusione si palesano immuni da vizi.
Peraltro, a nulla rileva la considerazione
secondo cui ci si troverebbe in una fase
embrionale della gara, giacché questo non
esonera gli aspiranti dalla richiesta
dimostrazione dei requisiti posseduti (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 20.06.2011 n. 3261 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. - Gara -
Esclusione illegittima - Risarcimento del
danno patrimoniale - Presupposti - Onere
della prova - An e quantum del lucro
cessante (danno subìto) - Necessità -
Sussiste - Casistica e criteri.
In presenza di una domanda di risarcimento
del danno patrimoniale, è onere della parte
che la propone provare dettagliatamente e
con rigore non il solo an del danno ma anche
il quantum dello stesso, offrendo gli idonei
mezzi di prova e riversando in causa i
documenti da cui il Giudice possa trarre
elementi: il ricorso alla CTU, ovvero
l'indicazione di criteri risarcitori, da
parte del Giudice all'Amministrazione,
presuppongono entrambi che sia stata
raggiunta la prova e che debba procedersi
esclusivamente a fini liquidatori (Nella
specie, il TAR ha rigettato la domanda di
risarcimento del danno proposta dall'impresa
ricorrente illegittimamente esclusa dalla
gara, in quanto la stessa avrebbe dovuto
allegare ogni elemento utile ai fini della
determinazione, secondo criteri di
verosimiglianza, del costo derivante
dall'assunzione della fornitura, poiché solo
in tal modo esso avrebbe potuto essere
comparato all'offerta, al fine di dedurne il
margine effettivo di profitto, e
conseguentemente il lucro cessante)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
20.06.2011 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
illegittima la previsione del bando di gara
che prevede, a pena di esclusione, la
produzione per due volte, in due buste
diverse, del medesimo documento (copia del
capitolato tecnico, timbrato e firmato).
La legge lascia alla stazione appaltante un
ampio margine discrezionale per conformare
il procedimento concorsuale alle proprie
esigenze, disciplinando nella maniera più
opportuna i requisiti e gli adempimenti
posti a carico dei concorrenti che aspirano
a partecipare alla gara.
Tali determinazioni, se non risultano in
contrasto con norme particolari di rango
superiore, non sono censurabili nel merito,
fatto salvo il sindacato di legittimità
quando si manifesti una palese
irragionevolezza o ingiustizia o incongruità
delle disposizioni di gara (cfr. Cons. St.,
sez. V, 22/09/2009, n. 5653).
Nella specie è fondata la censura dedotta
dalla società ricorrente, sotto questi
profili, contro la clausola che prevede, a
pena di esclusione, la produzione per due
volte, in due buste diverse, del medesimo
documento (copia del capitolato tecnico,
timbrato e firmato).
Infatti non vi è alcuna ragionevole
giustificazione di questo onere, posto a
carico dei concorrenti, che peraltro si pone
in contrasto con i principi di economicità
ed efficienza dell’azione amministrativa e
con i principi di adeguatezza,
proporzionalità e non aggravamento delle
procedure concorsuali (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 20.06.2011 n. 3259 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sui requisiti che devono
sussistere affinché un consorzio possa
essere qualificato "stabile" ai sensi
dell'art. 36, c. 1, d.lgs. n. 163/2006.
Un consorzio per essere ritenuto "stabile"
ai sensi dell'art. 36, c. 1, d.lgs. n.
163/2006, deve: a) possedere almeno tre
consorziati; b) consorziare imprese che
abbiano deciso (attraverso una
determinazione assunta dai propri organi
deliberativi) di operare congiuntamente nel
settore dei contratti pubblici per un
periodo di tempo non inferiore a cinque
anni; c) avere una autonoma struttura
imprenditoriale tale per cui esso può essere
in grado di eseguire direttamente i
contratti pubblici allo stesso aggiudicati.
In breve, il consorzio stabile è un'impresa
costituita da altre imprese il cui fine è
quello di operare nel settore dei contratti
pubblici in modo strutturale e duraturo e
non congiunturale e transitorio. L'elemento
centrale che connota la stabilità del
consorzio va quindi ravvisato in quello
teleologico, ossia nello "scopo di
operare in modo congiunto nel settore dei
contratti pubblici per almeno cinque anni",
conseguendo l'affidamento in proprio di
contratti pubblici e dandovi esecuzione in
maniera altrettanto diretta ovvero per il
tramite dell'attività dei consorziati (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 17.06.2011 n. 1104 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Un consorzio può essere
definito "stabile" solo se caratterizzato
dall'esistenza di una struttura stabile e
duratura il cui fine sia quello di operare
nel settore dei contratti pubblici.
Il consorzio, per essere ritenuto “stabile”
deve:
a) possedere almeno tre consorziati;
b) consorziare imprese che abbiano deciso
(attraverso una determinazione assunta dai
propri organi deliberativi) di operare
congiuntamente nel settore dei contratti
pubblici per un periodo di tempo non
inferiore a cinque anni;
c) avere una autonoma struttura
imprenditoriale tale per cui esso può essere
in grado di eseguire direttamente i
contratti pubblici allo stesso aggiudicati
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 17.06.2011 n. 1104 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un'ATI concorrente da una
gara per mancata produzione dei certificati
relativi alla regolare esecuzione di
analoghi servizi nel precedente triennio.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n.
163/2006 prevede che, nell'ipotesi in cui si
verta in materia di servizi e forniture
prestati, come nel caso di specie, a favore
di amministrazioni od enti pubblici, la
capacità tecnica può essere dimostrata
unicamente mediante certificati rilasciati e
vistati dalle stesse amministrazioni, non
ammettendosi alcun documento sostitutivo.
Ne consegue che, è legittimo il
provvedimento di esclusione da una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un'ATI, che abbia omesso di
presentare i certificati relativi alla
corretta esecuzione di analoghi servizi nel
precedente triennio e che abbia, peraltro,
prodotto fatture in alternativa alle
suddette certificazioni. Peraltro il potere
della stazione appaltante di richiedere una
integrazione documentale ai sensi dell'art.
46 d.lgs. n. 163/2006 è ammesso unicamente
al fine di fornire chiarimenti con
riferimento a documenti già presentati,
ovvero allo scopo di completare la
documentazione esibita, non già per
sopperire alla totale mancanza di un
documento che andava depositato entro un
termine perentorio a pena di esclusione.
Né può affermarsi che le fatture abbiano
identico valore della certificazione di
regolare esecuzione richiesta dal
disciplinare di gara, al fine della
dimostrazione della capacità tecnica. Appare
pertanto arbitraria la scelta di depositare,
in alternativa, le fatture in quanto dalla
stessa considerate atti equipollenti (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 17.06.2011 n. 920 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La tesi secondo cui dopo
30 giorni dall’aggiudicazione provvisoria,
in assenza di un provvedimento espresso, si
determinerebbe l’aggiudicazione definitiva
per implicito, pur sostenuta da un’isolata
pronuncia giurisprudenziale, appare peraltro
poco condivisibile anche alla stregua di
quanto disposto dall’art. 11 dello stesso
codice dei contratti pubblici, che, proprio
nel disciplinare le fasi delle procedure di
affidamento, sancisce, al quinto comma, che
«la stazione appaltante, previa verifica
dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi
dell’art. 12, comma 1, provvede
all’aggiudicazione definitiva».
La norma distingue dunque nettamente
l’aggiudicazione provvisoria (con
l’appendice dell’approvazione) da quella
definitiva, in conformità del costante
insegnamento, alla stregua del quale la
seconda si pone in rapporto di autonomia con
la prima, tanto che viene ritenuto evento
del tutto fisiologico quello per cui ad
un’aggiudicazione provvisoria può non fare
seguito quella definitiva, inidoneo di per
sé ad ingenerare qualsiasi affidamento
meritevole di tutela.
Ne consegue che la mancata approvazione
espressa dell’aggiudicazione provvisoria ai
sensi e nei termini dell’art. 12, comma 1,
del codice dei contratti pubblici comporta
come effetto solamente quello
dell’approvazione automatica della stessa
aggiudicazione provvisoria, senza produrre
un “salto procedimentale”, con
perfezionamento dell’aggiudicazione
definitiva.
In altri termini, il meccanismo del
“silenzio assenso” prefigurato dall’art. 12,
comma 1, riguarda solo l’approvazione
dell’aggiudicazione provvisoria, mentre
l’aggiudicazione definitiva richiede una
manifestazione di volontà espressa
dell’Amministrazione, implicante, da parte
dell’organo amministrativo dotato di
competenza esterna, il rinnovato esame delle
valutazioni già compiute dall’organo tecnico
in sede di selezione della migliore offerta.
Anche a fronte di un’approvazione tacita
dell’aggiudicazione provvisoria la Stazione
appaltante conserva il potere discrezionale
di procedere o meno all’aggiudicazione
definitiva; e si tratta di un provvedimento
adottato da Autorità diversa (da quella che
ha disposto l’aggiudicazione provvisoria),
nell’esercizio di un potere e sulla base di
presupposti non assimilabili a quelli
relativi all’aggiudicazione provvisoria.
---------------
Il diniego di aggiudicazione definitiva,
intervenuto dopo più di un anno
dall’aggiudicazione provvisoria, non viola
di per sé i principi di buona
amministrazione.
Come evidenziato dalla giurisprudenza
formatasi sull’art. 2 della legge n. 241 del
1990, il mancato rispetto del termine finale
del procedimento non determina di per sé
l’illegittimità del provvedimento,
trattandosi di termine acceleratorio, o,
meglio, ordinatorio (pur con taluni profili
comminatori, evincibili ad esempio
nell’ultimo comma del predetto art. 2) per
la definizione del procedimento.
Peraltro, occorre precisare che il codice
dei contratti pubblici non enuclea uno
specifico termine per l’aggiudicazione
definitiva (l’art. 12, come visto,
riguardando l’aggiudicazione provvisoria).
Il fondamento di razionalità dell’omessa
previsione di un termine per
l’aggiudicazione definitiva va
verosimilmente rinvenuto nella non
prevedibilità a priori degli adempimenti
necessari, pur non potendosi tale termine
verosimilmente disancorare dal tempo di
efficacia dell’offerta, che è quella
indicata dal bando, ovvero di 180 giorni
dalla scadenza del termine per la sua
presentazione, prendendo a riferimento
l’ultima richiesta e l’ultimo adempimento.
---------------
La definitiva individuazione del concorrente
cui affidare l’appalto risulta consacrata
solamente con l’aggiudicazione definitiva;
può anzi dirsi che le fasi procedimentali di
passaggio fra l’aggiudicazione provvisoria e
quella definitiva sono preordinate proprio
alla verificazione della prima. Ciò viene
sovente tradotto nell’affermazione secondo
cui l’aggiudicazione provvisoria ha natura
di atto endoprocedimentale, ad effetti
ancora instabili ed interinali, e
l’aggiudicazione definitiva non costituisce
atto meramente confermativo della prima.
Spetta all’aggiudicazione definitiva, in
quanto epilogo del procedimento di gara,
procedere al controllo ed alla verifica di
regolarità delle operazioni di gara.
---------------
L’aggiudicazione provvisoria di un contratto
con l’Amministrazione non genera alcun
affidamento qualificato e risulta esposta a
revisioni che possono anche condurre al suo
annullamento, che non trova ostacoli
insuperabili, salvo l’obbligo di
motivazione. L’aggiudicazione provvisoria fa
sorgere, in capo all’aggiudicatario
provvisorio, solamente un’aspettativa alla
conclusione del procedimento.
L’attualità e la specificità dell’interesse
pubblico che sorregge il potere di
autotutela devono essere calibrate in
funzione della fase procedimentale in cui lo
stesso interviene, ed, in definitiva,
dell’affidamento ingenerato nel privato
avvantaggiato dal provvedimento; è, dunque,
anche diverso l’onere motivazionale
richiesto dalla giurisprudenza per procedere
all’annullamento degli atti di gara, a
seconda della circostanza che sia
intervenuta l’aggiudicazione definitiva od
addirittura la stipula del contratto, ovvero
che il procedimento di valutazione
comparativa concorrenziale non sia giunto
completamente a termine.
A prescindere dal fatto che, in astratto, la
revoca priva di indennizzo non sarebbe
illegittima, salva la possibilità di
azionare la pretesa patrimoniale, occorre
comunque considerare che l’indennizzo spetta
sempre che la revoca (legittima) incida su
di un provvedimento amministrativo ad
efficacia durevole, od anche istantanea, ma
comunque definitivo, ed in quanto tale
idoneo ad esprimere la propria effettualità.
Tale non è il caso dell’aggiudicazione
provvisoria, la quale è, come più volte
ripetuto, atto endoprocedimentale, con
effetti ancora instabili e del tutto
interinali; ciò comporta che, quand’anche al
provvedimento gravato di diniego
dell’aggiudicazione definitiva volesse
attribuirsi una portata revocatoria, non
sarebbe dovuto l’indennizzo.
---------------
L’aggiudicazione provvisoria è inidonea ad
ingenerare un qualunque affidamento
tutelabile con conseguente obbligo
risarcitorio, qualora non sussista
un’illegittimità nell’operato
dell’Amministrazione.
Se l’aggiudicazione provvisoria,
naturalmente temporanea, è inidonea ad
ingenerare un qualunque affidamento
tutelabile, bene si comprende come il
ritardo, ove per ipotesi configurabile,
nell’adozione del diniego del provvedimento
di aggiudicazione definitiva difficilmente
può produrre un danno ingiusto, e dunque
risarcibile.
Occorre preliminarmente enucleare l’esatta
natura giuridica del provvedimento
impugnato, formalmente recante il diniego di
approvazione dell’aggiudicazione
provvisoria, precedentemente disposta in
favore della società ricorrente, ma che, ad
avviso di quest’ultima, deve essere inteso
come annullamento di un’aggiudicazione
definitiva tacitamente formatasi.
Dall’art. 12, comma 1, del codice dei
contratti pubblici, si evince che
l’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad
approvazione dell’organo competente nel
rispetto dei termini previsti dai singoli
ordinamenti, ed, in mancanza, entro trenta
giorni; il termine è interrotto dalla
richiesta di chiarimenti e documenti, ed
inizia nuovamente a decorrere allorché tali
chiarimenti o documenti pervengano
all’organo richiedente; decorso il termine,
l’aggiudicazione si intende approvata.
Anche se la disposizione da ultimo indicata
non specifica chiaramente quale
aggiudicazione debba intendersi approvata
con l’inutile decorso del termine entro il
quale va esercitato il potere di controllo,
non può comunque trascurarsi di considerare
che il comma entro cui la disposizione è
inserita concerne l’aggiudicazione
provvisoria.
Va altresì aggiunto che l’art. 12 del d.lgs.
n. 163 del 2006, nel disciplinare i “controlli
sugli atti delle procedure di affidamento”,
ha riguardo all’approvazione
dell’aggiudicazione provvisoria e poi del
contratto (per il quale è prevista anche
un’ulteriore fase di controllo
dell’approvazione), e non si occupa mai
dell’aggiudicazione definitiva.
La tesi secondo cui dopo trenta giorni
dall’aggiudicazione provvisoria, in assenza
di un provvedimento espresso, si
determinerebbe l’aggiudicazione definitiva
per implicito, pur sostenuta da un’isolata
pronuncia giurisprudenziale (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 04.05.2010, n. 2554), appare
peraltro poco condivisibile anche alla
stregua di quanto disposto dall’art. 11
dello stesso codice dei contratti pubblici,
che, proprio nel disciplinare le fasi delle
procedure di affidamento, sancisce, al
quinto comma, che «la stazione
appaltante, previa verifica
dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi
dell’art. 12, comma 1, provvede
all’aggiudicazione definitiva».
La norma distingue dunque nettamente
l’aggiudicazione provvisoria (con
l’appendice dell’approvazione) da quella
definitiva, in conformità del costante
insegnamento, alla stregua del quale la
seconda si pone in rapporto di autonomia con
la prima, tanto che viene ritenuto evento
del tutto fisiologico quello per cui ad
un’aggiudicazione provvisoria può non fare
seguito quella definitiva, inidoneo di per
sé ad ingenerare qualsiasi affidamento
meritevole di tutela (tra le tante, Cons.
Stato, Sez. VI, 27.07.2010, n. 4902; Sez.
VI, 06.04.2010, n. 1907; Sez. V, 15.02.2010,
n. 808).
Ne consegue che la mancata approvazione
espressa dell’aggiudicazione provvisoria ai
sensi e nei termini dell’art. 12, comma 1,
del codice dei contratti pubblici comporta
come effetto solamente quello
dell’approvazione automatica della stessa
aggiudicazione provvisoria (Cons. Stato,
Sez. V, 12.07.2010, n. 4483; Sez. V,
07.05.2008, n. 2089), senza produrre un “salto
procedimentale”, con perfezionamento
dell’aggiudicazione definitiva.
In altri termini, il meccanismo del “silenzio
assenso” prefigurato dall’art. 12, comma
1, riguarda solo l’approvazione
dell’aggiudicazione provvisoria, mentre
l’aggiudicazione definitiva richiede una
manifestazione di volontà espressa
dell’Amministrazione, implicante, da parte
dell’organo amministrativo dotato di
competenza esterna, il rinnovato esame delle
valutazioni già compiute dall’organo tecnico
in sede di selezione della migliore offerta.
Resta da aggiungere come anche a fronte di
un’approvazione tacita dell’aggiudicazione
provvisoria la Stazione appaltante conserva
il potere discrezionale di procedere o meno
all’aggiudicazione definitiva; e si tratta
di un provvedimento adottato da Autorità
diversa (da quella che ha disposto
l’aggiudicazione provvisoria),
nell’esercizio di un potere e sulla base di
presupposti non assimilabili a quelli
relativi all’aggiudicazione provvisoria
(così, da ultimo, TAR Lazio, Sez. I,
28.02.2011, n. 1809).
---------------
Con riguardo alla violazione del principio
di buon andamento e dei canoni di efficacia
ed efficienza, compendiati nell’art. 1 della
legge n. 241 del 1990, è indubbio che sia
passato un termine piuttosto ampio tra
l’aggiudicazione provvisoria, risalente al
25.11.2009, ed il diniego di aggiudicazione
definitiva, intervenuto il 25.01.2011, ma,
ragionando in astratto, come evidenziato
dalla giurisprudenza formatasi sull’art. 2
della legge n. 241 del 1990, il mancato
rispetto del termine finale del procedimento
non determina di per sé l’illegittimità del
provvedimento, trattandosi di termine
acceleratorio, o, meglio, ordinatorio (pur
con taluni profili comminatori, evincibili
ad esempio nell’ultimo comma del predetto
art. 2) per la definizione del procedimento
(tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI,
01.12.2010, n. 8371; TAR Campania, Napoli,
Sez. IV, 27.12.2010, n. 28062).
Occorre peraltro precisare che il codice dei
contratti pubblici non enuclea uno specifico
termine per l’aggiudicazione definitiva
(l’art. 12, come visto, riguardando
l’aggiudicazione provvisoria); ciò trova
conferma indiretta nel fatto che il
successivo art. 79, comma 5, prevede la
comunicazione ex officio
dell’aggiudicazione definitiva, e tale
disposizione è particolarmente significativa
perché la comunicazione individua il dies
a quo per la proposizione del ricorso
giurisdizionale (cfr. art. 120, comma 5, del
cod. proc. amm.), e da tale comunicazione
decorre pure il termine di sospensione
sostanziale (di 35 giorni) per la
stipulazione del contratto (art. 11, comma
10, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Il fondamento di razionalità dell’omessa
previsione di un termine per
l’aggiudicazione definitiva va
verosimilmente rinvenuto nella non
prevedibilità a priori degli adempimenti
necessari, pur non potendosi tale termine
verosimilmente disancorare dal tempo di
efficacia dell’offerta, che è quella
indicata dal bando, ovvero di centottanta
giorni dalla scadenza del termine per la sua
presentazione (cfr. art. 11, comma 6, del
d.lgs. n. 163 del 2006).
Se così è, prendendo a riferimento l’ultima
richiesta e l’ultimo adempimento del
settembre 2010, il termine non risulta
ancora spirato al momento dell’adozione del
provvedimento gravato.
---------------
Quanto all’asserita violazione dei principi
di trasparenza ed imparzialità, nella
prospettiva che spetti solamente alla
Commissione giudicatrice, nel rispetto della
sequenza procedimentale che impone di
esaminare l’offerta tecnica prima di quella
economica, valutare se l’offerta della
ricorrente costituisse un’ammissibile “proposta
tecnica migliorativa ed integrativa”,
ovvero si traducesse in una non consentita
difformità dal bando di gara, si tratta di
doglianza sostanzialmente infondata, atteso
che la definitiva individuazione del
concorrente cui affidare l’appalto risulta
consacrata solamente con l’aggiudicazione
definitiva (in termini, tra le tante, Cons.
Stato, Sez. V, 08.03.2011, n. 1446); può
anzi dirsi che le fasi procedimentali di
passaggio fra l’aggiudicazione provvisoria e
quella definitiva sono preordinate proprio
alla verificazione della prima (così Cons.
Stato, Sez. V, 27.04.2011, n. 2479). Ciò
viene sovente tradotto nell’affermazione
secondo cui l’aggiudicazione provvisoria ha
natura di atto endoprocedimentale, ad
effetti ancora instabili ed interinali, e
l’aggiudicazione definitiva non costituisce
atto meramente confermativo della prima.
Spetta all’aggiudicazione definitiva, in
quanto epilogo del procedimento di gara,
procedere al controllo ed alla verifica di
regolarità delle operazioni di gara (TAR
Veneto, Sez. I, 04.08.2010, n. 3447).
---------------
L’aggiudicazione provvisoria di un contratto
con l’Amministrazione non genera alcun
affidamento qualificato e risulta esposta a
revisioni che possono anche condurre al suo
annullamento, che non trova ostacoli
insuperabili, salvo l’obbligo di motivazione
(Cons. Stato, Sez. V, 27.04.2011, n. 2479).
L’aggiudicazione provvisoria fa sorgere, in
capo all’aggiudicatario provvisorio,
solamente un’aspettativa alla conclusione
del procedimento.
L’attualità e la specificità dell’interesse
pubblico che sorregge il potere di
autotutela devono essere calibrate in
funzione della fase procedimentale in cui lo
stesso interviene, ed, in definitiva,
dell’affidamento ingenerato nel privato
avvantaggiato dal provvedimento; è, dunque,
anche diverso l’onere motivazionale
richiesto dalla giurisprudenza per procedere
all’annullamento degli atti di gara, a
seconda della circostanza che sia
intervenuta l’aggiudicazione definitiva od
addirittura la stipula del contratto, ovvero
che il procedimento di valutazione
comparativa concorrenziale non sia giunto
completamente a termine.
Nel caso di specie il provvedimento è
adeguatamente motivato, in proporzione al
livello di affidamento ingenerato
dall’aggiudicazione provvisoria, che è atto
intermedio del procedimento di gara, e non
richiede quindi un’approfondita comparazione
tra l’interesse pubblico e l’interesse
privato.
Come già esposto, in corso di procedura è
più ampio e libero lo spazio di riesame da
parte dell’Amministrazione, non essendovi
ancora titolari di posizioni consolidate
(così anche TAR Sardegna, Sez. I,
11.11.2010, n. 2582).
A questo riguardo, occorre precisare che
tanto l’art. 21-nonies, quanto l’art.
21-quinquies hanno riguardo, essenzialmente,
al provvedimento “definitivo”, e solo
marginalmente agli atti intermedi; ciò lo si
evidenzia anche con riferimento all’assunto
di parte ricorrente, secondo cui si
verterebbe al cospetto di una revoca,
mancante però del prescritto indennizzo.
In realtà, ad avviso del Collegio, a
prescindere dal fatto che, in astratto, la
revoca priva di indennizzo non sarebbe
illegittima, salva la possibilità di
azionare la pretesa patrimoniale, occorre
comunque considerare che l’indennizzo spetta
sempre che la revoca (legittima) incida su
di un provvedimento amministrativo ad
efficacia durevole, od anche istantanea, ma
comunque definitivo, ed in quanto tale
idoneo ad esprimere la propria effettualità
(Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n. 1554;
TAR Sardegna, Sez. I, 11.11.2010, n. 2582;
Sez. I, 12.06.2009, n. 976).
Tale non è il caso dell’aggiudicazione
provvisoria, la quale è, come più volte
ripetuto, atto endoprocedimentale, con
effetti ancora instabili e del tutto
interinali; ciò comporta che, quand’anche al
provvedimento gravato di diniego
dell’aggiudicazione definitiva volesse
attribuirsi una portata revocatoria, non
sarebbe dovuto l’indennizzo.
---------------
Viene anche in rilievo, seppure con qualche
specificità, il problema, ancora irrisolto,
della natura giuridica del danno da ritardo,
se cioè lo stesso sia configurabile per il
fatto del mero superamento del termine
finale del procedimento (c.d. danno da mero
ritardo), o si richieda un quid pluris,
come ritenuto, in passato, da Cons. Stato,
Ad. Plen., 15.09.2005, n. 7, e cioè il
sopraggiungere di un provvedimento di
accoglimento dell’istanza, vale a dire
satisfattivo dell’interesse pretensivo
azionato in giudizio.
Peraltro, nella fattispecie in esame, anche
a voler ritenere che il tempo sia di per sé
un bene della vita per il soggetto privato
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28.02.2011, n.
1271), non può trascurarsi di considerare
che l’aggiudicazione provvisoria è inidonea
ad ingenerare un qualunque affidamento
tutelabile con conseguente obbligo
risarcitorio, qualora non sussista
un’illegittimità nell’operato
dell’Amministrazione (così Cons. Stato, Sez.
VI, 27.07.2010, n. 4902; Sez. VI,
06.04.2010, n. 1907; Sez. V, 15.02.2010, n.
808).
Se l’aggiudicazione provvisoria,
naturalmente temporanea, è inidonea ad
ingenerare un qualunque affidamento
tutelabile, bene si comprende come il
ritardo, ove per ipotesi configurabile,
nell’adozione del diniego del provvedimento
di aggiudicazione definitiva difficilmente
può produrre un danno ingiusto, e dunque
risarcibile (TAR Umbria,
sentenza 16.06.2011 n. 172 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi,
affidamenti diretti fino a 40.000 euro.
Certificazioni da inviare alla banca dati
contratti pubblici in 30 giorni.
Affidamenti diretti di
servizi e forniture possibili fino a 40.000
euro; certificazioni delle prestazioni volte
da trasmettere alla Banca dati dei contratti
pubblici entro 30 giorni, affidamento in
subappalto dei lavori della categoria
prevalente fino al 20% in caso di trattativa
privata; procedure ristretta con scelta
degli offerenti anche per servizi e
forniture, possibilità per i contraenti
generali di utilizzare i requisiti anche per
i lavori subappaltati e affidati a terzi,
esclusione della disciplina sull'accordo
bonario per i contratti affidati a
contraente generale, trattativa privata per
gli appalti nel settore dei beni culturali
fino a un milione di euro. Confermati il
divieto di riserve su progetti validati e il
limite del 20% alle varianti.
Sono questi alcuni dei principali effetti
derivanti dall'esame e dell'approvazione, in
commissione bilancio e finanze
della Camera, degli
emendamenti relativi all'articolo 4 del
disegno di legge di conversione del decreto
legge 70/2011 (il cosiddetto
decreto per lo sviluppo), che contiene
diverse modifiche al Codice degli appalti
pubblici.
Fra le novità approvate in commissione si
segnala la modifica all'articolo 62 del
Codice che ammette la possibilità di
utilizzare la cosiddetta «forcella»
nelle procedure ristrette in caso di appalti
di servizi e forniture (il cosiddetto
passaggio dalla «long list» alla «short
list» con una predeterminazione del
numero dei soggetti da invitare a presentare
offerta), possibilità al momento prevista
solo per i lavori.
E' stato poi approvato un emendamento della
Lega Nord che porta da 20.000 a 40.000 euro
il limite per procedere ad affidamenti
diretti di incarichi di servizi e forniture
da parte del Responsabile del procedimento
(non è stato invece approvato l'innalzamento
della soglia dei 100.000 euro —fino a
193.000 euro— per le trattative private con
bando relative agli incarichi di
progettazione).
Nell'emendamento del relatore approvato in
commissione sono contenute anche alcune
modifiche relative alla disciplina del
contraente generale: l'inapplicabilità
dell'articolo 240 (accordo bonario) e la
possibilità, per i contraenti generali, di
utilizzare i lavori subappaltati o affidati
a terzi per la qualificazione SOA Viene
inoltre previsto il limite del 20% per i
subappalti dei lavori della categoria
prevalente in caso di affidamento
dell'appalto a trattativa privata (con o
senza bando).
Passa a un milione (da 500.000 euro) il
limite per gli affidamenti a trattativa
privata nel settore dei beni culturali, che
nel decreto legge era stato portato a un
milione e mezzo (articolo
ItaliaOggi del 16.06.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti,
niente ribassi sul costo del lavoro.
Approvato un emendamento dei democratici che
blocca gli «sconti» anche per la sicurezza.
Il costo del lavoro non può più essere
oggetto di ribassi in tutti gli appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture.
A sorpresa, con un emendamento al decreto
sviluppo presentato da Cesare Damiano (Pd) e
approvato dalle commissioni Bilancio e
Finanze della Camera gli appalti perdono una
delle voci di costo finora manovrabili in
fase di offerta.
L'emendamento prevede che l'offerta migliore
deve essere individuata dalla stazione
appaltante «al netto delle ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.06.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Procedura
Negoziata: definizioni, domande e risposte.
Estratto del Convegno sul nuovo Regolamento
dei Contratti pubblici.
La procedura negoziata consente alle
Stazioni Appaltanti di consultare gli
operatori economici da loro scelti e
negoziare con uno o più di essi le
condizioni dell'appalto.
Essa può essere “previa pubblicazione di
bando” o “senza previa comunicazione
di bando”.
Ricordiamo brevemente che:
la procedura negoziata
previa pubblicazione di un bando di gara è
applicabile:
-
quando tutte le offerte presentate sono
irregolari ovvero inammissibili, in ordine a
quanto disposto dal presente codice in
relazione ai requisiti degli offerenti e
delle offerte;
- nel caso di appalti per lavori realizzati
unicamente a scopo di ricerca,
sperimentazione.
la procedura negoziata
senza previa pubblicazione di un bando di
gara è applicabile:
- nel caso in cui non sia stata presentata
nessuna offerta, o nessuna offerta
appropriata, o nessuna candidatura;
- se il contratto possa essere affidato
unicamente ad un operatore economico
determinato il per ragioni di natura tecnica
o artistica ovvero attinenti alla tutela di
diritti esclusivi;
- in casi di estrema urgenza, risultante da
eventi imprevedibili per le stazioni
appaltanti.
Il Decreto Sviluppo (Decreto Legge
13.05.2011, n. 70) ha innalzato i limiti di
importo per l'affidamento degli appalto
mediante procedura negoziata (fino alla
soglia comunitaria), con l'obbligo di
invitare almeno 5 operatori per importi
inferiori a 500.000 euro e almeno 10
operatori per importi maggiori di 500.000
euro.
La redazione di BibLus-net propone ai propri
lettori un estratto in formato audio-video
del seminario di aggiornamento e studio
riguardante il nuovo “REGOLAMENTO DI
ESECUZIONE ED ATTUAZIONE DEI CONTRATTI
PUBBLICI”, organizzato dall'Ordine degli
Ingegneri di Avellino il 16.05.2011, che
riporta la relazione del dott. Ugo MONTELLA
(Vice Procuratore Generale presso la Corte
dei Conti) con domande e risposte sulla
Procedura Negoziata.
In particolare, vengono
analizzati gli artt. 56, 57 e 122 del D.Lgs
163/2006 e le modifiche apportate dal D.P.R.
207/2010 e dal Decreto Sviluppo e vengono
fornite le risposte ai quesiti dei
partecipanti
(news del 16.06.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI: Clausole
di tracciabilità: dal 17.06.2011 adeguamento
automatico di tutti i contratti.
Come previsto dalla Legge n. 127/2010, dal
17.06.2011 tutti i contratti stipulati prima
del 10 settembre 2010, non adeguati
volontariamente, saranno automaticamente
integrati con le clausole di tracciabilità
previste Legge n. 136/2010.
In particolare, per questi contratti, le
varie stazioni appaltanti dovranno chiedere
(entro venerdì) il CIG (Codice
Identificativo di Gara) e dovranno
effettuare i pagamenti tramite bonifico
bancario o postale o altri strumenti
tracciabili.
L'AVCP consiglia alle stazioni appaltanti di
inviare una comunicazione agli operatori
economici per evidenziare l'adeguamento
automatico del contratto e comunicare il
CIG, dove non fosse già previsto.
Per approfondire la problematica relativa ad
adempimenti e procedure si rinviano i
lettori all'articolo sulla Tracciabilità dei
flussi finanziari.
In allegato si riportano le diverse
Determinazioni dell'AVCP (news del
16.06.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Sussiste l'obbligo di
rendere la dichiarazione di cui all'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006, anche in capo ai
soggetti dotati di un ruolo decisionale
all'interno della società, al di là della
qualificazione formale dei poteri loro
attribuiti.
L'art. 38, lett. b), c) e m-ter, del d.lgs.
n. 163/2006, va interpretato alla luce del
più sostanziale indirizzo orientamento
attento all' effettività del rapporto
amministrativo, nonché all'affidabilità di
chi in esso agisce nell'interesse e per
conto del concorrente, secondo cui, la
dichiarazione relativa all'insussistenza di
cause di esclusione deve essere resa anche
dai procuratori speciali, al di là della
loro qualifica formale, in virtù dei poteri
ad essi in concreto conferiti. Ciò in
quanto, la ratio legis è di
escludere, dalla partecipazione alla gara,
le società in cui abbiano commesso gravi
reati i soggetti dotati di un ruolo
decisionale e gestionale significativo.
Il fondamento della disposizione consiste
infatti nell'assicurare preventivamente la
piena affidabilità morale dell'impresa che
ambisce all'esecuzione dell'opera pubblica:
affidabilità che, ridotta al rango
soggettivo in ragione della personalità
della responsabilità penale, va garantita e
dichiarata anche per quanti, in concreto,
risultino svolgere una reale funzione di
amministrazione dell'impresa ed esercitarne
i tipici poteri di gestione; a maggior
ragione quando, come nel caso di specie,
tali soggetti si mostrino capaci di reali
poteri gestori nei confronti
dell'amministrazione pubblica; diversamente,
la ratio legis verrebbe elusa e
dunque vanificata.
A tal fine, peraltro, rileva anche
considerare l'attribuzione del potere di
partecipare a pubblici appalti e formulare
le relative offerte, come avvenuto nella
fattispecie in esame (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 15.06.2011 n. 3655 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Alcuni elementi
dell'informativa antimafia non valsi ad
accertare la sussistenza di un reato possono
essere suscettibili di diversa valutazione
in sede amministrativa.
I termini della discrezionalità attribuita
all’Amministrazione in ordine al rilascio di
informative antimafie sono stati precisati
da orientamento, invero pacifico, di questa
Sezione, del quale è espressione, ad
esempio, la decisione 14.04.2009, n. 2276,
con la quale è stato affermato che
l'informativa antimafia, emessa ai sensi
dell'art. 10, comma 7, lett. c), d.P.R.
252/1998, prescinde completamente da ogni
provvedimento penale a carico degli
appartenenti all'impresa (sia pure di
carattere preventivo o anche assolutorio), e
si giustifica considerando il pericolo
dell'infiltrazione mafiosa, che non deve
essere immaginifico né immaginario, ma
neppure provato, purché sia fondato su
elementi presuntivi e indiziari, la cui
valutazione è rimessa alla lata
discrezionalità del prefetto, sindacabile in
sede di legittimità sotto il profilo della
illogicità, incoerenza o inattendibilità.
Pur se non è accettabile, in presenza di
elementi indiziari evanescenti, che venga
enfatizzato il rischio di infiltrazione
mafiosa al fine di emettere una informativa
antimafia, non è altrettanto accettabile che
lo stesso rischio venga sottovalutato
perché, in sede penale, non sono stati
accertati elementi sufficienti per affermare
la responsabilità penale.
Pertanto, l'informativa antimafia non
risponde a finalità di accertamento di
responsabilità, ma ha carattere
accentuatamente preventivo-cautelare, con la
conseguenza che elementi, che, in sede
penale, non sono valsi ad accertare la
sussistenza di un reato, possono ben essere
suscettibili di diversa valutazione in sede
amministrativa, al fine di fondare un
giudizio di possibilità che l'attività
considerata possa subire condizionamenti da
soggetti legati alla criminalità
organizzata.
Deve dunque concludersi nel senso che il
prefetto, nel rendere le informazioni
antimafia richieste ai sensi dell'art. 10,
comma 7, lett. c), d.P.R. n. 252 del 1998,
non deve basarsi necessariamente su
specifici elementi, ma deve effettuare la
propria valutazione sulla scorta di uno
specifico quadro indiziario, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti delle pubbliche
amministrazioni, per cui il sindacato del
giudice amministrativo non può impingere nel
merito, restando, di conseguenza,
circoscritto a verificare sotto il profilo
della logicità, il significato attribuito
agli elementi di fatto e l'iter seguito per
pervenire a certe conclusioni, anche perché
le informative prefettizie in questione
costituiscono esplicazione di lata
discrezionalità, non suscettibile di
sindacato di merito in assenza di elementi
atti a evidenziare profili di deficienza
motivazionale, di illogicità e di
travisamento (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.06.2011 n. 3647 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul diritto di riscatto
degli impianti di pubblica illuminazione da
parte del comune nel caso di scadenza del
precedente rapporto di concessione.
Non è possibile procedere contestualmente
all'esercizio del riscatto e alla indizione
di una gara.
L'art. 24 del r.d. 15.10.1925 n. 2578,
secondo cui il potere di riscatto deve
essere esercitato con il preavviso di un
anno, trova applicazione per le concessioni
di servizi già affidati ai privati che
vengono a risolversi prima della naturale
scadenza contrattuale. Nel caso di specie,
l'originaria concessione trentennale degli
impianti di pubblica illuminazione, affidata
all'appellante senza gara, era scaduta al
momento dell'esercizio del riscatto e non
poteva considerarsi tacitamente prorogata in
base ad una apposita clausola della
convenzione, in quanto prima della scadenza
era entrato in vigore l'art. 6 della l.
24.12.1993 n. 537, che ha introdotto il
divieto di rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, con la
previsione -inserita in sede di successive
modifiche- della nullità dei contratti
stipulati in violazione del predetto
divieto. Pertanto, a seguito dell'entrata in
vigore della citata disposizione non possono
sopravvivere le clausole di rinnovo tacito
di contratti o convenzioni, potendo al
massimo porsi la questione della possibilità
di procedere -in base a clausole espresse-
al rinnovo con provvedimento esplicito.
L'esercizio del riscatto non è in alcun modo
subordinato al previo raggiungimento di un
accordo tra le parti sullo stato di
consistenza o sulla quantificazione
dell'indennizzo, dovendosi altrimenti
giungere alla irragionevole conclusione che
la parte privata avrebbe la possibilità di
impedire in fatto il riscatto non
accordandosi con l'amministrazione.
Il riscatto e l'effettiva consegna degli
impianti non può che precedere il successivo
affidamento del servizio essendo
tecnicamente difficile, se non impossibile,
immaginare l'indizione di una gara
contestualmente al provvedimento di
riscatto, senza avere certezze sui tempi di
esecuzione del provvedimento, sulla
consistenza dei beni e, quindi, su elementi
in base ai quali vanno redatti gli atti
della gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.06.2011 n. 3607 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
In capo agli enti locali
permane la facoltà di riscattare la
proprietà degli impianti di illuminazione
pubblica.
La pronuncia in commento si conforma a
quella del Tar per la Lombardia, sezione di
Brescia, che aveva respinto in primo grado
un ricorso contro gli atti con cui un comune
aveva esercitato il riscatto degli impianti
di pubblica illuminazione, in precedenza
gestiti dalla società ricorrente.
L’oggetto del giudizio era costituito dalla
contestazione da parte di quest’ultima,
titolare del servizio di gestione degli
impianti di illuminazione pubblica situati
nel comune appellato, degli atti con cui lo
stesso comune aveva deciso di esercitare il
riscatto degli impianti ai sensi del R.D. n.
2578/1925 e del d.P.R. n. 902/1986. Il
giudice di primo grado ha ritenuto vigente
la normativa in materia di riscatto degli
impianti di cui al R.D. 15.10.1925 n. 1568
ed al d.P.R.. n. 902/1986 mentre la società
contestava tali statuizioni e sosteneva che
la citata normativa avente ad oggetto
l’esercizio del riscatto sarebbe stata
implicitamente abrogata.
Sul punto i giudici del consiglio di Stato
rilevano che, come correttamente rilevato
dal Tar, la facoltà di riscatto non è stata
abrogata dalla normativa sopravvenuta, ma è
tuttora riconosciuta dall’ordinamento al
fine di garantire al Comune la possibilità
di individuare, attraverso una gara
pubblica, il soggetto migliore cui affidare
la gestione del servizio mediante
concessione.
La finalità del riscatto non è, quindi,
unicamente quella di consentire ai comuni
l’assunzione diretta dei servizi, ma anche,
e oggi soprattutto se non esclusivamente,
quella di garantire la disponibilità degli
impianti in modo da individuare la migliore
modalità di gestione attraverso l’indizione
di una pubblica gara, specie per affidamenti
disposti oltre trenta anni fa senza alcuna
procedura di evidenza pubblica.
In sede cautelare, gli stessi giudici
avevano già rilevato che la normativa in
materia di riscatto degli impianti di cui al
R.D. 15.10.1925, n. 1568 ed al D.L. n.
902/1986 non risulta implicitamente abrogata
per effetto della sopravvenuta disciplina
poi recepita dal T.U. n. 267/2000 nella
misura in cui mira all’assicurazione, in
capo agli enti locali, della proprietà degli
impianti costituente presupposto
indefettibile per l’indizione della
procedura per l’affidamento del servizio
pubblico ovvero per la relativa assunzione
in house, (Consiglio di Stato, V,
ord. 12.12.2008 n. 6639, in cui è stato
affermato anche che la giurisprudenza in
senso contrario riguardante il diverso
settore del gas, non è analogicamente
estensibile alla fattispecie qui in esame).
Segnalano, inoltre, i giudici d’appello che
pur se riguardante il diverso settore del
gas, anche la giurisprudenza costituzionale
conferma che il riscatto è uno strumento
finalizzato alla riorganizzazione del
servizio in vista di un assetto più
confacente alle esigenze della collettività
(Corte Cost., 14.05.2008 n. 132).
In definitiva, deve ritenersi che permane,
in capo agli enti locali, la facoltà di
riscattare la proprietà degli impianti di
illuminazione pubblica ai sensi della citata
normativa (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.06.2011 n. 3606 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Prime osservazioni sull’affidamento dei
servizi pubblici locali e sulla tariffa del
servizio idrico integrato in esito al
referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011
(ANCI,
nota interpretativa 14.06.2011). |
APPALTI:
Sussiste l'obbligo, in
capo alla cessionaria di un ramo d'azienda,
di presentare le dichiarazioni di cui
all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, anche in
relazione agli amministratori dell'impresa
cedente cessati dalla carica.
Sussiste l'obbligo in capo alla cessionaria
di un ramo d'azienda, di presentare le
dichiarazioni di cui all'art. 38 del d.lgs.
n. 163/2006, anche in relazione agli
amministratori dell'impresa cedente cessati
dalla carica, in quanto, se da un lato
appare evidente la ratio dell'art.
38, lett. c), volta a premiare attività
imprenditoriali rispettose della legalità,
d'altra parte, risulta ipotesi probabile
l'elusione dei divieti di partecipazione
alle pubbliche gare, perseguita mediante
mirate operazioni di scorporo portate a
termine, con l'accordo di assetti
proprietari compiacenti, al fine di
consentire nell'ambito della compagine
societaria cessionaria, la partecipazione
alle gare pubbliche da parte di complessi
aziendali che, diversamente, sarebbero
rimasti nella disponibilità di imprese
cedenti che non erano in possesso dei
requisiti di moralità prescritti dal
summenzionato art. 38 (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 13.06.2011 n. 3580 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L’Autorità per la
Vigilanza sui contratti pubblici è
legittimata a proporre appello.
Il Collegio ritiene che l’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici sia
legittimata a proporre appello avverso la
sentenza del Tar che abbia annullato la
segnalazione della stazione appaltante circa
i provvedimenti di esclusione di un’impresa
da una gara pubblica.
Tale segnalazione, invero, pur provenendo da
una diversa Amministrazione (il soggetto che
bandisce la gara) è, comunque, un atto
strumentale e necessario per l’esercizio, da
parte dell’Autorità di vigilanza, di una sua
specifica competenza provvedimentale,
quella, appunto, di procedere alla relativa
iscrizione nel Casellario informatico.
Tra la segnalazione della stazione
appaltante e la successiva iscrizione nel
Casellario ad opera dell’Autorità vi è,
certamente, un rapporto di presupposizione,
con la conseguenza che l’annullamento del
provvedimento presupposto (l’atto di
segnalazione) va ad incidere inevitabilmente
sulla validità del provvedimento
presupponente (l’iscrizione).
Il nesso di presupposizione che avvince
questi due provvedimenti radica in capo
all’Autorità di vigilanza una posizione
differenziata e giuridicamente rilevante,
togliendo ogni dubbio in ordine
all’esistenza di una sua legittimazione
processuale che le consente di difendere in
giudizio, anche mediante la proposizione di
un autonomo appello, il provvedimento di
segnalazione adottato dalla stazione
appaltante.
Dall’annullamento giurisdizionale del
provvedimento di segnalazione deriva,
infatti, un ostacolo giuridico all’esercizio
del potere di iscrizione nel Casellario
informatico. E l’Autorità, che di tale
potere di iscrizione è titolare, ha
senz’altro un interesse giuridicamente
rilevante alla rimozione di quell’ostacolo,
al fine di poter curare l’interesse
pubblico, particolare e concreto, in vista
del quale la legge le attribuisce il potere
di iscrizione.
Né si può obiettare che in questo modo il
processo amministrativo diventi uno
strumento a tutela di un astratto interesse
alla legittimità dell’azione amministrativa.
Nel caso di specie, infatti, l’Autorità di
vigilanza non agisce a tutela di un astratto
interesse pubblico. Al contrario, essa si fa
portatrice di un interesse che certamente è
pubblico, ma che, a livello processuale, si
traduce in un interesse “personale” e
“concreto”.
Si tratta, infatti, dell’interesse al
corretto esercizio del potere amministrativo
specificamente attribuito all’Autorità di
vigilanza per la cura di un interesse
pubblico particolare e concreto: quello di
assicurare, tramite l’aggiornamento del
Casellario informatico, la conoscibilità
delle notizie che possono incidere corretta
conduzione delle procedure di affidamento
dei contrati pubblici.
Sotto questo profilo, è evidente la
differenza che esiste tra la legittimazione
e l’interesse del privato ricorrente e
quella del soggetto pubblico titolare del
potere. Mentre il primo, eccettuate le
ipotesi tassative di azione popolare, può
agire in giudizio solo a tutela di interessi
“privati”, la Pubblica
Amministrazione agisce, anche in tramite gli
strumenti processuali, a tutela di interessi
pubblici, che non sono però astratti
interessi alla legalità, ma quegli interessi
pubblici particolari e concreti che essa, di
volta in volta, è chiamata a perseguire, ed
in vista dei quali l’ordinamento le
attribuisce il potere amministrativo.
Ne discende che l’Amministrazione, quando
ritiene che quegli interessi pubblici
particolari siano ostacolati o compromessi,
può senz’altro intraprendere le opportune
iniziative giurisdizionali ritenute
opportune o necessarie alla loro difesa. Può
ad esempio costituirsi in giudizio per
difendere la legittimità di atti che essa
stesso ha adottato (ed è questa l’ipotesi
normale, in cui è in contestazione proprio
il provvedimento emanato al fine di
soddisfare l’interesse pubblico); ma può
anche intraprendere iniziative
giurisdizionali per difendere la legittimità
di provvedimenti adottati da altri soggetti
pubblici, nei casi in cui l’annullamento di
tali provvedimenti possa avere l’effetto di
impedire l’esercizio del potere di cui è
titolare. In entrambi i casi, la
legittimazione e l’interesse all’iniziativa
giurisdizionale derivano dalla necessità di
curare, anche nel processo, l’interesse
pubblico particolare alla cui cura quella
Pubblica Amministrazione è preposta.
Nel caso di specie è evidente che
l’annullamento giurisdizionale della
segnalazione della stazione appaltante
incide sul potere dell’Autorità appellante,
impedendone ab origine l’esercizio.
Annullando la segnalazione di un
provvedimento di esclusione legittimamente
adottato, il Tar, infatti, accerta, ex
ante, che non vi sono i presupposti per
l’esercizio del potere di iscrizione da
parte dell’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici, la quale, quindi, è il
soggetto maggiormente inciso da tale
decisione (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.06.2011 n. 3567 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Istituto
dell’avvalimento e limiti alla garanzia
della libertà di concorrenza.
La finalità dell’avvalimento non è "quella
di arricchire la capacità (tecnica o
economica che sia) del concorrente, ma
quella di consentire a soggetti che ne siano
privi di concorrere alla gara ricorrendo ai
requisiti di altri soggetti”, se e in quanto
da questi integralmente e autonomamente
posseduti, in coerenza con la normativa
comunitaria sugli appalti pubblici che è
volta in ogni sua parte a far sì che la
massima concorrenza sia anche condizione per
la più efficiente e sicura esecuzione degli
appalti.
Nelle Direttive CE in materia di appalti
pubblici n. 18 (articoli 47 e 48) e n. 17
(articolo 54), del 2004, l’istituto
dell’avvalimento è previsto con formulazione
sostanzialmente identica per la quale “Un
operatore economico può, se del caso, e per
un determinato appalto, fare affidamento
sulle capacità di altri soggetti, a
prescindere dai suoi legami con questi
ultimi. In tal caso deve dimostrare alla
amministrazione che disporrà dei mezzi
necessari, ad esempio mediante presentazione
dell’impegno a tal fine di questi soggetti.”
(art. 47, comma 2, della direttiva n. 18
citata); alla luce di questa previsione è
corretto affermare che l'istituto, in quanto
così ampiamente definito (altresì nell’art.
49, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006), ha
“portata generale nel diritto
comunitario, al fine di garantire il
principio di libertà di concorrenza”
(Cons. Stato, Sez. V, 19.03.2009, n. 1624),
poiché, se ciascun soggetto può avvalersi
dei requisiti di altri, viene così posto in
grado di concorrere il più vasto numero di
soggetti, non essendo perciò consentite
limitazioni nell’applicazione dell’istituto
che possano inficiare tale scopo.
La massima concorrenza deve però dispiegarsi
entro il limite (e al fine) della garanzia
per la stazione appaltante di ricevere la
migliore prestazione, che non è a sua volta
assicurata se nessuno dei soggetti
concorrenti possiede i requisiti
preventivamente identificati in relazione
all’oggetto e agli importi di gara, essendo
questi richiesti come presupposto della
capacità del partecipante di formulare una
offerta congrua e valutabile e di fornire
quindi, se aggiudicatario, la migliore
prestazione; non si comprenderebbe,
altrimenti, la ratio della
preordinazione di un sistema di requisiti di
qualificazione per categorie di lavori e
classifica (per importi nel loro ambito) se
nessuno dei concorrenti o dei soggetti
ausiliari fosse poi, in concreto, vincolato
a possederli, non potendo in tal caso il
candidato/offerente “dimostrare alla
amministrazione che disporrà dei mezzi
necessari” a provare le capacità
richieste per l’esecuzione dell’appalto.
La finalità dell’avvalimento non è perciò “quella
di arricchire la capacità (tecnica o
economica che sia) del concorrente, ma
quella di consentire a soggetti che ne siano
privi di concorrere alla gara ricorrendo ai
requisiti di altri soggetti” (Cons.
Stato: Sez. V, 17.03.2009, n. 1589; Sez. IV,
20.11.2008, n. 5742), se e in quanto da
questi integralmente e autonomamente
posseduti (cfr. anche Cons. Stato, Sez. V,
23.02.2010, n. 1054), in coerenza con la
normativa comunitaria sugli appalti pubblici
che è volta in ogni sua parte a far sì che
la massima concorrenza sia anche condizione
per la più efficiente e sicura esecuzione
degli appalti.
Non contrasta con tale conclusione la
normativa di cui al vigente art. 49, comma
6, per il quale “Per i lavori, il
concorrente può avvalersi di una sola
impresa ausiliaria per ciascuna categoria di
qualificazione. Il bando di gara può
ammettere l'avvalimento di più imprese
ausiliarie in ragione dell'importo
dell'appalto o della peculiarità delle
prestazioni, fermo restando il divieto di
utilizzo frazionato per il concorrente dei
singoli requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi di cui all'articolo
40, comma 3, lettera b), che hanno
consentito il rilascio dell'attestazione in
quella categoria.”.
Non può essere accolta, infatti, una
interpretazione per cui il divieto di
utilizzo frazionato dei requisiti varrebbe
soltanto nel caso dell’avvalimento di più
imprese ausiliarie (ai sensi della seconda
parte del comma) e non anche in quello di
una sola impresa ausiliaria (di cui alla
prima parte), essendo evidente che il
legislatore si è occupato di vietare
espressamente l’utilizzo frazionato per la
fattispecie in cui tale utilizzo è in
concreto ipotizzabile, proprio in ragione
della pluralità delle imprese ausiliarie, e
non per quella in cui ci si avvalga di una
sola impresa ausiliaria, non essendo
altrimenti giustificato un divieto posto
soltanto per un caso e non per l’altro.
Ciò è confermato dalla intervenuta
abrogazione del comma 7 del medesimo art.
49, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2008, in
cui era anche previsto “che l’avvalimento
possa integrare un preesistente requisito
tecnico o economico già posseduto
dall’impresa avvalente in misura o
percentuale indicata nel bando stesso”,
nonché dall’osservazione che la somma delle
classifiche risulta espressamente prevista
soltanto per i consorzi stabili (art. 36,
comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Tale ricostruzione non contrasta con quanto
indicato dalla citata nota C(2008)0108 della
Commissione europea, relativa a limitazioni
all’avvalimento riscontrate nel testo
previgente dei commi 6 e 7 dell’art. 49 del
d.lgs. n. 163 del 2006, cui sono seguite le
modifiche disposte con il d.lgs. n. 152 del
2008 (essenzialmente restringendo ai lavori,
nel comma 6, la previsione dell’avvalimento
di una sola impresa ausiliaria, e abrogando
il comma 7 che recava la possibilità del
bando di gara di limitare l’avvalimento per
tipo di requisiti e di prevedere la loro
integrazione); per effetto delle modifiche
intervenute la normativa di cui all’art. 49
non risulta infatti prevedere, come sopra
visto, la possibilità dell’integrazione dei
requisiti parziali né è interpretabile in
tal senso.
In tale quadro si deve concludere che non vi
è ragione per il rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267
del TFUE, trattandosi di un caso in cui la
corretta applicazione del diritto
comunitario si impone con evidenza tale da
non dare adito a nessun ragionevole dubbio
interpretativo sulla soluzione da dare alla
questione sollevata (Cons. Stato Sez. VI,
09.02.2011, n. 896); scopo della normativa
comunitaria è infatti chiaramente quello far
concorrere alle gare anche i soggetti che
non hanno i requisiti se li ha l’impresa
ausiliaria ma non quello di consentire che
chi non ha i requisiti possa comunque
presentare offerte, così impegnandosi ad
eseguire prestazioni per cui non ha i
presupposti, poiché, in questo caso, non
sarebbero contestualmente assicurate la
libera concorrenza e l’uso efficiente delle
risorse pubbliche, ciò che costituisce,
invece, la finalità ultima della stessa
normativa (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.06.2011 n. 3565 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’esclusione
dalla gara d’appalto radica l’interesse ad
agire.
L’esclusione è idonea di per sé a radicare
l’interesse al ricorso, indipendentemente
dall’esito della gara stessa e dalla
circostanza che in caso di ammissione
l’imprenditore comunque non sarebbe
risultato aggiudicatario, e dunque dalla
prova che l’esito della gara sarebbe stato
sicuramente o probabilmente favorevole;
l’interesse al ricorso in tema di procedure
di gara, infatti, è un interesse strumentale
a rimettere in discussione il rapporto,
provocando la rinnovazione della gara con il
vantaggio per l’interessato di parteciparvi.
L’esclusione lede l’interesse
dell’imprenditore a vedersi valutare la
propria offerta, indipendentemente
dall’esito della gara, di talché l’interesse
a ricorrere contro l’esclusione è
configurabile ex se e non occorre che sia
dimostrato che l’esito della gara sarebbe
sicuramente o probabilmente favorevole,
anche perché siffatta dimostrazione
implicherebbe, da un lato, una disvelazione
di dati relativi ad un’offerta ancora
segreta e, dall’altro lato, l’anticipazione
da parte del giudice di verifiche
caratterizzate da un significativo tasso di
discrezionalità tecnica, riservate alla
stazione appaltante.
Secondo consolidata giurisprudenza,
l’esclusione è idonea di per sé a radicare
l’interesse al ricorso, indipendentemente
dall’esito della gara stessa e dalla
circostanza che in caso di ammissione
l’imprenditore comunque non sarebbe
risultato aggiudicatario, e dunque dalla
prova che l’esito della gara sarebbe stato
sicuramente o probabilmente favorevole;
l’interesse al ricorso in tema di procedure
di gara, infatti, è un interesse strumentale
a rimettere in discussione il rapporto,
provocando la rinnovazione della gara con il
vantaggio per l’interessato di parteciparvi
[Cons. giust. sic., 22.04.2002 n. 203; Cons.
St., sez. VI, 28.04.1998 n. 576; Cons. St.,
sez. VI, 17.06.1998 n. 972].
Si è anche ritenuto che l’esclusione lede
l’interesse dell’imprenditore a vedersi
valutare la propria offerta,
indipendentemente dall’esito della gara, di
talché l’interesse a ricorrere contro
l’esclusione è configurabile ex se e
non occorre che sia dimostrato che l’esito
della gara sarebbe sicuramente o
probabilmente favorevole, anche perché
siffatta dimostrazione implicherebbe, da un
lato, una disvelazione di dati relativi ad
un’offerta ancora segreta e, dall’altro
lato, l’anticipazione da parte del giudice
di verifiche caratterizzate da un
significativo tasso di discrezionalità
tecnica, riservate alla stazione appaltante
[Cons. St., sez. VI, 28.04.1998 n. 576].
Tale orientamento trova la sua
giustificazione nella circostanza che quando
viene disposta l’esclusione, normalmente non
sono ancora note le offerte degli altri
concorrenti, sicché è impossibile per il
ricorrente escluso provare che in caso di
ammissione avrebbe vinto la gara.
Tale soluzione incontra un temperamento solo
nel caso in cui il sistema di gara sia
quello del prezzo più basso, e al momento
dell’impugnazione dell’esclusione o
successivamente siano noti i ribassi
offerti, sicché può evincersi con certezza
se il ricorrente escluso, in caso di
ammissione, avrebbe o no vinto.
Diverso discorso va fatto per il caso di
sistema di gara con metodo dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, in cui il
concorrente escluso non è oggettivamente in
grado di dimostrare che la propria offerta
sarebbe risultata aggiudicataria, atteso che
l’esito della gara dipende dalla valutazione
delle offerte tecniche da parte della
Commissione, e l’offerta dell’escluso non è
stata, per definizione, valutata.
Pertanto, in siffatta evenienza, è
inesigibile da parte del ricorrente la prova
che avrebbe vinto la gara.
E’ quanto si verifica nel caso di specie, in
cui il metodo di aggiudicazione è quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il ricorrente di primo grado non era tenuto
a dimostrare che avrebbe vinto la gara, se
ammesso, perché la sua offerta non è stata
mai valutata dalla Commissione (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 13.06.2011 n. 3555 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Informativa
antimafia: la stazione appaltante non è
tenuta a comunicare l'avvio del procedimento
di revoca dell'aggiudicazione.
L'amministrazione è esonerata dall'obbligo
di comunicazione di cui all'art. 7, l.
07.08.1990 n. 241, relativamente
all'informativa antimafia ed al successivo
provvedimento di revoca un'aggiudicazione
rilasciata, atteso che si tratta di
procedimento in materia di tutela antimafia,
come tale intrinsecamente caratterizzato da
profili di urgenza (in termini C. Stato
sent. n. 1148 del 02/09/2009, ove è
richiamata copiosa giurisprudenza e
precisamente Consiglio Stato, sez. VI,
07.11.2006, n. 6555; conf. anche Cons.
Stato, sez. IV, 11.02.1999, n. 150; sez. V
28.02.2006, n. 851) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 13.06.2011 n. 1470 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Informativa antimafia:
può legittimamente fondarsi su fatti e
vicende aventi valore meramente sintomatico
ed indiziario.
Il Prefetto non deve basarsi su specifici
elementi, ma deve effettuare la propria
valutazione sulla scorta di uno specifico
quadro indiziario, ove assumono rilievo
preponderante i fattori induttivi della non
manifesta infondatezza che i comportamenti e
le scelte dell’imprenditore possano
rappresentare un veicolo di infiltrazione
delle organizzazioni criminali negli appalti
delle pubbliche amministrazioni.
L’informativa prefettizia pertanto può
legittimamente fondarsi su fatti e vicende
aventi valore meramente sintomatico ed
indiziario, data la peculiare finalità
rivestita di prevenire infiltrazioni mafiose
e criminali nel tessuto economico
imprenditoriale, anche a prescindere dal
concreto accertamento in sede penale di
reati specifici (TAR Lazio sez. 1^ di Roma,
sent. n. 6487/2008).
Al fine però di evitare il travalicamento in
uno “stato di polizia” e di
salvaguardare i principi di legalità e di
certezza del diritto, non possono ritenersi
sufficienti semplici sospetti o mere
congetture prive di riscontro fattuale, in
assenza di individuati elementi di fatto
obiettivamente sintomatici di concrete
connessioni con la criminalità. La
valutazione rimessa all’autorità prefettizia
nella esternazione della richiesta
informativa antimafia costituisce
espressione di discrezionalità tecnica, che
esclude la possibilità per il giudice di
esplicare un sindacato pieno e assoluto, ma
non impedisce di formulare un giudizio di
logica e di congruità delle informazioni
assunte o alle deduzioni che sono state
tratte (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 13.06.2011 n. 1469 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nessuna
segnalazione all'Authority nel caso di buona
fede dell'impresa che abbia ritenuto di
possedere il requisito in realtà carente.
Nel caso di buona fede dell'impresa che
abbia ritenuto di possedere il requisito in
realtà carente o contestato, non ha senso
irrogare sanzioni che vadano oltre la
fisiologica esclusione dell'impresa dalla
gara, quali la segnalazione all'Autorità per
la Vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture (TAR Trentino
Alto Adige Trento, 09.02.2011, n. 34): nel
caso specifico, era evidente l’assenza di
condotte contrarie alla buona fede
concorsuale e/o fraudolente, non essendovi
state dichiarazioni mendaci nell'ambito
della verifica dei requisiti, di guisa che
non avrebbero comunque potuto essere
adottate le contestate sanzioni (massima
tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it
- TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 13.06.2011 n. 1460 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'art. 90 del d.lgs.
163/2006 consente lo svolgimento della
progettazione di opere pubbliche mediante
affidamento delle stesse ad una società in
house della stazione appaltante.
L'art. 90, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006
prevede che, se non affidate a
professionisti, le attività relative alla
progettazione di opere pubbliche e quelle
relative alla direzione lavori, devono
essere espletate dagli uffici tecnici delle
stazioni appaltanti, oppure dagli uffici
consortili di progettazione e direzione dei
lavori o dagli organismi di altre pubbliche
amministrazioni di cui le singole stazioni
appaltanti possono avvalersi per legge.
Nel concetto di stazione appaltante, va
ricompresa anche l'eventuale società in
house, poiché quest'ultima non si configura
quale soggetto esterno all'amministrazione
medesima ma, analogamente ai suoi uffici
interni, ne rappresenta una parte
integrante, sia pure giuridicamente
separata.
La forma societaria è uno strumento che
l'Amministrazione ha scelto per
l'espletamento delle proprie attività in
materia di realizzazione di opere pubbliche,
ritenendo che possano più agevolmente essere
portate a compimento mediante strumenti
civilistici; ma sulla società medesima il
Comune esercita un controllo penetrante, il
quale esclude che essa possa operare
autonomamente.
Le attività di progettazione svolte
rientrano, pertanto, nell'ambito di
previsione dell'art. 90, c. 1, lett. a),
d.lgs. 163/2006, in quanto l'ufficio tecnico
della società opera unicamente a favore
dell'affidante e sotto il suo diretto
controllo, e ciò esclude che nella
fattispecie si sia realizzato un affidamento
esterno da parte della stazione appaltante
in spregio alle norme codicistiche, tanto
più che la società di cui si discute è a sua
volta è tenuta ad affidare tramite gara la
progettazione delle stesse (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 13.06.2011 n. 1041 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, per incompletezza della dichiarazione
relativa all'insussistenza di cause di
esclusione ai sensi dell'art. 38, del d.lgs.
n. 163/2006 (Codice degli appalti).
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia reso una dichiarazione incompleta,
in ordine alle cause di esclusione previste
dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,
riguardanti tutti i soggetti tenuti per
legge ad assolvere a tale obbligo.
Nel caso di specie, l'ATI concorrente ha
omesso di rendere la suddetta dichiarazione
con riferimento al Presidente del C.d.A. In
ordine alle dichiarazioni relative ai
requisiti di partecipazione alle pubbliche
gare ex art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, la
giurisprudenza amministrativa non appare
univoca, propendendo talora, per una tesi "sostanzialistica",
secondo cui l'esclusione dalla gara può
avvenire non tanto per la mancata
allegazione della attestazione
sull'esistenza di condanne penali per i
soggetti indicati, quanto in caso di
effettiva esistenza di tali condanne;
talaltra, la giurisprudenza privilegia il
dato formale della omessa allegazione della
dichiarazione.
Peraltro, anche secondo quella
giurisprudenza che ha recepito il concetto,
di derivazione penalistica, del cd. "falso
innocuo", l'omessa dichiarazione in
ordine all'esistenza di condanne penali non
integra, di per sé, causa di esclusione,
salvo espressa previsione del bando, in tal
senso. Nel caso di specie, la mancata
presentazione di una delle dichiarazioni
richieste era sanzionata dal bando con
l'esclusione del concorrente (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 13.06.2011 n. 1026 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Il recapito dell’offerta
è a rischio dell’impresa. Il principio di
massima partecipazione alle gare pubbliche
deve essere contemperato con quello relativo
alla par condicio dei partecipanti, che
richiede il rispetto delle disposizioni
stabilite dalla legge di gara a pena di
esclusione.
Per cui, è legittima l'esclusione
dell'offerta pervenuta alle ore 12,06
(anziché le ore 12,00) all'ufficio
protocollo comunale.
E’ noto il principio per cui il recapito
dell’offerta è a rischio dell’impresa (Tar
Latina, 11.07.2005 n. 588). Nella
fattispecie, il disciplinare chiariva che
l’offerta doveva giungere all’Ufficio
Protocollo del Comune entro le ore 12. La
ricorrente non è in grado di fornire alcuna
prova che il plico sia giunto presso
l’Ufficio entro le ore 12, in quanto la
firma sulla ricevuta di consegna non
appartiene ad alcun impiegato del Comune,
come certificato dal Comune stesso e non
contestato efficacemente dalla ricorrente.
A questo punto, poco importa se sia corretta
o meno la ricostruzione resa del Comune
medesimo, la quale sostiene come il plico
sia stato lasciato sul tavolo di un
impiegato ipovedente (comunque già dopo le
12) e immediatamente consegnato, alle 12.06,
all’Ufficio Protocollo, senza che alcuna
firma fosse posta sulla ricevuta di
consegna.
La circostanza che la firma apposta sulla
ricevuta non solo non appartenga ad un
impiegato addetto al ricevimento dei plichi,
ma addirittura ad alcun impiegato del
Comune, rende le affermazioni della
ricorrente sull’orario di ricevimento del
plico prive di qualsiasi prova e rende
superflua l’istanza di disconoscimento della
firma depositata dal Comune. Ciò, in
particolare, considerando che il
disciplinare stabilisce come il plico
dovesse essere recapitato, a pena di
esclusione, presso l’Ufficio Protocollo del
Comune all’ora indicata.
Conseguentemente:
- il disciplinare è chiaro nello stabilire
che il plico dovesse essere consegnato a un
ufficio determinato, a pena di esclusione.
- non vi è, in ogni caso, alcuna prova che
un altro ufficio del Comune abbia preso in
carico il plico in precedenza, dato che il
cognome sulla ricevuta del corriere non
appartiene ad alcun impiegato del Comune e
la ricorrente non è stata in grado di
contestare tale circostanza.
- la circostanza che l’offerta sia giunta
all’Ufficio Protocollo alle 12.06 e non
prima è indicata chiaramente negli impugnati
provvedimenti che non vengono contestati
efficacemente dalla ricorrente, che si è
assunta il rischio della consegna tramite
corriere nell’ultimo giorno utile previsto
dal disciplinare. L’unica cosa provata è che
alle 11.56 un tale Zanoti ha firmato, in
luogo imprecisato la ricevuta di consegna.
Tale attestazione non è sufficiente a
superare le chiare previsioni dell’art. 8
del disciplinare di gara.
Le censure contro i provvedimenti impugnati
debbono quindi essere respinte, considerato
che la ricorrente non è in grado di provare
la consegna tempestiva della offerta (della
quale si era assunta il rischio) e che il
principio di massima partecipazione alle
gare pubbliche deve essere contemperato con
quello relativo alla par condicio dei
partecipanti, che richiede il rispetto delle
disposizioni stabilite dalla legge di gara a
pena di esclusione (CdS sez. V 13.01.2005 n.
82) (TAR Marche,
sentenza 13.06.2011 n. 484 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non va esclusa dalla
gara l'impresa il cui legale rappresentante
non ha presentato, in uno all'offerta
economica, copia del documento di identità,
qualora il disciplinare di gara abbia
operato una chiara diversificazione tra le
due sottoscrizioni (quella relativa alla
domanda di partecipazione e quella relativa
all'offerta economica), imponendo la
produzione della copia del documento di
identità del sottoscrittore solo per la
domanda di partecipazione, senza richiederla
anche per l'offerta economica.
La giurisprudenza, condivisa dal Collegio,
pur chiarendo che è del tutto legittima la
clausola della legge di gara che imponga
l’allegazione della copia fotostatica di un
documento di identità all’offerta, ha
chiarito come non vada esclusa dalla gara
l'impresa il cui legale rappresentante non
ha presentato, in uno all'offerta economica,
copia del documento di identità, qualora il
disciplinare di gara abbia operato una
chiara diversificazione tra le due
sottoscrizioni (quella relativa alla domanda
di partecipazione e quella relativa
all'offerta economica), imponendo la
produzione della copia del documento di
identità del sottoscrittore solo per la
domanda di partecipazione, senza richiederla
anche per l'offerta economica (Tar Sicilia
Palermo 10.03.2010 n. 2648) (TAR Marche,
sentenza 13.06.2011 n. 483 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le clausole di
tracciabilità entrano in tutti i contratti.
Integrazione automatica da venerdì prossimo.
A partire da venerdì 17.06.2011, data di
scadenza del periodo transitorio, i
contratti sorti prima del 07.09.2010, che
non siano stati adeguati volontariamente
dalle parti, sono automaticamente integrati
(secondo l'articolo 1374 del Codice civile)
con le clausole di tracciabilità previste
dall'articolo 3, commi 8 e 9, della legge
136/2010 e diventano soggetti ai relativi
obblighi; ciò a condizione, ovviamente, che
essi siano ancora produttivi di effetti.
Per questi contratti, le oltre 28mila
stazioni appaltanti dovranno chiedere, entro
il termine del periodo transitorio, il Cig
(numero identificativo di gara). I pagamenti
andranno effettuati tramite bonifico
bancario o postale o altro strumento
tracciabile, transitare su conti correnti
dedicati, riportare il Cig e, ove
necessario, il Cup (codice unico di
progetto). Il meccanismo dell'inserzione
automatica pone fine all'incertezza che
aveva accompagnato la versione iniziale
della normativa, semplificando gli oneri per
le stazioni appaltanti e per gli operatori
privati. Conseguentemente, le stazioni
appaltanti sono sollevate anche dall'obbligo
di controllare l'inserimento delle clausole
nei contratti della filiera.
L'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici consiglia alle stazioni appaltanti
di inviare una comunicazione agli operatori
economici per evidenziare l'adeguamento
automatico del contratto e comunicare il
Cig, ove non fosse già previsto
(determinazione 10/2010).
Intanto per gli operatori restano alcuni
dubbi, per esempio sul pagamento delle
utenze dalla stazione appaltante,
sull'estensione degli obblighi di
tracciabilità alle operazioni dove la
controparte è la banca tesoriere,
sull'applicazione della tracciabilità ai
contratti di swap. Fra le difficoltà spunta
anche quella legata alla tassazione dei
contratti sopra i 40mila euro, i cui importi
vanno pagati quadrimestralmente con
bollettino Mav. Nel primo anno di
applicazione le stazioni appaltanti devono
trovare la copertura finanziaria degli oneri
straordinari conseguenti alla
regolarizzazione dei vecchi contratti
sottoscritti prima del 07.09.2010.
L'appesantimento dei nuovi obblighi emerge
anche dal comunicato sull'impennata delle
richieste telefoniche all'Autorità (da circa
7mila a 60mila contatti mensili) e
sull'incremento dell'attività, per cui da
novembre 2010 ad aprile 2011 sono stati
assegnati circa 1,5 milioni di Cig ai soli
fini della tracciabilità. L'Autorità ha già
disciplinato procedure semplificate per
l'acquisizione del Cig e la possibilità di
effettuare un unico adempimento per un dato
intervallo temporale con i carnet di Cig.
Queste semplificazioni si applicano ai
contratti di lavori fino a 40mila euro e ai
contratti di servizi e forniture sotto i
20mila euro (affidati ai sensi dell'articolo
125 del codice dei contratti o mediante
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando) nonché ai contratti
esclusi in tutto o in parte
dall'applicazione del codice (articolo
Il Sole 24 Ore del 13.06.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Guzzo,
L’assetto della disciplina SPL di rilevanza
economica all’indomani del risultato del
referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011:
riflessioni minime (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
La tracciabilità dei flussi finanziari nelle
concessioni di lavori pubblici e di servizi,
dopo la legge di conversione del D.L.
187/2010: il perseverare dell’Autorità
nell’errore di fondo (det. 10/2010)
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero,
Quadro delle competenze in ordine agli atti
per la definizione del percorso di
affidamento di un servizio pubblico locale
(29.05.2011 - tratto da
www.albertobarbiero.net). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero,
Quadro delle competenze in ordine agli atti
per la definizione del percorso di
affidamento di un servizio pubblico locale
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L. Manassero,
Il Servizio Idrico Integrato -e gli altri
Servizi Pubblici Locali- ed il Referendum
2011: alle soglie di una (contro)
rivoluzione? (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento senza gara -
Proroga dei contratti affidati con gara -
Equiparazione - Limiti entro cui è
consentita la proroga.
All’affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati
con gara sono consentite se già previste
ab origine, e comunque entro termini
determinati. Una volta che il contratto
scada e si proceda a una sua proroga senza
che essa sia prevista ab origine, o
oltre i limiti temporali consentiti, la
proroga è da equiparare d un affidamento
senza gara. (Consiglio Stato , sez. VI,
16.02.2010, n. 850).
RIFIUTI - Servizio di
raccolta e trasporto rifiuti - Richiesta di
proroga - Affidataria - Rifiuto - Ordinanza
contingibile e urgente diretta ad assicurare
la continuità del servizio - Affidamento per
effetto di provvedimento extra ordinem - Non
costituisce impedimento alla partecipazione
ad altre gare.
In tema di servizio raccolta e trasporto
rifiuti, allorché in prossimità della
scadenza della proroga il Comune contatti la
società attuale affidataria del servizio al
fine di acquisire la disponibilità ad
un'ulteriore proroga del servizio, alle
medesime condizioni economiche e tecniche in
atto, nelle more della predisposizione degli
atti e degli adempimenti necessari per
l'affidamento mediante pubblica gara del
nuovo servizio, e l'affidataria declini la
proposta di ulteriore proroga, alla luce del
disposto di cui all'art. 23-bis, d.l. n. 112
del 2008, onde evitare il pregiudizio
derivante dall'impedimento alla
partecipazione ad altre gare, è legittima
l'ordinanza contingibile ed urgente assunta
dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, d.lg. n.
267 del 2000, al fine di assicurare comunque
la continuità del servizio di gestione dei
rifiuti urbani, tenuto conto della qualità
di servizio essenziale, non suscettibile di
subire interruzioni; in tal caso l'avvenuto
affidamento del servizio alla società per
effetto di un provvedimento extra ordinem,
assunto sulla base di presupposti di diritto
del tutto diversi da quelli in base ai quali
in via ordinaria si procede mediante proroga
dell'affidamento in corso, non è
assimilabile a tale ultima ipotesi e quindi
non può costituire per la società istante
impedimento per l'eventuale partecipazione
ad altre gare (cfr. TAR Veneto, sez. I,
09.07.2010 n. 2906).
Divieto ex art. 23-bis
della L. n. 133/2008 - Società private -
Applicabilità.
Il divieto previsto all’art. 23-bis, comma
9, L. n. 133/2008 non prevede alcuna
delimitazione soggettiva e si presta ad
essere applicata in termini generali, a
tutela del principio concorrenziale fra gli
operatori del mercato pubblici e privati.
Non può pertanto condividersi la tesi
secondo cui la norma sarebbe riferibile
esclusivamente alle società in house
providing e non anche alle imprese
private (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 11.06.2011 n. 556 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Quando
il contratto scada e si proceda a una sua
proroga senza che essa sia prevista ab
origine essa è da equiparare ad un
affidamento senza gara.
All’affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati
con gara sono consentite se già previste
ab origine, e comunque entro termini
determinati. Una volta che il contratto
scada e si proceda a una sua proroga senza
che essa sia prevista ab origine, o
oltre i limiti temporali consentiti, la
proroga è da equiparare d un affidamento
senza gara (Consiglio Stato, sez. VI,
16.02.2010, n. 850).
Diverso sarebbe
stato se lo svolgimento del servizio fosse
stato svolto in forza di provvedimento
autoritativo (ordinanza contingibile ed
urgente, per il periodo strettamente
necessario all'espletamento della gara a
regime), in quanto "in tema di servizio
raccolta e trasporto rifiuti, allorché in
prossimità della scadenza della proroga il
Comune contatti la società attuale
affidataria del servizio al fine di
acquisire la disponibilità ad un'ulteriore
proroga del servizio (nella specie: per
altri sei mesi), alle medesime condizioni
economiche e tecniche in atto, nelle more
della predisposizione degli atti e degli
adempimenti necessari per l'affidamento
mediante pubblica gara del nuovo servizio, e
l'affidataria declini la proposta di
ulteriore proroga, alla luce del disposto di
cui all'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008,
onde evitare il pregiudizio derivante
(attese le interpretazioni giurisprudenziali
rese sul punto) dall'impedimento alla
partecipazione ad altre gare, è legittima
l'ordinanza contingibile ed urgente assunta
dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, d.lgs. n.
267 del 2000, al fine di assicurare comunque
la continuità del servizio di gestione dei
rifiuti urbani, tenuto conto della qualità
di servizio essenziale, non suscettibile di
subire interruzioni; in tal caso l'avvenuto
affidamento del servizio alla società per
effetto di un provvedimento extra ordinem,
assunto sulla base di presupposti di diritto
del tutto diversi da quelli in base ai quali
in via ordinaria si procede mediante proroga
dell'affidamento in corso, non è
assimilabile a tale ultima ipotesi e quindi
non può costituire per la società istante
impedimento per l'eventuale partecipazione
ad altre gare” (cfr. TAR Veneto, sez. I,
09.07.2010 n. 2906)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 11.06.2011 n. 556 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'operato di una Commissione di gara, che
abbia introdotto nuovi e diversi parametri
di valutazione, in contrasto con il dettato
normativo di cui all'art. 83, c. 4, del
d.lgs. n. 163/2006.
E' illegittimo l'operato di una Commissione
di gara che, in ordine all'attribuzione dei
punteggi indicati nel bando, abbia
introdotto, pur qualificandoli come criteri
motivazionali, nuovi e diversi parametri di
valutazione, con relativi elementi
ponderali, in quanto ciò costituisce
violazione dell'art. 83, come novellato dal
d.lgs. n. 152/2008, il quale, in ossequio ai
principi di trasparenza imposti dalla
sovraordinata normativa comunitaria, ha
abrogato la disposizione che assegnava alla
Commissione giudicatrice, prima
dell'apertura delle buste contenenti le
offerte, la fissazione, in via generale, dei
criteri motivazionali cui attenersi, in sede
di attribuzione a ciascun criterio e
subcriterio di valutazione dei punteggi tra
il minimo e il massimo prestabiliti dal
bando.
In altri termini, il legislatore, con la
previsione dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n.
163/2006 come novellato dal predetto
decreto, ha effettuato una scelta
finalizzata a ridurre gli apprezzamenti
soggettivi della commissione giudicatrice,
garantendo l'imparzialità delle valutazioni
a tutela della "par condicio" tra i
concorrenti, i quali sono messi in
condizione di formulare un'offerta che
consenta di concorrere effettivamente alla
aggiudicazione del contratto in gara.
La gestione dei servizi oggetto del
contratto, va determinata e resa nota ai
potenziali concorrenti, già al momento della
produzione delle loro offerte, e ciò al fine
di evitare il pericolo che la Commissione
possa orientare, a proprio piacimento ed a
posteriori, l'attribuzione di un punteggio
determinante e, quindi, l'esito della gara
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 10.06.2011 n. 1035 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'omessa menzione di
condanne penali non gravi, ovvero di
violazioni contributive non gravi o non
definitivamente accertate, non integra
un'ipotesi di falsa dichiarazione e, quindi,
causa di esclusione.
L'omessa menzione di condanne penali non
gravi, ovvero di violazioni contributive non
gravi o non definitivamente accertate, non
integra, di per sé, un'ipotesi di falsa
dichiarazione e, quindi, causa di
esclusione, atteso che, nel caso in esame,
il bando di gara non impone ai partecipanti
di manifestare qualsivoglia condanna e
violazione contributiva, ma solo quelli
connotati dal requisito di gravità.
Pertanto, si configura illegittimo un
eventuale provvedimento di esclusione,
basato sul solo fatto dell'omissione
formale. Il giudizio sul connotato, di
gravità richiesto dall'art. art. 38, c. 1,
lett. c), d.lgs. n. 163/2006, impone una
concreta valutazione da parte
dell'amministrazione procedente, rivolta
alla verifica dell'effettiva incidenza della
condanna penale sul vincolo fiduciario da
instaurare; pertanto, non è sufficiente un
semplice richiamo al tipo di reato ed alla
sua attinenza alla materia dell'appalto.
Peraltro, nella fattispecie in esame, non
sussiste alcuna violazione contributiva
definitivamente accertata, al momento della
presentazione della domanda, essendo stati
esibiti d.u.r.c. successivi alla stessa,
attestanti la regolarità contributiva, e non
appalesandosi il superamento delle "soglie"
di gravità, in ordine alla rilevanza delle
violazioni contributive, indicate nel D.M.
25/10/2007 (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 10.06.2011 n. 889 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. - Bando di
gara - Carattere immediatamente escludente
di determinate clausole - Impugnazione
immediata - Legittima - Onere per l'impresa
di proporre una previa domanda di
partecipazione alla gara - Non sussiste -
Condizioni.
L'operatore che si veda precludere la
partecipazione alla gara, in forza di
clausole del bando che ne determinerebbero
la certa esclusione, è legittimato a
proporre immediato ricorso, senza che
sussista l'onere di proporre una previa
domanda di partecipazione alla procedura.
Tale principio trova, tuttavia, applicazione
a condizione che risulti pacifica la natura
assolutamente escludente delle clausole
impugnate giacché, in caso contrario, deve
trovare applicazione la regola generale,
secondo cui la legittimazione al ricorso si
radica in forma qualificata in capo alle
sole imprese che abbiano deciso di
partecipare alla gara. (Cfr., Cons. Stato,
Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
09.06.2011 n.
1493 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il bando di gara non può
imporre al concorrente che la polizza
fideiussoria da esso prodotta riporti
espressamente l’impegno di versare l’importo
della cauzione ad un soggetto individuato
della stazione appaltante.
Le disposizioni di riferimento non prevedono
che possa essere inserita, nel bando e/o nel
disciplinare di gara, una clausola che
preveda, in caso di escussione della polizza
a prima richiesta, l’importo del fideiussore
a versare l’importo della cauzione nei
confronti di un soggetto ben individuato.
Una corretta interpretazione di tali norme
induce a ritenere, anche alla stregua dei
principi comunitari di trasparenza e massima
partecipazione alle procedure volte
all’affidamento di commesse pubbliche, che
l’esclusione dalla selezione possa essere
legittimamente prevista dall’Amministrazione
appaltante nella lex specialis
soltanto quando ricorrano motivi specifici e
ben esplicitati (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 09.06.2011 n. 1446 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante
ha il potere discrezionale di fissare
requisiti di partecipazione ad una gara più
gravosi rispetto a quelli previsti dalla
legge.
Secondo un consolidato principio
giurisprudenziale, la stazione appaltante ha
il potere discrezionale di fissare requisiti
di partecipazione ad una singola gara, anche
più gravosi rispetto a quelli previsti dalla
legge, in relazione alle peculiari
caratteristiche oggettive ed all'importanza
del servizio da affidare.
Detto potere costituisce attuazione dei
principi costituzionali di imparzialità e
buon andamento, e può tradursi anche in una
richiesta relativa alla dimostrazione del
possesso di adeguata capacità
economico-finanziaria, correlata allo
specifico importo dell'appalto, nonché alla
sua durata, ed è ampiamente discrezionale;
pertanto, in tali casi, il sindacato del
G.A. deve limitarsi alle ipotesi di
manifesta irragionevolezza ed illogicità
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 09.06.2011 n. 859 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Stazione appaltante -
Fissazione di requisiti più gravosi di
quelli previsti dalla legge - Principi di
imparzialità e buon andamento -
Discrezionalità.
La stazione appaltante ha il potere
discrezionale di fissare requisiti di
partecipazione ad una singola gara, anche
più gravosi di quelli previsti dalla legge,
in relazione alle peculiari caratteristiche
oggettive ed all’importanza del servizio da
affidare.
Detto potere, che costituisce precipua
attuazione dei principi costituzionali di
imparzialità e buon andamento, può tradursi
anche nella richiesta di dimostrazione del
possesso di adeguata capacità
economico-finanziaria, correlata allo
specifico importo dell’appalto ed alla sua
durata, ed è ampiamente discrezionale,
sicché il sindacato del giudice
amministrativo deve limitarsi alle ipotesi
di manifesta irragionevolezza ed illogicità
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.10.2004 n.
6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305;
deliberazione A.V.C.P. n. 61 del 27.02.2007)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 09.06.2011 n. 859 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Gare: certificazione di
qualità solo parziale, niente cauzione
ridotta.
Al fine di poter
accedere al beneficio della dimidiazione
della cauzione provvisoria ex art. 75, comma
7, del D.Lgs. n. 163/2006, è necessario che
sussista una più o meno perfetta
corrispondenza tra le lavorazioni
certificate e quelle da eseguire.
Viene impugnata l’aggiudicazione di una gara
d’appalto per l’affidamento dei lavori di
ristrutturazione di un complesso edilizio
provinciale da parte della ditta seconda in
graduatoria; la controinteressata spiega
ricorso incidentale, assumendo, oltre al
resto, l’inammissibilità del ricorso
principale in quanto la ricorrente
(principale) avrebbe dovuto essere esclusa
dalla procedura in quanto aveva presentato
per la partecipazione alla gara una cauzione
provvisoria illegittimamente dimidiata nel
suo importo.
Il Tribunale amministrativo di Bolzano
stabilisce di esaminare prioritariamente il
ricorso incidentale proposto dall’A.T.I.
controinteressata, come tale preordinato a
paralizzare la possibilità di accoglimento
del ricorso principale e delle censure con
esso dedotte.
Tra l’altro il deducente incidentale lamenta
la violazione dell’art. 75, comma 7, del
D.Lgs. n. 163/2006 avendo la ricorrente
principale presentato una cauzione
provvisoria dimidiata senza essere in
possesso dei requisiti richiesti dalla norma
citata.
Il motivo viene condiviso dal Collegio.
Ha infatti rilevato il T.R.G.A. che la
facoltà di presentare la cauzione
provvisoria in un importo ridotto del
cinquanta per cento, come previsto dal comma
7 della norma suindicata, costituisce un
beneficio a favore di imprese che offrono
garanzie di maggiore affidabilità, in quanto
sono in possesso di una capacità certificata
nell’esecuzione dell’opera oggetto
dell’appalto.
La seconda in graduatoria, a tal fine, ha
presentato il certificato di attestazione
del sistema di qualità rilasciato da una
società specializzata, con il quale viene
certificato che il: “… sistema di
gestione per la qualità implementato
dall’organizzazione è conforme alla norma
UNI EN ISO 9011:2008 e alle prescrizioni del
documento Sincert RT per le attività:
progettazione, installazione e manutenzione
di impianti termotecnica”.
Orbene, ha statuito il Collegio tirolese
che, se è vero che in astratto la
certificazione è conforme all’art. 75, comma
7 del D.Lgs. n. 163 cit., la stessa tuttavia
è limitata agli impianti termici, che, a
norma del disciplinare di gara costituisce
soltanto il 22,14 % dell’importo d’opera.
Logica e buon senso, a suo avviso,
suggeriscono che dev’esservi –al fine di
poter accedere al beneficio della
dimidiazione della cauzione– una più o meno
perfetta corrispondenza tra le lavorazioni
certificate e quelle da eseguire.
Questa tesi, ha soggiunto il G.A.
altoatesino, è stata seguita anche
dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici (pareri n. 155 e 156 del
09.09.2010) laddove viene puntualizzato che:
“nel caso in cui la certificazione
identifica espressamente talune tipologie di
lavorazioni, la predetta certificazione
attesta la capacità organizzativa ed
operativa dell’impresa limitatamente alle
lavorazioni indicate, per tutte le altre,
invece, l’impresa risulta priva della
certificazione di qualità”.
Tesi, peraltro, costantemente seguita dalla
giurisprudenza amministrativa (da ultimo, si
veda TAR Liguria, Sez. II, 24.06.2010, n.
5260).
Poiché secondo il disciplinare di gara la
garanzia per la cauzione provvisoria (per un
importo di Euro 104.430,80, pari al 2%
dell’importo complessivo dei lavori) doveva
essere inserita nella busta A relativa alla
“documentazione amministrativa” a
pena di esclusione, la presentazione di una
cauzione per un importo ridotto rispetto a
quello prescritto, equivale alla mancata
presentazione di tale garanzia e, quindi, ha
concluso il T.R.G.A. di Bolzano, a una
fattispecie alla quale avrebbe dovuto
necessariamente seguire l’esclusione
dell’offerta dalla gara della ricorrente
principale (commento tratto da www.ipsoa.it
- TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 09.06.2011 n. 227 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
da escludere l’obbligo di ripubblicazione in
Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle
prescrizioni del bando, restringendo tale
obbligo alle sole clausole significative che
avrebbero potuto alterare la platea dei
concorrenti.
E’ infatti assolutamente ragionevole e
condivisibile quella giurisprudenza che
esclude l’obbligo di ripubblicazione in
Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle
prescrizioni del bando, restringendo tale
obbligo alle sole clausole significative che
avrebbero potuto alterare la platea dei
concorrenti (cfr TAR Sardegna sez. I n.
564/2004) (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 08.06.2011 n. 5113 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
commissione di gara presieduta dal Dirigente
responsabile del settore Urbanistica del
Comune e composta dal Vice-dirigente
dell’Ufficio tecnico e da una impiegata
amministrativa dello stesso Ufficio risulta
avere le professionalità adeguate alle
valutazioni tecniche che sono state chiamate
ad effettuare, svolgendo i suddetti
componenti della Commissione attività
proprie dello specifico settore cui si
riferiva l'oggetto del contratto, dal
momento che l’avviso pubblico riguardava un
avviso di selezione per l’affidamento
dell’incarico professionale per la redazione
del Piano degli interventi relativo al Piano
di assetto del Territorio.
Osserva al riguardo il Collegio che l’art.
84, comma 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n.
163/2006 stabilisce che “2. La
commissione, nominata dall'organo della
stazione appaltante competente ad effettuare
la scelta del soggetto affidatario del
contratto, è composta da un numero dispari
di componenti, in numero massimo di cinque,
esperti nello specifico settore cui si
riferisce l'oggetto del contratto.
3. La commissione è presieduta da un
dirigente della stazione appaltante,
nominato dall'organo competente.
4. I commissari diversi dal Presidente non
devono aver svolto né possono svolgere
alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto
del cui affidamento si tratta.
5. Coloro che nel biennio precedente hanno
rivestito cariche di pubblico amministratore
non possono essere nominati commissari
relativamente a contratti affidati dalle
amministrazioni presso le quali hanno
prestato servizio.
6. Sono esclusi da successivi incarichi di
commissario coloro che, in qualità di membri
delle commissioni giudicatrici, abbiano
concorso, con dolo o colpa grave accertati
in sede giurisdizionale con sentenza non
sospesa, all'approvazione di atti dichiarati
illegittimi.”
Il seguente comma 8 stabilisce che i
commissari diversi dal presidente sono
selezionati tra i funzionari delle stazioni
appaltanti e che solo in caso di accertata
carenza in organico di adeguate
professionalità, nonché negli altri casi
previsti dal regolamento essi sono scelti
con un criterio di rotazione tra
professionisti e professori universitari di
ruolo.
Il TAR ha accolto il primo motivo del
ricorso introduttivo del giudizio
nell’assunto che la composizione della
Commissione giudicatrice, con specifico
riguardo alle competenze tecniche dei
componenti, non risultava conforme alle
sopra citate disposizioni, tenuto conto
della peculiarità delle valutazioni tecniche
da effettuare per la scelta della migliore
offerta.
La Commissione di cui trattasi era
presieduta dal Dirigente responsabile del
settore Urbanistica del Comune e composta
dal Vice-dirigente dell’Ufficio tecnico e da
una impiegata amministrativa dello stesso
Ufficio.
Dette professionalità appaiono al Collegio
adeguate alle valutazioni tecniche che sono
state chiamate ad effettuare, svolgendo i
suddetti componenti della Commissione
attività proprie dello specifico settore cui
si riferiva l'oggetto del contratto, dal
momento che l’avviso pubblico riguardava un
avviso di selezione per l’affidamento
dell’incarico professionale per la redazione
del Piano degli interventi relativo al Piano
di assetto del Territorio adottato dal
Comune di Cerea (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.06.2011 n. 3479 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Restyling
appalti via. I collaudi sono affidabili a
terzi solo cori gara.
Al via il performance
bond nei lavori oltre 75 milioni, nuovi e
maggiori oneri per la verifica dei progetti,
affidabile anche a professionisti e società
se non svolta all'interno della stazione
appaltante; i collaudi saranno affidabili a
terzi solo con gara, più qualità nei livelli
progettuali e negli studi di fattibilità,
nuove classifiche di qualificazione per
piccoli lavori, limiti ai ribassi nelle gare
di progettazione, sanzioni per imprese e Soa
per certificati falsi.
Sono questi alcuni dei punti innovativi del
dpr 05.10.2010, n. 207 che entra in vigore
oggi e che sostituirà molti regolamenti fino
a oggi vigenti (dal dpr 554/1999, il
regolamento della legge Merloni, al dpr
34/2000 sulla qualificazione delle imprese
di costruzioni).
Fra le norme di maggiore impatto,
applicabili a tutti i bandi pubblicati a
partire da oggi, si segnalano quelle sulla
verifica dei progetti dove peraltro si apre
un nuovo mercato per professionisti e
società di ingegneria e di professionisti,
che potranno già da domani verificare
progetti fino a 20 milioni di importo di
lavori, nel rispetto di una serie di limiti
di incompatibilità e separatezza
dell'attività progettuale rispetto a quella
di verifica. Il regolamento definisce nel
dettaglio il contenuto dell'attività di
verifica che, diversamente da oggi, dovrà
essere contestuale allo svolgimento della
progettazione.
Diverse modifiche sono previste anche per il
responsabile del procedimento che potrà
svolgere le funzioni di progettista e di
direttore dei lavori negli interventi ... (articolo
ItaliaOggi del 08.06.2011
- tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Verifiche
differenziate in base agli importi.
Ai nastri di partenza
del regolamento appalti non ci saranno
alcune norme che (ricadendo nel regime
transitorio dell'articolo 357 del Dpr
207/2010) diverranno concretamente
applicabili solo fra qualche tempo.
Attesa prolungata, innanzitutto, per le
strutture che potranno compiere la verifica
della progettazione, nel caso in cui la
stazione appaltante decida di provvedere in
proprio, senza rivolgersi al mercato privato
specializzato. Per i lavori di importo
superiore a 20 milioni di euro, infatti,
l'articolo 47 del regolamento ha stabilito
che il soggetto abilitato alla verifica sia
rappresentato dall'unità tecnica della
stazione appaltante accreditata, in base
alla norma europea Uni Cei En Iso/Iec, quale
organismo di ispezione di tipo B.
Trattandosi, dunque, di un soggetto
accreditato come organismo di ispezione,
prima che la disposizione diventi operativa,
bisognerà attendere la pubblicazione di un
decreto delle Infrastrutture, che dovrà
essere adottato entro sei mesi da oggi e che
conterrà la disciplina delle modalità e
delle procedure di accreditamento per tali
tipi di organismi. Tuttavia, fino a 180
giorni dopo la pubblicazione del decreto,
sarà possibile per le stazioni appaltanti
validare i progetti oltre i 20 milioni,
tramite gli uffici tecnici.
Per i progetti al di sotto dei 20 milioni di
euro, l'attività di verifica potrà essere
svolta, oltre che dalla medesima unità
tecnica accreditata, anche dagli uffici
tecnici delle stazioni appaltanti, dotate di
un sistema interno di controllo di qualità.
Anche in questo caso, in attesa
dell'adeguamento delle amministrazioni, la
norma transitoria ha stabilito che, per
altri 3 anni (fino al 07.06.2014), gli
uffici tecnici delle stazioni appaltanti
potranno essere esentati dal possesso del
sistema di controllo interno e provvedere,
di conseguenza, alla relativa attività di
verifica.
Al regolamento era legata la possibilità di
ottenere l'attestato "Soa" per
l'accesso ai lavori pubblici mediante
avvalimento, ovvero con il prestito dei
requisiti necessari da parte di un'altra
impresa. Ma, l'articolo 357 ha rinviato di
180 giorni (ulteriormente prorogati di altri
180 dal decreto legge 70/2011) la
predisposizione di bandi, avvisi, nonché di
inviti a presentare offerte, nell'ambito dei
quali sarà possibile richiedere la
qualificazione Soa ottenuta con il prestito
dei requisiti di un'altra impresa legata al
concorrente da rapporti societari.
Le norme transitorie fanno slittare di un
anno anche la garanzia globale di
esecuzione, il nuovo sistema di garanzie che
diverrà obbligatorio per gli appalti di
progettazione esecutiva ed esecuzione di
lavori di ammontare a base d'asta superiore
a 75 milioni di euro, per gli affidamenti a
contraente generale e, facoltativo anche per
i soli lavori oltre i 100 milioni di euro.
Dunque, il nuovo soggetto garante
(assicurazioni soprattutto) farà la sua
comparsa solamente nei contratti i cui bandi
o avvisi di indizione della gara saranno
pubblicati a partire dall'08.06.2012.
C'è ancora tempo, dunque, per cercare un
soggetto che assuma non solo l'obbligo di
pagare alla stazione appaltante quanto
dovuto dall'appaltatore a titolo di cauzione
definitiva, ma che si accolli anche
l'obbligo di far subentrare un sostituto
nella esecuzione o nel completamento dei
lavori, qualora dovesse verificarsi una
risoluzione contrattuale per reati
accertati, per decadenza dell'attestazione
di qualificazione o, ancora, per grave
inadempimento, grave irregolarità e grave
ritardo (articolo
Il Sole 24 Ore del 08.06.2011
- tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Progetti
senza massimo ribasso. Oltre al prezzo
vantaggioso si terrà conto di qualità e
tempi di esecuzione.
Appalti. In vigore da oggi –dopo 6 mesi di
attesa– il regolamento sulle procedure per
lavori pubblici, servizi e forniture.
Da oggi nuova scossa agli appalti. Entra,
infatti, in vigore il regolamento degli
appalti. Si conclude così la lunga
vacatio legis di 6 mesi che ha sospeso
finora il Dpr 207/2010 di attuazione del
codice degli appalti.
Solo due norme infatti –quelle con le
sanzioni per le imprese e le società di
qualificazione– erano entrate in vigore il
25.12.2010, 15 giorni dopo la pubblicazione
del decreto. Tutto il resto –ovvero le
procedure per programmare, bandire ed
eseguire i contratti di appalto pubblici–
era rinviato all'8 giugno.
Questa sospensione dovrebbe aver consentito
alle amministrazioni e ai fornitori della Pa
di prendere confidenza con tutte le nuove
procedure. Che hanno un impatto non solo sui
lavori pubblici, ma anche sui contratti di
servizi (con il debutto del finanziamento
privato e delle forniture e con la nuova
figura del direttore dell'esecuzione).
Il regolamento non comporta un cambiamento
radicale nella gestione dell'appalto, ma
contiene disposizioni e procedure che
incidono sulla quotidianità degli operatori.
L'impatto più forte è per le gare di
progettazione di opere pubbliche. Il
regolamento prova a sperimentare la
cancellazione del massimo ribasso. Per
acquisire un progetto l'unico sistema di
scelta sarà quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, nel quale il
prezzo proposto dal progettista è solo uno
degli elementi di giudizio, accanto a
qualità e tempi di esecuzione. Una
particolare formula di aggiudicazione, poi,
(contenuta nell'allegato M) penalizza ancora
di più i ribassi elevati nella classifica
finale. Con queste modifiche i progettisti
hanno ottenuto una disciplina derogatoria:
le direttive comunitarie prevedono la piena
equivalenza dei criteri di aggiudicazione
del massimo ribasso e dell'offerta più
vantaggiosa. Così, ingegneri e architetti
tentano di combattere il fenomeno dei maxi
ribassi che nella progettazione hanno
raggiunto punte anche del 70% dopo
l'abolizione della tariffe minime.
Scatta da oggi l'obbligo di validare tutti i
progetti, nei tre stadi di sviluppo, dal
preliminare all'esecutivo. Con questo
controllo terzo, affidato a organismi
indipendenti (comprese le strutture ad hoc
delle amministrazioni o per le piccole opere
gli studi dei progettisti) si vogliono
correggere in corsa gli errori di
progettazione per portare in gara un
progetto "senza sorprese".
In questa chiave va letta anche la norma del
Dl sviluppo che ha escluso la possibilità
per l'appaltatore di prevedere riserve sui
progetti già validati. Con l'arrivo del
regolamento cambiano anche i bandi di gara.
Per i lavori pubblici, ad esempio, aumentano
le categorie di lavori in cui può essere
scomposta un'opera e per le Pmi arrivano due
nuove fasce sui bandi: la III (da 1,033 a
1,5 milioni) e la IV–bis (da 2,5 a 3,5
milioni). Con l'ingresso nel regolamento
degli appalti di forniture e servizi (in
attuazione del codice appalti che già li
aveva unificati) molti istituti propri
finora dei lavori vengono estesi anche a
questi altri due tipi di contratti.
È il caso della nuova figura obbligatoria
del direttore di esecuzione, che solo per
contratti sotto i 500mila euro coincide con
il responsabile del procedimento. Il
regolamento detta poi disposizioni uniformi
su tutta la fase di esecuzione di questi
contratti, dalla contabilità alle varianti,
dalla sospensione delle prestazioni al
certificato di ultimazione. Come la
sperimentazione sul project financing
esteso anche a servizi e forniture. Banchi o
le lavagne con il marchio dello sponsor
diventano una possibilità reale (articolo
Il Sole 24 Ore del 08.06.2011
- tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI:
L’escluso dalla gara di
appalto non ha titolo per impugnare il
bando.
In capo a chi sia stato escluso da una gara
con atto non impugnato, non sussiste un
interesse al ricorso avverso gli atti della
medesima selezione, neppure nella
declinazione mediata dell’interesse
strumentale alla rinnovazione della intera
gara.
Ritiene il Collegio che, come correttamente
rilevato dal giudice di primo grado, in capo
a chi sia stato escluso da una gara con atto
non impugnato, non sussiste un interesse al
ricorso avverso gli atti della medesima
selezione, neppure nella declinazione
mediata dell’interesse strumentale alla
rinnovazione della intera gara.
Tali conclusioni sono conformi, oltre che
alla prevalente giurisprudenza
amministrativa di epoca più risalente, con
la recente sentenza dell’Adunanza plenaria
di questo Consiglio di Stato 07.04.2011, n.
4 che ha ribadito l’orientamento per cui
l’esclusione da una gara d’appalto pone l’
escluso in posizione di fatto non diversa
dal non partecipante, perché non fa sorgere
il titolo su cui si fonda la legittimazione
al ricorso.
Non può essere pertanto condivisa la
prospettazione della società appellante,
secondo cui attraverso la impugnazione del
solo bando la stessa ha titolo per far
valere soltanto il suo interesse strumentale
alla ripetizione delle operazioni di gara
(cioè indipendentemente dal possesso di un
idoneo titolo partecipativo). Una posizione
legittimante all’impugnazione del bando può
sussistere solo in capo a chi abbia titolo a
partecipare alla gara.
L’eccezione a questa regola riguarda i
requisiti richiesti dalla clausola del bando
su cui si appunta l’impugnazione; ma non si
configura in capo a chi, come l’odierna
appellante, pretenderebbe travolgere
l’intera gara per pretesa illegittimità del
bando, tralasciando di esser stata
definitivamente esclusa dalla gara per
difetto di requisiti partecipativi diversi
da quelli sui quali si appunta
l’impugnazione della lex specialis,
ovvero per omissioni nella domanda di
partecipazione.
In tali casi è evidente il difetto di
legittimazione al ricorso del soggetto
escluso (che non contesti la propria
esclusione), se si considera il dato di base
che il processo amministrativo non è un
astratto strumento di ripristino della
legalità violata indipendentemente da una
posizione che configuri un concreto ed
effettivo titolo per agire in giustizia.
Nemmeno rileva che l’odierna società
appellante, prevedendo di restare esclusa
dalla gara a causa della carenza del
requisito di capacità tecnica, abbia
prodotto la domanda di partecipazione con
riconosciuta superficialità (donde le
carenze documentali a base della sua
esclusione). A rilevare in senso ostativo è
il dato oggettivo della carenza di titolo
partecipativo in capo alla ricorrente, a
causa della sua esclusione dalla gara per
fatti e circostanze rimaste inoppugnate,
data la mancata proposizione di specifico
gravame (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.06.2011 n. 3422 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sussistenza
dell’onere di immediata impugnazione del
bando di gara o della lettera d’invito.
Le clausole del bando o della lettera di
invito che onerano l'interessato ad una
immediata impugnazione sono quelle che
prescrivono requisiti di ammissione o di
partecipazione alla gara, in riferimento sia
a requisiti soggettivi che a situazioni di
fatto, la carenza dei quali determina
immediatamente l'effetto escludente,
configurandosi il successivo atto di
esclusione come meramente dichiarativo e
ricognitivo di una lesione già prodotta.
In merito alla sussistenza dell'onere di
immediata impugnazione del bando o della
lettera d'invito, il Collegio non può che
richiamare l'ormai consolidata
giurisprudenza, maturata a partire dalla
decisione dell'Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 1 del 2003, per la
quale, ricollegandosi l'onere di
impugnazione ad una lesione immediata,
diretta ed attuale e non solo potenziale
dell'atto, esso sussiste solo allorquando il
bando contenga clausole impeditive
dell'ammissione dell'interessato alla
selezione.
Di conseguenza, le clausole del bando o
della lettera di invito che onerano
l'interessato ad una immediata impugnazione
sono quelle che prescrivono requisiti di
ammissione o di partecipazione alla gara, in
riferimento sia a requisiti soggettivi che a
situazioni di fatto, la carenza dei quali
determina immediatamente l'effetto
escludente, configurandosi il successivo
atto di esclusione come meramente
dichiarativo e ricognitivo di una lesione
già prodotta (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.06.2011 n. 3413 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Concessioni
di servizi.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 06.06.2011 n. 3377 ha
affermato che: "Le concessioni di
servizi, nel quadro del diritto comunitario,
si distinguono dagli appalti, non per il
titolo provvedimentale dell'attività, né per
il fatto che ci si trovi di fronte ad una
vicenda di trasferimento di pubblici poteri
o di ampliamento della sfera giuridica del
privato, né per la loro natura autoritativa
o provvedimentale rispetto alla natura
contrattuale dell'appalto, ma per l'assenza
di un corrispettivo, a carico
dell'amministrazione, e per la conseguente
traslazione dell'alea inerente la
prestazione a carico del soggetto privato".
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in
esame, principia la sua analisi dalla
nozione codicistica di concessione di
servizi, ponendo in evidenza che anche le
direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004
definiscono la concessione di servizi come "un
contratto che presenta le stesse
caratteristiche di un appalto pubblico di
servizi, ad eccezione del fatto che il
corrispettivo della fornitura di servizi
consiste unicamente nel diritto di gestire i
servizi o in tale diritto accompagnato da un
prezzo". Dunque, il prezzo, nella
concessione di servizi è solo un elemento
secondario ed eventuale, in quanto il tratto
caratteristico è rappresentato dal diritto
di gestire il servizio, da cui si traggono
le primarie fonti di remunerazione.
In altri termini, nella concessione, il
prezzo assume importanza per la sua assenza,
nel senso che la mancanza, assoluta o
tendenziale, di un prezzo, cioè di un
corrispettivo, che dall'amministrazione
viene erogato in favore dell'operatore
economico contraddistingue la natura del
rapporto. Inoltre, la concessione si
distingue dall'appalto, allorquando
l'operatore privato si assume i rischi della
gestione del servizio, rifacendosi
sostanzialmente sull'utente, mediante la
riscossione di un qualsiasi tipo di canone,
tariffa o diritto. Non esplica grande rilevo
il titolo provvedimentale dell'attività, né
il fatto che ci si trovi di fronte ad una
vicenda di trasferimento di pubblici poteri
o di ampliamento della sfera giuridica del
privato, né la natura autoritativa o
provvedimentale della concessione rispetto
alla natura contrattuale dell'appalto.
Ciò che è fondamentale, ai fini della
sussistenza di una concessione di servizi, è
il fenomeno di traslazione dell'alea
inerente una certa attività in capo al
soggetto privato. Pertanto, ad avviso dei
giudici amministrativi di appello, si avrà
concessione quando l'operatore si assume in
concreto i rischi economici della gestione
del servizio, rifacendosi essenzialmente
sull'utenza, mentre si avrà appalto quando
l'onere del servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull'amministrazione.
Tale assunto, è stato più volte confermato
dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è
in presenza di una concessione di servizi,
allorquando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto del
prestatore di sfruttare la propria
prestazione ed implicano che quest'ultimo
assuma il rischio legato alla gestione dei
servizi in questione (Corte Giustizia CE,
Sez. III, 15.10.2009, C – 196/08).
Viceversa, in caso di assenza di
trasferimento al prestatore del rischio
legato alla prestazione, si è in presenza di
un appalto di servizi (Corte Giustizia CE,
Sez. III, 10.09.2009, C – 206/08).
Sulla base di tali argomentazioni, il CdS
ritiene che non vi è alcun dubbio che la
gara per l'affidamento del servizio di
tesoreria rientri nello schema della
concessione di servizi. Infatti, l'assenza
tendenziale del corrispettivo non implica
che il concessionario non può trarre alcuna
utilità economicamente apprezzabile dallo
svolgimento del servizio, ma solo che il
prezzo deve risultare assente quale primario
elemento di connotazione (tratto dalla
newsletter di www.centrostudimarangoni.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: L’affidamento
del servizio di tesoreria non impone la
prestazione della cauzione definitiva.
In questa pronuncia decisa dalla quinta
sezione del Consiglio di Stato il ricorrente
contesta la sentenza di primo grado nella
parte in cui ritiene che l’affidamento del
servizio di tesoreria abbia natura di
concessione e non di appalto e, di
conseguenza, afferma l’insussistenza
dell’obbligo di prestare la cauzione
definitiva di cui all’art. 75 del D.Lgs
163/2006.
I giudici d’appello, rigettando questa tesi,
spiegano che il 2° comma dell’art. 30 del
D.Lgs n. 163/2006, nel definire la
concessione di servizi, precisa che la
stessa si caratterizza per il fatto che “la
controprestazione a favore del
concessionario consiste unicamente nel
diritto di gestire funzionalmente e di
sfruttare economicamente il servizio”,
pur potendo, essere previsto anche un prezzo
“qualora al concessionario venga imposto
di praticare nei confronti degli utenti
prezzi inferiori a quelli corrispondenti
alla somma del costo del servizio e
dell’ordinario utile di impresa, ovvero
qualora sia necessario assicurare al
concessionario il perseguimento
dell’equilibrio economico–finanziario degli
investimenti e della connessa gestione in
relazione alla qualità del servizio da
prestare”.
Non diversamente, le direttive comunitarie
n. 17 e n. 18 del 2004 definiscono la
concessione di servizi come “un contratto
che presenta le stesse caratteristiche di un
appalto pubblico di servizi, ad eccezione
del fatto che il corrispettivo della
fornitura di servizi consiste unicamente nel
diritto di gestire i servizi o in tale
diritto accompagnato da un prezzo”. Alla
stregua di quanto sopra, poi, ricordano i
giudici di Palazzo Spada, la giurisprudenza
di questo Consiglio ha avuto modo di
precisare che le concessioni, nel quadro del
diritto comunitario, si distinguono dagli
appalti non per il titolo provvedimentale
dell’attività, né per il fatto che ci si
trovi di fronte ad una vicenda di
trasferimento di pubblici poteri o di
ampliamento della sfera giuridica del
privato, (che sarebbe un fenomeno tipico
della concessione in una prospettiva
coltivata da tradizionali orientamenti
dottrinali), né per la loro natura
autoritativa o provvedi mentale rispetto
alla natura contrattuale dell’appalto, ma
per il fenomeno di traslazione dell’alea
inerente una certa attività in capo al
soggetto privato (cfr. Sez. VI 15.05.2002,
n. 2634).
Quando l’operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio,
rifacendosi sostanzialmente sull’utente
mediante la riscossione di un qualsiasi tipo
di canone, tariffa o diritto, allora si ha
concessione: è la modalità della
remunerazione, quindi, il tratto distintivo
della concessione dall’appalto di servizi.
Così, si avrà concessione quando l’operatore
si assuma in concreto i rischi economici
della gestione del servizio, rifacendosi
essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà
appalto quando l’onere del servizio stesso
venga a gravare sostanzialmente
sull’amministrazione.
E tale assunto, è stato più volte confermato
dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è
in presenza di una concessione di servizi
allorquando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto del
prestatore di sfruttare la propria
prestazione ed implicano che quest’ultimo
assuma il rischio legato alla gestione dei
servizi in questione (Corte Giustizia CE,
Sez. III, 15.10.2009, C–196/08), mentre in
caso di assenza di trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione, l’operazione rappresenta un
appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez.
III, 10.09.2009, C–206/08).
Premesso ciò, non c’è dubbio la gara in
commento, secondo i giudici di Palazzo
Spada, rientri tra quelle in cui “la
controprestazione a favore del
concessionario consiste unicamente nel
diritto di gestire funzionalmente e di
sfruttare economicamente il servizio”,
e, per ciò solo, tra le concessioni di
servizi, ai sensi dell’art. 30, 2° comma,
del D.Lgs 163/2006: infatti, la normativa
citata “non significa che il
concessionario non può trarre alcuna utilità
economicamente apprezzabile dallo
svolgimento del servizio (se così fosse, ben
difficilmente si troverebbero concorrenti
per le gare di tesoreria) ma solo che la
gara non deve prevedere un prezzo che
remuneri il servizio, a carico della
Stazione Appaltante; in altre parole, la
concessione di servizi prevede il
trasferimento in capo al concessionario
della responsabilità della gestione, da
intendersi come assunzione del rischio, che
dipende direttamente dai proventi che il
concessionario può trarre dalla
utilizzazione economica de l servizio”.
In questo senso, del resto, si è espressa
anche la Corte di Cassazione, con la
decisione n. 8113/1909, ove viene precisato
che “come reiteratamente affermato da
queste Sezioni Unite (sentenze n.
13453/1991, n. 874/1999, n. 9648/2001) il
contratto di tesoreria … va qualificato in
termini di rapporto concessorio, e non di
appalto di servizi … avendo ad oggetto la
gestione del servizio di tesoreria comunale
implicante, ai sensi del T.U. della Legge
Comunale e Provinciale, approvato con R.D.
03.03.1934, n. 383, art. 325, il
conferimento di funzioni pubblicistiche
quali il maneggio del denaro pubblico e il
controllo sulla regolarità dei mandati e
prospetti di pagamento, nonché sul rispetto
dei limiti degli stanziamenti in bilancio”.
L’affidamento del servizio di tesoreria,
pertanto, concludono gli stessi giudici, si
sostanzia in una concessione di servizi che,
in linea di principio, resta assoggettato
alla disciplina del Codice degli Appalti
solo nei limiti specificati dall’art. 30
che, per quanto qui interessa, non pone di
certo l’obbligo di prestare la cauzione
definitiva di cui al successivo art. 75
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 06.06.2011 n. 3377 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalto o concessione di
servizi, una questione di rischi.
Il Consiglio di Stato
torna nuovamente a chiarire quale sia la
differenza esistente tra la concessione e
l'appalto di servizi; i giudici
amministrativi nell'analizzare una questione
prospettata a seguito di un ricorso
delineano il quadro di differenziazione che
si ritiene utile portare, con il presente
commento, all'attenzione dei soggetti che si
trovano ad applicare con quotidianità, le
disposizioni contenute nel D.Lgs. 163/2006 e
s.m.i. (cd. Codice degli Appalti pubblici).
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 06.06.2011 n. 3377,
torna nuovamente a chiarire, in materia di
appalti pubblici, quale sia la differenza
esistente tra la concessione e l’appalto di
servizi; i giudici amministrativi
nell’analizzare una questione prospettata a
seguito di un ricorso delineano il quadro di
differenziazione che si ritiene utile
portare, con il presente commento,
all’attenzione dei soggetti che si trovano
ad applicare con quotidianità, le
disposizioni contenute nel D.Lgs. 163/2006 e
s.m.i. (cd. Codice degli Appalti pubblici).
La questione.
La vicenda trae origine a seguito del fatto
che un ente locale autorizzava con delibera
l’avvio della procedura di gara per
l’affidamento del servizio di tesoreria, per
il periodo 01.01.2010-31.12.2014; alla gara
partecipavano due importanti banche.
A seguito della valutazione dell’offerta
presentata, seguendo il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
l’ente locale affidava il servizio di
tesoreria in via provvisoria ad una delle
due banche.
La banca che non si era aggiudicata il
servizio ricorreva al TAR che però
respingeva il ricorso.
Avverso la decisione dei giudici
amministrativi di primo grado la banca
ricorreva al Consiglio di Stato.
L’analisi dei Giudici del
Consiglio di Stato.
Per i giudici di Palazzo Spada l’appello
della banca è da ritenersi infondato. Tra i
diversi gravami proposti dalla banca
ricorrente , quello che riveste particolare
rilevanza è la differenziazione rilevata in
merito all’istituto della concessione e
dell’appalto di servizi negli appalti
pubblici. In particolare la banca ricorrente
censura la sentenza del TAR impugnata,
laddove ha ritenuto che l’affidamento del
servizio di tesoreria abbia natura di
concessione e non di appalto, ed ha di
conseguenza affermato l’insussistenza
dell’obbligo di prestare la cauzione
definitiva di cui all’art. 75 del D. Lgs
163/2006.
Tale affermazione per il Consiglio di Stato
non può essere condivisa.
Il comma 2°, dell’art. 30 del D. Lgs n.
163/2006 e s.m.i., nel definire la
concessione di servizi, precisa che la
stessa si caratterizza per il fatto che “la
controprestazione a favore del
concessionario consiste unicamente nel
diritto di gestire funzionalmente e di
sfruttare economicamente il servizio”, pur
potendo, essere previsto anche un prezzo
“qualora al concessionario venga imposto di
praticare nei confronti degli utenti prezzi
inferiori a quelli corrispondenti alla somma
del costo del servizio e dell’ordinario
utile di impresa, ovvero qualora sia
necessario assicurare al concessionario il
perseguimento dell’equilibrio
economico–finanziario degli investimenti e
della connessa gestione in relazione alla
qualità del servizio da prestare”.
Le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del
2004 definiscono la concessione di servizi
come “un contratto che presenta le stesse
caratteristiche di un appalto pubblico di
servizi, ad eccezione del fatto che il
corrispettivo della fornitura di servizi
consiste unicamente nel diritto di gestire i
servizi o in tale diritto accompagnato da un
prezzo”.
Anche l’orientamento giurisprudenziale del
Consiglio di Stato ha avuto modo di
precisare che le concessioni, nel quadro del
diritto comunitario, si distinguono dagli
appalti non per il titolo provvedimentale
dell’attività, né per il fatto che ci si
trovi di fronte ad una vicenda di
trasferimento di pubblici poteri o di
ampliamento della sfera giuridica del
privato, né per la loro natura autoritativa
o provvedimentale rispetto alla natura
contrattuale dell’appalto, ma per il
fenomeno di traslazione dell’alea inerente
una certa attività in capo al soggetto
privato.
Quando l’operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio,
rifacendosi sostanzialmente sull’utente
mediante la riscossione di un qualsiasi tipo
di canone, tariffa o diritto, allora si ha
concessione: è la modalità della
remunerazione, quindi, il tratto distintivo
della concessione dall’appalto di servizi.
Per i giudici di Palazzo Spada si ha
concessione quando l’operatore si assume in
concreto i rischi economici della gestione
del servizio, rifacendosi essenzialmente
sull’utenza, mentre si ha appalto quando
l’onere del servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull’amministrazione.
Nel caso in esame è evidente che la gara
oggetto del ricorso rientra tra quelle in
cui “la controprestazione a favore del
concessionario consiste unicamente nel
diritto di gestire funzionalmente e di
sfruttare economicamente il servizio”, e
per ciò solo, tra le concessioni di servizi,
ai sensi dell’art. 30, comma 2°, del D.Lgs
163/2006.
Conclusioni.
Per i giudici del Consiglio di Stato
l’affidamento del servizio di tesoreria si
sostanzia in una concessione di servizi che,
in linea di principio, resta assoggettato
alla disciplina del Codice degli Appalti
solo nei limiti specificati dall’art. 30
che, per quanto qui interessa, non pone di
certo l’obbligo di prestare la cauzione
definitiva di cui al successivo art. 75 del
citato D.Lgs. 163/2006 (commento tratto da
www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento del
servizio di tesoreria si sostanzia in una
concessione di servizi che, in linea di
principio, resta assoggettato alla
disciplina del Codice degli Appalti (D.Lgs.
n. 163/2006) solo nei limiti specificati
dall'art. 30 del medesimo decreto.
Si è in presenza di una concessione di
servizi allorquando le modalità di
remunerazione pattuite consistono nel
diritto del prestatore di sfruttare la
propria prestazione ed implicano che
quest'ultimo assuma il rischio legato alla
gestione dei servizi in questione, mentre in
caso di assenza di trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione, l'operazione rappresenta un
appalto di servizi.
Nel caso di specie, dunque, la gara rientra
tra quelle in cui "la controprestazione a
favore del concessionario consiste
unicamente nel diritto di gestire
funzionalmente e di sfruttare economicamente
il servizio", e, per ciò solo, tra le
concessioni di servizi, ai sensi dell'art.
30, 2° c., del D.Lgs 163/2006. Infatti, la
richiamata normativa "non significa che
il concessionario non può trarre alcuna
utilità economicamente apprezzabile dallo
svolgimento del servizio (se così fosse, ben
difficilmente si troverebbero concorrenti
per le gare di tesoreria) ma solo che la
gara non deve prevedere un prezzo che
remuneri il servizio, a carico della
Stazione Appaltante; in altre parole, la
concessione di servizi prevede il
trasferimento in capo al concessionario
della responsabilità della gestione, da
intendersi come assunzione del rischio, che
dipende direttamente dai proventi che il
concessionario può trarre dalla
utilizzazione economica del servizio".
Pertanto, l'affidamento del servizio di
tesoreria si sostanzia in una concessione di
servizi che, in linea di principio, resta
assoggettato alla disciplina del Codice
degli Appalti (D.Lgs. n. 163/2006) solo nei
limiti specificati dall'art. 30 che, per
quanto qui interessa, non pone di certo
l'obbligo di prestare la cauzione definitiva
di cui all'art. 75 del citato D. Lgs n.
163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.06.2011 n. 3377 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: La
gara per la tesoreria non è soggetta al
«Codice».
La gara per l'affidamento del servizio di
tesoreria di un ente locale non è soggetta
alla disciplina del Codice dei contratti
pubblici (Dlgs 163/2006) e quindi non
sussiste l'obbligo per l'aggiudicatario di
prestare la cauzione definitiva.
È quanto affermato dal Consiglio di Stato
con la
sentenza 06.06.2011 n. 3377,
chiarendo che il contratto di tesoreria
rientra fra le concessioni di servizi ed
evidenziando che la modalità di
remunerazione costituisce il tratto
distintivo dell'appalto. Così, si avrà
concessione quando l'operatore si assume in
concreto i rischi economici della gestione
del servizio, rifacendosi essenzialmente
sull'utenza, mentre si avrà appalto quando
l'onere del servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull'amministrazione.
Peraltro, la giurisprudenza interna ha più
volte posto l'accento sulla tipologia del
rapporto, configurando l'appalto in caso di
prestazioni rese in favore
dell'amministrazione (rapporto bilaterale),
diversamente dalla concessione di servizi
che instaura un rapporto tra ente,
concessionario e utenti (rapporto
trilaterale).
La conclusione cui perviene il Consiglio di
Stato si pone senz'altro in linea con la più
recente giurisprudenza comunitaria: con la
sentenza del 10.03.2011 la Corte di
giustizia Ue ha infatti affermato che nella
concessione la remunerazione non è garantita
dall'amministrazione aggiudicatrice, bensì
dagli importi riscossi presso gli utenti del
servizio.
Il contratto di tesoreria va quindi
qualificato in termini di rapporto
concessorio e non di appalto di servizio,
come più volte affermato dalla Cassazione
con le pronunce 8113/2009, 9648/2001 e
874/1999. Si tratta in sostanza del medesimo
rapporto che si configura nel caso di
accertamento e riscossione delle entrate
locali (Consiglio di Stato, 5566/2010,
4510/2010 e 236/2006). La procedura di gara
è pertanto assoggettata al Dlgs 163/2006
solo nei limiti indicati dall'articolo 30,
che esclude l'applicabilità del Codice dei
contratti alle concessioni di servizi, ma
impone comunque il rispetto dei principi
generali, prevedendo una gara informale a
cui invitare almeno cinque concorrenti e con
predeterminazione dei criteri selettivi.
Occorre quindi rispettare i "principi"
desumibili dalla normativa sugli appalti,
individuati di volta in volta dalla
giurisprudenza. Infatti, alcune disposizioni
del Dlgs 163/2006, in quanto espressione di
principi generali, sono state ritenute
applicabili anche alle concessioni: tra
queste, l'articolo 83 sulla definizione dei
criteri di valutazione delle offerte (Tar
Toscana 1710/2008). Altre norme del Dlgs
163/2006 sono state invece ritenute
inapplicabili alle concessioni: tra esse,
gli articoli 86 e seguenti sull'anomalia
dell'offerta (Consiglio di Stato, 1784/2011
e 513/2011) (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.06.2011 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Autenticazione
della firma digitale nella gara di appalto.
Come ha correttamente rilevato il Tar, dalla
legge di gara, e segnatamente dal punto 8
del disciplinare, che elenca le cause di
esclusione, si evince che è causa di
esclusione l’ipotesi di “cauzione
provvisoria non presentata con le modalità
di cui all’articolo 2 punto 5 del presente
disciplinare, ed in particolare non
autenticata con firma digitale da Notaio o
da Pubblico Ufficiale”.
Ora, se è vero, in astratto, che nel caso di
specie la cauzione recava firma digitale
autenticata, è anche vero che, in concreto,
l’autenticazione della firma digitale non è
pervenuta alla stazione appaltante entro il
termine perentorio per la presentazione
della domanda di partecipazione e
dell’offerta.
Ai fini della gara, rileva pertanto che agli
atti di gara vi era una firma digitale non
autenticata, che integra la citata causa di
esclusione, restando irrilevante il fatto
storico che la firma era stata autenticata e
l’autentica non trasmessa
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3365 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Non
è consentita la produzione, dopo la scadenza
dei termini fissati dal bando, di documenti
essenziali, richiesti a pena di esclusione:
la stazione appaltante non può formulare una
richiesta di integrazione documentale,
qualora si tratti di documenti univocamente
previsti dal bando o dalla lettera d’invito
a pena di esclusione.
Ai sensi
dell’art. 46, codice appalti, la stazione
appaltante invita i concorrenti a completare
o a fornire chiarimenti in ordine al
contenuto di certificati, documenti e
dichiarazioni.
La norma contempla il c.d. potere di
soccorso della stazione appaltante, che si
articola in una duplice possibilità che può
essere accordata ai concorrenti:
- il completamento della documentazione;
- il chiarimento in ordine al contenuto
della documentazione già presentata.
La norma è considerata di stretta
interpretazione quanto all’ambito
dell’integrazione documentale, in quanto,
pur essendo essa ispirata al principio della
massima partecipazione, tale principio va
coordinato con quello di par condicio tra i
concorrenti e con le esigenze di celerità
dell’azione amministrativa.
Pertanto non è consentita la produzione,
dopo la scadenza dei termini fissati dal
bando, di documenti essenziali, richiesti a
pena di esclusione: la stazione appaltante
non può formulare una richiesta di
integrazione documentale, qualora si tratti
di documenti univocamente previsti dal bando
o dalla lettera d’invito a pena di
esclusione [Cons. St., sez. III, 19.04.2011
n. 2387; Cons. St., sez. V, 02.08.2010 n.
5084; Cons. St., sez. V, 16.07.2007 n. 4027;
Cons. St., sez. IV, 10.05.2007 n. 2254;
Cons. St., sez. V, 30.05.2006 n. 3280]
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3365 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Avuto
riguardo allo scopo dell’autenticazione
della firma, ad avviso del Collegio è
proporzionato richiedere, in una gara di
appalto, la piena prova della provenienza
della cauzione da parte del sottoscrittore,
e dunque l’autenticazione della firma,
perché la cauzione è azionabile a prima
richiesta da parte della stazione
appaltante, sicché questa ha interesse a non
vedersi opporre il disconoscimento della
sottoscrizione.
La previsione del requisito dell’autentica
della sottoscrizione della cauzione, da
parte della lex specialis di gara, non
viola, pertanto, il principio di
proporzionalità recato dall’art. 74, co. 5,
codice appalti.
Questo Consesso si è già pronunciato nei
medesimi termini in analoga vicenda,
relativa a prescrizione del bando di gara di
pubblico appalto che prevedeva l’autentica
notarile della sottoscrizione della
fideiussione, statuendo che costituisce
interesse pubblico l’esatta individuazione
del soggetto che presta la garanzia a
corredo dell’offerta; sul piano dei rapporti
di diritto privato, solo l’autenticazione
della sottoscrizione della fideiussione
prestata garantisce pienamente
l’amministrazione perché determina la piena
prova in ordine alla provenienza da chi l’ha
sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e
2703 c.c., impedendo il successivo
disconoscimento della stessa.
La clausola del disciplinare che richieda
l’autentica della sottoscrizione del
soggetto rilasciante la polizza fideiussoria
non può in alcun modo ritenersi un mero
aggravamento procedimentale ma deve
ritenersi legittima perché finalizzata alla
tutela dell'interesse pubblico alla certezza
sulla provenienza della garanzia.
Con il terzo motivo di appello si ribadisce
la censura di illegittimità del bando e del
capitolato, che prevedono un requisito,
l’autentica di firma, non previsto dall’art.
75 codice appalti, così aggravando il
procedimento in modo irragionevole.
L’autentica sarebbe irragionevolmente
prescritta solo per la polizza assicurativa
e non anche per la fideiussione rilasciata
da banca o altro intermediario finanziario
autorizzato.
Il mezzo è infondato.
Giova anzitutto rilevare che dalla lettura
del bando e del capitolato si evince con
chiarezza che l’autenticazione della firma
digitale è richiesto per qualsivoglia tipo
di cauzione provvisoria, sia essa
fideiussione bancaria o polizza
assicurativa.
Non vi è pertanto la lamentata irragionevole
disparità di trattamento tra i diversi tipi
di cauzione.
Quanto poi al dedotto contrasto della legge
di gara con l’art. 75 codice appalti, lo
stesso, ad avviso del Collegio, non
sussiste.
E’ vero che l’art. 75, codice appalti, non
prescrive, formalmente, l’autenticazione
della sottoscrizione apposta alla cauzione.
Ma, a ben vedere, l’art. 75 nemmeno si
occupa della sottoscrizione della cauzione.
E’ evidente che la disciplina trova
necessario completamento nella disciplina
apprestata dall’ordinamento in ordine alla
sottoscrizione di atti e dichiarazioni
diretti ad una pubblica amministrazione.
Ai sensi dell’art. 38, co. 2 e 3, d.P.R. n.
445/2000, nel testo vigente ratione
temporis: “2. Le istanze e le
dichiarazioni inviate per via telematica
sono valide:
a) se sottoscritte mediante la firma
digitale, basata su di un certificato
qualificato, rilasciato da un certificatore
accreditato, e generata mediante un
dispositivo per la creazione di una firma
sicura;
b) ovvero quando l'autore è identificato dal
sistema informatico con l'uso della carta
d'identità elettronica o della carta
nazionale dei servizi.
3. Le istanze e le dichiarazioni sostitutive
di atto di notorietà da produrre agli organi
della amministrazione pubblica o ai gestori
o esercenti di pubblici servizi sono
sottoscritte dall'interessato in presenza
del dipendente addetto ovvero sottoscritte e
presentate unitamente a copia fotostatica
non autenticata di un documento di identità
del sottoscrittore. La copia fotostatica del
documento è inserita nel fascicolo. Le
istanze e la copia fotostatica del documento
di identità possono essere inviate per via
telematica; nei procedimenti di
aggiudicazione di contratti pubblici, detta
facoltà è consentita nei limiti stabiliti
dal regolamento di cui all'articolo 15,
comma 2 della legge 15.03.1997, n. 59 (oggi
art. 25, d.lgs. n. 82/2005)”.
Mentre il co. 2 si occupa di istanze e
dichiarazioni inviate per via telematica, il
co. 2 si occupa di istanze e dichiarazioni
sostitutive di atto di notorietà da produrre
alla p.a. nelle gare di appalto.
Nel caso di specie, la dichiarazione del
garante, non è né una istanza, né una
dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Va ascritta al genus delle “dichiarazioni”
che sono valide, se inviate per via
telematica, se sottoscritte mediante firma
digitale (art. 38, co. 2, d.P.R. n.
445/2000, nel testo vigente ratione
temporis, nonché, attualmente, art. 65,
co. 1, lett. a), d.lgs. n. 82/2005).
Non si richiede, invece, anche che la firma
digitale sia autenticata.
L’autenticazione della firma digitale era
invece prescritta per le istanze dirette
alla p.a. per via telematica nei pubblici
appalti, e dunque per la domanda di
partecipazione e per l’offerta, come si
desume dall’art. 38, co. 3, d.P.R. n.
445/2000, che rinvia al regolamento di cui
all’art. 15, co. 2, l. n. 59/1997,
regolamento oggi sostituito, in parte qua,
dall’art. 25, d.lgs. n. 82/2005.
Tuttavia, rispetto all’art. 38, d.P.R. n.
445/2000, il codice appalti si pone come
legge successiva e specifica, e tale codice:
a) quanto alle offerte trasmesse per via
telematica, richiede soltanto la firma
digitale, non anche la firma digitale
autenticata (art. 77, co. 6, lett. b),
codice appalti);
b) quanto alle cauzioni, non si occupa di
sottoscrizione e sua autenticazione.
D’altro canto, il d.lgs. n. 82/2005,
nell’occuparsi di firma elettronica, firma
digitale, firma elettronica autenticata, ne
indica le caratteristiche tecniche, ma non
anche i presupposti di utilizzo.
Si deve allora pervenire ad una prima
conclusione, ed è che in base alle norme
primarie, per le istanze e dichiarazioni
rese nelle gare di appalto, è sufficiente la
firma digitale, non occorrendo anche la
firma digitale autenticata.
Si pone allora l’ulteriore questione se la
prescrizione imposta autonomamente dal
bando, rispetto alla legge, della firma
digitale autenticata, sia o meno legittima
alla luce del principio di proporzionalità.
Sulla scorta della normativa applicabile al
caso di specie ratione temporis,
svoltosi prima dell’entrata in vigore del
d.l. n. 70/2011 che ha introdotto il
principio di tassatività normativa delle
cause di esclusione dalle gare di appalto
(art. 4, co. 1, lett. n), d.l. n. 70/2011 e
art. 46, co. 1-bis, codice appalti, come
novellato dall’art. 4, co. 2, d.l. n.
70/2011), si deve ritenere che le cause di
esclusione dalle gare di appalto non sono
collegabili solo all’inosservanza di
prescrizioni direttamente previste dalla
legge o dal regolamento.
Infatti l’art. 74, co. 5, codice appalti,
dispone che le stazioni appaltanti, oltre
agli elementi essenziali di cui all’art. 74,
co. 2, richiedono anche gli altri elementi e
documenti necessari o utili, nel rispetto
del principio di proporzionalità in
relazione all’oggetto del contratto e alle
finalità dell’offerta.
Si tratta allora di stabilire se la
prescrizione dell’autenticazione sia o meno
proporzionata.
Lo scopo dell’autenticazione della firma
digitale è di conferire alla sottoscrizione
digitale della scrittura privata il valore
giuridico di sottoscrizione legalmente
considerata come riconosciuta, valore
giuridico che per legge è attribuito alla
sottoscrizione autenticata (artt. 2702 e
2703 c.c.).
Tanto, al fine della piena prova, fino a
querela di falso, della provenienza delle
dichiarazioni da chi ha sottoscritto la
scrittura privata, piena prova che si ha se
colui contro cui è prodotta la scrittura
privata ne riconosce la sottoscrizione o se
la sottoscrizione è legalmente considerata
come riconosciuta (art. 2702 c.c.).
E, invero, ai sensi dell’art. 25, co. 1,
d.lgs. n. 82/2005, si ha per riconosciuta,
ai sensi dell'articolo 2703 del codice
civile, la firma elettronica o qualsiasi
altro tipo di firma avanzata autenticata dal
notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato.
L’autenticazione della sottoscrizione
attribuisce certezza alla provenienza della
dichiarazione e ne impedisce il
disconoscimento da parte del suo autore.
Avuto riguardo allo scopo
dell’autenticazione della firma, ad avviso
del Collegio è proporzionato richiedere, in
una gara di appalto, la piena prova della
provenienza della cauzione da parte del
sottoscrittore, e dunque l’autenticazione
della firma, perché la cauzione è azionabile
a prima richiesta da parte della stazione
appaltante, sicché questa ha interesse a non
vedersi opporre il disconoscimento della
sottoscrizione.
La previsione del requisito dell’autentica
della sottoscrizione della cauzione, da
parte della lex specialis di gara,
non viola, pertanto, il principio di
proporzionalità recato dall’art. 74, co. 5,
codice appalti.
Questo Consesso si è già pronunciato nei
medesimi termini in analoga vicenda,
relativa a prescrizione del bando di gara di
pubblico appalto che prevedeva l’autentica
notarile della sottoscrizione della
fideiussione, statuendo che costituisce
interesse pubblico l’esatta individuazione
del soggetto che presta la garanzia a
corredo dell’offerta; sul piano dei rapporti
di diritto privato, solo l’autenticazione
della sottoscrizione della fideiussione
prestata garantisce pienamente
l’amministrazione perché determina la piena
prova in ordine alla provenienza da chi l’ha
sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e
2703 c.c., impedendo il successivo
disconoscimento della stessa [Cons. St.,
sez. III, 19.04.2011 n. 2387].
Sempre secondo l’appena citato precedente,
la clausola del disciplinare che richieda
l’autentica della sottoscrizione del
soggetto rilasciante la polizza fideiussoria
non può in alcun modo ritenersi un mero
aggravamento procedimentale ma deve
ritenersi legittima perché finalizzata alla
tutela dell'interesse pubblico alla certezza
sulla provenienza della garanzia
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3365 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'annotazione nel
casellario informatico tenuto dall'Autorità
di Vigilanza sui contratti pubblici.
Nel nostro ordinamento, l'aver reso false
dichiarazioni alla stazione appaltante su
circostanze rilevanti ai fini della
assegnazione dell'appalto assurge a causa
autonoma di non ammissione alle gare per
l'affidamento dei contratti pubblici (art.
38, c. 1, lett. h, del D.Lgs. 163/2006), a
prescindere da ogni accertamento sul profilo
psicologico del dichiarante.
La disposizione richiamata pone l'accento,
come d'altra parte l'art. 27 del d.P.R. n.
34 del 2000 ai fini della iscrizione nel
casellario informatico (analoga scelta si
rinviene nell'art. 8 del nuovo regolamento
esecutivo del Codice dei contratti pubblici,
approvato con d.P.R. n.207 del 2010), sul
carattere rilevante, per la partecipazione
alle gare, dei requisiti o delle condizioni
oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto, la valutazione cui è tenuta l'AVCP
ai fini della iscrizione della notizia nel
casellario informatico è quella della
pertinenza della notizia segnalata dalle
stazioni appaltanti con condizioni o
requisiti rilevanti ai fini partecipativi,
ad evitare che possa formare oggetto di
iscrizione anche il cosiddetto falso
innocuo, cioè la falsa dichiarazione su
fatti e circostanze irrilevanti ai fini
della assegnazione della gara (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3361 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Nel
nostro ordinamento, l’aver reso false
dichiarazioni alla stazione appaltante su
circostanze rilevanti ai fini della
assegnazione dell’appalto assurge a causa
autonoma di non ammissione alle gare per
l’affidamento dei contratti pubblici (art.
38, comma 1, lett. h), a prescindere da ogni
accertamento sul profilo psicologico del
dichiarante.
La disposizione richiamata pone l’accento,
come d’altra parte l’art. 27 del d.P.R. n.
34 del 2000 ai fini della iscrizione nel
casellario informatico (analoga scelta si
rinviene nell’art. 8 del nuovo regolamento
esecutivo del Codice dei contratti pubblici,
approvato con d.P.R. n. 207 del 2010), sul
carattere rilevante, per la partecipazione
alle gare, dei requisiti o delle condizioni
oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto la valutazione cui è tenuta l’AVCP
ai fini della iscrizione della notizia nel
casellario informatico è quella della
pertinenza della notizia segnalata dalle
stazioni appaltanti con condizioni o
requisiti rilevanti ai fini partecipativi,
ad evitare che possa formare oggetto di
iscrizione anche il cosiddetto falso
innocuo, cioè la falsa dichiarazione su
fatti e circostanze irrilevanti ai fini
della assegnazione della gara.
Nel nostro ordinamento, l’aver reso false
dichiarazioni alla stazione appaltante su
circostanze rilevanti ai fini della
assegnazione dell’appalto assurge a causa
autonoma di non ammissione alle gare per
l’affidamento dei contratti pubblici (art.
38, comma 1, lett. h), a prescindere da ogni
accertamento sul profilo psicologico del
dichiarante.
La disposizione richiamata pone l’accento,
come d’altra parte l’art. 27 del d.P.R. n.
34 del 2000 ai fini della iscrizione nel
casellario informatico (analoga scelta si
rinviene nell’art. 8 del nuovo regolamento
esecutivo del Codice dei contratti pubblici,
approvato con d.P.R. n. 207 del 2010), sul
carattere rilevante, per la partecipazione
alle gare, dei requisiti o delle condizioni
oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto la valutazione cui è tenuta l’AVCP
ai fini della iscrizione della notizia nel
casellario informatico è quella della
pertinenza della notizia segnalata dalle
stazioni appaltanti con condizioni o
requisiti rilevanti ai fini partecipativi,
ad evitare che possa formare oggetto di
iscrizione anche il cosiddetto falso
innocuo, cioè la falsa dichiarazione su
fatti e circostanze irrilevanti ai fini
della assegnazione della gara.
Nel caso di specie tuttavia non può
dubitarsi della rilevanza della notizia
oggetto di segnalazione da parte della
stazione appaltante (Multiservizi spa) alla
odierna Autorità appellante e, per
conseguenza, della doverosa annotazione nel
casellario informatico ad opera di
quest’ultima; la falsa dichiarazione
negativa resa dall’odierno appellato
riguardava infatti una circostanza (l’aver
riportato una condanna penale) di per sé
rilevante (ai sensi del citato art. 27
d.P.R. n. 34 del 2000, oggi art. 8 del
d.P.R. n. 207 del 2010) ai fini della
annotazione nel casellario, a prescindere
dalla natura non ostativa della condanna in
concreto riportata dall’odierno appellato
(desumibile dalla mancata ricomprensione del
titolo di reato oggetto della sentenza di
condanna nelle categorie individuate
dall’art. 38, comma 1°, lett. c)).
Ed invero, la falsa dichiarazione afferiva
ad una condanna penale subita dal
concorrente proprio nell’esercizio
dell’attività professionale, di tal che la
falsa dichiarazione ha impedito alla
stazione appaltante di apprezzare il
medesimo fatto di reato accertato nella sede
penale alla stregua di fatto incidente,
oltre che sulla moralità professionale del
candidato, anche sulla sua stessa
professionalità: atteso che, ai sensi del
medesimo art. 38, comma 1, lett. f), l’aver
commesso un grave errore professionale
costituisce causa autonoma di non ammissione
alle gare pubbliche.
Non par dubbio pertanto che si trattava di
un fatto (potenzialmente) incidente sulla
professionalità del candidato, come tale
destinato a rientrare nella valutazione
relativa al possesso dei requisiti generali,
da parte del concorrente. Ora, riconosciuta
la sicura rilevanza della notizia ai fini
della partecipazione alle gare,
correttamente la AVCP, destinataria della
segnalazione della falsità nella
dichiarazione e della conseguente revoca
della aggiudicazione in danno dell’odierno
appellato, ha fatto luogo alla annotazione
della notizia nel casellario informatico.
Né appare pertinente, nel caso di specie, il
richiamo operato dal Tar alla delibera della
Autorità n. 1 del 2008 laddove, nel
tracciare le modalità operative delle
annotazioni nel casellario informatico,
viene precisato che l’AVCP procede alla
puntuale e completa annotazione dei relativi
contenuti nel casellario informatico, “salvo
il caso che consti l’inesistenza in punto di
fatto dei presupposti o comunque
l’inconferenza della notizia comunicata
dalla stazione appaltante”.
Si è già detto, infatti, che nella
fattispecie in esame è conclamata sia la
falsità della dichiarazione resa dal
concorrente sia l’oggettività della condanna
penale, di tal che non è certo questo il
caso in cui potrebbe parlarsi di “inconferenza
della notizia” ovvero di “inesistenza
in punto di fatto dei suoi presupposti”.
Quanto poi alla previsione, contenuta nella
nuova delibera AVCP n. 1 del 2010, riguardo
alla necessità di un autonomo apprezzamento
da parte della Autorità circa la rilevanza
della notizia segnalata, il Collegio ritiene
che nessun elemento acquisito agli atti del
giudizio possa condurre a ritenere che
l’Autorità nella specie non abbia compiuto
tale autonoma valutazione del fatto prima di
addivenire alla condivisibile determinazione
di annotare la notizia nel casellario
informatico.
Da ultimo non rileva, come sostiene il Tar,
che sia probabilmente mancato il dolo o la
colpa nel dichiarante, ovvero che la falsa
dichiarazione sia da attribuire a
dimenticanza o a disguido; a parte la dubbia
sostenibilità nella specie di una tale
ricostruzione ( la dimenticanza si collega
generalmente a fattispecie omissive pure,
essendo al contrario di più difficile
configurazione in quelle omissive mediante
commissione), si è già detto che nel nostro
ordinamento le false dichiarazioni in sede
di gara, purché afferenti a requisiti o
condizioni rilevanti, producono ex se
l’effetto decadenziale sulla intervenuta
aggiudicazione, nonché la obbligatoria
segnalazione da parte della stazione
appaltante alla AVCP per la annotazione
della notizia nel casellario informatico.
Né potrebbe dubitarsi della compatibilità
comunitaria di una tale opzione normativa
nazionale, focalizzata sulla rilevanza
oggettiva della dichiarazione falsa (e
quindi con esclusione del solo falso
innocuo), e non piuttosto sullo stato
psicologico del dichiarante (cfr., sul
punto, la ordinanza cautelare di questa
Sezione del 15.09.2010 n. 4261), in rapporto
alla diversa scelta del legislatore
comunitario (art. 45, secondo comma, lett.
g) della direttiva CE 2004/18), ove la
possibilità che un operatore economico sia
escluso dalla partecipazione all’appalto è
correlata al fatto che egli si sia reso
gravemente colpevole di false dichiarazioni
nel fornire le informazioni che possono
essere richieste a norma della stessa
direttiva.
Vero è che, sembra di poter concludere,
nella prospettiva comunitaria, le false
dichiarazioni del concorrente producono un
effetto espulsivo alla ricorrenza di un
duplice presupposto: a) che ricadano su
circostanze rilevanti ai fini della
partecipazione alla gara; b) che sia
predicabile un rimprovero al dichiarante,
nel senso che la dichiarazione falsa deve
essergli ascritta quantomeno a titolo di
colpa grave.
Osserva tuttavia il Collegio che la scelta
del legislatore nazionale di richiedere
soltanto, quale requisito per la (non)
ammissione alle gare pubbliche e per la
iscrizione nel casellario di chi vi sia
incorso, la rilevanza oggettiva della
dichiarazione falsa, non appare
incompatibile con il diritto comunitario,
trattandosi in sostanza della legittima
adozione di una frontiera più avanzata di
tutela dell’Amministrazione contro i
possibili abusi dei partecipanti alle gare
pubbliche.
Inoltre, si tratta di scelta giustificata
dall’esigenza di assicurare la speditezza
dei procedimenti selettivi finalizzati ad
individuare i contraenti pubblici, che
sarebbe seriamente compromessa ove dovessero
svolgersi non facili indagini in ordine
all’elemento psicologico del soggetto che
abbia dichiarato il falso in ordine a
circostanze rilevanti ai fini di gara; oltre
che di evitare che possa alimentarsi un
contenzioso indotto dalle incertezze e dai
dubbi interpretativi che potrebbero
insorgere in ordine a tale questione.
Di qui la ragionevolezza della scelta
legislativa nazionale di ancorare alla sola
rilevanza oggettiva del falso gli effetti
espulsivi e interdittivi dei partecipanti
alle gare pubbliche, coerente con un sistema
in cui il principio della leale
collaborazione tra cittadini e pubblica
amministrazione non deve spingersi fino al
punto di onerare le stazioni appaltanti di
defatiganti indagini sul profilo soggettivo
di chi abbia dichiarato il falso al fine di
stabilirne, caso per caso, il regime
sanzionatorio,con ricadute negative anche
sulla par condicio competitorum.
Da ultimo va osservato che a conclusioni non
diverse, in ordine alla piena legittimità
della annotazione, conduce l’esame dei
motivi di primo grado (rimasti assorbiti
nella impugnata decisione) riguardanti la
pretesa violazione del principio di
partecipazione procedimentale oltre che
della completezza della istruttoria. Ed
invero, a fronte della conclamata
sussistenza di una condanna penale per un
fatto incidente sulla professionalità del
concorrente, per un verso non può dirsi
sussistere l’ipotizzato difetto di
istruttoria e, per altro verso, deve altresì
ritenersi (nell’ottica della proficuità
della partecipazione procedimentale
desumibile dall’art. 21-octies della legge
n. 241 del 1990) che il coinvolgimento
dell’appellato nel procedimento teso alla
annotazione della notizia nel casellario
informatico non avrebbe potuto sortire
risultati diversi da quelli in concreto
raggiunti – i.e., la iscrizione della
notizia-, vieppiù in considerazione della
già rilevata ininfluenza dello stato
psicologico del dichiarante ( e ciò anche ad
ammettere, a tutto concedere, che possa
ritenersi esente da grave colpa il
professionista che, in una gara funzionale
al conferimento di un incarico di
progettazione, dichiara falsamente di non
essere incorso in condanne penali, laddove
la condanna penale invece sussisteva ed
afferiva proprio all’esercizio della
professione) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3361 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La violazione degli
obblighi di pubblicazione e comunicazione
relativi al risultato della procedura di
aggiudicazione, non determina
l'illegittimità delle pregresse fasi
procedimentali di scelta del contraente.
La violazione degli obblighi di
pubblicazione e comunicazione dell'avviso
riguardante il risultato della procedura di
aggiudicazione, secondo quanto stabilito
dall'art. 65 del d.lgs. n. 163/2006, non
determina l'illegittimità delle pregresse
fasi procedimentali di scelta del contraente
e non coinvolge, quindi, le situazioni
soggettive di un'impresa ricorrente agli
effetti di un diverso esito della gara, ciò
in base al principio che eventuali vizi
della fase di comunicazione e di
integrazione dell'efficacia del
provvedimento non esplicano effetto
invalidante del contenuto del provvedimento
medesimo.
Ciò in quanto, in materia di appalti per la
fornitura del servizio di contenuti per
televideo, come nel caso di specie, resta
esclusa l'applicazione delle norme dettate
dal codice degli appalti, salvo il rispetto,
secondo quanto stabilito dall'art. 27 del
d.lgs. n. 163/2006, dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, parità
di trattamento, proporzionalità, nonché
dell' obbligo di invito ad almeno cinque
concorrenti.
Pertanto, la procedura di affidamento non
deve essere pedissequamente conformata alle
fasi procedimentali quali stabilite e
cadenzate dall'art. 11 del medesimo decreto
e, segnatamente, alla distinzione sul piano
formale ivi prevista fra le fasi di
aggiudicazione provvisoria e di
aggiudicazione definitiva (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3357 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
La revisione prezzi si
applica anche all’appalto di manutenzione di
immobili.
La questione della applicabilità alla
fattispecie in oggetto, riguardante un
appalto di manutenzione di immobili,
dell’istituto della revisione dei prezzi è
stata di recente affrontata (e risolta in
senso affermativo) dalla Sezione in una
vicenda del tutto analoga a quella qui
oggetto di esame (cfr. Cons. St., VI,
21.09.2010 n. 7001) in cui era parte proprio
l’odierno istituto appellante.
Il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi dalla decisione assunta in tale
vicenda, in cui ha condivisibilmente
concluso per l’applicabilità, anche al tipo
di appalto per cui è giudizio (avente, in
fatto, durata ultrannuale) dell’istituto
revisionale, nei limiti previsti dall’art.
33 della l. 28.02.1986, n. 41 (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 06.06.2011 n. 3336 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Decreto Legge 13.05.2011, n. 70 - Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia - Analisi e commenti
(06.06.2011 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Criteri dettagliati per
beni e servizi.
Le gare di appalto per
l'acquisto di beni e servizi vanno impostate
con un quadro dettagliato dei criteri e con
la specificazione delle modalità di
attribuzione dei punteggi, mentre per le
prestazioni eseguite è d'obbligo la
verifica. Il Dpr 207/2010 introduce nella
normativa per la selezione dei fornitori e
dei prestatori di servizi importanti novità.
Ogni appalto deve essere progettato
(articolo 279); quindi le amministrazioni,
prima dell'avvio delle procedure selettive,
devono definire la relazione di contesto, il
quadro economico, il Duvri, il capitolato
prestazionale e lo schema di contratto. Il
progetto deve essere formalizzato con
l'approvazione. La sua struttura molto
flessibile permette peraltro di
differenziarne i contenuti descrittivi a
seconda della tipologia di affidamento e
della complessità dell'appalto.
Le stazioni appaltanti sono tenute a
specificare nel bando (e nel disciplinare di
gara) i criteri di valutazione, i relativi
sub-criteri, i pesi ponderali, ma anche le
modalità di attribuzione dei punteggi
(articolo 283, comma 2). Per regolare questo
delicatissimo aspetto, le amministrazioni
devono fare riferimento all'allegato P del
Dpr 207/2010.
Nell'impostazione di bandi e disciplinari di
gara le stazioni appaltanti devono inserire
le regole derivanti dalle norme del
regolamento attuativo sulla specificazione
delle attività principali e di quelle
complementari comprese nell'appalto, nonché
sulla distribuzione dei requisiti (e delle
relative quote di attività) tra i soggetti
partecipanti in raggruppamento temporaneo
(articolo 275, collegato all'articolo 37,
comma 4 del codice).
L'incidenza del regolamento attuativo nella
gestione delle procedure selettive per
appalti di beni e servizi si rileva anche
nella disciplina innovativa (articolo 283)
di alcune operazioni di gara e del percorso
per la verifica delle offerte anomale (con
rinvio all'articolo 121), destinato a
concludersi con una seduta pubblica di
proclamazione dei risultati e
dell'aggiudicazione provvisoria.
Una vera rivoluzione riguarda invece la fase
di esecuzione dell'appalto, per la quale il
Dpr 207/2010 prevede (per la prima volta
nell'ordinamento della contrattualistica
pubblica) una disciplina specifica che ha
molti punti in comune con quella dei lavori
pubblici. Sotto il profilo organizzativo, le
amministrazioni devono formalizzare i ruoli
del responsabile del procedimento (articoli
272-273) e del direttore dell'esecuzione
(articolo 300), da nominare specificamente
(anche se per appalti entro i 500mila euro
possono coincidere). Sul piano procedurale,
l'aspetto più rilevante è la
regolamentazione delle varianti (articolo
311), in base alla quale le stazioni
appaltanti potranno chiedere adeguamenti
quantitativi al contratto solo per
circostanze determinate: viene pertanto meno
la possibilità di usare "liberamente"
il cosiddetto quinto d'obbligo.
Lo sviluppo delle prestazioni deve essere
verificato secondo lo schema dei protocolli
delineati dal regolamento (articoli
312-325). Le amministrazioni devono pertanto
definire i ruoli, nonché organizzare le
verifiche e la loro formalizzazione, tenendo
conto che sono finalizzate alla produzione
dei certificati e delle attestazioni di
conformità (articolo
Il Sole 24 Ore del 06.06.2011
- tratto da
www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progettazione lavori: il
regolamento impone il restyling. Cambiamenti
rilevanti anche sulla verifica per la
validazione.
Le stazioni appaltanti
devono riorganizzare le attività relative
alla progettazione dei lavori pubblici,
nonché adeguare bandi e capitolati al
regolamento attuativo del codice dei
contratti, per tutti gli appalti che
avvieranno a partire da mercoledì
08.06.2011.
L'entrata in vigore del Dpr 207/2010 ha
molte implicazioni nella gestione operativa
del ciclo realizzativo delle opere
pubbliche. Le novità con maggiore impatto
procedurale e organizzativo sono rilevabili
dalle disposizioni del regolamento che
disciplinano la fase della progettazione
(articoli 14-43) e della verifica ai fini
della validazione (articoli 44-59).
Il percorso prevede ora la necessaria
redazione dello studio di fattibilità come
passaggio-chiave per la definizione delle
scelte da programmare. Il progetto
preliminare e quello definitivo sono molto
più articolati e specifici rispetto al
quadro precedentemente regolato dal Dpr
554/1999, quindi le stazioni appaltanti
devono verificare l'adeguatezza delle
competenze delle risorse umane interne per
una redazione ottimale.
Il maggiore dettaglio del progetto
preliminare rende necessaria una particolare
attenzione anche da parte degli
amministratori locali, in quanto richiede la
definizione di scelte (confluenti nella
programmazione) non più facilmente
adattabili nelle successive fasi.
Il Dpr 207/2010 prevede un'altra grande
novità riferita a questa fase: ogni livello
di progettazione dev'essere sottoposto a
verifica ai fini della validazione.
Le attività di controllo dei profili
sostanziali e documentali dei progetti
devono essere realizzate per quelli
elaborati sia da tecnici della stazione
appaltante sia da professionisti esterni. Le
amministrazioni, perciò, devono definire
soluzioni organizzative che permettano di
svolgere le verifiche mediante gli uffici
tecnici e, per lavori di minor rilievo, per
mezzo dei responsabili di procedimento,
considerando anche che il soggetto
verificatore non può svolgere l'attività di
progettista.
Sul piano procedurale le disposizioni (in
particolare l'articolo 55) evidenziano
l'importanza della validazione, che deve
essere tradotta in un provvedimento
specifico del Rup.
La terza grande novità è determinata dalla
disciplina specifica per gli appalti
integrati, contenuta principalmente negli
articoli 168 e 169, nonché in un'ampia serie
di disposizioni, illustrative dei contenuti
ulteriori che devono avere i progetti quando
la gara comporti l'affidamento della
progettazione e dell'esecuzione
dell'appalto. In relazione all'affidamento
degli appalti, nella predisposizione dei
bandi le amministrazioni devono tener conto
dell'innovato quadro delle categorie
generali e specialistiche, delle
precisazioni in ordine alle lavorazioni
prevalenti, scorporabili e subappaltabili
(articolo 109), nonché dell'inserimento di
due classifiche intermedie. Particolare
attenzione dovrà essere posta al regime
transitorio (regolato dall'articolo 357 del
regolamento attuativo), in base al quale le
vecchie attestazioni Soa scadono per molte
categorie al loro termine naturale, mentre
per altre l'adeguamento è sviluppato entro
un periodo ulteriore di un anno dall'entrata
in vigore del Dpr 207/2010 (scadenza
allungata dal Dl 70/2010).
Rispetto al passato, le stazioni appaltanti
potranno utilizzare per l'affidamento dei
lavori di manutenzione (oltre alle procedure
ordinarie) gli accordi quadro e partire da
progetti definitivi (articolo 105), mentre
non potranno più ricorrere ai contratti
aperti.
Tra le principali novità è rilevabile la
precisazione delle disposizioni sulla
polizza di assicurazione per danni di
esecuzione (la cosiddetta "car"), per
le quali ora il bando di gara deve prevedere
che l'importo della somma assicurata
corrisponda a quello del contratto oppure,
dandone specifica motivazione, che lo
superi.
Norme più chiare sono rilevabili anche in
relazione alle varianti (articoli 161-163) e
alle sospensioni (articoli 158-160), per le
quali risulta chiaro che, quando siano
legittime (determinate dal direttore lavori
per cause di forza maggiore o dal Rup per
motivi di interesse pubblico), non
comportano il versamento di alcun indennizzo
all'appaltatore (situazione che si verifica,
invece, quando la sospensione non sia
giustificata e, pertanto, illegittima).
Molte disposizioni replicano quelle del Dpr
554/1999 e del Dm 145/2000, ma è comunque
necessario che le stazioni appaltanti
adeguino bandi, capitolati e schemi di
contratto in uso (articolo
Il Sole 24 Ore del 06.06.2011
- tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Il
potere discrezionale della stazione
appaltante di prescrivere adeguati requisiti
per la partecipazione alle gare per
l'affidamento di appalti pubblici è soggetto
ai limiti connaturati alla funzione affidata
alle clausole del bando volte a prescrivere
i requisiti speciali.
La stazione appaltante, pertanto, non può
poi derogare, in sede di gara, al puntuale
accertamento preliminare di tali requisiti,
prodromici alla stessa competizione
concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto
più ove, come nel caso di specie, tali
requisiti siano richiesti a pena di
esclusione.
Il provvedimento di espulsione da una gara
d'appalto costituisce atto vincolato
rispetto alla clausola del bando che indica
le modalità di presentazione dei documenti a
pena di esclusione, in quanto in sede di
aggiudicazione di contratti con la p.a., la
stazione appaltante è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella "lex specialis" relative ai
requisiti, formali e sostanziali, di
partecipazione ovvero alle cause di
esclusione.
E’ principio pacifico che il potere
discrezionale della stazione appaltante di
prescrivere adeguati requisiti per la
partecipazione alle gare per l'affidamento
di appalti pubblici è soggetto ai limiti
connaturati alla funzione affidata alle
clausole del bando volte a prescrivere i
requisiti speciali.
Tale funzione consiste nel delineare,
attraverso l'individuazione di specifici
elementi indicati della capacità economica,
finanziaria e tecnica, il profilo delle
imprese che si presumono idonee a realizzare
il programma contrattuale perseguito
dall'Amministrazione ed a proseguire nel
tempo l'attività espletata in modo adeguato.
La stazione appaltante, pertanto, non può
poi derogare, in sede di gara, al puntuale
accertamento preliminare di tali requisiti,
prodromici alla stessa competizione
concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto
più ove, come nel caso di specie, tali
requisiti siano richiesti a pena di
esclusione.
E’ pure principio pacifico che il
provvedimento di espulsione da una gara
d'appalto costituisce atto vincolato
rispetto alla clausola del bando che indica
le modalità di presentazione dei documenti a
pena di esclusione, in quanto in sede di
aggiudicazione di contratti con la p.a., la
stazione appaltante è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella "lex specialis"
relative ai requisiti, formali e
sostanziali, di partecipazione ovvero alle
cause di esclusione.
Il formalismo che caratterizza la disciplina
delle procedure di gara risponde, per un
verso, ad esigenze pratiche di certezza e
celerità e, per altro verso, alla necessità
di garantire l'imparzialità dell'azione
amministrativa e la parità di condizioni tra
i ricorrenti.
Dunque, i formalismi richiesti espressamente
e tassativamente dalle prescrizioni di gara
costituiscono lo strumento tipico con il
quale si rende trasparente la
discrezionalità amministrativa e si pongono
tutti i concorrenti sullo stesso piano
partecipativo, richiedendo loro un eguale
impegno di diligenza, attenzione e rispetto
verso le clausole dei bandi e dei capitolati
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 01.06.2011 n. 4984 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2011 |
|
APPALTI:
Decreto Legge 13.05.2011 n. 70 - Le
importanti novità per il settore dei lavori
pubblici (ANCE,
nota maggio 2011). |
APPALTI: Nelle
procedure per l’aggiudicazione degli appalti
pubblici sussiste sempre in capo
all’amministrazione appaltante un margine di
discrezionalità tecnica che può investire le
componenti dell’offerta nella loro serietà e
congruità, in relazione allo specifico
oggetto della gara ed alle modalità di
esecuzione del contratto, e che consente,
quindi, di disporre quelle offerte che
presentino aspetti di inattendibilità.
La validità della costituzione di un’A.T.I.
deve essere giudicata con esclusivo
riferimento al momento della formulazione
dell’offerta, dovendo ritenere legittime le
offerte congiuntamente presentate da imprese
appositamente e tempestivamente raggruppate,
singolarmente invitate, anche quando la loro
costituzione in ATI sia intervenuta dopo la
fase di prequalificazione.
L’obbligo di dichiarare l’assenza del c.d.
pregiudizi penali può ritenersi assolto dal
legale rappresentante dell’impresa anche
avuto riguardo ai terzi (direttori tecnici o
altri soggetti comunque muniti di poteri di
rappresentanza anche se cessati nel triennio
antecedente), nel presupposto che anche in
questo caso operino le previsioni di
responsabilità penale ed il potere di
verifica da parte della stazione appaltante.
Come precisato dalla giurisprudenza, nelle
procedure per l’aggiudicazione degli appalti
pubblici sussiste sempre in capo
all’amministrazione appaltante, a
prescindere da una regola puntualmente
fissata da disposizioni di legge, di
regolamento e rinvenibili nella stessa
lex spcialis, un margine di
discrezionalità tecnica che può investire le
componenti dell’offerta nella loro serietà e
congruità, in relazione allo specifico
oggetto della gara ed alle modalità di
esecuzione del contratto, e che consente,
quindi, di disporre quelle offerte che
presentino aspetti di inattendibilità
(C.d.S., sez. V, 18.09.2009, n. 5597;
21.04.2009, n. 2402).
Come precisato
dalla giurisprudenza, la validità della
costituzione di un’A.T.I. deve essere
giudicata con esclusivo riferimento al
momento della formulazione dell’offerta,
dovendo ritenere legittime le offerte
congiuntamente presentate da imprese
appositamente e tempestivamente raggruppate,
singolarmente invitate, anche quando la loro
costituzione in ATI sia intervenuta dopo la
fase di prequalificazione (C.d.S., sez. V,
18.09.2003, n. 5309); più recentemente tale
indirizzo è stato confermato, precisandosi
che non sussiste alcun divieto in tal senso,
emergendo per contro un preciso indirizzo
legislativo volto a favorire il fenomeno del
raggruppamento e ad individuare la
presentazione dell’offerta come momento
della procedura da cui decorre il divieto di
modificabilità soggettiva della composizione
dei partecipanti, divieto che non opera per
la fase di prequalificazione (C.d.S., sez.
VI, 20.02.2008, n. 588).
Come puntualizzato recentemente dalla
giurisprudenza (C.d.S., sez. V, 15.10.2010,
n. 7524; 19.11.2009, n. 7244), l’obbligo di
dichiarare l’assenza del c.d. pregiudizi
penali può ritenersi assolto dal legale
rappresentante dell’impresa anche avuto
riguardo ai terzi (direttori tecnici o altri
soggetti comunque muniti di poteri di
rappresentanza anche se cessati nel triennio
antecedente), nel presupposto che anche in
questo caso operino le previsioni di
responsabilità penale ed il potere di
verifica da parte della stazione appaltante
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 31.05.2011 n. 3256 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
La gestione del servizio
di parcheggio su un'area pubblica
costituisce attività di pubblico servizio e
sull'obbligo di attivare una procedura
competitiva per la scelta del
concessionario.
La gestione del servizio di parcheggio su
un'area pubblica riguardando l'utilizzo di
un bene pubblico, anche qualora non comporti
il trasferimento di poteri autoritativi,
costituisce attività di pubblico servizio
assunto dalla P.A., e svolta direttamente
dalla stessa o da altro soggetto ad essa
collegato, in favore della collettività
indistinta. Anche volendo accedere alla tesi
secondo cui il rapporto, nel caso di specie,
consista in una concessione di beni
pubblici, l'ente locale è tenuto a dare
corso ad una procedura competitiva per la
scelta del concessionario.
La mancanza di una procedura competitiva
circa l'assegnazione di un bene pubblico
suscettibile di sfruttamento economico,
introduce una barriera all'ingresso al
mercato, determinando una lesione alla
parità di trattamento, al principio di non
discriminazione ed alla trasparenza tra gli
operatori economici, in violazione dei
principi comunitari di concorrenza e libertà
di stabilimento (Corte costituzionale sent.
n. 180/2010).
Peraltro, anche a seguito dell'entrata in
vigore del Trattato di Lisbona,
l'indifferenza comunitaria alla
qualificazione nominale delle fattispecie,
consente di sottoporre ai principi
sull'evidenza pubblica l'affidamento di
concessioni su beni pubblici, senza che a
ciò osti la deduzione relativa
all'occasionale partecipazione del privato
all'esercizio dei pubblici poteri.
Una volta assodato l'obbligo all'attivazione
di una procedura competitiva,
indifferentemente rivolta all'affidamento di
un appalto ovvero di una concessione di
servizio o di bene pubblico, l'impresa di
settore riveste una posizione soggettiva
qualificata, rispetto al quivis de populo,
tale da consentirle di insorgere avverso il
provvedimento di affidamento diretto onde
contestarne la validità (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 31.05.2011 n. 3250 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Migliore
tutela della concorrenza - Necessita -
Ulteriori cause di esclusione - Legittimità.
Il ricorso per l'annullamento della
determinazione del Segretario Generale del
Servizio Economato, Appalti e Contratti
della C.C.I.A.A. di Milano, con la quale è
stato aggiudicato alla società SDA Express
Courier s.p.a. l'appalto del servizio di
corriere per il ritiro e la consegna della
corrispondenza e di documentazione varia per
il triennio 2004/2006 a favore della stessa
Camera di Commercio e della sua Azienda
speciale Ced Camera è stato respinto.
La
Corte di Giustizia CE, sez. IV, con la
sentenza 19.05.2009 C-538/07,
pronunciandosi sul quesito pregiudiziale
posto nella presente controversia, ha
ritenuto che l'art. 29, primo comma, dir.
92/50/CEE non osta alla previsione di
ulteriori cause di esclusione finalizzate a
garantire il rispetto dei principi di parità
di trattamento e di trasparenza, ma ha
giudicato incompatibile con il diritto
comunitario (e segnatamente con la citata
direttiva 92/50/CEE) la disciplina nazionale
che vieta in assoluto la partecipazione alla
medesima gara di appalto di imprese che sono
tra loro in una situazione di collegamento
societario ma non si può impedire, a priori,
una disciplina nazionale delle cause di
esclusione dalle gare di appalto più severa
di quella comunitaria, la quale prevede le
cause di esclusione come facoltative.
Pertanto, non è di per sé illegittima la
disciplina italiana, che prevede cause di
esclusione obbligatorie ulteriori rispetto a
quelle codificate nel catalogo comunitario.
Tuttavia la maggiore severità della
disciplina nazionale, da un lato deve
trovare giustificazione nell'esigenza di una
migliore tutela della concorrenza, della
trasparenza e della par condicio, dall'altro
incontra un limite nel principio di
proporzionalità
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 31.05.2011 n.
1392 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della
p.a. - Appalti - Bando - Sub criteri -
Indicazione - Ratio - Riduzione del margine
di discrezionalità della Commissione
giudicatrice.
La ratio dell'art. 83, comma 4, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 -nello stabilire che il
bando di gara, per ciascun criterio di
valutazione prescelto, può prevedere, ove
necessario, sub-criteri e sub-pesi o
sub-punteggi- è rinvenibile nell'esigenza
di ridurre gli apprezzamenti soggettivi
della Commissione giudicatrice, garantendo
in tale modo l'imparzialità delle
valutazioni a tutela della par condicio tra
i concorrenti, i quali sono tutti messi in
condizione di formulare consapevolmente
un'offerta sulla base di elementi che,
conosciuti per tempo, possono orientare le
loro decisioni nella presentazione delle
offerte (Cfr., Cons. Stato, sez. III,
22.03.2011, n. 1749; Cons. Stato, sez. V,
01.10.2010, n. 7256)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.05.2011 n.
1386 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sopravvenuta
scadenza del termine di validità
dell'offerta a seguito dell'eccessivo
prolungamento delle operazioni di gara:
conseguenze.
La sopravvenuta scadenza del termine di
validità dell'offerta a seguito
dell'eccessivo prolungamento delle
operazioni di gara determina, in capo
all'aggiudicatario, la scelta di
disimpegnarsi da ogni vincolo negoziale,
senza incorrere in alcuna sanzione, ovvero
di "confermare" -anche tacitamente-
l'offerta stessa, accettando la stipula
contrattuale.
Non sussiste invece alcun obbligo, per la
stazione appaltante, di rivalutare l'offerta
scaduta mediante rinegoziazioni, in contesti
caratterizzati dal formalismo dell'evidenza
pubblica e dalla conseguente
cristallizzazione degli esiti della gara
ultimata. In altre parole, l'aggiudicatario
che non intenda confermare la propria
offerta, ormai scaduta, ha facoltà di
esercitare il diritto di "recesso"
dalla fase di stipula, senza tuttavia che la
stazione appaltante sia tenuta ad aprire un
procedimento di rinegoziazione o di
adeguamento. Né l'aggiudicatario uscente può
vantare interessi qualificati sulle modalità
con cui l'amministrazione fa fronte al
reperimento di un nuovo contraente,
trattandosi di profili deliberativi
attinenti ad una procedura volontariamente
abbandonata.
Va quindi confutato l'assunto secondo cui,
la mancata stipula contrattuale,
assurgerebbe ad una illegittima misura
sanzionatoria ad opera della stazione
appaltante. Pertanto, nel caso di specie, la
revoca dell'aggiudicazione provvisoria si
atteggia a passaggio necessario, da una
parte per formalizzare l'uscita dalla gara
del soggetto recedente, e dall'altra per
predisporre procedure alternative, in vista
di un altro contraente disposto a mantenere
l'offerta a suo tempo formulata (TAR
Abruzzo-L'Aquila, Sez. I,
sentenza 31.05.2011 n. 299 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'interpretazione
della disposizione di cui all'art. 23-bis,
c. 9, ultimo periodo, del d.l. n. 112 del
2008, convertito dalla l. n. 133 del 2008,
nel testo successivamente riformato dal d.l.
n. 135/2009, convertito dalla l. n.
166/2009.
L'ultimo periodo del c. 9, dell'art. 23-bis,
del d.l. 25.06.2008, n. 112, convertito
dalla l. 06.08.2008, n. 133, nel testo
successivamente riformato dal d.l.
25.09.2009, n. 135, convertito dalla l.
20.11.2009, n. 166, tempera il divieto
contenuto nel medesimo c. 9 con una
disposizione derogatoria, di diritto
transitorio, consentendo ai soggetti
affidatari diretti di servizi pubblici
locali di concorrere su tutto il territorio
nazionale alla prima gara successiva alla
cessazione del servizio, avente ad oggetto i
servizi da essi forniti.
Il problema ermeneutico è rappresentato
principalmente dal significato attribuibile
all'espressione "prima gara successiva
alla cessazione del servizio"; se cioè
essa rilevi sul piano soggettivo
(riguardando l'impresa-concorrente), ovvero
oggettivo (riguardando la prima gara indetta
dalla stazione appaltante dopo
l'introduzione dell'art. 23-bis).
Si ritiene che la norma designi, come
parametro di rilevanza ermeneutica, quello
dell'impresa affidataria. La ratio
della disposizione sembra verosimilmente
quella di evitare che le società che hanno
fornito servizi ad un'amministrazione ed
hanno acquisito esperienza "sul
territorio" siano automaticamente
estromesse dalle gare per l'affidamento
concorrenziale di quei servizi, e non già
quella di elargire a tutti gli affidatari
diretti una moratoria generalizzata.
In altri termini, posto che, a regime, tali
imprese non possono godere, in virtù dei
principi comunitari in materia di tutela
della concorrenza, della possibilità di
ottenere affidamenti diretti e di
partecipare a gare in libero mercato, si è
ritenuto che l'esclusione di tali soggetti
dalle gare indette dalle amministrazioni per
i servizi da essi già forniti, avrebbe
creato un'improvvisa soluzione di
continuità, foriera di disparità di
trattamento alla rovescia, con la
cancellazione ex abrupto degli investimenti
effettuati specialmente nell'ambito
territoriale di riferimento.
---------------
Non compatibile con il principio di parità
concorrenziale la tesi secondo cui dovrebbe
ritenersi consentita la partecipazione alle
prime gare, bandite da qualsivoglia Comune
sul territorio, da parte di tutti gli
affidatari diretti, in quanto tale soluzione
non farebbe altro che protrarre nel tempo la
loro condizione di privilegio, senza
produrre alcun vantaggio nella prospettiva
della concorrenza per il mercato, obiettivo
della norma in esame.
Diversa è la situazione del precedente
gestore, anche affidatario diretto, cui in
via transitoria si consente di partecipare
per salvaguardare il patrimonio gestionale
acquisito; ed infatti la volontà della
norma, in qualche misura compromissoria, è
quella di superare gli affidamenti diretti,
e non già di eliminare le imprese
affidatarie dirette.
Tale sembra essere l'interpretazione
proporzionata e ragionevole, ed anche
costituzionalmente orientata, dell'ultimo
periodo del c. 9, dell'art. 23-bis, del d.l.
25.06.2008, n. 112, inserita nel contesto di
una disposizione che persegue il dichiarato
scopo di tutelare la concorrenza, evitando
dunque che soggetti dotati di privilegi
operino in mercati concorrenziali,
costituendo inevitabili fattori di
distorsione della stessa (TAR Umbria, Sez.
I,
sentenza 31.05.2011 n. 152 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: P.a.,
solo accordi tra simili. Collaborazioni
legittime se l'oggetto è comune. Risoluzione
del Parlamento Ue sui nuovi sviluppi in
materia di appalti.
Collaborazioni
pubblico-pubblico soltanto per servizi
pubblici comuni alle autorità locali
coinvolte e senza alcuna presenza di
privati. Concessioni di servizi affidabili a
terzi anche in presenza di un rischio di
gestione limitato. Non è necessaria una
disciplina comunitaria delle concessioni di
servizi pubblici; nelle società miste
obbligo di scelta del socio privato in gara
e immutabilità dell'oggetto sociale o del
compito affidato alla società.
Sono questi alcuni dei punti sui quali si
sofferma la
Risoluzione del Parlamento europeo del
18.05.2010 sui nuovi sviluppi in
materia di appalti pubblici (2009/2175(INI))
(pubblicata sulla GUUE del 31.05.2011 n. C
161 E).
Per quel che concerne i profili relativi
alla cooperazione pubblico-pubblico, il
parlamento preliminarmente ricorda che le
amministrazioni non hanno l'obbligo di
ricorrere ad una determinata forma giuridica
per svolgere in comune determinate attività,
ma per non essere soggette all'applicazione
delle direttive europee queste
collaborazioni devono rispondere ad alcuni
precisi criteri.
In primo luogo «lo scopo del partenariato
deve essere l'esecuzione di un compito di
servizio pubblico spettante ad entrambe le
autorità locali in questione», in
secondo luogo le attività «devono essere
svolte esclusivamente dalle autorità
pubbliche in questione, cioè senza la
partecipazione di privati o imprese private»;
infine l'attività deve essere finalizzata a
soddisfare esigenze proprie delle autorità
coinvolte nell'accordo. Il parlamento
precisa anche che questi tre criteri non si
applicano soltanto alle autorità locali, ma
a tutte le amministrazioni aggiudicatrici
pubbliche.
Per quel che concerne le concessioni di
servizi il parlamento europeo afferma che lo
strumento della concessione appare efficace
e legittimo, «anche se il rischio
associato alla gestione è limitato ma
comunque integralmente trasferito al
concessionario». In via generale il
Parlamento, rispondendo espressamente alla
Commissione europea, boccia l'ipotesi di un
atto giuridico ad hoc per le
concessioni di servizi (ad esempio una
direttiva), «non necessario fintantoché
non sia mirato a un chiaro miglioramento del
funzionamento del mercato interno».
Sul Ppp (partenariato pubblico privato) il
parlamento con la sua risoluzione evidenzia
che sia la Commissione (comunicazione del
05.02.2008), che la Corte di giustizia
(sent. 15.10.2009, C-196/08), hanno chiarito
che per l'aggiudicazione di appalti o per
l'affidamento di determinati compiti a
partenariati pubblico-privato di nuova
costituzione (caso classico quello della spa
mista) non è necessaria una duplice
procedura di gara concorrenziale. La
risoluzione elenca le condizioni che
consentono l'affidamento di una concessione
senza gara concorrenziale a una società
mista pubblico-privato costituita
specificamente a tale scopo (cosiddetta,
società di scopo).
In primo luogo occorre esperire una gara per
la scelta del socio privato che garantisce
una selezione trasparente, con la
pubblicazione anticipata del contratto
previa verifica dei requisiti finanziari,
tecnici, operativi e amministrativi e delle
caratteristiche dell'offerta in
considerazione dello specifico servizio da
fornire. In secondo luogo è necessario che
la società mista mantenga lo stesso oggetto
sociale durante l'intera durata della
concessione; con la conseguenza che
qualsiasi modifica sostanziale dell'oggetto
sociale o del compito affidato fa scattare
l'obbligo di indire una nuova procedura di
gara concorrenziale (articolo
ItaliaOggi del 03.06.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Il danno da perdita di
chance non è liquidabile in via equitativa.
Il danno da perdita di chance, come
chiarito dalla giurisprudenza, consiste in
un danno patrimoniale relativo alla perdita
non di un vantaggio economico, ma della mera
possibilità di conseguirlo secondo una
valutazione ex ante collegata al
momento in cui il comportamento illegittimo
ha inciso su tale possibilità; pertanto si
configura come danno attuale e risarcibile,
sempreché ne sia provata la sussistenza
anche secondo un calcolo di probabilità o
per presunzioni, sicché alla mancanza di
tale prova non è possibile sopperire con una
valutazione equitativa ai sensi dell’art.
1226 cod. civ., infatti diretta a
fronteggiare l’impossibilità di provare non
l’esistenza del danno risarcibile, bensì del
suo esatto ammontare.
In altri termini, la perdita di chance
di rilievo risarcitorio, in quanto entità
patrimoniale giuridicamente ed
economicamente suscettibile di autonoma
valutazione e non mera aspettativa di fatto
o generiche ed astratte aspirazioni di
lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i
quali risulta impossibile il calcolo
percentuale di possibilità delle concrete
occasioni di conseguire un determinato bene,
e che dunque il danneggiato ha l’onere di
fornire (cfr. Cons. St., Sez. IV, 27.11.2010
n. 8253). (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 30.05.2011 n. 3243 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante
ha l’obbligo di comunicare l’aggiudicazione.
La sentenza impugnata merita conferma
laddove ha respinto l’eccezione,
argomentando dalla mancata comunicazione
dell’aggiudicazione, che costituisce preciso
obbligo della stazione appaltante secondo
quanto dispone l’art. 79, comma 5, d.lgs. n.
163 del 2006. Tale norme impone
all’amministrazione procedente di comunicare
l'aggiudicazione, “tempestivamente e
comunque entro un termine non superiore a
cinque giorni, all'aggiudicatario, al
concorrente che segue nella graduatoria, a
tutti i candidati che hanno presentato
un'offerta ammessa in gara, nonché a coloro
la cui offerta sia stata esclusa, se hanno
proposto impugnazione avverso l'esclusione,
o sono in termini per presentare detta
impugnazione”.
Pertanto, come è stato già stabilito (cfr.
Consiglio Stato, sez. VI, 11.11.2008, n.
5624), essendo puntualmente disciplinata la
fase di comunicazione dell'atto di
aggiudicazione, la legale conoscenza dello
stesso non può ricondursi a forme diverse di
partecipazione dell'esito del concorso, né
può esserne valorizzata la conoscenza
comunque conseguita dall’interessato, al
fine di calcolare la tempestività
dell’impugnazione (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 30.05.2011 n. 3222 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nelle
procedure indette per l'aggiudicazione di
appalti pubblici i reati commessi in passato
dal partecipante e dichiarati estinti dalla
competente Autorità giudiziaria sono
ininfluenti in sede di valutazione della sua
moralità professionale e non devono essere
dichiarati.
Analogo principio va affermato in relazione
ai reati oggetto di depenalizzazione,
essendo assorbente la circostanza che si
tratta di vicende la cui rilevanza penale è
stata esclusa ora per allora (in base al
principio del favor rei) da altrettanti
provvedimenti legislativi: il che, appunto,
esclude in radice che tali vicende possano
essere validamente considerate ai fini di
un'esclusione, la quale, viceversa, postula
l'attuale ascrivibilità al concorrente di
condotte tuttora penalmente rilevanti.
La presente controversia attiene all’obbligo
o meno del concorrente ad una gara d’appalto
-ove la lex specialis richiedeva di
attestare le condanne penali riportate, ivi
comprese quelle oggetto di non menzione- di
dichiarare anche le condanne subite per
reati formalmente estinti e per reati
depenalizzati.
Nel caso di specie, in esito alle verifiche
effettuate dalla stazione appaltante, era
emersa la mancata dichiarazione, da parte
del legale rappresentante della società
ricorrente, di due sentenze di condanna
riguardanti, rispettivamente, il legale
rappresentante stesso (...) e un direttore
tecnico (...) cessato nel triennio
precedente, di cui la prima per un reato
(falsità ideologica in atto pubblico)
dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445,
II comma cpp con ordinanza 06.06.2008 del
GIP di Padova, ed il secondo (violazione al
TU delle norme sulla circolazione stradale)
oggetto di depenalizzazione.
Come risulta dal costante orientamento
giurisprudenziale, nelle procedure indette
per l'aggiudicazione di appalti pubblici i
reati commessi in passato dal partecipante e
dichiarati estinti dalla competente Autorità
giudiziaria sono ininfluenti in sede di
valutazione della sua moralità professionale
e non devono essere dichiarati (cfr., per
tutte, CdS, V, 19.11.2009 n. 7257).
Analogo principio va affermato in relazione
ai reati oggetto di depenalizzazione,
essendo assorbente la circostanza che si
tratta di vicende la cui rilevanza penale è
stata esclusa ora per allora (in base al
principio del favor rei) da
altrettanti provvedimenti legislativi: il
che, appunto, esclude in radice che tali
vicende possano essere validamente
considerate ai fini di un'esclusione, la
quale, viceversa, postula l'attuale
ascrivibilità al concorrente di condotte
tuttora penalmente rilevanti (cfr. per
tutte, CdS, V, 23.07.2009 n. 4594; TAR
Veneto, I, 18.09.2009 n. 2415);
Peraltro, la lex specialis di gara
imponeva di dichiarare soltanto le sentenze
di condanna all’epoca efficaci, comprese
quelle per le quali il soggetto aveva
beneficiato della non menzione: non, dunque,
anche quelle –in disparte, comunque,
l’irragionevolezza di una siffatta
prescrizione- divenute prive di effetti in
quanto il sotteso reato era stato oggetto di
riabilitazione, di estinzione o di
depenalizzazione (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 30.05.2011 n. 917 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Modifiche al codice dei contratti e al
regolamento n. 207/2010 - D.L. 13.05.2011 n.
70 - Semestre Europeo - recante prime
disposizioni urgenti per l'economia -
TESTO A FRONTE (fonte ISAC -
Istituto Studi Appalti e Concessioni). |
APPALTI:
NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE
NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI
ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N.
163/2006 (link a
www.ancebrecia.it). |
APPALTI:
Commissione di gara -
Valutazione delle offerte - Attribuzione dei
punteggi in forma soltanto numerica -
Condizioni.
Con riferimento alle gare d’appalto, nella
fase di valutazione delle offerte da parte
di una commissione di gara, l'attribuzione
dei punteggi in forma soltanto numerica è
consentita quando il numero delle sottovoci,
con i relativi punteggi, entro le quali
ripartire i parametri di valutazione di cui
alle singole voci, sia talmente analitica da
delimitare il giudizio delle commissioni
nell'ambito di un minimo ed un massimo di
portata tale da rendere di per sé evidente
l'iter logico seguito nel valutare i singoli
progetti sotto il profilo tecnico in
applicazione di puntuali criteri
predeterminati, essendo altrimenti
necessaria una puntuale motivazione del
punteggio attribuito (CdS sez. V 03.12.2010
n. 8410) (TAR Marche,
sentenza 28.05.2011 n. 430 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Nomina dei commissari di
gara esterni alla P.A..
La nomina di un soggetto esterno alla
stazione appaltante quale componente della
commissione di una gara pubblica deve
avvenire nel rispetto delle disposizioni di
cui all’art. 84 del D.lgs. 163/2006.
La
sentenza 27.05.2011 n. 4810 del
TAR Roma-Roma, Sez. II-ter, ha infatti
stabilito che nel caso in cui una pubblica
amministrazione decida di nominare un
soggetto esterno quale componente di una
commissione di gara, tale nomina non può
prescindere dalle previsioni dell’art. 84,
comma 8, del D.lgs. 163/2006, secondo il
quale la scelta del commissario esterno deve
essere effettuata nell’ambito di un elenco
formato sulla base di rose di candidati
fornite dagli ordini professionali.
Nel caso di specie, relativo all’affidamento
del servizio di trasporto scolastico di un
comune laziale era stato impugnato l’atto di
nomina di un commissario esterno, un
avvocato, esperto in appalti pubblici.
La nomina di questo commissario era infatti
avvenuta prescindendo dalle disposizioni del
codice.
I giudici di Palazzo Spada, stabiliscono sul
punto che “L'art. 84 del codice dei
contratti pubblici prevede, infatti, al
comma 8, che, nel caso in cui la stazione
appaltante ricorra a professionisti esterni,
la scelta debba essere effettuata
nell'ambito di un elenco formato sulla base
di rose di candidati fornite agli ordini
professionali. Tale precetto non è stato
osservato nel caso in esame, risultando in
atti che la scelta, come professionista
esterno, (…), nella qualità di esperto in
appalti, è stata effettuata senza la
preventiva richiesta all’Ordine degli
avvocati di una rosa di candidati e la
conseguente formazione di un apposito elenco
al quale attingere.”
Su quale debba essere l’esatta
interpretazione delle disposizioni in esame,
i giudici stabiliscono in particolare che: “…..tali
disposizioni, recanti norme sulle funzioni,
sulla composizione e sulla modalità di
nomina dei componenti della Commissione
giudicatrice incaricata di esprimersi
nell'ipotesi di aggiudicazione con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, pur disciplinando aspetti della
procedura di scelta del contraente, sono
preordinate a fini diversi rispetto a quelli
di garanzia della concorrenzialità, in
quanto gli aspetti connessi alla
composizione della Commissione giudicatrice
e alle modalità di scelta dei suoi
componenti attengono all'organizzazione
amministrativa degli organismi cui sia
affidato il compito di procedere alla
verifica del possesso dei necessari
requisiti, da parte della imprese
concorrenti, per aggiudicarsi la gara.”
In generale è tuttavia necessario affermare
che le norme del codice dei contratti e
tutte quelle disposizioni che impongono il
rispetto dei principi della trasparenza,
della concorrenzialità e del necessario
accesso al libero mercato, rappresentano il
recepimento di principi riconosciuti e
affermati in sede comunitaria, rispetto ai
quali l’ordinamento italiano, in un ottica
di adeguamento agli altri ordinamenti
europei, non può prescindere (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso in cui una
Regione non abbia adottato una normativa
regionale in materia di appalti che preveda
una diversa composizione della commissione
di gara, si applicano le previsioni
contenute nell'art. 84 del D.lgs. n.
163/2006.
L'art. 84, c. 8, del d.lgs. n. 163/2006,
prevede che nel caso in cui la stazione
appaltante ricorra a professionisti esterni,
la scelta debba essere effettuata
nell'ambito di un elenco formato sulla base
di rose di candidati fornite agli ordini
professionali.
Nel caso di specie, tale precetto non è
stato osservato, risultando in atti che la
scelta, come professionista esterno,
dell'avvocato, nella qualità di esperto in
appalti, è stata effettuata senza la
preventiva richiesta all'Ordine degli
avvocati di una rosa di candidati e la
conseguente formazione di un apposito elenco
al quale attingere.
Peraltro, tale modalità di selezione non
risulta smentita dal contenuto della
sentenza della Corte costituzionale,
23.11.2007, n. 401, che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimi i commi 2, 3,
8 e 9, dell'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006,
"nella parte in cui, per i contratti
inerenti a settori di competenza regionale,
non prevedono che dette disposizioni abbiano
carattere suppletivo e cedevole".
Non risulta, nel caso di specie, che la
Regione abbia adottato una normativa
regionale in materia di appalti pubblici e,
pertanto, fino all'adozione di una legge
regionale che preveda una diversa
composizione della commissione di gara,
devono continuare ad osservarsi le
previsioni contenute nell'art. 84 del D.lgs.
n. 163 del 2006, come sancito dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 401 del
2007 (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 27.05.2011 n. 4810 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L'art.
38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare
i soggetti tenuti a rendere la
dichiarazione- fa riferimento soltanto agli
"amministratori muniti di potere di
rappresentanza", senza estendere l'obbligo
ai procuratori, che amministratori non sono.
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una
gara pubblica di rendere le prescritte
dichiarazioni può essere legittimamente
assolto dal suo rappresentante legale anche
avuto riguardo ai terzi, inclusi altri
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza.
Questa Sezione ha chiarito che l'art. 38 del
d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione-
fa riferimento soltanto agli "amministratori
muniti di potere di rappresentanza",
senza estendere l'obbligo ai procuratori,
che amministratori non sono (Consiglio
Stato, sez. V, 25.01.2011, n. 513).
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una
gara pubblica di rendere le prescritte
dichiarazioni può essere legittimamente
assolto dal suo rappresentante legale anche
avuto riguardo ai terzi, inclusi altri
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza (Consiglio Stato, sez. V,
19.11.2009, n. 7244) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.05.2011 n. 3200 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Per impugnare
l’esclusione da una procedura concorsuale
basta la notifica del ricorso alla stazione
appaltante.
Nelle gare di appalto pubblico, invero, il
ricorso avverso il provvedimento di
esclusione non deve essere notificato ad
alcun controinteressato, salvo che lo stesso
non sia intervenuto quando la gara si era
già conclusa, nel qual caso il gravame deve
essere notificato all'impresa aggiudicataria
(C.g.a., 29.01.2007 n. 7; Cons. Stato, sez.
V, 28.05.2005 n. 5200); per l'ammissibilità
del ricorso è sufficiente, sempre che si
tratti di provvedimento di esclusione
adottato prima dell'aggiudicazione, che il
ricorso sia stato notificato alla stazione
appaltante, non sussistendo alcun onere per
l'impresa esclusa di seguire gli sviluppi
del procedimento al quale è ormai estranea
ed impugnare gli atti conseguenti,
ricercando i controinteressati successivi,
salva la facoltà per questi ultimi di
proporre l'opposizione di terzo.
Infatti, nelle procedure ad evidenza
pubblica, la posizione di controinteressato,
ossia del titolare di un interesse
qualificato alla conservazione dell'atto,
emerge esclusivamente al momento
dell'aggiudicazione, con la conseguenza che
l'esclusione dalla gara che sia stata
pronunciata in un momento anteriore vulnera
soltanto l'interesse di colui che sia stato
estromesso dalla gara, ma non incide sotto
alcun profilo neppure potenziale su quello
degli altri partecipanti alla gara.
Da quanto detto consegue che il ricorso
contro l'esclusione da una procedura
concorsuale è rettamente introdotto con la
notifica alla sola stazione appaltante,
mentre solo quando la gara si sia già
conclusa il ricorso deve essere notificato
all'impresa aggiudicataria al fine di
consentirle la difesa della posizione di
futura contraente dell'Amministrazione che
ha indetto la pubblica gara.
Pertanto, nel caso di specie, non sono
configurabili i presupposti affinché
l’aggiudicatario provvisorio debba essere
già considerato quale controinteressato
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.05.2011 n. 3193 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le dichiarazioni
relative all'insussistenza di sentenze di
condanna passate in giudicato, per reati che
incidano sull'affidabilità dei concorrenti,
non implicano l'insussistenza di
provvedimenti di condanna di cui all'art.
45, par. 1, dir. CE 2004/18.
Secondo consolidata giurisprudenza
amministrativa, in materia di gare
d'appalto, le dichiarazioni, rese dai
concorrenti, di insussistenza a proprio
carico di sentenze di condanna passate in
giudicato, per reati che incidano
sull'affidabilità morale e professionale
delle imprese stesse, non implicano anche
l'insussistenza di provvedimenti di condanna
per uno o più reati di partecipazione ad
un'organizzazione criminale, corruzione,
frode, riciclaggio, quali definiti dagli
atti comunitari citati all'articolo 45, par.
1, dir. CE 2004/18.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, distingue
infatti due categorie di reati: quelli di
cui al predetto art. 45, e quelli definiti
dalla stessa norma senza individuare precise
fattispecie criminose come "reati gravi
in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale".
Le rispettive condanne comportano
conseguenze diverse, in quanto le prime
costituiscono causa automatica di
esclusione, laddove le seconde, invece,
lasciano alla stazione appaltante un ampio
margine di apprezzamento sia sulla incidenza
del reato sulla moralità professionale, sia
in ordine all'offensività per lo Stato o per
la Comunità, sia sulla gravità del fatto.
Non è peraltro consentito, nel caso di
specie, ricorrere all'integrazione
documentale, ciò in quanto, trattandosi di
dichiarazione mancante, l'amministrazione
non vanta spazi di apprezzamento
discrezionale (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 27.05.2011 n. 1325 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L’impugnazione delle
clausole del bando è ammissibile solo se
l'impresa interessata ha partecipato alla
gara.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, formatosi sulla scorta
della decisione della Adunanza Plenaria n. 1
del 29.01.2003, l’impugnazione immediata
delle clausole del bando è ammissibile solo
in presenza di due inderogabili condizioni
concorrenti: che l'impresa interessata abbia
presentato una rituale domanda di
partecipazione alla gara; che le clausole
contestate definiscono in modo puntuale i
requisiti soggettivi e/o oggettivi di
partecipazione, impedendo, in modo assoluto,
la partecipazione a determinati soggetti
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 27.05.2011 n. 1003 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
procedura d'appalto, per mancato adempimento
dell'onere di comprovare il possesso dei
requisiti richiesti ai fini della
partecipazione alla gara secondo le modalità
previste dal bando.
Il rimedio dell'integrazione documentale non
può sopperire alla mancata produzione di
documentazione richiesta a pena di
esclusione dalla gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara d'appalto, adottato da
un'amministrazione nei confronti di un
concorrente che non abbia adempiuto
all'onere di comprovare il possesso dei
requisiti richiesti ai fini della
partecipazione alla procedura, secondo le
modalità previste dal bando.
L'art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, prevede,
infatti, che le stazioni appaltanti prima di
procedere all'apertura delle buste
contenenti le offerte richiedono alle
imprese partecipanti, di comprovare il
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa previsti dal bando di
gara, presentando la documentazione all'uopo
indicata.
---------------
Nei rapporti con la P.A., è necessario
distinguere due fasi: quella iniziale, che
legittima l'uso della dichiarazione
sostitutiva di atto notorio contestualmente
alla presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, e quella,
successiva, in cui l'attestazione relativa
al possesso dei suddetti requisiti deve
essere compiuta per mezzo della
documentazione pubblica certificativa di
qualità, e non si ammette una dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà.
Diversamente, verrebbe vanificata la
ratio che giustifica il ricorso alla
verifica a campione, divenendo essa un
inutile duplicato della fase iniziale di
presentazione dell'offerta.
Pertanto, in fase di controllo, la stazione
appaltante ha facoltà di pretendere un onere
aggiuntivo di documentazione. In altri
termini, la regola della mancanza di
validità delle dichiarazioni sostitutive di
atto di notorietà tende ad evitare che
l'impresa possa depositare, in sede di
verifica a campione, la medesima
documentazione resa in sede di presentazione
dell'offerta. Pertanto, è legittima la
richiesta di deposito dei documenti, in
originale od in copie conformi.
Né potrebbe invocarsi, la violazione del cd.
dovere di soccorso da parte della stazione
appaltante, e ciò perché, ai sensi dell'art.
46 D.L.vo n. 163/2006 e a tutela della par
condicio nelle gare pubbliche, il rimedio
dell'integrazione documentale non può essere
utilizzato per supplire all'inosservanza di
adempimenti procedimentali o all'omessa
produzione di documenti richiesti a pena di
esclusione dalla gara (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 27.05.2011 n. 497 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' legittima
l'escussione della garanzia fideiussoria
presentata da un concorrente, per mancato
possesso anche dei requisiti di ordine
generale previsti dall'art. 38 del d.lgs. n.
163/2006.
E' legittimo l'operato di una stazione
appaltante che, a seguito dell'accertata
carenza dei requisiti di ordine generale di
cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, in
capo ad un concorrente, abbia provveduto
all'escussione della garanzia fideiussoria
da questi prestata a corredo della propria
offerta.
La triplice sanzione della esclusione dalla
gara, segnalazione all'Autorità di Vigilanza
ed incameramento della cauzione provvisoria,
è contemplata dall'art. 48 del medesimo
d.lgs. n. 163/2006, solo con riferimento
all'accertata mancanza di requisiti d'ordine
speciale, vale a dire quelli relativi alla
capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa. Tuttavia,
l'incameramento della cauzione è applicabile
anche in ipotesi di accertata carenza di
requisiti d'ordine generale, di cui al
citato art. 38, come nel caso di specie.
Secondo un recente e consolidato
orientamento giurisprudenziale, ai sensi
dell'art. 75, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006,
l'incameramento della cauzione discende come
possibile sanzione per ogni circostanza che
impedisca l'eventuale sottoscrizione del
contratto, che sia imputabile
all'affidatario, e ciò vale per l'accertata
carenza tanto di requisiti speciali, quanto
di quelli d'ordine generale.
Un trattamento diversificato porterebbe a
dubitare della legittimità costituzionale
della normativa, per violazione dei principi
di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3
Cost. Pertanto, la menzione del potere, in
capo alla stazione appaltante, di escutere
la cauzione provvisoria ai sensi dell'art.
48 d.lgs. n. 163/2006, ha carattere
descrittivo di una potestà sussistente anche
nell'ipotesi in cui si accerti il mancato
possesso di requisiti generali di
partecipazione (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 26.05.2011 n. 936 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Bando di gara. La
rettifica va pubblicizzata con le stesse
forme con cui è stata data pubblicità al
bando.
Ogni rettifica del contenuto del bando di
gara, dove tale concetto va esteso anche
agli atti allegati, “è priva di efficacia
nei confronti delle imprese partecipanti
alla gara ove non sia portata a conoscenza
delle stesse nelle medesime forme attraverso
le quali è stata data pubblicità al bando”.
Tale statuizione è espressione del principio
di reciproca correttezza che deve improntare
i rapporti tra stazione appaltante ed
imprese partecipanti alla selezione,
correttezza idonea a fondare l’affidamento
del privato.
La possibilità che, conseguentemente, le
modifiche alla disciplina di gara possano
avere forme di pubblicità attenuata, sebbene
non possa escludersi a priori, deve però
essere guardata con disfavore e comunque
giustificata da esigenze cogenti che siano
idonee a giustificare, in astratto ma anche
in concreto, i detti principi che improntano
la disciplina delle procedure ad evidenza
pubblica.
Nel caso in specie, deve quindi ritenersi
non condivisibile l’ipotesi che la semplice
divulgazione di una modifica del
disciplinare sul sito internet della
stazione appaltante possa costituire forma
fattualmente e giuridicamente idonea di
conoscenza.
Infatti, in primo luogo, proprio in
relazione all’evolversi della fattispecie si
è data prova che il meccanismo divulgativo
predisposto si è dimostrato fallace,
adottando un sistema di comunicazione che
non è stato idoneo a permettere l’effettiva
conoscenza dell’intervenuta modificazione.
E, in secondo luogo, perché si è trattato di
un sistema che, in concreto, ha gravato le
imprese partecipanti di un onere di
diligenza ulteriore, del quale è arduo
individuare la fonte normativa, potendosi
richiedere alle imprese un onere
collaborativo solo nei limiti degli
strumenti di legge, salvo voler trasformare
il bando di gara da strumento di autovincolo
della stazione appaltante in semplice atto
introduttivo di una procedura, che
diventerebbe così suscettibile di ulteriori
modifiche anche in assenza di ulteriore
controllo (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 3139 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La semplice
pubblicazione sul sito internet della
stazione appaltante non è sufficiente a
rendere edotti i concorrenti in ordine ad
eventuali modifiche della disciplina di
gara.
In materia di appalti pubblici, non è
sufficiente comunicare eventuali modifiche
al disciplinare di gara, attraverso la
semplice pubblicazione delle stesse sul sito
internet della stazione appaltante, in
quanto detto sistema, sebbene animato da
ragioni di riduzione degli oneri
amministrativi e di celerità dell'azione,
non appare rispettoso dei principi di
trasparenza e corretta partecipazione alle
procedure di gara.
In via generale, ogni rettifica riguardante
il contenuto di un bando di gara, è priva di
efficacia nei confronti delle imprese
concorrenti, ove non sia portata a
conoscenza delle stesse nelle medesime forme
attraverso le quali è stata data pubblicità
al bando.
Tale statuizione è espressione del principio
di reciproca correttezza, che deve
improntare i rapporti tra stazione
appaltante ed imprese partecipanti alla
selezione, correttezza idonea a fondare
l'affidamento del privato. La possibilità
che le modifiche alla disciplina di gara
presentino forme di pubblicità attenuata,
deve essere giustificata da esigenze
cogenti.
Nel caso in specie, non è pertanto
condivisibile l'ipotesi secondo cui, la
semplice divulgazione di una modifica del
disciplinare sul sito internet della
stazione appaltante, possa costituire forma
fattualmente e giuridicamente idonea di
conoscenza (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 3139 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Occupazione
appropriativa. Requisiti per l’indennizzo e
risarcimento dei danni.
In linea generale, il danno spettante al
proprietario ai sensi dell’art. 2043 c.c.,
per illegittima occupazione di un fondo
implica:
a.
l’azione restitutoria del bene o in
alternativa, l’azione risarcitoria per
equivalente conseguente alla perdita
definitiva del terreno, in modo da ristorare
integralmente il bene perduto. Questa è la
fattispecie disciplinata dal comma 1
dell'art. 55 del Testo unico delle
espropriazioni –n. 327/2001 e s.m.i.– nella
quale in base ai principi esattamente
ricordati dall’appellante il ristoro va
commisurato al valore venale per la perdita
dei proprietari del diritto sul bene
dominicale quale che ne sia la natura
(agricola o edificatoria);
b.
un’azione risarcitoria per il mancato
utilizzo del bene per tutto il periodo
dell’illegittima occupazione, la quale è in
sostanza diretta ad indennizzare i
proprietari della perdita dei frutti del
loro terreno, naturali e civili,
conseguenti, ai sensi dell’art. 1148 c.c. a
causa dell’illegittima occupazione.
Entrambe costituiscono la restaurazione
sotto due profili, dell'ordine giuridico
violato, la prima in sostanza concerne il
capitale perduto e, quindi, al valore di
mercato del suolo illegittimamente acquisito
alla mano pubblica, mentre la seconda
concerne i proventi dello stesso o comunque
il pagamento di un’indennità equitativamente
fissata per il periodo di occupazione
illegittima.
Nel caso di specie, posto che nel caso la
Società ricorrente ha implicitamente
rinunciato alla restituzione, l’azione sub
a. è stata azionata innanzi alla competente
Corte di Appello di Bari, che ha disposto
CTU al fine di determinare il valore venale
del bene ai sensi dell’art. 55, 1° co, del
T.U. n. 327/2001.
In tale ambito dunque è evidente che la
pretesa di applicarlo anche alla
restaurazione dei danni derivanti dalla
perdita del bene in conseguenza
dell’occupazione illegittima si
risolverebbe, sotto il profilo processuale
in un “bis in idem” del medesimo
giudizio azionato in sede ordinaria, e sotto
quello sostanziale in un indebito
arricchimento, perché la perdita di un unico
cespite capitale sarebbe sostanzialmente
indennizzato due volte.
In tale scia per la determinazione del
risarcimento dei restanti danni da
occupazione illegittima, si deve fare
riferimento ai canoni comuni operanti in
tema di risarcimento del danno (arg. ex
Cassazione civile, sez. I, 11.02.2008, n.
3189) ed avendo come riferimento il valore
venale dell’immobile.
Al proprietario, per il risarcimento del
danno per l'utilizzazione illegittima del
suolo per tutto il periodo, il risarcimento
ex art. 2043 ben può essere determinato, in
via equitativa, in misura pari agli
interessi legali annualmente calcolati in
relazione al valore venale del bene
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 3137 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente, che abbia omesso di
controfirmare ogni pagina del capitolato
speciale, pur avendo dichiarato di
accettarne le clausole.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia omesso di controfirmare il
capitolato speciale in ogni sua pagina, come
richiesto dal bando, pur avendo presentato
una dichiarazione contenente l'accettazione
delle clausole del capitolato stesso, ciò in
quanto, la dichiarazione di accettazione ha
mera natura complementare, e non
sostitutiva, rispetto alla necessità di
produrre il capitolato controfirmato in ogni
pagina; detta ultima prescrizione non
costituisce un mero aggravio formale, ma
assume un contenuto sostanziale, in quanto
tale adempimento, alla stregua di un vero e
proprio atto negoziale, ha lo scopo di
garantire la stazione appaltante, in ordine
alla piena accettazione di tutte le clausole
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2011 n. 3132 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Revoca di una gara in
base ad una nuova valutazione interesse
pubblico.
E' legittima la revoca di una gara di
appalto adottata allorché la procedura
concorsuale non era ancora conclusa, che era
stata indetta in base a un bando che
legittimava l’Amministrazione appaltante a
revocare la gara in qualsiasi fase, senza
che i concorrenti avessero nulla a
pretendere, motivata con riferimento ad un
atto di indirizzo finalizzato a dare
preferenza a quelle scelte tecniche idonee a
comportare un minor dispendio di risorse;
infatti, anche prescindendo dalla clausola
appena citata, l’esercizio del potere di
revoca, in tal caso, non è legato alla sola
sopravvenienza di nuovi elementi, ma anche
ad una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario (c.d. jus poenitendi)
(massima tratta da ww.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2011 n. 3131 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Giustizia amministrativa - Organismo di
diritto pubblico - Procedure di vendita di
beni patrimoniali - Disciplina di evidenza
pubblica - Applicabilità - Giurisdizione -
Spetta al Giudice amministrativo.
2. Pubblica amministrazione - Contratti
della p.a. - Dichiarazione ex art. 38 D.lgs.
163/2006 - Omesso inserimento nel plico
dell'offerta - Costituisce mera irregolarità
sanabile - Condizioni.
1. Una volta qualificato il soggetto
appaltante quale organismo di diritto
pubblico, ne consegue l'assoggettamento alla
disciplina dell'evidenza pubblica non solo
in materia di appalti, ma anche nel diverso
caso di contratti attivi volti alla vendita
di un proprio bene patrimoniale, con
conseguente attrazione delle relative
controversie alla giurisdizione
amministrativa (Cfr., Cons. Stato, sez. VI,
19.05.2008, n. 2280).
2.
L'omesso inserimento della dichiarazione ex
art. 38, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 nel plico
dell'offerta, qualora risulti pacifica
l'inesistenza di elementi preclusivi alla
partecipazione, integra una mera
irregolarità formale, sanabile ai sensi
dell'art. 46
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di
anomalia - Discrezionalità della p.a. -
Sussiste - Giudizio - Sindacabilità -
Limiti.
2. Contratti
della p.a. - Gara - Giudizio di anomalia
dell'offerta - Giustificazioni della p.a. -
Devono essere rese nel corso del
procedimento di verifica - Giustificazioni
formulate in sede processuale -
Inammissibilità.
1. L'ampia discrezionalità delle valutazioni
compiute dalla pubblica amministrazione
nell'esercizio dei poteri di verifica di
anomalia di un'offerta, non è assoluta
potendo le stesse essere sindacate in sede
giurisdizionale laddove emergano elementi
distonici tali da indurre a ritenere che il
potere valutativo attribuito sia stato
esercitato in contrasto con i canoni di
logicità, congruità, proporzionalità e
ragionevolezza. (Cfr., Cons. Stato, sez. V,
22.09.2009, n. 5642; id., sez. IV, 11.04.2007 n. 1658; id., sez. V, 20.09.2005 n. 4856; id., sez. VI,
07.09.2006 n. 5191).
2. Le giustificazioni delle offerte anomale
devono essere proposte nell'ambito del
procedimento amministrativo di verifica e
non possono essere articolate, per la prima
volta, nel corso del giudizio di
impugnazione. (Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4494)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1320 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Responsabilità civile (extracontrattuale)
della p.a. - Danno da attività
provvedimentale illegittima - Elemento
soggettivo - Accertamento - Onere probatorio
del privato - Ricorso a presunzioni semplici
- Ammissibile - Possibilità per la p.a. di
dimostrare l'assenza di colpa per errore
scusabile - Sussiste - Presupposti.
Il particolare modo di atteggiarsi
dell'elemento psicologico, qualora il
soggetto agente sia una pubblica
amministrazione, non richiede al privato
danneggiato l'assolvimento di particolari
oneri probatori, potendosi, in ultima
analisi, risolvere nel richiamo o
nell'applicazione di presunzioni semplici di
cui all'art. 2727 cod. civ..
Residua,
tuttavia, all'Amministrazione la possibilità
di dimostrare che si è trattato di un errore
scusabile, configurabile in caso di
contrasti giurisprudenziali
sull'interpretazione di una norma, di
formulazione incerta di norme da poco
entrate in vigore, di rilevante complessità
del fatto (Cfr., Cons. Stato, sez. VI,
09.06.2008, n. 2751)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Contratti
della p.a. - Appalto di servizi -
Utilizzabilità da parte dell'aggiudicatario
di personale costituito in via esclusiva da
prestatori d'opera professionale -
Limitazioni.
Deve escludersi la possibilità che
l'affidatario di un appalto pubblico di
servizi si avvalga, in via pressoché
esclusiva, di personale rappresentato da
prestatori d'opera professionale, laddove si
tratti di eseguire prestazioni continuative,
predeterminate e ripetitive: attività che,
nella sostanza, rappresentano un aspetto
dell'inserimento del lavoratore
nell'organizzazione aziendale, destinataria
delle sue energie lavorative (Cfr., TAR
Lazio Roma, sez. III, 01.07.2010, n. 22058)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1314 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. - Appalto - "Taglio
delle ali" - Art. 86, comma 1, D.lgs.
163/2006 - Individuazione della soglia di
anomalia - Esclusione automatica delle
offerte oltre soglia - Inammissibilità -
Vaglio di congruità ai fini
dell'aggiudicazione - Necessità.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara -
Clausola comminante l'esclusione in ragione
della mancata presentazione delle
giustificazione preventive dell'anomalia
dell'offerta - Illegittimità - Ragioni.
1.
Salva diversa previsione contenuta nel bando
di gara, il c.d. "taglio delle ali",
previsto dall'art. 86, comma 1, D.lgs.
12.04.2006, n. 163 ha la finalità,
unitamente ad altri elementi, di individuare
esclusivamente la soglia di anomalia delle
offerte e non di escludere automaticamente
dalla gara le imprese che abbiano presentato
offerte ricadenti nel c.d. "taglio";
ne consegue che le offerte che si situano
oltre la fissata soglia di anomalia devono
essere assoggettate al vaglio di congruità
ai fini dell'aggiudicazione (Cfr., TAR Lazio
Latina, sez. I, 10.11.2010, n. 1872; TAR
Puglia Lecce, sez. III, 10.06.2009, n.
1460).
2.
Deve ritenersi illegittima, in quanto
vessatoria, la clausola di un bando di gara
che imponga a pena di esclusione la
presentazione in via preventiva delle
giustificazioni dell'eventuale anomalia
dell'offerta presentata, in quanto tali
giustificazioni, ove non ritenute
sufficienti ad escludere l'incongruità
dell'offerta, debbono necessariamente essere
integrate su richiesta della stazione
appaltante.
In altri termini, le giustificazioni
preventive non possono assurgere a requisito
di partecipazione alla gara a pena di
esclusione (Cfr., TAR Abruzzo Pescara, sez.
I, 11.05.2009, n. 332)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1312 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Contratti della p.a - Procedura di affidamento del servizio
di prelievo, trasporto, trattamento e/o
smaltimento dei rifiuti - Non costituisce
servizio pubblico locale - Conseguenze -
Art. 23-bis D.L. 112/2008 - Inapplicabilità.
Il servizio di prelievo, trasporto,
trattamento e/o smaltimento dei rifiuti
prodotti dall'impianto di depurazione delle
acque reflue, non è qualificabile quale
servizio pubblico locale, e
conseguentemente, non è soggetto alla
disciplina dettata dall'art. 23-bis, del
D.L. n. 112/2008 costituendo, invece,
attività rimessa alle libere dinamiche di
mercato.
L'ambito di operatività del citato
art. 23-bis riguarda, infatti, l'affidamento
e la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, nell'intento di
garantire, da una parte, la più ampia
diffusione dei principi di concorrenza e,
dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti,
sicché non trova applicazione laddove il
servizio dedotto in contratto non sia
qualificabile come servizio pubblico locale
(Fattispecie relativa ad una procedura
aperta per l'affidamento del servizio di
prelievo, trasporto e smaltimento finale con
recupero in agricoltura dei fanghi derivanti
dal trattamento di acque reflue urbane)
(Cfr., Cons. Stato, sez. V, 01.04.2011,
n. 6033 che riforma TAR Lombardia Milano,
16.06.2010, n. 1845)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il "servizio di
prelievo, trasporto, trattamento e/o
smaltimento dei rifiuti prodotti
dall'impianto di depurazione delle acque
reflue", non è qualificabile quale servizio
pubblico locale.
Il "servizio di prelievo, trasporto,
trattamento e/o smaltimento dei rifiuti
prodotti dall'impianto di depurazione delle
acque reflue", non è qualificabile quale
servizio pubblico locale, e
conseguentemente, non è soggetto alla
disciplina dettata dall'art. 23-bis D.L. n.
112/2008, costituendo invece attività
rimessa alle libere dinamiche di mercato.
L'ambito di operatività del citato art.
23-bis riguarda, infatti, l'affidamento e la
gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, nell'intento di
garantire, da una parte, la più ampia
diffusione dei principi di concorrenza e,
dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti,
sicché non trova applicazione laddove il
servizio dedotto in contratto non sia
qualificabile come servizio pubblico locale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 25.05.2011 n. 1306 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Modello GAP - Mancata
produzione - Causa di esclusione anche in
assenza di espressa clausola della lex
specialis - Art. 1, c. 5, d.l. n. 629/1982.
La mancata produzione del modello GAP è
causa di esclusione anche in assenza di
espressa clausola della lex specialis
di gara; l'obbligo di produzione è infatti
imposto dalla norma imperativa di cui
all'articolo 1, comma 5, del d.l. n.
629/1982 (in tal senso, si vedano, fra
altre: Tar Palermo, III, sentenza n. 1173
del 23.04.2007; Tar Catania, IV, sentenza n.
1 del 07.01.2010, confermata dal Cga con
ordinanza cautelare n. 212 del 16.03.2010;
ancora Tar Catania, IV, sentenza 28.10.2010,
n. 4249; Idem, sentenza n. 4624 del
07.12.2010, ed ivi ulteriori citazioni di
precedenti giurisprudenziali) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 25.05.2011 n. 1279 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Bellagamba,
Project financing: l’ingessatura rimossa dal
“decreto sviluppo” (link a
www.linobellagamba.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Bellagamba,
Le innovazioni recate dal “decreto
sviluppo” alla finanza di progetto e
alla locazione finanziaria (leasing in
costruendo): il problema di una scelta
corretta “a monte” (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
R. Caponigro,
Valutazione delle offerte e verifica delle
anomalie (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Graziano,
Note minime in tema di inefficacia del
contratto d’appalto nel Codice del processo
amministrativo (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
DURC ED EFFICACIA DELLA DEFINITIVA
AGGIUDICAZIONE - La previsione di cui
all’art. 6, comma 3, lett. b), del
regolamento attuativo del codice e
l’ordinamento degli enti locali
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
Poteri ampi al Prefetto
nell'accertamento dell'infiltrazione
mafiosa.
Contratti della pubblica
amministrazione – Informative antimafia di
cui all’art. 10 del d.p.r. 252/1998 – Ampi
poteri di accertamento del Prefetto –
Conseguenze in relazione al contenuto delle
informative.
Nel rendere le
informazioni antimafia di cui all’art. 10
del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto, visti
gli ampi poteri di accertamento di cui
dispone, deve effettuare la propria
valutazione sulla scorta di un quadro di
indizi sufficientemente chiaro, preciso e
non arbitrario, ove assumono rilievo
preponderante i fattori induttivi della non
manifesta infondatezza che i comportamenti e
le scelte dell'imprenditore possano
rappresentare un veicolo di infiltrazione
delle organizzazioni criminali negli appalti
delle pubbliche amministrazioni.
Il caso.
Un’impresa edile aveva partecipato, in
qualità di mandante di un raggruppamento
temporaneo di imprese, ad una gara per
l’appalto di lavori pubblici indetta dalla
Provincia di Reggio Calabra e tale
raggruppamento era risultato aggiudicatario
della procedura.
Tuttavia, nelle more della stipulazione del
relativo contratto, la stazione appaltante
aveva comunicato al RTI un’informativa
antimafia, emanata dalla Prefettura di
Reggio Calabria ai sensi dell’art. 10, comma
2, del D.P.R. 03.06.1998 n. 252. Da questa
nota si evinceva -tra l’altro– che dalle
verifiche disposte dal Prefetto erano emersi
elementi concernenti tentativi
d’infiltrazione mafiosa in ordine alla
posizione della mandante del raggruppamento.
Conseguentemente, al fine di consentire al
RTI il prosieguo della partecipazione alla
procedura di selezione, la stazione
appaltante aveva intimato alla società
capogruppo del raggruppamento di
estromettere dalla sua compagine l’impresa
mandante o, comunque, di sostituirla.
Il titolare della ditta interessata
dall’informativa prefettizia presentava
ricorso dinanzi al TAR Calabria, impugnando
–sotto vari profili– tanto gli atti della
Prefettura quanto quelli adottati dalla
stazione appaltante. In particolare, veniva
denunciata la violazione dell’art. 10 comma
2 del d.p.r. n. 252/1998 sul rilievo che nel
caso di specie non sussistevano circostanze
concrete dalle quali emergeva il tentativo
di infiltrazione mafiosa in quanto il
Prefetto aveva fondato il pericolo di
infiltrazione su meri elementi di fatto e
circostanze prive di rilievo.
Con sentenza n. 202/2007, il TAR Calabria
respingeva il ricorso evidenziando che la
normativa sulle informative antimafia
privilegia una concezione della pericolosità
in senso oggettivo, la quale prescinde
quindi dalla individuazione di
responsabilità personali. In quest’ottica,
pertanto, le informative prefettizie di cui
all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998 non
devono provare l’intervenuta infiltrazione,
essendo invece sufficiente che dimostrino la
sussistenza di elementi dai quali sia
deducibile il tentativo di ingerenza. In
altri termini, è sufficiente che
l’informativa sia supportata da elementi
sintomatici o da mere presunzioni, in grado
di far emergere elementi di “pericolosità
presunta”.
La decisione.
Con la
sentenza 23.05.2011 n. 3104, il
Consiglio di Stato, Sez. III, ha rigettato
il ricorso in appello, confermando la
validità delle statuizioni rese dal TAR
Calabria.
Al riguardo, il giudice amministrativo ha
affermato che nel rendere le informative di
cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il
Prefetto effettua una valutazione basata su
quadro di indizi sufficientemente chiaro,
preciso e non arbitrario, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti pubblici.
In altri termini, l’ampiezza dei poteri di
accertamento consente al Prefetto di
ravvisare l’emergere di tentativi di
infiltrazione mafiosa anche in fatti di per
sé privi dell'assoluta certezza (es.
condanna non irrevocabile, collegamenti
parentali con soggetti malavitosi,
dichiarazioni di pentiti, ecc.), ma che
comunque risultano idonei a fondare, nel
loro complesso, un giudizio di possibilità
che l'attività d’impresa agevoli anche
indirettamente le attività criminali o ne
sia in qualche modo condizionata. Ciò in
quanto –sottolinea il Consiglio di Stato- la
ratio sottesa all’informativa in
questione è espressione della logica di
anticipazione della soglia di difesa sociale
ai fini di una tutela avanzata nel contrasto
alla criminalità organizzata nell’ambito
degli appalti pubblici.
Alla luce di tali criteri, il Consiglio di
Stato ha rilevato la correttezza della
sentenza impugnata, avendo quest’ultima
correttamente chiarito come il Prefetto
abbia dedotto la situazione di pericolo di
infiltrazione mafiosa da un complesso
unitario di elementi gravi, precisi e
concordanti (tra cui anche vicende
penalmente rilevanti).
Ed infatti, nel caso di specie l’inferenza
della pericolosità muove dalla circostanza
che una serie di fatti, indubbiamente non
isolati, concorrono reiteratamente ad
integrare un pericolo contro il quale
risulta doveroso l’approntamento della
tutela anticipata cui è preordinata
l’informativa prefettizia (commento tratto
da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel rendere le
informazioni antimafia il Prefetto, che ha
ampi poteri di accertamento, deve effettuare
la propria valutazione sulla scorta di un
sufficientemente chiaro, preciso e non
arbitrario quadro di indizi.
Ai fini della corretta applicazione
dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus
receptum che le situazioni relative ai
tentativi d'infiltrazione mafiosa vanno
desunte o da provvedimenti che dispongano
una misura cautelare o il giudizio, o che
rechino una condanna anche non definitiva
per taluno dei delitti di cui agli artt.
629, 644, 648-bis e 648-ter, c.p. o
dall'art. 51, c. 3-bis, c.p.p., oppure dagli
accertamenti disposti dal Prefetto
nell'esercizio di autonomi poteri o su
richiesta di altri Prefetti.
Pertanto, nel rendere le informazioni
antimafia, il Prefetto non deve basarsi su
specifici elementi, ma effettua la propria
valutazione sulla scorta di uno
sufficientemente chiaro, preciso e non
arbitrario quadro di indizi, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti delle pubbliche
amministrazioni.
L'ampiezza dei poteri di accertamento,
giustificata dalla finalità preventiva
sottesa all'informativa, consente al
Prefetto di ravvisare l'emergenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o
non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta
certezza (p.es., condanna non irrevocabile,
collegamenti parentali con soggetti
malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.),
seppur tali da fondare, nel loro complesso
coordinato, un giudizio di possibilità che
l'attività d'impresa, anche in maniera
indiretta, agevoli le attività criminali o
ne sia in varia guisa condizionata
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 23.05.2011 n. 3104 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Nelle
gare pubbliche le regole stabilite dalla lex
specialis vincolano rigidamente anche
l’amministrazione, che è tenuta ad
applicarle senza alcun margine di
discrezionalità a garanzia della par
condicio dei concorrenti, con la conseguenza
che le clausole di un bando di gara devono
essere necessariamente interpretate, nel
rispetto dei principi fissati dagli artt.
1362 e ss. c.c., dando prevalenza alle
espressioni letterali e restando preclusa
qualsiasi forma di interpretazione analogica
o estensiva, eventualmente finalizzata a
consentire la più ampia partecipazione
possibile, opzione che può ammettersi solo
in presenza di clausole equivoche o di
imperfetta formulazione.
La Sezione osserva che la questione
controversa consiste nello stabilire
l’esatta interpretazione del contenuto della
autodichiarazione di cui al predetto punto 5
del disciplinare di gara ed in particolare
se per “forniture” effettuate negli
ultimi tre anni deve intendersi la fornitura
specifica di filobus, come ha
sostanzialmente ritenuto l’amministrazione,
ovvero se si riferisca a forniture in
generali, comunque attinenti i mezzi di
trasporto urbano, come sostanzialmente
sostiene l’appellante.
Ai fini del corretto svolgimento
dell’operazione ermeneutica deve
innanzitutto tenersi conto del consolidato
indirizzo giurisprudenziale secondo cui
nelle gare pubbliche le regole stabilite
dalla lex specialis vincolano
rigidamente anche l’amministrazione, che è
tenuta ad applicarle senza alcun margine di
discrezionalità a garanzia della par
condicio dei concorrenti (ex multis,
C.d.S., sez. V, 02.08.2010, n. 5075;
29.01.2009, n. 498), con la conseguenza che
le clausole di un bando di gara devono
essere necessariamente interpretate, nel
rispetto dei principi fissati dagli artt.
1362 e ss. c.c. (notoriamente applicabili
anche agli atti amministrativi), dando
prevalenza alle espressioni letterali e
restando preclusa qualsiasi forma di
interpretazione analogica o estensiva,
eventualmente finalizzata a consentire la
più ampia partecipazione possibile, opzione
che può ammettersi solo in presenza di
clausole equivoche o di imperfetta
formulazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3100 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sono
legittime le determinazioni delle
amministrazioni appaltanti che, allo scopo
di ottenere la dimostrazione della capacità
economica, finanziaria e dei tecnica dei
partecipanti, limitano l’ammissione ai soli
concorrenti che abbiano svolto servizi
identici a quelli dell’appalto nei tre anni
precedenti.
La
giurisprudenza di questo consesso ha più
volte ribadito la legittimità delle
determinazioni delle amministrazioni
appaltanti che, allo scopo di ottenere la
dimostrazione della capacità economica,
finanziaria e dei tecnica dei partecipanti,
limitano l’ammissione ai soli concorrenti
che abbiano svolto servizi identici a quelli
dell’appalto nei tre anni precedenti
(C.d.S., sez. V, 29.03.2006, n. 1599;
15.02.2001, n. 919; 06.08.2001, n. 4237, sia
pur riferite alle disposizioni di cui agli
artt. 13 e 14 del d.lgs. 17.03.1995, n. 157)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3100 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La regola per cui la
nomina della commissione giudicatrice deve
avere luogo dopo che è spirato il termine
per la presentazione delle offerte tende ad
evitare che vi possano essere, con la
preventiva conoscenza dei nominativi dei
commissari, inaccettabili contatti e
collusioni dei candidati con gli stessi
commissari, per cui la medesima regola
assurge a preventiva salvaguardia della
regolarità del procedimento e non può essere
considerata come una privativa degli
appalti, non essendovi alcuna differenza in
ordine all’esame delle offerte con la
concessione; anzi, la concessione di
servizi, per la maggiore informalità del suo
procedimento, presenta, se si vuole, aspetti
ancora più evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali.
La regola per cui la nomina della
commissione giudicatrice deve avere luogo
dopo che è spirato il termine per la
presentazione delle offerte tende (almeno
astrattamente) ad evitare che vi possano
essere, con la preventiva conoscenza dei
nominativi dei commissari, inaccettabili
contatti e collusioni dei candidati con gli
stessi commissari, per cui la medesima
regola assurge a preventiva salvaguardia
della regolarità del procedimento e non può
essere considerata come una privativa degli
appalti, non essendovi alcuna differenza in
ordine all’esame delle offerte con la
concessione; anzi, la concessione di
servizi, per la maggiore informalità del suo
procedimento, presenta, se si vuole, aspetti
ancora più evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali.
Da ciò la considerazione per la quale il
Collegio condivide il presupposto indicato
dal Tribunale amministrativo regionale in
ordine al fatto che, al di là di una
specifica normativa che ricomprenda anche le
concessioni di servizi nell’ambito della
regolamentazione degli appalti, l’art. 30
del decreto legislativo n. 163 del 2006, pur
derogando, relativamente alle concessioni di
servizi, alle altre disposizioni del
medesimo provvedimento, non tocchi di quel
medesimo provvedimento quelli che possono
individuarsi come principi generali di un
giusto procedimento, e tra essi vi è, per le
ragioni prima esplicitate, quello della
nomina della commissione dopo che è scaduto
il termine per la presentazione delle
offerte (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3086 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Si applica anche alle di
concessione di servizi la regola secondo cui
la nomina della commissione di gara deve
avere luogo dopo la scadenza del temine per
la presentazione delle offerte.
La regola per cui la nomina della
commissione giudicatrice deve avere luogo
dopo che è spirato il termine per la
presentazione delle offerte tende (almeno
astrattamente) ad evitare che vi possano
essere, con la preventiva conoscenza dei
nominativi dei commissari, inaccettabili
contatti e collusioni dei candidati con gli
stessi commissari, per cui la medesima
regola assurge a preventiva salvaguardia
della regolarità del procedimento e non può
essere considerata come una privativa degli
appalti, non essendovi alcuna differenza in
ordine all'esame delle offerte con la
concessione; anzi, la concessione di
servizi, per la maggiore informalità del suo
procedimento, presenta, se si vuole, aspetti
ancora più evidenti di mancanza di garanzie
procedimentali (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3086 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
mancata dettagliata indicazione nei verbali
di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce, di per sé, motivo
di illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata un'alterazione della
documentazione.
Il rigoroso orientamento giurisprudenziale
secondo il quale la tutela dell’integrità
dei plichi contenenti gli atti di gara deve
essere assicurata in astratto, e sarebbe
quindi sufficiente che la documentazione di
gara sia stata sottoposta a rischio di
manomissione per ritenere invalide le
operazioni di gara, non può essere seguito
quando in concreto non sia stato fornito
alcun principio di prova della eventuale
manomissione dei plichi o quanto meno di un
concreto pericolo di manomissione.
La Sezione ritiene di dover ribadire le
proprie recenti enunciazioni (decisione
22.02.2011, n. 1094) secondo le quali:
- la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce, di per sé, motivo
di illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata un'alterazione della
documentazione (cfr. sezione IV, 05.10.2005,
n. 5360; sez. V, 20.09.2001, n. 4973;
10.05.2005, n. 2342; 25.07.2006, n. 4657);
- il rigoroso orientamento giurisprudenziale
secondo il quale la tutela dell’integrità
dei plichi contenenti gli atti di gara deve
essere assicurata in astratto, e sarebbe
quindi sufficiente che la documentazione di
gara sia stata sottoposta a rischio di
manomissione per ritenere invalide le
operazioni di gara (Consiglio Stato, Sezione
V, 06.03.2006, n. 1068 e 21.05.2010, n.
3203), non può essere seguito quando in
concreto non sia stato fornito alcun
principio di prova della eventuale
manomissione dei plichi o quanto meno di un
concreto pericolo di manomissione
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3079 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: I
principi di pubblicità e trasparenza delle
sedute della commissione di gara non sono
assoluti, ma, appunto, derogabili dalla lex
specialis, la quale, ove trattisi di gara
svolta con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, ben può –e,
anzi, deve- prevedere la valutazione in
seduta riservata dell'offerta tecnica, e,
per esigenze di economicità della procedura,
può altresì prevedere (anche per implicito)
che tanto sia effettuato previa apertura
delle relative buste nel corso della stessa
seduta.
L'obbligo inderogabile di pubblicità delle
sedute delle commissioni di gara riguarda
infatti esclusivamente la fase dell'apertura
dei plichi contenenti la documentazione
amministrativa e l'offerta economica dei
partecipanti, e non anche la fase di
apertura e valutazione delle offerte
tecniche.
La
giurisprudenza ammette che il principio di
pubblicità della gara possa essere derogato
allorché si debba procedere, da parte della
commissione, ad una specifica valutazione
tecnica delle offerte, specie quando si
debba aggiudicare con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
(cfr. Sez. IV, 05.04.2003, n. 1787; Sez. V,
30.05.1997, n. 576 e 27.02.2001, n. 1067).
I principi di pubblicità e trasparenza delle
sedute della commissione di gara non sono
difatti assoluti, ma, appunto, derogabili
dalla lex specialis, la quale, ove
trattisi di gara svolta con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
ben può –e, anzi, deve- prevedere la
valutazione in seduta riservata dell'offerta
tecnica, e, per esigenze di economicità
della procedura, può altresì prevedere
(anche per implicito) che tanto sia
effettuato previa apertura delle relative
buste nel corso della stessa seduta.
L'obbligo inderogabile di pubblicità delle
sedute delle commissioni di gara riguarda
infatti esclusivamente la fase dell'apertura
dei plichi contenenti la documentazione
amministrativa e l'offerta economica dei
partecipanti, e non anche la fase di
apertura e valutazione delle offerte
tecniche (si vedano, tra le più recenti,
Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010, n. 7470;
14.10.2009, n. 6311; 11.05.2007 n. 2355;
cfr. anche 13.07.2010, n. 4520)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3079 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Tutti i soggetti che a
qualunque titolo concorrano a pubblici
appalti devono non solo essere in possesso
dei requisiti previsti dalla legge ma anche
dichiararlo.
L’art. 49, co. 2, lett. c), del codice dei
contratti pubblici, onera l’impresa che
concorre ad una gara di appalto di allegare
una <<dichiarazione sottoscritta da parte
dell’impresa ausiliaria attestante il
possesso da parte di quest’ultima dei
requisiti generali di cui all’art. 38>>.
La chiarezza della norma e la sua ratio,
inducono la sezione a non discostarsi dal
consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo cui tutti i soggetti che a qualunque
titolo concorrono a pubblici appalti (in
veste di affidatari, sub affidatari,
consorziati, componenti di a.t.i., ausiliari
in sede di avvalimento), devono non solo
essere in possesso dei requisiti previsti
dall’art. 38 cit., ma anche dichiararlo,
assumendosi le relative responsabilità (cfr.
da ultimo Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n.
3759; ad. plen., 15.04.2010, n. 2155, cui si
rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3077 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La richiesta di
regolarizzazione documentale non può essere
formulata dalla stazione appaltante se vale
ad integrare documenti che in base a
previsioni univoche del bando o della
lettera di invito avrebbero dovuto essere
prodotte a pena di esclusione.
La richiesta di
regolarizzazione non può essere formulata
dalla stazione appaltante se vale ad
integrare documenti che in base a previsioni
univoche del bando o della lettera di invito
avrebbero dovuto essere prodotte a pena di
esclusione; che è quanto accaduto nel caso
di specie dove non si può configurare alcun
margine di ambiguità che renda ammissibile
la richiesta di integrazione intesa come
riflesso della responsabilità
dell’amministrazione e non come
ingiustificato strumento diretto a
promuovere indistintamente una più ampia
partecipazione alle gare in una logica
collaborativa fra l’amministrazione e le
imprese interessate che appare travalicare i
limiti imposti dall’antagonista principio di
formalità vigente in materia di procedimenti
concorsuali.
Oltretutto in tal modo si finirebbe per
addivenire ad una inammissibile
disapplicazione di provvedimenti
autoritativi, al di fuori di qualsiasi
previsione normativa espressa, da parte
della p.a. prima e del giudice
amministrativo poi .
A diverse conclusioni non si giunge pur
volendo considerare, per assurdo,
inesistente, ovvero di portata ambigua ed
incompleta, la clausola della lex
specialis (si ribadisce mai impugnata
dalla ditta), che comminava l’esclusione per
il caso di omessa dichiarazione.
Anche in questo caso, infatti,
l’amministrazione non ha l’obbligo
inderogabile di invitare i concorrenti a
regolarizzare la documentazione esibita, ma
ha soltanto la facoltà, nell’ambito dei
propri poteri discrezionali, di rivolgere
detto invito se ritenuto confacente con
l’irregolarità riscontrata, con i tempi del
procedimento e nel rispetto del principio
della parità di trattamento.
Sotto tale angolazione si è affermato che:
a) il mancato esercizio di tale facoltà è
insindacabile da parte del giudice
amministrativo, salvo il limite della
abnormità;
b) il suo esercizio in concreto non può
determinare una alterazione della par
condicio delle imprese, attraverso una
modifica dell’offerta incidente su elementi
o formalità essenziali della stessa;
c) può riguardare solamente documenti già
presentati ma non dichiarazioni o
documentazioni omesse, trovando altresì un
limite temporale nel termine perentorio
individuato dal bando per la presentazione
delle offerte e del relativo corredo
documentale
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3077 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L’approvazione di un
progetto di opera pubblica equivale ex lege
a dichiarazione di pubblica utilità, nonché
indifferibilità ed urgenza dei relativi
lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge
03.01.1978, n. 1, solo allorquando l’opera
stessa sia conforme alle previsioni del
vigente strumento urbanistico, con la
conseguenza che laddove tale conformità
difetta il progetto stesso deve essere
approvato in variante al piano regolatore,
ai sensi del comma 5, del citato articolo 1
della legge 03.01.1978, n. 1, dal competente
consiglio comunale.
L’approvazione di un progetto di opera
pubblica equivale ex lege a
dichiarazione di pubblica utilità, nonché
indifferibilità ed urgenza dei relativi
lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge
03.01.1978, n. 1, solo allorquando l’opera
stessa sia conforme alle previsioni del
vigente strumento urbanistico, con la
conseguenza che laddove tale conformità
difetta il progetto stesso deve essere
approvato in variante al piano regolatore,
ai sensi del comma 5, del citato articolo 1
della legge 03.01.1978, n. 1, dal competente
consiglio comunale (C.d.S., sez. IV,
16.03.2010, n. 1540; 17.12.2003, n. 8264).
Poiché nel caso di specie difettava proprio
la conformità urbanistica del progetto da
realizzare la dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza dei
relativi lavori, quest’ultima è divenuta
efficace, e dunque capace di svolgere tutti
i suoi effetti propri, solo con l’effettiva
approvazione della variante urbanistica
(adottata con la delibera consiliare n. 52
del 27.10.1993 ed approvata dalla Regione
Lombardia con la delibera di giunta n.
V/54150 del 21.06.2004).
Pertanto non sussiste il dedotto vizio di
violazione degli articoli 7 e seguenti della
legge 07.08.1990, n. 241: infatti, la
necessità che l’approvazione di progetti di
opere pubbliche equivalente a dichiarazione
di pubblica utilità, urgenza ed
indifferibilità dei lavori, ai sensi
dell’articolo 1 della legge 03.01.1978, n.
1, sia preceduta dalla comunicazione di
avvio del procedimento (tra le più recenti,
C.d.S., sez. IV, 08.06.2007, n. 2999;
22.03.2005, n. 1236) si ricollega alla
immediata efficacia della dichiarazione
stessa che consegue solo alla conformità
urbanistica del progetto di opera pubblica
approvato, laddove le garanzie partecipative
risultano pienamente assicurate, come nel
caso di specie, con l’adempimento delle
formalità previste per il procedimento di
approvazione della variante urbanistica
(deposito della delibera di adozione della
variante nella segreteria comunale, adeguata
pubblicità del deposito stesso nel B.U.R.L.,
possibilità di proporre osservazioni e
opposizioni al progetto di variante
urbanistica), allorquando il progetto
approvato comporta una variante al piano
regolatore (con conseguente approvazione del
progetto ai sensi del comma 5 dell’articolo
1 della legge 03.01.1978, n. 1)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2011 n. 3075 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La commissione
giudicatrice di una gara di appalto si
esaurisce solo con l’aggiudicazione.
La specifica funzione di cui è investita la
commissione giudicatrice di una gara di
appalto si esaurisce solo allorquando il
competente organo della stazione appaltante
fa proprio, approvandolo, il lavoro della
commissione stessa, procedendo quindi
all’aggiudicazione della gara o comunque
alla conclusione del procedimento.
Di conseguenza, fino alla trasmissione degli
atti all’organo competente alla loro
approvazione la commissione può, ed anzi
deve, correggere gli eventuali errori nei
quali sia incorsa, così dando attuazione al
principio di legalità (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 20.05.2011 n. 2999 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Requisiti
di ordine fiscale.
Il TAR Puglia-Lecce, Sez. III, nella
sentenza 20.05.2011 n. 883, ha
affermato che: "Alla luce della nuova
normativa, introdotta dal Codice dei
contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006),
emerge che la violazione fiscale provoca
l'esclusione dalla gara allorquando sia
"definitivamente accertata", vale a dire sia
divenuta incontestabile per decisione
giurisdizionale o per intervenuta
inoppugnabilità. Solo allora, infatti,
l'inadempimento tributario è indicativo del
mancato rispetto degli obblighi relativi al
pagamento di imposte e tasse".
Il requisito della "regolarità fiscale"
è stato interessato da un'importante
modificazione, introdotta dal recente
decreto legge n. 79/2011 ("decreto sviluppo)
e confermata anche in sede di conversione in
legge. Precisamente, il decreto sviluppo ha
introdotto le seguenti modificazioni:
1) le violazioni in materia fiscale, ai fini
dell'esclusione, devono essere gravi. E'
stato aggiunto, quindi, l'aggettivo "grave"
al testo della disposizione normativa;
2) il 2° comma del novellato articolo 38
stabilisce che si intendono gravi le
violazioni che comportano un omesso
pagamento di imposte e tasse per un importo
superiore all'importo di cui all'articolo
48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R.
29.09.1973, n. 602. Attualmente, l'importo è
pari ad € 10.000,00.
Nella recentissima sentenza del Tar
Sardegna, sez. I, n. 519 del 26.05.2011, è
stato già richiamato ed applicato il decreto
sviluppo in tema di violazioni fiscali.
Precisamente, il tribunale amministrativo ha
evidenziato che la ratio della
disposizione in esame è chiara e risponde
all'esigenza di garantire l'amministrazione
relativamente alla solvibilità e solidità
finanziaria del soggetto con il quale
contrarre e che tale norma è direttamente
attuativa dell'articolo 45 della direttiva
2004/18, la quale è palesemente diretta ad
appurare la sussistenza dei presupposti di
generale solvibilità dell'eventuale futuro
contraente della Pubblica amministrazione.
Secondo il Tar, dalla lettura delle due
disposizioni normative (europea e nazionale)
e della giurisprudenza correlata, si desume
il principio che il giudizio, in ordine
rispetto degli obblighi relativi al
pagamento delle imposte, debba strutturarsi
con un concreto accertamento della globale
regolarità, sul piano tributario,
dell'impresa partecipante alla gara e non,
piuttosto, sul mero riscontro della
sussistenza di singole e isolate omissioni.
Per sostenere la bontà di tale assunto, il
Tar segnala che: "significativo, in
materia, è l'orientamento del legislatore
"correttivo" (de jure condendo), che
recepisce proprio l'esigenza e
l'orientamento di restringere le ipotesi di
esclusione per la lettera "g" alle sole
ipotesi "gravi" (cfr. art. 4, punto 1.5 del
D.L. n. 70 del 13.05.2011 "Semestre Europeo,
prime disposizioni urgenti per l'economia).
In definitiva anche la valutazione dei
requisiti di cui all'art. 38, lett. "g"
(anteriormente alla modifica, poi
intervenuta) deve essere comunque svolta
alla stregua del canone della
"ragionevolezza", tenendo presenti le
finalità a cui la norma è preordinata.
Laddove si riscontrino delle situazioni di
non grave consistenza, ovvero delle
situazioni da cui emerga l'intento non
elusivo delle regole (in tal senso deve
essere interpretata la volontà di effettuare
il pagamento dei tributi a fronte della
concessa rateizzazione), spetta alla
stazione appaltante un giudizio sulla
meritevolezza del soggetto aspirante
contraente. Ed il giudizio non può essere
limitato al mero riscontro della sussistenza
di pendenze tributarie contenute nei
certificati". In merito a tale recentissima
modificazione, occorre ricordare che, anche
prima, si assisteva ad un dibattito, avente
ad oggetto proprio la necessità che la
stazione appaltante ponga in essere
un'indagine volta ad accertare e valutare
l'entità della violazione fiscale.
Infatti, accanto ad una giurisprudenza
maggioritaria, che sosteneva, a fronte del
tenore letterale della norma,
l'insussistenza di tale potere (Il
legislatore ha imposto, all'art. 38, lett.
g), del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito
di partecipazione alle pubbliche gare
d'appalto, l'assenza di qualsivoglia
pendenza fiscale; tanto a prescindere
dall'entità del debito e da ogni valutazione
di gravità dell'inadempienza, ciò a
differenza del parallelo requisito
dell'assenza di pregiudizi penali per i
quali la legge utilizza il termine gravi
reati" (Tar Piemonte, sez. I, n.
3129/2010; CdS, sez. V, n. 6325/2009), si
era sviluppato un diverso indirizzo.
Precisamente, si affermava che "La
presenza di violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana, non integra una
fattispecie di esclusione automatica
dell'impresa concorrente che le ha commesse,
a prescindere dalla loro valutazione in
concreto" (Tar Lombardia, sez. Brescia
II, n. 2305/2010). Il contrasto, quindi, è
stato risolto nel segno dell'attribuzione
alla stazione appaltante di un potere
valutativo, attraverso l'aggiunta "gravi",
eliminando ogni ipotesi di esclusione
automatica (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della
revoca di aggiudicazione di una gara
d'appalto, ad un concorrente che abbia
commesso violazioni relative agli obblighi
fiscali di cui all'art. 38, c. 1, del d.lgs.
n. 163/2006, in quanto non definitivamente
accertate.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del
d.lgs. n. 163/2006, i soggetti che abbiano
commesso violazioni dei doveri relativi al
pagamento di imposte e di tasse,
definitivamente accertati, sono esclusi
dalla partecipazione alle gare di appalto.
Secondo la circolare n. 34/E del 25.05.2007,
emanata dall'Agenzia delle Entrate, che ha
fornito gli indirizzi operativi ai propri
uffici locali in merito alle modalità di
attestazione della regolarità fiscale delle
imprese partecipanti a procedure di
aggiudicazione di appalti pubblici, alla
luce della nuova normativa introdotta dal
d.lgs. 163/2006, emerge che la violazione
fiscale provoca l'esclusione dalla gara
allorquando sia "definitivamente
accertata", vale a dire sia divenuta
incontestabile per decisione giurisdizionale
o per intervenuta inoppugnabilità; solo
allora, infatti, l'inadempimento tributario
è indicativo del mancato rispetto degli
obblighi relativi al pagamento di imposte e
tasse.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima
la determinazione con la quale il comune ha
disposto la revoca dell'aggiudicazione nei
confronti di un consorzio, motivata
dall'affermata esistenza, a carico del
consorzio medesimo, di una causa ostativa ex
art. 38, c. 1, lett. g), d.lgs. 163/2006, in
quanto le violazioni agli obblighi fiscali
non potevano reputarsi "definitivamente
accertate" (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.05.2011 n. 883 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione ex
art. 38 d.lgs. 163/06: distinzione tra un
bando che richieda una dichiarazione
generica ed un bando più preciso che
specifichi che vanno dichiarate tutte le
condanne o tutte le violazioni.
Qualora il bando di gara richieda
genericamente una dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione
dell'art. 38, del d.lgs. n. 163/06, esso
giustifica una valutazione di gravità/non
gravità compiuta dal concorrente, sicché il
concorrente non può essere escluso per il
solo fatto dell'omissione formale, cioè di
non aver dichiarato tutte le condanne penali
o tutte le violazioni contributive; andrà
escluso solo ove la stazione appaltante
ritenga che le condanne o le violazioni
contributive siano gravi e definitivamente
accertate. La dichiarazione del concorrente,
in tale caso, non può essere ritenuta falsa.
Diversamente, nel caso in cui il bando sia
più preciso, e non si limiti a chiedere una
generica dichiarazione di insussistenza
delle cause di esclusione di cui al citato
art. 38, ma specifichi che vanno dichiarate
tutte le condanne penali, o tutte le
violazioni contributive, la dichiarazione
del concorrente deve avere un contenuto più
ampio e più puntuale rispetto a quanto
prescritto dall'art. 38 codice, all'evidente
fine di riservare alla stazione appaltante
la valutazione di gravità o meno
dell'illecito, al fine dell'esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione
non è solo quella, sostanziale, dell'essere
stata commessa una grave violazione, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 20.05.2011 n. 752 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le gare scordano i
disabili. Appalti, addio al certificato di
ottemperanza. Il decreto sviluppo ha
eliminato il documento rilasciato dalle
province.
Addio al certificato di ottemperanza alla
normativa sui disabili per le gare
d'appalto. L'articolo 4, comma 2, lettera
b), del decreto-legge 70/2011 (il cosiddetto
decreto sviluppo) ha modificato l'articolo
38, comma 1, lettera l), del dlgs 163/2006,
decretando la scomparsa della certificazione
del rispetto della legge 68/1999, di
competenza dei servizi per l'impiego
operanti presso le amministrazioni
provinciali.
La precedente formulazione della lettera l)
dell'articolo 38 prevedeva l'esclusione
dalla partecipazione agli appalti e,
comunque, il divieto di essere affidatari
delle procedure o di stipulare i contratti
conseguenti, nei confronti degli operatori
economici che non presentassero «la
certificazione di cui all'articolo 17 della
legge 12.03.1999, n. 68, salvo il disposto
del comma 2».
Pertanto, nel precedente sistema, gli
appaltatori potevano presentare in fase di
gara la dichiarazione sostitutiva dell'atto
di notorietà in merito al rispetto della
normativa sulle assunzioni di disabili, ma
le amministrazioni appaltanti, ai fini
dell'attribuzione di efficacia
all'aggiudicazione provvisoria, dovevano
acquisire dalle amministrazioni provinciali
il certificato di ottemperanza.
Il nuovo testo della lettera l)
dell'articolo 38 prevede, invece, adesso
l'esclusione e il divieto di stipulare
contratti per gli operatori economici «che
non sono in regola con le norme che
disciplinano il diritto al lavoro dei
disabili di cui alla legge 12.03.1999, n. 68».
Non si parla più, come si nota, di
presentazione di certificazione.
La differenza è sottile, ma sostanziale. Gli
appaltatori continueranno a presentare
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà attestante il rispetto della legge
69/1999, in applicazione delle norme
contenute nel dpr 445/2000, ma la loro
dichiarazione diviene definitivamente
sostitutiva di ogni certificato: dunque, né
le amministrazioni appaltanti potranno più
chiedere i certificati di ottemperanza, né
le amministrazioni provinciali saranno
tenute a emetterli.
Ai fini, allora, dei controlli della
veridicità delle dichiarazioni rilasciate
dagli appaltatori in fase di gara
relativamente al rispetto della legge
68/1999 si applica il comma 3 dell'articolo
38 del codice dei contratti: dunque, le
amministrazioni appaltanti non potranno
chiedere più il certificato di ottemperanza,
ma potranno esercitare l'accertamento
d'ufficio alle banche dati delle
amministrazioni provinciali, ai sensi
dell'articolo 43 del dpr 445/2000.
In conseguenza di ciò le amministrazioni
provinciali potranno mettere a disposizione
delle amministrazioni appaltanti l'accesso
telematico alle banche dati relative alle
aziende obbligate alla legge 68/1999.
Oppure, in mancanza di software che
permettano l'accesso online, sarà
sufficiente che l'amministrazione appaltante
richieda non l'emanazione del certificato di
ottemperanza, ma la verifica della
veridicità di quanto dichiarato
dall'appaltatore.
Le amministrazioni provinciali, dunque, non
dovranno certificare nulla, ma confermare o
meno quanto dichiarato dall'appaltatore,
entro 30 giorni dalla richiesta
dell'amministrazione appaltante (articolo
ItaliaOggi del 20.05.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un RTI
consortile, la cui impresa designata
all'esecuzione dei lavori risulti carente
dei requisiti generali inerenti alla
regolarità contributiva, previsti dall'art.
38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un RTI
consortile, la cui impresa designata
all'esecuzione dei lavori risulti
inottemperante in ordine alla regolarità
contributiva, prescritta dall'art. 38, c. 1,
del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito di
ordine generale, necessario ai fini della
partecipazione alla procedura.
Nonostante il consorzio presenti struttura
ed identità autonome rispetto a quella delle
cooperative consorziate, il possesso dei
requisiti generali e morali di cui al citato
art. 38, va verificato anche in capo alle
imprese consorziate, dovendosi ritenere
cumulabili in capo al consorzio i soli
requisiti di idoneità tecnica e finanziaria,
ai sensi dell'art. 35 del medesimo decreto.
Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza
amministrativa, mentre i requisiti di
idoneità tecnica e finanziaria devono essere
riferiti al consorzio, i requisiti generali
di partecipazione alla procedura di
affidamento previsti dall'art. 38 devono
essere posseduti dalle singole imprese
consorziate.
Inoltre, ai fini dell'aggiudicazione della
gara, non rileva la regolarizzazione
successiva della posizione previdenziale,
come avvenuto nel caso di specie, in quanto
l'impresa deve essere in regola con
l'assolvimento degli obblighi prescritti fin
dalla presentazione dell'offerta, e
conservare tale stato per tutta la durata
della procedura e del rapporto con la
stazione appaltante, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo, pena la
vanificazione della par condicio dei
concorrenti. L'opposta interpretazione
incentiverebbe le imprese alla violazione di
legge, con l'effetto vantaggioso di poter
scegliere se procedere o meno alla
regolarizzazione, in funzione dell'utile
risultato dell'aggiudicazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 19.05.2011 n. 2786 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L’esistenza di false
dichiarazioni sul possesso dei requisiti
rilevanti per l’ammissione ad una gara
d’appalto, quali la mancata dichiarazione di
sentenze penali di condanna, si configura
come causa autonoma di esclusione dalla
gara.
La riabilitazione (combinato disposto dagli
artt. 683 cpp e 178 cp) e l'estinzione del
reato (combinato disposto dagli artt. 676
cpp e 151 seg. cp) per decorso del termine
di legge devono essere giudizialmente
dichiarate, giacché il giudice di
sorveglianza nel primo caso ed il giudice
dell'esecuzione nel secondo caso sono gli
unici soggetti al quale l'ordinamento
conferisce la competenza a verificare che
siano venuti in essere tutti i presupposti e
sussistano tutte le condizioni per la
relativa declaratoria, con la conseguenza
che, in mancanza, la dichiarazione di
assenze di condanne penali equivale a
dichiarazione mendace e giustifica
l'esclusione dalla gara del concorrente che
l'abbia resa.
Considerato:
- che il punto 17, II comma, del
disciplinare di gara richiedeva all’impresa
ausiliaria, in caso di avvalimento ai sensi
dell’art. 49 del DLgs n. 163/2006, la “dichiarazione
attestante il possesso da parte di
quest’ultima dei requisiti generali di cui
all’art. 38 del DLgs 163/2006…”,
dichiarazione da rendersi “con le
modalità previste per il concorrente”
(cfr. il disciplinare, pagg. 11);
- che, giusta il punto 6, I comma, n. 8, del
disciplinare, il concorrente doveva
attestare l’insussistenza delle cause di
esclusione dalla partecipazione alla gare
d’appalto di cui all’art. 38, comma 1, del
DLgs n. 163/2006 indicando comunque tutte le
eventuali sentenze definitive, anche quelle
per le quali abbia beneficiato della non
menzione, decreti penali di condanna e
sentenze di applicazione della pena su
richiesta…;
- che in sede di controllo, ai sensi
dell’art. 71 del DPR n. 445/2000, delle
dichiarazioni sostitutive rese dai
concorrenti veniva acquisito, fra l’altro,
il certificato del casellario giudiziale
relativo al sig. ... (legale rappresentante
della ditta ..., della quale la ricorrente
si è avvalsa ai fini della partecipazione
alla gara), da cui risultava una sentenza ex
art. 444 cpp irrevocabile e non estinta,
pronuncia giudiziale di condanna, questa,
che l’interessato aveva omesso di
dichiarare;
- che la necessità, anche per il
rappresentante dell’impresa ausiliaria, di
dichiarare tutte le sentenza di condanna,
ivi comprese quelle patteggiate (con la sola
eccezione di quelle estinte e di quelle per
le quali era intervenuta la riabilitazione),
derivava inequivocabilmente dal chiaro
tenore del disciplinare di gara, il quale
stabiliva che le dichiarazioni attestanti il
possesso dei requisiti di cui all’art. 38
del codice dei contratti dovevano “essere
rese con le modalità previste per il
concorrente” e, dunque, nei termini
imposti a quest’ultimo dal punto 17, II
comma del disciplinare di gara:
- che il Collegio, in punto di diritto,
aderendo ad un consolidato e prevalente
orientamento giurisprudenziale -che afferma
che l’esistenza di false dichiarazioni sul
possesso dei requisiti rilevanti per
l’ammissione ad una gara d’appalto, quali la
mancata dichiarazione di sentenze penali di
condanna, si configura come causa autonoma
di esclusione dalla gara (cfr., da ultimo,
CdS, VI, 06.04.2010 n. 1909; V, 02.02.2010,
n. 428; TAR Veneto, I, 24.01.2011 n. 75)-,
non può esimersi dall’osservare che la
circostanza che il rappresentante legale
della ditta ... abbia oggettivamente omesso
di dichiarare i propri precedenti penali ha
senza dubbio integrato la violazione della
lex specialis di gara (è appena il
caso di osservare che quest’ultima
richiedeva qualcosa di più della mera
indicazione dei “reati gravi in danno
dello Stato o della Comunità che incidono
sulla moralità professionale” pretesa
dall’art. 38, I comma, lett. “c” del DLgs n.
163/2006, in quanto imponeva di specificare,
a pena di esclusione –sanzione, questa,
prevista dal citato art. 38, I comma,
espressamente richiamato dalla lex
specialis-, tutte le pregresse vicende
giudiziarie dei soggetti interessati,
demandando così alla stazione appaltante
ogni valutazione in ordine alla gravità del
reato e alla sua incidenza sulla moralità
professionale), comportando legittimamente
l’esclusione della ditta ricorrente da parte
della stazione appaltante, anche avuto
riguardo alla previsione di cui all’art. 75
del D.P.R. 28.12.2000 n. 445, secondo cui “il
dichiarante decade dai benefici
eventualmente conseguenti al provvedimento
emanato sulla base della dichiarazione non
veritiera” (e che giustifica pienamente,
sul piano normativo, la richiamata
prescrizione contenuta nel disciplinare);
- che l’art. 75, I comma, del D.P.R. citato,
del tutto chiaro nella formula letterale,
prescinde, infatti, per la sua applicazione
dalla condizione soggettiva del dichiarante,
attestandosi sul dato oggettivo della "non
veridicità", apprezzato ex ante e
rispetto al quale è, pertanto, irrilevante
il complesso delle giustificazioni poi
addotte dal dichiarante;
- che, peraltro, è appena il caso di
evidenziare che la riabilitazione (combinato
disposto dagli artt. 683 cpp e 178 cp) e
l'estinzione del reato (combinato disposto
dagli artt. 676 cpp e 151 seg. cp) per
decorso del termine di legge devono essere
giudizialmente dichiarate, giacché il
giudice di sorveglianza nel primo caso ed il
giudice dell'esecuzione nel secondo caso
sono gli unici soggetti al quale
l'ordinamento conferisce la competenza a
verificare che siano venuti in essere tutti
i presupposti e sussistano tutte le
condizioni per la relativa declaratoria, con
la conseguenza che, in mancanza, la
dichiarazione di assenze di condanne penali
equivale a dichiarazione mendace e
giustifica l'esclusione dalla gara del
concorrente che l'abbia resa (cfr., da
ultimo, CdS, V, 20.10.2010 n. 7581);
- che è affatto irrilevante in causa
–diversamente ne rimarrebbe leso il
principio della par condicio- la circostanza
che la dichiarazione di estinzione del reato
sia intervenuta successivamente alla
dichiarazione resa in sede di gara e,
comunque, alla scadenza del termine per la
proposizione della domanda di partecipazione
alla gara;
- che non può richiamarsi la buona fede del
ricorrente e la scusabilità dell’errore in
relazione alla circostanza che il
certificato del casellario giudiziale non
riportava alcunché a carico dei soggetti
interessati: è noto, infatti, che i
certificati del casellario rilasciati ai
privati sono incompleti, potendosi comunque
effettuare presso il competente Ufficio una
visura ai sensi dell’art. 33 del DPR n.
313/2002, da cui emerge il quadro completo
della propria situazione penale ... (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 19.05.2011 n. 836 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il non tempestivo
esercizio dei poteri pubblicistici di
gestione e tutela della strada vicinale non
comporta affatto il mutamento di
destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento
giurisprudenziale che annette all’iscrizione
delle strade nell’elenco di quelle vicinali
un effetto meramente dichiarativo e non
costitutivo, è altresì pacifico che la
mancata utilizzazione di essa da parte della
generalità degli utenti, protrattasi anche
per un lungo lasso di tempo, non depone
ex se per la cessata destinazione
all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV,
07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non
tempestivo esercizio dei poteri
pubblicistici di gestione e tutela della
strada vicinale non comporta affatto il
mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto,
consolidatasi per un lungo tempo, che palesi
in modo univoco l’impossibilità da parte
della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene
sottolineare- con specifico riguardo a
quanto ne occupa, non deve essere imputabile
all’esecuzione di opere abusive realizzate
dal privato avente interesse contrario
all’utilizzazione pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri
oggettivi risulta che la strada per cui si
discute va annoverata fra quelle vicinali:
in primo luogo, detta strada fa parte della
rete viaria che dalla strada comunale via
Mareschino conduce in località Fratin,
funzionale al transito di mezzi agricoli per
il trasporto di legnami e generi vari (cfr.,
dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà), né, ad ulteriore testimonianza
della permanenza attuale e concreta
dell’interesse pubblico all’utilizzazione di
essa da parte della collettività, va passato
sotto silenzio il fatto che la strada in
questione, inclusa negli itinerari del CAI,
è altresì funzionale alla pratica
turistico-alpina; in secondo luogo, la
preclusione all’attuale utilizzo pubblico
scaturisce non già da fattori naturali,
sedimentatisi nel tempo, bensì
esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti
ricorrente: quali la duplice apposizione di
congegni preordinati a precludere l’accesso
sia a monte che a valle della strada e la
pavimentazione di parte del suolo di
transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica
l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata
dal potere pubblicistico di cui all’art. 14
l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente
esercitato dal Comune resistente (ex
multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003
n. 23).
Infine la natura vincolata del potere
esercitato dal Comune, in ragione degli
interessi in gioco, depone nel senso che il
contenuto del provvedimento impugnato non
avrebbe potuto essere diverso da quello
adottato anche qualora fosse stato preceduto
dal contraddittorio con il ricorrente,
sollecitato a mezzo della comunicazione
d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza 19.05.2011 n. 799 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di appalti
pubblici, è insufficiente ed inadeguata la
motivazione inerente alla classifica delle
concorrenti, elaborata dalla commissione di
gara alla stregua di un punteggio numerico
globale per ciascuna impresa.
In materia di gare d'appalto, il ricorso a
giudizi espressi in numeri è sufficiente a
motivare le scelte della commissione solo
laddove nella lex specialis vi sia
una previsione sufficientemente analitica in
ordine alla divisione delle offerte in
sottovoci ancorate a parametri di
valutazione, tra un minimo ed un massimo,
tali da rendere comprensibile le ragioni di
scelta, le quali vanno differentemente
esplicitate. Pertanto, la motivazione,
ancorché in forma numerica, deve estendersi
ai sub elementi dell'offerta, così come
definiti dal bando o dalla commissione.
Pertanto, nel caso di specie, poiché la
valutazione delle offerte tecniche è stata
rappresentata da punteggi numerici
complessivi attribuiti a ciascun progetto in
gara senza l'estensione valutativa di cui si
è detto, ovvero non essendo stata espressa,
l'intera gara risulta viziata da lacune
negli aspetti motivi delle scelte operate
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.05.2011 n. 4302 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Il
provvedimento di revoca dell'aggiudicazione
–e a maggior ragione quello di revoca
dell’intera gara- richiede l'avviso di avvio
del procedimento, ogni qualvolta le
risultanze della procedura siano state
approvate e la relazione fra le parti sia
entrata già nella fase paritetica
dell'esecuzione delle prestazioni, senza
che, in tal caso, sia neppure applicabile il
disposto dell’art. 21-octies della legge n.
241/1990.
La revoca della gara costituisce
un'eccezione alla regola, in ragione di
superiori e sopravvenute esigenze di
interesse pubblico, e non può considerarsi
legittima se il mutamento di avviso ha luogo
a causa di una non meditata previa
definizione dell'oggetto del contratto. In
ogni caso, la revoca della gara
–specialmente dopo la stipula del contratto–
abbisogna di puntuale ed accurata
motivazione sulla sopravvenuta diversa
valutazione dell’interesse pubblico che ne
aveva consigliato l’indizione.
Il provvedimento di revoca
dell'aggiudicazione –e a maggior ragione
quello di revoca dell’intera gara- richiede
l'avviso di avvio del procedimento, ogni
qualvolta, come si è verificato nell’ipotesi
in esame, le risultanze della procedura
siano state approvate e la relazione fra le
parti sia entrata già nella fase paritetica
dell'esecuzione delle prestazioni, senza
che, in tal caso, sia neppure applicabile il
disposto dell’art. 21-octies della legge n.
241/1990 (C.S., V, 23.10.2007, n. 5591; TAR
Veneto, I, 15.10.2007, n. 3260; C.G.A.,
31.03.2006, n. 129; TAR Lazio, III,
01.09.2004, n. 8180).
La previa
definizione dell'oggetto della gara è un
preciso dovere delle stazioni appaltanti,
volto a garantire anche la posizione dei
partecipanti. La revoca costituisce
un'eccezione alla regola, in ragione di
superiori e sopravvenute esigenze di
interesse pubblico, e non può considerarsi
legittima se il mutamento di avviso ha luogo
a causa di una non meditata previa
definizione dell'oggetto del contratto
(C.S., V, 11.05.2009, n. 2882). In ogni
caso, la revoca della gara –specialmente
dopo la stipula del contratto– abbisogna di
puntuale ed accurata motivazione sulla
sopravvenuta diversa valutazione
dell’interesse pubblico che ne aveva
consigliato l’indizione (TAR Campania,
Napoli, I, 04.11.2010, n. 22688)
(TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 18.05.2011 n. 435 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La fissazione dei criteri idonei
all'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, ai sensi
dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice
dei contratti), rientra nella
discrezionalità della stazione appaltante.
La scelta dei criteri più adeguati per
l'individuazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del
d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti),
costituisce espressione tipica della
discrezionalità della stazione appaltante e
impingendo nel merito dell'azione
amministrativa,è sottratta al sindacato di
legittimità del G.A., salvo il caso in cui,
in relazione a natura, oggetto e
caratteristiche del contratto, non risulti
manifestamente illogica, arbitraria, ovvero
palesemente viziata da travisamento di
fatto.
Nel caso di appalto integrato, come quello
di specie, la stessa ampia possibilità di
presentare varianti al progetto da parte dei
candidati, comporta necessariamente un ampio
margine di discrezionalità in capo alla
Commissione, in quanto il bando e la lettera
di invito non possono disciplinare
totalmente le varianti che saranno
presentate dai vari concorrenti.
Inoltre, anche la fissazione di sotto
criteri da parte del bando, rientra nella
discrezionalità tecnica della stazione
appaltante. Non sussiste, infatti, alcun
obbligo in capo alla stazione appaltante di
fissazione di sub-criteri, atteso il
disposto dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n.
163/06, il quale non prevede necessariamente
l'esercizio di alcun obbligatorio esercizio
di tale facoltà, alla quale può ricorrersi
solo "ove necessario" (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 17.05.2011 n. 4251 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
PUBBLICITÀ E TRASPARENZA
DELLE OPERAZIONI DI GARA: LA SEZIONE QUINTA
RIMETTE LA QUESTIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA.
A breve distanza di tempo, la questione
relativa alla pubblicità delle sedute di
gara nelle procedure ad evidenza pubblica
torna d’attualità, per effetto della
pronuncia da parte della Sez. V del
Consiglio di Stato dell’ordinanza
17.05.2011 n. 2987, qui
segnalata.
Un’impresa che aveva partecipato ad una
procedura per l’affidamento di un appalto
relativo ad impianti di preselezione e
bio-stabilizzazione a servizio del sistema
di smaltimento di rifiuti solidi urbani
aveva impugnato gli atti del procedimento
prospettando, fra l’altro, la violazione
degli obblighi generali di trasparenza che
gravano sull’Amministrazione, derivante
dall’omessa pubblicità della seduta in cui
la Commissione aveva proceduto all’apertura
delle buste contenenti gli elementi
costitutivi dell’offerta tecnica, al fine di
verificarne la completezza della
documentazione.
Il TAR Sardegna–Cagliari, Sez. I, con
sentenza n. 2299 del 2010 accoglieva tale
censura affermando che il criterio della
pubblicità delle sedute, nel corso delle
quali la Commissione procede ai necessari
adempimenti preordinati alla verifica della
regolarità della documentazione richiesta
dal lex specialis, è indefettibile,
in quanto espressione, sia pure indiretta,
del principio d’imparzialità di rilevanza
costituzionale, posto a presidio degli
interessi, sia pubblici, sia privati, alla
possibilità di verificare la correttezza
dell’attività amministrativa ad evidenza
pubblica.
In questa prospettiva, il TAR riteneva che
l’obbligo di pubblicità delle sedute di gara
si dovesse estendere anche alla fase di
valutazione delle offerte tecniche,
limitatamente alla fase di apertura delle
buste, con la conseguenza che il mancato
rispetto di tale norma principio aveva
inevitabilmente inficiato la legittimità
della procedura.
Negli appelli promossi avverso tale
sentenza, le parti soccombenti in primo
grado contestavano la correttezza della
motivazione resa sul punto richiamando i
precedenti giurisprudenziali, anche del
Consiglio di Stato, secondo il quale non
sarebbe necessaria (e, anzi sarebbe
preclusa) la possibilità di procedere in
seduta pubblica all’apertura delle buste
contenenti l’offerta tecnica.
La Sezione Quinta, nell’ordinanza di
rimessione oggetto di segnalazione
ricostruisce sinteticamente i due diversi
indirizzi invalsi in materia, rilevando come
sussiste un primo orientamento, più
radicale, in virtù del quale l’obbligo di
pubblicità delle sedute delle commissioni di
gara riguarderebbe esclusivamente la fase
dell’apertura dei plichi contenenti la
documentazione e l’offerta economica dei
partecipanti e non anche la fase di apertura
e valutazione delle offerte tecniche (cfr.
Sezione V, 13.10.2010 n. 7470; 16.08.2010 n.
5722; 13.07.2010 n. 4520; 14.10.2009 n.
6311; 04.03.2008 n. 901; 100.01.2007 n. 45;
Sez. IV, 05.04.2003 n. 1787).
Nell’ordinanza di rimessione si richiama
anche il secondo indirizzo
giurisprudenziale, minoritario, a tenore del
quale l’obbligo di pubblicità deve
intendersi esteso anche agli adempimenti
relativi alla verifica dell’integrità dei
plichi contenenti l’offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa sia
che si tratti di documentazione in materia
di offerta tecnica (cfr. Sezione V,
23.11.2010 n. 8155; 28.10.2008 n. 5386;
Sezione VI, 22.04.2008 n. 1856; Sezione IV,
18.10.2007 n. 5217).
La Sezione rimettente non sembra propendere
per uno dei due orientamenti in particolare,
preoccupandosi piuttosto di mettere in
evidenza i limiti connessi ad entrambi gli
indirizzi appena richiamati.
Ed invero, quanto al primo orientamento,
tendente a restringere la portata
applicativa dell’obbligo di pubblicità delle
sedute, osserva il Consiglio di Stato come “la
necessità che la fase di valutazione delle
offerte tecniche si svolga in seduta
riservata non implica affatto che anche la
fase di apertura delle buste contenenti le
offerte tecniche, attività materiale
logicamente distinta ed in pratica
agevolmente separabile da quella
–necessariamente riservata– di valutazione,
si svolga in seduta riservata, e quindi in
deroga ai princìpi di trasparenza e di
pubblicità”. Conseguentemente, la
Sezione conclude sul punto non ravvisando “ragioni
ostative a che le commissioni di gara
procedano all’apertura delle buste in seduta
pubblica, per poi procedere in seduta
riservata alla valutazione delle relative
offerte tecniche”.
Con riferimento al secondo orientamento,
volto a dilatare l’obbligo di pubblicità
delle sedute di gara, le perplessità
manifestate attengono piuttosto alla
constatazione che, di regola, “la mera
constatazione dell’integrità delle buste,
infatti, non soddisfa che in modo parziale
le esigenze di trasparenza e pubblicità:
essa non consente, infatti, ai concorrenti
presenti di prendere contezza dei documenti
recanti le offerte tecniche, così come
avviene per i documenti amministrativi e per
le offerte economiche”. In altri
termini, un’indagine relativa al solo dato
esteriore della busta contenente l’offerta
tecnica, non accompagnata da una “ricognizione
pubblica del contenuto documentale delle
offerte”, non costituirebbe sufficiente
ed adeguata garanzia rispetto al “pericolo
di manipolazioni successive delle offerte
proprie e di quelle altrui, eventualmente
dovute ad inserimenti, sottrazioni o
alterazioni di documenti”.
E’ interessante notare, peraltro, come la
Sezione Quinta abbia espressamente respinto
l’argomento difensivo contrario alla tesi
dell’estensione dell’obbligo di pubblicità
delle sedute, fondato sul dettato dell’art.
13, co. 2, lett. c) e co. 3, del d.lgs. n.
163 del 2006. Come noto tali disposizioni
prevedono il differimento del diritto
d’accesso agli atti delle procedure di gara
concernenti anche i verbali della gara.
A tal proposito, il Collegio ha affermato
come tale differimento debba intendersi come
riferito alle sole ipotesi di “accesso
esoprocedimentale (art. 22, legge n.
241/1990)”, ossia proposto da soggetto
che non abbia partecipato alla gara, e non
anche in quelle di ”accesso
endoprocedimentale (art. 10, legge n.
241/1990, e s.m.i.)”, ossia proposto su
istanza di altro operatore economico
partecipante alla procedura (commento tratto
da www.amministrazioneincammino.luiss.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Danno curriculare -
Nozione - Valutazione equitativa -
Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto
pubblico, anche a prescindere dal lucro che
l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo
pagato dalla stazione appaltante,
costituisce fonte per l’impresa di un
vantaggio non patrimoniale ma -comunque-
economicamente valutabile, poiché di per sé
accresce la capacità di competere sul
mercato e quindi la chance di aggiudicarsi
ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi
risarcibile il “danno curriculare”,
il quale consiste nel pregiudizio subito
dall’impresa in dipendenza del mancato
arricchimento del proprio “curriculum”
professionale, ossia per la circostanza di
non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo
dell’Amministrazione (così, ad es., Cons.
Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla
carenza di prove offerte dalla ricorrente in
ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti
meramente probabilistici della valutazione
delle chances e si pone in termini
obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente
dal mercato “pubblico”, ed è pertanto
intrinsecamente d necessariamente valutabile
dal giudice in termini equitativi ai sensi
dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Danno curriculare -
Nozione - Valutazione equitativa -
Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto
pubblico, anche a prescindere dal lucro che
l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo
pagato dalla stazione appaltante,
costituisce fonte per l’impresa di un
vantaggio non patrimoniale ma -comunque-
economicamente valutabile, poiché di per sé
accresce la capacità di competere sul
mercato e quindi la chance di aggiudicarsi
ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi
risarcibile il “danno curriculare”,
il quale consiste nel pregiudizio subito
dall’impresa in dipendenza del mancato
arricchimento del proprio “curriculum”
professionale, ossia per la circostanza di
non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo
dell’Amministrazione (così, ad es., Cons.
Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla
carenza di prove offerte dalla ricorrente in
ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti
meramente probabilistici della valutazione
delle chances e si pone in termini
obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente
dal mercato “pubblico”, ed è pertanto
intrinsecamente d necessariamente valutabile
dal giudice in termini equitativi ai sensi
dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla risarcibilità del
danno curriculare derivante da illegittimi
provvedimenti di esclusione da appalti
pubblici.
La partecipazione ad un appalto pubblico,
nonché la fase di esecuzione dello stesso,
rappresentano per l'impresa concorrente un
vantaggio economicamente valutabile, in
quanto accresce la capacità di competere sul
mercato e, dunque, la chance di ottenere
l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il
danno c.d. "curriculare", il quale
consiste nel pregiudizio subito dall'impresa
in dipendenza del mancato arricchimento del
proprio "curriculum" professionale,
ossia per la circostanza di non poter
indicare in esso l'avvenuta esecuzione di un
appalto dal quale si sia stati esclusi a
causa del comportamento illegittimo
dell'amministrazione.
Tale pregiudizio, peraltro, prescinde dalla
carenza di prove offerte dal concorrente in
ordine alle perdite economiche da esso
patite, ponendosi in termini obiettivi per
il fatto stesso dell'intervenuta esclusione
dal mercato "pubblico", ed è quindi
necessariamente valutabile dal giudice in
termini equitativi, ai sensi dell'art. 1226
c.c.. (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.05.2011 n. 2955 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Nella licitazione
privata l’individuazione in capo alle
imprese partecipanti dei requisiti
sostanziali richiesti dalla lettera di
invito deve essere riferita al momento
dell’aggiudicazione dell’appalto.
Nella licitazione privata la
prequalificazione ha natura di autonoma fase
sub procedimentale funzionalmente diretta ad
una prima selezione dei soggetti da invitare
sicché l’individuazione in capo alle imprese
partecipanti dei requisiti sostanziali
richiesti dalla lettera di invito non può
essere anticipata alla preliminare fase
della preselezione, ma deve essere riferita
al momento della vera e propria
individuazione del contraente, ossia al
momento dell’aggiudicazione dell’appalto
(cfr. sul punto, per tutte, Cons. Stato,
sez. V, 10.12.1999, n. 811).
In ordine
all’assunto di parte ricorrente che la
stazione appaltante avrebbe dovuto
richiedere l’integrazione della
documentazione e delle dichiarazioni
presentate in ordine al possesso dei
requisiti, va considerato che l’integrazione
non è utilizzabile in caso di totale assenza
della dichiarazione del pregiudizio penale
(cfr. Cons. Stato, V, 12.12.1997, n. 1185).
Peraltro, trattasi di requisito richiesto
dalla legge in materia di appalti, prima
ancora che dalla lex di gara a pena
di esclusione e completamente omesso,
rispetto al quale, come precisato dal
giudice di prime cure, l’esercizio del c.d.
potere di soccorso dell’amministrazione
incontra l’invalicabile limite della par
condicio, per definizione prevalente sul
favor partecipationis invocato dal
Consorzio ricorrente
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 16.05.2011 n. 2945 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nonostante
l’art. 41 d.lgs. n. 163/2006 consenta alla
P.A. appaltante di inserire nel bando di
gara la richiesta della prova della capacità
economica e finanziaria mediante una
dichiarazione che riguardi sia il fatturato
globale, sia il fatturato del settore
oggetto dell’appalto, solamente la
dichiarazione del primo dato è
indispensabile per la legittimità del bando,
nell’ambito della scelta discrezionale dei
documenti più opportuni al fine di
dimostrare il requisito in esame, mentre la
richiesta del secondo dato è rimessa alla
discrezionalità della P.A..
La più recente giurisprudenza ha chiarito
che, nonostante l’art. 41 d.lgs. n. 163/2006
consenta alla P.A. appaltante di inserire
nel bando di gara la richiesta della prova
della capacità economica e finanziaria
mediante una dichiarazione che riguardi sia
il fatturato globale, sia il fatturato del
settore oggetto dell’appalto, solamente la
dichiarazione del primo dato è
indispensabile per la legittimità del bando,
nell’ambito della scelta discrezionale dei
documenti più opportuni al fine di
dimostrare il requisito in esame, mentre la
richiesta del secondo dato è rimessa alla
discrezionalità della P.A. (C.d.S., Sez. V,
23.02.2010, n. 1040).
Più specificamente, la giurisprudenza ora
citata, cui il Collegio ritiene di aderire,
ha evidenziato che i documenti ritenuti
idonei dal Legislatore, ai sensi dell’art,
41, comma 1, cit., a dar prova della
capacità economica e finanziaria delle
imprese concorrenti, sono di tre tipi: le
idonee dichiarazioni bancarie, finalizzate
ad attestare l’affidabilità dell’impresa con
riferimento al credito; i bilanci o gli
estratti di bilanci dell’impresa,
finalizzati a dimostrare la situazione
(interna) contabile e finanziaria
dell'impresa e, così, le sue effettiva
capacità imprenditoriali; la dichiarazione
riguardante il fatturato globale e l’importo
relativo ai servizi e forniture oggetto
della gara, realizzati negli ultimi tre
anni, il cui scopo è, piuttosto, quello di
dimostrare le concrete capacità operative
dell’impresa concorrente.
Poiché tali autonome categorie di documenti,
malgrado l’ora vista diversità di contenuto
e funzioni, sono state giudicate dal
Legislatore tutte ugualmente idonee, anche
isolatamente prese, a dimostrare la capacità
economica e finanziaria di un’impresa
concorrente, tanto che spetta alla P.A.
appaltante, nella sua discrezionalità, di
scegliere tra uno o più dei documenti
stessi, la giurisprudenza in parola ha
concluso che non occorre che la
dichiarazione ex art. 41, comma 1, lett. c),
debba indicare sia il fatturato globale
dell’impresa, sia l’importo relativo ai
servizi o forniture oggetto di gara,
realizzati negli ultimi tre anni, bastando,
per la legittimità del bando, che la P.A.
pretenda la dichiarazione di uno solo di
tali dati.
Ed anzi, la direttiva n. 18/2004/CE prevede
(art. 47) che la capacità economica e
finanziaria dell’operatore economico possa
essere provata tramite una serie di
elementi, tra i quali “una dichiarazione
concernente il fatturato globale e, se del
caso, il fatturato del settore di attività
oggetto dell’appalto, al massimo per gli
ultimi tre esercizi disponibili….”:
donde la conclusione che solamente la
dichiarazione del primo dato, concernente il
fatturato globale, è indispensabile, mentre,
come già detto, l’imposizione della
dichiarazione concernente (anche) il secondo
dato, sul fatturato specifico, è rimessa
alla scelta discrezionale della P.A., il cui
concreto esercizio sfugge al sindacato di
legittimità quando non risulti essere
manifestamente illogica, arbitraria,
irragionevole, irrazionale (cfr. C.d.S.,
Sez. V, n. 1040/2010, cit.) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 16.06.2011 n. 1075 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Solo le violazioni
«gravi» escludono il concorrente.
I CRITERI - L'infedeltà
fiscale diventa rilevante quando supera i
10mila euro Semplificate le dichiarazioni
sull'assunzione di disabili.
Anche bandi e disciplinari di gara vanno
adeguati alle nuove norme del Dl sviluppo,
che modificano molti elementi dei requisiti
di ordine generale.
Il Dl (articolo 4, comma 3) stabilisce che
le modifiche all'articolo 38 del codice
appalti si applicano alle gare indette dopo
la sua entrata in vigore. Le amministrazioni
sono quindi chiamate a reimpostare le parti
degli atti di gara che disciplinano la resa
delle dichiarazioni sull'assenza di cause
ostative a contrattare, in quanto l'utilizzo
di format non attualizzati potrebbe
determinare comportamenti diversi da parte
dei concorrenti e, pertanto, mettere a
rischio la gara.
Il Dl sviluppo, anzitutto, amplia e
chiarisce il novero dei soggetti per i quali
vanno rese le dichiarazioni
sull'insussistenza di misure di prevenzione
e di condanne penali: ad esempio, queste
devono essere prodotte nelle Snc per tutti i
soci e nelle società di capitali per il
socio unico. Il periodo di riferimento per i
soggetti cessati dalle cariche non è più di
tre anni, ma di uno, comunque antecedente
alla data di pubblicazione del bando.
Sulla situazione penale, in base al nuovo
articolo 38, comma 2, il concorrente non è
tenuto a indicare nella dichiarazione le
condanne quando il reato è stato
depenalizzato o se è intervenuta la
riabilitazione, quando il reato è stato
dichiarato estinto dopo la condanna oppure
la condanna è stata revocata.
Le stazioni appaltanti devono reimpostare le
dichiarazioni dei requisiti relative alle
violazioni di norme sulla sicurezza sul
lavoro (la norma ora non prevede più la
limitazione a quelle inserite del casellario
informatico) e di quelle relative agli
obblighi tributari, per le quali è ora
previsto che siano gravi. Il comma 2
individua le soglie di gravità per le
violazioni di obblighi di sicurezza sul
lavoro, contributivi e previdenziali
(riferendole a norme vigenti), ma
soprattutto determina l'indicatore di
gravità per le violazioni di obblighi
tributari e fiscali, stabilendolo nel valore
superiore ai 10mila euro.
I concorrenti devono evidenziare in modo più
preciso la sussistenza dell'iscrizione nel
casellario informatico per aver reso false
dichiarazioni in sede di gara o per
l'ottenimento della Soa, e non più ad
attestare genericamente il comportamento
virtuoso.
Il nuovo comma 1-ter precisa anche i compiti
della stazione appaltante, che deve
segnalare all'autorità se ritiene che le
dichiarazioni false siano state rese con
dolo o colpa grave, valutando la rilevanza o
la gravità della falsa dichiarazione o della
presentazione di falsa documentazione.
Le amministrazioni devono correggere anche
le indicazioni dei disciplinari relative
alle dichiarazioni sul rispetto delle norme
in materia di assunzioni obbligatorie dei
disabili (semplificata in questi termini) e
sull'eventuale mancata denuncia di
estorsioni.
Le stazioni appaltanti devono evidenziare
agli operatori economici anche il nuovo
sistema di dichiarazioni alternative in
merito alla partecipazione alla gara con
società con cui si trovino in condizioni di
controllo (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
La trattativa privata va
motivata. Vanno dimostrati i presupposti che
giustificano l'iter semplificato.
Le pubbliche amministrazioni possono
affidare appalti di lavori entro il valore
di un milione di euro con procedura
negoziata, ma devono assicurare un minimo
confronto concorrenziale con la gara
informale.
Il Dl Sviluppo riformula l'articolo 122 del
Dlgs 163/2006, razionalizza la disciplina
della procedura negoziata ed elimina la
norma che prevedeva un tetto massimo a
100mila euro, ma non indicava regole
selettive.
I lavori fino a un milione di euro possono
quindi essere affidati dal responsabile del
procedimento tramite procedura negoziata, ma
rispettando alcuni dei principi
dell'ordinamento Ue (trasparenza, parità di
trattamento, non discriminazione,
proporzionalità) e dovendo effettuare una
gara informale fra un numero minimo di
operatori economici. Anche nel nuovo quadro,
comunque, la procedura negoziata è
considerata una fattispecie eccezionale, che
si integra con le altre ipotesi previste
dall'articolo 57 del codice. Le stazioni
appaltanti devono quindi dimostrare
l'esistenza di adeguati presupposti per
poter utilizzare il percorso semplificato
(ad esempio l'urgenza derivante
dall'esigenza di avviare il cantiere entro
termini prefissati per non perdere
finanziamenti comunitari).
Il modulo operativo che la stazione
appaltante deve seguire per la selezione è
espressamente stabilito nel format
disciplinato dall'articolo 57, comma 6 dello
stesso codice dei contratti. La stazione
appaltante deve quindi prima di tutto
procedere all'individuazione degli operatori
economici da invitare alla gara ufficiosa,
mediante indagine di mercato. L'Avcp ha
evidenziato (documento istruttorio del
dicembre 2010) che questa fase deve avere
un'adeguata pubblicità, e che la concreta
individuazione dei soggetti da invitare al
confronto possa essere effettuata mediante
l'applicazione di criteri reputazionali o
mediante sorteggio.
La stessa autorità ha anche ammesso la
formazione di elenchi di operatori
economici, dai quali estrapolare i soggetti
da invitare: per essere compatibili con il
divieto previsto dall'articolo 40, comma 5,
del codice, gli elenchi devono essere
configurati come "aperti" e non
devono determinare la condizione esclusiva
per l'ammissione alle gare informali.
Secondo la nuova regola, il responsabile del
procedimento deve rivolgere l'invito ad
almeno cinque soggetti quando l'importo
dell'appalto è inferiore a 500mila euro, e
ad almeno dieci quando il valore è tra
500mila e un milione di euro.
Nello svolgimento delle gare il rispetto dei
principi dell'ordinamento Ue richiede che
alcune fasi abbiano adeguata trasparenza:
l'apertura delle offerte dovrà pertanto
avvenire in seduta pubblica. La tempistica
per la presentazione delle offerte è
individuata dallo stesso articolo 122 del
codice (comma 6, lettera d) in 10 giorni
dall'invio della lettera di invito, salvo
che non vi siano ragioni di urgenza (che
andranno evidenziate).
Nell'area tra 500mila e un milione di euro,
quando utilizzano come criterio di
valutazione quello del prezzo più basso, le
Pa possono esplicitare nella lettera di
invito che si opererà l'esclusione
automatica delle offerte anormalmente basse
(in base all'articolo 122, comma 9), a
condizione comunque che pervengano almeno
dieci offerte.
L'applicazione della gara informale definita
dall'articolo 57, comma 6, del codice
comporta anche l'applicazione del principio
di rotazione (richiamato nella norma), per
cui le stazioni appaltanti non possono
affidare lavori ulteriori all'aggiudicatario
della gara informale per un certo periodo
(che va dichiarato), e non lo possono
invitare alle procedure selettive ufficiose.
La nuova norma introduce anche obblighi di
pubblicità dell'aggiudicazione, che va resa
nota con pubblicazione sul sito internet
della stazione appaltante, sul sito del
ministero delle infrastrutture
(www.serviziobandipubblici.it) e sul sito
dell'osservatorio regionale (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Da cancellare le
clausole non sostenute da leggi.
I LIMITI - Le richieste possono riguardare
adempimenti necessari a garantire la
completezza e la segretezza delle offerte.
I bandi e i disciplinari di gara non possono
contenere clausole di esclusione dei
concorrenti che non siano fondate su
obblighi normativi o su adempimenti che
garantiscano i principi di completezza e di
segretezza delle offerte.
Il Dl sviluppo introduce nel l'articolo 46
del codice appalti una nuova disposizione
(comma 1-bis) che stabilisce la tassatività
dei casi in cui la violazione delle regole
di una procedura selettiva possono
determinare l'esclusione del concorrente.
La norma stabilisce anzitutto che la
stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal Dlgs
163/2006, dal Dpr 207/2010 e da altre
disposizioni di legge vigenti.
Nell'ambito del codice dei contratti
pubblici sono facilmente individuabili varie
disposizioni che esplicitano l'esclusione in
caso di mancato rispetto dell'adempimento,
come ad esempio in caso di partecipazione
alla stessa gara del consorzio e del
consorziato (articolo 37, comma 7), oppure
in caso di mancato impegno del fideiussore
nella garanzia provvisoria a rilasciare
garanzia definitiva (articolo 75, comma 8).
Le cause di esclusione esplicite sono
rilevabili anche in altre fonti, come
all'articolo 1, comma 67, della legge
266/2005, in base al quale l'obbligo di
versamento del contributo da parte degli
operatori economici all'Avcp è condizione di
ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle
procedure finalizzate alla realizzazione di
appalti; quindi il mancato pagamento del
contributo costituisce causa di esclusione
dalla gara.
Le stazioni appaltanti possono prevedere
clausole di esclusione anche in relazione ad
adempimenti relativi alla presentazione
delle offerte, quando vi sia incertezza
assoluta sul contenuto (ad esempio se un
plico non fa riferimento alla gara) o sulla
provenienza dell'offerta (come quando
mancano i riferimenti del mittente), ma
anche quando l'offerta non sia stata
sottoscritta o manchino altri elementi
essenziali (che devono essere esplicitamente
indicati).
Le clausole di esclusione possono essere
correlate a obblighi o condizioni richiesti
dalle amministrazioni aggiudicatrici. In tal
senso possono essere riferite all'integrità
dei plichi contenenti le offerte o le
domande di partecipazione, ma anche alla
loro chiusura, quando il mancato rispetto
della previsione possa far ritenere, secondo
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte.
Al di fuori di questi presupposti, i bandi,
i disciplinari di gara e le lettere di
invito non possono contenere ulteriori
prescrizioni a pena di esclusione.
Pertanto non potrà essere più prevista
l'esclusione in caso di mancato sopralluogo,
così come non potrà aversi esclusione in
caso di mancato raggiungimento
dell'eventuale soglia di sbarramento
qualitativo, riportata alla parte
tecnico-qualitativa delle offerte.
Qualora l'amministrazione intendesse
comunque prevedere clausole di esclusione
correlate a obblighi non previsti
normativamente o non tutelanti integrità e
segretezza dei plichi, deve tener conto che
l'articolo 46, comma 1-bis, del codice ne
prevede la nullità (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Domande e risposte sui contratti pubblici.
Una interessante pubblicazione del Ministero
delle Infrastrutture.
"...è consentito l'affidamento diretto da
parte del responsabile del procedimento?”
“...è obbligatoria o facoltativa la
vidimazione del registro di contabilità di
cui all'art. 183, DPR 554/1999?”
“...cosa si intende per stazione appaltante
di ambito statale e/o di interesse nazionale
o sovra regionale?”
“... qualora si ricorra alla procedura
negoziata, è obbligatoria la fase di
preselezione (sul tipo delle procedure
ristrette) o è possibile richiedere
direttamente ai concorrenti di presentare
l'offerta?”
(...)
A queste domande (e non solo) risposte
chiare e precise dal Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, che ha
pubblicato un utile documento che si
prefigge lo scopo di fornire risposte ai
quesiti più frequenti in materia di
contratti pubblici.
Il volume contiene una selezione dei quesiti
pubblicati dal Servizio di Supporto
Giuridico con le relative risposte e pareri
di interesse generale resi alle stazioni
appaltanti per la corretta applicazione
della normativa nazionale e regionale in
materia di appalti pubblici.
Esso rappresenta un utile strumento di
consultazione per tutti gli operatori del
settore.
Le principali sezioni di cui si compone il
documento con domande e relative risposte
sono:
- Affidamenti in economia - Anomalia
dell'offerta - Appalti integrati -
Associazioni temporanee di impresa - Criteri
di aggiudicazione - DURC - DUVRI -
Esecuzione del contratto - Prezzo -
Procedura negoziata - Procedure di
aggiudicazione - Progettazione - Risoluzione
del contratto - Sicurezza - Subappalto -
Altro (link a www.acca.it). |
APPALTI:
R. Codebò,
Criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa - Appalti, la linea di confine
tra offerta tecnica e offerta economica
(link a www.ipsoa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
F. Ballardin,
Contratti pubblici: l’ammissibilità del
rinnovo nei contratti della P.A.
(link a www.altalex.com). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
In merito al cosiddetto "decreto sviluppo"
(D.L.
13.05.2011 n. 70) si legga anche
l'interessante
relazione di accompagnamento al
decreto-legge per la relativa conversione in
legge al fine di poter comprendere appieno
la ratio dell'articolato. |
APPALTI SERVIZI:
Servizi di pulizia degli
edifici - Direttive 17/2004 e 18/2004 -
Assoggettabilità alla disciplina dettata per
i settori speciali - Parametro oggettivo -
Pulizia di proprietà immobiliari ed edifici
costituenti parte integrante delle reti di
produzione, distribuzione e trasporto.
I servizi di pulizia degli edifici e di
gestione delle proprietà immobiliari sono
previsti negli allegati sia della direttiva
europea n. 17/2004, che coordina le
procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che
forniscono servizi di trasporto e servizi
postali, sia della n. 18/2004, relativa al
coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi.
Ne deriva che l’assoggettabilità
dell’affidamento del servizio di pulizia
alla disciplina dettata per i settori
speciali non può essere desunta sulla base
di un criterio solo soggettivo, relativo
cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia
un ente operante nei settori speciali, ma
anche in applicazione di un parametro di
tipo oggettivo, attento alla riferibilità
della pulizia all’attività speciale.
In altri termini, la pulizia rientra nella
normativa dei settori speciali quando è
funzionale a detta attività, il che si
verifica qualora si tratti di proprietà
immobiliari ed edifici che costituiscano
parte integrante delle reti di produzione,
distribuzione e trasporto indicate negli
articoli 208 e ss. del d.lgs. n. 163 del
2006 (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.05.2011 n. 2919 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE:
Aggiudicazione in favore
di una ditta che ha offerto attrezzature non
corrispondenti alla descrizione degli
allegati tecnici del capitolato, ma che
assicurino comunque le prestazioni
richieste.
Nel caso in cui il bando di una gara di
appalto per l’aggiudicazione di forniture
preveda espressamente che, in sede di
scrutinio delle offerte tecniche da parte
della commissione di gara, "saranno
comunque prese in considerazione ed
opportunamente valutate proposte di prodotti
in grado di garantire le medesime
prestazioni delle apparecchiature
specificate negli allegati al presente
capitolo", è legittima l’aggiudicazione
in favore di una ditta che ha offerto
attrezzature che, pur non essendo
corrispondenti alla descrizione degli
allegati tecnici del capitolato, siano
comunque idonee ad assicurare alla stazione
appaltante le medesime prestazioni dei
prodotti specificamente richiesti dalla
lex specialis; in tal caso, infatti, il
criterio utilizzato dalla P.A. è quello
delle equivalenza delle prestazioni tra i
diversi prodotti, con la conseguenza che, in
sostanza, la stazione appaltante, pur
indicando negli allegati del capitolato una
certa tipologia di apparecchiature, non si è
preclusa la possibilità di ottenere e
valutare proposte di prodotti ulteriori,
egualmente idonei ad assicurare alla
amministrazione le prestazioni richieste
(1).
---------------
(1) Ha osservato la sentenza in rassegna
che, nella specie, se non fosse stata
apposta nel bando la riserva secondo cui
alla commissione di gara era riconosciuta la
possibilità di prendere in considerazione e
valutare opportunamente proposte di prodotti
in grado di garantire le medesime
prestazioni delle apparecchiature
specificate nella lex specialis, la gara per
cui si controverte non avrebbe potuto che
essere aggiudicata alla odierna appellante,
ma ciò sarebbe avvenuto in violazione
dell’art. 68, co. 2, del codice degli
appalti, a mente del quale le specifiche
tecniche devono consentire pari accesso agli
offerenti e non devono comportare la
creazioni di ostacoli ingiustificati alla
libera concorrenza.
Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha sottolineato che nei casi in cui
le specifiche tecniche risultino tutte
incentrate su un prodotto già confezionato
dalle imprese produttrici, il riferimento
tecnico deve essere necessariamente
temperato attraverso il riferimento al
concetto di equivalenza (Cons. Stato, V,
24.07.2007 n. 4138; VI 19.09.2007 n. 4884).
Infatti non possono essere introdotte
specifiche tecniche che menzionino prodotti
di una fabbricazione o di una provenienza
determinata e procedimenti particolari
aventi l’effetto di favorire o eliminare
talune imprese in assenza del temperamento
con criterio di equivalenza (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 13.05.2011 n. 2905 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Bando per appalti di
forniture. Legittimità dell’aggiudicazione
in favore di una ditta che ha offerto
attrezzature non corrispondenti alla
descrizione degli allegati tecnici del
capitolato, nel caso in cui assicurino alla
P.A. le prestazioni richieste.
Nel caso in cui il bando di una gara di
appalto per l’aggiudicazione di forniture
preveda espressamente che, in sede di
scrutinio delle offerte tecniche da parte
della commissione di gara, "saranno
comunque prese in considerazione ed
opportunamente valutate proposte di prodotti
in grado di garantire le medesime
prestazioni delle apparecchiature
specificate negli allegati al presente
capitolo", è legittima l’aggiudicazione
in favore di una ditta che ha offerto
attrezzature che, pur non essendo
corrispondenti alla descrizione degli
allegati tecnici del capitolato, siano
comunque idonee ad assicurare alla stazione
appaltante le medesime prestazioni dei
prodotti specificamente richiesti dalla
lex specialis; in tal caso, infatti, il
criterio utilizzato dalla P.A. è quello
dell’equivalenza delle prestazioni tra i
diversi prodotti, con la conseguenza che, in
sostanza, la stazione appaltante, pur
indicando negli allegati del capitolato una
certa tipologia di apparecchiature, non si è
preclusa la possibilità di ottenere e
valutare proposte di prodotti ulteriori,
egualmente idonei ad assicurare alla
amministrazione le prestazioni richieste
(1).
---------------
(1) Ha osservato la sentenza in rassegna
che, nella specie, se non fosse stata
apposta nel bando la riserva secondo cui
alla commissione di gara era riconosciuta la
possibilità di prendere in considerazione e
valutare opportunamente proposte di prodotti
in grado di garantire le medesime
prestazioni delle apparecchiature
specificate nella lex specialis, la gara per
cui si controverte non avrebbe potuto che
essere aggiudicata alla odierna appellante,
ma ciò sarebbe avvenuto in violazione
dell’art. 68, co. 2, del codice degli
appalti, a mente del quale le specifiche
tecniche devono consentire pari accesso agli
offerenti e non devono comportare la
creazioni di ostacoli ingiustificati alla
libera concorrenza.
Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha sottolineato che nei casi in cui
le specifiche tecniche risultino tutte
incentrate su un prodotto già confezionato
dalle imprese produttrici, il riferimento
tecnico deve essere necessariamente
temperato attraverso il riferimento al
concetto di equivalenza (Cons. Stato, V,
24.07.2007 n. 4138; VI 19.09.2007 n. 4884).
Infatti non possono essere introdotte
specifiche tecniche che menzionino prodotti
di una fabbricazione o di una provenienza
determinata e procedimenti particolari
aventi l’effetto di favorire o eliminare
talune imprese in assenza del temperamento
con criterio di equivalenza (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 13.05.2011 n. 2905 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Offerte anomale, no alla
congruità de relato.
Nel caso in esame, dopo
una lunga analisi, i giudici amministrativi
affermano che i sospetti di anomalia sono
avallati dalla mancata indicazione dei costi
per la formazione retribuita al personale e
per i 25 operatori "jolly" utilizzati; per i
primi, in particolare, il Tribunale si
richiama alla relazione dell'esperto
incaricato dall'amministrazione. Fuorviante
è il richiamo della ricorrente all'offerta
economica e ai costi del precedente appalto
(alla stessa aggiudicato) poiché da un lato
il Comune ha correttamente rilevato la
maturazione di scatti di anzianità e
l'incidenza (allora non prevista) del costo
del pasto.
E' certamente di rilevante interesse la
recente
sentenza 13.05.2011 n. 693 del
TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sulla
ratio del procedimento di verifica della
congruità dell'offerta anomale.
La vicenda nasce a seguito di un ricorso
presentato da una ditta partecipante ad una
procedura aperta indetta da un ente locale
lombardo per l'aggiudicazione del servizio
di assistenza e di integrazione scolastica
degli alunni disabili nelle scuole e nei
centri estivi per il periodo
01/09/2010-31/08/2014. Il sistema di
aggiudicazione previsto era quello
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
mentre l'importo contrattuale stimato era di
quasi € 8.000,00.
Dopo l'aggiudicazione provvisoria disposta a
favore della ricorrente (una Associazione
Temporanea di Impresa) , con nota
dell'agosto 2010 la stazione appaltante
attivava la procedura di verifica
dell'anomalia. L'ATI aggiudicataria esibiva
il prospetto di scomposizione del prezzo
offerto, che dava conto di un costo
sostenuto per il personale suddiviso per
categoria.
Erano, altresì, indicati i costi per la
sicurezza e la formazione, gli altri costi e
i costi generali. Dopo un nutrito scambio di
corrispondenza e un incontro in
contraddittorio, l'amministrazione adottava
l'atto impugnato, che si fonda
sull'inverosimiglianza dell'utilizzo di
contratti a tempo determinato per un
rapporto di durata quadriennale e sul
mancato riscontro economico.
Cenni sulle offerta
anomale.
Una delle patologie piuttosto frequenti nel
sistema degli appalti di opere pubbliche
consiste nell'anomalia delle offerte. Il
criterio di aggiudicazione al prezzo più
basso, dovuto in particolare modo
all'eccessiva rigidità e all'assenza di
discrezionalità in capo all'amministrazione
presenta in molti casi il rischio
dell'anomalia dell'offerta.
Tale situazione si verifica sovente in
seguito al fatto che la ditta cerca ad ogni
costo di aggiudicarsi l'appalto arrivando
spesso, a formulare offerte, che in maniera
piuttosto evidente, non coprono neppure i
costi. E' definita quindi offerta anomala "quell'offerta
che, pur soddisfacendo l'esigenza di
aggiudicare l'appalto al prezzo più basso
possibile, tuttavia, proprio a causa
dell'eccessivo ribasso non è in grado di
assicurare da parte del soggetto
aggiudicatario il corretto e integrale
soddisfacimento delle prestazioni
contrattuali prefissate, con conseguenti
danni all'interesse pubblico alla migliore e
più celere esecuzione dell'appalto".
Questo fenomeno trova le sue radici
soprattutto nella carenza normativa
contenuta nella legge quadro dei lavori
pubblici (legge 11.02.1994, n. 109), vuoto
normativo che in parte il legislatore ha
tentato di colmare con la legge di
conversione n. 216 del 02.06.1995, del
decreto legge n. 101/1995, meglio conosciuta
come Merloni-bis. Il nuovo codice sugli
appalti, di cui al D.Lgs. 163/2006 e s.m.i.
con riferimento al problema delle offerte
anomale interviene cercando di definirne i
criteri di individuazione.
In particolare l'articolo 87 del nuovo testo
sugli appalti individua, a titolo
esemplificativo, le possibili
giustificazioni, al riguardo, che possono
essere:
- l'economia del procedimento di
costruzione, del processo di fabbricazione,
del metodo di prestazione del servizio;
- le soluzioni tecniche adottate;
- le eccessivi condizioni di favore che la
società offerente dispone per eseguire i
lavori, per fornire i prodotti o per
prestare i servizi;
- l'originalità del progetto, dei lavori,
dei servizi offerti;
- il rispetto delle norme vigenti in tema di
sicurezza e condizioni di lavoro;
- l'eventualità che l'offerente ottenga un
aiuto di Stato;
- il costo del lavoro.
Inoltre proprio con riferimento a
quest'ultimo punto il nuovo codice dispone
che non sono ammesse, sempre con riferimento
alle offerte anomale, giustificazioni in
relazione a trattamenti salariali minimi.
La norma contenuta nell'articolo 87,
relativo ai criteri di verifica dell'offerta
anormalmente bassa, non appare chiara per
quanto attiene, i costi della sicurezza e i
minimi salariali. Su questi due aspetti il
legislatore avrebbe dovuto fare uno sforzo
maggiore per portare chiarezza su un tema
così scottante, come quello del rispetto in
tema di sicurezza e condizioni di lavoro e i
minimi salariali, e la relativa relazione
con i criteri di verifica delle offerte
anomale. In pratica sarebbe stato più
opportuno indicare, per esempio, anche con
delle percentuali o dei rapporti ,
l'incidenza che questi due elementi
potrebbero avere con le offerte anomale.
La sentenza dei giudici
amministrativi.
I giudici amministrativi del TAR Lombardo
sostengono che la verifica di anomalia
dell'offerta costituisce un sub-procedimento
formalmente distinto (ancorché collegato)
rispetto al procedimento di evidenza
pubblica di individuazione della proposta
migliore, e si esprime in un'indagine di
contenuto tecnico-economico secondo una
precisa ratio di fondo che è quella
di evitare l'aggiudicazione a prezzi tali da
non garantire la qualità del lavoro,
fornitura o servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha
ripetutamente osservato che il giudizio di
verifica della congruità di un'offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell'offerta nel suo insieme
e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell'amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto.
I giudici amministrativi affermano che nella
specifica materia delle offerte anomale si è
peraltro affermato un indirizzo
giurisprudenziale che, dalle originarie e
consolidate posizioni di chiusura ad
un'indagine penetrante sullo svolgimento del
sub-procedimento di verifica, con
contestuale affermazione
dell'insindacabilità di quest'ultimo, salvi
i casi di manifesta illogicità o di
travisamento dei fatti, è progressivamente
giunto ad ammettere il controllo della
correttezza del criterio valutativo adottato
e del relativo procedimento applicativo,
oltre che l'esame della coerenza e
dell'uniformità del parametro prescelto.
Nel caso in esame, dopo una lunga analisi, i
giudici amministrativi affermano che i
sospetti di anomalia sono avallati dalla
mancata indicazione dei costi per la
formazione retribuita al personale e per i
25 operatori "jolly" utilizzati; per
i primi, in particolare, il Tribunale si
richiama alla relazione dell'esperto
incaricato dall'amministrazione. Fuorviante
è il richiamo della ricorrente all'offerta
economica e ai costi del precedente appalto
(alla stessa aggiudicato) poiché da un lato
il Comune ha correttamente rilevato la
maturazione di scatti di anzianità e
l'incidenza (allora non prevista) del costo
del pasto.
In ogni caso non è assolutamente possibile
sostenere la validità di un piano economico
finanziario mediante il richiamo ad un
precedente rapporto che non ha costituito
oggetto di contestazione.
In conclusione il ricorso è infondato e deve
essere respinto per le numerose spie
strutturali di inaffidabilità riscontrate
nell'offerta, senza che assuma rilevanza
l'omessa valutazione del documento
sull'assenteismo e senza necessità di
disporre una CTU (commento tratto da
www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre Europeo
- Prime disposizioni urgenti per l’economia"
(D.L.
13.05.2011 n. 70).
---------------
In Gazzetta Ufficiale il "decreto
sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante,
in merito:
- agli appalti
(art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e
precisamente:
a)
estensione del campo di applicazione della
finanza di progetto, anche con riferimento
al cosiddetto "leasing in costruendo";
b)
limite alla possibilità' di iscrivere
"riserve";
c)
introduzione di un tetto di spesa per le
"varianti";
d)
introduzione di un tetto di spesa per le
opere cosiddette "compensative";
e)
contenimento della spesa per
compensazione,in caso di variazione del
prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f)
riduzione della spesa per gli accordi
bonari;
g)
istituzione nelle Prefetture di un elenco di
fornitori e prestatori di servizi non
soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h)
disincentivo per le liti "temerarie";
i)
individuazione, accertamento e prova dei
requisiti di partecipazione alle gare
mediante collegamento telematico alla Banca
dati nazionale dei contratti pubblici;
l)
estensione del criterio di
autocertificazione per la dimostrazione dei
requisiti richiesti per l'esecuzione dei
lavori pubblici;
m)
controlli essenzialmente "ex post" sul
possesso dei requisiti di partecipazione
alle gare da parte delle stazioni
appaltanti;
n)
tipizzazione delle cause di esclusione dalle
gare, cause che possono essere solo quelle
previste dal codice dei contratti pubblici e
dal relativo regolamento di esecuzione e
attuazione, con irrilevanza delle clausole
addizionali eventualmente previste dalle
stazioni appaltanti nella documentazione di
gara;
o)
obbligo di scorrimento della graduatoria, in
caso di risoluzione del contratto;
p)
razionalizzazione e semplificazione del
procedimento per la realizzazione di
infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q)
innalzamento dei limiti di importo per
l'affidamento degli appalti di lavori
mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per
l'accesso alla procedura semplificata
ristretta per gli appalti di lavori.
Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta
anni la soglia per la presunzione di
interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio
del permesso di costruire ed in materia di
SCIA
(art. 5 - Costruzioni private) e
precisamente:
a)
introduzione del "silenzio assenso" per il
rilascio del permesso di costruire, ad
eccezione dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici e culturali;
b)
estensione della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) agli interventi
edilizi precedentemente compiuti con
denuncia di inizio attività' (DIA);
c)
tipizzazione di un nuovo schema contrattuale
diffuso nella prassi: la "cessione di
cubatura";
d)
la registrazione dei contratti di
compravendita immobiliare assorbe l'obbligo
di comunicazione all'autorità locale di
pubblica sicurezza;
e)
per gli edifici adibiti a civile abitazione
l'"autocertificazione" asseverata da un
tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta
relazione "acustica";
f)
obbligo per i Comuni di pubblicare sul
proprio sito istituzionale gli allegati
tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione
della procedura di valutazione ambientale
strategica (VAS) per gli strumenti attuativi
di piani urbanistici già sottoposti a
valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la
riqualificazione incentivata delle aree
urbane. Termine fisso per eventuali
normative regionali;
- agli
adempimenti burocratici di atti
amministrativi
(art. 6 - Ulteriori riduzione e
semplificazione degli adempimenti
burocratici) e precisamente:
a)
in corretta applicazione della normativa
europea le comunicazioni relative alla
riservatezza dei dati personali sono
limitate alla tutela dei cittadini,
conseguentemente non trovano applicazione
nei rapporti tra imprese;
b)
le pubbliche amministrazioni devono
pubblicare sul proprio sito istituzionale
l'elenco degli atti e documenti necessari
per ottenere provvedimenti amministrativi;
altri atti o documenti possono essere
richiesti solo se strettamente necessari e
non possono costituire ragione di rigetto
dell'istanza del privato;
c)
riduzione degli adempimenti concernenti
l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d)
facoltà di effettuare "on line" qualunque
transazione finanziaria ASL-imprese e
cittadini;
e)
per i trasporti eccezionali l'attuale
autorizzazione prevista per ciascun
trasporto e' sostituita, per i trasporti
della medesima tipologia ripetuti nel tempo,
da un autorizzazione periodica da
rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da
parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene,
evidenziamo che il decreto legge in
questione è in vigore già da sabato scorso
(14.05.2011) e che da oggi ci si pone il
problema, uno fra tanti, di come istruire le
richieste di permesso di costruire
pervenute: si applica il
novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011
oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo,
incontrovertibile che la SCIA si applica
anche in materia edilizia??
Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei
giorni scorsi e non appena di dominio
pubblico la bozza di decreto-legge-
l'Ufficio Giuridico della Regione Lombardia
affinché intervenga tempestivamente
con una nota chiarificatrice al fine di non
lasciare allo "sbando operativo" i
1.546 comuni lombardi così come già successo
l'anno scorso con l'introduzione -nel
panorama legislativo nazionale (e
regionale)- della famigerata SCIA, per la
quale la Regione Lombardia intervenne,
fugando affatto i dubbi che ancora oggi
permangono in merito alla sussistenza della
stessa in materia edilizia, con il proprio
comunicato 08.10.2010 dopo la
bellezza di 70 giorni che la SCIA era già
entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
APPALTI SERVIZI: Appalto
pubblico di servizi e concessione di servizi
e forniture: quale differenza?
Domanda.
Qual è la differenza tra appalto pubblico di
servizi e concessione di servizi e
forniture?
Risposta.
La
questione se un'operazione debba essere
qualificata come concessione di servizi o
come appalto pubblico di servizi deve essere
valutata esclusivamente alla luce del
diritto dell'Unione Europea.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto
pubblico di servizi e di concessione di
servizi, forniture, rispettivamente, dal
numero 2, lettere a) e d), e dal numero 4
dell'art. 1 della Dir. 31-03-2004, n.
2004/18/CE, risulta che la differenza tra un
appalto pubblico di servizi e una
concessione di servizi risiede nel
corrispettivo della prestazione di servizi.
L'appalto di servizi comporta un
corrispettivo che, senza peraltro essere
l'unico, è versato direttamente
dall'Amministrazione aggiudicatrice al
prestatore di servizi, mentre, nel caso di
una concessione di servizi, il corrispettivo
della prestazione di servizi consiste nel
diritto di gestire il servizio, o da solo o
accompagnato da un prezzo.
Nel caso di un contratto avente ad oggetto
la prestazione di servizi, la circostanza
che la controparte contrattuale non sia
direttamente remunerata dall'Amministrazione
aggiudicatrice, ma abbia il diritto di
riscuotere la remunerazione presso terzi, è
sufficiente a soddisfare il requisito di un
corrispettivo, previsto dall'art. 1, numero
4, della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE.
Se è vero che la modalità di remunerazione
è, quindi, uno degli elementi determinanti
per la qualificazione come concessione di
servizi, dalla Giurisprudenza risulta
inoltre che la concessione di servizi
implica che il concessionario si assuma il
rischio legato alla gestione dei servizi in
questione e che il mancato trasferimento al
prestatore del rischio legato alla
prestazione dei servizi indica che
l'operazione in parola rappresenta un
appalto pubblico di servizi e non una
concessione di servizi (13.05.2011 - tratto
da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di errori
materiali nelle domande di partecipazione
anche di tipo omissivo, commessi in buona
fede, non è possibile da parte della
stazione appaltante disporre la sanzione
espulsiva peraltro se neppure contemplata
dalla normativa di gara.
Nell'ipotesi in cui nelle domande di
partecipazione ad una gara pubblica si
riscontrino dei meri errori materiali che
non vanno ad inficiare la regolarità della
fase procedurale ed in particolare non
incidono su aspetti di tipo sostanziale del
rapporto contrattuale che in fieri si va a
formare, non può attuarsi la misura
sanzionatoria, quale quella dell'esclusione
dalla gara che risulterebbe del tutto
sproporzionata ed illogica, oltreché non
rispettosa del principio del favor
partecipationis.
Pertanto, a fronte di errori materiali,
anche di tipo omissivo, commessi in buona
fede ed irrilevanti per i quali non si
richiede neppure la integrazione o
regolarizzazione, a fortiori, non è
possibile da parte della stazione appaltante
disporre la sanzione espulsiva, peraltro se
neanche contemplata dalla normativa di gara
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2011 n. 2860 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'affidamento della gestione della sede
farmaceutica rurale ad un concorrente
nonostante la dichiarazione che ha reso non
riproduca esattamente la formulazione
prevista dal bando.
Non si applicano le specifiche disposizioni
previste dal d.lgs. n.163/2006 (codice dei
contratti) per l'affidamento di una farmacia
da parte della amministrazione comunale,
trattandosi di concessione di un servizio
pubblico.
Le clausole della "lex specialis",
ancorché contenenti comminatorie di
esclusione, non possono essere applicate
meccanicisticamente, ma secondo il principio
di ragionevolezza, e debbono essere valutate
alla stregua dell'interesse che la norma
violata è destinata a presidiare per cui,
ove non sia ravvisabile la lesione di un
interesse pubblico effettivo e rilevante,
deve essere accordata la preferenza al "favor
partecipationis".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo
l'affidamento della gestione della sede
farmaceutica rurale al concorrente che si è
comunque impegnato a fornire la garanzia che
gli veniva richiesta, precisando che lo
avrebbe fatto mediante dichiarazione
bancaria, ed anzi ha semmai aggiunto
qualcosa di più, a dimostrazione della
propria affidabilità, avendo dato atto di
essere in possesso di una solida situazione
patrimoniale.
In sostanza la dichiarazione resa
dall'aggiudicatario, anche se non
esattamente conforme al modello indicato nel
bando, è tale da soddisfare pienamente
l'interesse della amministrazione appaltante
ad acquisire l'impegno del concorrente alla
prestazione della garanzia che gli veniva
richiesta.
---------------
Considerato che, l'affidamento della
farmacia da parte della amministrazione
comunale si risolve nella concessione di un
servizio pubblico, a norma di quanto
stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n.163/2006
non si applicano le specifiche disposizioni
previste dal codice dei contratti, ma semmai
"i principi generali relativi ai
contratti pubblici" (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 12.05.2011 n. 2851 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
lex specialis della gara è quella che
regolamenta il procedimento di scelta del
contraente e il giudice, quando la stessa
non assume aspetti di illogicità, non può
sostituirsi all’amministrazione nel sua
etero integrazione. D’altro canto anche la
pubblica amministrazione è rigidamente
vincolata dalla lex specialis non potendo di
regola disporre l'esclusione dalla gara per
cause diverse da quelle ivi espressamente
previste.
Qualora le dichiarazioni di cui agli
articoli 46 e 47 presentino delle
irregolarità o delle omissioni rilevabili di
ufficio, non costituenti falsità, il
funzionario competente a ricevere la
documentazione dà notizia all'interessato di
tale irregolarità. Questi è tenuto alla
regolarizzazione o al completamento della
dichiarazione; in mancanza il procedimento
non ha seguito.
La lex specialis della gara è quella
che regolamenta il procedimento di scelta
del contraente e il giudice, quando la
stessa, come nel caso che occupa, non assume
aspetti di illogicità, non può sostituirsi
all’amministrazione nel sua etero
integrazione. D’altro canto anche la
pubblica amministrazione è rigidamente
vincolata dalla lex specialis non
potendo di regola disporre l'esclusione
dalla gara per cause diverse da quelle ivi
espressamente previste, in virtù del
principio dell'autovincolo e
dell'affidamento, corollari dell'art. 97
cost. (Cons. Stato , sez. V, 10.11.2010, n.
8003; V, 22.03.2010 n. 1652).
Ritiene
tuttavia la Sezione di aderire
all’orientamento giurisprudenziale che
consente la sanabilità delle irregolarità
diverse dalla falsità in ragione della
funzione che la dichiarazione di cui
trattasi esplica, e cioè di assicurare la
paternità della dichiarazione (Cons. Stato,
sez. V, 11.11.2004, n. 7339). In questi casi
viene in rilievo l'art. 71, terzo co., dello
stesso D.P.R. n. 445 del 2000 che prevede
che «qualora le dichiarazioni di cui agli
articoli 46 e 47 presentino delle
irregolarità o delle omissioni rilevabili di
ufficio, non costituenti falsità, il
funzionario competente a ricevere la
documentazione dà notizia all'interessato di
tale irregolarità. Questi è tenuto alla
regolarizzazione o al completamento della
dichiarazione; in mancanza il procedimento
non ha seguito»
(Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 12.05.2011 n. 2841 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Annullamento del
provvedimento impugnato inutile: permane
diritto al risarcimento.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale ha riformato la decisione
del Tar Campania n. 16615/2010 nella quale
era stato rigettato il ricorso presentato da
una società che si era collocata al sesto
posto della graduatoria, in una gara della
quale si chiedeva la rinnovazione. Il
Consiglio di Stato ha ritenuto l’appello
fondato per violazione del principio di
trasparenza di cui all’art. 97 Costituzione
poiché i verbali non contenevano indicazioni
in ordine al soggetto affidatario dei plichi
contenenti la documentazione della gara, e
quindi attestando la carenza delle doverose
misure di custodia delle offerte.
Nella seconda parte della pronuncia il
Consiglio di Stato evidenzia che sia il
ricorso al Tar che l’appello erano stati
proposti in ragione dell’interesse della
società ricorrente ad ottenere la
rinnovazione della gara, a cui poter in
seguito partecipare. Rileva inoltre che non
era stata avanzata alcuna richiesta di
risarcimento dei danni subiti, né di
declatoria di inefficacia del contratto
stipulato dall’amministrazione pubblica col
soggetto aggiudicatario che, peraltro,
risulta in avanzato stato di esecuzione.
Il Consiglio richiama l’art. 34 del codice
del processo amministrativo, che al comma
terzo recita “quando, nel corso del
giudizio, l’annullamento del provvedimento
impugnato non risulta più utile per il
ricorrente, il giudice accerta
l’illegittimità dell’atto se sussiste
l’interesse ai fini risarcitori”.
Siffatto principio impedisce l’annullamento
di atti che nel corso della causa hanno
esaurito i loro effetti, tutelando nel
contempo l’interesse del ricorrente
all’accertamento.
In particolare il comma V del predetto
articolo legittima la proposizione
dell’istanza risarcitoria fino ai 120 giorni
successivi al passaggio in giudicato della
sentenza che ha deciso sull’azione di
annullamento. Il Consiglio di Stato, nella
fattispecie, desume l’interesse della
ricorrente a fini risarcitori dalla natura e
dagli atti della controversia, precisando
inoltre che l’eventuale danno risarcibile si
suddistingue in: danno emergente (spese e
costi sostenuti per la partecipazione alla
gara), lucro cessante (10% del valore
dell’appalto), ulteriore percentuale del
valore dell’appalto a titolo di perdita di
chance.
Il Consiglio ha quindi accolto il ricorso,
oltre che per l’accertata violazione del
principio di trasparenza, riconoscendo
d’ufficio l’interesse della ricorrente a
fini risarcitori, in quanto nel caso di
specie sono risultati presenti tutti i
presupposti per un’eventuale sentenza da
rendere ai sensi del comma terzo dell’art.
34 c.p.a. (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.05.2011 n. 2817 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Appalto invalido ma
eseguito: no alla nuova gara, sì al
risarcimento.
Quando è stata proposta un'azione di
annullamento, la domanda risarcitoria può
essere formulata sino a centoventi giorni
dal passaggio in giudicato della relativa
sentenza. Quando, nel corso del giudizio,
l'annullamento del provvedimento impugnato
non risulta più utile per il ricorrente, il
giudice accerta l'illegittimità dell'atto se
sussiste l'interesse ai fini risarcitori.
L'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e
di Alta Specializzazione (A.O.R.N.) S. Anna
e San Sebastiano di Caserta indiceva una
procedura aperta per l'aggiudicazione
dell'appalto del servizio di manutenzione,
conduzione e gestione degli impianti
elettrici.
L'impresa S. spa, classificatasi al sesto
posto in graduatoria, impugna l'intervenuta
aggiudicazione, lamentando la violazione
delle elementari regole in materia di
custodia dei plichi di gara. Il Tar
Campania, Napoli, Sez. I, con la Sent. n.
16615 del 2010, respinge il ricorso,
affermando che, in aderenza al prevalente
orientamento giurisprudenziale, la mancata
indicazione nei verbali di gara delle
modalità di custodia dei plichi e degli
strumenti utilizzati per garantire la
segretezza delle offerte non assurge, di per
sé, a motivo di illegittimità del verbale e
della complessiva attività posta in essere
dalla commissione.
Occorre verificare e dar rilievo, secondo i
giudici di primo grado, ad un'eventuale e
concreta manomissione e/o alterazione della
documentazione di gara.
Nella precisa vicenda, il Tar ritiene che le
contestate alterazioni non possono essere
considerate come rettamente denunciate in
sede di ricorso, in quanto inammissibilmente
introdotte attraverso una memoria difensiva
non notificata alle controparti.
L'impresa S. spa impugna la sentenza di
primo grado, evidenziando che le doglianze,
afferenti le denunciate alterazioni, sono
state correttamente introdotte in giudizio,
attraverso la proposizione di motivi
aggiunti, ritualmente notificati e
depositati.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in
esame, accoglie la tesi dell'impresa
appellante e rileva la presenza delle
denunciate alterazioni.
Precisamente, il CdS accerta, anche sulla
base di quanto risulta dai verbali, la
sussistenza del seguente grave episodio, non
smentito dal presidente di commissione: in
data 5 maggio, un commissario ha chiesto e
prelevato direttamente, senza alcuna
preventiva autorizzazione, alcuni plichi
contenenti le offerte tecniche. In presenza
di tale episodio, il Consiglio di Stato
ritiene che le censure avanzate sono
pienamente fondate, per cui appare
inequivocamente acclarata l'assoluta carenza
di idonee misure di custodia dei plichi
contenenti le offerte.
A fronte di tale chiara constatazione dei
fatti, implicante l'annullamento degli atti
impugnati e della disposta aggiudicazione,
il CdS procede ad accertare se sussiste un
reale interesse, giustificante la pronuncia
di efficacia del contratto di appalto già
stipulato.
Il CdS prende atto che, nella concreta
vicenda, non sono presenti quelle "gravi
violazioni", che, ai sensi dell'art. 121
del Codice del processo amministrativo,
possono giustificare la declaratoria di
inefficacia del contratto e cioè:
- a) aggiudicazione definitiva avvenuta
senza previa pubblicazione del bando o
avviso;
- b) aggiudicazione definitiva avvenuta con
procedura negoziata senza bando o con
affidamento in economia fuori dai casi
consentiti;
- c) contratto stipulato senza rispettare il
termine dilatorio di 35 giorni, previsto dal
comma 10, dell'art. 11, del Codice dei
contratti pubblici, qualora tale violazione
abbia privato il ricorrente della
possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso
prima della stipulazione del contratto e
sempre che tale violazione, aggiungendosi ai
vizi propri dell'aggiudicazione definitiva,
abbia influito sulle possibilità del
ricorrente di ottenere l'affidamento;
- d) contratto stipulato senza rispettare la
sospensione obbligatoria del termine per la
stipulazione, derivante dalla proposizione
del ricorso giurisdizionale avverso
l'aggiudicazione definitiva (art. 11, comma
10-ter, Codice), qualora tale violazione,
aggiungendosi ai vizi propri
dell'aggiudicazione definitiva, abbia
influito sulle possibilità del ricorrente di
ottenere l'affidamento.
Inoltre, i giudici prendono atto che non
sussiste la possibilità di dichiarare
l'inefficacia del contratto ai sensi
dell'art. 122 del Codice processuale.
Tale importante disposizione normativa
stabilisce che, oltre i casi, espressamente
ora indicati, è possibile, annullando
l'aggiudicazione, dichiarare inefficace il
contratto, "tenendo conto, in
particolare, degli interessi delle parti,
dell'effettiva possibilità per il ricorrente
di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei
vizi riscontrati, dello stato di esecuzione
del contratto e della possibilità di
subentrare nel contratto, nei casi in cui il
vizio dell'aggiudicazione non comporti
l'obbligo di rinnovare la gara".
Ora, analizzando la concreta fattispecie, i
giudici di appello riscontrano i seguenti e
puntuali elementi fattuali:
- L'impresa appellante, classificatasi sesta
nella graduatoria definitiva, non ha alcuna
effettiva possibilità di conseguire, in via
diretta, l'aggiudicazione, alla luce dei
vizi riconosciuti, di natura esclusivamente
strumentale, e tanto meno ha la possibilità
di subentrare nel contratto.
- Il contratto di appalto è in stato di
avanzata esecuzione, per cui non è possibile
la rinnovazione della gara.
In presenza di siffatta situazione
processuale, occorre procedere ad una
duplice considerazione: non sussistono i
presupposti per dichiarare inefficace il
contratto e l'eventuale annullamento degli
atti impugnati, pur sussistendo chiari vizi
di legittimità, non recherebbe alcuna
utilità all'impresa appellante, non potendo
avere l'annullamento medesimo alcun
contenuto conformativo idoneo a soddisfare
l'interesse del ricorrente.
Allora, sulla scorta di tali ragioni, i
giudici amministrativi di appello ritengono
che occorre tener conto del comma 3,
dell'art. 34 del codice processuale, il
quale stabilisce che "quando, nel corso
del giudizio, l'annullamento del
provvedimento impugnato non risulta più
utile per il ricorrente, il giudice accerta
l'illegittimità dell'atto se sussiste
l'interesse ai fini risarcitori".
Si tratta di un'importante ed innovativa
disposizione processuale, diretta ad evitare
l'inutile annullamento di provvedimenti (nel
caso di specie: l'aggiudicazione
definitiva), che abbiano ormai esaurito i
loro effetti nel corso del giudizio.
Invero, la disposizione presenta anche un
altro fine: accertare, comunque, le
illegittimità, laddove possa essere
ipotizzata la sussistenza di un interesse al
risarcimento, distinto da quello
all'annullamento, privo di risvolti pratici.
In questa ipotesi, l'azione costitutiva
smarrisce il suo naturale effetto "modificativo"
(la modificazione di una situazione
giuridica) e si riduce ad un mero
accertamento di illegittimità per puri fini
risarcitori, cioè per realizzare l'interesse
al risarcimento.
Al riguardo, il CdS ricorda che l'art. 30
del codice processuale prevede termini
precisi: quando è stata proposta un'azione
di annullamento, la domanda risarcitoria può
essere formulata sino a centoventi giorni
dal passaggio in giudicato della relativa
sentenza.
A questo punto, i giudici amministrativi di
appello, chiarito il principio che è
possibile comunque accertare una
illegittimità utile ai soli fini risarcitori
(ma, inutile ai fini modificativi della
situazione giuridica consolidatasi),
affrontano due precise questioni.
In primo luogo, la questione se
l'applicazione del predetto comma 3,
dell'art. 34 presupponga una specifica
istanza da parte del soggetto interessato.
A tale domanda, deve essere data una
risposta negativa, sia per ragioni di
carattere testuale, in quanto nella norma
non si rinviene alcun riferimento ad
un'istanza, sia perché l'accertamento
dell'illegittimità dell'atto impugnato è
contenuto nel petitum di annullamento
come un presupposto necessario.
In secondo luogo, il CdS affronta il
problema della possibile sussistenza, nella
concreta fattispecie, di un reale "interesse
ai fini risarcitori", come prescritto
dalla disposizione normativa.
Al riguardo, i giudici ricordano che il
danno ipoteticamente risarcibile si
sostanzia essenzialmente nelle seguenti
voci:
a) danno emergente, costituito dalle spese e
dai costi sostenuti per la preparazione
dell'offerta e per la partecipazione alla
procedura;
b) lucro cessante, generalmente determinato
nel 10% del valore dell'appalto;
c) un'ulteriore percentuale del valore
dell'appalto a titolo di perdita di chance,
legata all'impossibilità di far valere,
nelle future contrattazioni, il requisito
economico pari al valore dell'appalto non
eseguito.
Al riguardo, sempre il Consiglio di Stato
(Sez. IV), in una recente pronuncia
(16.05.2011, n. 2955), ha evidenziato che "la
partecipazione ad un appalto pubblico,
nonché la fase di esecuzione dello stesso,
rappresentano per l'impresa concorrente un
vantaggio economicamente valutabile, in
quanto accresce la capacità di competere sul
mercato e, dunque, la chance di ottenere
l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il
danno c.d. "curriculare", il quale consiste
nel pregiudizio subito dall'impresa in
dipendenza del mancato arricchimento del
proprio "curriculum" professionale, ossia
per la circostanza di non poter indicare in
esso l'avvenuta esecuzione di un appalto,
dal quale si sia stati esclusi a causa del
comportamento illegittimo
dell'amministrazione".
Ora, nella concreta fattispecie, il CdS
ritiene che sono sicuramente rinvenibili due
tipologie di danno risarcibile: le spese di
partecipazione alla gara e l'eventuale
perdita di chance, che l'impresa potrebbe
dimostrare.
Proprio in ragione di tali danni, i giudici
ritengono sussistente uno specifico
interesse al risarcimento, con connessa
applicazione del già illustrato comma 3,
dell'art. 34 del codice processuale
(commento tratto da ww.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 12.05.2011 n. 2817 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Anche nei cottimi
appalti la dichiarazione in materia di
tutela dei diritti dei disabili va
presentata a pena di esclusione, pur in
assenza di espressa previsione nel bando di
gara.
La dichiarazione di cui all'art. 17, l.
12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei
disabili, costituisce requisito di
partecipazione per qualsiasi tipologia di
gara, sia essa sopra soglia o sotto soglia
comunitaria; ne consegue che la omissione di
detta dichiarazione costituisce causa di
esclusione per la forza cogente propria
della legge, anche se non richiamata dalla
lex specialis (Cons. Stato, sez. V,
10.01.2007 n. 33; 24.01.2007 n. 2566 e
06.07.2002 n. 3733; Sez IV, 14.05.2004 n.
3148) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 1160 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Deve ritenersi che la
qualificazione di servizio pubblico locale
spetti a quelle attività caratterizzate, sul
piano oggettivo, dal perseguimento di scopi
sociali e di sviluppo della società civile,
selezionati in base a scelte di carattere
eminentemente politico, quanto alla
destinazione delle risorse economiche
disponibili ed all'ambito di intervento, e,
su quello soggettivo, dalla riconduzione
diretta o indiretta (per effetto di rapporti
concessori o di partecipazione all'assetto
organizzativo dell'ente) ad una figura
soggettiva di rilievo pubblico.
Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto
come servizi pubblici locali quelli di
manutenzione delle strade, degli impianti di
illuminazione pubblica e del verde pubblico
... Tanto è sufficiente per concludere che
si tratta senz'altro di servizi pubblici
locali ricadenti nel campo di applicazione
del titolo V del T.U.E.L..
Occorre stabilire se il servizio di gestione
degli impianti di illuminazione pubblica sia
qualificabile come servizio pubblico locale
ovvero come appalto di servizi.
Il Collegio condivide, sul punto, le
argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato
(sez. V, 13.12.2006, n. 7369; nello stesso
senso, recentemente, sez. V, 25.11.2010, n.
8231, al punto 3) secondo cui “deve
ritenersi che la qualificazione di servizio
pubblico locale spetti a quelle attività
caratterizzate, sul piano oggettivo, dal
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo
della società civile, selezionati in base a
scelte di carattere eminentemente politico,
quanto alla destinazione delle risorse
economiche disponibili ed all'ambito di
intervento, e, su quello soggettivo, dalla
riconduzione diretta o indiretta (per
effetto di rapporti concessori o di
partecipazione all'assetto organizzativo
dell'ente) ad una figura soggettiva di
rilievo pubblico. Nel caso di specie il
comune ( …) ha assunto come servizi pubblici
locali quelli di manutenzione delle strade,
degli impianti di illuminazione pubblica e
del verde pubblico ... Tanto è sufficiente
per concludere che si tratta senz'altro di
servizi pubblici locali ricadenti nel campo
di applicazione del titolo V del T.U.E.L.”
(sez. V, n. 7369/2006, cit.) (TAR Sardegna,
Sez. I,
sentenza 11.05.2011 n. 465 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso agli
atti di una gara pubblica.
E’ legittimo l’operato di una stazione
appaltante che abbia negato l’accesso agli
atti di gara ad una società che non ha
partecipato alla procedura concorsuale.
Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter, con la
sentenza 10.05.2011 n. 4081.
Nel caso di specie le Poste Italiane spa
avevano indetto una gara per
l’individuazione dei soggetti con cui
sottoscrivere accordi quadro di fornitura di
autoveicoli, alla quale aveva partecipato
una sola concorrente, poi risultata
aggiudicataria.
Un’impresa operante nel settore di mercato
coincidente con quello oggetto dell’appalto
aveva presentato istanza di accesso agli
atti di gara, sulla base delle seguenti
motivazioni:
“…di essere titolare di un interesse
qualificato all’accesso, in qualità di
primaria operatrice nel settore della
locazione a lungo termine di veicoli senza
conducente, aspirando, attraverso
l’impugnativa di tali atti, alla
rinnovazione della procedura concorsuale ed
alla partecipazione a seguito di
rinnovazione della gara.”
La stazione appaltante aveva tuttavia negato
l’accesso.
I giudici amministrativi, investiti della
questione, ritengono che l’amministrazione
abbia legittimamente agito, in quanto:
“L’art. 13, del richiamato codice dei
contratti, premesso un generale rinvio alle
norme di cui alla legge n. 241 del 1990,
indica, poi, una disciplina che diverge da
quest'ultima per alcuni profili,
evidenziando previsioni peculiari, e,
dunque, speciali rispetto a quelle di cui
all'art. 24 della legge n. 241/1990.
Il comma 6 dell'art. 13 in esame, infatti,
consente l'accesso agli atti coperti da
segreti tecnici e commerciali, contenuti
nelle offerte, riservandolo, però "al
concorrente che lo chieda in vista della
difesa in giudizio dei propri interessi in
relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell’ambito della quale viene
formulata la richiesta di accesso".
E’ evidente la diversità rispetto alla
corrispondente regola dettata dall'art. 24,
comma 7, che può cogliersi già alla lettura
testuale della seconda norma ora in esame,
ove si prevede il diritto all’accesso nei
casi in cui questo sia necessario per curare
o per difendere "i propri interessi
giuridici", con una formulazione più
ampia rispetto a quella di cui al comma 6,
dell'art. 13, che, invece, collega
l’interesse all’accesso alla posizione
giuridica non di chiunque vi abbia
interesse, ma del solo concorrente che abbia
intrapreso un giudizio avente ad oggetto la
procedura di gara in cui l'istanza di
accesso è formulata.
In conclusione, l’accesso ai documenti
amministrativi, che trova una
regolamentazione specifica nel settore dei
contratti pubblici, non può risolversi in un
controllo generalizzato sull’attività della
pubblica amministrazione e tanto meno può
essere consentito a soggetti che non abbiano
partecipato alla procedura poiché non sono
titolari di quella posizione differenziata e
qualificata richiesta dalla normativa in
oggetto (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il termine per
l'impugnazione del provvedimento di
aggiudicazione della gara deve ritenersi
decorrente dalla relativa comunicazione.
Premesso che l’omissione di comunicazione
dell’aggiudicazione definitiva ai sensi
dell’articolo 79, comma 5, del codice dei
contratti -che impone che l’avvenuta
aggiudicazione definitiva sia comunicata
entro un termine non superiore a cinque
giorni- non incide sulla legittimità
dell’aggiudicazione, ma semplicemente sulla
decorrenza del termine per l’impugnazione,
il momento da cui decorre il termine per
l'impugnazione dell'aggiudicazione
definitiva è quello della comunicazione
obbligatoria di cui al comma 5 dell'articolo
79 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non quello
di cui al comma 2 della medesima
disposizione (TAR Emilia Romagna, Parma,
sez. I, 05.04.2011, n. 97).
Nel vigore della nuovo testo del richiamato
articolo 79 è stato affermato il principio
secondo cui è tardivo il ricorso notificato
oltre il termine decadenziale decorrente
dalla ricezione del fax recante
comunicazione dell'aggiudicazione definitiva
di una gara, e ciò anche qualora il
destinatario non abbia espressamente
autorizzato l'utilizzo del fax ai sensi
dell'art. 79, comma 5-bis, del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, come modificato dal
d.lgs. 20.03.2010, n. 53; invero,
quest'ultima norma va coordinata con il
principio, oggi contenuto nell'articolo 41
del d.lgs. 02.07.2010, secondo cui detto
termine decadenziale decorre non soltanto
dalla notificazione o comunicazione del
provvedimento lesivo, ma anche dalla sua
piena conoscenza, da ritenersi realizzata
anche attraverso la ricezione di un fax (TAR
Lazio, Latina, sez. I, 19.11.2010, n. 1903).
Se, pertanto, il provvedimento lesivo, da
cui decorrono i termini per l'impugnazione,
è quello dell’aggiudicazione definitiva, ne
consegue che, nelle ipotesi in cui la piena
conoscenza dello stesso avvenga mediante la
ricezione della comunicazione individuale di
cui all'articolo 79, è a tale comunicazione
che deve farsi riferimento ai fini della
proposizione dell'azione impugnatoria, posto
che essa contiene gli elementi essenziali
della decisione e del suo contenuto lesivo,
potendo la conoscenza di ulteriori atti
della procedura consentire la proposizione
di eventuali motivi aggiunti.
Conseguentemente, al di là di inutili
formalismi inerenti la qualificazione degli
atti, il termine per l'impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione della gara
deve ritenersi decorrente dalla relativa
comunicazione, dovendo l'azione impugnatoria
intendersi riferita al contenuto sostanziale
della decisione di cui si dà notizia, e cioè
all'aggiudicazione definitiva di cui parte
ricorrente si duole, anche nella
considerazione della mancata conoscenza di
ulteriori e diversi provvedimenti (TAR
Lazio, Roma, sez. I, 08.07.2009, n. 6681)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 10.05.2011 n. 4070 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
normativa sopravvenuta non può essere
applicata alla gara il cui bando sia stato
pubblicato precedentemente all'entrata in
vigore della stessa.
E' costante l'orientamento giurisprudenziale
secondo il quale le disposizioni normative
sopravvenute non trovano applicazione
relativamente alle procedure in itinere alla
data della loro entrata in vigore, in quanto
il principio tempus regit actum
attiene alle sequenze procedimentali
composte di atti dotati di propria autonomia
funzionale e non anche ad attività (quale è
quella di espletamento di una procedura
concorsuale di selezione contrassegnata,
come nella fattispecie, dal carattere di
unitarietà) interamente disciplinate dalle
norme vigenti al momento in cui essa ha
inizio.
Pertanto, mentre le norme legislative o
regolamentari vigenti al momento
dell'indizione della procedura devono essere
applicate anche se non espressamente
richiamate nel bando, le norme sopravvenute
non modificano, di regola, le procedure già
bandite, a meno che diversamente non sia
espressamente stabilito dalle norme stesse
(TAR Sardegna, Sezione I, 11.08.2009, n.
1439, TAR Lazio Roma, sez. I, 03.05.2007, n.
3893).
Quindi nelle procedure di gara per
l’aggiudicazione di appalti pubblici è
inapplicabile la normativa sopravvenuta alla
pubblicazione del bando di gara. Infatti,
dalla circostanza che il bando, come corpo
di norme regolatrici la gara genera
affidamento nei soggetti che vi partecipano
consegue che la relativa normativa deve
ritenersi cristallizzata al momento della
pubblicazione dello stesso (TAR Campania,
Napoli Sezione I, 11.05.2004 n. 8559).
D’altronde costituisce ius receptum
il principio in base al quale “il
procedimento amministrativo è regolato dal
principio tempus regit actum, e ciò comporta
che la legittimità di un provvedimento va
valutata in relazione alle norme vigenti al
tempo in cui lo stesso è adottato, in
relazione agli interessi sostanziali
tutelati in quella fase del procedimento e
quindi, nelle gare pubbliche, dalla fase
delle offerte alla fase decisoria e
conclusiva dell'avvenuta aggiudicazione”
(Consiglio Stato , sez. IV, 12.03.2009, n.
1458).
E’ fuor di dubbio, in definitiva, che la
normativa sopravvenuta non può essere
applicata alla gara il cui bando sia stato
pubblicato precedentemente all'entrata in
vigore della stessa, dato che in caso
contrario si perverrebbe alla conclusione di
applicare al procedimento una regola diversa
da quella voluta ex ante
dall'Amministrazione in sede di
regolamentazione della gara e conosciuta
come tale dalle imprese partecipanti, con
evidente vulnus dell'affidamento
ingenerato nelle concorrenti (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 10.05.2011 n. 458 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'art. 121 del D.Lgs. n.
163 del 2006, opera una sostanziale
unificazione della disciplina dei contratti
sopra soglia comunitaria con quelli sotto
soglia, sancendo l'applicabilità a
quest'ultimi di gran parte delle norme del
codice dei contratti.
L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006
dispone che ai contratti pubblici aventi per
oggetto lavori, servizi, forniture, di
importo inferiore alle soglie di rilevanza
comunitaria, si applicano oltre alle
disposizioni della parte 1, della parte 4 e
della parte 5, anche le disposizioni della
parte 2, in quanto non derogate dalle norme
del presente titolo 2.
Detto articolo, pertanto, opera una
sostanziale unificazione della disciplina
dei contratti sopra soglia comunitaria con
quelli sotto soglia, sancendo
l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte
delle norme del codice dei contratti.
Tra le norme di applicazione generale,
valevoli anche per i contratti sotto soglia
di particolare rilievo, è l'art. 244
contenuto nel titolo 4 sul contenzioso,
richiamato dal menzionato art. 121, il quale
demanda alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie
relative a procedure di affidamento di
lavori, servizi e forniture, svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del
contraente, ad applicare la normativa
comunitaria o ad osservare i procedimenti di
evidenza pubblica previsti dalla normativa
statale o regionale (Corte di Cassazione,
SS.UU. civili,
sentenza 09.05.2011 n. 10068 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La tutela
dell'affidamento e la correttezza
dell'azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
stazione appaltante possano essere traslate
a carico del soggetto concorrente.
La tutela dell'affidamento e la correttezza
dell'azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
stazione appaltante (quale, nel caso di
specie, finisce per essere l'imprecisa
dizione letterale di un articolo del
disciplinare) possano essere traslate a
carico del soggetto concorrente,
comminandogli la sanzione dell'esclusione
dalla gara. Pertanto, è illegittimo il
provvedimento di esclusione da una gara,
adottato nei confronti di un RTI, che abbia
omesso di presentare un documento, a causa
di un'imprecisa formulazione della lex
specialis.
La stazione appaltante, infatti, a tutela
della par condicio e del principio di
massima partecipazione, avrebbe dovuto
esercitare il potere di invitare il
concorrente a completare e chiarire la
documentazione presentata, senza che, in un
caso come quello di specie, in cui la
mancanza di un documento è da addebitarsi
innanzitutto alla formulazione della lex
specialis, piuttosto che alla colpa del
privato, possa assumere rilievo la
distinzione, in altri casi dirimente, tra
mancanza della dichiarazione ed
incompletezza della stessa, che finirebbe
per violare la ratio stessa dell'art.
46 del d.lgs. 163/2006 (TAR Campania-Napoli,
Sez. I,
sentenza 09.05.2011 n. 2587 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Mancanza di un documento
- Addebitabilità alla formulazione della lex
specialis - Tutela della par condicio e del
principio di massima partecipazione - Invito
a completare e chiarire la documentazione.
Nel caso in cui la mancanza di un documento
è da addebitarsi innanzitutto alla
formulazione della lex specialis,
piuttosto che alla colpa del privato, la
stazione è tenuta ad invitare il concorrente
a completare e chiarire la documentazione
presentata, a tutela della par condicio e
del principio di massima partecipazione,
senza che possa assumere rilievo la
distinzione, in altri casi dirimente, tra
mancanza della dichiarazione ed
incompletezza della stessa, che finirebbe
per violare la ratio stessa dell’art.
46 del d.lgs. 163/2006.
Condotta colposa della
stazione appaltante - Conseguenze -
Traslazione a carico del soggetto
concorrente - Esclusione - Fattispecie.
La tutela dell’affidamento e la correttezza
dell’azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
stazione appaltante (quale, nel caso di
specie, finisce per essere l’imprecisa
dizione letterale del disciplinare) possano
essere traslate a carico del soggetto
concorrente, comminandogli la sanzione
dell’esclusione dalla gara (fattispecie
relativa alla previsione, nel disciplinare,
della causa di esclusione ex art. 38, c. 1,
lett. b), del d.lgs. n. 163/2006; mentre la
legge fa riferimento alla posizione degli
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza, il disciplinare di gara si
riferiva invece agli amministratori muniti
di potere di firma e di rappresentanza
legale) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 09.05.2011 n. 2587 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità da
parte della stazione appaltante di una
verifica delle offerte approfondita nel caso
di un'offerta anomala che presenti un
ribasso particolarmente consistente.
E' legittima una verifica dell'anomalia
approfondita, in ordine alla congruità di
un' offerta che presenti un ribasso
particolarmente consistente, e ciò al fine
di accertare che l'offerente, nonostante il
ridotto margine di utile, sia in grado di
fornire una prestazione adeguata a
soddisfare l'interesse pubblico alla
regolare esecuzione.
In tema di verifica in ordine all'anomalia
delle offerte presentate in sede di gara,
secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, la stazione appaltante
gode di ampia discrezionalità, per cui la
relativa valutazione, inerendo al merito
amministrativo, è da ritenersi insindacabile
in sede di legittimità, se non per aspetti
di manifesta irrazionalità od evidente
travisamento dei fatti, che non sussistono,
alla luce anche del concreto procedimento
svolto per la verifica di attendibilità
dell'offerta.
Nel caso di specie, con riguardo alla soglia
di anomalia individuata, si è ritenuto
ingiustificato il ribasso offerto in
considerazione di una pluralità di ragioni,
che nel loro insieme sorreggono la
valutazione avanzata dalla stazione
appaltante. Tali motivazioni evidenziano
l'inattendibilità economica dell'offerta per
eccessivo ribasso, ai fini di un corretto
esercizio in fase di esecuzione del
contratto.
Peraltro, il concorrente non risulta in
grado di fornire una prestazione adeguata a
soddisfare l'interesse pubblico alla
regolare esecuzione dei lavori in appalto,
secondo i dovuti livelli e standards di
efficienza e qualità (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 09.05.2011 n. 2751 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L'esplicitazione,
da parte del concorrente, degli oneri di
sicurezza risponde alla finalità di
consentire alla stazione appaltante di
verificarne la congruità e l'attendibilità,
tenuto conto dell'interesse pubblico a
garantire la sicurezza dell'esecuzione
dell'appalto. Conseguentemente, la
quantificazione degli oneri in questione
deve essere chiara e non può esser né
incerta né indeterminata, né può tradursi
nell'inclusione dei relativi costi in una
voce ampia e generica come quella delle
spese generali, senza alcuna ulteriore
specificazione. Diversamente la ratio legis
verrebbe vanificata atteso che, mancando
l'indicazione dei costi, la stazione
appaltante non avrebbe la possibilità di
verificarne l'attendibilità e la serietà.
Dalla disposizione contenuta nell’art. 87,
comma 4 del codice dei contratti discendono
due corollari: il primo è che i concorrenti
che intendano partecipare alle procedure di
gara devono indicare espressamente,
nell'offerta economica, quali siano gli
oneri economici che ritengono di dover
sopportare al fine di adempiere esattamente
agli obblighi di sicurezza sul lavoro; il
secondo è che l'amministrazione appaltante è
tenuta a valutare la congruità dell'importo
destinato ai costi per la sicurezza.
Nonostante la mancanza di una comminatoria
espressa nella disciplina speciale di gara,
l'inosservanza della prescrizione primaria
che impone l'indicazione preventiva dei
costi di sicurezza implica la sanzione
dell'esclusione, in quanto rende l'offerta
incompleta sotto un profilo particolarmente
rilevante alla luce della natura
costituzionalmente sensibile degli interessi
protetti ed impedisce alla stazione
appaltante un adeguato controllo
sull'affidabilità dell'offerta stessa.
Come già affermato dalla Sezione (TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 24.11.2009, n.
5136), con argomentazioni che il Collegio
condivide in toto, l'esplicitazione, da
parte del concorrente, degli oneri di
sicurezza risponde alla finalità di
consentire alla stazione appaltante di
verificarne la congruità e l'attendibilità,
tenuto conto dell'interesse pubblico a
garantire la sicurezza dell'esecuzione
dell'appalto.
Conseguentemente, la quantificazione degli
oneri in questione deve essere chiara e non
può esser né incerta né indeterminata, né
può tradursi nell'inclusione dei relativi
costi in una voce ampia e generica come
quella delle spese generali, senza alcuna
ulteriore specificazione.
Diversamente la ratio legis verrebbe
vanificata atteso che, mancando
l'indicazione dei costi, la stazione
appaltante non avrebbe la possibilità di
verificarne l'attendibilità e la serietà.
Questa è la ragione per la quale il comma 4
dell'art. 87 del D.Lgs. n. 163 ha imposto ai
concorrenti una specifica indicazione degli
oneri in questione: la norma ha voluto
chiaramente separare l'indicazione del
corrispettivo per l'esecuzione della
prestazione dai costi per garantirne la
sicurezza.
A questo primario interesse pubblico vanno,
invero, ricondotte le regole dettate
dapprima dalla legge n. 327/2000 e poi dal
D.Lgs. n. 163/2006, che hanno
sostanzialmente equiparato gli appalti di
servizi e di forniture a quelli di lavori
pubblici ai fini della tutela della
sicurezza dei lavoratori (sul punto cfr. TAR
Liguria, Sez. II, 13.11.2008, n. 1974).
In proposito è stato affermato (TAR
Sardegna, Cagliari, sez. I, 26.06.2009, n.
1047), che dalla disposizione contenuta
nell’art. 87, comma 4 del codice dei
contratti discendono due corollari: il primo
è che i concorrenti che intendano
partecipare alle procedure di gara devono
indicare espressamente, nell'offerta
economica, quali siano gli oneri economici
che ritengono di dover sopportare al fine di
adempiere esattamente agli obblighi di
sicurezza sul lavoro; il secondo è che
l'amministrazione appaltante è tenuta a
valutare la congruità dell'importo destinato
ai costi per la sicurezza.
E’ stato anche rilevato che, sebbene si
possa dubitare dell'automaticità
dell'esclusione di offerte così formulate,
in assenza di una espressa sanzione in tal
senso nel bando di gara, tuttavia debba
essere considerata la peculiare natura delle
norme in materia di sicurezza del lavoro,
finalizzate a garantire l'intangibilità dei
diritti fondamentali della persona del
lavoratore, quali quelli alla vita e alla
salute, come emerge dalla ampia produzione
legislativa degli ultimi anni.
Il conseguimento di tali fini rappresenta,
quindi, un obiettivo essenziale del sistema
normativo in materia, che è altresì
avvalorato da sicuri riferimenti
costituzionali (artt. 2, 3, 32 e 38 della
Costituzione).
In particolare, la disciplina della
previsione e della valutazione degli oneri
di sicurezza nella fase di affidamento dei
contratti pubblici esprime l'esigenza che il
rispetto della normativa sulla sicurezza del
lavoro sia assicurato anche quando la
promozione di tale valore essenziale si
ponga in contrasto con alcuni dei principi
che governano il procedimento di affidamento
dei contratti pubblici.
Sotto questo profilo si giustifica, quindi,
l’integrazione automatica delle norme del
bando di gara (secondo il meccanismo
previsto dagli articoli 1374 e 1339 del cod.
civ., come ha precisato, per altra ipotesi,
Cons. Stato Sez. V, 18.11.2004, n. 7555), se
queste non prevedano espressamente quanto
obbligatoriamente disposto dalle norme
dell'ordinamento.
Tale ricostruzione ermeneutica è stata,
altresì, recentemente confermata dal
Consiglio di Stato (Sez. V, 23.07.2010, n.
4849) il quale ha affermato che la
circostanza che solo nei bandi di gara
relativi agli appalti di lavori, ai sensi
dell'art. 131 del codice dei contratti
pubblici, debbano essere evidenziati gli
oneri di sicurezza non soggetti a ribasso,
fa sì che nelle altre procedure di gara, in
assenza della preventiva fissazione del
costo per la sicurezza da parte
dell'amministrazione aggiudicatrice quale
specifica componente del costo del lavoro,
sia necessario che il relativo importo venga
scorporato dalle offerte dei singoli
concorrenti e sottoposto a verifica per
valutare se sia congruo rispetto alle
esigenze di tutela dei lavoratori.
La mancanza di una specifica previsione
sugli oneri per la sicurezza in seno alla
lex specialis non toglie, quindi, che la
norma primaria, immediatamente precettiva ed
idonea ad eterointegrare le regole
procedurali, imponga agli offerenti di
indicare separatamente i costi per la
sicurezza per le esposte ragioni.
Secondo la richiamata decisione, nonostante
la mancanza di una comminatoria espressa
nella disciplina speciale di gara,
l'inosservanza della prescrizione primaria
che impone l'indicazione preventiva dei
costi di sicurezza implica la sanzione
dell'esclusione, in quanto rende l'offerta
incompleta sotto un profilo particolarmente
rilevante alla luce della natura
costituzionalmente sensibile degli interessi
protetti ed impedisce alla stazione
appaltante un adeguato controllo
sull'affidabilità dell'offerta stessa (cfr.
da ultimo: Cons. Stato, Sez. V, 21.01.2011,
n. 17; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II,
12.01.2011, n. 26; TAR Campania Napoli, Sez.
I, 18.03.2011, n. 1497) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.05.2011 n. 1217 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'inosservanza di una
determinata prescrizione contenuta nella
"lex specialis" circa le modalità di
presentazione dell'offerta implica, invero,
la doverosa esclusione del concorrente solo
quando si tratta di clausole rispondenti ad
un particolare interesse
dell'Amministrazione appaltante o poste a
garanzia della par condicio tra i
concorrenti e del correlato principio della
segretezza delle offerte, giacché tra più
interpretazioni delle norme di gara è da
preferire quella che conduca alla
partecipazione del maggior numero possibile
di aspiranti, al fine di consentire,
nell'interesse pubblico, una selezione più
accurata tra un ventaglio più ampio di
offerte
L'inosservanza
di una determinata prescrizione contenuta
nella "lex specialis" circa le
modalità di presentazione dell'offerta
implica, invero, la doverosa esclusione del
concorrente solo quando si tratta di
clausole rispondenti ad un particolare
interesse dell'Amministrazione appaltante o
poste a garanzia della par condicio tra i
concorrenti e del correlato principio della
segretezza delle offerte, giacché tra più
interpretazioni delle norme di gara è da
preferire quella che conduca alla
partecipazione del maggior numero possibile
di aspiranti, al fine di consentire,
nell'interesse pubblico, una selezione più
accurata tra un ventaglio più ampio di
offerte
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.05.2011 n. 2725 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esclusione dalle gare
pubbliche: chi ha interesse a riottenere la
riedizione.
Se da un lato è
sufficiente l'interesse strumentale del
partecipante ad una gara pubblica di appalto
per ottenere la riedizione della gara
stessa, dall'altro lato deve ritenersi che
un tale interesse non sussista in capo al
soggetto legittimamente escluso dato che
questi, per effetto della esclusione, rimane
privo non soltanto del titolo legittimante a
partecipare alla gara, ma anche a
contestarne gli esiti e la legittimità delle
distinte scansioni procedimentali.
Questa Sezione
del Consiglio di Stato ha rilevato che se è
sufficiente l’interesse strumentale del
partecipante ad una gara pubblica di appalto
ad ottenere la riedizione della gara stessa,
“... deve in ogni caso ritenersi che un
tale interesse non sussista in capo al
soggetto legittimamente escluso dato che
tale soggetto, per effetto di tale
esclusione, rimane privo non soltanto del
titolo legittimante a partecipare alla gara,
ma anche a contestarne gli esiti e la
legittimità delle distinte scansioni
procedimentali “ (Cons. Stato, V,
22.06.2010 n. 3889).
E’ stato altresì rilevato che: “se fosse
accettabile l’assunto che l’interesse
strumentale, cioè la prospettiva del
vantaggio consistente nella semplice
possibilità di partecipare alla riedizione
della gara, basti a legittimare il candidato
estromesso ad impugnare gli atti di gara,
occorrerebbe con coerenza dichiarare
qualunque operatore economico legittimato ad
impugnare ogni gara consona al proprio
ambito merceologico, a prescindere da
qualsivoglia candidatura, in presenza di
vizi atti a travolgere radicalmente il
procedimento ed prepararne il rinnovo”
(Cons. Stato IV, 26.11.2009 n. 7441).
Sotto altro profilo va rilevato che nel caso
in cui l’impresa partecipi alla gara
l’interesse da riconoscere è quello alla
vittoria nella specifica gara a cui ha
partecipato e non anche quello al rinnovo
della gara previo un nuovo bando, altrimenti
si perviene in concreto a rimettere in corsa
un concorrente di cui è stato accertato il
difetto dei requisiti di partecipazione
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.05.2011 n. 2716 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Informativa
prefettizia atipica, la revoca
dell'aggiudicazione richiede un'adeguata
istruttoria.
Pur condividendosi l’affermazione di
principio, secondo la quale ai fini della
revoca della aggiudicazione di un appalto a
seguito della acquisizione di una
informativa antimafia atipica è sufficiente
l’esistenza di elementi sintomatici del
pericolo di collegamento tra l'impresa e le
organizzazioni criminali, non può non
sottolinearsi la necessità di una adeguata
istruttoria, dalla quale emergano elementi
indiziari che, complessivamente considerati,
rendano attendibile l'ipotesi del tentativo
di ingerenza da parte di tali
organizzazioni.
Un diverso modus procedendi comporta,
infatti, il rischio della estromissione dal
circuito degli appalti pubblici di imprese
non collegate con il contesto mafioso, con
conseguente alterazione dei meccanismi della
concorrenza (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 06.05.2011 n. 883 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In presenza di una informativa antimafia
atipica l'amministrazione che decida di
recedere dai contratti o escludere una
concorrente dall'ambito delle procedure in
corso, deve fornire un'adeguata motivazione.
In presenza di una informativa antimafia
atipica, l'amministrazione che decida di
recedere dai contratti o escludere una
concorrente dall'ambito delle procedure in
corso deve fornire un'adeguata motivazione,
non potendo essa fare mero riferimento
all'esistenza della predetta informativa.
Pertanto, nel caso di specie, deve essere
annullato il provvedimento del Comune
essendosi limitato a richiamare la nota
prefettizia per giustificare la propria
decisione di non invitare la ricorrente alla
presentazione di offerte nell'ambito delle
procedure ristrette bandite (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 06.05.2011 n. 862 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Quale
procedura per la concessione di beni in
favore delle ONLUS?
Domanda.
La
concessione di beni non utilizzati per fini
istituzionali in favore delle ONLUS, sulla
base della giurisprudenza amministrativa
formatasi in materia, può avvenire con
affidamento diretto oppure è comunque sempre
necessario pubblicare un bando di gara?
Risposta.
Secondo la definizione di ONLUS contenuta
all'art. 10, D.Lgs. 04-12-1997, n. 460 le
organizzazioni non lucrative di utilità
sociale sono "le associazioni, i
comitati, le fondazioni, le società
cooperative e gli altri enti di carattere
privato, con o senza personalità giuridica"
i cui Statuti o atti costitutivi prevedano
delle condizioni, prescritte dalla stessa
norma, tali da perseguire finalità di
solidarietà sociale e l'assenza dello scopo
di lucro.
Tuttavia, la semplice configurazione di Enti
no profit non significa che la loro
attività sia posta al di fuori del mercato e
della concorrenza, così come sostenuto nella
sentenza della Corte giustizia comunità
Europee Sez. III, 29.11.2007, n. 119/2006
che rappresenta una piccola rivoluzione nel
modo di configurare i servizi sociali e il
loro impatto nel mondo concorrenziale.
Spetta pertanto alle Amministrazioni
procedenti verificare se, nel concreto, il
servizio reso da un Ente del no profit non
abbia caratteristica di impresa, in quanto
operante in un ambito nel quale non vi siano
altri soggetti operanti nello stesso campo.
In questo caso allora, ma solo in questo
caso, la concessione ai sensi dell'art. 32,
comma 1, L. 07-12-2000, n. 383 potrebbe
avvenire mediante affidamento diretto.
Laddove, invece, le prestazioni ricadano
nell'ambito dell'Allegato II A e II B del
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 anche gli Enti del
terzo settore operano nel mercato e dunque
dovrà farsi ricorso ai sistemi di gara
disciplinati dalle Direttive Europee e dal
Codice dei Contratti.
Sotto soglia, nella legislazione italiana, è
comunque possibile procedere ad appalti "riservati".
L'art. 52, comma 1, del Codice dei
Contratti, infatti, fa salve le norme
vigenti sulle cooperative sociali e le
imprese sociali (componenti fondamentali e
preponderanti del comparto del terzo
settore), che permettono, sotto soglia,
anche affidamenti diretti o, comunque, ad
appalti riservati esclusivamente a soggetti
del terzo settore (TAR Basilicata,
29.11.2003, n. 1022) (06.05.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Bando di gara - Procedura aggiudicazione
- Servizi assicurativi - Broker - Agente
assicurativo - Comparazione.
2. Bando di gara - Appalto servizi
assicurativi - Gestione ed esecuzione delle
polizze - Affidamento al broker -
Legittimità.
3. Bando di gara - Procedura aggiudicazione
- Servizi assicurativi - Individuazione del
broker.
1. Il dato comune fra il broker e l'agente
di assicurazione (lett. b) dell'art. 2 della
direttiva 77/92/CEE) è che svolgono
prestazioni di consulenza e assistenza
afferenti alle fasi anteriori, concomitanti
e successive alla stipula di contratti
assicurativi; la differenza fondamentale,
invece, consiste nel fatto che mentre gli
agenti di assicurazione sono legati ad una o
più compagnie di assicurazione in nome e per
conto (e quindi nell'interesse) delle quali
essi agiscono, i broker non sono legati in
alcun modo alle compagnie (la norma di cui
alla lett. a) afferma infatti che essi
debbono mettere in relazione contraenti e
compagnie senza essere vincolati nella
scelta di queste ultime).
2. L'inserimento della "clausola broker"
negli atti afferenti alla procedura di gara,
indetta dal Comune di Pioltello, per
l'aggiudicazione dell'appalto di servizi
assicurativi prevede l'affidamento al broker
della gestione e dell'esecuzione delle
polizze che verranno stipulate con le
imprese aggiudicatarie; il broker svolge
inoltre funzioni di intermediazione fra
queste ultime e stazione appaltante, nel
senso che le comunicazioni ed i pagamenti
dei premi diretti alle imprese
aggiudicatarie andranno indirizzati al
broker, e si intenderanno ricevuti dalle
interessate nel momento in cui entreranno
nella disponibilità del broker medesimo.
Ciò
premesso è respinto il ricorso dello SNA
(che avanza un pregiudizio per l'intera
categoria degli agenti di assicurazione da
esso rappresentata, in quanto in tal modo il
broker si sostituirebbe agli agenti nei
compiti di intermediazione fra compagnia di
assicurazione ed assicurato, erodendone il
ruolo e sottraendo loro fonti di introito).
E' la decisione del Comune di avvalersi di
un Broker (che non può comunque essere
tacciata in se stessa di illegittimità e non
può essere superata) ed è tale decisione che
intacca gli interessi degli agenti di
assicurazione (i quali per espressa
disposizione legislativa non possono
svolgere attività di brokeraggio); mentre la
circostanza che il broker sia stato scelto,
nel concreto, senza rispettare le procedure
che assicurano la competizione
concorrenziale degli operatori non va a
scalfire gli interessi degli iscritti allo
SNA i quali, anche in caso di attivazione di
procedure concorrenziali, non avrebbero
comunque potuto prendervi parte.
3. Pur ammettendo l'illegittimità delle
operazioni compiute per l'individuazione del
broker essa non può riverberarsi sugli atti
afferenti alla procedura di gara indetta per
l'aggiudicazione di servizi assicurativi:
tali atti fanno parte di un procedimento del
tutto avulso rispetto quello afferente alla
procedura di gara; e comunque non sono
legati agli atti relativi a tale procedura
da alcun vincolo di presupposizione.
Per queste ragioni il motivo in esame non
può essere accolto
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 05.05.2011 n.
1177 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nei
cottimi fiduciari meno vincoli sulle
offerte.
Per i cottimi fiduciari le norme in tema di
verifica delle offerte anomale si applicano
solo in via di principio e non come regole
di dettaglio.
Lo chiarisce il TAR Lombardia-Milano, Sez.
I, con l'ordinanza
05.05.2011 n. 739 che ha accolto
la sospensiva richiesta dalla ditta seconda
in graduatoria in una procedura di cottimo,
proprio perché l'amministrazione appaltante
non ha posto in essere la procedura di
verifica dell'anomalia dell'offerta
aggiudicataria. ... (articolo
ItaliaOggi del 04.06.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Decreto
sviluppo/ Le novità sulle opere pubbliche.
Liti temerarie, sanzioni a 4 mila €. Appalti
vincolati ai bandi-tipo. Tetto del 20% per
le riserve in sede di esecuzione lavori.
Tetto del 20% per le
riserve in sede di esecuzione dei lavori;
sanzione di almeno 4 mila euro per le liti
temerarie in materia di appalti; divieto di
varianti per progetti validati; trattativa
privata fino a un milione ma con invito di
dieci soggetti e pubblicità dei risultati;
tassatività delle cause di esclusione; bandi
di gara da predisporre sulla base di
bandi-tipo; limiti alle variazioni per
aumenti dei costi dei materiali da
costruzione; verifica on line dei requisiti
dei concorrenti tramite la banca dati dei
contratti pubblici.
Sono queste alcune delle principali novità
relative al Codice dei contratti pubblici
inserite nella
bozza di decreto legge sullo sviluppo
che ieri sera è stata discussa nel
pre-Consiglio dei ministri in vista de]
Consiglio di oggi.
La bozza di decreto prevede innanzitutto un
venti per cento di tetto alle riserve che le
imprese possono apporre in sede di
esecuzione del contratto e introduce il
divieto di apporre riserve su aspetti
progettuali oggetto di verifica. Viene anche
introdotto il divieto di approvare progetti
... (articolo
ItaliaOggi del 05.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Le
vecchie violazioni dell'incorporata bloccano
l'appalto. Pesano le false dichiarazioni sul
rispetto della normativa previdenziale.
Nelle gare pubbliche
anche il "passato" delle società va messo
sotto esame. Nel verificare il possesso dei
requisiti morali ex articolo 38, Dlgs
163/2006 per l'affidamento di contratti
pubblici, la stazione appaltante (e per
converso l'impresa partecipante) deve
attentamente valutare gli elementi
caratterizzanti l'eventuale vicenda
societaria (trasformazione, fusione,
incorporazione) antecedente la
partecipazione alla gara. E laddove non vi
sia effettiva estinzione di una delle parti
dell'operazione straordinaria, bensì
identità tra il soggetto originario e quello
successivo, dovranno essere prese in
considerazione anche le eventuali infrazioni
ex ante commesse dai soggetti apicali
dell'impresa originaria, che andranno
pertanto evidenziate dall'impresa
partecipante nelle proprie autodichiarazioni
sul possesso dei requisiti richiesti dal
legislatore.
La questione, affrontata dal Consiglio di
Stato, Sez. VI, nella
sentenza 04.05.2011 n. 2662, trae
spunto da una vicenda relativa a una gara
pubblica indetta per la costruzione di
fabbricati destinati a ospitare alloggi di
edilizia residenziale pubblica. La gara era
stata aggiudicata a un operatore economico
risultante dall'incorporazione di un'altra
impresa, cui la stazione appaltante, sul
presupposto della continuità tra le due
imprese, aveva medio tempore revocato in
autotutela l'aggiudicazione per alcune
irregolarità, compiute antecedentemente e in
via autonoma dall'impresa incorporata,
relative alla violazione delle norme
concernenti false dichiarazioni in ordine al
rispetto della normativa in materia
previdenziale, con conseguente segnalazione
all'Osservatorio dei Lavori pubblici, e
interdizione alla contrattazione con la
pubblica amministrazione.
Nel caso in esame si applica l'articolo 38
del Dlgs 163/2006, sostitutivo dell'articolo
75 del Dpr 21.12.1999, n. 554, che richiede
alle imprese partecipanti a una gara
pubblica di autocertificare il possesso di
alcuni requisiti, tra i quali anche il fatto
di non aver commesso violazioni gravi e
definitivamente accertate in materia di
contributi previdenziali e assistenziali.
Il tema della trasmissibilità delle
violazioni previdenziali –e più in generale
delle cause di esclusione di cui
all'articolo 38– evidenziato dalla Sezione è
in effetti privo di un'espressa
regolamentazione normativa.
Tuttavia, i giudici amministrativi hanno
evidenziato come nell'ottica di un
affidamento di contratti pubblici, sia
imprescindibile valutare attentamente gli
elementi caratterizzanti un'eventuale
operazione straordinaria effettuata dal
l'operatore a monte della partecipazione
alla gara: al di là del "velo" della
forma societaria, la stazione appaltante
dovrà dunque verificare se la vicenda
societaria comporti estinzione o continuità
del soggetto privo dei requisiti morali.
In quest'ultimo caso, come nella vicenda in
esame, è evidente che il nuovo soggetto –per
effetto della trasmissibilità– incorre nel
difetto dei requisiti morali del precedente;
nel primo caso (ad esempio a seguito di una
fusione per incorporazione) l'estinzione del
soggetto incorporato a seguito
dell'assorbimento del medesimo in un
soggetto preesistente, non comporta invece a
discapito di quest'ultimo alcuna
trasmissione del difetto dei requisiti di
ordine morale riconducibile ai soggetti
apicali dell'impresa incorporata, ferma
restando la responsabilità patrimoniale a
fini previdenziali dell'impresa
incorporante.
Questi approfondimenti rilevano pertanto
nell'ambito dell'autodichiarazione resa
dall'impresa concorrente, per evitare dunque
possibili strumentalizzazioni delle
disposizioni normative e per scongiurare
l'adozione di soluzioni abusive volte, nel
silenzio della legge, a eludere precisi
obblighi con il ricorso a (fittizie)
modificazioni soggettive delle parti in
spregio della libera concorrenza (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.05.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Non è necessaria la
verifica in ordine ai requisiti morali e, in
particolare, il requisito della regolarità
contributiva, anche con riferimento alla
società incorporata.
La cessione di un ramo d'azienda realizza
una successione di alcuni elementi
soggettivi, con la conseguenza che
l'influenza negativa del cedente si esplica
anche nei confronti del cessionario e,
l'eventuale inquinamento della gestione, si
riflette negativamente anche sull'attuale
struttura dell'intera compagine societaria.
Pertanto, la dichiarazione resa da
un'impresa concorrente in una gara
d'appalto, va espressamente riferita anche
agli amministratori e direttori tecnici di
altra impresa, dalla quale la partecipante
abbia acquisito un ramo di azienda,
precedentemente alla partecipazione alla
gara, in base al presupposto che i requisiti
soggettivi negativi propri dell'impresa
cedente si trasmettano all'impresa
cessionaria. E ciò, anche al fine di evitare
possibili strumentalizzazioni delle
disposizioni normative volte ad eludere
precisi obblighi di legge, attraverso il
ricorso a modificazioni soggettive, in grado
di alterare il libero gioco della
concorrenza.
L'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art.
38 d.lgs. n. 163 del 2006), prevedendo
requisiti di ordine morale, in linea di
principio li riferisce al concorrente, senza
che questi possa rispondere del fatto
altrui. Una deroga espressa si ha per il
requisito della lett. c) dell'art. 75 d.P.R.
n. 554 del 1999 (ora art. 38, lett. c),
d.lgs. n. 163 del 2006). Per gli altri
requisiti, occorre verificare caso per caso
se la vicenda societaria sia volta ad
eludere il possesso dei requisiti mediante
fittizie modifiche soggettive delle parti.
Si tratta allora di verificare, al di là del
velo della forma societaria, quale sia
l'impresa che si esprime dietro di essa e,
dunque, se la vicenda societaria
(trasformazione, fusione, incorporazione),
comporti estinzione o continuità del
soggetto privo dei requisiti morali; se la
vicenda societaria è tale per cui in
concreto risulti la sostanziale identità del
soggetto originario e di quello successivo,
è evidente che il nuovo soggetto incorre nel
difetto di requisiti morali del precedente,
perché la novità soggettiva è solo formale,
essendovi nella sostanza identità.
Se invece vi è una fusione per
incorporazione, con estinzione del soggetto
privo dei requisiti morali, e assorbimento
di esso in un soggetto preesistente, senza
continuità con il soggetto estinto, non si
può ritenere che il soggetto incorporante
erediti il difetto di requisiti di ordine
morale. Ovviamente resta ferma la
responsabilità patrimoniale, a fini
previdenziali, del soggetto incorporante
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.05.2011 n. 2662 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente, per mancanza dell'abilitazione
complessiva e del NOS (nulla osta
sicurezza).
Ai fini della partecipazione alle gare di
appalto, è sufficiente il possesso
dell'abilitazione preventiva in capo alle
imprese partecipanti, essendo, invece, la
abilitazione complessiva, richiesta soltanto
in fase di esecuzione. Quanto, poi, al nulla
osta sicurezza, lo stesso è previsto dalla
L. n. 124/2007, solo con riguardo alle
informazioni classificate quali "Segretissime,
Segrete o Riservatissime" e non già,
come nel caso di specie, meramente
"Riservate".
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da un'amministrazione
che abbia richiesto il possesso del NOS
relativamente ad una fattispecie non
rientrante in quelle espressamente
disciplinate dal legislatore. La stessa AVCP
ha precisato che il NOS non può essere
previsto come requisito di partecipazione
alla procedura di gara, in quanto ciò
determinerebbe una limitazione della
concorrenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 03.05.2011 n. 3834 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto,
incompatibile il doppio ruolo di progettista
e commissario.
Il progettista o il
consulente della stazione appaltante non
possono partecipare alla gara oggetto della
progettazione o della consulenza svolte,
anche se il divieto non è previsto dalla
legge; l'incompatibilità vige anche per i
commissari di gara, se hanno partecipato
alla redazione del progetto preliminare
posto a base di gara.
E' quanto affermano Il Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza 03.05.2011 n. 2650, che
ha confermato la sentenza del Tar del Lazio
n. 33194 del 13.12.2010 e il parere n.
1498/2010 dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici.
La sentenza di Palazzo Spada prende in
considerazione la situazione di un soggetto
che aveva predisposto delle linee guida per
una gara di progettazione e che aveva
partecipato alla gara successiva. I giudici
rilevano l'incompatibilità della posizione
del soggetto (risultato affidatario della
gara) basandosi su una interpreta-zione
estensiva dei contenuti dell'articolo 90,
comma 8, del Codice dei contratti pubblici
(che prevede il divieto per il progettista
di partecipare a gare di appalto di lavori
odi concessioni): «anche se la norma si
riferisce al rapporto tra appalti di lavori
e preventiva progettazione, non si può non
ritenere applicabile il principio generale
del divieto di partecipazione di chi abbia
una posizione di vantaggio anche
relativamente agli appalti di servizi».
La regola è, secondo la sentenza, «espressione
del principio generale di trasparenza ed
imparzialità, la cui applicazione è
necessaria per garantire parità di
trattamento, che ha per suo indefettibile
presupposto il fatto che i concorrenti ad
una procedura di evidenza pubblica debbano
rivestire la medesima posizione.» «Né»,
dice la sentenza, «vale ad escludere il
pregiudizio della par conditio il fatto
oggettivo della conoscenza (da parte dei
concorrenti tutti) dell'elaborato sulla cui
base occorre procedere per lo svolgimento
dell'appalto (le linee guida) bensì, in
senso soggettivo, l'avere redatto un
documento che costituisce il presupposto per
la valutazione delle offerte, che a quello
devono conformarsi».
All'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici era stato invece posto un caso ben
più delicato, dal momento che il progetto
preliminare era stato predisposto da una
società risultata aggiudicataria, in
raggruppamento, della successiva gara di
progettazione e direzione dei lavori del
Centro agroalimentare di Roma (importo a
base di gara 2,2 milioni), in cui, peraltro
(stando agli atti dell'Autorità), uno dei
commissari di gara aveva partecipato alla
redazione di una parte del progetto
preliminare posto a base di gara.
Anche in questo caso si conclude per
l'esistenza di una evidente incompatibilità
per il commissario di gara (per violazione
dell'articolo 84, comma 4, del Codice dei
contratti pubblici), nonché perla società
aggiudicataria della gara.
In quest'ultimo caso il parere
dell'Authority pur non rilevando una diretta
violazione dell'articolo 90, comma 8 del
Codice ha ritenuto di individuare in linea
generale una violazione della par
conditio fra concorrenti e della «simmetria
informativa» fra operatori economici,
ancorché da verificare caso per caso.
In sostanza, l'avere svolto la progettazione
e avere seguito tutto lo sviluppo fino
all'approvazione potrebbe avere posto il
concorrente in una posizione privilegiata,
di vantaggio, rispetto agli altri
concorrenti: Essendo «sufficiente il solo
sospetto della possibile lesione della
trasparenza nella circolazione delle
informazioni» l'Autorità individua un «vulnns
al principio della par conditio». E'
quindi là disomogeneità di partenza a
determinare la violazione del principio di
parità di trattamento (articolo
ItaliaOggi del 18.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Responsabilità della
P.A. - P.A. acquirente, al G.O. il
risarcimento precontrattuale.
Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. la
controversia avente a oggetto la richiesta
di risarcimento del danno da responsabilità
precontrattuale della P.A., conseguente
all'annullamento in autotutela di una
procedura di gara esperita per l'acquisto di
un immobile.
Viene celebrata una gara per l’acquisto di
un immobile da parte della P.A.; dopo
l’aggiudicazione, quest’ultima annulla tutti
gli atti di sua indizione. Il soggetto
dichiarato provvisoriamente aggiudicatario,
trascorsi circa due anni, adisce per
ottenere il danno da culpa in contrahendo
il TAR di Catanzaro il quale, con la
segnalata sentenza, declina la propria
giurisdizione.
Ha infatti rilevato il Collegio calabrese,
delineando il principio su in massima, che
in tal caso, trattandosi di un procedimento
a evidenza pubblica per la scelta del
contraente con il quale la P.A. deve
concludere un contratto di compravendita
immobiliare, non si verte in materia di
procedure di affidamento di appalti di
lavori, forniture e servizi pubblici che
consente al G.A. di conoscere le domande
risarcitorie fondate sulla responsabilità
precontrattuale.
Ha inoltre rilevato come, in siffatta
evenienza, il danno sofferto non deriva
direttamente dal ritardo nell’emanazione del
provvedimento amministrativo richiesto
–l’aggiudicazione definitiva-, ma dal
ritardo nella stipulazione del contratto,
quindi da una condotta della P.A., in
ipotesi scorretta, che, protraendo in
maniera irragionevole le trattative per
giungere alla conclusione del contratto a
distanza di quasi due anni
dall’aggiudicazione provvisoria, sarebbe
incorsa nella violazione del dovere, sancito
dall’art. 1337 c.c., di comportarsi secondo
buona fede nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto.
La conseguenza di tanto, per l’adito G.A. è
che la giurisdizione sulle domande di
risarcimento del danno per responsabilità
precontrattuale appartiene all’Autorità
giudiziaria ordinaria, essendo stato chiesto
il risarcimento per l’asserita lesione della
libertà negoziale e, dunque, di una
posizione soggettiva diversa dall’interesse
legittimo (massima tratta da www.ipsoa.it -
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 03.05.2011 n. 601 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il verbale redatto dalla
commissione di gara fa fede fino a querela
di falso.
Con
sentenza 02.05.2011 n. 2579 la
Sez. VI del Consiglio di Stato ha precisato
come il verbale redatto dalla commissione di
gara fa fede fino a querela di falso delle
operazioni effettuate da essa, in relazione
alla constatazione degli atti e dei
documenti inseriti dalle partecipanti alla
gara nelle relative buste.
Nell'ambito di una gara per l'assegnazione
di concessioni demaniali a scopo turistico e
ricreativo, una delle concorrenti veniva
esclusa in quanto la commissione rilevava
l'irregolarità della domanda di
partecipazione, oltre che il mancato
rispetto delle forme richieste dall'articolo
38 del d.p.r. 445/2000 in materia di
dichiarazione sostitutiva, poiché la domanda
risultava priva di copia del documento di
identità.
La partecipante chiedeva l'annullamento in
autotutela sostenendo, tra l'altro, la
regolarità della propria domanda in
considerazione del fatto che nel medesimo
verbale della commissione di gara si dava
atto della presenza del documento di
identità.
La richiesta di annullamento veniva respinta
in quanto il segretario della commissione di
gara dava atto della circostanza che, per
mero errore materiale, nei verbali di gara
era stata indicata la presenza della
fotocopia del documento di identità mentre
in realtà tale documento rappresentava la
fotocopia del verbale di presa visione dello
stato dei luoghi. Avverso tale esclusione la
ricorrente proponeva ricorso.
Il TAR adito confermava la legittimità
dell'operato della commissione e di
conseguenza rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza, la ricorrente proponeva
appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio
di Stato, dopo aver ribadito che
l'indicazione del documento di identità nel
verbale di gara era stata determinata da un
mero errore materiale della commissione,
circostanza confermata anche dalla
documentazione acquisita agli atti del
giudizio di 1° grado, ha chiarito che “[...]si
deve rilevare che la mancanza della
prescritta fotocopia del documento di
identità non è stata certificata dalla nota
del segretario della commissione, ma già
dalla commissione stessa nella sua
responsabilità collegiale asseverata nel
verbale n. 5 del 05.03.2007, che è atto
anch'esso facente fede, formato
nell'esercizio della attività propria della
Commissione di accertamento della regolarità
del procedimento ad essa affidato, e perciò
di doverosa revisione dei relativi
presupposti, non contestato con querela di
falso, neppure essendo stata prodotta
dall'appellante alcuna prova contraria a
fronte della documentazione acquisita in
sede istruttoria. Sotto tale profilo, il
Collegio ritiene di dover precisare che:
- il verbale redatto dalla commissione di
gara fa fede fino a querela di falso delle
operazioni effettuate da essa, in relazione
alla constatazione degli atti e dei
documenti inseriti dalle partecipanti alla
gara nelle relative buste;
- qualora la medesima commissione constati
di aver redatto il verbale sulla base di
erronei accertamenti o comunque di errori di
fatto, in coerenza col principio di legalità
essa stessa può constatare l'accaduto e
redigere un verbale (che a sua volta fa fede
fino a querela di falso), il quale spieghi
le circostanze emerse e adotti le relative
determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può
prevenire la proposizione di contestazioni e
di ricorsi, constatando i propri precedenti
errori di percezione e redigendo l'ulteriore
verbale con cui sia ripristinata la legalità”.
Dopo aver affrontato tale questione il
Consiglio di Stato, richiamando la costante
giurisprudenza amministrativa, ha chiarito
come la mancata allegazione, alla
dichiarazione sostitutiva, della copia del
documento di identità del sottoscrittore,
rende l'atto nullo per difetto di una forma
essenziale stabilita dalla legge, e tale
omissione, non integrando una mera
irregolarità, non è suscettibile di
correzione per mero errore materiale
(commento tratto da
www.immobili24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
commissione di gara può correggere i propri
errori di percezione e redigere un nuovo
verbale che ha efficacia di piena prova.
Qualora la commissione di gara constati di
aver redatto il verbale sulla base di
erronei accertamenti o comunque di errori di
fatto, in coerenza col principio di legalità
essa stessa può constatare l’accaduto e
redigere un verbale (che a sua volta fa fede
fino a querela di falso), il quale spieghi
le circostanze emerse e adotti le relative
determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può
prevenire la proposizione di contestazioni e
di ricorsi, constatando i propri precedenti
errori di percezione e redigendo l’ulteriore
verbale con cui sia ripristinata la legalità
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.05.2011 n. 2579 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Bando di gara -
Clausole ambigue - Deve essere privilegiata
l'interpretazione di buona fede che assicuri
la massima partecipazione alla gara.
2. Risarcimento del danno
- Criteri di riconoscimento e
quantificazione.
3. Danno curriculare -
Risarcibile in quanto ha valenza autonoma.
1. Secondo giurisprudenza ormai consolidata,
nell'ipotesi di clausole ambigue del bando
di gara deve essere accolta
l'interpretazione che tuteli la buona fede
dei partecipanti, sì da soddisfare il
concorrente interesse pubblico al più ampio
confronto tra le offerte (cfr., ex multis,
Cons. Stato Sez. V 08.03.2006, n. 1224).
2. In sede di risarcimento dei danni
derivanti dalla mancata illegittima
aggiudicazione di una gara di appalto, il
mancato utile nella misura integrale, pari
al 10% del prezzo offerto, spetta nel caso
di annullamento dell'aggiudicazione e di
certezza dell'aggiudicazione in favore del
ricorrente, solo se il ricorrente dimostri
di non aver potuto altrimenti utilizzare
maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in
vista dell'aggiudicazione.
In difetto di
tale dimostrazione, è da ritenere che
l'impresa possa aver ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori o servizi e, pertanto, in tale
ipotesi deve operarsi una decurtazione del
risarcimento. Di qui la ragionevolezza della
detrazione, affermata dalla giurisprudenza,
dal risarcimento del mancato utile, nella
misura del 50%, rispetto al 10% del prezzo
offerto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n. 7004 e Cons. Stato Sez. V
24.02.2011 n. 1193).
3.
In materia di risarcimento del danno patito
a seguito di illegittima aggiudicazione a
terzi di un appalto pubblico, il danno da
mancate referenze assume una valenza
autonoma ed ulteriore rispetto al danno da
mancato utile e da mancato assorbimento
delle spese generali e la liquidazione di
tale danno soggiace al generale criterio
equitativo di cui all'art. 1226, c.c. (cfr.
TAR Veneto Sez. I 20.03.2007 n. 798)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.05.2011 n.
1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Negli appalti comunali
l'impresa inadempiente deve risarcire anche
il "danno sociale" arrecato alla comunità
rappresentata dal Comune.
Segnaliamo l'innovativa
sentenza 02.05.2011 n. 195 del
TRIBUNALE civile di Belluno, che applica il
principio enunciato nel titolo, in
conseguenza del ritardo nel completamento di
un'opera pubblica da parte della ditta
appaltatrice.
Scrive il Tribunale: "Inoltre, la
condotta dell'attrice ha comportato un
pregiudizio alla comunità di cui il Comune
di Feltre è espressione e rappresentante,
per cui va riconosciuto anche il ristoro del
"danno sociale" arrecato alla stessa per il
ritardo nel completamento del Centro
Alzhaimer, a causa del mancato adempimento
dell'appaltatrice agli impegni contrattuali,
che hanno prodotto una lesione dei diritti
della comunità, che vantano una specifica
posizione giuridica soggettiva di tutela
oggi riconosciuta dalla Costituzione (cfr.
artt. 117 e 120 Cost.), la cui offesa è
meritevole d'esser risarcita a norma degli
artt. 2056 e 1226 c.c..
Negli appalti comunali, infatti, ogni
anomalia gestionale si ripercuote
inevitabilmente sugli utenti dell’opera,
oltre ad incidere sulla Comunità intera in
ragione del conseguente esborso di pubblico
denaro, sottratto ad altri servizi
essenziali. L’impresa responsabile è quindi
tenuta a rispondere dei danni causati alla
Comunità e, per essa, all’Ente esponenziale,
vale a dire al Comune di Feltre.
Ne discende il diritto del Comune, quale
ente "che rappresenta la comunità, ne cura
gli interessi e ne promuove lo sviluppo"
(art. 3, 2° comma, D.lgs. n. 267/2000), di
ottenere il risarcimento del pregiudizio di
cui la collettività è stata ingiustamente
onerata (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez.
II, 06.10.2005, n. 1631, in Foro amm. TAR
2005, 10, 3296: con riguardo al danno subito
dalla comunità a causa di un appalto
relativo ad una casa di riposo gestita
dall'A.S.L: competente, è stato riconosciuto
che "il Comune, quale ente esponenziale
degli interessi collettivi riferibili alla
collettività dei residenti sul suo
territorio, è legittimato all'impugnazione
dei provvedimenti amministrativi aventi
effetti pregiudizievoli nonché alle azioni
dirette alla tutela degli interessi dei
cittadini; pertanto, va affermata la
legittimazione del Comune ad agire per il
risarcimento dei danni arrecati alla
comunità dei residenti a causa del ritardo
nella ultimazione dei lavori di costruzione
di una residenza per anziani oggetto di un
contratto di appalto, danni che vengono
analiticamente indicati nel ricorso").
Tenuto conto di tutte le circostanze sopra
richiamate, il risarcimento del danno
sociale può essere liquidato in via
equitativa nella somma capitale di euro
40.000,00 in valori attuali" (commento
tratto e link a http://venetoius.myblog.it). |
aprile 2011 |
|
LAVORI PUBBLICI: C’era
una volta…… la separazione tra progettazione
ed esecuzione dei lavori pubblici -
L’evoluzione normativa dell’istituto
dell’appalto di progettazione ed esecuzione (aprile
2011 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Decreto Sviluppo: in arrivo tante novità su
interventi edilizi e non solo.
E' stato approvato dal Consiglio dei
Ministri il Decreto Sviluppo che ha
l'obiettivo di rilanciare l'economia con una
serie di misure che interessano diversi
settori tra cui l'edilizia, i mutui bancari
e gli appalti pubblici.
Vediamo le novità contenute nel
provvedimento.
Piano Casa.
Introdotta una disciplina nazionale a cui le
Regioni dovranno adeguarsi. Per interventi
di abbattimento e ricostruzione con libertà
di sagoma è previsto un premio volumetrico
del 20% per edifici residenziale e del 10%
per edifici non residenziali.
Permesso a costruire e
silenzio assenso.
Altra novità è rappresentata dal
silenzio-assenso per il rilascio del
Permesso a Costruire, per il quale viene
fissato un termine ultimo per i vari comuni
in funzione del numero di abitanti. Il
silenzio assenso è applicabile nel caso in
cui non sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali.
Scia.
Confermata la sostituzione della Dia con la
Scia (Segnalazione Certificata di Inizio
Attività), che resta in vigore solo per quei
casi in cui sostituisce il Permesso di
Costruire.
Appalti pubblici.
Viene esteso da 500.000 euro a un milione di
euro l’importo dei lavori che possono essere
affidati senza gara d’appalto e con
procedura negoziata. In particolare, per i
lavori di importo superiore a 500.000 euro
l’affidamento da parte del Responsabile del
Procedimento dovrà prevedere l’invito di
almeno dieci soggetti, per quelli di importo
inferiore almeno cinque.
Modificati anche i requisiti delle imprese
che possono partecipare alle gare di
appalto, (i cosiddetti requisiti di
moralità), per ridurre la discrezionalità
degli enti appaltanti.
Opere conservative, riserve
e varianti.
Per le opere compensative è fissato un tetto
al 2% , mentre le riserve non sono ammesse
se il progetto è stato validato e comunque
non possono essere superiori al 20%
dell'importo contrattuale.
Per le varianti in corso d'opera è previsto
un taglio del 50% delle somme a
disposizione. Dimezzati anche i rimborsi
agli appaltatori per gli aumenti eccezionali
dei prezzi dei materiali.
Variazione destinazione
d'uso e sanatoria.
Il decreto introduce anche una piccola
sanatoria per i lavori eseguiti in
difformità al titolo abilitativo per una
differenza inferiore al 2% per cubatura,
superficie o altezze; inoltre, è prevista la
possibilità di variazione di destinazione
d’uso.
Rinegoziazione dei mutui.
I cittadini che hanno contratto un mutuo a
tasso variabile e che ora devono far fronte
a rate più elevate a causa dell'aumento dei
tassi, potranno rinegoziare i mutui fino a
150 mila euro. Con la rinegoziazione il
tasso viene trasformato da variabile in
fisso per la durata residua del mutuo. Il
mutuatario e la banca possono concordare
anche l'allungamento del mutuo per un
periodo massimo di cinque anni (link a
www.acca.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della
revoca dell'aggiudicazione dell'appalto, per
ragione di pubblico interesse, nei confronti
di un'impresa il cui legale rappresentante
abbia riportato una condanna per il reato di
aggiotaggio.
E' legittimo il provvedimento con il quale
il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco
ha revocato l'aggiudicazione dell'appalto
triennale del servizio di pulizia delle
varie sedi dello stesso comando, per ragione
di pubblico interesse nei confronti di
un'impresa il cui legale rappresentante
abbia riportato una condanna per il reato di
aggiotaggio.
Il suddetto reato, infatti, benché non
rientrante fra quelli nominativamente
menzionati dall'art. 38, lett. c), del d.lvo
n. 163 del 2006, stante la latitudine della
clausola contenuta nella prima parte della
norma di cui al summenzionato art. 38, lett.
c), è un reato commesso in danno dello Stato
(per la precisione, contro l'economia
nazionale) e certamente qualificabile come
grave.
Quanto alla incidenza del reato in questione
sulla moralità professionale della ditta,
deve essere valutata di volta in volta,
salvo il caso che non si tratti di
violazioni di norme sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro o di fattispecie in cui il
reato riguarda proprio l'oggetto
dell'appalto. Ma nel procedere all'esegesi
ed all'applicazione della norma non si può
in radice negare la incidenza sulla moralità
professionale della ditta per il solo fatto
che il reato è stato commesso dal legale
rappresentante dell'impresa nella sua veste
di privato cittadino.
Non si può infatti costringere la Pubblica
Amministrazione a contrattare con imprese i
cui legali rappresentanti (ossia i soggetti
che di fatto personificano le ditte nei
rapporti con la P.A.) abbiano in qualche
modo macchiato la propria reputazione
morale, avendo commesso reati che
riguardano, anche in senso lato, settori
rilevanti della vita associata (TAR Marche,
sentenza 30.04.2011 n. 276 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare, un'impresa per
proprietario. Cassazione: vietato presentare
più aziende.
Stretta della Cassazione sugli appalti
pubblici. Commette il reato di turbata
libertà degli incanti il proprietario di
diverse aziende che si presentano a una gara
simultaneamente e con offerte concordate
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 29.04.2011 n. 16333). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla rimessione
all'Adunanza Plenaria della questione
sull'applicabilità del d.lgs. 12.04.2006, n.
163, codice dei contratti pubblici, agli
appalti indetti da società pubbliche che
operano nell'ambito dei settori speciali.
La questione della applicabilità del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, codice dei contratti
pubblici, alla procedura selettiva espletata
da EniServizi s.p.a., in nome e per conto di
Eni s.p.a., per l'affidamento dei servizi di
sicurezza e vigilanza privata a mezzo di
guardie particolari giurate presenta due
possibili ed opposte soluzioni.
La prima soluzione conduce a ritenere
applicabile alla fattispecie il Codice dei
contratti pubblici. Secondo tale approccio
interpretativo, l'impresa pubblica, in
quanto ente sottoposto all'influenza
dominante di un'amministrazione
aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta
dalla osservanza delle regole minimali
dell'evidenza pubblica di diritto interno,
cui soggiacciono d'altra parte financo gli
enti ecclesiastici che fruiscano di
finanziamenti pubblici (in tema, Cons.
Stato, VI, 04.06.2004, n. 3478). In tal
caso, non vi sarebbero dubbi circa la
necessaria attrazione delle controversie
nell'alveo cognitorio del giudice
amministrativo, ai sensi dell'art. 133 Cod.
proc. amm..
La seconda soluzione non ritiene applicabile
alla fattispecie il Codice dei contratti
pubblici per la ragione che si tratta
dell'affidamento di un contratto di diritto
comune svolto da una impresa pubblica che,
quanto all'attività in questione
(non-strumentale a quella propria di un
settore speciale), è estranea a quelli
oggetto del Codice stesso.
Secondo tale soluzione le imprese pubbliche,
a differenza delle amministrazioni
aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori
solo laddove e nella misura in cui svolgono
attività nei settori speciali.
Tenuto conto della situazione di possibile
divergenza interpretativa, la suddetta
questione deve essere rimessa all'esame
all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.04.2011 n. 2543 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla natura di
concessione di pubblico servizio del
servizio di illuminazione votiva, con
conseguente applicabilità della normativa
limitativa della durata delle concessioni
assegnate senza pubblica gara ex art.
23-bis, c. 8, del dl 112/2008.
Il comune che si avvalga dell'opera di un
privato, per le attività connesse
all'illuminazione votiva cimiteriale, pone
di regola in essere una concessione di
pubblico servizio e non di opera pubblica,
poiché normalmente detto impianto
costituisce un semplice strumento rispetto
all'esigenza prioritaria di consentire il
culto dei defunti, anche attraverso la
gestione del servizio di illuminazione.
Ciò vale, anche, nel caso di specie,
connotato dalla realizzazione di opere
destinate a consentire l'illuminazione (come
la posa di una serie di cavi elettrici del
tutto analoghi a quelli usati per
l'illuminazione civile ed il loro
collegamento ad un punto luce per ciascuna
sepoltura), le quali rientrano a buon
diritto in quelle ordinariamente necessarie
per lo svolgimento del servizio medesimo,
senza assunzione di un particolare rilievo o
impegno economico.
Pertanto, è legittimo il provvedimento con
cui un comune ha anticipato il termine di
scadenza del contratto relativo
all'affidamento del servizio di
illuminazione votiva cimiteriale, non
potendo essere smentita la natura di
concessione di pubblico servizio assunta dal
servizio di illuminazione votiva affidato
alla società ricorrente, con conseguente
applicabilità della normativa limitativa
della durata delle concessioni assegnate
senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8,
del dl 112/2008, convertito dalla l. n.
133/2008 (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 2409 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In presenza di una
clausola del bando di gara che detta
prescrizioni a pena di esclusione per
l'ammissione dei concorrenti, le relative
determinazioni della commissione
giudicatrice sono prive di carattere
discrezionale.
Sull'illegittimità della clausola che
prevede, a pena di esclusione, la
indicazione di nome, cognome e qualifica del
funzionario di banca/intermediario che
sottoscrive la referenza bancaria.
In presenza
di una clausola che detta prescrizioni a
pena di esclusione per l'ammissione dei
concorrenti ad una procedura concorsuale, le
relative determinazioni della commissione
giudicatrice sono prive di carattere
discrezionale, avendo natura strettamente
vincolata all'osservanza delle disposizioni
di gara, in quanto la stazione appaltante
non può disapplicare le regole che essa
stessa ha posto.
Ciò esclude che, nel caso di specie, vi sia
spazio per una integrazione o
regolarizzazione postuma del documento
palesemente privo di un elemento che
espressamente il disciplinare di gara ha
stabilito come necessario per
l'utilizzabilità della referenza bancaria.
---------------
La legge lascia alla stazione appaltante un
ampio margine discrezionale per conformare
il procedimento concorsuale alle proprie
esigenze, disciplinando nella maniera più
opportuna i requisiti e gli adempimenti
posti a carico dei concorrenti che aspirano
a partecipare alla gara. Tali
determinazioni, quando non siano in
contrasto con norme particolari di rango
superiore, non sono censurabili nel merito,
fatto salvo il sindacato di legittimità
quando si manifesti una palese
irragionevolezza o ingiustizia o incongruità
delle disposizioni di gara.
Pertanto, nel caso di specie, è fondata la
censura dedotta dalla società ricorrente,
sotto questi profili, contro la clausola che
prevede, a pena di esclusione, la
indicazione di nome, cognome e qualifica del
funzionario di banca/intermediario che
sottoscrive la referenza bancaria. Infatti,
tale disposizione, che sembra avere lo scopo
di scoraggiare la produzione di documenti
non genuini, è essenzialmente inutile in
quanto, quand'anche le indicazioni richieste
compaiano nel documento, nessuna garanzia vi
è che "nome, cognome e qualifica"
apposti siano veritieri e che il soggetto
apparentemente firmatario sia effettivamente
abilitato a rilasciare quella dichiarazione
per la banca (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 2399 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: I
procuratori speciali non sono tenuti a
rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38
del Codice dei Contratti.
L'obbligo di dichiarazione ai sensi
dell'art. 38 del Codice dei Contratti si
applica ai soli amministratori della
società, e non anche ai procuratori
speciali, in quanto ai sensi dell’art.
2380-bis c.c., la gestione dell’impresa
spetta esclusivamente agli amministratori e
può essere concentrata in un unico soggetto
(amministratore unico) o affidata a più
persone, che sono i componenti del consiglio
di amministrazione (in caso di scelta del
sistema monistico ex artt. 2380 e
2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di
gestione (in caso di opzione in favore del
sistema dualistico ex artt. 2380 e
2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra
essi, spetta la rappresentanza istituzionale
della società.
I procuratori speciali (o ad negotia)
sono invece soggetti cui può essere
conferita la rappresentanza –di diritto
comune- della società, ma che non sono
amministratori e ciò a prescindere
dall’esame dei poteri loro assegnati. L’art.
38 del d.lgs. n. 163/2006 richiede la
compresenza della qualifica di
amministratore e del potere di
rappresentanza e non vi è alcuna possibilità
per estendere l’applicabilità della
disposizione a soggetti, quali i
procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita
la partecipazione alle gare e la libertà di
iniziativa economica delle imprese, essendo
prescrittiva dei requisiti di partecipazione
e che, in quanto tale, assume carattere
eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di
applicazione analogica a situazioni diverse,
quale è quella dei procuratori. Peraltro,
anche l’applicazione analogica sarebbe
opinabile, in presenza di una radicale
diversità della situazione
dell’amministratore, cui spettano compiti
gestionali e decisionali di indirizzi e
scelte imprenditoriali e quella del
procuratore, il quale, benché possa essere
munito di poteri di rappresentanza, è
soggetto dotato di limitati poteri
rappresentativi e gestionali, ma non
decisionali (nel senso che i poteri di
gestione sono pur sempre circoscritti dalle
direttive fornite dagli amministratori).
In altri termini le manifestazioni di
volontà del procuratore possono produrre
effetti nella sfera giuridica della società,
ma ciò non significa che egli abbia un ruolo
nella determinazione delle scelte
imprenditoriali, lasciate
all'amministratore. Pertanto, l'art. 38 del
d.lgs. n. 163/06 -nell'individuare i
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione-
fa riferimento soltanto agli "amministratori
muniti di potere di rappresentanza":
ossia, ai soggetti che siano titolari di
ampi e generali poteri di amministrazione,
senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l’obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti (fin qui, testualmente,
Cons. Stato, V, n. 513/2011) (massima tratta
da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 29.04.2011 n. 1071 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il Tar Campania sull'avvalimento. Appalti,
la qualità non è un ostacolo.
La certificazione di qualità aziendale può
essere oggetto di avvalimento negli appalti
pubblici.
E' quanto afferma il TAR Campania-Salerno,
Sez. I, con la
sentenza 29.04.2011 n. 813 che ha
esaminato l'applicabilità dell'istituto,
chiarendo in primis che la disciplina
dei Codice «non pone alcuna limitazione
all'avvalimento se non per i requisiti
strettamente personali di carattere generale».
Da ciò quindi la portata generale
dell'avvalimento, introdotto
nell'ordinamento comunitario e nazionale al
fine di rimuovere ogni ostacolo al libero
esercizio dell'imprenditorialità e garantire
la massima partecipazione alle procedure di
gara e la par conditio dei
concorrenti.
Per quel che attiene lo specifico profilo
legato alla certificazione di qualità
aziendale, la sentenza lo inquadra come «requisito
speciale di carattere (pur sempre)
tecnico-organizzativo», in quanto
funzionale a garantire la stazione
appaltante in fase esecutiva del contratto,
rispetto alle modalità di gestione della
struttura aziendale e alla sua efficacia sul
processo operatore. Il Tar evidenzia come la
certificazione di qualità è sempre intesa a
garantire la (obiettiva) qualità
dell'adempimento e non solo la (mera e
soggettiva) idoneità professionale del
concorrente pur sempre strumentale alla
prima.
I giudici quindi non aderiscono alla tesi
giurisprudenziale per cui (una volta
chiarito che l'avvilimento è la regola e le
sue limitazioni le eccezioni) che la detta
certificazione debba necessariamente far
capo (salvo il riscontro di abusi e la
doverosa verifica di effettività) unicamente
al concorrente con conseguente impossibilità
di ausilio per avvalimento.
Dal punto di vista operativo il soggetto che
finirebbe per prestare la certificazione non
dovrà limitarsi al prestito del solo «documento»
contenente la certificazione, ma sarà tenuto
a mettere a disposizione del soggetto
avvalente, «il complesso della propria
organizzazione aziendale ovvero il complesso
di beni organizzati dall'imprenditore per
l'esercizio dell'impresa».
I giudici ammettono quindi che, in questo
caso, l'impresa concorrente possa assumere
le vesti di un mero centro di imputazione di
rapporti giuridici e limitare la sua
attività al coordinamento delle prestazioni
dell'impresa ausiliaria. Rimane ferma però
la responsabilità di carattere solidale tra
l'impresa concorrente e l'impresa ausiliaria
(articolo
ItaliaOggi dell'11.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: Finanza
di progetto anche per opere fuori
programmazione. Nel decreto sviluppo molte
modifiche al codice appalti già all'esame
del parlamento.
Finanza di progetto
anche per opere non in programmazione, tetti
alle riserve in fase di esecuzione
dell'appalto, esclusione automatica sotto
soglia fino al 2013, procedura negoziata
fino a 1 milione di euro ma con dieci
imprese invitate e post-informazione,
semplificazione della disciplina sulle cause
di esclusione.
Sono questi alcuni dei punti principali,
relativi alle opere pubbliche, sui quali si
articolerà il prossimo decreto legge sullo
sviluppo, ferma restando l'attenta verifica
dei requisiti di necessità e urgenza che
andrà fatta per non incorrere in censure da
parte del Quirinale.
Si tratta, nella sostanza, di modifiche al
Codice dei contratti pubblici che investono
materie sulle quali sta, in alcuni casi, già
discutendo il parlamento. È il caso, per
esempio, delle modifiche alla procedura
negoziata senza bando di gara (la più nota
trattativa privata) per la quale al senato,
nell'ambito del ddl statuto di impresa, si
prevede l'innalzamento della soglia dei 500
mila euro fino a un milione e mezzo. ... (articolo
ItaliaOggi del 29.04.2011 - link
a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive, ordine di
demolizione in eredità.
L'ordine di demolizione
di una costruzione abusiva, avendo natura
sostanzialmente amministrativa e ''reale'',
prescinde dalle vicende soggettive del bene
in ordine al quale e' stato disposto.
La Suprema Corte conferma la consolidata
giurisprudenza di legittimità circa la
natura dell'ordine di demolizione emesso dal
giudice penale ex art. 31 T.U. edilizia. Il
fatto oggetto di giudizio è così
ricostruibile.
Nell'ambito di un procedimento per la revoca
di un ordine di demolizione –emesso in
seguito a condanna per violazioni edilizie–
la Corte d'appello di Salerno, quale giudice
dell'esecuzione, dichiara estinta la
procedura per morte del condannato.
Accogliendo il ricorso presentato dal
Procuratore Generale presso la Corte
d'appello, la Corte di Cassazione annulla
senza rinvio tale ordinanza, disponendo la
trasmissione degli atti alla Corte d'appello
per l'ulteriore corso della procedura.
Richiamando il consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità, la
Corte ha affermato che l'ordine di
demolizione non si estingue per morte del
condannato, in quanto costituisce un atto
ablatorio “dovuto” e di natura “reale”.
Tale ordine, emesso dal giudice con la
sentenza di condanna per violazioni edilizie
in relazione all'opera abusivamente
realizzata, ha natura “sostanzialmente
amministrativa”, ed è insuscettibile di
valutazione discrezionale.
Questa lettura conferma il consolidato
orientamento della Corte di Cassazione, che
emerge con particolare evidenza in tema di
applicazione della pena su richiesta delle
parti.
La Suprema Corte, infatti, afferma che
l'ordine di demolizione deve essere disposto
dal giudice anche ove non abbia formato
oggetto dell'accordo tra le parti.
Trattandosi di “atto dovuto” (non
configurabile né come pena accessoria né
come misura di sicurezza), è infatti
sottratto alla disponibilità delle parti,
oltre che alla valutazione discrezionale del
giudice (in questo senso, recentemente,
Cass., sez. III, 23.03.2011, n. 16574; si v.
anche ex multis Cass., sez. III,
18.01.2011, n. 5360; Cass., sez. II,
07.01.2011, n. 1579, in Guida dir., 2011,
12, 73; Cass., sez. III, 19.09.1997, n.
2896, in Cass. pen. 1998, 1479).
La Suprema Corte, nella pronuncia in
commento, ha inoltre richiamato la costante
giurisprudenza di legittimità che
attribuisce “natura 'reale' e
ripristinatoria” all'ordine di
demolizione, richiedendone l'esecuzione “nei
confronti di tutti i soggetti che sono in
rapporto col bene e vantano su di esso un
diritto reale o personale di godimento,
anche se si tratti di soggetti estranei alla
commissione del reato” (così Cass., sez.
III, 21.10.2009, n. 47281, Arrigoni; si v.
anche Cass., sez. III, 13.07.2009, n. 39322,
Berardi e altri; Cass., sez. III,
24.04.2001, n. 35525, Consolo).
L'ordine trova dunque applicazione in
relazione all'opera abusiva, “prescinde[ndo]
dalle vicende soggettive” della stessa;
pertanto, esso “conserva ... la sua
efficacia anche nei confronti dell'erede del
condannato” (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16581). |
APPALTI SERVIZI:
SERVIZIO DISTRIBUZIONE
GAS NATURALE.
L'articolo 3, comma 3,
del decreto del Ministero dello sviluppo
economico del 19.01.2011 stabilisce che “a
decorrere dall'entrata in vigore del
presente provvedimento le gare per
l'affidamento del servizio di distribuzione
gas, previsto dall'articolo 14, comma 1, del
decreto legislativo n. 164/2000, per le
quali non è stato pubblicato il bando o non
è decorso il termine per la presentazione
delle offerte di gara sono aggiudicate
unicamente relativamente agli ambiti
determinati nell'allegato 1, facente parte
integrante del presente provvedimento”. Ora,
il secondo ed ulteriore parametro previsto
dalla disposizione, ossia la scadenza del
termine per la presentazione delle offerte,
è indicato in via alternativa (con la
formula “o”) e sembra rinviare ai metodi di
scelta del contraente non accompagnati dalla
preventiva redazione di un bando di gara.
E' quanto statuito dal TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II, con l'ordinanza
28.04.2011 n. 413, ove vengono
fornite le prime ed importanti precisazioni
in relazione al decreto attuativo degli
A.TE.M..
Dunque, dopo anni di incertezza normativa,
il 31.03.2011 è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31.03.2011 il
decreto del Ministero dello Sviluppo
Economico 19.01.2011, che disciplina gli
Ambiti Territoriali Minimi. Precisamente, la
disciplina può essere così riassunta:
a) Gli Ambiti Territoriali Minimi per lo
svolgimento delle gare e l'affidamento del
servizio di distribuzione del gas sono
determinati in numero di 177.
b) Con successivo decreto del Ministro dello
sviluppo economico, di concerto con il
Ministro per i rapporti con le Regioni e la
Coesione territoriale, da comunicare alla
Conferenza Unificata, saranno indicati i
Comuni appartenenti a ciascun ambito
territoriale. Viene precisato che, al fine
di semplificare le operazione di
aggregazione degli enti locali, è introdotto
un limite di 50 sul numero massimo di Comuni
presenti in un ambito, purché riguardino
almeno 50.000 clienti.
c) Gli Enti locali di ciascun ambito
territoriale minimo dovranno affidare il
servizio di distribuzione gas tramite gara
unica, cioè al gestore risultato vincitore
nell'ambito territoriale minimo a cui
appartengono.
d) La gara unica può essere estesa a due o
più ambiti confinanti previo accordo degli
enti locali degli ambiti interessati.
e) Nel periodo di prima applicazione del
nuovo sistema, il gestore risultato
vincitore della gara d'ambito subentra
progressivamente nell'affidamento del
servizio dei vari impianti di distribuzione
gas dell'ambito territoriale minimo alla
scadenza delle singole concessioni presenti
nell'ambito, a meno di una loro anticipata
risoluzione concordata fra il gestore
uscente e l'Ente locale.
f) Con delibera dell'Autorità per l'energia
elettrica e il gas, sono stabilite misure
volte a incentivare l'anticipata risoluzione
delle predette concessioni, nonché misure
volte a incentivare l'aggregazione degli
ambiti territoriali minimi, che presentano
un numero di clienti inferiore a 100.000.
g) Ai sensi dell'articolo 46-bis, comma 2,
del decreto legge 01.10.2007, n. 159,
convertito, con modificazioni, dalla legge
29.11.2007, n. 222, a decorrere dall'entrata
in vigore del decreto (01.04.2011), le gare
per l'affidamento del servizio di
distribuzione gas, per le quali non e' stato
pubblicato il bando o non e' decorso il
termine per la presentazione delle offerte
di gara, sono aggiudicate unicamente
relativamente agli ambiti ora determinati.
h) Il gestore uscente, ai sensi
dell'articolo 14, comma 7, del decreto
legislativo 23.05.2000, n. 164, resta
comunque obbligato a proseguire la gestione
del servizio fino alla data di decorrenza
del nuovo affidamento.
Quindi, dovrà essere emanato il decreto,
contenente la distribuzione dei Comuni nei
rispettivi ambiti ed il regolamento dei
criteri di gara. Viceversa, è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 102
del 04.05.2011, il decreto del 21.04.2011 “Tutela
Occupazione”, cioè contenente
disposizioni dirette a governare gli effetti
sociali connessi ai nuovi affidamenti.
Non c'è dubbio che il punto maggiormente
controverso del novello decreto è quello
contenuto nell'articolo 3, comma 3°, del
decreto, cioè il punto “g”, che può essere
così sintetizzato:
- dall'01.04.2011, sono aggiudicate, solo
relativamente agli ambiti, le gare già
indette, “per le quali non e' stato
pubblicato il bando o non e' decorso il
termine per la presentazione delle offerte
di gara”. Ora, cosa si deve intendere per
gare, per le quali non è intervenuta la
pubblicazione del bando “o” per le quali non
è decorso il termine di presentazione delle
offerte? Quale valore occorre dare alla
congiunzione “o”?
Per intendere correttamente la disposizione
normativa in esame, occorre concentrarsi
sulla seconda domanda, cioè sul valore della
congiunzione. Allora, deve essere precisato
che la congiunzione “o” può esprimere due
valori:
1) un valore di disgiunzione, cioè di
esclusione di due concetti o cose;
2) un valore di esplicazione, cioè di
precisazione e correzione di un precedente
concetto o cosa.
In senso di esclusione, la congiunzione si
suole premettere anche al primo concetto,
ponendo così in corrispondenza reciproca più
concetti e facendone spiccare l'alternativa.
In senso di esplicazione, la congiunzione
non si suole porre davanti al primo
concetto, ma solo ai seguenti, e talora si
rafforza cangiandosi in ovvero, ossia, etc..
Ora, secondo una prima interpretazione
(accolta, da notizie informali, in via non
ufficiale dal Ministero delle Attività
Produttive), il valore da attribuire è
quello esplicativo:
- ai fini del fattuale blocco delle gare,
non basta la pubblicazione del bando, ma
occorre che sia decorso il termine di
presentazione delle offerte. Viceversa,
secondo altra interpretazione, occorre
attribuire un valore disgiuntivo: o l'uno o
l'altro. In altri termini, in mancanza della
pubblicazione del bando, la procedura di
gara può proseguire se non è scaduto il
termine di presentazione delle offerte.
Orbene, il Tar Brescia, nell'ordinanza in
esame, aderisce al secondo orientamento e
statuisce quanto segue:
a) l'entrata in vigore del decreto
ministeriale non sembra incidere sulle
determinazioni del Comune;
b) il bando risulta ritualmente pubblicato
in data anteriore all'operatività della
novella normativa, ed è, pertanto, idoneo a
produrre i suoi effetti secondo il principio
“tempus regit actum”;
c) che l'ulteriore parametro – ossia la
scadenza del termine per la presentazione
delle offerte – è indicato in via
alternativa (con la formula “o”) e sembra
rinviare ai metodi di scelta del contraente
non accompagnati dalla preventiva redazione
di un bando di gara. In altri termini,
secondo il Tar Brescia, l'espressione
disgiuntiva utilizzata nel decreto sembra
alludere a due diverse tipologie di gara:
- procedura aperta o ristretta, in relazione
alla pubblicazione del bando;
- procedura negoziata senza previa
pubblicazione di bando di gara, in relazione
al termine per la presentazione delle
offerte.
Le statuizioni del Tar Brescia sono, in
linea generale, condivisibili, in quanto il
valore della congiunzione “o” sembra essere
disgiuntivo e non esplicativo. Tuttavia,
l'adesione a tale indirizzo, che si
ribadisce appare il più convincente, sembra
alludere ad una possibilità di scelta di
tipologia di gara, cioè al fatto che il
Comune, ai fini dell'affidamento del
servizio di distribuzione gas naturale,
possa scegliere liberamente fra procedura
aperta e ristretta, da un lato, e procedura
negoziata senza previo bando dall'altro.
Invero, tale possibilità è stata smentita
dalla più recente giurisprudenza, che ha
statuito la legittimità delle sole procedure
aperte e ristrette: “l'affidamento della
concessione del servizio di distribuzione
del gas naturale non può essere effettuato
attraverso una procedura negoziata, senza
previa pubblicazione di bando di gara, in
quanto il comma 4° dell'articolo 30 del
Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006),
in tema di concessione di servizi, fa
espressamente salve discipline specifiche,
che prevedono forme più ampie di tutela
della concorrenza quali, appunto, quelle di
cui al D.Lgs. n. 164/2000.
Il Collegio riconosce che l'articolo 14 del
citato D.Lgs. n. 164/2000 si riferisce
genericamente a “gare”, senza specificarne
la tipologia (aperta, ristretta o
negoziata), ma osserva che lo stesso
articolo, al comma 5°, introduce principi di
concorrenza e di ampia partecipazione, che
lasciano intendere il disfavore del
Legislatore verso affidamenti diretti o a
mezzo di procedure non ad evidenza pubblica”
(Tar Marche, sez. I, 06.12.2010, n. 3412).
A ben vedere, la soluzione interpretativa
del Tar Marche può essere accolta, in quanto
si palesa conforme all'articolo 54 del
Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n.
163/2006), secondo il quale procedura aperta
e procedura ristretta costituiscono e
rappresentano gli ordinari modelli di scelta
del contraente, mentre le negoziate possono
essere utilizzate solo alle “condizioni
specifiche espressamente previste”
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il giudizio relativo
alla regolarità dei documenti allegati
all’offerta non ha efficacia di piena prova.
I verbali provenienti da pubblici ufficiali
hanno efficacia di piena prova, fino a
querela di falso (art. 2700 c.c.) solo
relativamente alla provenienza dell'atto dal
pubblico ufficiale che lo ha formato, alle
dichiarazioni delle parti e agli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesti avvenuti
in sua presenza o da lui compiuti, mentre
tale fede privilegiata non si estende né
agli apprezzamenti del pubblico ufficiale
ovvero alle sue ulteriori valutazioni e
deduzioni. (ex multis VI sez., n.
7129 del 2010).
In applicazione del suddetto principio, il
CGA ha raffermato che un giudizio formulato
dalla Commissione di gara in ordine alla
regolarità dei documenti allegati
all’offerta costituisce il frutto di
valutazioni non assistite da fidefacienza ma
piuttosto da presunzione semplice di
veridicità. (C.G.A. n. 35 del 2006) (massima
tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it
- C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 333 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Contratti pubblici -
Revisione prezzi nei contratti di appalto -
Art. 44 Legge finanziaria 724/1994 -
Contratti per l'esecuzione di lavori
pubblici e contratti aventi ad oggetto la
prestazione di servizi - Applicabilità per
la Regione Sicilia - Esclusione.
L’istituto della revisione dei prezzi nei
contratti di appalto, prima oggetto di
divieto, è stato reintrodotto, a livello
statale, dall’art. 44 della legge
finanziaria 23.12.1994, n. 724. Deve però
escludersi che questa disciplina legislativa
statale abbia spiegato efficacia
automaticamente abrogante nei confronti
della previgente difforme disciplina
legislativa regionale (legge regionale per
la regione Sicilia, 12.01.1993, n. 10 artt.
56 e 70).
Depone in tal senso il comma 3 del citato
articolo il quale prevede che, in
riferimento alla materia di cui trattasi, "le
regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano provvedono
in base alle loro competenze nei limiti
stabiliti dai rispettivi statuti e dalle
relative norme di attuazione". La norma
richiamata non riguarda soltanto le ipotesi
di competenza esclusiva delle Regioni a
statuto speciale, ma fa invece salvo anche
l’esercizio della potestà legislativa
concorrente, ovviamente entro i limiti
all’uopo tracciati dallo Statuto e dalle
norme di attuazione.
In particolare, dal momento che la materia
della revisione prezzi fruisce, nella
Regione siciliana, di una disciplina
unitaria, sia con riguardo agli appalti di
lavori che a quelli di servizi, non è
pensabile che la sopravvenuta disciplina
statale, riferita indistintamente a tutti i
contratti ad esecuzione continuata o
periodica, esplichi effetto discriminante
sul regime del corrispettivo contrattuale a
seconda che questo si riferisca
all’esecuzione di lavori pubblici (materia
attribuita alla competenza legislativa
primaria della Regione, ex art. 14, lett. g,
dello Statuto), ovvero alla prestazione di
servizi (C.G.A. n. 184 del 2002)
(C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 332 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Polizza digitale, valida
solo se prodotta in originale o in copia
autenticata da un pubblico ufficiale.
La garanzia provvisoria in formato digitale
deve essere presentata in originale e cioè
su supporto informatico e sottoscritta con
firma digitale.
In alternativa la concorrente può presentare
una copia su supporto cartaceo della polizza
generata informaticamente, la conformità
della copia all'originale in tutte le sue
componenti sia attestata da un pubblico
ufficiale a ciò autorizzato.
Mancando l’attestazione di conformità non è
possibile, infatti, risalire al soggetto che
ha sottoscritto l’originale informatico con
firma digitale. Né, come già chiarito in
giurisprudenza, la conformità di cui si
discute poteva essere autocertificata poiché
la polizza, in quanto scrittura privata, non
rientra fra i documenti per i quali l’art.
19 del T.U. n. 445 del 2000 consente di
attestare la conformità all’originale
mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto
di notorietà (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
C.G.A.R.S.,
sentenza 28.04.2011 n. 330 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'inserimento
dell'inciso "per quanto a propria
conoscenza" nella dichiarazione riguardante
gli amm. cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando rende del tutto priva di valore la
dichiarazione rilasciata.
L'inciso "per quanto a propria conoscenza"
riportato nella dichiarazione riguardante
gli amministratori cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando dal legale
rappresentante di una società concorrente,
rende del tutto priva di valore e tanquam
non esset la dichiarazione rilasciata,
in quanto si pone in contrasto con le norme
in materia di dichiarazioni sostitutive di
atto di notorietà di cui al D.P.R. n.
445/2000, mancando in tal caso, una vera e
propria assunzione di responsabilità che
dovrebbe, invece, essere alla base
dell'affidamento che è chiamata a riporvi
l'amministrazione.
L'AVCP con la det. n. 1 del 12.01.2010 ha
precisato, altresì, che la legittimità di
una dichiarazione riportante l'inciso in
argomento, può essere ammessa solo qualora
il dichiarante specifichi espressamente "le
circostanze che rendono impossibile o
eccessivamente gravosa la produzione della
dichiarazione da parte dei soggetti
interessati".
Nel caso di specie, tali ulteriori
specificazioni nella dichiarazione resa dal
legale rappresentante non sono state
riportate; pertanto, l'inciso "per quanto
a propria conoscenza" comporta
l'inesistenza della dichiarazione stessa,
con la conseguenza della legittima
esclusione della concorrente dalla gara. Né
gioverebbe un eventuale richiamo al c.d. "falso
innocuo", che comunque afferisce a
diversa fattispecie, giacché tale principio
sostanzialistico elaborato dalla
giurisprudenza non può trovare applicazione
a fronte di espressa ed inequivoca
prescrizione della lex specialis (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 27.04.2011 n. 3620 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi fra
invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante,
la prima soltanto delle quali comporta travolgimento dell’atto
consequenziale, indipendentemente dalla relativa impugnazione: tale
situazione si verifica normalmente quando l’atto successivo venga a porsi
nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile
conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi.
Detto effetto caducante non intercorre di norma fra aggiudicazione
provvisoria ed aggiudicazione definitiva, tenuto conto della giurisprudenza
prevalente, che attribuisce all’aggiudicazione provvisoria natura di atto
endo-procedimentale, dagli effetti ancora instabili e meramente interinali,
con autonoma incidenza lesiva dell’aggiudicazione definitiva, quale
provvedimento di formale ricezione, da parte dell’Amministrazione,
dell’esito della gara, non senza nuova valutazione degli interessi pubblici
e privati sottostanti.
Il soggetto che si consideri leso può dunque impugnare l’aggiudicazione
provvisoria, ma si ritiene che debba comunque contestare, a pena di
improcedibilità del ricorso, anche l’aggiudicazione definitiva (mentre
l’impugnativa di quest’ultima è comunque ammissibile, anche in assenza di
previa contestazione di altri atti interni della procedura di gara).
Quanto sopra non esclude che –in presenza di un’aggiudicazione definitiva,
di fatto meramente confermativa di quella provvisoria ed anche in assenza di
invalidità di atti presupposti, tali da travolgere “ab initio”
l’intera procedura di gara– possa in singoli casi ritenersi applicabile il
principio generale, in precedenza enunciato in tema di effetto caducante.
Quando tuttavia siano stati ritualmente impugnati sia l’aggiudicazione
provvisoria che quella definitiva, appare prioritario ed assorbente il
principio di concentrazione e semplificazione che ha indotto il legislatore,
con l’art. 1 della legge 21.07.2000, n. 205, a consentire l’impugnazione con
motivi aggiunti di tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso
fra le medesime parti, purché connessi all’oggetto del giudizio.
Tale principio consente che ogni atto autonomamente lesivo venga contestato
per i vizi attinenti alla fase cui lo stesso si riferisce, mentre avverso
gli atti conseguenti –ove censurabili solo per l’effetto viziante,
riconducibile ad illegittimità di atti presupposti– può ben essere
prospettato il solo vizio ad essi direttamente riconducibile, ovvero quello
di illegittimità derivata, non ponendosi alcun problema circa la
piena informazione di tutte le parti in causa sugli esatti termini della
controversia (come non avverrebbe in caso di coinvolgimento di altri
soggetti, in giudizi sia pure connessi, ma distinti da quello di cui si
richiamassero genericamente le censure, solo in questo caso incorrendo in
una ragione di inammissibilità).
---------------
Il Collegio è chiamato a valutare, in via preliminare, la correttezza o meno
delle statuizioni della sentenza appellata, secondo cui:
- risulterebbe inammissibile l’impugnazione con motivi aggiunti
dell’aggiudicazione definitiva di una gara, solo per illegittimità derivata
e senza pedissequa riproposizione delle censure, già ritualmente prospettate
avverso l’aggiudicazione provvisoria;
- sarebbe dunque improcedibile il ricorso principale avverso
l’aggiudicazione provvisoria e gli atti presupposti.
Il Collegio non condivide le conclusioni sopra sintetizzate, poiché
incompatibili con principi fondamentali del processo amministrativo.
Nella fattispecie, infatti,l’impresa esclusa dalla gara ha impugnato la
propria esclusione dalla gara, nonché la graduatoria provvisoria e quella
definitiva, richiamando –in sede di proposizione dei motivi aggiunti– le
censure formulate col ricorso principale e deducendo, in particolare,
l’illegittimità derivata della aggiudicazione definitiva.
Con impostazione formalistica, che ha vanificato la tutela dell’originaria
ricorrente, nella sentenza impugnata sono stati dichiarati inammissibili i
motivi aggiunti e improcedibile il ricorso originario, per omessa pedissequa
riproposizione di tutte le censure prospettate nel ricorso stesso.
L’appellante ha contestato tali conclusioni, richiamando in primo luogo i
principi sul cosiddetto effetto travolgente dell’annullamento dell’atto
presupposto, rispetto a quello consequenziale.
In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, in effetti, deve
distinguersi fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad
effetto viziante, la prima soltanto delle quali comporta travolgimento
dell’atto consequenziale, indipendentemente dalla relativa impugnazione:
tale situazione si verifica normalmente quando l’atto successivo venga a
porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile
conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez.
V, 25.11.2010, n. 8243; Cons. St., sez. VI, 23.12.2008, n. 6520); detto
effetto caducante non intercorre di norma fra aggiudicazione provvisoria ed
aggiudicazione definitiva, tenuto conto della giurisprudenza prevalente, che
attribuisce all’aggiudicazione provvisoria natura di atto
endo-procedimentale, dagli effetti ancora instabili e meramente interinali,
con autonoma incidenza lesiva dell’aggiudicazione definitiva, quale
provvedimento di formale ricezione, da parte dell’Amministrazione,
dell’esito della gara, non senza nuova valutazione degli interessi pubblici
e privati sottostanti (cfr., in senso conforme, Cons. St., sez. V,
11.01.2011, n. 80; Cons. St., sez. VI, 20.10.2010, n. 7586; Cons. St., sez.
V, 23.11.2010, nn.. 8154 e 8153).
Il soggetto che si consideri leso può dunque impugnare l’aggiudicazione
provvisoria, ma si ritiene che debba comunque contestare, a pena di
improcedibilità del ricorso, anche l’aggiudicazione definitiva (mentre
l’impugnativa di quest’ultima è comunque ammissibile, anche in assenza di
previa contestazione di altri atti interni della procedura di gara).
Quanto sopra non esclude che –in presenza di un’aggiudicazione definitiva,
di fatto meramente confermativa di quella provvisoria ed anche in assenza di
invalidità di atti presupposti, tali da travolgere “ab initio”
l’intera procedura di gara– possa in singoli casi ritenersi applicabile il
principio generale, in precedenza enunciato in tema di effetto caducante
(cfr. Cons. St., sez. VI, 19.07.2007, n. 4060). Quando tuttavia, come nella
situazione in esame, siano stati ritualmente impugnati sia l’aggiudicazione
provvisoria che quella definitiva, appare prioritario ed assorbente il
principio di concentrazione e semplificazione che ha indotto il legislatore,
con l’art. 1 della legge 21.07.2000, n. 205, a consentire l’impugnazione con
motivi aggiunti di tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso
fra le medesime parti, purché connessi all’oggetto del giudizio.
Tale principio consente che –nel processo unitario in corso– ogni atto
autonomamente lesivo venga contestato per i vizi attinenti alla fase cui lo
stesso si riferisce, mentre avverso gli atti conseguenti –ove censurabili
solo per l’effetto viziante, riconducibile ad illegittimità di atti
presupposti– può ben essere prospettato il solo vizio ad essi direttamente
riconducibile, ovvero quello di illegittimità derivata, non ponendosi alcun
problema circa la piena informazione di tutte le parti in causa sugli esatti
termini della controversia (come non avverrebbe in caso di coinvolgimento di
altri soggetti, in giudizi sia pure connessi, ma distinti da quello di cui
si richiamassero genericamente le censure, solo in questo caso incorrendo in
una ragione di inammissibilità).
La sentenza appellata –che dichiarava inammissibili i motivi aggiunti di
gravame avverso l’aggiudicazione definitiva, poiché non formalmente
reiterativi di tutte le censure in precedenza prospettate, con ulteriore
improcedibilità del ricorso principale– non può pertanto che essere
annullata, senza che si pongano problemi di riconoscimento dell’errore
scusabile, pur richiamato dall’appellante, poiché vi è stata la rituale
impugnazione di tutti gli atti emessi in sede amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2011 n. 2482 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Subappalto - Divieto di
cui all’art. 37 d.lgs. n. 163/2006 -
Individuazione delle opere - Criterio
sostanziale.
L'individuazione delle opere rientranti nel
divieto di subappalto di cui all’art. 37 del
d.lgs. n. 163/2006 dev’essere di tipo
sostanziale, non formale (con riguardo,
cioè, alle declaratorie ex d.P.R. n.
34/2000, all. A, delle o.g. e delle o.s.),
per cui, ai fini dell'applicabilità del
divieto, occorre verificare, di volta in
volta, in rapporto a ciascun appalto, se le
opere classificate come generali siano in
concreto di "notevole contenuto
tecnologico o di rilevante complessità
tecnica", indipendentemente dalla
relativa declaratoria formale: prevale
l’esigenza di evitare che l’aggiudicataria,
classificata per le opere prevalenti, agisca
da copertura per una serie di mascherati
subappalti concernenti proprio le opere di
maggiore complessità tecnologica (cfr. C.S.,
sez. IV, dec. 19.10.2004 n. 6701; sez. VI,
dec. 19.08.2003 n. 4671) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2479 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Gara: legittima la
clausola che impone la firma del documento
di riconoscimento.
E’ legittima la
clausola del disciplinare di gara che impone
la firma autografa in originale della copia
del documento di riconoscimento
dell’offerente.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale ribalta l’appellata sentenza
del Tar Liguria che aveva dichiarato
illegittima la clausola del disciplinare di
un’asta immobiliare la quale, a pena di
esclusione, imponeva la sottoscrizione del
concorrente sulla copia del documento,
formalismo ritenuto dal Tar illogico e
sproporzionato. Pertanto, non può essere
invalidata una gara pubblica che contempli,
a pena di esclusione, analoga prescrizione
nella relativa lex specialis.
Il Tar Liguria era stato chiamato a decidere
sull’impugnazione del verbale di
aggiudicazione e del disciplinare di gara,
relativi ad un’asta immobiliare, nella parte
in cui il primo aveva escluso la ricorrente,
senza che fosse stata aperta la busta
contenente l’offerta economica. Una delle
partecipanti si era vista estromettere in
quanto non aveva apposto la propria firma
autografa sulla fotocopia del documento di
identità che aveva prodotto. Il Tar adito in
primo grado annullava l’aggiudicazione
dell’immobile riconoscendo illegittima la
clausola del disciplinare di gara in quanto
imponeva un “inutile formalismo”.
Il ricorrente in appello ha invece
sottolineato la doverosità dell’esclusione
della ricorrente in primo grado, poiché la
lex specialis della gara prevedeva la
sanzione dell’esclusione per l’ipotesi di
omessa sottoscrizione della fotocopia del
documento, rilevando che tale onere non
fosse né illogico né sproporzionato.
Il Consiglio di Stato, riconoscendo che
l’adempimento della sottoscrizione era
previsto “a pena di esclusione”, ha
accolto la doglianza dell’appellante
ritenendo legittima la clausola del
disciplinare che imponeva l’onere della
firma sulla copia del documento. La mancata
illogicità è stata ancorata
all’attribuibilità della domanda di
partecipazione al soggetto offerente,
attraverso la comparazione delle
sottoscrizioni presenti sull’istanza e
sull’offerta a quella apposta sul documento.
Infine, l’adempimento non è stato ritenuto
sproporzionato poiché limitato alla semplice
lettura del bando e all’apposizione della
sottoscrizione (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2011 n. 2478 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Revoca
dell'aggiudicazione annullabile senza
comunicazione avvio procedimento.
Il provvedimento di
revoca adottato in seguito al precedente
provvedimento di aggiudicazione definitiva
di una procedura ad evidenza pubblica è
illegittimo, e dunque annullabile, se manca
la comunicazione di avvio del procedimento
al soggetto risultato aggiudicatario.
È questo, in estrema sintesi, quanto
affermato dalla
sentenza 27.04.2011 n. 2456 resa
dalla V Sezione del Consiglio di Stato.
Un ente pubblico aveva indetto una gara per
l’affidamento di un servizio.
La procedura di evidenza pubblica si era poi
perfezionata con l’emanazione del relativo
provvedimento di aggiudicazione.
Tuttavia, a distanza di oltre un mese
dall’intervento della delibera direttoriale
che aveva disposto l’aggiudicazione
definitiva in favore della Società risultata
vincitrice, l’ente pubblico revocava detta
aggiudicazione.
In seguito alla pronuncia del Giudice
territoriale (TAR del Lazio), la questione è
approdata al Consiglio di Stato, il quale si
è pronunciato in merito alla legittimità del
provvedimento di revoca adottato in seguito
al precedente provvedimento di
aggiudicazione definitiva della gara.
Al riguardo i Giudici hanno ravvisato la
violazione dell’obbligo di comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della legge 07.08.1990, n. 241/1990 [1].
Come noto, l’art. 7 della legge sul
procedimento amministrativo prevede, tra
l’altro, l’obbligo per la pubblica
amministrazione che avvia un procedimento
amministrativo di comunicare l’avvio del
procedimento stesso ai soggetti nei
confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre effetti diretti,
nonché ai soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti
destinatari, cui possa derivare un
pregiudizio.
Ciò considerato, in armonia con il proprio
consolidato orientamento interpretativo, i
Giudici hanno rilevato che il
perfezionamento della procedura di evidenza
pubblica, segnato dall’adozione del
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
vale a differenziare e qualificare la
posizione dell’aggiudicatario ai fini
dell’applicazione dei canoni partecipativi
di cui agli artt. 7 e ss. l. n. 241 del
1990.
Difatti, argomenta il Consiglio di Stato
richiamando la pronuncia n. 5925 del 2007
[2], l’amministrazione che intenda procedere
al riesame in autotutela del provvedimento
di aggiudicazione definitiva, con il quale
si sia concluso il procedimento di
affidamento di contratti pubblici, “deve
adempiere alla prescrizione imposta
dall’art. 7 della legge n. 241/1990
provvedendo alla comunicazione dell’avvio
del procedimento quantomeno nei confronti
dell’aggiudicatario la cui sfera giuridica
potrebbe essere incisa dagli effetti
sfavorevoli derivanti dall’adozione
dell’atto di revoca”.
Il provvedimento di revoca, pertanto,
sarebbe annullabile in quanto, incidendo in
via estintiva sulla posizione di vantaggio
consacrata dall’atto di aggiudicazione
definitiva, “ha impedito alla società
ricorrente di interloquire sull’effettiva
sussistenza e consistenza di ragioni di
interesse pubblico” sottese al
provvedimento di revoca stesso.
Al fine però di rilevare l’illegittimità, e
dunque l’annullabilità, di un provvedimento
amministrativo occorre affrontare
un’ulteriore questione: l’applicabilità o
meno dell’art. 21-octies della medesima
legge sul procedimento amministrativo n. 241
del 1990 il quale, in sostanza, afferma la
natura non invalidante delle violazioni
formali e procedurali non influenti
sull’esito finale del procedimento [3].
Detta disposizione prevede infatti, al comma
secondo, che “non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”.
La seconda parte del medesimo comma,
inoltre, dispone che “il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile
per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato”.
Sul punto, il Consiglio di Stato rileva che
la “regola conservativa” di cui al
citato art. 21-octies, comma 2, l. n. 241
del 1990 non è applicabile al caso in esame;
e ciò in ragione:
● della caratterizzazione discrezionale del
provvedimento di revoca;
● dell’esigenza di ponderare
comparativamente con gli interessi pubblici
in rilievo la posizione di vantaggio
conseguita dal ricorrente a seguito della
partecipazione con esito vittorioso alla
procedura.
La quinta sezione del Consiglio di Stato,
pertanto, ha ravvisato l’illegittimità del
provvedimento di revoca adottato a distanza
di oltre un mese dal provvedimento di
aggiudicazione definitiva per violazione
dell’obbligo di comunicazione di avvio del
procedimento ai sensi dell’art. 7 della
legge 07.08.1990, n. 241.
I giudici, di conseguenza, hanno accolto il
ricorso e annullato la delibera di revoca,
facendo salvo, ad ogni modo, il riesercizio
del potere amministrativo all’esito di una
procedura che consenta la piena esplicazione
del contraddittorio ai fini dei una congrua
comparazione degli interessi in
considerazione.
---------------
[1] Legge 07.08.1990, n. 241 recante
“Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi”.
[2] Cons. St, sez. V, 21.11.2007, n. 5925.
[3] Con riferimento ai rilievi critici in
ordine al rapporto tra detta disposizione ed
i principi di garanzia procedimentale si
rimanda a D.U. Galetta, Notazioni critiche
sul nuovo art. 21-octies della legge n.
241/1990, in Giustizia amministrativa,
2005/2, 1-10 (link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Revoca concordata con
l'aggiudicatario.
Nell'esercizio del
potere di autotutela dopo l'adozione del
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
la stazione appaltante deve coinvolgere il
soggetto che subirà gli effetti della
revoca, notificandogli l'atto di avvio del
relativo procedimento ex articolo 7 legge
241/1990.
È quanto afferma il Consiglio di Stato che,
nella
sentenza 27.04.2011 n. 2456, ha
evidenziato come il perfezionamento della
procedura di gara a evidenza pubblica,
contrassegnato dall'adozione del
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
vale a differenziare e qualificare la
posizione conseguita dall'aggiudicatario,
rispetto, ad esempio, all'ipotesi
dell'aggiudicazione soltanto provvisoria.
L'articolo 11 del Dlgs 163/2006 stabilisce,
infatti, che a seguito della selezione
dell'offerta migliore, e previa verifica
dell'aggiudicazione provvisoria,
l'amministrazione conclude l'iter di gara
con l'adozione dell'atto di aggiudicazione
definitiva, fatto salvo l'esercizio dei
poteri di autotutela.
Sulla base di queste premesse, i giudici di
Palazzo Spada -muovendo dall'accoglimento
dell'impugnativa proposta avverso un
provvedimento di revoca di un'aggiudicazione
definitiva, adottato senza il coinvolgimento
dell'interessato– hanno messo in rilievo
come il destinatario del provvedimento di
vera e propria aggiudicazione (qual è quella
«definitiva» ex articolo 11, commi
7-8-9 del Dlgs 163/2006) ha diritto, in
virtù della posizione di vantaggio
acquisita, a interloquire con l'autorità
sull'effettiva sussistenza delle ragioni di
interesse pubblico presupposte all'esercizio
del potere di autotutela prima che sia
formalizzata la revoca dell'aggiudicazione.
La sezione ha, così, esteso a questa ipotesi
l'applicazione del generale principio
partecipativo, posto dall'articolo 7 della
legge 241/990 in base al quale l'avvio del
procedimento deve essere sempre comunicato
ai soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento di secondo grado è destinato a
produrre i propri effetti, a meno che non
sussistano ragioni di impedimento derivanti
da particolari esigenze di celerità del
procedimento.
Con la pronuncia in esame, se da un lato
viene confermata la possibilità per la
pubblica amministrazione di esercitare, in
presenza dei presupposti richiesti dalla
legge, i poteri discrezionali di revoca e/o
annullamento di un atto precedentemente
emanato, viene d'altro canto osservato che
questo potere non può essere esercitato
dalla stazione appaltante in piena ed
esclusiva autonomia, quando andrebbe
direttamente a incidere sulla posizione di
vantaggio cristallizzata dall'atto di
individuazione del vincitore della gara.
In altri termini, per essere legittimo, il
potere discrezionale della pubblica
amministrazione in autotutela deve essere sì
speso in conformità ai principi di legalità,
di economicità e di razionalità, ma anche
nel rispetto del contraddittorio con chi, al
termine del procedimento di gara, ha
raggiunto una posizione consolidata di
vantaggio e ha pertanto un oggettivo e
concreto interesse al mantenimento del
provvedimento attestante la graduatoria
finale dell'appalto (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sulla necessità del
possesso dei requisiti esclusivamente in
capo ai consorzi stabili.
Nel caso di partecipazione ad una gara di
appalto di un consorzio stabile, non è
necessario verificare il possesso dei
requisiti di partecipazione, oltre che in
capo al consorzio stesso, anche in testa
all'impresa consorziata indicata come
esecutrice. La tesi, infatti, della
necessità del possesso dei requisiti solo in
capo ai consorzi stabili sembra la più
coerente con la stessa individuazione di
tali figure soggettive.
Queste hanno una loro qualificazione, che
consente ai medesimi di partecipare alle
gare pubbliche, e pertanto sono gli stessi
che assumono su di sé, e con le
qualificazioni possedute, l'onere della
esecuzione delle prestazioni contrattuali, a
nulla rilevando che abbiano designato una
consorziata non in possesso delle
qualificazioni necessarie, essendo la
prestazione "in toto" ricadente sul
medesimo consorzio stabile, che potrà
provvedervi o direttamente o per il tramite
di un'altra impresa consorziata.
Solo così ha un senso la qualificazione da
parte della società organismo di
attestazione /SOA in capo direttamente al
consorzio stabile; questo, in quanto
titolare della necessaria qualificazione, è
il contraente del contratto e solo alla sua
qualificazione occorre fare riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2011 n. 2454 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
S. Usai,
Inefficacia del contratto e buona fede del
terzo contraente (link a
www.lexitalia.it). |
LAVORI PUBBLICI: Non
sussiste il vizio di mancata distinzione e
redazione del progetto preliminare e
definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994
in quanto i tre livelli di progettazione non
vanno intesi come inderogabili ed autonomi
adempimenti tecnico-amministrativi,
rigidamente definiti nei contenuti e nella
sequenza temporale, bensì come tappe
significative di un unico processo
identificativo e creativo, nelle quali si
definiscono compiutamente particolari
momenti del processo medesimo.
L'approvazione del progetto di opere
pubbliche, ove interessi aree che dal piano
regolatore non siano destinate a pubblici
servizi anche a causa della decadenza di
vincoli preordinati all'esproprio,
costituisce variante al piano stesso solo
dopo che sia intervenuta l'approvazione
regionale, secondo le modalità previste
dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167,
richiamati dall'art. 1 comma 5, l.
03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione
della variante urbanistica, connessa
all'approvazione del progetto, non comporta
la dichiarazione di pubblica utilità delle
opere in questione e, di conseguenza, non
legittima le successive procedure ablatorie.
Non sussiste il vizio di mancata distinzione
e redazione del progetto preliminare e
definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994
in quanto i tre livelli di progettazione non
vanno intesi come inderogabili ed autonomi
adempimenti tecnico-amministrativi,
rigidamente definiti nei contenuti e nella
sequenza temporale, bensì come tappe
significative di un unico processo
identificativo e creativo, nelle quali si
definiscono compiutamente particolari
momenti del processo medesimo: le
caratteristiche qualitative e funzionali dei
lavori, il quadro delle esigenze da
soddisfare e delle prestazioni da fornire
-progetto preliminare- gli elementi
necessari ai fini del rilascio delle
prescritte autorizzazioni ed approvazioni
-progetto definitivo- il dettaglio dei
lavori da realizzare ed il relativo costo in
modo da consentire che ogni elemento sia
identificabile in forma, tipologia, qualità,
dimensione e prezzo -progetto esecutivo-
(art. 16, commi 3, 4 e 5 della legge
109/1994).
Ne consegue che è possibile l’unificazione
di un livello progettuale con quello
successivo ed, in particolare, del progetto
preliminare e di quello definitivo. Era
quindi onere non adempiuto del ricorrente
indicare in concreto quali fossero le
differenze tra la progettazione realizzata e
quella ritenuta in vigore.
---------------
Nel caso, come quello in questione, di
approvazione della variante urbanistica ai
sensi dell'art. 1, comma 5, l. 03.01.1978 n.
1 la giurisprudenza (TAR Basilicata Potenza,
sez. I, 18.10.2008, n. 645; Cons. Stato, IV,
16.03.2010 n. 1540) ha chiarito che
l'approvazione del progetto di opere
pubbliche, ove interessi aree che dal piano
regolatore non siano destinate a pubblici
servizi anche a causa della decadenza di
vincoli preordinati all'esproprio,
costituisce variante al piano stesso solo
dopo che sia intervenuta l'approvazione
regionale, secondo le modalità previste
dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167,
richiamati dall'art. 1 comma 5, l.
03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione
della variante urbanistica, connessa
all'approvazione del progetto, non comporta
la dichiarazione di pubblica utilità delle
opere in questione e, di conseguenza, non
legittima le successive procedure ablatorie
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.04.2011 n. 1019 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la
clausola di un bando di gara per
l'affidamento del servizio di mensa
scolastica che richieda, quale requisito di
partecipazione, la disponibilità di un
centro cottura a distanza non superiore a Km
15 dalla sede municipale.
L'amministrazione appaltante può introdurre,
nella lex specialis, disposizioni
atte a limitare la platea dei partecipanti,
al fine di consentire la partecipazione alla
gara stessa di soggetti altamente
qualificati, specie in relazione al possesso
dei requisiti di capacità tecnica e
finanziaria, ma tale scelta non deve
limitare eccessivamente la concorrenza.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
l'operato di un comune che abbia inserito
nella lex specialis di gara per
l'affidamento del servizio di mensa
scolastica, una clausola che preveda, quale
requisito di partecipazione, la
disponibilità di un centro cottura a
distanza non superiore a 15 Km dalla sede
municipale.
Tale disposizione è irragionevole e
fortemente limitativa della concorrenza;
infatti, secondo un condivisibile
orientamento giurisprudenziale, la predetta
categoria di clausole è, da un lato,
manifestamente distorsiva della concorrenza
e, dall'altro, non idonea ai fini
dell'individuazione del miglior contraente,
in quanto pretendere la presenza del
servizio oggetto d'appalto nel comune,
importa l'imposizione di un dispendio
economico ed organizzativo, come tale
incoerente con qualsiasi canone di
economicità.
Invero, sarebbe irragionevole pretendere
che, in ambiti territoriali circoscritti, un
operatore del settore sia costretto ad
attivare centri di cottura in ogni comune in
cui siano presenti scuole pubbliche,
determinando, in tal modo, un indubbio
favoritismo per i pochi soggetti presenti in
quel preciso ambito territoriale (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.04.2011 n. 719 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Imprenditore
risarcito per la perdita di appalti e fidi
bancari.
Diciotto giorni di carcere, oltre quattro
mesi agli arresti domiciliare. Poi
l'imprenditore calabrese è definitivamente
assolto dall'accusa di associazione a
delinquere e ottiene una riparazione di 30
mila euro per l'ingiusta detenzione (300
euro per ogni giornata di carcere, 200 per i
«domiciliare»).
Ma l'indennizzo non basta: è escluso che il
giudice possa cavarsela con un semplice
criterio aritmetico senza verificare se
l'azienda dell'uomo d'affari, incriminato e
scagionato, abbia subito perdite o perso
occasioni d'affari riconducibili alla
reclusione del titolare. E se il danno
esistenziale è intrinseco alla privazione
della libertà, non si può evitare di
verificare la sussistenza del danno alla
salute di chi lamenta di essere stato per
anni esposto alla «gogna mediatica» su
giornali e televisioni locali.
È quanto emerge dalla sentenza 20.04.2011
n. 15665 della III Sez. penale della
Corte di Cassazione.
Danno emergente e lucro
cessante.
Il primo giudice del rinvio non si attiene
ai principi già indicati dalla Suprema
corte: sarà allora un'altra sezione della
Corte d'appello di Catanzaro a provvedere.
La perizia contabile del richiedente lamenta
perdite secche per l'impresa: durante la
reclusione del titolare l'azienda è esclusa
da tutti gli appalti e si vede negare i fidi
dalle banche. Ma la Corte d'appello la
ignora e si limita a escludere che vi sia
stata una diminuzione di profitti o un
aumento delle perdite: avrebbe dovuto invece
verificare se, per il solo fatto che
l'imprenditore era stato ingiustamente
arrestato, a carico della società fossero
... (articolo
ItaliaOggi del 26.04.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla possibilità di
derogare al principio di pubblicità delle
sedute in materia di concessione di servizi
pubblici.
In materia di procedure aventi ad oggetto
una concessione di servizi pubblici,
l'omessa lettura in seduta pubblica delle
offerte economiche non vìola il principio di
pubblicità delle sedute sancito a presidio
delle gare ad evidenza pubblica.
Nel caso di specie, riguardante la gestione
di un asilo comunale, detto principio
risulta comunque rispettato, in ragione
dell'apertura in seduta pubblica dei plichi
contenenti la documentazione amministrativa
e di quelli contenenti le offerte
economiche; la mancata lettura delle offerte
economiche in seduta pubblica è giustificata
dalla circostanza secondo cui, l'esame delle
offerte economiche, in tal caso non si
esaurisce nel mero riscontro oggettivo del
dato numerico, ma implica la valutazione del
tenore dell'offerta, alla luce del collegato
piano economico-finanziario, costituente
parte integrante dell'offerta.
Pertanto, risulta applicabile l'orientamento
giurisprudenziale che consente la deroga al
principio della pubblicità, nelle ipotesi in
cui venga in rilievo una procedura di gara
retta dal metodo dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, implicante un'attività
valutativa estesa anche alla componente
economica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.04.2011 n. 2447 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Affidamento diretto
senza bando, prova a carico della PA.
Il Consiglio di Stato
adotta una nozione estensiva di interesse
all'impugnazione nel caso degli affidamenti
diretti, che avvengono senza pubblicazione
di un bando.
La fattispecie oggetto della sentenza in
esame è costituita da una procedura
negoziata senza la previa pubblicazione del
bando di gara, consentita per i contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture
entro determinati limiti dall’art. 57 del
d.lgs. n. 163/2006.
La pubblica amministrazione nello specifico
caso aveva giustificato l'affidamento
diretto sulla base della previsione del
secondo comma lett. b) di tale norma poiché,
per ragioni di natura tecnica o artistica
ovvero attinenti alla tutela dei diritti
esclusivi, il contratto poteva essere
affidato unicamente ad un operatore
economico determinato.
L'aggiudicazione senza gara si basava, in
particolare, sull'unicità del fornitore, in
grado di produrre un determinato macchinario
con certe caratteristiche tecniche.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che
l'onere di dimostrare l'esistenza dei
presupposti per il ricorso alla procedura
negoziata, senza pubblicazione del bando,
grava sulla stessa pubblica amministrazione
nel momento della determinazione a
contrarre.
Il ricorso a tale procedura ha infatti
carattere di eccezionalità rispetto
all’obbligo della pubblica amministrazione
di individuare il privato contraente
attraverso il confronto concorrenziale.
Il privato che intende impugnare tale genere
di aggiudicazione non deve, dunque,
dimostrare ai fini dell'esistenza
dell'interesse ad agire di essere in grado
di fornire un prodotto dalle medesime
caratteristiche di quello oggetto del
contratto.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, ai
fini del riconoscimento della legittimazione
all’impugnativa da parte di una impresa del
settore non occorre documentare una capacità
operativa paragonabile a quella del soggetto
prescelto, trattandosi di elemento che
assume rilevanza solo in sede di
partecipazione alla gara e di valutazione
comparativa delle offerte presentate dalle
imprese concorrenti.
Nei casi in cui sia consentito la procedura
negoziata diretta senza pubblicazione di un
bando, l'impresa operante nel medesimo
settore è dunque titolare di un interesse
giuridicamente rilevante alla impugnativa, e
non solo di un interesse di mero fatto.
Tale interpretazione è ricondotta dalla
stessa sentenza in esame all'orientamento
giurisprudenziale secondo cui le imprese
operanti in un determinato settore sono
legittimate ad impugnare le determinazioni
che riguardino le modalità di conferimento
del servizio anche al solo fine di ottenere
l’annullamento della gara e dell’eventuale
aggiudicazione, ed il rinnovo della
procedura cui aspirano a partecipare
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 19.04.2011 n. 2404 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente, per mancata apposizione
dell'autentica notarile alla polizza
fideiussoria e per successiva
regolarizzazione della stessa.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
per aver presentato la polizza fideiussoria
priva di autentica notarile della firma
dell'agente della società rilasciante
dell'agente della società stessa, e che
abbia provveduto alla regolarizzazione della
stessa solo in data successiva alla scadenza
del termine utile ai fini della
presentazione dell'offerta.
Tale garanzia copre, infatti, i rischi per
la mancata sottoscrizione del contratto
dovuta a fatto dell'aggiudicatario e, sul
piano dei rapporti di diritto privato, solo
l'autenticazione della sottoscrizione della
fideiussione prestata tutela pienamente la
stazione appaltante, in quanto fornisce la
prova in ordine alla provenienza da chi l'ha
sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e
2703 c.c., impedendo il successivo
disconoscimento della stessa.
Nel caso di specie, peraltro, tale
prescrizione è richiesta dal disciplinare di
gara a pena di esclusione, il che rende
illegittima un'eventuale regolarizzazione
postuma, anche a garanzia dell'interesse
degli altri concorrenti alla correttezza
dell'intero procedimento di aggiudicazione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.04.2011 n. 2387 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Ricorso incidentale
preordinato all'esclusione del ricorrente
principale - Declaratoria di inammissibilità
e di improcedibilità del ricorso principale
- Art. 276 c.p.c. - Il collegio decide
gradatamente le questioni pregiudiziali.
Il ricorso incidentale in quanto preordinato
all'esclusione della ricorrente principale e
quindi alla declaratoria di inammissibilità
(per difetto di legittimazione, secondo
l'orientamento riaffermato da Cons. St., V,
n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa
prospettiva) di improcedibilità di quello
principale, ha efficacia paralizzante e
deve, quindi, per giurisprudenza prevalente,
essere esaminato prioritariamente (v. Cons.
St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n.
1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I,
n. 499/2008). Sulla scorta dell'orientamento
sin qui prevalente, infatti, non è possibile
prescindere, nella soluzione dei problemi
interpretativi prospettati, dalla
disposizione del codice di procedura civile
racchiusa nell'art. 276, comma 2, cui ora fa
espresso rinvio l'art. 76, comma 4, del
codice del processo amministrativo.
Tale regola -secondo cui "il collegio,
sotto la direzione del presidente, decide
gradatamente le questioni pregiudiziali
proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio
e quindi il merito della causa"-
rispondente ad una logica di "diritto
processuale comune" (cfr. altresì,
quanto al processo penale, l'art. 527
c.p.p.), determina quindi l'esame
prioritario del ricorso incidentale ad
efficacia cosiddetta paralizzante in quanto
volta a negare, ove il ricorso venga
accolto, la sussistenza delle condizioni
dell'azione concernenti la legittimazione ad
agire (o l'interesse al ricorso) della
ricorrente principale (v. Cons. St., VI, n.
810/2010; vedi anche Tar Lombardia, Milano,
sez. I, 13.04.2011, n. 959) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 19.04.2011 n. 999 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della
regolarizzazione di una dichiarazione
presentata da un concorrente in sede di gara
corredata da un documento di identità
scaduto.
E'
legittima la regolarizzazione disposta da
una stazione appaltante di una dichiarazione
presentata da un concorrente in sede di gara
corredata da un documento di identità
scaduto.
Compito dell'interprete nel tracciare il
confine tra incompletezza ed irregolarità
documentale presuppone il contemperamento di
due opposte esigenze: da un lato, osservare
la par condicio competitorum ed
evitare indebite rimessioni in termini per
la produzione di documentazione richiesta
ab initio dalla lex specialis di
gara e, dall'altro, quella della massima
partecipazione. Secondo consolidata
giurisprudenza, la produzione della copia
fotostatica del documento di identità, a
corredo delle predette dichiarazioni, ha la
funzione di fornire un collegamento tra
l'autore delle stesse ed il titolare del
documento.
Nel caso di specie, non si verte
nell'ipotesi dell'art. 45 del D.P.R. n.
445/2000 in cui, per comprovare i dati
personali, occorre produrre un documento di
identità valido, pena la necessità di una
dichiarazione aggiuntiva dell'interessato
circa la persistenza dei dati risultanti dal
documento di identità scaduto. Di
conseguenza, vi si applicano le regole
generali in materia di dichiarazioni
sostitutive, secondo cui, qualora le
dichiarazioni presentino irregolarità od
omissioni rilevabili d'ufficio, non
costituenti falsità, l'interessato è tenuto
alla regolarizzazione o al completamento
della dichiarazione.
D'altra parte, l'art. 77-bis del citato
D.P.R. estende, alla materia degli appalti
pubblici, la disciplina dettata in tema di
dichiarazioni sostitutive (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 18.04.2011 n. 2366 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Avvalimento della
certificazione ISO.
L’ampia operatività
dell’istituto dell’avvalimento, più volte
ribadita dalla giurisprudenza comunitaria,
deve essere estesa, oltre che ai requisiti
di ordine finanziario ed economico, anche a
quelli che attestano elementi qualitativi,
quali, ad esempio, la certificazione ISO.
Queste le conclusioni contenute nella
sentenza 18.04.2011 n. 2344 resa
dal Consiglio di Stato, Sez. III.
Il ragionamento giuridico seguito dai
giudici amministrativi prende spunto
dall’esigenza di considerare l’avvalimento
nell’ottica dell’ordinamento comunitario,
poi trasfuso nelle disposizioni di cui
all’art. 49 del D.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Così strutturato, l’istituto in esame assume
una funzione incentivante della concorrenza,
agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi
soggetti e, pertanto, deve essere evitata
ogni lettura aprioristicamente restrittiva
dell’ambito di operatività della disciplina
richiamata.
Sulla base di queste considerazioni
generali, l’istituto dell'avvalimento può
essere utilizzato per dimostrare la
disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”,
considerato che la disciplina del codice non
contiene alcuno specifico divieto in ordine
ai requisiti soggettivi che possono essere
comprovati mediante tale strumento.
Viene tuttavia precisato che il requisito
considerato non può essere oggetto di un “prestito”
astratto.
Infatti è onere del concorrente dimostrare,
in sede di presentazione dell’offerta, che
l’impresa ausiliaria non si impegna
semplicemente a “prestare” il
requisito soggettivo richiesto, “ma
assume l’obbligazione di mettere a
disposizione dell’impresa ausiliata, in
relazione all’esecuzione dell’appalto, le
proprie risorse e il proprio apparato
organizzativo, in tutte le parti che
giustificano l’attribuzione del requisito di
qualità (a seconda dei casi: mezzi,
personale, prassi e tutti gli altri elementi
aziendali qualificanti)”.
Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo
dato assume particolare importanza
processuale, poiché la dimostrazione del
presupposto sostanziale (impegno globale
dell’ausiliaria) prescinde da una specifica
eccezione della controparte (commento tratto
da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ricorso avverso clausole
del bando escludenti - Anche in mancanza di
domanda di partecipazione del ricorrente -
Ammissibilità del ricorso.
L'indirizzo giurisprudenziale favorevole a
ritenere ammissibile il ricorso avverso
clausole immediatamente escludenti anche in
assenza della presentazione di una domanda
di partecipazione alla gara, peraltro
tuttora contraddetto da un più formale
orientamento, appare destinato a
consolidarsi alla luce delle recenti
innovazioni in materia di tutela
giurisdizionale negli appalti a seguito
della recezione nell'ordinamento nazionale
della direttiva comunitaria 2007/66/CE
dell'11.12.2007 avvenuta con D.Lgs. n.
53/2010, dai cui iniziali "considerando"
traspare la finalità di anticipare la tutela
ad una fase della procedura di affidamento
in cui non se ne sono ancora consolidati gli
effetti (obblighi di comunicazione,
informativa di proporre il ricorso, termine
di stand-still) e dunque anche
all'impugnazione del bando (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 18.04.2011 n. 993 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 18.04.2011 n. 89 "Rilevazione dei
prezzi medi per l’anno 2009 e delle
variazioni percentuali annuali, superiori al
dieci per cento, relative all’anno 2010, ai
fini della determinazione delle
compensazioni dei singoli prezzi dei
materiali da costruzione più significativi"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto 31.03.2011).
---------------
Codice Appalti: per l'anno 2009-2010 il
prezzo dei materiali da costruzione non
subisce variazioni.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto del
Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti del 31.03.2011 contenente la
rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009
e delle variazioni percentuali relative
all'anno 2010 dei prezzi dei materiali da
costruzione più significativi, in attuazione
a quanto previsto dal Codice degli Appalti
(D.Lgs. 163/2006).
Si rileva che il prezzo dei materiali da
costruzione più significativi nell'anno
2010, rispetto all'anno 2009, non ha subito
variazioni percentuali superiori al 10%.
Ricordiamo che l'art. 133 del Decreto
163/2006 prevede che entro il 30 giugno di
ogni anno il Ministero rilevi con proprio
Decreto le variazioni percentuali dei
singoli prezzi dei materiali da costruzione
più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da
costruzione, a causa di circostanze
eccezionali, subisca variazioni superiori al
10 % rispetto al prezzo rilevato dal
Ministero nell'anno di presentazione
dell'offerta, si applicano compensazioni per
la percentuale eccedente il 10 % e nel
limite delle risorse previste tra imprevisti
e le somme relative al ribasso d'asta.
Al fine di determinare le compensazioni
relative ai materiali da costruzione
impiegati nelle lavorazioni contabilizzate
nell'anno 2010, si fa riferimento agli
Allegati e alle Tabelle sotto riportate in
funzione dell'anno di presentazione
dell'offerta ... (link a www.acca.it). |
APPALTI:
A. P. Mazzucato e G. Penzo Doria,
L’attestazione di intervenuta efficacia
dell’aggiudicazione definitiva negli appalti
pubblici (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI:
In arrivo la SUA: Stazione Appaltante Unica.
La bozza di Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, in attuazione
dell'art. 13 della Legge 136/2010 (Legge
Antimafia), prevede l’istituzione di un’
unica stazione appaltante a livello
regionale, Stazione Appaltante Unica (SUA),
che avrà il compito di seguire tutto l’iter
procedurale di affidamento di lavori,
forniture e servizi, collaborando con l’ente
proponente ad individuare i contenuti del
contratto e curando gli eventuali
contenziosi insorti.
Il Decreto è costituito da 6 articoli che
contengono quanto dettato dalla Legge n.
136/2010 e precisamente:
- finalità e modalità di promozione della
Stazione unica appaltante;
- stazione unica appaltante e soggetti
aderenti;
- attività e servizi della SUA;
- elementi essenziali delle convenzioni;
- forme e monitoraggio e di controllo degli
appalti;
- collaborazione e coordinamento tra
amministrazioni.
Manca solo l'intesa in Conferenza unificata,
la firma del Capo dello Stato e la
successiva pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale (link a www.acca.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante
che, in sede di verifica a campione, accerta
il mancato pagamento da parte di un
concorrente di una cartella esattoriale,
anche se di modesta entità, legittimamente
segnala il fatto all'Autorità.
Indipendentemente dal giudizio di gravità
della violazione in materia di contributi
(giudizio, peraltro, rimesso alla
valutazione dell’amministrazione e non
all'apprezzamento dell'impresa partecipante
alla gara) – la società aveva l’obbligo di
rendere la dichiarazione su tutte le
violazioni “definitivamente accertate”,
giacché la dichiarazione in quanto tale è
richiesta per un’ordinaria verifica
sull'affidabilità dei soggetti partecipanti,
tanto che non si comprenderebbe il
meccanismo di verifica a campione, se
quest'ultimo non fosse connesso
all’obbligatorietà di una dichiarazione, che
costituisce il sistema di riferimento per
valutare la lealtà dei richiedenti (tra le
tante: Cons. Stato, Sez. V, 12.05.2009, n.
3742) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 15.04.2011 n. 939 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non rileva che il
concorrente abbia omesso di di specificare
di non aver subito condanne per specifiche
tipologie di reato, in presenza di una
dichiarazione ad ampio spettro che esclude
l'esistenza di alcuna condanna penale.
Seppur sia mancata nella dichiarazione
presentata per partecipare alla procedura di
gara una espressa indicazione dell’assenza
di condanne per i singoli reati individuati
dalla legge (nell’ultima parte dell’art. 38,
lett. c) – vi è stata comunque una
dichiarazione ad ampio spettro che esclude
l’esistenza di alcuna condanna penale che
preclude la partecipazione alle gare
d’appalto; categoria nella quale, per
logica, devono essere senz’altro ricomprese
anche le condanne per gli “specifici”
reati considerati dalla legge come
assolutamente ostativi, ancorché non
analiticamente elencati.
La predetta conclusione nasce dal fatto che
lettura delle dichiarazioni prodotte ai fini
della partecipazione ad una gara di appalto
non deve essere animata dallo spirito di
rilevare il mero errore formale, o la
omissione innocua. Al contrario, deve essere
guidata da un serio intento di verifica
della posizione effettiva del concorrente,
governato dalle regole della logica, ed
indirizzato a vagliare la sussistenza
obbiettiva delle condizioni richieste dalla
legge e dal bando per partecipare a quella
selezione; a nulla rilevando l’eventuale
circostanza che il possesso dei requisiti
sia dichiarato attraverso una strutturazione
della domanda, o con espressioni lessicali,
diverse da quelle adoperate nel bando. Basti
riflettere, in proposito, sul fatto che
l’istanza di partecipazione alla gara è
destinata ad essere letta e vagliata
criticamente da funzionari pubblici, dotati
di competenza tecnico/giuridica, e non
inserita in un lettore ottico automatizzato
del tipo utilizzato nella correzione dei
quiz a risposta multipla che richiede
l’esatta compilazione di un “modulo”.
D’altra parte, sotto altro profilo, si
rileva che la dichiarazione parziale, o
incompleta, resa dalla concorrente non
avrebbe potuto condurre ex se
all’esclusione pretesa dalla ricorrente, ma
a limite avrebbe dovuto indurre la stazione
appaltante ad istruire ulteriormente la
domanda, chiedendo i chiarimenti e/o le
integrazioni previste dall’art. 46 del
D.Lgs. 163/2006, specie in presenza di
diffusi modelli di domanda che -per quanto
si è detto sopra al punto c– risultano
idonei a fuorviare o indurre in errore i
concorrenti.
Ed è evidente che l’esito
dell’approfondimento istruttorio ex art. 46
non avrebbe potuto rivelarsi sfavorevole
alla controinteressata, dato che si è
accertato ex post che nessuna
condanna penale (di nessun genere) risulta
esserle stata inflitta, come testimonia il
certificato del casellario giudiziale
prodotto (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.04.2011 n. 920 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La condanna del Comune per responsabilità
precontrattuale va riversata sul funzionario inerte.
Risponde del danno indiretto subito dall'ente di
appartenenze il funzionario che, dopo avere autorizzato una
ditta allo svolgimento di lavori di arredo urbano, ne
dispone la sospensione e rimane inerte dinanzi alle
legittime sollecitazioni di quest'ultima (massima tratta da
www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza
14.04.2011 n. 673 -
link a
www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Valutazione di impatto sulla sicurezza
stradale, controlli e gestione della
sicurezza.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs.
n. 35 del 15.03.2011 “Attuazione della
direttiva 2008/96/CE sulla gestione della
sicurezza delle infrastrutture”, che
recepisce la Direttiva 2008/96/CE sulla
gestione della sicurezza delle
infrastrutture stradali, in attuazione della
L. 96/2010 (Comunitaria 2009).
Il Decreto prevede l'attuazione di procedure
volte alla valutazione di impatto sulla
sicurezza stradale per i progetti di
infrastrutture, ai controlli della sicurezza
stradale, alla gestione della sicurezza
della rete stradale ed alle ispezioni di
sicurezza.
Il provvedimento è obbligatorio per tutte le
strade appartenenti alla rete stradale
transeuropea, siano esse in fase di
pianificazione, di progettazione, in
costruzione o già aperte al traffico. Per
tutte le altre strade i contenuti del
Decreto costituiscono un utile orientamento.
Dal primo gennaio 2016 tali norme si
applicheranno a tutte le strade appartenenti
alla rete di interesse nazionale,
individuata dal D. Lgs. 461/1999.
Valutazione di impatto
sulla sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture va
effettuata preliminarmente la Valutazione di
Impatto sulla Sicurezza Stradale (VISS), i
cui contenuti saranno stabiliti con Decreto
Ministeriale entro il 19/12/2011.
Controlli e controllori
della sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture vanno
effettuati controlli della sicurezza
stradale, entro 12 mesi dalla messa in
esercizio, da parte di controllori, che
dovranno avere determinati requisiti (art.
9) e saranno inseriti in appositi elenchi
presso il Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti.
Fino all'entrata in operatività dell'elenco
dei controllori, le attività di controllo
della sicurezza stradale, di verifica della
classificazione dei tratti stradali e le
ispezioni di sicurezza sono svolte da
soggetti che abbiano i seguenti requisiti:
- iscritti da almeno 10 anni all'Albo
dell'Ordine degli Ingegneri, nel settore
dell'ingegneria civile e ambientale;
- esperienza di progettazione stradale,
analisi di incidentalità, ingegneria del
traffico o altre attività inerenti alla
sicurezza stradale;
- esperienza documentata dall'avvenuto
espletamento delle predette attività
relative ad almeno 5 progetti.
Classificazione e gestione
della sicurezza.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti effettuerà la classificazione dei
tratti ad elevata concentrazione di
incidenti e la classificazione della
sicurezza della rete stradale esistente
entro il 23/04/2014 e, successivamente, con
cadenza triennale (link a www.acca.it). |
APPALTI: Plico
pervenuto aperto alla Commissione di gara -
Esclusione del partecipante - Legittimità -
Principi di par condicio e segretezza -
Invocabilità dell’art. 73, c. 1, d.lgs. n.
163/2006 - Esclusione - Ragioni.
La mera circostanza che il plico sia
pervenuto aperto alla Commissione di gara
implica l'esclusione della partecipante,
indipendentemente dal soggetto cui sia
addebitabile l'erronea apertura, stante
l'esigenza di assicurare la garanzia dei
principi di par condicio e di
segretezza delle offerte (cfr. TAR Veneto,
I, 19.07.2005, n. 2867, TAR Palermo-Sicilia,
II, 13.03.2007, n. 810).
Non vale in contrario richiamare l’art. 73,
c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che prevede
opzioni alternative per la presentazione
delle domande di partecipazione alla gara
(telefono, via telematica) incompatibili con
un principio di segretezza. Affinché sia
praticabile detta soluzione alternativa
occorre infatti che il bando ne consenta la
modalità, ferma restando, tuttavia, la
necessità di garantire, anche in questi
casi, l’integrità delle buste fatte
pervenire alla stazione appaltante (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 13.04.2011 n. 3224 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Appalti e offerte,
valutazione qualità/prezzo graduabile.
Deve ritenersi ammessa sia la possibilità di
attribuire una diversa percentuale nella
ripartizione del punteggio per l’offerta
economica e per quella tecnica
(privilegiando il profilo
tecnico-qualitativo rispetto a quello
economico) sia -come nel caso in esame-
stabilendo all’interno di quest’ultima la
graduazione del punteggio tra più elementi,
ciascuno dei quali meritevole di autonoma
considerazione.
L'articolo 83, comma 2, del d.lgs.
12.04.2006 n. 163 prevede che il bando di
gara ovvero, in caso di dialogo competitivo,
il bando o il documento descrittivo,
elencano i criteri di valutazione e
precisano la ponderazione relativa
attribuita a ciascuno di essi, anche
mediante una soglia, espressa con un valore
numerico determinato, in cui lo scarto tra
il punteggio della soglia e quello massimo
relativo all’elemento cui si riferisce la
soglia deve essere appropriato.
La norma ha recepito nel nostro ordinamento
l’articolo 53 della Direttiva CE 2004/18 e
l’articolo 55 della Direttiva CE 2004/17 ed
è finalizzata a assicurare l’individuazione
dell’offerta che presenta il migliore
rapporto qualità/prezzo, nonché la
trasparenza dell’attività amministrativa e
la parità di trattamento dei concorrenti,
per cui l’offerta economicamente più
vantaggiosa discende dalla valutazione
comparativa di più fattori previamente e
discrezionalmente individuati dalla stazione
appaltante e resi noti nel bando di gara,
che per l’appunto elenca i criteri (o
elementi) di valutazione e precisa la
ponderazione relativa attribuita a ciascuno
di essi.
Il quarto comma dell’articolo 83 soggiunge
infatti che il bando per ciascun criterio di
valutazione prescelto prevede ove
necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i
sub-punteggi e la stazione appaltante,
tramite la propria organizzazione ovvero uno
o più esperti, redige i criteri, i pesi, i
punteggi e le relative specificazioni da
indicare nel bando di gara.
Sul punto la sentenza appellata, nel
rigettare le censure, ha avuto modo di
esprimersi esplicitamente nel senso che il
collegio ritiene che, nelle gare bandite con
il sistema dell’offerta più vantaggiosa, è
integra la facoltà della stazione appaltante
di adottare la scelta più idonea a
selezionare il miglior offerente, la quale è
sottratta al sindacato giurisdizionale, se
non allorquando si presenti manifestamente
illogica o arbitraria.
In particolare, deve ritenersi ammessa sia
la possibilità di attribuire una diversa
percentuale nella ripartizione del punteggio
per l’offerta economica e per quella tecnica
(privilegiando il profilo
tecnico-qualitativo rispetto a quello
economico sia -come nel caso in esame-
stabilendo all’interno di quest’ultima la
graduazione del punteggio tra più elementi,
ciascuno dei quali meritevole di autonoma
considerazione.
Tale scelta deve corrispondere alle
specificità dell’appalto.
Nella fattispecie in questione, la già
ravvisata complessità delle prestazioni
tecniche rende necessario valutare tutte le
soluzioni proposte, sicché giustifica la
scelta di scindere le componenti
significative dell’offerta tecnica e
sottoporre ognuna di esse a separata
valutazione.
Orbene, è indubbio che le procedure quali
quella all’esame siano volte
all’acquisizione dell’offerta economicamente
più vantaggiosa nell’ambito della più ampia
partecipazione di concorrenti, ed è altresì
incontestabile che i requisiti di
partecipazione a tali procedure debbano
essere definiti nel modo più oggettivo e
chiaro possibile dal punto tecnico, sì da
prestarsi non a interpretazioni e
valutazioni meramente discrezionali,
pregiudizievoli per la stessa
partecipazione, bensì a verifiche e
accertamenti basati su parametri ben
individuati, di carattere matematico e
indiscutibile.
Ciò vale anche e soprattutto quando la
stazione appaltante intendesse porre
sbarramenti “minimi” prevedendo per
di più l’esclusione della concorrente ove al
di sotto di quei minimi (commento tratto da
link a www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 13.04.2011 n. 2295 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima la
previsione di un bando di gara, che disponga
l'automatica esclusione di un concorrente,
collegata ad ulteriori sub soglie di
sbarramento, in luogo di una complessiva
valutazione che tenga conto delle criticità
rilevate.
Ai sensi dell'art. 83, c. 2, del d.lgs. n.
163/2006, il bando di gara elenca i criteri
di valutazione e precisa la ponderazione
relativa attribuita a ciascuno di essi,
anche mediante una soglia, espressa con un
valore numerico determinato, in cui lo
scarto tra il punteggio della soglia e
quello massimo relativo all'elemento cui si
essa fa riferimento, deve essere
appropriato.
La norma, che ha recepito l'art. 53 Dir. CE
2004/18 e l'art. 55 Dir. CE 2004/17, è
finalizzata ad assicurare l'individuazione
dell'offerta che presenti il migliore
rapporto qualità/prezzo, nonché la
trasparenza dell'attività amministrativa e
la parità di trattamento dei concorrenti;
pertanto, l'offerta economicamente più
vantaggiosa discende dalla valutazione di
più fattori, previamente e discrezionalmente
individuati dalla stazione appaltante, e
resi noti nel bando di gara.
L'art. 83, c. 4, aggiunge che "il bando
per ciascun criterio di valutazione
prescelto prevede i sub-criteri e i sub-pesi
o i sub-punteggi, e la stazione appaltante
redige i criteri, i pesi, i punteggi e le
relative specificazioni da indicare.
Procedure quali quella in esame sono volte
all'acquisizione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, ed i requisiti devono
essere definiti in modo chiaro dal punto di
vista tecnico, sì da prestarsi a verifiche
basate su parametri ben individuati. Ciò
vale soprattutto allorquando la stazione
appaltante intenda porre sbarramenti "minimi",
prevedendo altresì l'eventuale esclusione
del concorrente che si trovi al di sotto di
questi.
Il caso di specie attiene ad un sistema di
valutazione che prevede ulteriori sub-soglie
di sbarramento attinenti ai singoli
sub-elementi fissati nel disciplinare di
gara, anche a pena di esclusione. Non può
negarsi all'ente appaltante il potere di
fissare distintamente, per dette categorie o
sub categorie, un punteggio minimo, non
raggiungendo il quale il concorrente viene
escluso dalla gara.
Tuttavia, nella fattispecie, la sanzione
espulsiva dovuto al mancato conseguimento di
un punteggio minimo anche in una sola delle
sub categorie, risulta particolarmente
discriminatoria, in quanto correlata ad una
valutazione basata su giudizi discrezionali,
e non, invece, su parametri certi ed
immediatamente quantificabili (Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 13.04.2011 n. 2295 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
1. Ricorso incidentale
preordinato all'esclusione del ricorrente
principale - Ordine di esame del ricorso
principale e di quello incidentale -
Necessità di tenere in considerazione
l'interesse strumentale delle parti alla
ripetizione della gara.
2. Dichiarazione ex art. 47 DPR 445/2000 dei
soggetti cessati dalla carica - Ammissibiltà
della dichiarazione sostitutiva del legale
rappresentante.
3. Indicazione di sub-criteri da parte della
commissione giudicatrice prima dell'apertura
delle buste - Orientamento superato -
Necessità di indicazione dei sub criteri nel
bando.
1.
Il ricorso incidentale in quanto preordinato
all'esclusione dell'Ati ricorrente
principale e quindi alla declaratoria di
inammissibilità (per difetto di
legittimazione, secondo l'orientamento
riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007)
ovvero (secondo una diversa prospettiva) di
improcedibilità di quello principale, ha
efficacia paralizzante e deve quindi, per
giurisprudenza prevalente, essere esaminato
prioritariamente (v. Cons. St., V, n.
2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e
1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n.
499/2008).
Il Collegio non ignora peraltro come, in
termini generali, la tematica del rapporto
tra il ricorso incidentale e quello
principale -e dell'ordine da seguire nella
loro trattazione- registri orientamenti
differenti e sia di recente oggetto di un
ripensamento ad opera di parte della
giurisprudenza del Consiglio di Stato: ne
sono un esempio Cons. St., V, n. 5811/2007 e
A.P. n. 2155/2010, favorevoli ad adottare,
invece, il criterio logico-cronologico;
Cons. St., V, n. 2669/2008, che ha rimesso
all'Adunanza Plenaria la questione se il
ricorso principale debba essere esaminato
dopo quello incidentale paralizzante anche
nell'ipotesi in cui le imprese ammesse alla
gara siano solamente due, ed, infine, Ad.
plenaria n. 11/2008, che ha risolto tale
questione affermando, in presenza di soli
due partecipanti alla gara, che il giudice "qualunque
sia il primo ricorso che esamini e ritenga
fondato (principale o incidentale), deve
tenere conto dell'interesse strumentale di
ciascuna impresa alla ripetizione della gara
e deve esaminare anche l'altro, quando la
fondatezza di entrambi comporta
l'annullamento di tutti gli atti di
ammissione alla gara e, per l'illegittimità
derivata, anche dell'aggiudicazione, col
conseguente obbligo dell'amministrazione di
indirne una ulteriore".
2.
Sulla possibilità che il dichiarante (il
legale rappresentante) renda dichiarazioni
sostitutive relative anche ad altri soggetti
(quelli cessati dalla carica), a norma
dell'art. 47, comma 2, del d.p.r. 445/2000,
è sufficiente sul punto richiamare il
precedente del tutto conforme di questa
Sezione (TAR Lombardia, sez. I, n.
5200/2009, in precedenza v. TAR Sicilia,
Catania, sez. I, n. 1772/2008; v. altresì,
di recente, AVCP, Determinazione n. 1 del
12.01.2010), nel senso dell'ammissibilità,
in linea generale, di tale modalità di
adempimento all'onere di rendere le
dichiarazioni sostitutive.
Quanto alla formula da utilizzare per
rendere la dichiarazione relativamente a
soggetti terzi, deve osservarsi che l'art.
47 citato non tipizza l'uso di alcuna
formula particolare e che, nel caso in
esame, la formula impiegata è stata
sufficientemente puntuale, anche tenuto
conto dell'espresso richiamo alle
conseguenze penali di eventuali falsità.
3.
Seppure in passato sia stata ritenuta la
possibilità di interventi integrativi ad
opera delle commissioni giudicatrici sui
criteri di valutazione indicati dal bando di
gara, attraverso la previsione di sotto voci
o sub-criteri, purché ciò fosse avvenuto
prima dell'apertura delle buste contenenti
le offerte (cfr., ad esempio, Cons. St.,
sez. V, n. 1791/2005), tale orientamento
deve intendersi superato alla luce del
chiaro disposto dell'art. 83, comma 4, del
D.lgs. 163/2006 che, nel quadro di una
progressiva limitazione della
discrezionalità della commissione nella
specificazione dei criteri, impone ora che "il
bando per ciascun criterio di valutazione
prescelto preveda, ove necessario, i
sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi"
(v., per un'ampia e persuasiva disamina
della questione, TAR Lazio, sez. II, n.
8328/2008).
Di questo indirizzo, volto a restringere il
potere discrezionale della Commissione,
costituisce un successivo sviluppo la
successiva abrogazione (per effetto del
D.lgs. 152/2008) del terzo periodo dell'art.
83, comma 4, che affidava alla commissione
la definizione dei criteri motivazionali (v.
TAR Abruzzo, sez. I, n. 532/2010); con la
precisazione ulteriore che, anche in
precedenza, gli stessi criteri comunque non
potevano essere più formulati una volta che
fossero state aperte le buste contenenti le
offerte dei concorrenti, come è avvenuto nel
caso di specie [...].
Si deve ancora sottolineare come l'obbligo
di predeterminare a monte, nella legge di
gara, i criteri e le modalità applicati per
individuare l'offerta economicamente più
vantaggiosa sia preordinato al rispetto del
principio della parità di trattamento e
valga ad assicurare la trasparenza
necessaria al fine di consentire a qualsiasi
offerente di essere preventivamente
informato e, quindi, di determinarsi di
conseguenza, calibrando la propria offerta
in ragione dei punteggi massimi previsti
(cfr. 46° considerando alla direttiva
18/2004/CE; TAR Lombardia, Milano, sez. I,
n. 183/2009, nonché ancora di recente Cons.
St., sez. V. n. 5844/2010) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 13.04.2011 n. 959 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è necessaria la
previa presentazione della domanda di
partecipazione ai fini dell'impugnazione del
bando stesso, in presenza di c.d. clausole
escludenti.
In caso di
presenza di c.d. clausole escludenti, che
cioè impediscono la formazione dell'offerta,
non è necessaria la previa presentazione
della domanda di partecipazione ai fini
dell'impugnazione del bando stesso. In
particolare, la giurisprudenza comunitaria
ha affermato la necessità di impugnare gli
atti della procedura di gara qualora si
assuma un'incidenza discriminatoria nei
confronti delle proprie domande.
È stato poi ritenuto che quando la
partecipazione alla procedura è preclusa
dallo stesso bando, sussiste l'interesse a
gravare la relativa determinazione a
prescindere dalla mancata presentazione
della domanda, posto che la presentazione
della stessa si risolve in un adempimento
formale inevitabilmente seguito da un atto
di esclusione, con un risultato analogo a
quello di un'originaria preclusione e perciò
privo di una effettiva utilità pratica.
Diversamente avviene per l'impugnativa
riguardante l'aggiudicazione da parte di un
soggetto che non ha partecipato alla gara di
cui si chiede l'annullamento. Infatti, la
domanda giudiziale volta alla caducazione
degli atti di una procedura concorsuale di
cui si contesti la legittimità presuppone
che l'attore qualifichi e differenzi il
proprio interesse in termini di attualità e
concretezza, ex art. 100 c.p.c, mediante la
proposizione della domanda di partecipazione
alla gara e la formulazione della propria
offerta (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 13.04.2011 n. 684 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
sentenza emessa all'esito della procedura di
cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è,
ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis,
equiparata "salvo diverse disposizioni di
legge a una pronuncia di condanna",
costituisce titolo idoneo per la revoca, a
norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p.,
della sospensione condizionale della pena
precedentemente concessa.
Per quanto riguarda l’equiparazione a
sentenza di condanna della pronuncia ex art.
444 c.p.p., si ricorda che recentemente il
Consiglio di Stato ha precisato quanto
segue: “Si consideri, peraltro, che…la
così detta sentenza di patteggiamento
prevista dall'art. 444, comma 2, del c.p.p.,
anche se non ha efficacia nei giudizi civili
o amministrativi, "è equiparata a una
pronuncia di condanna" salve diverse
disposizioni di legge, come disposto
dall'art. 445, comma 1, del c.p.p. nel testo
in vigore all'epoca della sentenza penale e
del provvedimento impugnato in primo grado
(sez. IV, 30.05.2007, n. 2744; 06.05.2003,
n. 2366 e 02.04.1998, n. 428; sez. I,
27.05.1992, n. 1647)".
E' vero che, per diverso indirizzo
(condiviso da Cons. Stato, sez. VI,
02.05.2006, n. 2437 e 07.10.2005, n. 5811),
"la non equivalenza della sentenza di
patteggiamento alla sentenza di condanna
deriva in effetti dalla funzione stessa
dell'istituto dell'applicazione della pena
su richiesta delle parti, che non è quella
di accertare, con gli effetti propri del
giudicato, l'esistenza del reato, bensì
quella di risolvere in tempi brevi il
procedimento con l'irrogazione della
sanzione derivante dall'accordo fra le parti
in giudizio, approvato dall'autorità
giudicante".
Senonché, l'art. 445, co. 1-bis, c.p.p.,
dispone espressamente che "Salvo quanto
previsto dall'articolo 653, la sentenza
prevista dall'articolo 444, comma 2, anche
quando è pronunciata dopo la chiusura del
dibattimento, non ha efficacia nei giudizi
civili o amministrativi. Salve diverse
disposizioni di legge, la sentenza è
equiparata a una pronuncia di condanna".
E' quanto, del resto, spiega la ragione per
la quale le Sezioni unite della Corte di
cassazione, ribaltando il precedente
orientamento, e valorizzando per l'appunto
le profonde modifiche subite nel corso del
tempo dall'istituto del patteggiamento,
hanno sostenuto che "la sentenza emessa
all'esito della procedura di cui agli artt.
444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi
dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata
"salvo diverse disposizioni di legge a una
pronuncia di condanna", costituisce titolo
idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168,
1° comma, n. 1, c.p., della sospensione
condizionale della pena precedentemente
concessa" (29.11.2005, n. 17781/2006).
Invero -hanno puntualizzato le Sezioni
unite- pur non potendosi affermare che i
mutamenti di disciplina che hanno
interessato l'istituto del patteggiamento,
abbiano condotto ad un processo di vera e
propria identificazione tra sentenza
pronunciata all'esito del dibattimento e
sentenza c.d. patteggiata, gli stessi stanno
comunque "univocamente a significare che
il regime della equiparazione,..., non
consente di rifuggire dall'applicazione di
tutte le conseguenze penali della sentenza
di condanna che non siano categoricamente
escluse".
Come di recente osservato dalla Corte
costituzionale, spetta dunque al
legislatore, in questa prospettiva,
prescegliere, nei confini che
contraddistinguono il normale esercizio
della discrezionalità legislativa, quali
siano gli effetti che -in deroga al
principio "di sistema" che parifica
le due sentenze- diversificano, fra loro, la
sentenza di condanna pronunciata all'esito
del patteggiamento rispetto alla condanna
pronunciata all'esito del giudizio ordinario
(18.12.2009, n. 336).
Invero, mutata la configurazione originaria
del patteggiamento come rito circoscritto
alle vicende di criminalità "minore",
ed assunta una dimensione più "matura",
anche per ciò che attiene allo spazio
delibativo riservato al giudice e,
conseguentemente, alla relativa "base
fattuale" -basti pensare ai nuovi e più
ampi poteri in tema di confisca ed a quelli
previsti in tema di cosiddetto "patteggiamento
allargato"- ben si potevano prefigurare
corrispondenti ampliamenti anche sul
versante degli effetti "esterni" del
giudicato scaturente dal rito speciale”
(Cons. Stato, Sez. VI, 27.08.2010, n. 5981).
Alla luce di tali considerazioni che il
Collegio condivide in pieno, quindi, non
appare condivisibile la tesi del ricorrente
che esclude l’equiparazione a condanna,
sotto i profili di cui al provvedimento
impugnato, della pronuncia ai sensi
dell’art. 444 c.p.p. (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 13.04.2011 n. 681 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Provvedimento
di localizzazione di parcheggio pubblico -
Impugnazione - Carenza di interesse attuale
- Ragioni.
La mera localizzazione di un parcheggio
pubblico -che non è né una discarica, né
un’area industriale/artigianale, né un
condominio con parecchi appartamenti, opere
che determinano inevitabilmente un
peggioramento delle condizioni di vita della
zona- non incide di per sé sulla maggiore o
minore vivibilità dell’area in cui esso è
localizzato, essendo conseguenza la stessa
delle concrete modalità con cui verrà
inglobata nella zona la costruzione.
Ne consegue che deve essere dichiarato
inammissibile il ricorso avverso tale
provvedimento per carenza di interesse
attuale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n. 551 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente, per irregolarità contributiva
sanata solo successivamente al provvedimento
di aggiudicazione.
L'assenza del requisito della regolarità
contributiva, costituendo condizione di
partecipazione alla gara, se non posseduto
alla data di scadenza del termine di
presentazione dell'offerta, non può che
comportare la esclusione del concorrente non
adempiente, non potendo valere la
regolarizzazione postuma.
La mancanza del requisito della regolarità
contributiva alla data di scadenza del
termine previsto dal bando per la
presentazione delle offerte, in definitiva,
non é sanato dall'eventuale adempimento
tardivo dell'obbligazione contributiva,
atteso che tale tardivo adempimento può
rilevare nelle reciproche relazioni di
credito e di debito fra i soggetti del
rapporto obbligatorio e non anche nei
confronti dell'Amministrazione
aggiudicatrice che debba accertare la
sussistenza del requisito della regolarità
contributiva ai fini dell'ammissione alla
gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di esclusione da una gara
d'appalto, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che versi in stato di irregolarità in ordine
agli obblighi previdenziali prescritti dalla
legge, e che abbia provveduto a sanare tale
mancanza solo successivamente
all'aggiudicazione della procedura
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2011 n. 2283 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Revoca delle procedure
concorsuali - Comunicazione di avvio del
procedimento - Obbligo - Non sussiste.
La revoca delle procedure concorsuali non
deve essere proceduta dalla comunicazione di
avviso di avvio del procedimento, perlomeno
fino a quando non sia adottato il
provvedimento di aggiudicazione definitiva;
giacché è solo in capo all'aggiudicatario
che si radica una posizione di affidamento
meritevole di tutela (cfr. TAR Lombardia
Milano, sez. III, 05.05.2010 n. 1222)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.04.2011 n. 955 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del
rinnovo integrale di una gara d'appalto, in
seguito all'annullamento
dell'aggiudicazione, per violazione del
principio relativo alla segretezza delle
offerte.
E' legittimo l'operato di un P.A. che abbia
provveduto al rinnovo integrale di una gara
d'appalto, a seguito dell'annullamento
dell'aggiudicazione, dovuto al mancato
rispetto del principio di segretezza delle
offerte, ciò in quanto, la violazione
suddetta, comporta gravi conseguenze ai fini
del corretto svolgimento della procedura;
nel caso di specie, in sede di esercizio
della discrezionalità conseguente alla
statuizione di annullamento, la stazione
appaltante si è correttamente posta la
questione circa l'utilizzabilità di atti
viziati nei termini accertati.
Secondo consolidata giurisprudenza, in
materia di riesercizio del potere
amministrativo conseguente all'annullamento
degli atti di gara, l'amministrazione
soccombente ha l'obbligo di conformarsi alle
relative statuizioni, nell'ambito degli
ulteriori provvedimenti che rimangono salvi
ai sensi dell'art. 26 l. n. 1034/1971; in
altre parole, l'annullamento
dell'aggiudicazione è costitutivo di un
vincolo permanente e puntuale sulla
successiva attività dell'amministrazione, la
quale deve tenere conto dei principi
enunciati nella sentenza di annullamento, al
fine di orientare la sua ulteriore azione.
Appare, pertanto, pienamente conforme al
generale canone di ragionevolezza in materia
di appalti pubblici, prendere atto della
lesione dei principi di segretezza, con
conseguente esercizio della discrezionalità
nel senso della totale rinnovazione della
gara, e ciò al fine di acquisire nuove
offerte da sottoporre anche a corretti e
predeterminati criteri di valutazione (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 12.04.2011 n. 586 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 15 del
12.04.2011, "Determinazione modalità per
la predisposizione della graduatoria degli
interventi per la messa in sicurezza degli
edifici scolastici situati in zone soggette
a rischio sismico - Triennio 2011-2013"
(deliberazione
G.R. 06.04.2011 n. 1532). |
APPALTI:
Sull'applicabilità delle
disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del
D.lgs. n. 163/2006, anche alle procedure di
affidamento mediante cottimo fiduciario.
Le disposizioni di cui all'art. 11, c. 10,
del D.lgs. n. 163/2006, sono applicabili
anche alle procedure di affidamento mediante
cottimo fiduciario, in quanto l'obbligo di
comunicare l'aggiudicazione definitiva e la
c.d. clausola stand still sono
riconducibili al principio di trasparenza
che, in base all'art. 125, c. 11, del
medesimo decreto deve trovare applicazione
anche in detta procedura. La clausola
stand still, inoltre, è funzionale a
garantire la tempestività e l'efficacia
dell'esercizio del diritto di agire in
giudizio da parte dei concorrenti che si
ritengano ingiustamente pregiudicati
dall'esito della gara.
Poiché tale obiettivo è privilegiato
dall'ordinamento nazionale ed europeo
rispetto alla celerità nella conclusione del
contratto, tanto i menzionati obblighi
informativi di cui all'art. 79, quanto la
clausola stand still di cui all'art.
11, c. 10, sono applicabili anche al cottimo
fiduciario, perché finalizzati ad assicurare
l'effettività di un principio fondamentale
nel settore dei contratti pubblici, che non
attiene specificamente alle modalità di
svolgimento della gara, a cui fa riferimento
il citato c. 11 dell'art. 125 (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.04.2011 n. 3169 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Chiarimenti e
integrazioni ai sensi dell'art. 46 del
Codice dei contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 11.04.2011 n. 2230 ha
riconosciuto la legittimità dell’operato di
una stazione appaltante che, in presenza di
clausole del bando che non comminavano in
modo univoco l’esclusione, ha esercitato il
potere istruttorio previsto dall’articolo 46
del d.lgs. 163/2006.
Avverso l’aggiudicazione definitiva di una
gara per l’affidamento della
ristrutturazione e messa a norma di
ascensori, una società partecipante
all’appalto proponeva ricorso contestando,
tra l’altro, l’operato della Commissione di
gara che, secondo la ricorrente, aveva
illegittimamente richiesto alcune
integrazioni documentali alla società prima
classificata anziché procedere alla sua
esclusione.
Il TAR del Lazio rigettava la richiesta
della ricorrente e avverso tale sentenza
veniva proposto appello.
Il Consiglio di Stato adito, condividendo le
conclusioni del primo giudice, ha rigettato
le richieste dell’appellante ponendo alla
base della sua decisione il contenuto
ambiguo del bando di gara. Ed infatti il
bando di gara prevedeva, come condizione di
partecipazione, l’assenza di determinate
condizioni preclusive da dimostrare “…a
pena di esclusione dalla gara, con le
modalità, le forme ed in contenuti previsti
nel disciplinare di gara”.
Ad avviso del Collegio le disposizioni del
bando non prevedevano quale condizione di
partecipazione la presentazione di una
dichiarazione di assenza delle condizioni
preclusive, ma al contrario veniva richiesta
direttamente la sussistenza del requisito
sostanziale dell’assenza di tali condizioni.
Secondariamente i giudici osservavano come
nel disciplinare di gara non era stata data
alcuna indicazione in merito alle modalità
di presentazione dei documenti, con la
conseguenza che il rinvio posto dal bando di
gara era caduto nel vuoto.
L’ambiguità del bando e il silenzio del
disciplinare, ad avviso del Consiglio di
Stato, legittimavano la stazione appaltante
ad effettuare una richiesta di integrazione
documentale in ossequio al principio del
favor partecipationis.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Il
Tribunale ha quindi giustamente condiviso le
osservazioni dell’Avvocatura regionale per
cui, in sintesi: la lacuna del disciplinare
di gara poteva avere ingenerato incertezza
circa la prova dell’assenza delle condizioni
preclusive in questione, atteso che, secondo
quanto stabilito dal bando, tale prova
doveva proprio avvenire con le modalità, le
forme ed i contenuti previsti nel
disciplinare; in materia di esclusione dalle
gare di appalto, che sono dominate dal
principio dell’interesse pubblico alla più
ampia partecipazione dei concorrenti;
inoltre, l’insegnamento della giurisprudenza
è nel senso che le clausole del bando che
non comminino in modo univoco l’esclusione
per inosservanza di determinate prescrizioni
vanno interpretate nel senso di assicurare
la partecipazione dei concorrenti.[…] Il
caso all'esame della Sezione integrava, in
conclusione, un caso paradigmatico di
doveroso esercizio del potere di soccorso
istruttorio previsto dall’art. 46 del d.lgs.
n. 163/2006, istituto che rinviene uno dei
suoi ambiti elettivi di operatività proprio
nell’esigenza di porre rimedio ad equivocità
ed ambiguità della lex specialis in ordine
alle dichiarazioni e documenti da presentare”.
In conclusione la sentenza in oggetto
chiarisce come in presenza di una disciplina
di gara ambigua e lacunosa deve prevalere il
principio del favor partecipationis e
quindi in tale situazione è legittimo e
doveroso l’esercizio del potere istruttorio
da parte della stazione appaltante (link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Gare, affidamenti a
società pubblico-private senza divieti.
Il Consiglio di Stato ha
stabilito che l'art. 23-bis, comma 9, del
decreto legge n. 112/2008 (cd. manovra
estiva 2008), convertito con legge n.
133/2008 e successive modifiche, non si
applica alle società miste pubblico-private
costituite ai sensi del comma 2, lettera b),
del medesimo articolo.
Tale articolo prevede, al comma 2, che il
conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea
e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento e
proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica
e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a), le quali
abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualità di socio e l'attribuzione di
specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio e che al socio sia
attribuita una partecipazione non inferiore
al 40 per cento.
Il successivo comma 9 prevede che le
società, le loro controllate, controllanti e
controllate da una medesima controllante,
anche non appartenenti a Stati membri
dell'Unione europea, che, in Italia o
all'estero, gestiscono di fatto o per
disposizioni di legge, di atto
amministrativo o per contratto servizi
pubblici locali in virtù di affidamento
diretto, di una procedura non ad evidenza
pubblica, nonché i soggetti cui è affidata
la gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali degli
enti locali, qualora separata dall'attività
di erogazione dei servizi, non possono
acquisire la gestione di servizi ulteriori
ovvero in ambiti territoriali diversi, né
svolgere servizi o attività per altri enti
pubblici o privati, né direttamente, né
tramite loro controllanti o altre società
che siano da essi controllate o partecipate,
né partecipando a gare. Il divieto opera per
tutta la durata della gestione e non si
applica alle società quotate in mercati
regolamentati e al socio selezionato.
I soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad
oggetto i servizi da essi forniti.
Il caso posto
all’attenzione del CdS.
La
vicenda nasce a seguito del fatto che una
società per azione proponeva ricorso avverso
un Comune della Regione Calabria a seguito
della sentenza del TAR della Regione stessa
concernente una gara per la gestione del
servizio di raccolta di rifiuti solidi
urbani.
In particolare la società ricorrente
impugnava la determinazione del Comune del
2009 con cui era stata indetta una gara a
procedura aperta, con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
per la gestione del servizio di raccolta dei
rifiuti solidi urbani con la sola modalità
differenziata e connesse attività ed oneri
sul territorio del Comune stesso; le
successive integrazioni al disciplinare di
gara e, dunque, le determinazioni di
rettifica avevano consentito la
partecipazione alla gara della società che
era risultata essere l’affidataria del
servizio.
La ditta ricorrente deduceva , in
particolare, che la società risultata “vincitrice”
era già affidataria diretta del servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti solidi
urbani, di quello di pulizia delle aree
mercantili e di quello di spazzamento del
Comune e non avrebbe potuto partecipare, ai
sensi delle disposizioni contenute nell’art.
23-bis, d.l. n. 112/2008, e s.m.i., a
procedure di gara per l’affidamento di
servizi ulteriori né gestire il servizio di
raccolta differenziata, avendo un socio di
minoranza non selezionato per gestire il
servizio, e meno che mai quello della
raccolta differenziata, neppure inserito
nell’oggetto sociale della società
affidataria, “esclusivo”, in quanto
limitato ai servizi affidati direttamente.
La partecipazione della società affidataria
alla gara in questione avrebbe determinato
effetti distorsivi della concorrenza, per
l’evidente vantaggio sui costi, determinato
dalla posizione di affidataria dei servizi
di raccolta dei rifiuti urbani
indifferenziati.
L’analisi dei giudici
amministrativi.
Per i giudici di Palazzo Spada l'affidamento
di servizi pubblici locali a società miste
pubblico-private, va equiparato, ai fini
della tutela della concorrenza e del
mercato, all'affidamento a terzi mediante
gara (articolo 23-bis, commi 2, lettera b),
e 9, Dl 112/2008).
Il Consiglio di Stato dopo una lunga
disamina ha respinto un ricorso contro
l'affidamento del servizio di raccolta di
rifiuti solidi urbani.
Per i giudici amministrativi il divieto ex
articolo 23-bis, comma 9, del Decreto legge
n. 112/2008, convertito in legge 133/2008,
di partecipare a gare per l'affidamento di
servizi ulteriori a quelli già gestiti per
il Comune, vale solo per chi già gestisce i
servizi locali a seguito di affidamento
diretto o comunque non tramite gara.
L'affidamento a una società mista
pubblico-privata ex articolo 23-bis, comma
2, lettera a), va equiparato, secondo i
giudici di Palazzo Spada , all'affidamento
mediante pubblica gara: la società in
questione, già affidataria di servizi del
Comune, in sintesi può partecipare alla gara
per l'affidamento di ulteriori servizi
locali.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, respinge l’appello e
condanna l’appellante a rifondere al Comune
e, alla società affidataria, le spese e gli
onorari del secondo grado di giudizio
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.04.2011 n. 2222 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'art. 23-bis, c. 9, del
d.l. n. 112/2008, convertito con l. n.
133/2008 e ss.mm. non si applica alle
società miste pubblico-private costituite ai
sensi del c. 2, lett. b, del medesimo
articolo.
L'affidamento ad una società mista pubblica
e privata costituita con le modalità
indicate dal c. 2, lett. b), dell'art.
23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito con
l. n. 133/2008 e ss.mm. deve essere
equiparato, ai fini della tutela della
concorrenza e del mercato, anche alla luce
dei principi dettati dall'U.e. in materia,
all'affidamento a terzi mediante pubblica
gara.
Pertanto, il divieto di partecipazione alla
gare bandite per l'affidamento di servizi
diversi da quelli in atto, previsto dal c. 9
del citato art. 23-bis, si applica solamente
alle società che già gestiscono servizi
pubblici locali a seguito di affidamento
diretto o comunque a seguito di procedura
non ad evidenza pubblica (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 11.04.2011 n. 2222 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il tenore letterale
dell'art. 23-bis, c. 9, dl n. 112/2008 non
esclude dalla possibilità di acquisire
ulteriori servizi pubblici le società miste
costituite con socio scelto con gara tesa a
definire anche le modalità operative di
gestione del servizio.
Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9,
d.l. n. 112/2008, convertito con l. n.
133/2008 e ss.mm., non esclude dalla
possibilità di acquisire ulteriori servizi
pubblici le società miste costituite con
socio scelto con gara tesa a definire anche
le modalità operative di gestione del
servizio (fattispecie di cui all'art.
23-bis, c. 2, lett. b).
L'affidamento a società mista costituita con
le modalità indicate dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis si appalesa, infatti, ai
fini della tutela della concorrenza e del
mercato, del tutto equivalente a quello
mediante pubblica gara, pertanto risulta
irragionevole ed immotivata -anche alla luce
dei principi dettati dall'Unione europea in
materia di partenariato pubblico privato-
l'applicazione, nei confronti di società di
tale specie, del divieto di partecipazione
alle gare bandite per l'affidamento di
servizi diversi da quelli in esecuzione.
Va, dunque, preferita l'interpretazione
della disposizione secondo cui il divieto in
parola si applica solamente alle società che
già gestiscono servizi pubblici locali a
seguito di affidamento diretto o comunque a
seguito di procedura non ad evidenza
pubblica, con la precisazione che rientrano
nel concetto di evidenza pubblica ("ovvero")
anche le forme previste dal c. 2, lett. b),
dell'art. 23-bis., cit. (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 11.04.2011 n. 298 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Comune privo di
assicurazione e risarcimento in via bonaria.
Domanda.
Nel caso in cui un
Comune, privo di assicurazione, decida di
risarcire in via bonaria i danni causati da
una caduta provocata da una buca stradale,
deve provvedere agli adempimenti previsti
dall'art. 142, commi 2 e 3, del D.Lgs.
07.09.2005, n. 209?
Risposta.
L'art. 142, commi 2 e 3, D.Lgs. 07-09-2005,
n. 209 stabilisce che:
"2. Prima di provvedere alla liquidazione
del danno, l'impresa di assicurazione è
tenuta a richiedere al danneggiato una
dichiarazione attestante che lo stesso non
ha diritto ad alcuna prestazione da parte di
istituti che gestiscono assicurazioni
sociali obbligatorie. Ove il danneggiato
dichiari di avere diritto a tali
prestazioni, l'impresa di assicurazione è
tenuta a darne comunicazione al competente
ente di assicurazione sociale e potrà
procedere alla liquidazione del danno solo
previo accantonamento di una somma idonea a
coprire il credito dell'ente per le
prestazioni erogate o da erogare.
3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla
comunicazione di cui al comma 2 senza che
l'ente di assicurazione sociale abbia
dichiarato di volersi surrogare nei diritti
del danneggiato, l'impresa di assicurazione
potrà disporre la liquidazione definitiva in
favore del danneggiato. L'ente di
assicurazione sociale ha diritto di ripetere
dal danneggiato le somme corrispondenti agli
oneri sostenuti se il comportamento del
danneggiato abbia pregiudicato l'azione di
surrogazione".
Nel caso in esame, il Comune è il
danneggiante che risarcisce un danno
provocato dalla sua condotta omissiva, di
cui è responsabile, adempiendo ad
un'obbligazione da fatto illecito di cui è
il soggetto attivo, o debitore. Ne deriva
che è inapplicabile la disposizione sopra
citata che si riferisce esclusivamente
all'ipotesi in cui a pagare sia
l'assicuratore. La ratio della
disposizione, infatti, è quella di garantire
l'eventuale assicuratore sociale contro il
rischio di dover risarcire un danno già
risarcito da un altro assicuratore e di
consentire una rivalsa garantita ex lege
dell'assicurazione sociale contro
l'assicurazione ordinaria.
Infatti, l'assicuratore ordinario assume
l'obbligazione indennitaria a favore
dell'assicurato avente ad oggetto il
pagamento dell'obbligazione da fatto
illecito in luogo del danneggiante, in parte
al pari dell'assicuratore sociale, che però
ha diritto di rivalsa ex lege
sull'assicuratore. Per questo motivo la
norma prevede in capo all'assicuratore
ordinario il dovere di chiedere al
danneggiato se ha altre forme di
assicurazione sociale e, in caso positivo,
l'obbligo di darne comunicazione al
competente Ente di assicurazione sociale.
Potrà procedere alla liquidazione del danno
solo previo accantonamento di una somma
idonea a coprire il credito dell'Ente per le
prestazioni erogate o da erogare.
Viceversa, in ipotesi in cui sia lo stesso
danneggiante a pagare, sarà l'assicuratore
sociale a chiedere al danneggiato se è stato
già risarcito o meno e conseguentemente,
secondo buona fede, regolerà l'indennizzo
dovuto per evitare che il danneggiato possa
locupletare dal risarcimento (11.04.2011
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’illegittima partecipazione delle
Università alle procedure di affidamento dei
contratti pubblici (link a
www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
Art. 46 D.lgs. 163/2006
- Integrazione documentale - Ammessa
solamente per documenti già prodotti.
Come è stato di recente chiarito, ai sensi
dell'art. 46 del D.lgs. n. 163/2006, i
criteri esposti ai fini dell'integrazione
documentale non possono servire a sopperire
alla mancanza di un documento, ma consentono
chiarimenti e integrazioni di un documento
prodotto (cfr. Cons. Stato, sez. V,
02.08.2010, n. 5084).
Nel caso di specie (presentazione di una
cauzione provvisoria di € 2.950,00 anziché
di € 2.980,00) non si è trattato di un
documento mancante o irregolarmente prodotto
bensì di mero errore di calcolo, peraltro di
importo irrisorio, rientrante, a giudizio
del Collegio, tra le irregolarità
suscettibili di integrazione (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 26.10.2010, n.
7069).
In definitiva, la stazione appaltante ben
avrebbe potuto e dovuto azionare il
cosiddetto potere di soccorso anziché
adottare il provvedimento di esclusione
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.04.2011 n. 934 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Posa di condotta nel
sottosuolo - Autorizzazione - Suolo privato
di terzi - Consenso - Onere del ricorrente.
L'insistenza di parte della condotta in
sottosuolo privato non esime
l'Amministrazione dall'autorizzare, in
presenza delle condizioni di legge,
l'esecuzione dell'opera, dovendo poi essere
cura di chi vi abbia interesse richiedere il
necessario consenso ai proprietari privati
per la costituzione della relativa servitù
(fattispecie relativa al diniego di posa di
una condotta per l'azoto) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 08.04.2011 n. 933 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 08.04.2011 n. 81 "Attuazione della
direttiva 2008/96/CE sulla gestione della
sicurezza delle infrastrutture" (D.Lgs,
15.03.2011 n. 35). |
APPALTI: In
assenza di clausole della lex specialis
oscure o equivoche prevale il principio di
formalità.
La violazione di oneri formali imposti a
pena di esclusione dalla lex specialis
esprime la prevalenza del principio di
formalità collegato alla garanzia della par
condicio che -in assenza di clausole
equivoche o di significato oscuro- non può
essere superato dall’opposto principio del
favor partecipationis (C. Stato sez.
V 6498/2008).
Pertanto, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs.
n. 163 del 2006, i criteri disposti ai fini
dell’integrazione documentale possono
riguardare esclusivamente chiarimenti in
ordine alla documentazione prodotta per
sanare eventualmente mere irregolarità
formali, e non la violazione di precise e
chiare prescrizioni del bando, perché
altrimenti verrebbe ad essere violato il
principio della "par condicio" dei
concorrenti, con conseguente inammissibile
incidenza sulla sostanza e non più solo
sulla forma (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 07.04.2011 n. 854 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sono
ostensibili fin dall'aggiudicazione
provvisoria la documentazione
amministrativa, l'offerta economica e
tecnica presentate dai concorrenti in gara.
La lettera c del comma 2 dell'art. 13 del
Codice dei Contratti fa riferimento all’<aggiudicazione>;
mentre, la successiva c-bis cita
esplicitamente l’<aggiudicazione
definitiva>; segno che il legislatore,
quando ha ritenuto rilevante attendere che
si fosse realizzata la conclusione della
procedura selettiva (attraverso, appunto,
l’aggiudicazione definitiva), lo ha detto
espressamente.
Diversamente, nell’ipotesi descritta nella
precedente lettera c, l’espressione generica
“aggiudicazione” deve essere riferita
all’aggiudicazione “provvisoria”, e
ciò in applicazione del criterio
interpretativo ubi lex voluit, dixit; ubi
noluit, non dixit (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 812 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Informative prefettizie
ex articolo 10, lett. b), dpr 252/1998: la
discrezionalità delle valutazioni effettuate
dal prefetto è sindacabile solo sotto il
profilo della illogicità, incoerenza o
inattendibilità.
Nel rendere le informazioni richieste ai
sensi dell'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n.
252, il Prefetto non deve basarsi su
specifici elementi, ma deve effettuare la
propria valutazione sulla scorta di uno
specifico quadro indiziario, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti delle pubbliche
amministrazioni (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 679 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
RIPARTO DI COMPETENZE IN
MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI.
Sono incostituzionali le
disposizioni normative, contenute nella
legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n.
11/2009, come modificate dalla legge n.
12/2010, laddove: a) prevedono che, qualora
si applichi il criterio del prezzo più
basso, si darà corso, in ogni caso,
all'applicazione del sistema di esclusione
automatica delle offerte anomale; b) non
prevedono l'applicazione delle forme di
pubblicità stabilite dall'articolo 122 del
Codice; c) prevedono che la procedura
selettiva, per l'affidamento dei servizi di
progettazione, debba svolgersi tra tre e non
tra almeno cinque soggetti.
E' quanto stabilito dalla Corte
Costituzionale, con la
sentenza 07.04.2011 n. 114, nella
quale viene confermata la competenza
statuale, cioè la disciplina del Codice
(D.Lgs n. 163/2006) in materia di contratti
pubblici.
I giudici costituzionali ricordano,
preliminarmente, che, ai sensi dell'articolo
4 della legge costituzionale n. 1/1963, la
potestà legislativa primaria regionale deve
essere esercitata in armonia con la
Costituzione, con i principi generali
dell'ordinamento giuridico della Repubblica,
con le norme fondamentali delle riforme
economico-sociali e con gli obblighi
internazionali dello Stato. Ora, non vi è
dubbio che le disposizioni contenute nel
citato Codice dei contratti pubblici, in
tema di tutela della concorrenza e di
ordinamento civile, devono essere ascritte,
per il loro proprio contenuto d'ordine
generale, all'area delle norme fondamentali
di riforme economico-sociali, nonché delle
norme con le quali lo Stato ha dato
attuazione agli obblighi internazionali
nascenti dalla partecipazione dell'Italia
all'Unione europea.
Al riguardo, la Consulta ricorda che proprio
le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome di Trento e di Bolzano devono
rispettare quelle norme del Codice, che
attengono, da un lato, alla scelta del
contraente (alle procedure di affidamento)
e, dall'altro, al perfezionamento del
vincolo negoziale e alla correlata sua
esecuzione (Corte Cost. n. 45/2010). Di
conseguenza, sia le Regioni che le Province
autonome devono rispettare due distinte
tipologie di principi, che si pongono come
ovvio limite alla loro potestà legislativa.
Precisamente:
a) i principi della tutela della
concorrenza, strumentali ad assicurare le
libertà comunitarie e, dunque, le
disposizioni contenute nel Codice dei
contratti pubblici che costituiscono diretta
attuazione delle prescrizioni poste a
livello europeo;
b) i principi dell'ordinamento giuridico
della Repubblica, tra i quali sono
ricompresi anche quelli afferenti la
disciplina di istituti e rapporti
privatistici relativi, soprattutto, alle
fasi di conclusione ed esecuzione del
contratto di appalto, che devono essere
uniformi sull'intero territorio nazionale,
in ragione della esigenza di assicurare il
rispetto del principio di uguaglianza.
Venendo alla concreta vicenda, occorre
rilevare che l'Avvocatura dello Stato aveva
censurato, davanti alla Corte
costituzionale, le disposizioni della legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia n.
11/2009, come modificate dalla legge n.
12/2010, prevedenti quanto segue:
1) la possibilità di affidare appalti di
lavori sino ad un milione di euro, mediante
ricerca di mercato, volta ad individuare
operatori economici in possesso dei
necessari requisiti di qualificazione, con
invito ad almeno 15 soggetti;
2) l'obbligo, in caso di appalti di lavori
sino ad un milione di euro, di procedere
all'esclusione automatica delle offerte
anomale, qualora si applichi il criterio del
prezzo più basso;
3) la pubblicazione di esiti di gare per
appalti di lavori sino ad un milione di euro
solo sull'albo pretorio della stazione
appaltante, con contestuale comunicazione
all'Osservatorio regionale (invece di:
pubblicazione G.U. serie speciale dei
contratti pubblici + pubblicazione albo
pretorio Ente appaltante + pubblicazione sul
sito dell'Osservatorio e sul sito del
Ministero delle Infrastrutture +
pubblicazione, per estratto, su un
quotidiano nazionale ed uno locale);
4) possibilità di affidare servizi di
ingegneria-architettura di importo pari od
inferiore ad euro 50.000,00, mediante
procedura selettiva basata sul solo esame
dei curricula di tre soggetti.
Ora, la Corte costituzionale, sulla base
delle predette coordinate interpretative,
procede alle seguenti decisioni:
- La censura sub 1) non viene accolta, in
ragione della genericità dei motivi di
doglianza, fondati su non dettagliati
richiami alle norme codicistiche, senza
congrua indicazione delle asserite
difformità.
- La censura sub 2) viene accolta, in quanto
la disposizione regionale illegittimamente
introduce una disciplina, in tema di offerte
anomale, diversa da quella nazionale, idonea
ad incidere negativamente sul livello della
concorrenza, che deve essere garantito agli
imprenditori operanti nel mercato.
- Anche la censura sub 3) viene accolta, in
quanto le ridotte forme di pubblicità ledono
i minimi livelli di concorrenza, in quanto
l'adozione di adeguate misure di pubblicità
costituisce un elemento imprescindibile a
garanzia della massima conoscenza e della
conseguente partecipazione alle procedure di
gara.
- Infine, viene accolta la censura sub 4),
in quanto la riduzione degli operatori
economici, ammessi a partecipare alla
procedura selettiva, comporta una diversità
di disciplina, rispetto a quella statale,
idonea ad incidere negativamente sul livello
complessivo di tutela della concorrenza nel
particolare segmento di mercato preso in
considerazione.
Come ben si vede, la Corte costituzionale
interviene, con decisione e puntiglio, a
censurare le reali discrasie della normativa
regionale, rispetto a quella codicistica,
sulla base, primariamente, della necessità
di fornire congrua tutela ai primari
principi della concorrenza. Principi, che
possono essere garantiti in modo pieno e su
tutto il territorio nazionale, solo
attraverso il rispetto della disciplina del
Codice, cioè la disciplina statuale (tratto
dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L’approvazione
del progetto esecutivo di opera pubblica è
di competenza della Giunta Comunale e non
del dirigente.
Non appare condivisibile l’assunto di parte
ricorrente circa la natura meramente
gestoria dell’atto di approvazione del
progetto esecutivo di un’opera pubblica, con
la sua ascrizione alla competenza
dirigenziale, mentre il Collegio ritiene di
condividere il prevalente orientamento
giurisprudenziale che attribuisce
l’approvazione del progetto esecutivo di
opera pubblica alla competenza di Giunta
(Cons. Stato, sez, IV, 11.09.2001, n. 4744;
TAR Lecce, sez. I, 31.03.2003, n. 1415; TAR
Venezia, sez. I, 07.07.2004, n. 2266; TAR
Toscana, sez. I, n. 1038 del 2008) (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 06.04.2011 n. 594 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI:
Giustizia amministrativa
- Risarcimento del danno - Presupposti -
Carattere colpevole della violazione
normativa - Non necessita.
E' escluso,
quantomeno per il settore degli appalti
pubblici, che il diritto al risarcimento del
danno da parte di una P.A. possa essere
subordinato al carattere colpevole della
violazione normativa (cfr. Corte Giustizia
Unione Europea, sent. sez. III, 30.09.2010,
causa C-314/09) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.04.2011 n. 901 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della P.A. -
Inosservanza delle disposizioni
sull'affidamento dei contratti pubblici -
Legittimazione al ricorso - Sussiste solo
per soggetti operatori del settore.
L'inosservanza delle disposizioni
sull'affidamento dei contratti pubblici può
essere fatta valere esclusivamente da
operatori del settore, aventi titolo a
partecipare ad eventuali procedure
concorsuali per la scelta del contraente
della P.A. (cfr. TAR Milano, sent. n.
730/2011 e n. 7614/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza
05.04.2011 n. 898 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Aggiudicazione di
contratti con la P.A. - Apertura delle buste
- Seduta pubblica - Obbligo del seggio di
gara di portare a conoscenza dei concorrenti
giorno, ora e luogo della seduta - Anche in
assenza di specifiche previsioni della lex
specialis - Comunicazione via fax -
Sufficiente certezza circa l'esito della
trasmissione - Prova contraria circa la
funzionalità dell'apparecchio a chi lamenti
la mancata ricezione - Rapporto di
trasmissione non a buon fine, onere della
stazione appaltante di avere un rapporto
positivo di trasmissione.
La regola generale della pubblicità della
gara, segnatamente con riguardo al momento
dell'apertura delle buste implica "necessariamente
l'obbligo del seggio di gara di portare
preventivamente a conoscenza dei concorrenti
il giorno, l'ora e il luogo della seduta
della commissione di gara, in modo da
garantire loro l'effettiva possibilità di
presenziare allo svolgimento delle
operazioni di apertura dei plichi pervenuti
alla stazione appaltante, atteso che tale
adempimento risulta implicitamente
necessario ai fini dell'integrazione del
carattere di pubblicità della seduta"
(in termini Consiglio di stato, sez. V,
28.05.2004, n. 3471; TAR Piemonte Torino,
sez. II, 29.10.2010, n. 3937);
Di conseguenza, "anche in assenza di
specifiche previsioni della lex specialis,
la violazione del principio di pubblicità
indotta dalla mancata (o dalla tardiva)
comunicazione ad uno o più concorrenti della
data di svolgimento delle operazioni di
apertura dei plichi contenenti le offerte
economiche costituisce vizio insanabile
della procedura, anche ove non sia
comprovata l'effettiva lesione sofferta dai
concorrenti, trattandosi di adempimento
posto a tutela non solo della parità di
trattamento tra gli stessi, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post"
(cfr. in termini, Consiglio di Stato, sez.
V, 20.03.2006, n. 1445; TAR Veneto Venezia,
sez. I, 20.10.2010, n. 5525; TAR Basilicata
Potenza, sez. I, 28.03.2008, n. 72; TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 26.07.2004, n.
1701).
In generale il fax è uno strumento che
garantisce una sufficiente certezza circa
l'esito della trasmissione, incombendo la
prova contraria in ordine alla funzionalità
dell'apparecchio sul soggetto che lamenti la
mancata ricezione del messaggio. Il
principio ora richiamato vale nelle ipotesi
in cui alla stazione appaltante risulti che
la trasmissione via fax è andata a buon
fine, ma ciò nonostante il destinatario
lamenti la mancata ricezione per
malfunzionamento dello strumento tecnico.
Viceversa qualora il rapporto di
trasmissione evidenzi che la comunicazione
effettuata dall'amministrazione non è andata
a buon fine, per una ragione indipendente
dal corretto funzionamento del macchinario e
a fronte di tale situazione era onere della
stazione appaltante di reiterare l'invio
della comunicazione sino ad ottenere un
rapporto positivo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 05.04.2011 n. 892 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L'edificabilità di fatto
come criterio di prova del danno per le
occupazioni illegittime dei terreni da parte
della PA.
Con la
sentenza 04.04.2011 n. 2113 la IV
Sez. del Consiglio di Stato ribadisce alcuni
fondamentali principi in tema di occupazione
illegittima di terreni da parte della
Pubblica Amministrazione e profili
risarcitori.
In primo luogo il Collegio ribadisce i
principi che regolano il riparto di
giurisdizione precisando che: “spetta al
giudice amministrativo” ogni
controversia cha ha ad oggetto “il
risarcimento dei danni conseguenti
all'annullamento giurisdizionale di un
provvedimento amministrativo in tema di
espropriazione per pubblica utilità”
come l’annullamento della dichiarazione di
pubblica utilità (Consiglio Stato a. plen.,
09.02.2006, n. 2; n. 9 del 30.07.2007).
“Mentre le domande risarcitorie e
restitutorie relative a fattispecie di
occupazione usurpativa, intese come
manipolazione del fondo di proprietà privata
avvenuta in assenza della dichiarazione di
pubblica utilità ovvero a seguito della sua
sopravvenuta inefficacia, rientrano nella
giurisdizione ordinaria (omissis)
(Cassazione civile , sez. un., 23.12.2008 ,
n. 30254).”
Nel merito poi della richiesta risarcitoria
del proprietario del fondo di fatto
espropriato il collegio precisa nella
liquidazione del danno da occupazione
illecita “non ricorrendo il parametro
dell’edificabilità legale”, si deve
tenere conto del parametro “dell’edificabilità
di fatto” e quindi “fare riferimento
alle obiettive caratteristiche della zona ed
alla possibile utilizzazione del terreno,
anche in relazione al contesto spaziale nel
quale quest'ultimo concretamente si ponga in
ragione del rapporto di fisica contiguità
con aree limitrofe edificate o appartenenti
alla medesima zona cui l'area espropriata è
funzionale, sempreché risulti comunque
accertata una sua compatibilità con le
generali scelte urbanistiche ed entro i
limiti in ogni caso posti dall'art. 4”
T.U. Espropri (DPR 327/2001).
Il Consiglio di Stato con la sentenza in
commento ricorda che è onere del cittadino
proprietario del terreno illegittimamente
occupato e di fatto espropriato, dimostrare
in concreto il valore del terreno da
risarcire -la sua “edificabilità di fatto”-
producendo atti notarili di compravendita di
terreni limitrofi da cui si possa ricavare
tale valore.
In base al principio di ripartizione
dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.)
che impone alla parte la prova dei fatti
dalla stessa dedotti e posti a base delle
proprie richieste, non si può demandare la
prova del valore del terreno occupato ad una
semplice richiesta di consulenza tecnica
d’ufficio. Essa infatti “ha la funzione
di fornire all'attività valutativa del
giudice l'apporto di cognizioni tecniche non
possedute” ma non può supplire ad una
totale carenza probatoria connessa alla
richiesta risarcitoria (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Presupposti e condizioni
per la procedura negoziata senza la previa
pubblicazione del bando -ex art. 57, comma
5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006- nel
caso di ripetizione di servizi analoghi.
Qualsiasi impresa del settore è legittimata
ad impugnare la delibera con la quale la
P.A. dispone il rinnovo o la proroga di un
contratto d’appalto di servizi o di
forniture stipulato da un’Amministrazione
pubblica, al di fuori dei casi contemplati
dall'ordinamento (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
08.07.2008 n. 3391).
Anche in materia del rinnovo o della proroga
dei contratti pubblici di appalto non vi è
spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa
inderogabile stabilita dal legislatore per
ragioni di interesse pubblico; al contrario,
vige il principio in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria,
l'Amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara (Cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n. 445).
L’art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163
del 2006, che consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un
bando di gara nel caso di "ripetizione di
servizi analoghi", può operare solo se è
sufficientemente chiaro a priori che ne
ricorra il presupposto applicativo, e non
invece se occorra una profonda e complessa
indagine comparativa e di mercato per
giungere ad una siffatta conclusione. La
logica insita nella norma, che
eccezionalmente deroga al principio della
gara, è infatti quella di non imporre una
gara, appunto, il cui esito sia pressoché
scontato a priori perché solo un operatore è
in grado di assicurare la prestazione
richiesta; in casi del genere, l'unicità del
fornitore deve essere certa prima di
addivenire a trattativa privata e l'indagine
di mercato può avere il solo scopo di
acquisire la certezza di tale unicità o di
escluderla (1).
E’ illegittima una delibera con la quale un
Comune ha rinnovato per tre anni il
contratto di trasporto scolastico alla ditta
in precedente aggiudicataria del servizio ai
sensi dell’art. 57, comma 5, lett. b), del
D.L.vo n. 163/2006, che consente la
procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara nel caso
di "ripetizione di servizi analoghi",
atteso che, nel caso di specie, non
ricorrono i presupposti né della presenza
sul mercato di un solo operatore in grado di
espletare il servizio di trasporto
scolastico, né, quindi, della prospettiva di
una gara dall’esito scontato.
---------------
(1) TAR Lazio-Roma, Sez. III, 16.01.2010, n.
286.
Dispone l'art. 57, comma 5, lett. b), del
D.L.vo n. 163 del 2006, che: "Nei
contratti pubblici relativi a lavori e negli
appalti pubblici relativi a servizi, la
procedura del presente articolo è, inoltre,
consentita: (…) b) per nuovi servizi
consistenti nella ripetizione di servizi
analoghi già affidati all'operatore
economico aggiudicatario del contratto
iniziale dalla medesima stazione appaltante,
a condizione che tali servizi siano conformi
a un progetto di base e che tale progetto
sia stato oggetto di un primo contratto
aggiudicato secondo una procedura aperta o
ristretta; in questa ipotesi la possibilità
del ricorso alla procedura negoziata senza
bando è consentita solo nei tre anni
successivi alla stipulazione del contratto
iniziale e deve essere indicata nel bando
del contratto originario; l'importo
complessivo stimato dei servizi successivi è
computato per la determinazione del valore
globale del contratto, ai fini delle soglie
di cui all'articolo 28" (massima tratta
da www.regione.piemonte.it - TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 04.04.2011 n. 310 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
P. Carpentieri,
Sorte del contratto (nel nuovo rito sugli
appalti) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Individuazione di casi
in cui è ammissibile l’impugnazione del
bando di gara.
L’impugnazione del bando di gara è
consentito alle imprese che non abbiano
presentato domanda di partecipazione alla
gara medesima soltanto quando il bando
stesso preveda delle norme che non
consentono la partecipazione alla gara
indetta, nel senso che se le imprese
suddette avessero partecipato alla gara,
sarebbero state sicuramente escluse (Cfr.
Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2003 e Sez.
V, n. 4338 del 2009.).
E’ inammissibile un ricorso avverso il bando
di una gara di appalto, fondato sulla
doglianza secondo cui il termine previsto
dal bando per la presentazione delle offerte
è eccessivamente breve, e, per tale ragione,
non consente di formulare l’offerta, nel
caso in cui l’impresa ricorrente non abbia
presentato domanda di partecipazione alla
gara; infatti, in tal caso le censure si
appuntano non sulla impossibilità di
partecipare alla gara, ma sulla ritenuta
difficoltà di poter formulare un’offerta
remunerativa a cagione della esiguità del
termine concesso dal bando, il che è
assolutamente diverso dalla presenza di
norme che non consentono neppure la
partecipazione.
L’art. 133 del decreto legislativo n. 163
del 2006 (Codice dei contratti pubblici), il
quale prevede l’onere dell’aggiornamento dei
prezzari, non è una norma cogente, ma
soltanto una indicazione alle
amministrazioni aggiudicatrici di prendere
in considerazione le variazione dei prezzi
secondo un costante aggiornamento (Ha
osservato, in particolare, la Sez. V che le
amministrazioni non sono obbligate a porre a
base del loro computo estimativo i suddetti
prezzari, anche in considerazione della
generale illegittimità comunitaria dei
minimi tariffari inderogabili; le stazioni
appaltanti possono scegliere una base di
calcolo che ritengano più opportuna in
ordine alle contingenze che riguardano
l’appalto che va in gara, per cui, le
imprese che valutano di non poter
partecipare alla gara sulla base di quel
computo estimativo, possono decidere di non
presentare offerte, mentre mai possono
imporre all’amministrazione una base d’asta
che possa essere per loro maggiormente
conveniente da un punto di vista economico)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 01.04.2011 n. 2033 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2011 |
|
APPALTI SERVIZI: G.U.
31.03.2011 n. 74 "Determinazione degli
ambiti territoriali nel settore della
distribuzione del gas naturale"
(Ministero dello Sviluppo Economico,
decreto 19.01.2011). |
APPALTI:
Non può essere esclusa
dalla gara l'impresa che ometta di indicare
specificatamente le cause di esclusione di
cui all'art. 75, ove il prestampato
predisposto dall'amministrazione abbia
indotto in errore il concorrente.
La lex specialis complessivamente
considerata (da un lato contenente una
clausola di esclusione, dall’altro integrata
con fac-simile atto a ingenerare nel
concorrente la convinzione di redigere una
dichiarazione completa e conforme a legge)
va ritenuta ambigua, e pertanto sarebbe
illegittima l’automatica esclusione del
candidato che, facendo affidamento sulle
formulazioni del prestampato, a causa di ciò
abbia omesso una dichiarazione;
l’amministrazione può sempre, in tali casi,
richiedere di integrare le parti mancanti
della dichiarazione che, proprio a causa
della formulazione della lex specialis
e del fac-simile, sono state omesse.
Traslando principi affermati in genere con
riferimento alle norme penali (cfr., oltre
alle notissime sentenze della Corte
costituzionale 24.03.1988, n. 364 e
22.04.1992, n. 185: Cassazione penale, IV,
15.07.2010, n. 32069; Idem, VI, 20.05.2010,
n. 24600), può affermarsi che, se di regola
l’ignoranza della legge (quindi della esatta
portata, nel caso di specie, dell’art. 75 ,
comma 1, DPR n. 554/1999) non è scusabile,
deve tuttavia ritenersi che, laddove la
stessa amministrazione concorra a ingenerare
false convinzioni nel cittadino (nel caso di
specie, la convinzione di redigere una
dichiarazione corretta) le conseguenze
pregiudizievoli (nel caso in esame,
l’esclusione dalla gara), non possono
ricadere sul cittadino stesso (massima
tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 30.03.2011 n. 792 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è consentita
l’instaurazione di un giudizio in materia di
appalti pubblici quando risulti che il
ricorrente non potrebbe esserne
l’aggiudicatario.
Giova precisare, in una con la
giurisprudenza di questo Consiglio (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, sez. V,
07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n.
6613; sez. V, 07.11.2005, n. 6200), che
l’azione di annullamento davanti al giudice
amministrativo è soggetta –sulla falsariga
del processo civile– a tre condizioni
fondamentali: il c.d. titolo o possibilità
giuridica dell’azione (cioè la posizione
giuridica configurabile in astratto da una
norma come di interesse legittimo, ovvero
come altri dice la legittimazione a
ricorrere discendente dalla speciale
posizione qualificata del soggetto che lo
distingue dal quisque de populo
rispetto all’esercizio del potere
amministrativo); l’interesse ad agire (ex
art. 100 c.p.c.); e la legitimatio ad
causam (o legittimazione attiva/passiva,
discendente dall’affermazione di colui che
agisce/resiste in giudizio di essere
titolare del rapporto controverso dal lato
attivo o passivo).
Tali condizioni devono sussistere al momento
della proposizione della domanda e permanere
fino al momento della decisione.
Nella specie, come si vedrà meglio in
prosieguo, non viene in discussione, in
senso proprio, la legittimazione ad agire
dell’originario ricorrente (che è pacifica),
bensì la carenza, in capo a quest’ultimo e
relativamente alle censure in concreto mosse
avverso i provvedimenti impugnati, di una
posizione differenziata rispetto al
quivis de populo, qualificabile in
termini astratti come di interesse
legittimo, nonché la mancanza dell’interesse
ad agire, in relazione sia alla data di
proposizione del ricorso che a quella della
decisione di primo grado.
La configurabilità della prima condizione
dell’azione, il c.d. titolo, non è
consentita ove l’instaurazione o la
prosecuzione di un giudizio sia finalizzata
a tutela di interessi illegittimi o pretese
emulative (cfr. da ultimo, sul principio
generale, Cons. St., sez. V, 12.02.2010, n.
746; sez. V, 07.09.2009, n. 5244).
Tale principio è declinato, nel processo in
materia di appalti pubblici, nel senso che è
inammissibile, per carenza di interesse, il
ricorso contro l’aggiudicazione di una gara
d’appalto quando, dall’esperimento della
c.d. prova di resistenza, risulti con
certezza che il ricorrente non sarebbe
comunque risultato a sua volta
aggiudicatario neppure in caso di
accoglimento del ricorso (cfr. Cons. St.,
sez. VI, 10.09.2008, n. 4326; sez. IV,
11.12.1998, n. 1629).
In tali casi, infatti, l’eventuale rinnovo
procedimentale all’esito dell’annullamento
giurisdizionale, rimanendo intatta la
clausola precettiva della lex specialis,
dovrebbe riprendere dall’esame dell’offerta
esclusa ma, al quel punto, risulterebbe
evidente l’impossibilità giuridica per
l’impresa stessa di risultare
aggiudicataria, di stipulare il contratto e
di svolgere le prestazioni oggetto
dell’appalto.
Facendo applicazione dei su esposti principi
all’odierna fattispecie, emerge che nessuna
posizione di interesse legittimo è
astrattamente enucleabile dall’esame della
causa petendi dell’originario ricorso
della società Tebe perché esso si risolve,
all’evidenza, nella richiesta di tutela di
un interesse materiale a contenuto
impossibile (o contra ius se messo in
relazione alla su riferita clausola del
bando), in quanto non consente all’impresa
di conseguire il bene della vita cui aspira
(l’aggiudicazione della gara d’appalto); del
resto costituisce affermazione di principio
ricorrente quella secondo cui l’interesse
tutelato a livello procedimentale prima e
processuale poi, in materia di appalti
pubblici, non può essere quello generico al
rifacimento della gara d’appalto, proprio di
tutte le imprese di settore rimaste estranee
alla specifica selezione, bensì quello
specifico ad una competizione finalizzata
all’ottenimento dell’aggiudicazione, cui
possono aspirare soltanto i legittimi
partecipanti alla gara, anche attraverso
l’eliminazione di clausole della lex
specialis eventualmente lesive (cfr. da
ultimo Cons. St., sez. V, 12.10.2010, n.
7402) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1928 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Variazioni sul progetto
a base di gara.
Il Consiglio di Stato sull'ammissibilità o
meno di offerte che prevedono variazioni
rispetto al progetto posto a base di gara.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 29.03.2011 n. 1925,
riformando parzialmente la precedente
pronuncia dei TAR, si esprime
sull'ammissibilità o meno di offerte che
prevedono variazioni rispetto al progetto
posto a base di gara; ricordando che la
previsione esplicita della possibilità di
presentare varianti progettuali in sede di
offerta, già contemplata dalla Legge Merloni
109/1994, è stata generalizzata dall'art. 76
del Codice dei contratti pubblici con
riferimento al criterio di aggiudicazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
appalto. La stazione appaltante, in sede di
redazione della lex specialis
costituita dal bando di gara, deve indicare
se le varianti sono ammesse e, in caso
affermativo, identificare i loro requisiti
minimi.
Il Consiglio di Stato ricorda come la
ratio della scelta normativa riposi
sulla circostanza che, allorquando il
sistema di selezione delle offerte sia
basato sul criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, la stazione
appaltante abbia maggiore discrezionalità
nella scelta del contraente, valutando non
solo indicatori matematici ma la complessità
dell'offerta proposta, sicché nel corso del
procedimento di gara potrebbero rendersi
necessari degli aggiustamenti rispetto al
progetto base elaborato
dall'amministrazione; nel caso invece di
offerta selezionata col criterio del prezzo
più basso, poiché tutte le condizioni
tecniche sono predeterminate al momento
dell'offerta e non vi è alcuna ragione per
modificare l'assetto contrattuale, non è mai
ammessa la possibilità di presentare
varianti.
Tuttavia, a prescindere dalla espressa
previsione di varianti progettuali in sede
di bando, deve ritenersi insito nella scelta
del criterio selettivo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa che, anche
quando il progetto posto a base di gara sia
definitivo, sia consentito alle imprese
proporre quelle variazioni migliorative rese
possibili dal possesso di peculiari
conoscenze tecnologiche, purché non si
alterino i caratteri essenziali delle
prestazioni richieste dalla lex specialis
onde non ledere la par condicio dei
concorrenti. Vengono quindi richiamati e
confermati i criteri guida elaborati dalla
giurisprudenza, relativi alle varianti in
sede di offerta nelle gare di appalto; i
quali prevedono che:
• debbano ritenersi ammesse varianti
migliorative riguardanti le modalità
esecutive dell'opera o del servizio, purché
non si traducano in una diversa ideazione
dell'oggetto del contratto, che si ponga
come del tutto alternativo rispetto a quello
voluto dalla p.a.;
• risulti essenziale che la proposta tecnica
sia migliorativa rispetto al progetto base,
che l'offerente dia contezza delle ragioni
che giustificano l'adattamento proposto e le
variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la
variante garantisca l'efficienza del
progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata;
• vada riconosciuto un ampio margine di
discrezionalità alla commissione
giudicatrice, trattandosi dell'ambito di
valutazione dell'offerta economicamente più
vantaggiosa (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'annullamento in
autotutela di una gara d’appalto non
legittima il Comune a non avvisare i
concorrenti della revoca.
La giurisprudenza della Sezione, da cui non
sussiste motivo per discostarsi, ha già
avuto modo di precisare (cfr. Sez. V,
07.07.2009, n. 17) che con la presentazione
della domanda di partecipazione e, ancor
più, con la predisposizione e l’inoltro
dell’offerta, i soggetti concorrenti
assumono una posizione differenziata e
qualificata che giustifica la posizione di
contro interessati ai quali è necessario
comunicare l’avviso di avvio del
procedimento ai sensi della legge sulla
trasparenza amministrativa, al fine di
consentire la difesa del bene della vita
dato dalla chance di aggiudicazione.
Detti principi sono aderenti alla
fattispecie in parola, posto che
l’amministrazione ha annullato in autotutela
la gara dopo che era già stata presentata
l’offerta da parte della odierna appellata.
Né può accedersi alla tesi sostenuta dalla
difesa del Comune di Fiumicino, secondo cui
nel caso di specie l’Associazione Nuovo
Domani non poteva essere, anche volendo,
nemmeno individuata quale partecipante alla
gara, perché “non era stata nominata la
commissione esaminatrice, né verificata la
tempestività di presentazione dei plichi, né
quindi verificati i nominativi dei
partecipanti“ e, pertanto, non sarebbe
applicabile quella giurisprudenza che
richiede di comunicare ai concorrenti
l’avvio del procedimento di revoca della
gara quando quest’ultima sia in corso di
avanzato espletamento.
Al riguardo, infatti, è appena il caso di
rilevare come il plico contenente le offerte
dei concorrenti ad una gara debba sempre
recare, all’esterno, la ragione sociale e
l’indirizzo del singolo concorrente. E nel
caso di specie, giust’appunto, il bando
revocato all’art. 10 dal titolo -“modalità
di partecipazione”– prescriveva che ”:
il plico contenete l’offerta e la
documentazione ….. a pena di esclusione
dovrà essere controfirmato su tutti i lembi
di chiusura e di costruzione della busta,
recare all’esterno la ragione sociale e
l’indirizzo del concorrente, nonché la
dicitura: offerta per la gara d’appalto per
il servizio comunale di Protezione Civile”.
A ciò aggiungasi che, come precisato nella
memoria difensiva e non contestato
dall’appellante, l’Associazione Nuovo Domani
era l’unica concorrente, per cui la tesi in
esame risulta vieppiù priva di consistenza.
Ne rileva, ai fini che qui interessano, che
nell’art. 15 del bando l’Amministrazione si
fosse espressamente riservata di “non
aggiudicare l’appalto e comunque di
aggiudicarlo a proprio insindacabile
giudizio”.
Tale clausola infatti, al contrario di
quanto assume la difesa del Comune, non
legittima certamente l’Amministrazione
appaltante a revocare il bando a suo
insindacabile giudizio, bensì si limita a
rendere noto ai concorrenti che l’offerta è
vincolante per il concorrente, mentre
l’Amministrazione si riserva di non
aggiudicare l’appalto di servizi se nessuna
delle offerte sarà ritenuta conveniente o
idonea in relazione all’appalto. Il richiamo
all’art. 15 del bando, operato
dall’appellante a sostegno del vizio
dedotto, è pertanto inconferente. Né
peraltro è invocabile, al fine di escludere
l’effetto invalidante del vizio
procedimentale in parola, la disciplina
recata dall’art. 21-octies della L. 241/1990
considerato che, come esattamente affermato
nella sentenza appellata, il legislatore
esclude l’annullabilità del provvedimento
adottato in violazione di norme sul
procedimento solo quando esso ha natura
vincolata e non può quindi essere diverso,
mentre la revoca di una gara già bandita è
chiaramente espressione di un potere
discrezionale della P.A.
Nel caso di specie, inoltre, né dalla
motivazione dei provvedimenti impugnati, né
dalle ulteriori argomentazioni sviluppate
dalla difesa dell’Amministrazione, si desume
che l’apporto del privato non avrebbe potuto
influire sull’esito del procedimento,
portando all’adozione di un atto diverso non
confliggente con gli interessi
dell’Associazione ricorrente. Infatti non è
sufficiente affermare che “il contributo
partecipativo dell’Associazione” non avrebbe
potuto mutare il contenuto dei provvedimenti
sia“ rispetto alla scelta
dell’Amministrazione di svolgere in gestione
diretta il servizio” sia “rispetto al
semplice ritiro del bando, di portata
meramente attuativa”.
L’Amministrazione, infatti, per sostenere
l’applicabilità dell’art. 21-octies al caso
di specie, avrebbe dovuto quanto meno
dimostrare che effettivamente il Comune era
in grado di provvedere autonomamente
all’erogazione dei servizi di Protezione
Civile, come affermato nelle determine
impugnate, e nel contempo provare che il
mancato affidamento ad un unico soggetto di
tutti i servizi oggetto di gara avrebbe
comportato un risparmio di spesa.
Ma tale prova non è stata offerta
dall’Amministrazione, si che l’apporto
dell’Associazione ricorrente sarebbe stato
essenziale nel caso di specie visto che
quest’ultima, da oltre 20 anni, espleta
servizi di Protezione Civile ed è a
conoscenza non solo della complessità degli
interventi, ma anche della situazione
logistica dei luoghi visto che per molti
anni ha effettuato il servizio proprio in
favore del Comune di Fiumicino (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1922 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad
un ATI concorrente che non abbia indicato le
quote di partecipazione delle singole
imprese costituenti il raggruppamento.
E' illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara adottato da
un'amministrazione appaltante nei confronti
di una costituenda ATI, che abbia omesso di
indicare le quote di partecipazione ai
lavori delle singole imprese componenti il
raggruppamento.
L'obbligo di indicare le quote di
partecipazione delle singole imprese facenti
parte di raggruppamenti temporanei
concorrenti, contenuto nel bando di gara,
risponde ad un ineludibile obbligo di legge,
comportando peraltro l'impegno a non
modificare la composizione della costituenda
ATI, in conformità ai requisiti indicati ed
eventualmente comprovati in sede di gara, e
ad eseguire i lavori nella percentuale
corrispondente alla quota dichiarata, ai
sensi dell'art. 93, c. 4, del D.P.R. n.
554/1999.
L'obbligo di indicare la percentuale dei
lavori da eseguire discende direttamente
dall'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006,
dovendo, per un verso, sussistere perfetta
corrispondenza tra quota dei lavori e quota
di effettiva partecipazione al
raggruppamento ed essendo pertanto
necessario che la quota di partecipazione
debba essere manifestata dai componenti del
raggruppamento all'atto della
partecipazione, essendo detta indicazione un
requisito indispensabile ai fini
dell'ammissione alla procedura d'appalto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1911 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Appalti pubblici e CTU
sulle valutazioni tecnico-discrezionali.
Con la
sentenza 28.03.2011 n. 1871, la
IV Sezione del Consiglio di Stato mette a
fuoco l’ambito di applicazione della
consulenza tecnica d’ufficio negli appalti
pubblici.
La pronuncia non è importante solo per le
considerazioni effettuate in ordine alla
ratio ed alle finalità che assume la CTU
nel giudizio amministrativo, ma soprattutto
perché, nel richiamare le concrete modalità
con la quale la CTU è stata espletata nel
corso del giudizio, i Giudici di Palazzo
Spada indicano l’operato del Consulente
quasi come un modello di riferimento per
l’espletamento delle future consulenze
tecniche, ai fini del sindacato
giurisdizionale dell’operato di una
Commissione di gara.
La vicenda trae origine in seguito alla
procedura ristretta indetta per
l’affidamento, a contraente generale, delle
attività di realizzazione con del Macrolotto
n. 2 Autostrada SA-RC, da aggiudicarsi con
il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Intervenuta l’aggiudicazione della gara in
favore di un Consorzio stabile, il R.T.I.
secondo in graduatoria proponeva dapprima
ricorso al TAR Lazio e poi, in seguito al
rigetto, appellava al Consiglio di Stato.
Ai fini della decisione della controversia,
e per valutare le censure sollevate dalle
parti in relazione all’operato della
Commissione giudicatrice, i giudici
disponevano una consulenza tecnica
d’ufficio.
In particolare, la consulenza doveva
valutare la ragionevolezza dell’operato
della Commissione in relazione ai punteggi
assegnati alle offerte tecniche delle parti
in causa.
Il Consiglio di Stato, all’esito delle
operazioni peritali, ha respinto l’appello
principale ritenendolo infondato.
Ripercorrendo i passi principali della
decisione si evidenzia come il Collegio,
prima di valutare l’operato della
Commissione di gara, ha delineato in maniera
chiara e precisa il ruolo che la CTU assume
nel giudizio amministrativo: “... la
Sezione è ben consapevole dei rischi di
un’ingerenza del sindacato giurisdizionale
in una sfera di valutazioni discrezionali
(quelle relative al giudizio sugli elementi
delle offerte tecniche e sulla
consequenziale attribuzione dei punteggi)
pacificamente riservata all’Amministrazione;
tuttavia, è ormai da circa un decennio che
la giurisprudenza è approdata a una più
chiara consapevolezza della demarcazione
esistente tra le valutazioni di opportunità
afferenti alla discrezionalità “pura”,
ovvero addirittura al merito amministrativo,
e quelle che la p.a. è chiamata a condurre
alla stregua di regole tecniche richiamate
dalla stessa legge: si è così pervenuti ad
ammettere da parte del giudice un sindacato
non soltanto limitato alla verifica di
coerenza logica tra le regole
tecnico-scientifiche cui si è fatto ricorso
nella scelta discrezionale e la
determinazione conclusiva (c.d. sindacato
estrinseco), ma bensì esteso anche alla
stessa attendibilità delle operazioni
tecniche e dei loro risultati (c.d.
sindacato intrinseco). Secondo l’indirizzo
ormai prevalente, un tale sindacato va
condotto sotto il duplice profilo della
correttezza del criterio tecnico individuato
dalla p.a. e della correttezza del
procedimento seguito dalla stessa Autorità
per l’applicazione del criterio tecnico
prescelto, e si giustifica sulla base della
netta distinzione tra la “opinabilità” che
caratterizza le valutazioni tecniche e la
“opportunità” che connota invece le scelte
di merito, tale da rendere da un lato
giustificata e ragionevole la riserva delle
seconde all’amministrazione, ma al tempo
stesso doveroso e imprescindibile il
controllo di legalità (anche) sulla corretta
applicazione delle regole tecniche cui fa
richiamo la norma giuridica, che costituisce
comunque il parametro di riferimento del
giudizio di legittimità dell’azione
amministrativa[…]. Nella giurisprudenza
successiva, peraltro, è stato chiarito che
il predetto sindacato “intrinseco” deve pur
sempre arrestarsi al momento della verifica
di congruenza del procedimento tecnico
adottato dalla p.a., senza pretendere di
sostituire al giudizio di quest’ultima
quello del giudice (c.d. sindacato
“debole”): ciò in quanto, allorché vi siano
interessi la cui cura sia dalla legge
espressamente delegata ad un certo organo
amministrativo, l’ammettere che il giudice
possa “autoattribuirseli” rappresenterebbe
quanto meno una violazione delle competenze,
se non addirittura del principio di
separazione tra i poteri dello Stato[…]. Pur
con questi limiti, ha costituito in ogni
caso un progresso ineliminabile, sul piano
delle garanzie per i cittadini amministrati,
la possibilità di accesso del giudice al
fatto attraverso lo strumento della C.T.U.,
e la conseguenziale piena censurabilità –sia
pure nei limiti appena evidenziati– anche
del vizio di eccesso di potere, segnatamente
nella sua figura sintomatica rappresentata
dall’erronea rappresentazione o dal
travisamento dei fatti”.
I principi e le regole richiamate dal
Consiglio di Stato sono stati applicati in
maniera rigorosa nel corso del giudizio,
tanto che il Collegio ha sottolineato come “…la
rigorosa modalità eseguita dal consulente
per darvi risposta costituisce un esempio
quasi emblematico di esercizio di un
sindacato sulle valutazioni
tecnico-discrezionali dell’Amministrazione
contenuto nei limiti appena indicati”.
Ed infatti, nei quesiti formulati al
Consulente tecnico d’ufficio, è stato
richiesto non di ripetere le valutazione
delle offerte tecniche, ma di individuare un
“verosimile percorso logico” per
apprezzare la congruenza e ragionevolezza
dell’operato della Commissione sulla sola
base dei criteri di valutazione indicati nel
bando di gara, nonché dei principi
tecnico-scientifici comunemente accettati.
Il Consulente tecnico, partendo dai
documenti presentati dalle parti al momento
dell’offerta, e in applicazione dei criteri
previsti dal bando, ha preventivamente
individuato il metodo che avrebbe utilizzato
nell’espletamento delle operazioni peritali
ed a conclusione delle sue operazioni ha
riconosciuto una sostanziale invarianza del
rapporto tra i punteggi conseguiti dalle due
offerte sia in sede di gara che in seguito
alle valutazione effettuate con la medesima
CTU.
Il Collegio, condividendo l’esito delle
operazioni peritali, ha dunque ritenuto
dimostrato come il seggio di gara avesse
operato alla stregua di criteri di congruità
e ragionevolezza.
In particolare, a fronte della contestazione
dell’appellante principale che formulava
rilievi critici di merito e di metodo sulle
conclusioni della CTU, i giudici hanno così
risposto “Verosimilmente, l’affermazione
testé criticata risente di un non
condivisibile approccio di parte appellante
alla stessa ratio dell’attività istruttoria
espletata, evidente anche laddove la stessa
definisce arbitrario e disancorato dagli
atti l’algoritmo che costituisce il nucleo
delle valutazioni condotte dal C.T.U. Tale
rilievo, invero, sembra obliterare che
obiettivo dell’attività istruttoria disposta
dalla Sezione non era certo quello di
individuare il preciso iter, e proprio
quello, seguito dalla Commissione di gara
per assegnare i punteggi alle offerte
tecniche, ma unicamente quello di accertare
se esistesse un “percorso logico” (uno dei
tanti astrattamente ipotizzabili) il quale,
alla stregua della disciplina di gara, fosse
in grado di spiegare ragionevolmente i
risultati cui il seggio di gara era
pervenuto”.
In definitiva, con la sentenza in commento,
si è sottolineato come nel processo
amministrativo la consulenza tecnica
d’ufficio fornisce quelle conoscenze che
permettono al giudice della controversia di
ottenere la cognizione di nozioni
particolarmente complesse, al fine di
comprendere se la valutazione, effettuata
attraverso la discrezionalità tecnica della
stazione appaltante, sia priva di
ragionevolezza o scollegata da un esame
obiettivo e compiuto degli elementi di
fatto.
Una consulenza che, al contrario, andasse
oltre la semplice verifica di congruenza del
procedimento tecnico adottato dalla Pubblica
amministrazione e pretendesse di sostituire
a quest’ultima il giudizio del giudice
potrebbe determinare una violazione delle
competenze che la legge ha espressamente
delegato all’organo amministrativo (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Possono essere pari a
zero gli utili di impresa quando l'ente non
persegue scopi di lucro.
Quanto l'ente è no
profit può produrre un'offerta il cui utile
di impresa sia pari a zero.
La cooperativa ricorrente ha presentato la
propria offerta, nella quale era inserito un
progetto migliorativo del servizio posto a
gara. Tale offerta, esaminate le
giustificazioni addotte, è stata ritenuta
ammissibile dalla stazione appaltante che ha
valutato l’incidenza delle economie sul
costo del lavoro scaturenti -per la società
cooperativa aggiudicataria- dalla
applicazione delle favorevoli previsioni di
cui alla L. n. 407/1990 per il personale
neoassunto
Le relative giustificazioni sono state
addotte dalla ricorrente, ente no-profit
che opera nel settore sociale e che è
O.N.L.U.S. di diritto, il cui fine
principale non è il profitto ma quello
sociale relativo all’occupazione giovanile e
all’assistenza alle fasce disagiate,
specificando la ragguardevole organizzazione
sotto il profilo del metodo di prestazione
del servizio e delle soluzioni tecniche
adottate e le ulteriori condizioni
favorevoli di cui gode.
Tali giustificazioni sono state
legittimamente e positivamente valutate
dalla stazione appaltante che ha considerato
la particolare natura della società
ricorrente, connessa alla veste giuridica
dalla stessa ricoperta (società cooperativa
no-profit) e dalle finalità perseguite
indirizzate a conseguire utilità sociali e
non strettamente economiche e di profitto.
Del resto, il ribasso offerto dalla
aggiudicataria non è contrario ai principi
dell’ordinamento e non costituisce ex se
causa di anomalia dell’offerta, ma è al
contrario specificatamente ammesso quando
sia dimostrato che l’offerta è comunque e
nel suo complesso remunerativa e sostenibile
(in termini C. Stato, sez. V sent. n. 4594
del 23/07/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez.
III,
sentenza 28.03.2011 n. 735 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Barbiero, Tracciabilità
dei flussi finanziari relativi agli appalti
ed ai finanziamenti pubblici (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
A. Barbiero, Condizioni
e presupposti per la qualificazione delle
società partecipate di terzo livello come
organismi di diritto pubblico (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
A. Barbiero, Le
problematiche inerenti l’assoggettamento
delle Società partecipate al patto di
stabilità in rapporto al reclutamento di
risorse umane (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI SERVIZI:
Concessione di servizi
correlata all'uso di un bene pubblico -
Applicazione integrale del Codice dei
Contratti - Esclusa - Art. 30 D.lgs. 163/06
- Principi generali comunitari sui contratti
pubblici - Applicazione.
Qualora la procedura abbia ad oggetto una
concessione di servizi, cui è correlato
l'uso di un bene pubblico, non si applica la
disciplina racchiusa nel Codice dei
contratti ma, a norma dell'art. 30 dello
stesso D.lgs. 163/2006, i principi
desumibili dal Trattato UE ed i principi
generali relativi ai contratti pubblici
(trasparenza, pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento,
mutuo riconoscimento, proporzionalità).
La gara in esame (servizio bar all'interno
di una scuola), anche a motivo della
incidenza economica contenuta, si
caratterizza quindi per una maggiore
speditezza e semplificazione procedimentale
ed è sulla base di tali premesse che debbono
essere definiti i motivi dedotti dalla
ricorrente (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 25.03.2011 n. 810 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è escluso dalla gara
il concorrente che fornisca false
dichiarazioni quando sia ugualmente in
possesso di tutti i requisiti previsti.
Con riguardo alla circostanza che causa di
esclusione è stata quella, formale, di aver
omesso una dichiarazione prescritta dal
bando osserva il Collegio che, pur dando
atto del non univoco orientamento della
giurisprudenza della Sezione e delle ragioni
che presiedono alla tesi restrittiva e
formalistica, basate sulla necessità di
ordinaria verifica sull'affidabilità dei
soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V,
sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in
presenza delle circostanze di fatto di cui
alla presente controversia, di aderire
all'orientamento di numerose recenti
sentenze orientate nel senso della
doverosità della effettuazione di una
valutazione sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (in
particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n.
829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017), nella considerazione
che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla
gara al dato sostanziale del mancato
possesso dei requisiti indicati, mentre il
secondo comma non prevede analoga sanzione
per l'ipotesi della mancata o non perspicua
dichiarazione.
Da ciò discende che solo l'insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall'art. 38 citato comporta, “ope legis”,
l'effetto espulsivo.
Quando invece il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
“lex specialis” non preveda
espressamente la pena dell'esclusione in
relazione alla mancata osservanza delle
puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire,
l'omissione non produce alcun pregiudizio
agli interessi presidiati dalla norma,
ricorrendo un'ipotesi di "falso innocuo",
come tale insuscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l'esclusione, le
cui ipotesi sono tassative .
In senso conforme alla prospettata soluzione
depone anche l'art. 45 della direttiva
2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle
sole ipotesi di grave colpevolezza di false
dichiarazioni nel fornire informazioni, non
rinvenibile nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi , essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti (Cons. St., Sez. VI,
22.02.2010, n. 1017) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1795 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dichiarazioni ex art. 38
del Codice dei Contratti Pubblici e
abrogazione della norma incriminatrice.
Con
sentenza 24.03.2011 n. 1795 la
Sez. V del Consiglio di Stato ha condiviso
l’orientamento di parte della giurisprudenza
secondo cui solo l’insussistenza in concreto
delle cause di esclusione previste dall’art.
38 del d.lgs. 163/2006 può comportare “ope
legis” l’esclusione di una società da
una gara pubblica.
Nell’ambito di un appalto relativo
all’affidamento di servizi di progettazione
e coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione, veniva revocata
l’aggiudicazione provvisoria in favore della
R.T.I. prima classificata in quanto il
legale rappresentante della capogruppo
mandataria aveva dichiarato di non aver
subito condanne penali con il beneficio
della “non menzione”, mentre dal
casellario giudiziale risultava l’esistenza
di un decreto penale di condanna con il
beneficio della “non menzione” ma del
quale non era mai stata chiesta la revoca al
giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art.
673 c.p.p..
Avverso il provvedimento di revoca proponeva
appello la R.T.I. la quale sosteneva che la
condanna relativa al reato oggetto del
decreto penale non doveva essere indicata in
quanto riguardava una fattispecie che era
stata dichiarata incostituzionale con
sentenza n. 282 del 14.06.1990 ma
soprattutto il reato era stato espressamente
abrogato dall’articolo 35 del d.lgs. n.
139/2006.
Il TAR adito rigettava il ricorso ritenendo
che il solo ricorrere dei presupposti di
merito per la espunzione della condanna dal
casellario giudiziale non era idoneo a
determinare la cancellazione del reato in
quanto era comunque necessaria una pronuncia
giudiziale in tal senso.
Avverso tale sentenza la R.T.I. proponeva
appello.
La V sezione del Consiglio di Stato,
ribaltando la decisione del primo giudice,
ha ritenuto di non condividere la tesi
secondo cui la sola pronuncia giudiziale di
revoca del decreto penale potrebbe causare
l’espunzione della condanna sostenendo, al
contrario, che l’abrogazione della norma
incriminatrice sia di per sé idonea a far
cessare l’esecuzione e gli effetti penali
della condanna mentre la formale pronuncia
di revoca rappresenta un accertamento con
funzione meramente dichiarativa (Cassazione
Penale sez. I, 11.02.2004, n. 7652).
Ed infatti secondo i giudici dell’appello “Con
riguardo alla circostanza che causa di
esclusione è stata quella, formale, di aver
omesso una dichiarazione prescritta dal
bando osserva il Collegio che, pur dando
atto del non univoco orientamento della
giurisprudenza della Sezione e delle ragioni
che presiedono alla tesi restrittiva e
formalistica, basate sulla necessità di
ordinaria verifica sull'affidabilità dei
soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V,
sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in
presenza delle circostanze di fatto di cui
alla presente controversia, di aderire
all'orientamento di numerose recenti
sentenze orientate nel senso della
doverosità della effettuazione di una
valutazione sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (in
particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n.
829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017), nella considerazione
che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla
gara al dato sostanziale del mancato
possesso dei requisiti indicati, mentre il
secondo comma non prevede analoga sanzione
per l'ipotesi della mancata o non perspicua
dichiarazione. Da ciò discende che solo
l'insussistenza, in concreto, delle cause di
esclusione previste dall'art. 38 citato
comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo.
[…] Nel caso che occupa, invero, la
completezza, correttezza e veridicità della
documentazione inserita nella busta
"documentazione amministrativa" era
richiesta, a pena di esclusione, dall’art.
13 del Disciplinare; il precedente art. 9,
punto B), del Disciplinare, peraltro
espressamente e fondatamente impugnato in
parte qua con l’atto introduttivo del
giudizio (se interpretato nel senso di
ritenere obbligatoria la dichiarazione de
qua anche in caso di reati eliminati
dall’ordinamento giuridico), richiedeva a
pena di esclusione la presentazione della
dichiarazione di non aver subito condanne
penali per le quali era intervenuta la non
menzione o di averne beneficiato indicando
le eventuali condanne. La dichiarazione
effettuata dalla appellante, stante
l’effetto automatico di eliminazione degli
effetti penali della condanna che determina
l'abrogazione della norma incriminatrice,
non può tuttavia considerarsi incompleta,
scorretta o non veritiera. Va infatti
escluso che possa qualificarsi come falsa
dichiarazione quella contenente una
valutazione soggettiva del concorrente
stesso, che potrebbe semmai non essere
condivisa, ma non certo essere ritenuta
falsa, in quanto volutamente non
corrispondente ad un dato oggettivamente
riscontrabile, né può determinarne
l'esclusione dalla gara (Consiglio Stato,
sez. V, 19.06.2009, n. 4082)”.
Ad avviso del Collegio tale impostazione
risulta anche confermata dall’art. 45 della
direttiva 2004/18/CE secondo la quale
l’esclusione di un soggetto partecipante
alla gara può ricorrere nelle sole ipotesi
di grave colpevolezza di false
dichiarazioni, che non dovrebbero ritenersi
sussistenti nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi, essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti per la partecipazione
alla gara (Cons. St. Sez. VI 22.02.2010 n.
1017).
In definitiva con tale sentenza la sezione V
del Consiglio di Stato si esprime in favore
della tesi sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’offerta
deve contenere, a pena di esclusione, una
specifica e precisa informazione circa
l'effettivo assolvimento di tutte le
formalità connesse all'assunzione di
lavoratori disabili.
Con uno tra i numerosi motivi di gravame
presenti nella pronuncia in rassegna,
riguardante, sostanzialmente, una gara
indetta da un Comune toscano, è stata
dedotta la violazione dell’art. 38 del
D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 17 della
L. n. 68 del 1999.
Secondo la ditta ricorrente la vincitrice
del bando di gara aveva presentato
un’offerta difforme alle prescrizioni della
lex specialis sotto più profili, in
particolare per mancata dichiarazione circa
l’osservanza della normativa in materia di
diritto al lavoro dei disabili.
La tesi del TAR secondo cui le imprese in
gara avrebbero dovuto non solo essere in
regola con gli obblighi richiesti dal bando,
ma anche dichiarare quali obblighi avevano
soddisfatto (sicché non potevano fornire
dichiarazioni di contenuto contraddittorio e
non definito, quindi inidoneo ad eventuali
verifiche della veridicità delle
dichiarazioni effettuate) sarebbe smentita,
ad avviso dei ricorrenti, sia dalla
circostanza che il disciplinare di gara non
stabiliva che dovesse essere dichiarato
quale obbligo era soddisfatto con riguardo
al diritto al lavoro dei disabili, ma
richiedeva solo la formulazione riportata al
paragrafo II.1 nel modulo prestampato, senza
chiedere altro, sia dalla circostanza che
comunque poteva comunque essere verificata
(anche ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n.
445 del 2000) la veridicità di quanto
affermato.
Osserva in proposito il Consiglio di Stato
che l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68
prevede che le imprese, sia pubbliche sia
private, qualora partecipino a bandi di gara
per appalti pubblici o intrattengano
rapporti convenzionali o di concessione con
pubbliche Amministrazioni, sono tenute a
presentare preventivamente alle stesse la
dichiarazione del legale rappresentante che
attesti di essere in regola con le norme che
disciplinano il diritto al lavoro dei
disabili. Al riguardo la giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha costantemente rilevato
che la dichiarazione di cui all'art. 17,
della L. 12.03.1999 n. 68, in materia di
tutela dei disabili, costituisce requisito
di partecipazione alla gara; ne consegue che
la omissione di detta dichiarazione
costituisce causa di esclusione per la forza
cogente propria della legge (Consiglio
Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213) e la sua
sussistenza deve essere esplicitamente
dichiarata anche qualora il soggetto non sia
tenuto al rispetto delle norme o sia in
regola con le norme stesse.
In tema di partecipazione ad una gara per
l'affidamento di un appalto pubblico, la “ratio”
e la finalità dell'art. 17, della L. n. 68
del 1999, non sono solo quelle di garantire
la P.A. nella conclusione del contratto, da
stipularsi con una impresa che abbia
osservato ed osservi la normativa sul
diritto al lavoro dei disabili, ma anche
quella di imporre il rispetto di essa: dette
finalità possono essere perseguite, da una
parte, verificando l'assenza di pregresse
violazioni della disciplina e, per il
futuro, verificandone la completa osservanza
sulla base dell'assetto organizzativo che,
in termini di risorse umane, con riferimento
alle prestazioni oggetto di gara, il
soggetto aggiudicatario voglia darsi.
Dette considerazioni escludono anche che la
Commissione di gara, possa al riguardo
utilizzare il potere di richiedere
chiarimenti ed integrazioni, non solo perché
ciò costituirebbe violazione dei principi di
concorrenza e par condicio che presidiano la
materia degli appalti pubblici, ma
soprattutto perché si dovrebbe richiedere
all'Amministrazione di verificare, in
mancanza della dichiarazione, se l'impresa
occupi un numero di lavoratori tali da
esentarla dall'assunzione dei disabili, il
che non solo non è conforme alla lettera
dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999 ma è
anche contrario a principi di economicità ed
efficacia dell'azione amministrativa di cui
agli artt. 97, comma 1, della Costituzione e
1, della L. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio
Stato, sez. V, 24.01.2007, n. 256).
L'offerta deve quindi contenere a pena di
esclusione una specifica e precisa
informazione circa l'effettivo assolvimento
di tutte le formalità connesse
all'assunzione di lavoratori disabili
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1792 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
ILLUMINAZIONE VOTIVA.
E' del tutto pacifico in
giurisprudenza che l'illuminazione elettrica
votiva di aree cimiteriali da parte del
privato rappresenti oggetto di concessione
di servizio pubblico locale a rilevanza
economica perché richiede che il
concessionario impegni capitali, mezzi,
personale da destinare ad un'attività
economicamente rilevante in quanto
suscettibile, almeno potenzialmente, di
generare un utile di gestione e, quindi, di
riflettersi sull'assetto concorrenziale del
mercato di settore. Ai sensi dell'articolo
30 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs
n. 163/2006), la disciplina sull'anomalia
delle offerte non si estende alle
concessioni di servizi, a meno che non sia
stato previsto in sede di disciplinare di
gara.
E' quanto affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 24.03.2011 n. 1784.
Ora, al di là della conferma di un chiaro
indirizzo giurisprudenziale in tema di
tendenziale inapplicabilità dell'istituto
dell'offerta anomala in sede di concessione
di servizi, ciò che preme evidenziare è che,
ancora una volta, i giudici amministrativi
pongono in essere un'analisi
dell'illuminazione votiva ancora largamente
insoddisfacente. Invero, proprio l'inizio
dell'anno in corso ha registrato un inatteso
e controverso mutamento del tradizionale
orientamento, che può essere così
sintetizzato:
a) Fino al 2010, quasi senza eccezioni, la
giurisprudenza amministrativa inquadrava
l'illuminazione votiva nell'alveo dei
servizi pubblici locali a rilevanza
economica, con conseguente applicazione
della recente disciplina in materia,
rappresentata dall'articolo 23-bis della
legge n. 133/2008 e dal regolamento
attuativo, approvato con Dpr n. 168/2010
(CdS, sez. V, sentenze n. 1600 e 6049; Tar
Lombardia, sez. Brescia II, n. 1509/2009;
Tar Calabria, sez. Catanzaro I, n.
2.20/2010).
b) Con la sorprendente sentenza del
Consiglio di Stato, sez. V, 26.01.2011, n.
552, si è consumato il primo revirement:
E' stato affermato che è legittima la scelta
del Comune di gestire direttamente il
servizio di illuminazione votiva
cimiteriale, esigente solo l'impegno
periodico di una persona e la spesa annua di
qualche migliaio di euro, laddove l'esborso
sarebbe notoriamente ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica. Ciò, ovviamente, implica
l'innovativa connotazione di servizio
pubblico locale privo di rilevanza
economica.
c) Tale cambiamento di posizione viene
confermato dalla successiva sentenza del Tar
Lazio, sez. Roma II, 04.02.2011, n. 1.077,
ove viene espressamente affermato che, in
ragione dei ridotti margini di profitto, non
può dubitarsi che il servizio di
illuminazione votiva sia privo di rilevanza
economica.
d) Con la successiva sentenza Tar Lombardia,
sez. Milano I, 11.02.2001, si ritorna alla
vecchia tesi dell'illuminazione votiva quale
servizio pubblico locale a rilevanza
economica.
I movimenti sussultori della giurisprudenza,
a ben vedere, non sembrano essersi arrestati
con la sentenza in esame.
Infatti, se è vero che il CdS conferma la
vecchia tesi della rilevanza economica, è
parimenti vero che pone in essere, al
contempo, un'operazione ermeneutica
assolutamente non chiara, laddove, per
giustificare l'inapplicabilità della
verifica dell'anomalia delle offerte, fa
riferimento alla concessione di servizi.
Ora, tale riferimento, chiaro ed espresso,
non può che significare che l'illuminazione
votiva è una concessione di servizi, quale
disciplinata dall'articolo 30 del Codice dei
contratti. Tuttavia, la concessione di
servizi è un istituto non equivalente ai
servizi pubblici locali a rilevanza
economica! Questo è il punto centrale della
questione ed anche il profilo di maggior
interesse della sentenza in esame, nel senso
che non è chiaro se il CdS confonda i due
istituti, non rilevando fra i due alcuna
differenza, o se ritenga che l'illuminazione
votiva abbia una natura promiscua (un po' di
concessione di servizi ed un po' di servizio
pubblico locale a rilevanza economica!).
Scartata la seconda ipotesi, per la sua
naturale improponibilità, occorre porre
attenzione alle differenze sussistenti fra i
due richiamati istituti, diversità, come
appare, denegate dal Consiglio di Stato.
In linea generale, deve essere osservato che
concessione di servizi e servizio pubblico
locale a rilevanza economica presentano le
seguenti differenze:
a) Differenze di sede di disciplina: la
concessione di servizi è regolamentata
dall'articolo 30 del Codice; il servizio
pubblico locale a rilevanza economica
dall'articolo 23-bis della legge n. 133/2008
e dal Dpr n. 168/2010.
b) Differenze di presupposti applicativi: il
servizio pubblico locale esige la
sussistenza, ai sensi del comma 1°,
dell'articolo 112, del D.Lgs n. 267/2000, di
un'attività che abbia per oggetto produzione
di beni ed attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali.
Tale impegnativo presupposto manca del tutto
nella concessione di servizi!
c) Differenze in merito alla proprietà delle
reti ed impianti ed alla loro gestione
separata. Infatti, il comma 5°,
dell'articolo 23-bis, della L. n. 133/2008,
stabilisce che ferma restando la proprietà
pubblica delle reti, la loro gestione può
essere affidata a soggetti privati.
Se analizziamo attentamente tale
disposizione normativa, ci accorgeremo che
sono evidenti le diversità con
l'illuminazione votiva. Ed, infatti:
- La proprietà pubblica delle reti ed
impianti costituisce un totem insuperabile
per i servizi pubblici locali, i cui
affidamenti non possono prescinderne.
Viceversa, gli impianti dell'illuminazione
votiva diventano di proprietà comunale solo
al termine della concessione;
- Non esiste, nel settore dell'illuminazione
votiva, alcuna possibilità di separare
l'erogazione del servizio dalla gestione
delle reti;
- Ancor di più, non è pensabile, per
l'illuminazione votiva, una gestione delle
reti e degli impianti da parte dei privati,
per la banale ed ovvia ragione che gli
impianti sono realizzati dal privato
concessionario, da lui gestiti e, solo al
termine della concessione, vengono conferiti
in proprietà al Comune.
Ora, oltre a queste chiare differenze,
occorre tener conto di un recente parere
dell'Autorità di Vigilanza (n. 28 del
09.02.2011), ove, in relazione ad una
fattispecie di affidamento in gestione di
sei asili nido comunali di infanzia,
comprensivo di manutenzione ordinaria e
straordinaria degli immobili concessi in uso
gratuito, è stata posta in essere
un'interessante analisi del complessivo
articolo 30 del Codice, che disciplina la
concessione di servizi.
L'AVCP afferma che il predetto articolo
distingue testualmente, come possibile
oggetto di concessione, tra servizi a terzi
(comma 5°) e diritti speciali o esclusivi ad
esercitare un'attività di servizio pubblico
(comma 6°). In altri termini, ad avviso
dell'Autorità di Vigilanza, occorre
distinguere due casi:
1) Il caso, in cui un'autorità cede ad un
terzo il diritto di svolgere una determinata
attività economica.
2) Altro caso è, invece, costituito dalla
cessione, in favore di un soggetto privato,
di diritti speciali o esclusivi ad
esercitare un'attività di servizio pubblico.
In tale evenienza, l'attività si colora di
particolari connotati pubblicistici, in
quanto costituisce adempimento di una
specifica missione di interesse pubblico.
Dunque, ad avviso dell'Autorità, la
fattispecie sub 1) costituisce la versione
più pura di concessione di servizi a terzi,
in quanto, a differenza della concessione di
servizio pubblico, non contempla mai la
corresponsione, da parte della Pubblica
amministrazione, di un prezzo a favore del
concessionario. Infatti, il 2° comma
dell'articolo 30 del Codice stabilisce che
la remunerazione del concessionario si fonda
in toto sulla gestione del servizio
(tipologia pura o calda di concessione di
servizi, secondo l'AVCP). Viceversa, la
fattispecie sub 2) si riferisce al secondo
capoverso del predetto 2° comma, cioè a
quella che l'Autorità definisce come
concessione di servizio pubblico (o fredda),
in cui la Pubblica amministrazione compensa
l'operatore economico con un prezzo al fine
di mantenere le tariffe al di sotto di un
certo livello o garantire lo standard
qualitativo del servizio politicamente
desiderato.
Dunque, secondo l'analisi dell'Autorità di
Vigilanza, la concessione di servizio
pubblico si connota peculiarmente per la
presenza di un prezzo, che viene corrisposto
dall'ente pubblico in favore del privato.
Ciò, in conseguenza di ragioni
politico-amministrative: qualora al
concessionario venga imposto di praticare
nei confronti degli utenti prezzi inferiori
a quelli corrispondenti alla somma del costo
del servizio e dell'ordinario utile di
impresa, ovvero qualora sia necessario
assicurare al concessionario il
perseguimento dell'equilibrio
economico-finanziario degli investimenti e
della connessa gestione in relazione alla
qualità del servizio da prestare (art. 30,
comma 2°).
Orbene, non può sfuggire, anche in base ad
un'analisi non particolarmente approfondita,
che l'illuminazione votiva non contempla mai
e poi mai la corresponsione dell'illustrato
prezzo dall'ente pubblico in favore
dell'operatore privato vincitore della gara.
Anzi, come dimostrato dalla concreta vicenda
esaminata dal Consiglio di Stato, avviene
precisamente il contrario: è l'operatore
privato, che conferisce alla Pubblica
amministrazione un canone!
Ciò dovrebbe dimostrare, ancora una volta,
che l'attività di illuminazione votiva non
può essere inquadrata nell'alveo dei servizi
pubblici locali, indipendentemente dalla
rilevanza economica dell'attività medesima.
L'attività di illuminazione votiva non
manifesta, per le ragioni sin qui dette,
alcuna contiguità con i servizi pubblici
locali, ma, come correttamente rilevato
dall'Autorità di Vigilanza (parere n.
21097/08/UAG del 15.04.2008), oscilla fra la
concessione di servizi e la concessione di
lavori pubblici (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'illuminazione
elettrica votiva di aree cimiteriali da
parte del privato rappresenta oggetto di
concessione di servizio pubblico locale a
rilevanza economica.
E’ del tutto pacifico in giurisprudenza che
l'illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali da parte del privato rappresenti
oggetto di concessione di servizio pubblico
locale a rilevanza economica perché richiede
che il concessionario impegni capitali,
mezzi, personale da destinare ad un'attività
economicamente rilevante in quanto
suscettibile, almeno potenzialmente, di
generare un utile di gestione e, quindi, di
riflettersi sull'assetto concorrenziale del
mercato di settore (Cons. Stato, sez. V,
11/08/2010, n. 5620; sez. V, 05/12/2008, n.
6049).
---------------
Ai sensi dell'art. 30 del codice dei
contratti pubblici, la disciplina
sull'anomalia delle offerte non si estende
alle concessioni di servizi in quanto le
disposizioni in esso contenute non si
applicano alle concessioni di servizi, salvo
quelle della Parte IV (sul contenzioso) e
l'art. 143, co. 7, (durata della concessione
superiore a trenta anni) in quanto
compatibile (TAR Umbria Perugia, sez. I,
21/01/2010, n. 26).
Per quanto attiene agli appalti di servizi,
la giurisprudenza afferma che l'applicazione
di norme, non direttamente richiamate
dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può
che rientrare nella discrezionalità della
stazione appaltante, la quale può decidere
di autovincolarsi ed assoggettarsi al
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta: laddove la legge di gara non
abbia fatto nessun richiamo alla procedura
di valutazione dell'anomalia dell'offerta,
gli art. 86-88 del codice dei contratti non
possono trovare diretta applicazione (TAR
Sicilia Palermo, sez. III, 11/01/2010, n.
232)
Nel bando di gara riportato negli atti del
primo grado non è prevista alcuna verifica
di anomalia: il Comune pertanto non aveva
alcun obbligo di procedervi nonostante il
superamento da parte dell’offerta
dell’aggiudicataria della soglia
dell’anomalia, fissato dall’art. 86, co. 2,
D.Lgs. n. 163/2006 nei quattro quinti dei
corrispondenti punti massimi previsti dal
bando di gara.
E ciò tanto più se si considera che, come
esattamente rilevato dal TAR, nella lex
specialis la stazione appaltante aveva
già ex ante delimitato l’ambito delle
offerte in aumento accettabili (sino al
45%).
--------------
La nomina della
commissione giudicatrice dopo la scadenza
del termine fissato per la presentazione
delle offerte, è posta a presidio
dell’imparzialità della procedura di gara,
onde evitare possibili collusioni tra
commissari e concorrenti ed è espressione
dei più generali principi di imparzialità e
di trasparenza, ritenuto applicabile anche
in materia di affidamento delle concessioni
(TAR Molise Campobasso, sez. I, 23/09/2009,
n. 651).
In considerazione del suo carattere, il
Collegio ritiene che siffatta violazione
possa costituire vizio dell'intera procedura
di gara solo se la nomina anteriore alla
scadenza del termine di presentazione delle
offerte sia in concreto suscettibile di
incidere sulla indipendenza dei commissari e
sugli elementi discrezionali delle loro
valutazioni
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1784 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla natura di
concessione di servizio pubblico locale a
rilevanza economica del servizio di
illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali e sull'inapplicabilità della
disciplina sull'anomalia dell'offerta alle
concessioni.
L'illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali da parte del privato rappresenta
oggetto di concessione di servizio pubblico
locale a rilevanza economica perché richiede
che il concessionario impegni capitali,
mezzi, personale da destinare ad un'attività
economicamente rilevante in quanto
suscettibile, almeno potenzialmente, di
generare un utile di gestione e, quindi, di
riflettersi sull'assetto concorrenziale del
mercato di settore.
Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n.
163/2006, la disciplina sull'anomalia delle
offerte non si estende alle concessioni di
servizi in quanto le disposizioni in esso
contenute non si applicano alle concessioni
di servizi, salvo quelle della parte IV e
l'art. 143, c,. 7 in quanto compatibile.
Per quanto attiene agli appalti di servizi,
la giurisprudenza afferma che l'applicazione
di norme, non direttamente richiamate
dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può
che rientrare nella discrezionalità della
stazione appaltante, la quale può decidere
di autovincolarsi ed assoggettarsi al
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta: laddove la legge di gara non
abbia fatto nessun richiamo alla procedura
di valutazione dell'anomalia dell'offerta,
gli art. 86-88 del codice dei contratti non
possono trovare diretta applicazione.
Nel caso di specie, nel bando di gara non è
prevista alcuna verifica di anomalia: il
Comune pertanto non aveva alcun obbligo di
procedervi nonostante il superamento da
parte dell'offerta dell'aggiudicataria della
soglia dell'anomalia, fissato dall'art. 86,
co. 2, D.Lgs. n. 163/2006, nei quattro
quinti dei corrispondenti punti massimi
previsti dal bando di gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1784 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad
un concorrente che abbia fatto ricorso
all'istituto dell'avvalimento al fine di
attestare il possesso dell'attestazione SOA
richiesta dal disciplinare e dal bando.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara d'appalto
adottato nei confronti di un concorrente che
essendo privo dell'attestazione SOA
richiesta dal disciplinare e dal bando sia
ricorso all'istituto dell'avvalimento, ai
sensi dell'art. 49, c. 1, del d.lgs. n.
163/2006, che ammette espressamente la
possibilità di avvalersi, nelle pubbliche
gare, dell'attestazione SOA di altro
soggetto.
Tale possibilità non è subordinata alla
condizione che il concorrente che utilizzi
l'avvalimento sia comunque in possesso di
una attestazione SOA per la categoria
richiesta, ancorché di classifica
insufficiente; il dato testuale non
legittima, infatti, un'interpretazione
restrittiva della norma e, d'altra parte, la
soppressione del c. 7 del citato art. 49,
che consentiva di limitare l'avvalimento
all'integrazione di requisiti parzialmente
posseduti dall'impresa avvalente, è decisiva
per riconoscere che un limite di tal genere,
anche per quanto riguarda il ricorso
all'avvalimento di altrui attestazioni SOA,
non è compatibile con il quadro normativo
comunitario in cui l'istituto trova origine
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n. 490 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: È
del giudice ordinario la competenza sul
risarcimento danni per la lesione
dell'affidamento ingenerato da un
provvedimento, apparentemente legittimo, di
aggiudicazione di una gara per l'affidamento
di un pubblico servizio.
La controversia in merito alla domanda
autonoma di risarcimento danni avanzata da
colui che, avendo conseguito
l'aggiudicazione in una gara per
l'affidamento di un pubblico servizio, in
seguito annullata dal Tar perché illegittima
su ricorso di un altro concorrente, deduca
la lesione dell'affidamento originato dal
provvedimento di aggiudicazione
apparentemente legittimo, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario (Corte
di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 23.03.2011 n. 6596). |
APPALTI:
Esclusione per non aver
sottoscritto il capitolato in ogni pagina -
Illegittimità.
È illegittima l’esclusione del concorrente
che non ha presentato copia del capitolato
siglato e sottoscritto in ogni pagina, come
richiesto della lettera d’invito, pur avendo
la stessa società prodotto in gara la
dichiarazione di accettazione, senza
condizione e riserva alcuna, di tutte le
norme contenute nel bando, nel disciplinare
e nel capitolato speciale d’appalto.
La clausola del disciplinare che impone la
presentazione del capitolato sottoscritto,
infatti, costituisce «un’inutile
duplicazione e, quindi, un aggravio
ingiustificato del procedimento», in
quanto le esigenze sottese alla (omessa)
sottoscrizione «pagina per pagina»
del capitolato speciale d’appalto, sono
comunque soddisfatte dalla specifica
dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del
Dpr 445/2000- di presa visione e
accettazione integrale e incondizionata di
tutte le disposizioni contenute negli atti
di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 461 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima
l'esclusione di una società da una gara per
non aver sottoscritto il capitolato in ogni
pagina, in quanto le esigenze sottese alla
omessa sottoscrizione sono soddisfatte dalla
dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del
DPR 445/2000.
E' illegittima l'esclusione di una società
da una gara, a causa della mancata
presentazione di copia del capitolato
siglato e sottoscritto in ogni pagina, come
richiesto della lettera d'invito, pur avendo
la stessa società prodotto in gara la
dichiarazione di accettazione, senza
condizione e riserva alcuna, di tutte le
norme contenute nel bando, nel disciplinare
e nel capitolato speciale d'appalto. La
clausola del disciplinare che impone la
presentazione del capitolato sottoscritto,
infatti, costituisce "un'inutile
duplicazione e, quindi, un aggravio
ingiustificato del procedimento", in
quanto le esigenze sottese alla (omessa)
sottoscrizione "pagina per pagina" del
capitolato speciale d'appalto, sono comunque
soddisfatte dalla specifica dichiarazione
sostitutiva -resa ai sensi del DPR 445/2000-
di presa visione e accettazione integrale e
incondizionata di tutte le disposizioni
contenute negli atti di gara (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 461 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla funzione
garantistica della cauzione provvisoria in
materia di gare d'appalto.
Per pacifica giurisprudenza, la cauzione
provvisoria svolge una duplice funzione di
garanzia per l'amministrazione appaltante, a
tutela della serietà e correttezza del
procedimento di gara, sia per il caso in cui
l'affidatario non si presti a stipulare il
relativo contratto, sia per la veridicità
delle dichiarazioni fornite dai concorrenti
in ordine al possesso dei requisiti di
capacità economico-finanziaria prescritti
dal bando, così da garantire l'affidabilità
dell'offerta e rappresentare una
liquidazione anticipata dei danni derivanti
all'amministrazione dall'inadempimento di
tale obbligo di serietà da parte
dell'impresa, con la conseguente automatica
escussione della cauzione in caso di
inadempimento del partecipante (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n. 1589 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Va rinnovata la gara nel
caso in cui venga rinvenuto dopo
l'aggiudicazione definitiva -tra i plichi di
partecipazione ad altra gara- un plico di
partecipazione alla gara in questione.
Le clausole contenenti comminatorie di
esclusione (quali quelle connesse
all’apertura dei plichi e alla disintegrità
della documentazione), devono essere
applicate non già meccanicisticamente, ma
secondo il principio di ragionevolezza,
tenendo conto per quanto possibile della
peculiarità anche fattuale del caso
concreto.
Tali clausole devono essere valutate infatti
alla stregua dell’interesse che la norma
violata è destinata a presidiare per cui,
ove non sia ravvisabile e provata la lesione
di un interesse pubblico effettivo e
rilevante, deve essere accordata preferenza
al favor partecipationis (cfr. in
tale senso Cons. Stato, V, 21.12.2010 n.
9320), con conseguente attenuazione del
rilievo delle prescrizioni formali della
procedura concorsuale (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 669 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La valutazione del
requisito in ordine all’esclusione del
concorrente.
La stazione appaltante
ha la facoltà di escludere un concorrente da
una gara qualora quest'ultimo non possieda
il requisito di moralità professionale, come
recita l'art. 38, primo comma, lett. c), del
D.Lgs. 163/2006.
La
sentenza 21.03.2011 n. 458 del
TAR Veneto, Sez. I, ritiene illegittima
l'esclusione quando la stazione appaltante
ometta le motivazioni per la quale la
condanna penale faccia decadere il requisito
di moralità professionale.
Riportare il tipo di condanna non è
sufficiente ad escludere un concorrente da
una gara se non rientra tra i reati
considerati incidenti sulla moralità
professionale (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti e moralità
professionale: esclusione sì, ma con
motivazione.
E' illegittima l’esclusione automatica di
una ditta da una gara di appalto che sia
motivata con riferimento al difetto del
requisito della moralità professionale, ex
art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice
dei contratti pubblici), per l’esistenza, a
carico dell’amministratore di un decreto
penale di condanna per falso ideologico, nel
caso in cui la stazione appaltante abbia
omesso di esplicitare il motivo per il quale
il precedente penale rivesta i caratteri di
gravità ed effettiva incidenza sulla
moralità professionale.
Ai sensi dell'art. 38, primo comma, lett.
c), del D.Lgs. 163/2006, sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti
nei cui confronti è stata pronunciata
sentenza di condanna passata in giudicato, o
emesso decreto penale di condanna divenuto
irrevocabile, oppure sentenza di
applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati gravi
in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale.
E' comunque causa di esclusione la condanna,
con sentenza passata in giudicato, per uno o
più reati di partecipazione a
un'organizzazione criminale, corruzione,
frode, riciclaggio, quali definiti dagli
atti comunitari citati all'art. 45,
paragrafo 1, direttiva CE 2004/18.
L'amministrazione non può escludere la ditta
solo attraverso la menzione del suddetto
tipo di condanna subita dall'interessato, se
questa non rientra tra i reati
automaticamente qualificati come incidenti
sulla moralità professionale.
Nella fattispecie l'imputato era stato
condannato, con decreto penale del 2006, per
falso ideologico, avendo attestato, in una
gara, l'insussistenza di cause di
esclusione, mentre era stato omesso un
versamento INPS, ritenuto effettuato (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 458 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI:
Cessione d’azienda
antecedente alla partecipazione alla gara -
Requisiti soggettivi della cedente - Art. 51
codice appalti - Dichiarazione - Obbligo -
Esclusione - Fondamento.
Manca nel Codice appalti una norma, con
effetto preclusivo, che preveda in caso di
cessione d’azienda antecedente alla
partecipazione alla gara un obbligo
specifico di dichiarazioni in ordine ai
requisiti soggettivi della cedente riferita
sia agli amministratori e direttori tecnici
in quanto l’art. 51 del Codice si occupa
della sola ipotesi di cessione del ramo di
azienda successiva alla aggiudicazione della
gara; ne discende che in assenza di tale
norma e siccome la cessione di azienda
comporta non una successione a titolo
universale del cessionario al cedente bensì
invece una successione nelle posizioni
attive e passive relative all’azienda tra
soggetti che conservano distinta personalità
giuridica, non può essere esclusa l’impresa
cessionaria del ramo d’azienda che non abbia
presentato le relative dichiarazioni in
ordine alla posizione della cedente.
(Consiglio di Stato, Sez. V, 21.05.2010 n.
3213).
Clausole di esclusione -
Estensione analogica - Divieto.
Essendo le clausole di esclusione di stretta
interpretazione, resta conseguentemente
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta a evidenziare significati impliciti
che rischierebbe di vulnerare l'affidamento
dei partecipanti, il principio della par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione (cfr. Cons. St., V
sez., 15.11.2010 n. 8044).
Riforma del diritto
societario - Fusione per incorporazione -
Art. 2505-bis c.c. - Estinzione della
società incorporata - Esclusione.
A seguito della riforma del diritto
societario (DLgs 17.01.2003 n. 6), la
fusione per incorporazione, ai sensi del
nuovo art. 2505-bis c.c., non comporta
l’estinzione della società incorporata, né
crea un nuovo soggetto di diritto
nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua
l’unificazione mediante l’integrazione
reciproca delle società partecipanti alla
fusione, risolvendosi in una vicenda
meramente evolutivo- modificativa dello
stesso soggetto giuridico, che conserva la
propria identità pur in un nuovo assetto
organizzativo (confronta Cassazione SS.UU.
08.02.2006 n. 2637; Cass. Civ. III,
28.02.2007 n. 4661; I, 19.10.2006 n. 22489)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 456 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: L'ordine
pubblico fissa i confini dei subappalti. Le
norme interpretate in funzione
anti-criminalità.
Le stazioni appaltanti
pubbliche sono tenute a verificare
caratteristiche e sviluppi dei contratti di
subappalto nell'ambito degli appalti da esse
affidati a operatori economici.
La configurazione del subappalto è stabilita
dall'articolo 118, comma 11, del codice dei
contratti pubblici (DLgs. 163/2006), con
riferimento a qualsiasi contratto avente a
oggetto attività che richiedono l'impiego di
mano d'opera, se singolarmente di importo
superiore al 2% dell'importo delle
prestazioni affidate o di importo superiore
a 100mila euro, e se l'incidenza del costo
della manodopera e del personale supera il
560 dell'importo del contratto da affidare
... (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.03.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Comune di Arcinazzo Romano - Parere in merito alla procedura da
seguire per la realizzazione di un'opera pubblica ai sensi
dell'art. 19 del D.P.R. n. 327/2001 (Regione Lazio,
parere
21.03.2011 n.
121088 di prot.). |
APPALTI:
Sulla quantificazione
del risarcimento del danno da perdita di
chance e sulla natura del danno curriculare.
1.
Dall'importo dovuto a titolo risarcitorio
deve essere detratto quanto percepito
dall'impresa grazie allo svolgimento di
diverse attività lucrative, nel periodo in
cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in
contestazione.
La prova dell'assenza dell'aliunde
perceptum grava , tuttavia, sull'impresa
in considerazione del fatto che, secondo l'id
quod plerumque accidit, l'imprenditore
-in quanto soggetto che esercita
professionalmente una attività economica
organizzata finalizzata alla produzione di
utili- normalmente non rimane inerte in caso
di mancata aggiudicazione di un appalto, ma
si procura prestazioni contrattuali
alternative che dalla cui esecuzione trae
utili.
In assenza di prova contraria rispetto alla
presunzione di aliunde perceptum, la
somma riconosciuta a titolo di lucro
cessante, deve essere ridotta (nella specie
il Consiglio di Stato ha ritenuto di
liquidare il danno nella misura del 6%
comprensivo anche del danno curriculare).
2.
In ordine alla risarcibilità delle spese
sostenute per la partecipazione alla gara,
la VI sezione aderisce alla tesi
maggioritaria in forza della quale i costi
sostenuti per la partecipazione alla gara
non sono risarcibili in favore dell'impresa
che lamenti la mancata aggiudicazione
dell'appalto (o anche solo la perdita della
chance di aggiudicarselo).
Detti costi di partecipazione si colorano
come danno emergente solo qualora l'impresa
subisca una illegittima esclusione, perché
in tal caso viene in considerazione la
pretesa del contraente a non essere
coinvolto in trattative inutili. Essi,
peraltro, vanno, in via prioritaria e
preferenziale, ristorati in forma specifica,
mediante rinnovo delle operazioni di gara e
solo ove tale rinnovo non sia possibile,
vanno ristorati per equivalente.
3.
Il danno c.d. curriculare, costituente una
specificazione del danno per perdita di
chance, si correla necessariamente alla
qualità di impresa operante nel settore
degli appalti pubblici.
Alla mancata esecuzione di un'opera pubblica
illegittimamente appaltata si ricollegano,
infatti, indiretti nocumenti all'immagine
della società, al suo radicamento nel
mercato, all'ampliamento della qualità
industriale o commerciale dell'azienda, al
suo avviamento, per non dire, poi, della
lesione al più generale interesse pubblico
al rispetto della concorrenza, in
conseguenza dell'indebito potenziamento di
imprese concorrenti che operino sul medesimo
target di mercato, in modo
illegittimo dichiarate aggiudicatarie della
gara.
In linea di massima, deve pertanto
ammettersi che l'impresa ingiustamente
privata dell'esecuzione di un appalto possa
rivendicare, a titolo di lucro cessante,
anche la perdita della specifica possibilità
concreta di incrementare il proprio
avviamento per la parte relativa al
curriculum professionale, da intendersi
anche come immagine e prestigio
professionale, al di là dell'incremento
degli specifici requisiti di qualificazione
e di partecipazione alle singole gare
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.03.2011 n. 1681 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla decorrenza del
termine per impugnare l'aggiudicazione
definitiva.
L'affidamento dei servizi
socio-assistenziali sfugge al'applicabilità
delle norme del codice non espressamente
richiamate dall'articolo 20.
Ne deriva che la pubblicazione della
delibera di aggiudicazione definitiva
all’albo pretorio del Comune, per 15 giorni
consecutivi determina la conoscenza legale
del provvedimento ed implica,
conseguentemente, la decorrenza del temine
di impugnazione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 18.03.2011 n. 509 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La dichiarazione
prevista dall'articolo 38 m-ter) non va
riferita all'impresa ma all'imprenditore.
Nessun limite temporale al potere della
Stazione appaltante di annullare
l'ammissione in gara.
1. Decorrenza dei
termini per impugnare l'esito della gara.
2. Limiti agli effetti paralizzanti del
ricorso incidentale.
3. La dichiarazione di cui all'articolo 38,
comma 1, m-ter) del codice dei contratti .
4. Annullamento in autotutela
dell'ammissione alla gara e limiti
temporali.
1.
L'impugnazione dell'aggiudicazione
provvisoria è una mera facoltà.
Il termine decadenziale di trenta giorni per
impugnare i risultati della gara inizia a
decorrere dalla comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva, ex art. 79
del D.lgs. 163 del 2006, così come
richiamato dall’art. 120, comma 5, del
c.p.a., e, comunque, dalla conoscenza
personale dell’atto.
2.
Vertendo in ipotesi in cui i soggetti
ammessi alla gara sono soltanto due - la
ricorrente e la contro interessata,
l’eventuale accoglimento del ricorso
incidentale non è idoneo a paralizzare
l’interesse della ricorrente principale
mantenendo essa , comunque, l’interesse
strumentale all’eventuale riedizione della
gara
3.
La dichiarazione prevista dall’art. 38,
comma 1, lett. m-ter, del codice dei
contratti pubblici, deve essere resa dal
legale rappresentante riguardo a se stesso;
ove resa invece “nei confronti
dell’impresa” determina l’esclusione
dalla gara.
4.
Ai sensi dell’articolo 71 del D.P.R.
28.12.2000, n. 445 -il cui comma 1, recita”:
“Le amministrazioni procedenti sono
tenute ad effettuare idonei controlli, anche
a campione, e in tutti i casi in cui sorgono
fondati dubbi, sulla veridicità delle
dichiarazioni sostitutive di cui agli
articoli 46 e 47”- la Stazione
appaltante può disporre l’annullamento in
autotutela del provvedimento di ammissione
alla gara anche oltre il limite temporale di
dieci giorni dalla conclusione delle
operazioni di gara previsto dall’articolo
48, comma 2, del d.lgs. 163/2006 (massima
tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 18.03.2011 n. 504 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' legittimo il bando di
gara che imponga alle imprese di dichiarare
"indicandole specificamente" l'insussistenza
delle cause di esclusione di cui all’art.
38.
Ove il bando richieda l’indicazione
specifica (dell’insussistenza) delle cause
di esclusione si deve ritenere che intenda
sottolineare, con tale specificazione, la
rilevanza della dichiarazione inerente alle
singole cause e sollecitare, dunque,
l’attenzione del concorrente sulla
responsabilità che si assume con ciascuna di
esse.
Qualora peraltro –al di là di una espressa
previsione del bando- l’impresa concorrente
alla gara abbia scelto, pur in presenza di
un generico dichiarato rinvio alle singole
specifiche previsioni di cui al citato art.
38, di dichiarare in aggiunta, espressamente
-e per esteso- l’assenza di cause di
esclusione soltanto per alcune delle ipotesi
normativamente previste, la circostanza che
per le altre abbia serbato il silenzio, non
può che far ritenere che per queste ultime
essa abbia inteso omettere la prescritta
dichiarazione, con le connesse conseguenze
che danno luogo alla esclusione ex lege
dalla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 18.03.2011 n. 495 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Le
valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ed alla
loro incidenza sulla moralità professionale
spettano alla stazione appaltante e non al
concorrente medesimo, il quale è pertanto
tenuto a indicare tutte le condanne
riportate, non potendo operare a monte alcun
"filtro" omettendo la dichiarazione di
alcune di esse sulla base di una selezione
compiuta secondo criteri personali.
In tema di appalti pubblici, anche a
seguito dell'accertata mancanza dei
requisiti di ordine generale -contemplati
dall'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006- deve
essere effettuata la segnalazione
all'Autorità di Vigilanza per i contratti
pubblici, al fine della conseguente
annotazione nel casellario informatico.
Quanto alla mancata dichiarazione della
condanna subita da uno dei componenti il
costituendo RTI, va richiamato il recente
orientamento del Consiglio di Stato (Sez.
VI, n. 782/2011), secondo il quale “le
valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ed alla
loro incidenza sulla moralità professionale
spettano alla stazione appaltante e non al
concorrente medesimo, il quale è pertanto
tenuto a indicare tutte le condanne
riportate, non potendo operare a monte alcun
"filtro" omettendo la dichiarazione di
alcune di esse sulla base di una selezione
compiuta secondo criteri personali"
(Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n.
740).
Tale conclusione risulta avallata, nel caso
di specie, dal fatto che il bando stesso
(così come il modulo predisposto dalla
stazione appaltante) richiedeva
l’indicazione dell’esistenza di condanne
penali, senza limitare la dichiarazione a
quelle considerate gravi.
Sebbene l’utilizzo del modulo predisposto
dall’amministrazione non fosse obbligatorio,
in quanto la dichiarazione doveva essere
resa in conformità a quanto in esso
indicato, ciò non esonerava i concorrenti
dall’effettuare comunque una dichiarazione
di contenuto conforme allo stesso,
assumendosi tutte le responsabilità in
ordine alla veridicità delle affermazioni in
essa contenute.
Inoltre, attese le argomentazioni difensive
di parte ricorrente che mettono in risalto
la circostanza dell’intervenuta
dichiarazione di estinzione del reato
ascritto ad una componente del RTI, per
effetto della sentenza emessa dal giudice
penale prima del provvedimento di
esclusione, il Collegio non ritiene che
detta circostanza possa assumere rilevanza
nel caso di specie, in quanto persiste la
ratio dell’esclusione ossia l’esistenza
di una dichiarazione non veritiera al
momento della presentazione della domanda,
non rilevando i fatti sopravvenuti, essendo
condizionante il fatto in sé dell’omissione.
Né rileva l'ignoranza o la buona fede del
soggetto tenuto alla dichiarazione, il quale
deve assumersi la responsabilità di quanto
dichiarato.
---------------
Quanto, poi, alla seconda causa di
esclusione, risulta oggettiva la non
veridicità delle dichiarazioni rese dai
singoli partecipanti al RTI, i quali
dovevano essere ben consapevoli delle
dichiarazioni rese proprio attraverso
l’utilizzo del modulo predisposto
dall’amministrazione e che, quindi, se le
dichiarazioni rese risultavano riferite al
raggruppamento nel complesso non potevano
essere rese in qualità di singoli componenti
dello stesso (come peraltro, più
attentamente, hanno precisato altri
concorrenti);
Pertanto, confermata la legittimità
dell’esclusione con riguardo ai due i
profili contestati, entrambe le segnalazioni
risultano corrette e doverose, in quanto,
come già osservato a tale riguardo (cfr. TAR
Veneto, I, n. 1554/2010 e 4681/2010), in
tema di appalti pubblici, anche a seguito
dell'accertata mancanza dei requisiti di
ordine generale -contemplati dall'art. 38,
d.lgs. n. 163 del 2006- deve essere
effettuata la segnalazione all'Autorità di
Vigilanza per i contratti pubblici, al fine
della conseguente annotazione nel casellario
informatico.
Invero, sebbene l'art. 48, d.lgs. n. 163 del
2006, che prevede la sanzione
dell'escussione della cauzione provvisoria e
della segnalazione all'Autorità di Vigilanza
come conseguenza dell'esclusione dalla gara,
si riferisca testualmente alla mancanza dei
soli requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico–organizzativa, tuttavia, tale norma
deve essere letta in combinato disposto con
l'art. 38 dello stesso d.lgs., il quale
prevede l'esclusione dalle gare per tutti i
soggetti privi dei requisiti di ordine
generale e conseguentemente si deve ritenere
immanente nell'ordinamento un obbligo
generalizzato di segnalare all'Autorità sui
contratti tutte le false dichiarazioni rese
in sede di gara, ivi comprese quelle
relative ai requisiti di carattere generale
Quindi, non può sostenersi che l'art. 38
cit. non contemplerebbe, quale sanzione per
le dichiarazioni smentite in sede di
controllo, la segnalazione all'Autorità di
vigilanza, ma la sola esclusione
dall'appalto (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 18.03.2011 n. 455 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Valida la polizza
fideiussoria non firmata per quietanza, se
riporta l'indicazione del codice di
autorizzazione al rilascio della polizza
prepagata.
La polizza fideiussoria prodotta in sede di
gara che non riporta la tradizionale
attestazione di pagamento effettuata
dall’agente che materialmente consegna la
polizza ma la più moderna indicazione del
codice di autorizzazione al rilascio della
polizza prepagata risulta quietanzata
mediante un sistema informatico di
attribuzione del codice a barre che attesta
l’avvenuto pagamento del premio e la
conseguente attivazione della copertura
assicurativa, con correlativa soddisfazione
dell’interesse e pubblico in merito alla
certezza dell’operatività della garanzia
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1637 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La commissione non può
avvalersi di un consulente esterno che ha
svolto la propria attività nella fase di
predisposizione degli atti di gara.
Le regole poste dalla legge (art. 84 del
codice dei contratti pubblici) in ordine ai
criteri di scelta dei componenti della
commissione ed alla composizione complessiva
dell’organo collegiale, laddove impongono il
ricorso a professionalità tecnicamente
attrezzate, sarebbero con evidenza eluse se
si consentisse l’attribuzione ad un soggetto
esterno di compiti decisionali determinanti
in sede di valutazione delle offerte
tecniche, tali da esautorare la Commissione
nell’espletamento di un compito di sua
pertinenza (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1628 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'annullamento d'ufficio di una gara
d'appalto, per violazione dell'art. 84 del
d.lgs. n. 163/2006, in ordine ai criteri di
scelta dei componenti la commissione di
gara.
E' legittimo l'atto di annullamento in
autotutela di una procedura d'appalto,
motivato in ragione della presenza, in seno
alla commissione giudicatrice, di un
componente che abbia prestato la propria
attività tanto nella fase di predisposizione
degli atti di gara, quanto in quella
successiva, in veste di "consulente
esterno", costituendo ciò violazione
dell'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, in
quanto l'operato del commissario predetto,
nel caso di specie, non si è limitato
fornire un occasionale supporto tecnico
ab externo, bensì ha contribuito
pienamente alla formazione del processo
decisionale ed alla conseguente assunzione
delle determinazioni spettanti all'organo
collegiale.
Peraltro, le regole dettate dall' art. 84
del d.lgs. n. 163/2006, in ordine ai criteri
di scelta dei componenti la commissione,
laddove impongono il ricorso a
professionalità tecnicamente attrezzate,
sarebbero eluse se si consentisse
l'attribuzione, ad un soggetto esterno, di
compiti decisionali determinanti in sede di
valutazione delle offerte tecniche, tali da
esautorare la Commissione nell'espletamento
di un compito di sua pertinenza (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1628 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Gara
nulla se nella commissione c'è chi ha
scritto il bando. Consiglio di Stato: il
conflitto di interessi annulla l'appalto.
Mal aveva scritto gli
atti della gara per l'affidamento del
servizio di distribuzione del gas, aveva
preparato la perizia tecnica per la
valorizzazione degli impianti e il rimborso
al gestore uscente, e poi era entrato come
membro della commissione che avrebbe dovuto
individuare il nuovo affidatario. Troppe
giacchette sulle spalle dello stesso
soggetto, però, invalidano la gara, e
impongono anche il risarcimento del danno
all'impresa che ha partecipato alla gara
invalidata.
A stoppare il «conflitto di interessi»
nella gara d'appalto messa in piedi da un
comune veneto è il Consiglio di Stato, Sez.
V, nella
sentenza 16.03.2011 n. 1628.
Al di là della vicenda specifica, che ha
visto la stessa persona ricoprire una
pluralità di ruoli prima e durante la
procedura concorsuale, il principio fissato
dal Consiglio di stato è chiaro: chi ha
partecipato alla fase preparatoria della
gara non può poi far parte della commissione
giudicatrice.
A salvare la procedura non è stato
sufficiente nemmeno il fatto che l'ingegnere
al centro della vicenda fosse stato indicato
come consulente, ricoprendo quindi un ruolo
formalmente esterno nell'ambito della
commissione.
«Il dato sostanziale» che conferma la
sua partecipazione piena alle valutazioni,
spiegano i giudici d'appello, prevale sulla
«veste formale», anche perché
l'ingegnere aveva avuto «compiti
decisionali determinanti nella valutazione
delle offerte tecniche»; compiti, questi
ultimi, che non possono essere attribuiti a
un «esterno» alla commissione, per non
eludere le regole (articolo 84 del codice
degli appalti) che impongono il ricorso a «professionalità
tecnicamente attrezzate» all'interno
dell'organo collegiale.
La violazione delle regole da parte del
comune non comporta solo la cancellazione
della gara, ma impone anche il risarcimento
del danno all'impresa che ha fatto ricorso.
I giudici hanno infatti riconosciuto il «danno
emergente», alimentato dalle spese
sostenute per partecipare a un appalto
«destinato a non trovare definizione»
proprio per la sua illegittimità.
Al danno emergente, arricchito dagli
interessi legali, non si aggiunge però il «lucro
cessante», ipotizzabile per il fatto che
l'impegno nella gara incriminata abbia fatto
perdere all'impresa altre occasioni di
business; per individuare questo secondo
tipo di danno, infatti, i giudici non hanno
trovato «idonei elementi di prova» (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.03.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Responsabilità
precontrattuale della p.a. nel caso di
annullamento d'ufficio degli atti di gara
per un vizio rilevato dall'amministrazione
solo successivamente all'aggiudicazione.
La responsabilità precontrattuale è
configurabile tra l’altro nel caso di
annullamento d'ufficio degli atti di gara
per un vizio rilevato dall'amministrazione
solo successivamente all'aggiudicazione
definitiva o che avrebbe potuto rilevare già
all'inizio della procedura (CS., V,
07.09.2009, n. 5245; cfr anche CS.VI,
16.01.2006, n. 86) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1627 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
natura globale e sintetica del giudizio di
verifica di congruità delle offerte.
Il giudizio di verifica della congruità di
un'offerta in una gara pubblica ha natura
globale e sintetica sulla serietà o meno
dell'offerta nel suo insieme.
Il giudizio medesimo costituisce espressione
di un potere tecnico discrezionale
dell'amministrazione, di per sé
insindacabile, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate sull'insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto.
Pertanto i singoli elementi di cui l'offerta
si compone non possono essere presi in
considerazione separatamente ma debbono
essere valutati per la loro incidenza
sull'offerta complessiva (ex multis,
V, 20.05.2008, n. 2348) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1618 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' sufficiente la prova
che la documentazione sia stata esposta al
rischio di manomissioni per ritenere
invalida la procedura di gara.
Le misure di cautela relative alla
conservazione dei plichi sono volte a
salvaguardare la possibilità, e non
l'effettività, della manomissione.
Pertanto è sufficiente che vi sia la prova
in atti che la documentazione di gara sia
rimasta esposta al rischio di manomissione
per ritenere invalide le operazioni di gara,
non potendosi porre a carico
dell'interessato l'onere di provare che vi
sia stato in concreto l'evento che le misure
cautelari intendono prevenire (massima
tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1617 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il fatturato richiesto
dal bando può essere raggiunto dal Consorzio
anche con attività di società del Consorzio
stesso che avevano operato con affitto di
azienda, anche se l'affitto è terminato.
In ordine alla questione che il fatturato
del Consorzio sarebbe stato raggiunto con
l’apporto di attività conseguita da società
cooperative del Consorzio che avevano
operato con affitto di azienda, non è
rilevante che, successivamente, l’affitto
sia venuto meno, in quanto ciò che rileva,
per individuare la massa dell’attività
svolta, è solo il fatto che una certa
attività sia stata effettivamente
esercitata, e di ciò non si può dubitare,
anche se, in un secondo momento, l’affitto è
terminato (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.03.2011 n. 1615 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La lex specialis non può
prescrivere adempimenti superflui e
formalistici ai fini della partecipazione
alle gara.
E' illegittima la prescrizione della lex
specialis, la quale, all’interno della
busta “C”, prevedeva l’inserimento
dell’offerta del canone in apposita busta
chiusa e sigillata, in modo da separarlo
dalla relazione economica giustificativa,
pure da inserire nel plico “C”, e la
conseguente illegittimità dell’esclusione di
un'impresa per la mancata osservanza di tale
prescrizione, in quanto la gravata
prescrizione non era sorretta da alcuna
ratio giustificativa di tutela della
trasparenza e imparzialità delle valutazioni
della commissione di gara e/o della par
condicio dei concorrenti, risolvendosi per
contro in un inutile, sovrabbondante e
superfluo orpello formalistico, lesivo dei
principi di semplificazione e di mancato
aggravio procedimentale, la cui violazione
giammai era idonea a determinare
l’esclusione di una concorrente dalla
gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.03.2011 n. 1588 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara per l'affidamento del servizio di
rifiuti urbani, per avere riportato il
legale rappresentante della stessa, una
condanna per traffico illecito di rifiuti.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un RTI, per il
fatto che il legale rappresentante della
capogruppo fosse stato condannato (con
sentenza ex art. 444 del cpp) per traffico
illecito di rifiuti, in quanto il reato
ascritto presenta le caratteristiche proprie
sia della gravità e sia della rilevanza in
ordine allo specifico appalto per il quale
l'impresa medesima ha partecipato (lavori e
messa in sicurezza di una discarica),
rilevando, nella specie, il fatto che il
soggetto, in un modo o nell'altro, ha
commesso un reato specifico, che riguarda
proprio l'attività che si chiede di porre in
essere, per cui l'amministrazione non può
che prendere atto della intervenuta
condanna, per un fatto, specificamente
valutato, che concerne proprio il traffico
illecito di rifiuti (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 15.03.2011 n. 1586 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
CONSIP: è intrinseca
l'economicità dei beni e servizi offerti.
E’ intrinseca la economicità dei beni e
servizi offerti dal sistema CONSIP, poiché
si perviene a risparmi sia diretti,
ottenibili in virtù del miglio prezzo
offerto dalla convenzione quale risultato di
una gara comunitaria ad evidenza pubblica,
sia indiretti, consistenti nella riduzione
dei costi per il potenziale contenzioso e
nella riduzione dei tempi di avvio,
espletamento e perfezionamento delle
procedure di acquisto dei beni e dei servizi
(in termini TAR Campania, sent. n. 22688 del
04/11/2010).
Alla luce di tali principi non sussiste
alcun obbligo per l’Amministrazione di
valutare l’offerta della ditta ricorrente,
dopo avere operato la scelta di aderire alla
convenzione, poiché la valutazione della
convenienza non si parametra esclusivamente
in relazione al prezzo, ma anche in
relazione agli altri elementi costituenti “risparmi
indiretti” cui sopra si è fatto cenno,
oltre che al parametro prezzo-qualità del
servizio posto a fondamento della
convenzione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.03.2011 n. 650 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cottimo fiduciario: la
stazione appaltante non è obbligata a
chiedere chiarimenti in ordine al prezzo
dell'offerta.
Il cottimo fiduciario è una procedura
negoziata che, ancorché procedimentalizzata,
non esige l’osservanza di tutte le regole
dell’evidenza pubblica comunitaria (TAR
Toscana, Firenze, sez. I sent. n. 3988 del
22/12/2009).
Ciò non esclude che la stazione appaltante,
pur non essendone obbligata, possa
richiedere chiarimenti in ordine al prezzo
dell’offerta, ai sensi dell’art. 83, comma
3, d.L.vo n. 163/2006 (TAR Lazio, Latina,
sez. I, sent. n. 1903 del 19/11/2010),
facendo poi uso di ampli poteri
discrezionali nel valutare i forniti
chiarimenti, censurabili solo sotto il
profilo della illogicità e
contraddittorietà.
Nel cottimo fiduciario è esclusa la nomina
di commissari, la direzione della gara
rientrando nei compiti del RUP (TAR Toscana,
Firenze, sez. I, sent. n. 3988 del
22/12/2009) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.03.2011 n. 649 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Gara per l'affidamento
di servizi d igiene ambientale: va indicato
il nominativo del responsabile tecnico.
E' legittima l'esclusione dalla gara
pubblica, indetta per l'affidamento dei
servizi di igiene ambientale, dell'impresa
che nella sua domanda non abbia indicato il
nominativo del proprio responsabile tecnico,
né reso le prescritte dichiarazioni,
trattandosi di figura che per le imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti è
espressamente prevista dal d.m. 28.04.1998,
il cui artt. 10, comma 4, ne impone la
nomina, che deve ricadere su soggetti aventi
i prescritti requisiti di qualificazione
professione, di ordine speciale, e di ordine
generale; in sostanza, il responsabile
tecnico è elemento indispensabile per la
qualificazione dell'impresa, deputato allo
svolgimento dei compiti
tecnico-organizzativi relativi anche
all'esecuzione del servizio commesso da
parte dell'impresa, di cui assume quindi,
per stessa definizione, la responsabilità
sotto tali aspetti (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.03.2011 n. 646 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E di natura
tecnico-discrezionale l'apprezzamento svolto
in sede di verifica dell'anomalia.
L'apprezzamento svolto in sede di verifica
dell'anomalia dell'offerta è di natura
tecnico-discrezionale, sindacabile per
manifesta illogicità, errore di fatto,
insufficiente motivazione (TAR Liguria
Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 233)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 15.03.2011 n. 645 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' legittima la presenza
nella commissione di gara per l'affidamento
del servizio globale di pulizia,
manutenzione e presidio delle aree a verde
pubblico e degli arenili, di un dipendente
della società in house del Comune.
Il rapporto di completa subordinazione
gerarchica e la dipendenza anche strutturale
della società in house rispetto al
comune di appartenenza fa sì che dipendenti
della società possano essere preposti ad
uffici dell'amministrazione o comunque
chiamati a svolgere (nella prospettiva della
delegazione interorganica) funzioni
riconducibili direttamente all'ambito delle
competenze del Comune, così da operare come
funzionari del comune pur non essendo
qualificabili come dipendenti comunali e nei
limiti delle funzioni delegate.
Ne consegue che, l'art. 84, c. 8, del d.lgs.
n. 163/2006, nella parte in cui prescrive
che i componenti delle commissioni
aggiudicatrici debbano essere scelti fra
funzionari della stazione appaltante non
possa essere interpretato, restrittivamente,
come riferito esclusivamente a dipendenti di
ruolo dell'amministrazione comunale, quanto,
estensivamente, come riferito a tutti i
soggetti che -siano essi dipendenti non di
ruolo o a contratto ovvero, per esempio,
dipendenti di società in house- siano
parte integrante dell'organizzazione
complessa dell'amministrazione comunale e
preposti allo svolgimento di un ufficio.
In detta prospettiva lo svolgimento dei
compiti di componente di commissioni
aggiudicatrici finisce con l'inerire
all'ufficio e compete ai dipendenti della
società in house nella stessa maniera
in cui compete ai dipendenti di ruolo ( non
dovendo quindi dare luogo a compensi a
favore degli uni e non degli altri) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 2241 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Gare,
commissioni senza paletti. Il comune può
nominare dipendenti di una società in house.
Il Tar Lazio equipara il lavoratore a un
funzionario in virtù del rapporto di
subordinazione.
Un comune pub legittimamente nominare come
componente di una commissione di gara di
appalto un dipendente di una società in
house; il soggetto nominato commissario, ma
appartenente alla società in house, è
equiparabile ad un funzionario comunale in
virtù del rapporto di subordinazione
gerarchica che intercorre fra il comune e la
società.
E' quanto afferma la
sentenza 14.03.2011 n. 2241
emessa dal TAR Lazio-Roma, Sez. II, in
merito alla legittimità di una nomina a
membro di una commissione giudicatrice di un
appalto pubblico di un soggetto dipendente
della società Zetema Progetto Cultura srl,
effettuata dal comune di Roma.
In sostanza si sosteneva, nel ricorso
presentato per l'annullamento del
provvedimento di nomina, che si trattava di
soggetto esterno alla organizzazione della
staziono appaltante, che avrebbe dovuto
essere selezionato nei modi e secondo i
criteri previsti dal comma 8 dell'articolo
84 del Codice dei contratti pubblici
(scegliendo quindi da un elenco di
professionisti candidati fornito dal
corrispondente ordine professionale).
Nello specifico si trattava di un soggetto
dipendente della società Zetema spa, società
in house del comune di Roma per lo
svolgimento dei compiti di gestione dei
musei e delle attività culturali e di
spettacolo e di promozione turistica, che
era distaccato presso un dipartimento del
comune.
I giudici hanno affrontato la questione
chiarendo innanzitutto la portata
dell'articolo 84, comma 8 del Codice che «non
può essere ... (articolo
ItaliaOggi del 25.03.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI - SICUREZZA LAVORO:
Sicurezza e Codice dei Contratti Pubblici.
Pubblicati gli atti del convegno organizzato
da Regione Toscana e ARPAT.
Il 20 e 21.01.2011 si è tenuto a Firenze un
seminario su “La Sicurezza e il nuovo
Regolamento del Codice dei Contratti
Pubblici”, organizzato da ARPAT (Agenzia
Regionale per la Protezione Ambientale della
Toscana) e Regione Toscana.
Gli interventi sono stati i seguenti:
- Verifica dei requisiti Tecnico
Professionali e Redazione del DUVRI;
- Compiti e responsabilità del datore di
lavoro, del dirigente e del preposto nei
lavori e nella esecuzione di servizi e
forniture;
- Il nuovo Regolamento del Codice dei
Contratti Pubblici: aspetti connessi alla
sicurezza;
- Regolamento di esecuzione del codice dei
contratti pubblici;
- Il Prezzario dei Lavori pubblici della
Regione Toscana;
- I controlli delle Direzioni Provinciali
del Lavoro Esperienze, problemi, possibili
soluzioni;
- Controlli e vigilanza dei PISLL sui
cantieri e sui luoghi di esecuzione di
forniture e servizi.
In questo numero di Biblus-net pubblichiamo
le prime due relazioni, rimandando a
successive news l’analisi delle altre. ...
(link a www.acca.it). |
APPALTI:
Esclusione dalla gara di
una ditta per difetto del requisito della
capacità economica e finanziaria.
Nel caso in cui il disciplinare di gara
imponga, a pena di esclusione, la
dimostrazione del possesso del requisito
della capacità economica e finanziaria
mediante almeno due dichiarazioni di
istituti di credito attestanti,
espressamente, la disponibilità di mezzi
finanziari adeguati per l’assunzione dello
specifico servizio oggetto della procedura
di evidenza pubblica, è legittima
l’esclusione dalla gara di una ditta che
abbia presentato due referenze bancarie
attestanti esclusivamente e genericamente la
complessiva affidabilità della ditta stessa
sotto il profilo finanziario; in tal caso,
infatti, le referenze presentate dal
concorrente escluso devono ritenersi del
tutto generiche e non corrispondenti a
quanto richiesto a pena di esclusione dal
disciplinare di gara e, in quanto tali,
inidonee a dimostrare l’effettivo possesso
dei requisiti di carattere
economico-finanziario richiesti dalla P.A.
per la corretta gestione del servizio da
appaltare (1).
---------------
(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna
che nella specie non era applicabile l’art.
46 del D.lgs. n. 163/2006 e quindi la
possibilità per la concorrente di integrare
le dichiarazioni presentate benché carenti
nei contenuti, atteso che, proprio alla luce
delle previsioni del disciplinare, detta
facoltà non era esercitabile da parte
dell’Amministrazione, in quanto era stata
prevista espressamente quale causa di
esclusione dalla gara l’ipotesi in cui le
dichiarazioni rese dagli istituti bancari o
intermediari autorizzati non avessero
attestato specificatamente quanto richiesto.
Un diverso comportamento, volto a consentire
l’integrazione di una dichiarazione resa in
termini difformi da quanto richiesto dalla
lex specialis, con espressa previsione della
sanzione dell’esclusione, si sarebbe
rivelato in palese violazione del bando di
gara e della par condicio fra i concorrenti
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 413 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Comunicazioni ex art. 79
d.lgs. n. 163/2006, c. 5 - Forma.
Ai sensi dell’art. 79 del D.L.vo 163 del
2006, comma 5-bis (introdotto per effetto
dell’art. 2 dello stesso D.L.vo 53 del
2010), le comunicazioni di cui al comma 5
-aggiudicazione definitiva, esclusione dalla
gara, decisione di non aggiudicare un
appalto o di non concludere un
accordo-quadro, data dell’avvenuta
stipulazione del contratto con
l’aggiudicatario- sono fatte per iscritto,
con lettera raccomandata con avviso di
ricevimento o mediante notificazione o
mediante posta elettronica certificata
ovvero mediante fax, se l’utilizzo di
quest'ultimo mezzo è espressamente
autorizzato dal concorrente (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 403 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Cessione
di ramo di azienda - Subingresso del
cessionario nei rapporti attivi e passivi
del cedente.
Con la cessione del ramo di azienda si
determina il subingresso del cessionario nel
complesso dei rapporti, attivi e passivi del
cedente tra i quali deve ricomprendersi
anche il possesso dei titoli, referenze o
requisiti maturati nello svolgimento
dell’attività cui il ramo ceduto è riferito.
Si rende così possibile l’utilizzo dei
requisiti riferiti al ramo d’azienda ceduto
in quanto aventi natura oggettiva.
È ammessa la circolazione oggettiva di
alcune referenze proprie dell’operatore
economico in quanto non strettamente
personali dell’imprenditore, che possono
quindi essere fatte valere da un diverso
soggetto, secondo il principio
dell’avvalimento, a condizione che questo
dimostri di poterne effettivamente disporne.
La possibilità di subentro nel contratto da
parte del cessionario di un ramo di azienda
è subordinata, in base all’articolo 116 del
Dlgs 163/2006, al positivo accertamento del
possesso sia dei requisiti di ordine
soggettivo che dei requisiti di ordine
speciale previsti in sede di gara, al fine
di garantire la stazione appaltante circa la
permanenza, in caso di modificazione
soggettiva dell’esecutore del contratto, dei
requisiti accertati in capo al soggetto
affidatario del contratto, quale diretta
conseguenza della peculiarità del contratto
posto in essere dall’Amministrazione in
esito alla particolare procedura a evidenza
pubblica (TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 10.03.2011 n. 2187 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Cessione di ramo
d'azienda e subentro nel contratto
d'appalto.
1.
La vicenda inerente la cessione, da parte
dell’aggiudicataria del contratto, del ramo
d’azienda e la conseguente richiesta da
parte della cessionaria di subentrare nel
relativo contratto, pur inserendosi nella
fase esecutiva del contratto, è
caratterizzata da una sequenza
procedimentale di tipo valutativo, a
carattere almeno parzialmente discrezionale,
volta all’accertamento, in capo alla società
cessionaria, dei necessari requisiti
richiesti per lo svolgimento del servizio
oggetto di contratto.
Trattasi di poteri valutativi discrezionali
di tipo autoritativo del tutto simili a
quelli esercitati dalla stazione appaltante
durante la procedura di gara, finalizzati
alla verifica del possesso dei requisiti di
capacità economico finanziaria richiesti dal
bando.
Pertanto, la posizione di diritto soggettivo
connessa alla fase esecutiva del contratto,
che esclude la giurisdizione del giudice
amministrativo, è rinvenibile solo con
riferimento alla posizione dell’originaria
aggiudicataria, mentre con riguardo alla
posizione della società cessionaria del ramo
d’azienda che intende subentrare nel
contratto stipulato dalla cedente, è
rinvenibile una posizione di interesse
legittimo che incardina la giurisdizione del
giudice amministrativo.
2.
La possibilità di subentro nel contratto da
parte del cessionario di un ramo di azienda
è, quindi, normativamente subordinata al
positivo accertamento del possesso sia dei
requisiti di ordine soggettivo che dei
requisiti di ordine speciale previsti in
sede di gara, al fine di garantire la
stazione appaltante circa la permanenza, in
caso di modificazione soggettiva
dell’esecutore del contratto, dei requisiti
accertati in capo al soggetto affidatario
del contratto.
A tale scopo la società cessionaria potrà
avvalersi non della totalità dei requisiti
della cedente ma solo di quelli relativi al
ramo d'azienda ceduto (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 10.03.2011 n. 2187 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sigillatura delle
buste.
La chiusura tramite sigillatura di un plico,
pur in un’ottica estensiva ed attenta al
perseguimento delle finalità sostanziali
sottese alle prescrizioni formali, deve
comunque consistere in una modalità di
chiusura ermetica, tale da assicurare
l’integrità del plico ed impedirne
l’apertura senza lasciare manomissioni o
segni apprezzabili, al fine di assicurare il
raggiungimento delle finalità per cui tale
adempimento è richiesto (ex plurimis:
Cons. Stato, Sez. VI, 17.07.2008 n. 3599 e
20.04.2006 n. 2000; Sez. V, 18.03.2004 n.
1411).
Ed invero, la previsione del bando di gara
che impone la presentazione da parte dei
concorrenti di plico e buste sigillati e
controfirmati sui lembi di chiusura risponde
alla ratio di garantire, oltre ogni
ragionevole dubbio o interpretazione
discrezionale, la genuinità e paternità
della domanda di partecipazione e della
documentazione a questa allegata, la quale
può essere assicurata solo se la sigillatura
sia tale da impedire che il plico possa
essere aperto senza che ne resti (massima
tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.03.2011 n. 1553 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sigillatura delle
buste nell'ambito delle procedure di
affidamento di appalti pubblici.
Secondo consolidata giurisprudenza, in
materia di appalti pubblici, l'indicazione
della necessità del sigillo, nell'ipotesi in
cui l'amministrazione, nell'esercizio del
potere di decidere in ordine al regolamento
di gara, non ne specifichi particolari
modalità, risponde all'esigenza di garantire
che la busta non possa essere aperta se non
a prezzo di manometterne visibilmente la
chiusura; il termine "sigillare" va
interpretato nel senso estensivo, indicante
una chiusura ermetica, tale da impedire ogni
accesso o rendere evidente qualsivoglia
tentativo di apertura.
Nel caso in esame, la lex specialis
testualmente prescrive, a pena di
esclusione, la necessità che il plico
contenente l'offerta risulti trovarsi in
busta sigillata, controfirmato sui lembi di
chiusura, così da garantirne l'integrità e
segretezza, non riferendosi, pertanto, ad
una tipologia specifica (nella specie si
discute se possa esservi un riferimento
specifico all'utilizzo della ceralacca)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.03.2011 n. 1553 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti pubblici -
Direttiva 2004/18/CE - Concessione di
servizio pubblico - Servizi di soccorso -
Distinzione tra "appalto pubblico di
servizi" e "concessione di servizi".
L'art. 1, nn. 2, lett. d), e 4, della
direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 31.03.2004, 2004/18/CE, relativa
al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, deve
essere interpretato nel senso che, quando la
remunerazione dell'operatore economico
selezionato è integralmente garantita da
soggetti diversi dall'amministrazione
aggiudicatrice che ha attribuito il
contratto di prestazione di servizi di
soccorso e tale operatore economico incorre
in un rischio di gestione, per quanto molto
ridotto, poiché, in particolare, l'importo
dei corrispettivi d'uso dei servizi in
questione dipende dall'esito di trattative
annuali con soggetti terzi e non gli è
garantita una copertura integrale dei costi
sostenuti nell'ambito di una gestione delle
sue attività conforme ai principi sanciti
dal diritto nazionale, tale contratto deve
essere qualificato come contratto di "concessione
di servizi", ai sensi dell'art. 1, n. 4,
della stessa direttiva.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto
pubblico di servizi e di concessione di
servizi, fornite, rispettivamente, dal n. 2,
lett. a) e d), e dal n. 4 dell'art. 1 della
direttiva 2004/18, risulta che la differenza
tra un appalto pubblico di servizi e una
concessione di servizi risiede nel
corrispettivo della prestazione di servizi.
L'appalto di servizi comporta un
corrispettivo che, senza peraltro essere
l'unico, è versato direttamente
dall'amministrazione aggiudicatrice al
prestatore di servizi, mentre, nel caso di
una concessione di servizi, il corrispettivo
della prestazione di servizi consiste nel
diritto di gestire il servizio, o da solo o
accompagnato da un prezzo (Corte di
giustizia europea, Sez. III,
sentenza 10.03.2011 n. C-274/09 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
PUBBLICITA' SEDUTE DI
GARA.
Il principio di
pubblicità, che risponde all'esigenza di
garantire la trasparenza delle operazioni di
gara, opera, indipendentemente dal fatto che
il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in
cui all'aggiudicazione si pervenga
attraverso un'attività di tipo
procedimentale, ancorché semplificata e,
quindi, anche in relazione ai cottimi
fiduciari.
E' quanto affermato dal TAR Sardegna, Sez.
I, con la
sentenza 10.03.2011 n. 212, ove
viene consolidato l'orientamento favorevole
ad una generale applicabilità del principio
di pubblicità delle sedute di gara,
indipendentemente dalla prescelta tipologia
di individuazione del miglior contraente.
Dunque, il cottimo fiduciario, quale
procedura negoziata in economia, risulta
disciplinato dalle disposizioni normative,
contenute nell'articolo 125 medesimo, e dai
principi regolanti l'affidamento e
l'esecuzione del contratto, previsti
dall'articolo 2 del Codice. Ora, fra questi
principi, vi è pure quello di pubblicità.
Tuttavia, come si anticipava, non risulta
del tutto pacifico se, relativamente al
cottimo fiduciario, tale principio comporti
pure la pubblicità delle sedute di gara,
cioè la loro non riservatezza.
In altri termini, si discute se il principio
in questione imponga la pubblicità delle
sedute di gara di cottimo fiduciario, al
pari delle altre procedure di scelta del
contraente. Secondo un primo orientamento,
le sedute di cottimo possono svolgersi anche
in modo riservato:
- Il principio di pubblicità delle gare non
si estende alla procedura avente ad oggetto
l'acquisizione di forniture in economia ed
in cottimo fiduciario, non essendo
l'osservanza di tale principio previsto per
essa dall'articolo 125, del codice dei
contratti pubblici (Tar Piemonte, sez. II,
n. 2243/2009).
- Versandosi in tema di cottimo fiduciario,
l'invocato principio di pubblicità delle
gare non si estende alla procedura avente ad
oggetto l'acquisizione di forniture in
economia, non essendo l'osservanza di tale
principio previsto dall'art. 125 del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163 (Tar Friuli, n. 716/2010).
Ad avviso di tale orientamento, assume
importanza il fatto che l'articolo 125, che
disciplina le procedure in economia ed il
cottimo fiduciario, non contempla il
principio di pubblicità. In tal modo, si
sottovaluta completamente il rinvio, che lo
stesso comma 14° dell'articolo 125 compie ai
principi desumibili dal codice e dal
regolamento. Una lettura indubbiamente
restrittiva, che appare preoccupata solo di
valorizzare al massimo le caratteristiche di
semplificazione del cottimo, dimenticando,
in modo non convincente, il rinvio ai
principi.
Viceversa, secondo un altro indirizzo,
proprio l'assetto dei principi generali, cui
anche le procedure in economia debbono
inspirarsi, implica la doverosa pubblicità
delle sedute di gara: Contrariamente a
quanto la resistente amministrazione mostra
di ritenere il principio di pubblicità delle
sedute, che risponde all'esigenza di
garantire la trasparenza delle operazioni di
gara, opera, anche nei riguardi del cottimo
fiduciario ed indipendentemente dal fatto
che il bando lo preveda (Tar Sardegna, sez.
I, n. 85/2011).
Ciò comporta che la fase di apertura dei
plichi, contenenti la documentazione
amministrativa e la verifica della medesima,
nonché quella di apertura delle buste con le
offerte economiche, devono sempre avvenire
in seduta pubblica, così da assicurare a
tutti i partecipanti la possibilità di
assistere alle relative operazioni, a tutela
del corretto svolgimento della procedura. In
precedenza, la pubblicità delle sedute era
stata statuita anche dal Consiglio di Stato
(sez. V, n. 8006/2010), il quale aveva
rilevato che le procedure per
l'aggiudicazione di contratti con la P.A.,
compresa la trattativa privata, debbono
rispettare i principi di trasparenza e di
adeguata pubblicità.
Il Tar Sardegna, nella pronuncia in esame,
aderisce a tale secondo orientamento, sulla
base del seguente e convincente percorso
argomentativo:
a) Il cottimo fiduciario, ai sensi della
richiamata normativa, ha natura di procedura
negoziata.
b) Il Dpr n. 384/2001 (regolamento di
semplificazione dei procedimenti di spese in
economia), cui fa riferimento la difesa
dell'impresa controinteressata, nulla
dispone in ordine alle modalità di
svolgimento delle sedute di gara, per cui
non è idoneo a sorreggere un'interpretazione
restrittiva della portata applicativa del
principio di pubblicità.
c) Diversamente opinando, peraltro, il
regolamento sarebbe da disapplicare, in
quanto contrastante con un principio
operante a livello di norma primaria (art.
2, Codice).
d) Contrariamente a quanto sostenuto dalla
stazione appaltante, nessun rilievo può
essere attribuito al fatto che l'allegato
IX-A al Codice dei contratti pubblici
individui le persone ammesse ad assistere
all'apertura delle offerte solo con riguardo
alle procedure aperte.
e) Infatti, il principio di pubblicità
esplica una valenza generale ed opera, anche
in quanto diretto a garantire la
trasparenza, indipendentemente dal fatto che
il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in
cui all'aggiudicazione si pervenga
attraverso un'attività di tipo
procedimentale, ancorché semplificata e,
quindi, anche in relazione ai cottimi
fiduciari.
Il secondo indirizzo, cui aderisce la
sentenza in esame, appare sicuramente più
convincente, oltre che per le ragioni ora
illustrate, anche per due precise
considerazioni. In primo luogo, deve essere
osservato che il principio di pubblicità
delle sedute di gara trova applicazione
anche nei settori speciali (gas, energia
termica, elettricità, acqua, trasporti,
servizi postali, sfruttamento di area
geografica): Sussiste la necessità
dell'obbligo di seduta pubblica anche nei
settori speciali, come da ultimo più volte
affermato (TAR Lombardia, Sez. I, 23.09.2009
n. 4801, TAR Lombardia, Sez. I 13.10.2008 n.
4757), atteso che le medesime istanze poste
a fondamento del principio di trasparenza,
che hanno indotto la stazione appaltante
all'apertura in seduta pubblica della
documentazione amministrativa, debbano, a
maggior ragione, trovare applicazione anche
in sede di apertura dell'offerta economica
(Ord. Tar Lombardia, sez. Milano,
30.09.2010, n. 1061). Quindi, se il
principio trova applicazione anche nei
settori speciali, contrassegnati da
rilevanti peculiarità anche di disciplina,
non si comprende perché non debba trovare
cittadinanza in relazione al cottimo
fiduciario, ricompreso nei settori ordinari.
In secondo luogo, occorre tener conto anche
dell'oramai imminente disciplina
regolamentare (Dpr n. 207/2010, entrante in
vigore l'08.06.2011). Infatti, il comma 2°,
dell'articolo 120, ricompreso nella Parte
II, disciplinante i settori ordinari,
stabilisce che “in una o più sedute
riservate, la commissione valuta le offerte
tecniche e procede all'assegnazione dei
relativi punteggi applicando, i criteri e le
formule indicati nel bando o nella lettera
di invito. Successivamente, in seduta
pubblica, la commissione dà lettura dei
punteggi attribuiti alle singole offerte
tecniche, procede alla apertura delle buste
contenenti le offerte economiche e, data
lettura dei ribassi espressi in lettere e
delle riduzioni di ciascuna di esse, procede
secondo quanto previsto dall'articolo 121
(calcolo della soglia di anomalia)".
Appare ben chiaro che la seduta pubblica si
impone sempre, a prescindere dalla tipologia
di gara, mentre la seduta riservata viene
confinata alla sola fase di valutazione
delle offerte tecniche (tratto dalla
newsletter di
www.centrostudimarangoni.it
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il principio di
pubblicità della gara si applica anche nel
cottimo fiduciario.
Il principio di pubblicità della gara
risponde all'esigenza di garantire la
trasparenza delle operazioni di gara ed
opera, indipendentemente dal fatto che il
bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui
all'aggiudicazione si pervenga attraverso
un'attività di tipo procedimentale, ancorché
semplificata e quindi anche in relazione ai
cottimi fiduciari.
L'applicazione del detto principio implica
che la fase concernente l'apertura dei
plichi contenenti la documentazione
amministrativa e tecnica, quella di verifica
della detta documentazione, e quella di
apertura delle buste con le offerte
economiche, debbano sempre avvenire in
seduta pubblica, così da assicurare a tutti
i partecipanti la possibilità di assistere
alle relative operazioni a tutela del
corretto svolgimento della procedura (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 10.03.2011 n. 212 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo, in capo
alla commissione di una gara d'appalto, di
stabilire i criteri ed sub criteri di
ammissione alla procedura, antecedentemente
alla redazione delle offerte da parte dei
concorrenti.
L'art. 83, commi 2 e 4, del d.lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti), in
riferimento alle procedure di gara da
affidarsi con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, stabilisce
che il bando deve indicare i criteri di
valutazione, la ponderazione relativa
attribuita a ciascuno di essi, così come
nonché gli eventuali sub criteri, sub pesi o
sub punteggi.
Inoltre, la facoltà, attribuita alla
commissione giudicatrice di fissare, prima
dell'apertura delle buste contenenti le
offerte, i criteri motivazionali cui si
sarebbe attenuta per attribuire a ciascun
criterio e sub criterio di valutazione il
punteggio tra il minimo ed il massimo
prestabiliti dal bando, non è più
necessaria, in quanto soppressa dall'art. 1,
c. 1, lett. u), del d.lgs. n. 152/2008.
In ogni caso, secondo una pronuncia della
Corte di Giustizia, precedente alla suddetta
modifica, al fine di garantire il rispetto
dei principi di parità di trattamento e di
trasparenza, occorre che tutti gli elementi
valutati dalla stazione appaltante al fine
di identificare l'offerta economicamente più
vantaggiosa, siano noti ai potenziali
concorrenti al momento della preparazione
delle loro offerte.
Nel caso di specie, ciò non si è verificato,
in quanto, nella predetta fase, le imprese
partecipanti alla gara ignoravano che
l'assenza di un dato sub criterio avrebbe
comportato l'emissione di un provvedimento
espulsivo, in quanto il criterio era stato
fissato dalla commissione solo dopo la
scadenza del termine relativo alla
presentazione delle offerte.
Pertanto, la concorrente non è stata posta
nelle condizioni di conoscere tutti gli
elementi indispensabili per la redazione di
un'offerta rispondente, in concreto, alle
esigenze dell'amministrazione (TAR Trentino
Alto Adige-Bolzano,
sentenza 10.03.2011 n. 98 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Appalto - Informativa antimafia - Ampiezza
dei poteri di accertamento della p.a. -
Sussiste - Conseguenze - E' sufficiente un
giudizio prognostico della p.a.
sull'eventuale presenza di infiltrazioni
criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento della
p.a. circa i tentativi di infiltrazione
mafiosa o della criminalità organizzata, in
considerazione della finalità preventiva del
provvedimento, giustifica che il Prefetto
possa ravvisare l'emergenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa in fatti che seppure
privi in sé dell'assoluta certezza (quali,
ad esempio, una condanna penale riportata,
collegamenti parentali con soggetti
malavitosi et alia), siano comunque, nella
loro valutazione complessiva, tali da
fondare un giudizio prognostico che
l'attività d'impresa possa, anche in modo
indiretto, agevolare le attività criminali o
esserne in qualche modo condizionata per la
presenza, nei centri decisionali, di
soggetti legati ad organizzazioni mafiose
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n. 677 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della p.a. - Contratti sotto soglia -
Procedura di aggiudicazione - Pubblicazione
del bando da parte del Comune - A mezzo
internet - Legittimità - Sussiste.
In relazione alle procedure di
aggiudicazione dei contratti "sotto
soglia", da individuarsi alla stregua
dei criteri stabiliti dall'art. 3, comma 17,
D.Lgs. 163/2006, l'utilizzo di internet
costituisce uno strumento idoneo a portare
il bando a conoscenza di una platea di
destinatari potenzialmente estesa, che va
ben al di là dell'ambito regionale, sicché
risulta garantito l'obiettivo della
conoscibilità del bando medesimo
(Impugnazione promossa dall'Ordine regionale
dei geologi lombardi con riferimento ad una
procedura di affidamento di un incarico
professionale disposta da un Comune,
relativamente ad uno studio geologico a
supporto del piano di governo del
territorio) (Conf. v. Cons. Stato, sez.
V, 03.01.2002, n. 10) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n. 663 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Giustizia amministrativa
- Competenza per territorio - In materia di
appalti da eseguirsi nel territorio di una
Regione - Competenza TAR locale - Sussiste -
Anche in caso di impugnazione di bandi
nazionali.
Il TAR locale è competente a giudicare sulle
controversie aventi ad oggetto atti di una
procedura di evidenza pubblica relativa ad
appalti o affidamenti che devono eseguirsi
nel territorio di una Regione, risultando
indifferente che vengano impugnati bandi
nazionali o altri atti generali interni alla
procedura, ancorché emessi da organi
centrali dello Stato, ovvero che la gara si
sia svolta a Roma (cfr. ex plurimis
Cons. Stato, sez. VI, 23.03.2010, n. 1690;
Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3102;
Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2005, n. 3045)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n. 662 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Appalto - Gara - Aggiudicazione -
Impugnazione - Termine - Decorre dalla
comunicazione di cui all'art. 79, comma 5,
Codice dei contratti pubblici per i
concorrenti - Decorre dalla pubblicazione
dell'Albo pretorio per coloro che non
abbiano partecipato alla gara.
La comunicazione prevista dall'art. 79,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici
costituisce condizione imprescindibile
perché il concorrente consegua la piena
conoscenza di un elemento essenziale del
provvedimento lesivo e, cioè, l'identità del
soggetto aggiudicatario, cosicché il termine
per l'impugnazione dell'aggiudicazione di
una gara da parte di chi ad essa ha
partecipato decorre non già dalla
pubblicazione della delibera di
aggiudicazione definitiva all'Albo pretorio,
bensì dalla data di piena conoscenza della
delibera stessa conseguibile soltanto a
mezzo della richiamata comunicazione.
Viceversa, la mera pubblicazione della
delibera all'Albo pretorio costituisce forma
di conoscenza legale soltanto per chi, non
avendo partecipato alla procedura selettiva,
non è direttamente contemplato nell'atto in
questione e non è, quindi, destinatario
della comunicazione prevista dall'art. 79
comma 5, del Codice dei contratti (conf. v.
TAR Lazio Roma, sez. II, 02.12.2010, n.
35031) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n. 661 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti della p.a.
- Appalto - Gara - Verifica di anomalia
dell'offerta - Modalità - Obbligo di
verificare l'inesattezza delle singole voci
- Non sussiste - Valutazione complessiva
dell'offerta - Legittima.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara -
Offerte - Mancato rispetto dei limiti
tabellari ovvero dei valori indicati dalla
contrattazione collettiva - Non determina
l'automatica esclusione dalla gara -
Ammissibilità delle giustificazioni relative
al costo del personale da parte
dell'aggiudicataria - Sussiste.
1. Il giudizio di verifica della congruità
di un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta
nel suo insieme, e non ha per oggetto la
ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, mirando invece ad
accertare se l'offerta nel suo complesso sia
attendibile e, dunque, se dia o meno serio
affidamento circa la corretta esecuzione
dell'appalto.
2. Il mancato rispetto dei minimi tabellari,
o, in mancanza, dei valori indicati dalla
contrattazione collettiva in tema di costo
del lavoro da parte di un'impresa
concorrente non ne determina l'automatica
esclusione dalla gara, ma costituisce un
importante indice di anomalia dell'offerta
che dovrà essere poi verificata attraverso
un giudizio complessivo di remuneratività
consentendo, quindi, all'impresa interessata
di fornire le proprie giustificazioni in
merito.
Deve, di conseguenza, ritenersi legittimo il
comportamento tenuto da una Commissione di
gara che abbia ammesso le giustificazioni
relative al costo del personale presentate
dall'aggiudicataria senza procedere
all'esclusione automatica della stessa,
anche in ossequio ai principi di diritto
comunitario in materia di libera concorrenza
(conf. v., ex multis, Cons. Stato,
Sez. VI, 22.07.2010, n. 4783) (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.03.2011 n. 660 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Autodichiarazioni:
la carta di identità è sottratta
all'accesso. La tutela della privacy dei
dati contenuti nella carta di identità
prevale sul diritto di accesso.
Questo il principio che si ricava
dall'estemporanea ordinanza 09.03.2011 n.
545 del TAR Lombardia-Milano per la
quale è legittimo il comportamento di una
stazione appaltante che, in sede di accesso
agli atti esercitato da una concorrente, non
abbia reso ostensibile, né rilasciato in
copia, la fotocopia della carta di identità
dei legali rappresentanti della ditta
aggiudicataria, per ragioni di tutela della
privacy.
Questi i fatti.
Nell’ambito di una procedura per
l’affidamento di un contratto di
concessione, il concorrente secondo
classificato esercitava il proprio diritto
di accesso agli atti di gara, compresa
l’offerta risultata aggiudicataria.
In quella sede non erano rese disponibili,
neppure sotto la forma della semplice
esibizione, le copie dei documenti di
identità dei rappresentanti
dell’aggiudicataria, inerenti le
autodichiarazioni rilasciate in forza
dell’art. 38, comma 3, del Dpr 28.12.2000,
n. 445.
La Stazione appaltante taceva peraltro
l’esistenza o meno, tra i documenti a sua
disposizione, della copia della carta
d’identità.
La circostanza era oggetto di censura da
parte del concorrente secondo classificato,
in sede di impugnazione al Tar Milano, sul
presupposto dell’inesistenza del documento.
In giudizio, l’amministrazione sosteneva che
i documenti di identità non erano stati
oggetto di ostensione né rilasciati in copia
per tutelare la privacy del dichiarante.
A suo dire, la carta d’identità contiene
infatti dati sensibili.
Con ordinanza n. 545 del 09.03.2011, il
giudice meneghino (F. Mariuzzo Presidente,
H. Simonetti Estensore) respingeva l’istanza
cautelare e, con riferimento alle censure
avanzate riguardo alla mancata ostensione e
trasmissione dei documenti di identità, così
motivava: “ad un primo esame condotto
anche al lume delle puntuali e documentate
repliche dell’Azienda ospedaliera, non
emergono vizi tali da comportare
l’esclusione dalla gara”.
In sintesi, la motivazione per relationem
fa proprie le ragioni della Stazione
appaltante, per cui a tutela della privacy i
documenti di identità devono considerarsi
sottratti all’accesso.
L’azzardata conclusione del Tar Milano
contrasta non solo con l’art. 13 del Codice
dei contratti e l’art. 24 della legge n.
241/1990 (che indica i documenti sottratti
all’accesso), ma anche con i precedenti
dello stesso giudice: “... anche a
seguito delle modifiche apportate alla legge
n. 241/1990 dalla L. 11.02.2005 n. 15,
l'accesso ad un documento amministrativo non
può mai essere astrattamente negato
adducendo l'esistenza di dati personali.
Ciò, in quanto la scelta legislativa è stata
quella di imporre all'amministrazione
procedente, in quanto destinataria di
un'istanza di accesso, di porre in essere un
vero e proprio procedimento amministrativo,
al fine di operare il dovuto bilanciamento,
in relazione alla concreta fattispecie, tra
le esigenze di trasparenza e quelle di
riservatezza, che ogni specifica istanza
sottende.” (TAR Milano sez. IV,
12.05.2010 n. 1464; in questo senso, Sez.
III, 03.11.2009 n. 4951).
La limitazione riferita contrasta con il
consolidato orientamento giurisprudenziale
che, anzi, mostra di tutelare ovviamente
l’interesse dei concorrenti ad accedere agli
atti di gara: “Ai sensi dell’art. 13,
comma 6 codice dei contratti, è ammesso
l’accesso agli atti di una gara d’appalto da
parte di un’impresa che vi ha preso parte
quando esso sia funzionale alla difesa in
giudizio dei propri interessi, anche quando
la richiesta di ostensione è diretta a
conoscere le offerte tecniche delle ditte
risultate prime due graduate. Al fine di
tutelare i segreti tecnici o commerciali
contenuti nelle offerte, il giudice può
limitare l’accesso ad alcune parti dei
documenti richiesti.” (Consiglio di
Stato, sez. VI, 01.02.2010, n. 524).
Diritto alla difesa in giudizio che da tempo
l’Adunanza Plenaria reputa prevalere sulla
privacy: “Alla stregua di tale ultima
disposizione, che ribadisce quanto già
stabilito alla lett. d) del secondo comma
dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990,
ritiene questa Adunanza plenaria che il
quesito sottoposto dall'ordinanza di
rimessione deve essere risolto nel senso che
l'accesso, qualora venga in rilievo per la
cura o la difesa di propri interessi
giuridici, debba prevalere rispetto
all'esigenza di riservatezza del terzo.”
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
04.02.1997, n. 5).
Ed è pacifico che i documenti debbano essere
resi sia in visione sia in copia: “Né
l’art. 13, comma 6, d.lgs. n. 163/2006, né
l’art. 24, nella formulazione risultante a
seguito della l. n. 15/2005, prevedono che
l’accesso c.d. difensivo, come tale
prevalente sulle antagoniste ragioni di
riservatezza o di segretezza tecnica o
commerciale, possa e debba essere esercitato
nella forma della sola visione, senza
estrazione di copia.” (Consiglio di
Stato, sez. VI, 19.10.2009, n. 6393).
La tesi del Tar Milano cozza anche contro la
realtà: i dati contenuti nella carta
d’identità sono già resi pubblici da parte
del soggetto che formula
l’autodichiarazione, il quale declina le
proprie generalità (nome, cognome, luogo e
data di nascita, residenza).
Gli unici dati contenuti nella carta
d’identità ‘cartacea’ che non
risultano in sede di autodichiarazione sono
altezza, peso e colore degli occhi, che
peraltro attengono all’aspetto fisico e sono
quindi ben visibili a tutti, salvo
travisamenti più o meno vezzosi.
Sostenere quindi che la carta di identità
contenga dati sensibili, tanto da sottrarla
all’accesso agli atti per una procedura
concorsuale, contraddice il comune buon
senso, prima ancora che il diritto.
Non resta ora che attendere altre pronunce
per capire se l’ordinanza del Tar Milano è
una fuga in avanti od un caso isolato
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Rapporto tra
aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione
definitiva nel Codice dei Contratti
Pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 08.03.2011 n. 1446 ha
chiarito come nell’ambito di una procedura
di scelta del contraente, l’aggiudicazione
provvisoria rappresenta un atto necessario
ma non decisivo atteso che l’individuazione
definitiva del concorrente risulta
cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione
definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un
ricorso presentato da un soggetto che dopo
essere stato dichiarato aggiudicatario
provvisorio, aveva successivamente impugnato
il provvedimento con il quale la stazione
appaltante aveva annullato, in autotutela,
l’aggiudicazione provvisoria. In particolare
veniva censurata la mancata comunicazione di
avvio del procedimento che si era concluso
con l’adozione del provvedimento in
autotutela.
Per una migliore comprensione della
decisione in commento, sembra opportuno
riportare le disposizioni del d.lgs.
163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che
disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e
l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di
affidamento) al suo comma 5 prevede che “La
stazione appaltante, previa verifica
dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi
dell’art. 12 comma 1, provvede
all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle
procedure di affidamento) prevede, al 1°
comma, che “L’aggiudicazione provvisoria
è soggetta ad approvazione dell’organo
competente secondo l’ordinamento delle
amministrazioni aggiudicatrici e degli enti
aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti
aggiudicatori, nel rispetto dei termini
previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti
dal ricevimento dell’aggiudicazione
provvisoria da parte dell’organo competente.
In mancanza, il termine è pari a trenta
giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai
singoli ordinamenti o, in mancanza, quello
di trenta giorni, l’aggiudicazione si
intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può
vedere come nell’ambito del Codice dei
contratti l’aggiudicazione provvisoria
rappresenta solo un presupposto dell’unico
procedimento di aggiudicazione che comunque
deve essere concluso con il provvedimento di
aggiudicazione definitiva.
In conformità al dettato normativo il
Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione
provvisoria ha natura di atto
endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito
della procedura di scelta del contraente
come momento necessario ma non decisivo,
atteso che la definitiva individuazione del
concorrente cui affidare l’appalto risulta
cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione
definitiva; pertanto, versandosi ancora
nell’unico procedimento iniziato con
l’istanza di partecipazione alla gara e
vantando in tal caso l’aggiudicatario
provvisorio solo una aspettativa alla
conclusione del procedimento, non si impone
la comunicazione di avvio del procedimento
in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di
Stato, sez. V, 13.10.2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto,
il Consiglio di Stato ha contribuito
ulteriormente a chiarire come
l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo
necessario ma non decisivo, considerato la
sua natura di atto endoprocedimentale, ai
fini della definitiva aggiudicazione
dell’appalto (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del
mancato avviso di avvio del procedimento
nell'ipotesi di aggiudicazione provvisoria
di una gara d'appalto.
L'aggiudicazione provvisoria ha natura di
atto endoprocedimentale, inserendosi
nell'ambito della procedura di scelta del
contraente come momento necessario ma non
decisivo, atteso che la definitiva
individuazione del concorrente cui affidare
l'appalto risulta cristallizzata soltanto
con l'aggiudicazione definitiva;
pertanto,versandosi ancora nell'unico
procedimento iniziato con l'istanza di
partecipazione alla gara e vantando in tal
caso l'aggiudicatario provvisorio solo una
aspettativa alla conclusione del
procedimento, non si impone la comunicazione
di avvio del procedimento di annullamento in
autotutela.
In ogni caso nella specie il soggetto ha
potuto esporre le sue ragioni sia in sede
amministrativa che in sede giurisdizionale,
per cui il mancato avviso non ha comportato
alcuna lesione della sua posizione
defensionale, oltre al fatto che la materia
sanzionatoria, quale è quella
dell'annullamento di un provvedimento
amministrativo, si sottrae per sua natura
alla comunicazione preventiva dell'avvio del
procedimento che, si ripete, in ogni caso,
non avrebbe potuto comportare alcuna
modifica della soluzione adottata dalla
pubblica amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.03.2011 n. 1446 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le imprese partecipanti
ad un costituendo RTI hanno l'obbligo di
indicare nell'offerta di gara, ai sensi
dell'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006,
oltre alle quote di partecipazione, le quote
di lavori che ciascuna di esse eseguirà.
Poiché l'art. 37, c. 13, del d.lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti), stabilisce
che i concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota
di partecipazione al raggruppamento, deve
sussistere una perfetta corrispondenza tra
la quota di lavori e la quota di effettiva
partecipazione al raggruppamento.
L'indicazione delle quote di partecipazione
-e, quindi dei lavori- si rivela dunque
requisito di ammissione alla gara e deve
provvedersi a tale incombente nella domanda
di partecipazione alla gara e non in sede di
esecuzione del contratto.
Il suddetto c. 13 dell'art. 37 del Codice
dei contratti pubblici ha stabilito quindi
un parallelismo tra le quote di
partecipazione vantate da ciascuna associata
nell'ambito del raggruppamento e le quote di
esecuzione dei lavori che ciascuna di esse è
tenuta obbligatoriamente ad eseguire.
E sulla base delle predette indicazioni
preventive e formali deve essere operata la
verifica della sussistenza delle richieste
qualificazioni per le imprese (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.03.2011 n. 1422 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Termine perentorio di 10
giorni, ex art. 48 del Codice dei contratti
pubblici, per la presentazione della
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa.
Il termine di 10 giorni previsto dall’art.
48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di
verifica "a campione" (che replica
l’art. 10, comma 1-quater, della L.
11.02.1994 n. 109, estendendone la portata a
tutti i contratti ad evidenza pubblica),
entro il quale l’impresa sorteggiata è
tenuta a «… comprovare… il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito…», costituisce
un termine certamente perentorio (recte,
a pena d’esclusione ex lege), come si
evince dal tenore e dalla ratio della
norma.
Tale termine è suscettibile di proroga, ma
solo con atto espresso e motivato della
stazione appaltante, a fronte di
un’altrettanto esplicita richiesta
dell’impresa che dimostri un impedimento
oggettivo e non ad essa imputabile ad
adempiere e sempre che la relativa istanza
sia prodotta prima della scadenza del
termine stesso (V., per tutte, Cons. Stato,
Sez. VI, 15.06.2009 n. 3804; id., 13.12.2010
n. 8730).
Ai fini dell’ottenimento di una proroga del
termine di 10 giorni previsto dall’art. 48
del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di
verifica "a campione", sussiste un
duplice onere, in capo all’impresa
sorteggiata, affinché non sia ritenuta
inadempiente, costituito: a) dall’oggettiva
impossibilità di rispettare detto essenziale
termine; b) dalla necessità di far constare
tal vicenda alla stazione appaltante prima
che quest’ultimo si consumi inutilmente, non
potendosi prorogare un termine scaduto
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 07.03.2011 n. 1420 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il nuovo regolamento sul codice appalti -
Esame e commento (ANCE, febbraio
2011). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
IN MATERIA DI AFFIDAMENTI IN ECONOMIA
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
PRINCIPIO DEL FAVOR
PARTECIPATIONIS E LIMITI ALLA VERIFICA DI
ANOMALIA DELL’OFFERTA.
La sentenza qui segnalata consente di
formulare alcune brevi considerazioni sul
tema del favor partecipationis e dei
limiti che incontra l’Amministrazione nel
verificare l’anomalia dell’offerta.
Nella fattispecie controversa, due operatori
economici partecipavano ad una gara indetta
per l’affidamento di un appalto di servizi,
in cui era richiesto, ai fini della
dimostrazione del possesso delle capacità
tecniche ed organizzative di avere
realizzato un certo fatturato per
prestazioni aventi oggetto analogo a quello
bandito. Successivamente, la seconda
classificata proponeva ricorso avanti al TAR
Lombardia lamentando, tra l’altro, che
l’impresa aggiudicataria non sarebbe stata
in possesso del requisito del fatturato per
servizi analoghi.
Il TAR accoglieva il ricorso annullava
l’aggiudicazione senza nulla disporre in
ordine alla pronuncia di inefficacia del
contratto, all’epoca non stipulato, o in
merito al risarcimento del danno, difettando
una richiesta in tale senso della
ricorrente.
La sentenza veniva impugnata dinanzi al
Consiglio di Stato il quale, con la sentenza
in commento, ha riformato la pronuncia del
Giudice di primo grado.
Secondo la Sezione Quinta, la nozione di
contratto ad oggetto analogo, soprattutto in
fattispecie, (come quella controversa) in
cui viene richiesto agli operatori di
fornire una prestazione complessa che si
articola in una pluralità di “sotto-prestazioni”,
riconducibili a categorie merceologiche
differenti, deve essere ricostruita facendo
riferimento alla categoria “prevalente”,
intendendosi per tale quella che assume il
rilievo preponderante nella causa
economico-giuridica dell’appalto di servizi.
Altrimenti argomentando, si finirebbe per
giungere a conclusioni insostenibili per
ragioni diverse: da un lato, infatti, la
perfetta coincidenza tra i servizi rilevanti
ai fini della dimostrazione del possesso del
requisito e quelli oggetto della gara
implicherebbe una valutazione in termini di
“identità” dei servizi effettuati,
contrastanti con la lettera della legge e
con il principio di concorrenzialità degli
affidamenti; dall’altro, l’equiparazione di
ogni sotto-prestazione avrebbe concretizzato
il rischio di ammettere soggetti privi della
necessaria capacità maturata nella
prestazione principale, cui evidentemente
corrisponde il maggiore interesse
dell’Amministrazione a selezione un
contraente privato dotato della necessaria
esperienza.
Secondo il Consiglio di Stato, quanto più
l’oggetto contrattuale risulta articolato e
complesso, tanto più il riferimento al
concetto di analogia deve intendersi in
senso ampio, implicando correlativamente
l’estensione del margine di apprezzamento
discrezionale attribuito
all’Amministrazione, chiamata a mediare tra
il soddisfacimento dell’interesse pubblico
alla selezione dell’operatore più
specializzato ed il rispetto del principio
del favor partecipationis.
Ovviamente, il giudizio sulla “analogia”
delle prestazioni rispetto all’oggetto della
gara è assoggettato allo scrutinio di
legittimità da parte del Giudice
Amministrativo, il quale potrà sindacare
della ragionevolezza, coerenza e logicità
delle determinazioni assunte dalla
Commissione di gara.
Sempre nella descritta prospettiva di
intermediazione tra l’applicazione dei
requisiti soggettivi e la garanzia della
massima apertura delle procedure deve
intendersi l’affermazione della Sezione
Quinta relativa alla possibilità per
l’Amministrazione di ammettere soggetti che
non abbiano presentato almeno due lettere di
referenze bancarie. In questo caso, il punto
di equilibrio tra i diversi interessi è
costituito dall’esplicitazione della
possibilità di presentare di una sola
lettera di referenze già in sede di
chiarimenti preliminari alla presentazione
dell’offerta, accompagnata dalla
precisazione che in questo caso l’offerta
avrebbe dovuto contenere puntuali
giustificazioni al riguardo.
Da ultimo, il Consiglio di Stato ha ritenuto
legittima la decisione dell’Amministrazione
di non procedere alla verifica dell’anomalia
nonostante l’aggiudicataria avesse
conseguito punteggi superiori alla soglia
dei quattro quinti dei punti massimi
previsti dal bando di gara.
A questo proposito, la Sezione Quinta ha
osservato che trattandosi di un appalto di
servizi sotto la soglia comunitaria, da
aggiudicare secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, indetto
prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n.
207 del 2010 (che reca disposizioni ben più
puntuali di quelle del Codice in tema di
anomalia delle offerte negli appalti sotto
soglia), la disciplina codicistica sulla
verifica dell’anomalia delle offerte di cui
all’art. 86 non era direttamente ed
integralmente applicabile, con la
conseguenza che la decisione in ordine alla
verifica di anomalia “era affidata in via
di principio al prudente apprezzamento
discrezionale dell’Amministrazione”.
In mancanza, peraltro, di un’espressa
previsione in tal senso nella lex
specialis, non poteva ritenersi che
l’Amministrazione fosse comunque tenuta ad
avviare il subprocedimento di verifica
dell’anomalia, né tale obbligo potrebbe
validamente desumersi dalla circostanza che
era richiesto ai concorrenti di presentare
la scheda relativa alla scomposizione del
prezzo, in quanto tale adempimenti, anche se
obiettivamente preordinato alla successiva
verifica dell’anomalia, non vale ex se
a trasformare in obbligatorio un
approfondimento istruttorio che resta
comunque rimesso all’apprezzamento
discrezionale della stazione appaltante
(commento tratto da
www.amministrazioneincammino.luiss.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2011 n. 1401 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Alla mancata
presentazione di una delle dichiarazioni
prescritte, circa l'insussistenza di
sentenze di condanna per reati gravi che
incidono sulla moralità professionale,
l’impresa partecipante non può rimediare con
la successiva integrazione.
L’esigenza di ordinato svolgimento della
gara e di opportuna trasparenza richiedono
di anticipare al momento della presentazione
dell’offerta la dichiarazione del possesso
dei prescritti requisiti.
Circa il possesso dei requisiti di moralità
professionale, l’art. 38, comma 1, del
codice dei contratti è chiaro: “sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento…” i soggetti nei cui
confronti sono state emesse sentenze di
condanna per reati gravi che incidono sulla
moralità professionale e che nelle società a
responsabilità limitata e per azioni
ricoprono la carica di amministratore con
poteri di rappresentanza o di direttore
tecnico; inoltre al comma 2 l’articolo
suddetto precisa che il concorrente attesta
il possesso dei requisiti mediante
dichiarazione sostitutiva resa con le
modalità stabilite dal DPR 28.12.2000, n.
445.
Pertanto, il tenore testuale della
disposizione (che dispone l’esclusione dalla
partecipazione alla gara per le imprese che
non presentano dichiarazione sostitutiva
delle apposite certificazioni), nonché la
lettura sistematica e teleologica della
medesima, non consentono di ritenere che
alla mancata presentazione di una delle
dichiarazioni prescritte l’impresa
partecipante possa rimediare con la
successiva integrazione, come avvenuto nel
caso di specie.
Con specifico
riguardo alle ipotesi (come nel caso di
specie) in cui in concreto il soggetto (che
non ha presentato la dichiarazione di
assenza di cause ostative) risulti
effettivamente in possesso dei prescritti
requisiti di moralità, la Sezione è
consapevole che la giurisprudenza di questo
Consiglio (come rappresentato anche negli
scritti difensivi delle parti in causa) ha
espresso di recente due antitetici
orientamenti: uno, che dando rilievo al
soddisfacimento effettivo dell’interesse
pubblico sotteso alla disposizione in esame
ha ritenuto integrabile in corso di gara le
dichiarazioni di assenza di cause ostative
alla partecipazione, purché il soggetto (che
le aveva omesse) di fatto possedesse i
requisiti di moralità (vedi CdS, V, n.
829/2009 e n. 1077/2010 e n. 7957/2010) e
l’altro che (per assicurare la necessaria
verifica sull’affidabilità dei soggetti
partecipanti) ha, invece, escluso del tutto
la integrabilità delle dichiarazioni in
corso di gara, dando preminente rilievo alla
interpretazione testuale e sistematica delle
disposizioni relative anche alla verifica
della veridicità delle dichiarazioni
sostitutive, verifica che viene effettuata,
oltre che per l’aggiudicazione
obbligatoriamente, con procedimento a
campione per gli altri partecipanti (vedi
CdS, V, n. 3742/2009, nonché n. 6114/2009).
Valutate con ponderazione entrambe le
interpretazioni in ordine al contenuto
concreto da dare agli oneri imposti dal
citato art. 38 alle imprese partecipanti
alle gare, questa Sezione ritiene che, pure
a fronte della positività della tesi
sostanzialistica, tuttavia l’esigenza di
ordinato svolgimento della gara e di
opportuna trasparenza richiedono di
anticipare al momento della presentazione
dell’offerta la dichiarazione del possesso
dei prescritti requisiti; d’altra parte la
stessa lettera della disposizione (art. 38,
comma 2 citato) non fa riferimento a
presentazione di tale dichiarazione nel
corso della gara per l’ipotesi di mancanza
di cause ostative; ove fosse, invece,
possibile ammettere l’offerta, pur in
assenza della corrispondente dichiarazione,
non sarebbe allora sufficiente la regola
(art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163/2006) della
verifica dei requisiti limitata soltanto ad
un campione del 10% delle offerte
presentate: è, infatti, evidente che in tal
caso per la maggioranza delle imprese
partecipanti mancherebbe qualsiasi elemento
conoscitivo circa l’effettiva situazione nei
confronti degli obblighi prescritti dal
primo comma dell’art. 38 citato e quindi in
caso di mancanza dei requisiti, le imprese
eluderebbero anche la irrogazione delle
corrispondenti sanzioni con evidente
violazione, sotto tale profilo, della regola
della par condicio
(Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 03.03.2011 n. 1371 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non sussiste l'esercizio
del diritto di accesso agli atti gara da
parte di un concorrente escluso,
nell'ipotesi in cui l'aggiudicatario abbia
invocato la tutela del segreto tecnico e
commerciale.
In materia di accesso agli atti di gara, il
combinato disposto dei commi 5 e 6 dell'art.
13 del d.lgs. n. 163/2006, esclude
l'esercizio del diritto di accesso alla
documentazione posta a corredo dell'offerta
selezionata, ove l'impresa aggiudicataria
abbia dichiarato che sussistano esigenze di
tutela del segreto tecnico o commerciale, ed
il richiedente non abbia dimostrato la
concreta necessità di utilizzare tale
documentazione in uno specifico giudizio.
Nel caso di specie, il raggruppamento
aggiudicatario ha fatto espresso divieto a
soggetti terzi, inclusa la stazione
appaltante, di esibire ed utilizzare detta
documentazione.
Ne consegue che, l'interesse all'accesso
della concorrente esclusa, deve ritenersi
circoscritto agli atti e provvedimenti con
cui l'amministrazione ne ha escluso
l'offerta, in quanto ritenuta inaffidabile
nel suo complesso, e solo entro tali confini
l'odierna ricorrente ha concreta necessità
ed utilità di avvalersi di tale
documentazione cui, peraltro, ha già
ottenuto accesso (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.03.2011 n. 371 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Accesso agli atti di
gara - Limiti - Art. 13, cc. 5 e 6 d.lgs. n.
163/2006.
In materia di accesso agli atti di gara, il
combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art.
13 d.lgs. n. 163 del 2006 esclude
l’esercizio del diritto di accesso alla
documentazione posta a corredo dell’offerta
selezionata, ove l’impresa aggiudicataria
abbia dichiarato che sussistano esigenze di
tutela del segreto tecnico o commerciale, ed
il richiedente non abbia dimostrato la
concreta necessità di utilizzare tale
documentazione in uno specifico giudizio
(Cons. Stato, Sez. V, 09.12.2008, n. 6121)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.03.2011 n. 371 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO:
Non sussiste attualità
dell'interesse a ricorrere allorché si
controverta in ordine a disposizioni di un
bando di concorso non immediatamente lesive
quali la valutazione di titoli e
l'attribuzione di punteggi.
L’onere della immediata impugnazione degli
atti generali contenenti le prescrizioni
disciplinanti una procedura selettiva (gara
o concorso pubblici) si manifesta
esclusivamente quando le prescrizioni della
lex specialis che si ritengono
illegittime e che pregiudicano la posizione
del concorrente (o dell’aspirante tale, per
meglio dire) impediscano di fatto la sua
partecipazione tanto che, se l’interessato
presentasse la relativa domanda, il soggetto
procedente non potrebbe che escluderlo dalla
selezione (cfr. TAR Lazio, II Sezione,
05.01.2011 n. 30).
L'onere di immediata impugnazione delle
norme disciplinanti la partecipazione ad una
procedura selettiva deve, quindi, essere
assolto con riguardo a quelle sole
disposizioni concernenti i requisiti
soggettivi di partecipazione e a quelle che
integrano un'immediata preclusione alla
partecipazione, ossia a quelle clausole che
ledano immediatamente e direttamente
l'interesse sostanziale del soggetto che ha
chiesto di partecipare alla procedura
concorsuale.
Ogni diversa questione inerente
all'applicazione delle norme regolamentari
generali, così come l'impugnazione di norme
del bando che, pur potendo considerarsi
immediatamente lesive non siano peraltro
univocamente chiare e vincolanti, può e deve
essere proposta unitamente agli atti che di
esse fanno applicazione, dal momento che
sono questi ultimi ad identificare in
concreto il soggetto leso dal provvedimento
e a rendere attuale e concreta la lesione
della sua situazione soggettiva (cfr., in
termini, da ultimo TAR Lazio, Sez. II,
17.09.2010 n. 32351).
Deriva da quanto sopra che non sussiste
attualità dell'interesse a ricorrere
allorché si controverta in ordine a
disposizioni di un bando di concorso non
immediatamente lesive quali la valutazione
di titoli e l'attribuzione di punteggi
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n. 2018 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad
un'impresa concorrente che non abbia reso la
dichiarazione relativa al soggetto che aveva
precedentemente rivestito, al suo interno,
la carica di procuratore speciale.
L'identificazione delle persone fisiche
munite di poteri di rappresentanza, per le
quali, ai sensi dell'art. 38, c. 1, del
d.lgs. n. 163/06, le società di capitali
sono tenute a presentare una dichiarazione
attestante la sussistenza dei requisiti
morali e professionali, deve essere
effettuata anche alla stregua dei poteri
sostanziali attribuiti, con conseguente
inclusione, nel novero dei soggetti muniti
di poteri di rappresentanza, delle persone
fisiche in grado di impegnare la società
verso i terzi, nonché dei procuratori ad
negotia, laddove l'estensione dei loro
poteri conduca a qualificarli come
amministratori di fatto, a prescindere dal
nomen.
Detta interpretazione affonda le sue radici
nell'esigenza di evitare la partecipazione,
alle gare pubbliche, di soggetti che non
prestino idonee garanzie di affidabilità ai
fini di una piena tutela dell'interesse
pubblico. In questa verifica delle funzioni
sostanziali, occorre aver riguardo al
concreto assetto delle competenze, quale
delineato dallo statuto societario,
riconoscendo dette funzioni a tutti i
soggetti cui sia stato conferito un potere
di amministrazione e rappresentanza nel
senso sopra indicato.
Nel caso di specie, trattasi di un
procuratore speciale, titolare di ampi
poteri rappresentativi e gestionali della
concorrente, quali quello di stipulare
contratti d'appalto. Pertanto, è da
ritenersi illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara all'impresa
concorrente che abbia omesso di rendere la
dichiarazione relativa al soggetto di cui
sopra (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 02.03.2011 n. 1922 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente che,
nell'ambito di una gara per l'affidamento
del servizio di vigilanza, abbia presentato
tempestiva domanda di estensione
territoriale dell'autorizzazione
prefettizia.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che, in una gara indetta per l'affidamento
del servizio di vigilanza, abbia presentato
tempestiva domanda di estensione
territoriale dell'autorizzazione
prefettizia, laddove la lex specialis
abbia richiesto il requisito del possesso
dell'abilitazione di sicurezza rilasciata
dalla competente Prefettura.
Alla luce dei principi comunitari sanciti
dalla Corte di Giustizia (causa n.
C-465/05), contrasta con gli artt. 43 e 49
del Trattato istitutivo della Comunità
Europea, la richiesta di autorizzazione ad
esercitare il servizio di vigilanza,
limitatamente ad una provincia o ad alcuni
comuni, in quanto tale limitazione
territoriale costituisce una restrizione sia
alla libertà di stabilimento che alla libera
prestazione di servizi, nella misura in cui
ostacola lo svolgimento del servizio di
vigilanza nell'ambito dell'U.E..
Pertanto, sussiste il requisito previsto
anche in caso di autorizzazione rilasciata
da prefettura diversa da quella nel cui
ambito territoriale ricade l'attività
oggetto della procedura di gara, e ciò
nell'ipotesi in cui, come nel caso di
specie, l'istanza di estensione sia stata
proposta nel termine previsto per la
presentazione delle domanda di
partecipazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.03.2011 n. 1315 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gara di appalto -
Rilascio dichiarazioni - "Falso innocuo".
E' rigettato il ricorso per l'annullamento
del verbale di gara con il quale è stata
disposta l'esclusione della ricorrente dalla
gara d'appalto per l'aggiudicazione dei
lavori di manutenzione straordinaria delle
pavimentazioni in conglomerato bituminoso
dei manufatti stradali e la contestuale
aggiudicazione del contratto ad un'altra
società : è falsa la dichiarazione della
società ricorrente che ha attestato
l'insussistenza di direttori tecnici cessati
nel triennio precedente.
Non si tratta, peraltro, di un cd. "falso
innocuo": la giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha recepito tale nozione
di origine penalistica anche ai fine di
escludere la rilevanza della falsità delle
dichiarazioni non veritiere rese dai
soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai
sensi dell'art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006
(e prima ancora dell'art. 75 del D.P.R.
554/1999) tutte le volte che essa non abbia
prodotto alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma che impone di
attestare una determinata circostanza (sia
essa contenuta nella legge o nel bando) e
non abbia procurato all'impresa dichiarante
alcun vantaggio competitivo (Cons. Stato, V,
09.11.2010 n. 7967).
Il medesimo Consiglio di Stato ha, tuttavia,
precisato che nell'ambito dei rapporti
amministrativi la valutazione del carattere
innocuo del falso deve essere compiuta "ex
ante", con la conseguenza che non può
essere considerato innocuo il falso
potenzialmente in grado di incidere sulle
determinazioni dell'Amministrazione (Cons.
Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436).
Il Supremo consesso ha altresì stabilito che
qualora la lex specialis di gara
richieda all'impresa informazioni puntuali
che non lasciano spazio a valutazioni in
ordine alla rilevanza o meno di determinate
informazioni la loro omissione costituisce
una legittima causa di esclusione (Cons.
Stato, VI, 4907/2009 cit.).
Tale è, appunto, la situazione che ricorre
nel caso di specie in cui si chiedeva alle
imprese offerenti di rilasciare una doppia
dichiarazione con riguardo:
a) al fatto che nel triennio precedente la
data di pubblicazione del bando non fosse
cessato né fosse stato sostituito il
titolare, il socio, l'amministratore munito
di poteri di rappresentanza o il direttore
tecnico;
b) al fatto che i soggetti eventualmente
cessati non avessero riportato condanne
penali tali da incidere sulla affidabilità
morale e professionale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenze 01.03.2011 nn. 599 e
607 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nozione di falso innocuo
- Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Valutazione
ex ante.
La nozione di “falso innocuo”, di
origine penalistica, è stata recepita
nell’ambito della disciplina
amministrativistica, anche al fine di
escludere la rilevanza della falsità delle
dichiarazioni non veritiere rese dai
soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai
sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006,
tutte le volte che essa non abbia prodotto
alcun pregiudizio agli interessi presidiati
dalla norma che impone di attestare una
determinata circostanza (sia essa contenuta
nella legge o nel bando) e non abbia
procurato all’impresa dichiarante alcun
vantaggio competitivo (Cons. Stato, V,
09.11.2010 n. 7967).
In particolare, è falso innocuo l’omessa
menzione degli amministratori o direttori
cessati dalla carica qualora tali soggetti
risultino penalmente incensurati e,
pertanto, la loro indicazione nella
dichiarazione resa alla stazione appaltante
non avrebbe in alcun modo potuto incidere
sull’esito del giudizio sulla ammissibilità
dell’offerta.
Tuttavia, nell'ambito dei rapporti
amministrativi, la valutazione del carattere
innocuo del falso deve essere compiuta "ex
ante", con la conseguenza che non può
essere considerato innocuo il falso
potenzialmente in grado di incidere sulle
determinazioni dell'Amministrazione (Cons.
Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 599 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sui casi in cui è
applicabile alle gare di appalto la nozione
penalistica del c.d. "falso innocuo".
La giurisprudenza amministrativa ha recepito
la nozione di matrice penalistica relativa
al c.d. "falso innocuo", al fine di
escludere la rilevanza della falsità delle
dichiarazioni non veritiere, rese dai
concorrenti ai sensi dell'art. 38 del d.lgs.
163/06.
In particolare, corrisponde alla definizione
di "falso innocuo" l'omessa menzione
degli amministratori o direttori cessati
dalla carica, qualora tali soggetti
risultino penalmente incensurati e,
pertanto, la loro indicazione nella
dichiarazione resa alla stazione appaltante
non avrebbe in alcun modo potuto incidere
sull'esito del giudizio sulla ammissibilità
dell'offerta.
E' altresì irrilevante la mancata menzione
di condanne riportate dai citati soggetti,
qualora il bando di gara richieda
genericamente una dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione
rimettendo, così, all' impresa offerente, la
valutazione in ordine alla gravità delle
condotte dei propri rappresentanti.
Tuttavia, la considerazione relativa al
carattere innocuo del falso deve essere
compiuta "ex ante", con la
conseguenza che non può essere valutato come
"innocuo" il falso in grado di
incidere sulle determinazioni della stazione
appaltante (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 599 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Bando di gara -
Aggiudicazione fornitura di materiale
informatico e allo svolgimento dei servizi
connessi - Presenza sul mercato europeo
corrispondente al livello di diffusione
richiesto dal capitolato - Clausola -
Legittimità.
La società ricorrente aveva interesse a
partecipare alla procedura in qualità di
fornitore di sistemi informatici di
produzione propria, ma non poteva vantare,
in veste di produttore, una presenza sul
mercato europeo corrispondente al livello di
diffusione richiesto dal capitolato.
Tale prescrizione, ritenuta dalla società
ostativa alla partecipazione, non può
sostenersi avesse la finalità e l'effetto di
condizionare lo svolgimento della gara in
modo tale che la possibilità di accedere
all'effettuazione della fornitura fosse ad
appannaggio di un novero numericamente
limitato di concorrenti.
Questa clausola infatti non può essere
intesa quale prescrizione indicativa di un
requisito soggettivo richiesto ai fini
dell'ammissione alla procedura (la gara
infatti non era riservata alle sole imprese
produttrici di personal computers, ma aperta
alla partecipazione anche di soggetti non
produttori, purché fossero in grado di
garantire, unitamente alla fornitura dei
sistemi informatici prodotti da terzi come
descritti nel capitolato, anche i connessi
servizi di installazione, attivazione e
manutenzione).
La clausola imponeva, infatti, solo
all'aggiudicatario dell'appalto di
approvvigionarsi con prodotti la cui
affidabilità fosse comprovata dal
raggiungimento di una determinata soglia di
penetrazione del mercato (dimostrata dalla
quantità di pezzi venduti dal produttore nei
quattro anni precedenti la pubblicazione del
bando).
La stazione appaltante ha dunque mostrato di
apprezzare la penetrazione commerciale di
alcuni prodotti attestati sul mercato
europeo, quale dato idoneo a garantire
l'efficienza tecnica dei sistemi informatici
prodotti (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 593 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Gara per trattativa
privata - Violazione del codice della strada
(servizio autovelox) - Attività di gestione
procedimenti amministrativi - Affidamento
del servizio - Revoca.
2. Procedimento amministrativo -
Provvedimento di affidamento del servizio -
Annullamento - Non parere negativo -
Responsabile d'Area - Documentazione
riserve.
3. Procedimento amministrativo -
Annullamento d'ufficio a breve distanza
dall'adozione - Adozione del provvedimento -
Affidamento - Non sussiste.
1.
Non è fondato il motivo di ricorso in cui si
deduce la violazione dell'art. 7 della legge
n. 241/1990, poiché l'interessata (alla
quale precedentemente era stata affidata per
contratto la gestione dei procedimenti
amministrativi per l'accertamento della
violazione del codice della strada per il
servizio autovelox) ha avuto conoscenza
dell'avvio del procedimento di secondo
grado, volto all'annullamento dell'atto di
affidamento del servizio, attraverso la
comunicazione del precedente provvedimento
con il quale era stata disposta la
sospensione degli effetti di quel medesimo
atto.
2.
In merito al parere negativo del
Responsabile d'Area sulla legittimità
dell'annullamento del provvedimento di
affidamento servizio si precisa che tale è
contrario alla logica, giacché non si vede
come un organo possa esprimere parere
negativo ad un proprio provvedimento.
E' anche del tutto irrituale in quanto
nessuna disposizione prevede che le
determinazioni dei responsabili dei servizi
degli enti locali debbano essere
accompagnate da pareri di regolarità
tecnica: l'art. 49, comma 1, del d.lgs. n.
267/2000 stabilisce che detti pareri debbono
accompagnare le proposte di deliberazione
della Giunta e del Consiglio (e norma di
analogo tenore è contenuta nell'art. 41,
comma 2, dello Statuto dell'Unione); mentre,
per quanto riguarda i provvedimenti emessi
dai responsabili dei servizi, l'art. 155,
comma 4, dello stesso decreto prevede solo
che, in caso in cui comportino impegni di
spesa, questi "sono trasmessi al
responsabile del servizio finanziario e sono
esecutivi con l'apposizione del visto di
regolarità contabile attestante la copertura
finanziaria".
Il Responsabile d'Area, nell'esprimere tale
irritale parere, ha quindi semplicemente
voluto documentare le proprie riserve,
evidentemente al fine di mettersi al riparo
in caso di instaurazione di eventuali futuri
giudizi di responsabilità amministrativa.
Queste riserve tuttavia non sono di per sé
idonee ad inficiare la regolarità
dell'operazione voluta e posta in essere
dall'Amministrazione la quale, dopo aver
constatato che l'affidamento annuale del
servizio era contrario all'indirizzo
politico espresso dai competenti organi, ha
correttamente deciso di provvedere
all'annullamento dell'atto che aveva
disposto l'affidamento stesso.
3.
Sulla dedotta violazione dell'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, in
quanto l'Autorità amministrativa non avrebbe
illustrato i motivi di pubblico interesse
che l'hanno indotta a disporre la revoca del
servizio, si osserva che la norma
applicabile al caso di specie non è l'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, ma
l'art. 21-nonies, della medesima legge, il
quale stabilisce che "il provvedimento
amministrativo illegittimo (?) può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto
dalla legge".
Ciò premesso deve però osservarsi che in
giurisprudenza si ritiene che quando
l'annullamento d'ufficio interviene a breve
distanza di tempo dall'adozione del
provvedimento illegittimo, nessun
ragionevole affidamento può ingenerarsi in
capo al privato.
In tal caso non è quindi necessaria
l'esplicitazione nel provvedimento di
secondo grado dell'interesse pubblico
concreto ed attuale all'annullamento, né la
comparazione di tale interesse con
l'interesse privato sacrificato, posto che
al ricorrere di questa circostanza
l'interesse pubblico all'annullamento può
considerarsi in re ipsa (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. IV, 09.03.2010, n.
1323; TAR Lazio Roma, sez. III, 16.06.2009,
n. 5688) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 585 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è applicabile la
normativa sull'evidenza pubblica
nell'ipotesi di procedura indetta in via
d'urgenza.
Nell'ipotesi di gara d'appalto indetta in
via d'urgenza, come tale non procrastinabile
per ragioni di tutela sia della salute
pubblica che della sicurezza, non si
applicano le norme dettate in materia di
evidenza pubblica nella scelta dei
contraenti, bensì l'art. 57, c. 2, lett. c),
del d.lgs. n. 163/2006.
Ai sensi della citata norma, la procedura
negoziata, indetta senza pubblicazione del
bando, può essere utilizzata nella misura
strettamente necessaria, ai fini
dell'affidamento di un appalto, qualora
ricorra l'estrema urgenza, risultante da
eventi imprevedibili per le stazioni
appaltanti, incompatibili con i termini
imposti dalle procedure aperte, ristrette o
negoziate, previa pubblicazione di un bando.
Di conseguenza, il ricorso a tale sistema di
scelta del contraente, che si sostanzia in
una vera e propria trattativa privata,
rappresenta un'eccezione ai principi
generali di pubblicità e massima
partecipazione dei concorrenti, tipici della
procedura aperta, fermo restando che, i
presupposti fissati dalla legge per la sua
ammissibilità, devono essere accertati con
il massimo rigore e non sono suscettibili di
interpretazione estensiva; in particolare,
in ordine al carattere di urgenza, esso non
può in alcun modo addebitarsi
all'amministrazione per carenza di adeguata
organizzazione o programmazione ovvero per
sua inerzia o responsabilità, circostanze
queste che si ritiene non ricorrano nel caso
di specie (TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 524 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Tutela della salute
pubblica e della sicurezza - Scelta del
contraente in via d’urgenza - Art. 57, c. 2
d.lgs. n. 163/2006 - Eccezione al principio
di pubblicità e massima concorsualità -
Presupposto dell’urgenza - Requisiti.
Il ricorso al sistema di scelta del
contraente in via d’urgenza, non
procrastinabile per ragioni di tutela della
salute pubblica e della sicurezza, che si
sostanzia in una vera e propria trattativa
privata (art. 57, comma 2 lett. c) d.lg.
12.04.2006 n. 163), rappresenta un'eccezione
al principio generale della pubblicità e
della massima concorsualità tipica della
procedura aperta; ciò stante, i presupposti
fissati dalla legge per la sua ammissibilità
devono essere accertati con il massimo
rigore e non sono suscettibili di
interpretazione estensiva e in particolare,
per quanto riguarda l'urgenza di provvedere,
essa non deve essere addebitabile in alcun
modo all'Amministrazione per carenza di
adeguata organizzazione o programmazione
ovvero per sua inerzia o responsabilità
(Consiglio Stato , sez. V, 10.11.2010 , n.
8006).
Tutela della salute
pubblica e della sicurezza - Servizio di
gestione dei rifiuti urbani - Affidamento
con provvedimento extra ordinem - Esigenza
di continuità del servizio - Legittimità.
E’ legittima l'ordinanza contingibile ed
urgente assunta da un sindaco ai sensi
dell'art. 50, d.lg. n. 267 del 2000, al fine
di assicurare la continuità del servizio di
gestione dei rifiuti urbani, tenuto conto
della qualità di servizio essenziale, non
suscettibile di subire interruzioni (cfr.
TAR Veneto Venezia, sez. I, 09.07.2010, n.
2906 che ha rilevato come l'affidamento del
servizio ad una società per effetto di un
provvedimento extra ordinem, viene
assunto sulla base di presupposti di diritto
del tutto diversi da quelli in base ai quali
si procede in via ordinaria) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 01.03.2011 n. 524 - link
a www.ambientediritto.it). |
febbraio 2011 |
|
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia manifestato
l'intenzione di ricorrere al subappalto,
avvalendosi dell'apposito modulo predisposto
dalla p.a., nonostante il divieto in tal
senso sancito dalla lex specialis.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia manifestato l'intenzione di
ricorrere al subappalto, avvalendosi del
modulo predisposto dalla PA, nonostante il
divieto in tal senso sancito dalla lex
specialis, in quanto, se è vero che il
modulo di domanda allegato al bando, essendo
un documento accessorio ed ulteriore
rispetto alla lex specialis, non può
prevalere sulle disposizioni di essa,
d'altro canto non può essere escluso da una
gara pubblica il concorrente che abbia
effettuato una dichiarazione richiesta
espressamente nel modello predisposto dalla
stazione appaltante, quando a tale positiva
dichiarazione il bando non collegava alcuna
sanzione di esclusione.
In tale circostanza risulta evidente
l'affidamento ingenerato nell'impresa
partecipante, trovatasi di fronte a più
documenti tra loro contrastanti, e ciò tanto
più se si consideri la singolarità di una
clausola che, senza motivazione alcuna,
vieta il subappalto difformemente dall'art.
118 del d.lgs. n. 163/2006, il quale, al
contrario, lo consente.
Peraltro, le condizioni di ammissibilità del
subappalto, di cui all'art. 118 citato,
tendono ad evitare che, in fase di
esecuzione del contratto, si pervenga a
vanificare proprio quell'interesse pubblico
che ha imposto lo svolgimento di una
procedura selettiva e legittimato
l'individuazione di una determinata offerta,
come la più idonea a soddisfare le esigenze
della collettività cui l'appalto è
preordinato (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 28.02.2011 n. 172 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
P. De Rosa,
La programmazione nei lavori pubblici
(28.02.2011 - link a
http://doc.sspal.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L. Bellagamba,
Servizi e forniture: se la stazione
appaltante indica in bando i costi della
sicurezza da non assoggettarsi a offerta
economica, l’offerente non è tenuto a
specificare nulla di proprio in sede di
offerta (interessante tesi del
Consiglio di Stato, ma il problema
interpretativo rimane) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L.
Bellagamba,
Lavori pubblici: la questione del “contratto
aperto” di manutenzione nel sistema in
economia (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
A. Tadini,
La tracciabilità dei flussi finanziari
(link a www.filodiritto.it). |
APPALTI:
P. D'Angiolillo,
Il principio di “inammissibilità
implicita” delle offerte economiche
violative del canone di intangibilità degli
oneri per la sicurezza nei pubblici appalti
(note a margine della sentenza del TAR
Campania–Salerno, Sez. I, 01.10.2010 n.
11289) (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Ai fini
dell’incameramento della cauzione e della
segnalazione all’autorità di vigilanza può
venire in rilievo anche la buona fede
dell’impresa.
E' giurisprudenza di questo Tribunale quella
per cui “ai fini dell’incameramento della
cauzione e della segnalazione all’autorità
di vigilanza può venire in rilievo un
ulteriore elemento di valutazione
rappresentato dalla buona fede dell’impresa
evincibile dai documenti di gara” (TAR
Piemonte sez. I 23.05.2009 n. 1492); anche
le pronunce C. Stato sez. VI n. 4504/2009 e
sez. VI 3981/2006 hanno riconosciuto la
possibile rilevanza dell’errore nella
dichiarazione resa dal concorrente in gara
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 26.02.2011 n. 221 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Anche
il provvedimento con cui l’amministrazione
committente si oppone al subentro di un
nuovo soggetto nella titolarità del
contratto, per effetto di cessione d’azienda
o di ramo d’azienda, è considerato
espressione di poteri pubblicistici.
E’ controversa, nel giudizio in commento, la
legittimità delle deliberazione con cui il
Consiglio di Amministrazione di una Casa di
soggiorno per anziani, nel prendere atto del
contratto preliminare per la cessione del
ramo di azienda stipulato fra i ricorrenti
(due società cooperative), ne ha subordinato
l’efficacia alla condizione che la
Cooperativa cedente garantisse in via
solidale con la cessionaria il corretto
adempimento di tutte le obbligazioni a suo
tempo assunte con la stipula del contratto
d’appalto.
L’Amministrazione resistente eccepisce, in
via pregiudiziale, il difetto di
giurisdizione del giudice adito, rilevando
che si controverte in ordine a una vicenda
modificativa di un contratto già
sottoscritto che ha generato diritti
soggettivi rimessi al vaglio del giudice
ordinario.
In sede cautelare, il Tribunale
amministrativo di Torino aveva
implicitamente disatteso tale eccezione,
ritenendo la propria giurisdizione e
rilevando, nel merito, che la domanda di
parte ricorrente appariva assistita da
elementi di fumus, tuttavia, ad un
più approfondito esame della questione, gli
stessi giudici, non hanno confermato la
decisione provvisoriamente assunta in punto
di giurisdizione.
Occorre rammentare, infatti, segnalano i
giudici piemontesi, che, in linea di
principio, la giurisdizione del giudice
amministrativo in materia di appalti
pubblici è limitata alle controversie
concernenti la fase pubblicistica di scelta
del contraente e non comprende le vicende
successive alla stipulazione del contratto,
afferendo queste ultime alla fase paritetica
di esecuzione che è riservata al giudice
ordinario.
In applicazione di tale regola di riparto,
lo stesso Tribunale cisalpino, con sentenza
della Seconda Sezione n. 1088 del
17.05.2008, si era già pronunciato su una
fattispecie affine alla presente (si
controverteva, per la precisione, circa la
legittimità di un provvedimento con cui
l’amministrazione si era opposta al subentro
di un nuovo soggetto, per effetto
dell’affitto del ramo di azienda, nella
titolarità del contratto di appalto),
declinando la propria giurisdizione.
La questione merita, però, continuano i
giudici torinesi, di essere ulteriormente
approfondita alla luce dei principi
enunciati dalla Quarta Sezione del Consiglio
di Stato con la decisione n. 1713 del
24.03.2010, avente ad oggetto il diniego
opposto dall’amministrazione committente al
subappalto in favore di altra impresa di
alcune lavorazioni comprese nell’appalto
affidato alla ricorrente.
Con tale pronuncia, il Giudice d’appello ha
rilevato che, essendo il contatto di appalto
stipulato da una pubblica amministrazione
funzionale alla realizzazione di un
interesse pubblico, non si può escludere
che, anche nella fase esecutiva, vada
configurata la giurisdizione generale di
legittimità del giudice amministrativo, nei
casi in cui l’amministrazione disponga di
poteri autoritativi nei confronti
dell’affidatario il cui esercizio si
manifesta attraverso atti di natura
provvedimentale, a fronte dei quali la
posizione dell’impresa appaltatrice si
atteggia a interesse legittimo.
Tale è stato ritenuto il caso
dell’autorizzazione (o del diniego di
autorizzazione) al subappalto, disciplinata
dall’art. 118, comma 8, del d.lgs. n.
163/2006, la quale si configura come
istituto preordinato anche al perseguimento
di interessi (pubblicistici) ulteriori
rispetto a quello inerente la corretta
esecuzione dell’opera. L’art. 118 cit.,
infatti, persegue chiare finalità di ordine
pubblico laddove conferisce
all’amministrazione un potere di controllo
inteso a prevenire il rischio di
infiltrazioni criminali negli appalti
pubblici.
Ma anche nella parte in cui detta
disposizione prescrive che siano previamente
accertate le condizioni per l’ammissibilità
del subappalto (quale la verifica del
possesso dei requisiti di qualificazione in
capo al subappaltatore), essa non può
considerarsi unicamente intesa a tutelare
l’interesse dell’amministrazione committente
all’immutabilità dell’affidatario (interesse
che, in sé considerato, risulta
sostanzialmente omologo a quello di un
privato), ma risulta funzionale ad evitare
che nella fase esecutiva del contratto si
pervenga, attraverso modifiche sostanziali
dell’assetto di interessi scaturito dalla
gara pubblica, a vanificare proprio
quell’interesse pubblico che ha imposto lo
svolgimento di una procedura selettiva e
legittimato l’individuazione di una
determinata offerta come la più idonea a
soddisfare le esigenze della collettività
cui l’appalto è preordinato.
La fattispecie al vaglio del Collegio
presenta apparenti elementi di affinità con
quella decisa dal Giudice d’appello, atteso
che i presupposti del provvedimento di
opposizione alla cessione di azienda
definiti dalla legge vigente (art. 116 del
d.lgs. n. 163/2006), essenzialmente
riconducibili alle risultanze delle
comunicazioni “antimafia” e
all’accertamento della mancanza dei
requisiti di qualificazione in capo al
cessionario, riecheggiano quelli del divieto
di subappalto.
La trasposizione dei principi affermati dal
Consiglio di Stato comporta che, in linea di
principio, anche il provvedimento con cui
l’amministrazione committente si oppone al
subentro di un nuovo soggetto nella
titolarità del contratto, per effetto di
cessione d’azienda o di ramo d’azienda, in
quanto finalizzato al perseguimento di
interessi pubblici diversi rispetto a quelli
inerenti la mera immodificabilità
dell’esecutore e la corretta esecuzione del
contratto, vada considerato quale
espressione di poteri pubblicistici di
natura autoritativa, a fronte dei quali la
posizione del privato contraente assume
consistenza di interesse legittimo (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 26.02.2011 n. 217 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sussiste la
giurisdizione del g.o. in assenza di
dichiarazione di pubblica utilità.
La mancata pronuncia di dichiarazione di
pubblica utilità radica, secondo stabile e
condivisibile giurisprudenza, la
giurisdizione del Giudice Ordinario (ex
multis, Cons. Stato, Sez. IV,
15.09.2010, n. 6861; Cass. civ., SU,
20.12.2006, n. 27190).
L’assenza di dichiarazione di pubblica
utilità rende infatti l’operato
dell’amministrazione comportamento non
riconducibile, anche mediatamente,
all’esercizio di un pubblico potere (sul
punto, Cons. Stato, AP, 30.07.2007, n. 9),
circostanza invece richiesta dall’art. 133,
comma 1, lett. g), cpa, per la sussistenza
della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in materia di espropriazione
per pubblica utilità (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 25.02.2011 n. 426 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il divieto di
commistione non comporta che sia sempre
precluso alle amministrazioni aggiudicatrici
di dare rilievo alle capacità, alle
esperienze ed alle referenze dei
concorrenti.
L’avviso di selezione, a dire della
ricorrente, violerebbe il “divieto di
commistione tra requisiti di partecipazione
alla gara e criteri di valutazione
dell’offerta”, divieto di derivazione
comunitaria e comunque desumibile dagli
articoli 42 ed 83 del Codice dei contratti
pubblici.
Il Collegio osserva che la censura, più
esattamente, invoca il rispetto del divieto
generale di commistione tra le
caratteristiche oggettive dell'offerta ed i
requisiti soggettivi dell'impresa
concorrente.
Vero è –come sottolinea la difesa delle
parti resistenti– che la concessione di
servizi in esame è disciplinata
dall’articolo 30 del Codice dei contratti
pubblici, ed è quindi essenzialmente
governata dai principi di trasparenza,
adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità, desumibili dal Trattato e
dal Codice stesso, a tutela del mercato e
della concorrenza. Ma in quest’ambito può
farsi rientrare anche il divieto di
commistione invocato dalla ricorrente.
Il Collegio rileva quindi l’esistenza di un
orientamento recente del Consiglio di Stato,
tendente a mitigare la più rigorosa
interpretazione prevalsa in passato, secondo
il quale il divieto in questione conosce
un'applicazione attenuata nel settore dei
servizi laddove l'offerta tecnica non si
sostanzia in un progetto o in un prodotto,
ma nella descrizione di un facere che
può essere valutato unicamente sulla base di
criteri quali-quantitativi, fra i quali ben
può rientrare la considerazione della
pregressa esperienza dell'operatore, come
anche della solidità ed estensione della sua
organizzazione d'impresa.
Dalla considerazione dell'esperienza
maturata da una concorrente possono quindi
trarsi indici significativi della qualità
delle prestazioni e dell'affidabilità
dell'impresa, qualora tali aspetti non
risultino preponderante nella valutazione
complessiva dell'offerta (cfr. Cons. Stato,
V, 02.10.2009, n. 6002; vedi anche,
12.06.2009, n. 3716; IV, 25.11.2008, n.
5808) (TAR Umbria,
sentenza 25.02.2011 n. 61 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.U.
25.02.2011 n. 46 "Disposizioni
concernenti i criteri di rilascio
dell’autorizzazione prevista dall’articolo
37 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge
30.07.2010, n. 122, ai fini della
partecipazione alla procedure di
aggiudicazione dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture di cui al
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 e
successive modificazioni" (Ministero
dell'Economia e Finanze,
decreto 14.12.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 8 del 25.02.2011,
"Interventi normativi per l’attuazione
della programmazione regionale e di modifica
e integrazione di disposizioni legislative –
Collegato ordinamentale 2011" (L.R.
21.02.2011 n. 3).
---------------
La
presente legge modifica/integra numerose
normative regionali in materia, tra l'altro,
di:
- B.U.R.L. (cfr. art. 3);
- cementi armati (cfr. art. 9);
- opere pubbliche di interesse regionale
(cfr. art. 10);
- legge regionale n. 12/2005 (cfr. art. 12);
- rifiuti (cfr. art. 15);
- inquinamento acustico (cfr. art. 16);
- emissioni in atmosfera (cfr. art. 17).
---------------
Collegato ordinamentale 2011 Regione
Lombardia: nuove modifiche alla legge
12/2005.
Nella seduta del 15.02.2001 il Consiglio
Regionale della Lombardia ha approvato il
cd. "Collegato ordinamentale 2011". Come si
legge nel comunicato stampa regionale,
Tra le novità previste, una nuova proroga ai
Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi
definitivamente del piano di governo del
territorio (PGT) e il via libera alle
deroghe eccezionali ai limiti
sull’inquinamento acustico oggi previste nel
caso essi dovessero mettere a repentaglio lo
svolgimento di eventi di rilievo
internazionali, come ad esempio i grandi
concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i
Centri culturali a carattere religioso agli
edifici di culto, prevedendo per la loro
realizzazione uno specifico percorso di
programmazione nei piani regolatori. Via
libera anche alla norma che dà la
possibilità ai Comuni di negare
l’autorizzazione ad aprire attività
commerciali nei centri storici se in
contrasto con il “decoro pubblico” e
le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la
direttiva europea Bolkestein sul commercio e
introduce norme di semplificazione
burocratica nell’edilizia e per lo
svolgimento di alcune attività, come ad
esempio la certificazione energetica, un
settore in espansione e al quale potranno
accedere adesso ai corsi formativi anche i
cittadini non iscritti a un albo.
Ancora una volta, dunque, l'ennesima
applicazione di quel vizio di tecnica
legislativa secondo cui con unica
disposizione si apportano importanti
modifiche a legislazioni del tutto diverse
tra loro, senza nessuna attenzione ai
complessi processi di implementazione della
normativa vigente, verso cui la stessa
Regione dichiara di voler prestare la
massima attenzione (v. Analisi
dell'attuazione delle leggi e valutazione
degli effetti delle politiche regionali sul
sito del Consiglio regionale).
Il collegato ordinamentale meriterebbe
un'analisi a sé. In ogni caso, le modifiche
relative alla legge n. 12 del 2005 sono
contenute nell'articolo 12, tra le quali
vanno segnalate:
- le modifiche dell'articolo 4 (Valutazione
ambientale dei piani), anche attraverso
l'introdzione del comma 3-bis, finalizzato a
superare le note perplessità relative alle
procedure di VAS e alla nomina dei relativi
responsabili;
- la modifica dell'articolo 25 (Norma
transitoria), dove la data del 31.03.2010
per l'approvazione dei PGT é differita al
31.12.2012;
- la modifica dell'articolo 26 (Adeguamento
dei piani), cui dopo il comma 3-ter
dell’articolo 26 é aggiunto il comma
3-quater, secondo cui "I comuni che alla
data del 30.09.2011 non hanno adottato il
PGT non possono dar corso all’approvazione
di piani attuativi del vigente PRG comunque
denominati, fatta salva l’approvazione dei
piani già adottati alla medesima data”;
- l'introduzione dell'articolo 32-bis
(Adempimenti del comune), a norma del quale
"Nell’ambito delle procedure di cui ai
capi II e III, il comune, dietro
corresponsione dei diritti amministrativi e
delle spese dovuti, è tenuto a corredare
d’ufficio le domande di permesso di
costruire o le denunce di inizio attività di
tutti i certificati il cui rilascio è di sua
competenza”;
- la sostituzione del secondo comma
dell'articolo 41 (Interventi realizzabili
mediante denuncia di inizio attività), il
cui nuovo testo recita “2. Nel caso di
interventi assentiti in forza di permesso di
costruire o di denuncia di inizio attività,
è data facoltà all’interessato di presentare
comunicazione di eseguita attività
sottoscritta da tecnico abilitato, per
varianti che non incidano sugli indici
urbanistici e sulle volumetrie, che non
modifichino la destinazione d’uso e la
categoria edilizia, non alterino la sagoma
dell’edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nel permesso di
costruire. Ai fini dell’attività di
vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai
fini del rilascio del certificato di
agibilità, tali comunicazioni costituiscono
parte integrante del procedimento relativo
al titolo abilitativo dell’intervento
principale e possono essere presentate al
comune sino alla dichiarazione di
ultimazione dei lavori.”;
- l'integrazione dell'articolo 71, in
materia di edifici di culto, cui dopo la
lettera c) del comma 1 è aggiunta la
disposizione c bis): "gli immobili
destinati a sedi di associazioni, società o
comunità di persone in qualsiasi forma
costituite, le cui finalità statutarie o
aggregative siano da ricondurre alla
religione, all’esercizio del culto o alla
professione religiosa quali sale di
preghiera, scuole di religione o centri
culturali”;
- la riscrittura del comma 1 dell’articolo
86, in materia di interventi sostitutivi in
caso di inerzia o di ritardi nel rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, il cui
nuovo testo dispone: "1. Qualora
l’autorizzazione paesaggistica non venga
rilasciata o negata dagli enti competenti
nei termini di legge, l’interessato può
richiederla in via sostitutiva, ai sensi
dell’articolo 146, comma 10, del d.lgs.
42/2004. Nel caso di richiesta alla Regione,
il Presidente della Giunta regionale o
l’assessore competente, se delegato,
provvede entro sessanta giorni dal
ricevimento della stessa, anche mediante un
commissario ad acta, scelto tra i soggetti
iscritti all’albo di cui all’articolo 31.”
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
APPALTI:
Sull'interpretazione
dell'art. 38, c. 1, lett. i), del d.lgs. n.
163 del 2006.
Il concorrente di una gara d'appalto,
qualora il bando di gara richieda
genericamente, come nel caso di specie, una
sua dichiarazione di insussistenza delle
cause di esclusione di cui all'art. 38, c.
1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, può
essere escluso soltanto qualora la stazione
appaltante sia oggettivamente certa che
l'eventuale debito contributivo dichiarato
sia grave e definitivamente accertato, e
cioè non esistano in atti di gara elementi
che possano condurre a diversa conclusione,
mediante accertamenti ulteriori.
Soltanto, infatti, quando il bando richieda
che debbano essere dichiarate tutte le
violazioni contributive in cui il
concorrente sia eventualmente incorso, può
dedursi che lo stesso bando esiga una
dichiarazione dal contenuto più ampio e più
puntuale rispetto a quanto prescritto dal
citato art. 38: infatti, soltanto in tali
ipotesi può inferirsi che la stazione
appaltante si sia riservata una valutazione
più ampia di gravità o meno dell'illecito
per poter procedere all'esclusione dalla
gara, in ragione, evidentemente, di una
causa che non sia solo quella, sostanziale,
dell'essere stata commessa una grave
violazione (nella specie contributiva), ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.02.2011 n. 1228 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Requisiti morali,
dichiarazione anche per i rappresentanti.
L'obbligo di rendere la
dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n.
163/2006 sussiste anche per tutti coloro che
sono muniti di poteri di rappresentanza
anche se non rivestono formalmente la carica
di amministratore. Il requisito
dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma
2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina
dei componenti della commissione
giudicatrice, deve essere inteso in
relazione alla poliedricità delle competenze
richieste in funzione delle complessive
prestazioni da affidare.
L’obbligo di rendere la dichiarazione di cui
all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste
anche per tutti coloro che sono muniti di
poteri di rappresentanza anche se non
rivestono formalmente la carica di
amministratore.
Il requisito dell'esperienza previsto
dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006
richiesto per la nomina dei componenti della
commissione giudicatrice, deve essere inteso
in relazione alla poliedricità delle
competenze richieste in funzione delle
complessive prestazioni da affidare.
Con sentenza 24.02.2011 n. 554, la I
Sezione del TAR della Lombardia-Milano ha
affermato che l'obbligo di dichiarazione
avente ad oggetto la sussistenza dei
requisiti morali degli operatori economici,
previsto dall'art. 38 d.lgs. 12.04.2006 n.
163, sussiste in capo alle persone fisiche
munite di potere di rappresentanza dei
concorrenti anche se si tratta di soggetti
che non rivestono formalmente la carica di
amministratore soltanto se, in qualità di
procuratore ad negotia, abbiano
ottenuto il conferimento di poteri di
rappresentanza dell'impresa e di compiere
atti decisionali consistenti nella
possibilità di partecipare alle gare e di
firmare contratti.
L'interesse perseguito dal legislatore
mediante l’obbligo di cui all'art. 38 d.lgs.
n. 163/2006 è quello di verificare la
condotta di coloro che determinano le scelte
all'interno dell'impresa e non di coloro che
manifestano all'esterno tali scelte, pur se
dotati di poteri gestionali, ove gli stessi
siano stati circoscritti nell'ambito degli
indirizzi impartiti dall'imprenditore;
pertanto, la mancanza di una dichiarazione,
anche laddove effettivamente esigibile, deve
considerarsi neutrale ai fini
dell'ammissione alla gara ove la “moralità”
del soggetto coinvolto non sia contestata,
secondo il principio del cd. “falso
innocuo”.
Relativamente al requisito generale
dell'esperienza “nello specifico settore
cui si riferisce l'oggetto del contratto”
, previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs.
12.04.2006 n. 163, per i componenti della
commissione giudicatrice di gara, i giudici
lombardi hanno affermato che esso deve
essere inteso gradatamente e in modo
coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare.
Pertanto, non occorre che l'esperienza
professionale di ciascun componente copra
tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in
quanto è la Commissione, unitariamente
considerata, che deve garantire quel grado
di conoscenze tecniche richiesto, nella
specifica fattispecie, in ossequio al
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione.
Inoltre, è stato precisato che l'art. 84,
comma 4, del codice dei contratti pubblici,
a norma del quale i commissari diversi dal
presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcuna altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta,
mira ad impedire la partecipazione alla
Commissione giudicatrice di soggetti che,
nell'interesse proprio o in quello privato
di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano
assunto o possano assumere decisioni
relativamente all'oggetto della procedura di
gara (commento tratto da link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI:
1. Contratti della p.a.
- Gara - Dichiarazioni ex art. 38, Codice
dei contratti pubblici - Obbligo -
Procuratori ad negotia - Sussiste - Ratio.
2. Contratti della p.a. - Gara - Requisiti
di partecipazione - Moralità
dell'imprenditore - Soggetti interessati -
Individuazione - Titolari del potere di
scelta all'interno dell'impresa - Ragioni.
1. L'obbligo di presentazione della
dichiarazione prevista dall'art. 38 del
Codice dei contratti pubblici, nella
formulazione precedente l'entrata in vigore
del D.L. 13.05.2011, n. 70, deve ritenersi
sussistente anche in capo ad un soggetto che
non rivesta formalmente la carica di
amministratore soltanto se, in qualità di
procuratore ad negotia, abbia
ottenuto il conferimento di poteri di
rappresentanza dell'impresa e di compiere
atti decisionali consistenti, in
particolare, nella possibilità di
partecipare alle gare e di firmare contratti
(conf. v. Cons. Stato, sez. V, 09.03.2010,
n. 1373).
2. L'interesse perseguito dal legislatore
con l'art. 38, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163
-che richiede il possesso di determinati
requisiti c.d. di moralità nei confronti
dell'imprenditore e degli amministratori con
poteri di rappresentanza- è quello di
verificare la condotta di coloro che
determinano le scelte all'interno
dell'impresa e non di coloro che manifestano
all'esterno tali scelte, pur se dotati di
poteri gestionali, ove gli stessi siano
circoscritti nell'ambito degli indirizzi
impartiti dall'imprenditore (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 24.02.2011 n. 544 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'affidamento temporaneo del servizio di
raccolta e smaltimento rifiuti, mediante il
ricorso allo strumento dell'ordinanza
contingibile ed urgente.
E' legittimo l'affidamento temporaneo del
servizio di raccolta e smaltimento rifiuti
disposto da un comune mediante il ricorso
allo strumento dell'ordinanza contingibile
ed urgente, per far fronte all'improvvisa
situazione di vuoto venutasi a creare a
causa dell'intervenuta revoca
dell'affidamento alla precedente affidataria
del servizio, quale conseguenza del recesso
dell'ente locale dalla suddetta società e
della riscontrata impossibilità di procedere
alla costituzione di una nuova società in
house cui affidare in via diretta la
gestione del servizio.
Nel caso di affidamento transitorio di un
servizio mediante ordinanza contingibile ed
urgente non si applica l'art. 23-bis del
d.l. 112/2008. Tale disposizione, regola
l'ipotesi di affidamento "ordinario"
del servizio; è cioè destinata ad orientare
l'ente pubblico nella scelta del possibile
strumento attraverso cui gestire il servizio
pubblico, mentre, nel caso di specie, il
comune si trovava di fronte alla necessità
di assicurare la continuità del servizio.
Quest'obiettivo non poteva essere perseguito
che con l'unico strumento a disposizione
dell'amministrazione e cioè il ricorso ad
un'ordinanza contingibile ed urgente che
imponesse al gestore uscente la
continuazione del servizio per il lasso di
tempo necessario ad individuare un nuovo
gestore nel rispetto delle disposizioni che
regolano la materia e, quindi, in questo
caso, effettivamente, anche dell'art. 23-bis
citato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 24.02.2011 n. 334 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L’esclusione
della certificazione di qualità dall’ambito
di applicazione dell’avvalimento può essere
ricavata dalla scelta della P.A. di
richiedere alle imprese il possesso della
detta certificazione.
Sulla tematica di fondo affrontata nella
pronuncia in commento, concernente
l’utilizzabilità dell’istituto
dell’avvalimento per soddisfare la richiesta
relativa al possesso delle certificazioni di
qualità, il Tribunale amministrativo di
Cagliari si è già più volte pronunciato con
sentenze che il Collegio in questione
condivide e dalle cui conclusioni non
ritiene di doversi discostare.
Si è ritenuto, innanzitutto, che la
certificazione di qualità costituisca un
requisito di natura soggettiva delle imprese
per il quale non appare possibile utilizzare
l’istituto dell’avvalimento disciplinato
dall’art. 49 del codice dei contratti
pubblici.
E’ stato sottolineato, continuano i giudici
sardi, sia dalla giurisprudenza (TAR
Sardegna, I Sez., 27/03/2007, n. 556), sia,
in sede consultiva, dall’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr.
parere n. 254 del 10.12.2008), che
l’avvalimento è stato previsto limitatamente
alla “richiesta relativa al possesso dei
requisiti di carattere economico,
finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero
di attestazione della certificazione SOA”.
La certificazione di qualità è, invece, da
ritenersi requisito soggettivo dell’impresa,
preordinato a garantire all’amministrazione
appaltante la qualità dell’esecuzione delle
prestazioni contrattuali dovute. Obiettivo
che, per essere effettivamente perseguito,
richiede necessariamente che la
certificazione di qualità riguardi
direttamente l’impresa appaltatrice.
Del resto, l’art. 49 del codice dei
contratti pubblici è norma di derivazione
comunitaria, e a questo riguardo è
significativo notare, secondo i giudici
isolani, che mentre gli artt. 47 e 48 della
direttiva 31/03/2004 n. 2004/18/CE,
ammettano espressamente la possibilità di
avvalimento in relazione ai requisiti di
capacità economico-finanziaria e
tecnico-professionale, non altrettanto fa
l’art. 49 della stessa direttiva con
riguardo alle certificazioni di qualità. Il
che si spiega considerando che la detta
certificazione attesta la sussistenza di
determinate prerogative intrinseche
dell’operatore economico, in quanto tali non
suscettibili di essere acquisite
dall’esterno ricevendole in prestito da
altro soggetto che le possegga.
L’esclusione della certificazione di qualità
dall’ambito di applicazione dell’avvalimento
deve essere, quindi, rinvenuta per un verso,
nel tenore letterale dell’art. 49 cit.; per
l’altro verso, in ragioni di carattere
funzionale, attinenti agli scopi avuti di
mira dall’amministrazione aggiudicatrice,
quando esprima la scelta di richiedere alle
imprese da ammettere alla gara il possesso
della detta certificazione.
Peraltro, la giurisprudenza ha da tempo
affermato questo principio con riferimento
ai raggruppamenti temporanei di imprese, per
i quali si è statuito che il requisito della
certificazione di qualità eventualmente
richiesto dal bando deve essere posseduto
singolarmente da ciascuna impresa del
raggruppamento, quantomeno nelle
associazioni orizzontali (si veda Cons.
Stato, V Sez., 15/06/2001, n. 3188)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 24.02.2011 n. 160 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pubblica
amministrazione. Tracciabilità semplificata.
Meno dati per il codice di gara.
Dieci click al posto di
quarantadue. La richiesta del Cig il numero
di identificazione dell'appalto rilasciato
dall'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici, sarà più semplice: le informazioni
che il sistema informatico pretenderà dalle
stazioni appaltanti saranno drasticamente
ridotte per passare dalle attuali 42 a sole
dieci.
Ad annunciare la semplificazione -che è in
fase di progettazione- è stato il presidente
dell'Autorità, Giuseppe Brienza
nell'audizione che si è svolta martedì alla
commissione Ambiente della Camera.
Brienza ha fatto il punto sull'applicazione
della legge antimafia (la n. 136/2010 in
vigore dal 7 settembre) che per tutti gli
appalti pubblici ha abolito il contante e ha
reso obbligatoria la tracciabilità dei
pagamenti. La semplificazione serve a
rendere più veloce l'accesso al sistema
informatico (Simog): le informazioni da
immettere per avere il Cig (codice
identificativo gara) e quindi ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 24.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI: A.
Bonanni,
FLUSSI E TEMPI DI PAGAMENTO DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA
DIRETTIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI
- Intervento al Convegno organizzato dal
Comune di Pisa, 24.02.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
Tracciabilità dei flussi finanziari: cosa
devono fare imprese, società e
professionisti che stipulano contratti di
lavori pubblici.
Il 07.09.2010 è entrata in vigore la Legge
13.08.2010 - n. 136 con la quale sono state
dettate disposizioni attuative circa la
tracciabilità dei flussi finanziari relativi
a contratti pubblici di lavori, forniture e
servizi, al fine di prevenire infiltrazioni
criminali.
Si sono susseguiti diversi chiarimenti e
modifiche ad opera del D.L. 12.11.2010 - n.
187 e della relativa Legge di conversione
17.12.2010 - n. 217.
Anche l’AVCP (Autorità di Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori Servizi e
Fornitura) ha fornito una serie di
indicazioni operative attraverso due
determinazioni:
1-
n. 8 del 18.11.2010 (con l’obiettivo di
fornire indicazioni applicative circa
l’articolo 3 della legge n. 136/2010, come
modificato dal D.L. n. 187/2010);
2-
n. 10 del 22.12.2010 (con cui ha emanato
ulteriori indicazioni operative per la
concreta attuazione degli obblighi di
tracciabilità, con particolare riguardo alle
problematiche segnalate da stazioni
appaltanti ed operatori economici).
Vediamo in sintesi quali sono i contenuti
previsti dall’art. 3 della Legge 136, come
modificato dai successivi disposti
normativi:
- tutte le operazioni finanziarie relative a
qualsiasi contratto con un soggetto pubblico
avente ad oggetto lavori, servizi o
forniture devono essere effettuate su conti
correnti bancari o postali dedicati;
- tali operazioni finanziarie devono essere
effettuate mediante bonifici bancari o
postali o altri strumenti di pagamento
idonei a consentirne la piena tracciabilità;
- i pagamenti devono riportare dei codici
identificativi (CIG – CUP).
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori
Edili) ha ritenuto opportuno pubblicare un
documento al fine di riepilogare le
soluzioni ai problemi di carattere
applicativo ed interpretativo, fornendo un
inquadramento generale della materia e
cercando di dare indicazioni circa le
questioni rimaste irrisolte.
Inoltre ha predisposto anche una serie di
schemi di clausole da inserire nei contratti
per l’attuazione degli obblighi di
tracciabilità.
In particolare, viene chiarito il concetto
di conto dedicato, che non implica l’obbligo
di aprire un nuovo conto per ogni commessa
pubblica, ma che si traduce nell’obbligo di
indicarne gli estremi all’amministrazione
pubblica nel termine di sette giorni
dall’accensione del conto, ovvero, nel caso
di utilizzazione di un conto preesistente,
entro sette giorni dalla sua destinazione
alla commessa pubblica e in ogni caso prima
che venga effettuata un’operazione
finanziaria relativa alla commessa cui viene
dedicato.
Relativamente agli strumenti di pagamento,
oltre ai bonifici, sono da considerare
idonee le ricevute bancarie, anche nella
forma elettronica (in questo caso è
necessario che i codici siano inseriti fin
dall’inizio della procedura elettronica dal
beneficiario). Viceversa, il servizio di
pagamento RID allo stato attuale non
consente di rispettare il requisito della
piena tracciabilità.
Gli elementi che consentono di ricostruire
il flusso finanziario sono costituiti dai
codici CIG (Codice Identificativo di Gara) e
CUP (Codice Unico di Progetto) che devono
essere necessariamente inseriti negli
strumenti di pagamento utilizzati
dall’amministrazione appaltante e dai
contraenti privati.
Il documento dell’ANCE, inoltre, analizza:
... (link a www.acca.it). |
APPALTI:
Provvedimento di
annotazione nel casellario informatico -
AVCP e stazione appaltante - Margini di
autonomia valutativa.
Il provvedimento di annotazione nel
casellario informatico da parte dell’AVCP
(nella specie, per difetto del requisito
della regolarità contributiva) non è
meramente consequenziale e ancillare
rispetto a quello della stazione appaltante,
mantenendo invece nei confronti di questo
apprezzabili margini di autonomia valutativa
e procedimentale, non essendo quindi
precluso, per la differenza della
provenienza soggettiva e degli stessi
effetti rivenienti dall’uno e dall’altro dei
suddetti provvedimenti, una diversificata
considerazione, in ciascuno dei
provvedimenti stessi, della medesima
fattispecie che ad essi ha dato luogo (cfr.
CdS, VI, 05.07.2010, n. 4243) (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 22.02.2011 n. 1675 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo, in capo ad
un'impresa concorrente in una gara
d'appalto, di rispettare il requisito di
regolarità contributivo per tutta la durata
della procedura.
Sulla competenza degli enti previdenziali in
ordine alla verifica della regolarità
contributiva da parte dei concorrenti in una
gara d'appalto.
Secondo
consolidata giurisprudenza amministrativa,
il requisito della regolarità contributiva
deve essere un elemento costante nella
condotta del concorrente in una gara
pubblica, che concorre a provare
l'affidabilità, diligenza e serietà
dell'impresa.
Ne discende che alla stessa vengano
richiesti, non solo la regolarità
contributiva come requisito indispensabile
per la partecipazione alla gara, ma anche il
mantenimento della "correntezza"
contributiva per tutto lo svolgimento di
essa, restando irrilevante un eventuale
adempimento tardivo della relativa
obbligazione.
In tal senso, anche la l'Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici, nel
richiamare l'orientamento giurisprudenziale
prevalente, ai sensi del quale l'impresa
deve essere in regola con i relativi
obblighi fin dalla presentazione della
domanda, ritiene "irrilevanti eventuali
adempimenti tardivi, pur se i loro effetti,
dal punto di vista della disciplina
dell'obbligazione, retroagiscano al momento
della scadenza del termine di pagamento"
(Delib. n. 89 del 28.11.2006), non riuscendo
detti adempimenti ad impedire quella sorta
di sanzione indiretta costituita
dall'esclusione dalla gara o dall'effetto
preclusivo dell'aggiudicazione dell'appalto
pubblico.
E' dunque evidente, nel caso di specie, la
legittimità e correttezza dell'operato della
stazione appaltante che, all'esito di una
accertata irregolarità contributiva in capo
all'impresa e della conseguente mendace
dichiarazione con riferimento al possesso
dei requisiti di cui all'art. 38, c. 1,
lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, dichiari
l'esclusione della ricorrente dalla
procedura di gara, secondo quanto disposto
dall'art. 49 del medesimo decreto.
---------------
A seguito dell'entrata in vigore della
disciplina sul certificato di regolarità
contributiva di cui agli artt. 2 del d.l. n.
210/2002 e 3, c. 8, lett. b-bis) del d.lgs.
n. 494/1996, la verifica della regolarità
contributiva non rientra più nella
competenza delle stazioni appaltanti, bensì
in quella degli enti previdenziali, le cui
certificazioni si impongono alle stazioni
appaltanti, che non possono sindacarne il
contenuto. Di conseguenza, la stazione
appaltante non ha alcuna possibilità di
procedere ad autonoma verifica del requisito
soggettivo di regolarità contributiva, e
deve attenersi a quanto certificato
dall'amministrazione competente.
Il DURC assume pertanto la valenza di una "dichiarazione
di scienza", da collocarsi tra gli atti
di certificazione od attestazione redatti da
un pubblico ufficiale, aventi carattere
meramente dichiarativo dei dati in possesso
della p.a., assistito da pubblica fede ai
sensi dell'art. 2700 c.c., facente piena
prova fino a querela di falso (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 22.02.2011 n. 1672 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla ratio
dell'esclusione stabilita dall'art. 38,
lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006.
La ratio dell'esclusione stabilita
dall'art. 38 lett. f) del d. lgs. n. 163 del
2006, poggia sulla necessità di garantire
l'elemento fiduciario nei rapporti
contrattuali della pubblica amministrazione
fin dal momento genetico.
Da ciò discende che, ai fini dell'esclusione
di un concorrente da una gara, non è
necessario un accertamento della
responsabilità del contraente per
l'inadempimento in relazione ad un
precedente rapporto contrattuale, quale
sarebbe richiesto per l'esercizio di un
potere sanzionatorio, ma è sufficiente una
motivata valutazione dell'amministrazione in
ordine alla grave negligenza o malafede
nell'esercizio delle prestazioni affidate
dalla stazione appaltante che bandisce la
gara che abbia fatto venir meno la fiducia
nell'impresa.
Trattandosi di esercizio di potere
discrezionale, esso è soggetto al sindacato
del giudice amministrativo nei limiti della
manifesta illogicità, irrazionalità o errore
sui fatti (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.02.2011 n. 1107 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L'assenza
di dettagliate indicazioni nei verbali di
gara non costituisce di per sé motivo di
illegittimità.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 22.02.2011 n. 1094, ha
fornito utili indicazioni al fine di
stabilire quando alcune lacune nei verbali
di gara possano determinare l’invalidità
dell’atto verbalizzato e di conseguenza
riflettersi sulla complessiva legittimità
dell’attività posta in essere dalla
commissione di gara.
Nel ricorso in oggetto l’impresa ricorrente
censurava l’operato della commissione che, a
suo dire, non avrebbe compiuto una
verbalizzazione analitica degli atti di gara
in quanto avrebbe omesso di indicare:
1) l’orario di inizio e di conclusione dei
lavori in un verbale di gara;
2) il rispetto delle misure cautelari
adottate per evitare che le buste contenenti
le offerte tecniche venissero aperte fino al
momento della valutazione del loro
contenuto.
Per quanto riguarda la prima censura il
Consiglio di Stato ha precisato che le
irregolarità nei verbali di gara possono
determinare l’invalidità dell’atto
verbalizzato solo quando attengano ad
aspetti dell’azione amministrativa la cui
conoscenza risulta necessaria per valutare
la correttezza dell’operato della P.A., al
contrario, ove attengano ad aspetti non
determinanti dell’azione della commissione
di gara, devono essere considerate solamente
come mere irregolarità formali non idonee a
determinare l’illegittimità dell’atto
verbalizzato.
Sul punto i giudici hanno precisato “La
giurisprudenza formatasi al riguardo, e
condivisa dalla Sezione, afferma in
proposito che l’indicazione della durata
delle operazione verbalizzate (e, quindi,
dell’orario di inizio e di chiusura della
seduta collegiale) in alcuni casi può essere
considerato un elemento essenziale (ad
esempio, per i verbali delle commissioni di
concorso, perché tale dato può essere
necessario per controllare la ponderatezza
delle relative determinazioni); in altri
casi, cioè nelle ipotesi in cui si evince
altrimenti che la valutazione è stata
attenta e ponderata può risultare, invece,
superflua (Consiglio di Stato, sez. VI,
14.04.2008, n. 1575)”.
Applicando in concreto tali principi, il
Consiglio di Stato ha sottolineato come la
mancata indicazione dell’orario era
irrilevante in quanto dalla lettura del
verbale di gara risultava evidente la
valutazione ponderata della documentazione
contenente le specifiche tecniche ed
organizzative dei servizi proposti.
Per quanto riguarda la seconda censura,
l’appellante asseriva che il solo sospetto
della mancata adozione in astratto di idonee
misure cautelari per tutelare la segretezza
delle offerte, avrebbe dovuto essere
elemento sufficiente a determinare
l’invalidità della gara, a nulla valendo che
in concreto non vi fosse stata alcuna
violazione dell’obbligo di segretezza.
Sul punto il Consiglio di Stato ha
sottolineato come nel caso di specie
l’appellante non avesse fornito neanche il
minimo principio di prova della eventuale
manomissione dei plichi o quanto meno di un
concreto pericolo di omissione, e di
conseguenza non poteva trovare applicazione
quell’orientamento giurisprudenziale secondo
il quale la tutela dell’integrità dei plichi
deve essere considerata in astratto e quindi
il semplice rischio di manomissione è
sufficiente a determinare l’invalidità delle
operazioni di gara (Consiglio di Stato
Sezione V, 06.03.2006 n. 1068 e 21.05.2010,
n. 3203).
Ed infatti “Ritiene al riguardo la
Sezione di non poter apprezzare
favorevolmente la censura relativa alla
mancata indicazione delle cautele
concretamente adottate al fine di garantire
la segretezza delle offerte, sia in quanto
genericamente dedotta (senza alcun concreto
riferimento alle presunte insufficienti
modalità ed alle conseguenti ricadute
negative sulla regolarità della gara), sia
alla luce del preminente orientamento,
condiviso dal Collegio, a tenore del quale
la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata l’alterazione della
documentazione (cfr. Consiglio di Stato,
sezione IV, 05.10.2005, n. 5360; sez. V,
20.09.2001, n. 4973; sez. V, 10.05.2005 n.
2342; sezione V 25.07.2006 n. 4657)”.
Con tale sentenza dunque il Consiglio di
Stato ha sottolineato come costituirebbe una
inutile e formalistica decisione, non in
linea con il criterio di logicità e buon
andamento a cui deve uniformarsi la P.A.,
quella di annullare una gara solo sulla base
di un generico (e insussistente nel caso
concreto) sospetto di condotte idonee ad
inquinare lo svolgimento della procedura di
gara (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sui casi di invalidità
del verbale di gara in materia di procedure
d'appalto.
La tutela dell'integrità dei plichi
contenenti gli atti di gara deve essere
assicurata in astratto.
La giurisprudenza afferma che l'indicazione
della durata delle operazioni verbalizzate,
in alcuni casi può essere considerato un
elemento essenziale; in altri casi, cioè
nelle ipotesi in cui si evince altrimenti
che la valutazione è stata attenta e
ponderata può risultare, invece, superflua.
Le lacune del verbale possano causare
l'invalidità dell'atto verbalizzato solo nel
caso in cui esse riguardino aspetti
dell'azione amministrativa, la cui
conoscenza risulti necessaria per poterne
verificare la correttezza, mentre quelli
concernenti aspetti diversi e non
determinanti danno luogo a mere irregolarità
formali, come tali inidonee a comportare
l'illegittimità dell'atto che tali omissioni
presenti.
Nel caso di specie, la mancata indicazione
dell'orario di inizio e di fine della seduta
non è idonea a comportarne la illegittimità,
atteso che la lettura della documentazione
tecnica contenente le specifiche tecniche ed
organizzative dei servizi proposti era
indice di valutazione ponderata della
documentazione de qua, con irrilevanza della
mancata indicazione della ora di inizio e
conclusione della seduta, non essendo stato
provato ed anzi risultando "per tabulas"
che comunque il tempo dedicato alla disamina
di detta documentazione non poteva essere
stato palesemente insufficiente.
---------------
La mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata l'alterazione della
documentazione.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, la tutela dell'integrità
dei plichi contenenti gli atti di gara deve
essere assicurata in astratto, e quindi è
sufficiente che la documentazione di gara
sia stata sottoposta a rischio di
manomissione per ritenere invalide le
operazioni di gara, tuttavia, nel caso di
specie, non è stata provata l'eventuale
manomissione dei plichi (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 22.02.2011 n. 1094 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'esclusione dalle
gare ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c),
del d.lgs. n. 163/2006.
L'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006, dispone che l'esclusione dalle
gare e il divieto di affidamento di
subappalti, per condanna incidente sulla
moralità professionale, operano anche se la
condanna è intervenuta "nei confronti dei
soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara, qualora l'impresa non
dimostri di aver adottato atti o misure di
completa dissociazione".
Esiste la possibilità, tuttavia, per
l'operatore economico interessato e con
riferimento a detto triennio, di
interrompere il nesso di identificazione
adottando "atti o misure di completa
dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata", tenendo conto, in
particolare, che il recupero
dell'affidabilità dell'impresa non avviene
automaticamente per effetto della semplice
sostituzione del soggetto inquisito.
E', infatti, ininfluente la circostanza che
l'operatore economico abbia cessato di
avvalersi dell'amministratore o del
direttore tecnico condannati, tranne nel
caso in cui dimostri di averli per tale
ragione estromessi dall'incarico e di
essersi completamente dissociato dalla
condotta penalmente sanzionata (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 22.02.2011 n. 1652 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Valutazione dell'offerta economica - Formula
di valutazione - Discrezionalità - Sussiste
- Condizioni - Proporzionalità fra punteggi
assegnati e singole offerte - Necessaria.
La formula da utilizzare per la valutazione
dell'offerta economica, essendo espressione
di una scelta ampiamente discrezionale
dell'Amministrazione, deve ritenersi
corretta ove sia tale da consentire una
ripartizione dei punteggi, fra le singole
offerte economiche, che risulti connotata da
non incongrui rapporti proporzionali (conf.
v. TAR Lombardia Milano, sez. I, 10.08.2009,
n. 4572) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n. 524 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Criterio di aggiudicazione - Offerta
economicamente più vantaggiosa - Motivazione
- Espressa mediante punteggio numerico -
Ammissibile - Condizioni - Criteri di
giudizio stabiliti in modo analitico.
In caso di aggiudicazione con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
il punteggio numerico può essere ritenuto
una sufficiente motivazione quando i criteri
di giudizio stabiliti siano estremamente
puntuali ed analitici, sicché anche il solo
dato numerico -predeterminato nel minimo e
nel massimo- è idoneo a dimostrare la
logicità dell'apprezzamento tecnico (conf.
v. Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n. 8833;
TAR Lombardia Brescia, sez. II, 19.11.2010,
n. 4660; TAR Sicilia-Catania, sez. III,
16.11.2010, n. 4469; TAR Campania Salerno,
sez. I, 11.05.2010, n. 5929) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 22.02.2011 n. 521 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti della p.a.
- Appalto - Offerte - Verifica di anomalia -
Obbligo di motivare in maniera approfondita
- Sussistenza - Soltanto nel caso di
giudizio negativo idoneo a far venire meno
l'aggiudicazione.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara -
Clausole immediatamente preclusive della
partecipazione alla gara - Impugnazione
immediata - Necessità - Sussiste.
3. Contratti della p.a. - Appalto - Verifica
dell'integrità dei plichi - Deve svolgersi
in seduta pubblica - Principio generale -
Violazione - Sussiste in caso di apertura
riservata dei plichi - Effetti -
Illegittimità della procedura di gara.
1. Il giudizio positivo di congruità
dell'offerta sospetta di anomalia non
abbisogna di motivazione puntuale ed
analitica, essendo sufficiente anche un
rinvio alle argomentazioni e alle
giustificazioni della parte che ha formulato
l'offerta sottoposta a verifica con esito
positivo, mentre si impone una motivazione
particolarmente diffusa ed analitica
soltanto in caso di giudizio di anomalia che
porta a non procedere all'aggiudicazione a
favore dell'impresa che abbia formulato il
migliore ribasso (conf. v. TAR Piemonte,
sez. I, 16.11.2009, n. 2553).
2. Soltanto le clausole dei bandi di
concorso che prevedono requisiti soggettivi
che siano immediatamente preclusivi della
partecipazione alla gara debbono essere
impugnate nel prescritto termine di
decadenza dai soggetti interessati, senza
attendere l'adozione di appositi
provvedimenti, che ne diano successivamente
applicazione (conf. v. Cons. Stato, sez. VI,
08.07.2010, n. 4437).
3. Costituisce principio inderogabile in
qualunque tipo di gara quello secondo il
quale devono svolgersi in seduta pubblica
gli adempimenti concernenti la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa, che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero quella economica: risulta
conseguentemente illegittima l'apertura
riservata dei plichi, con conseguente
illegittimità dell'intera procedura di gara
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.02.2011 n. 520 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: G.
M. Di Paolo,
L’AVVALIMENTO NEL REGOLAMENTO ATTUATIVO DEL
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI -
Intervento al Convegno di aggiornamento
organizzato a Milano per Convenia,
22.02.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
L'applicabilità del
regime dell'affidamento in economia di beni,
servizi, lavori, non può privare
l'amministrazione della facoltà, in ragione
delle peculiarità delle prestazioni da
richiedere, di ricorrere alle procedure
aperte.
L'applicabilità del regime dell'affidamento
in economia di beni, servizi, lavori, non
può privare l'amministrazione della facoltà,
in ragione delle peculiarità delle
prestazioni da richiedere, di ricorrere alle
procedure aperte regolate dal d.lgs. n.
163/2006 (codice dei contratti pubblici)
applicando quelle regole che, comunque, gli
articoli 121 e, per gli appalti di servizi,
124 del suddetto codice impongono anche agli
appalti sotto soglia comunitaria.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
legittima la scelta del comune di affidare
mediante procedura aperta e con il sistema
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n.
163/2006, il servizio di brokeraggio
assicurativo, sebbene, in astratto, data
l'entità del servizio, l'ente locale avrebbe
potuto seguire le regole dell'affidamento
dei servizi in economia di cui all'art. 125
del codice dei contratti pubblici (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 21.02.2011 n. 1082 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: No
all'esclusione se la relazione al bando è
lunga. Consiglio di stato. Non contano le
pagine.
Nei bandi di gara la
prescrizione di un numero massimo di pagine
per la relazione tecnica è solo indicativa e
la sua inosservanza non è causa di
esclusione se non per espressa previsione
del bando.
Così si è espresso il Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 21.02.2011 n. 1080.
Fra i motivi contestati in appello a un
comune dalla società arrivata quarta, la
doverosità dell'esclusione
dell'aggiudicataria per non aver osservato
quanto disposto dal bando-disciplinare
laddove prescriveva che ogni concorrente
avrebbe dovuto presentare una relazione
dettagliata per un numero di pagine non
superiore a 15.
I giudici hanno aderito alle argomentazioni
di una sentenza precedente della stessa
sezione V (sentenza 3437/2007) secondo la
quale, nel caso in cui il bando preveda la
presentazione di una relazione formata da
non più di un certo numero di pagine, tale
prescrizione sia derogabile.
L'esclusione di un concorrente non può
essere disposta in mancanza di un'espressa
sanzione penalizzante in caso di
inosservanza di una disposizione contenuta
nella lex specialis della gara.
L'esclusione, inoltre, non può essere
disposta in presenza di clausole equivoche.
Nel caso in questione, al di là della
generica indicazione del numero di pagine,
non venivano fornite nel bando ulteriori
precisazioni circa i parametri grafici da
utilizzare quali, ad esempio, il margine, il
numero delle righe, il corpo o il tipo dei
caratteri da utilizzare.
In tal caso, a parità di pagine, poteva
verificarsi una notevole differenza in
merito ai contenuti quantitativi delle
singole relazioni (uno scritto di poche
pagine con caratteri piccoli, più righe e
margini ridotti può avere contenuti maggiori
rispetto a uno scritto su un numero maggiore
di pagine, ma redatto con caratteri grandi e
con ampi margini).
In definitiva, la presenza nel bando di una
clausola equivoca (priva di rigide
prescrizioni circa la struttura delle pagine
della relazione) e sfornita di apposita
previsione di esclusione nell'ipotesi di
mancato rispetto della stessa, riveste
carattere essenzialmente indicativo e di
massima e preclude -anche in funzione dei
principi di favor partecipationis- la
possibilità di escludere legittimamente il
concorrente che non abbia osservato la
clausola stessa. Se così non fosse, del
resto, la disposizione stessa, si
presterebbe a inammissibili forme
discriminatorie.
Inoltre, qualora alla relazione siano
allegati ulteriori documenti e la loro
inclusione nell'offerta tecnica non sia
preclusa (tantomeno a pena di esclusione),
nel caso in cui gli stessi non siano
richiamati in alcun punto della relazione,
tali documenti non sono da considerarsi
parte integrante della stessa e non si è
pertanto in presenza di un'offerta
sostanzialmente difforme da quella richiesta
(articolo
Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Gara - Aggiudicazione - Metodo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa - Criteri di
individuazione - Attribuzione di punteggi
alle singole componenti dell'offerta -
Potere discrezionale della p.a. - Sussiste.
L'attribuzione dei punteggi alle singole
componenti dell'offerta -in una procedura ad
evidenza pubblica da aggiudicarsi secondo il
metodo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa- è rimessa al potere
discrezionale della pubblica
amministrazione, cui compete stabilire in
qual modo la qualità del servizio debba
rapportarsi con il suo costo, e risulta
sottratta al sindacato di legittimità del
Giudice amministrativo, tranne che per vizi
meramente estrinseci (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n. 514 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. -
Forme di contrattazione - Procedura
negoziata - Bando - Possibilità di offerte
migliorative plurime - Fase di rilancio -
Contrattazione con tutte le imprese
concorrenti - Legittima.
Nell'ambito di una procedura negoziata per
l'affidamento di un servizio, qualora il
bando abbia previsto la possibilità di
offerte migliorative plurime, la stazione
appaltante può attendere di conoscere il
contenuto delle offerte per poi valutare se
l'esito risponda o meno alle proprie
aspettative e, nella eventuale fase di
rilancio, può legittimamente negoziare con
tutte le imprese concorrenti (e non soltanto
con l'impresa che abbia offerto il massimo
ribasso al termine della prima fase)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n. 513 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Mancato assolvimento
dell'obbligo di comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva ai
concorrenti non vincitori - Non determina
l'invalidità dell'aggiudicazione ma rileva
ai fini della decorrenza dei termini per
l'impugnazione.
L'inosservanza da parte della stazione
appaltante dell'obbligo di comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva ai
concorrenti non vincitori della procedura
selettiva non costituisce causa sopravvenuta
di invalidità dell'aggiudicazione, incidendo
esclusivamente sul distinto profilo della
tutela degli interessati e rilevando ai fini
della decorrenza dei termini per proporre
ricorso al Giudice amministrativo avverso
l'aggiudicazione (30 giorni dall'avvenuta
conoscenza) (Cfr. Cons. Stato, Sez. V
08.07.2010 n. 4434) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.02.2011 n. 512 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nessun appalto sfugge al
vincolo di tracciabilità. La registrazione è
estesa a tutti i nuovi contratti.
Non sono
bastate due determinazioni a chiarire i
dubbi applicativi in materia di
tracciabilità dei flussi finanziari e, a
meno di un mese dall'emanazione dell'atto n.
10 del 22.12.2010, l'Autorità di vigilanza
sui contratti ha pubblicato anche i quesiti
operativi più frequenti (Faq).
La tracciabilità è il tema che più di ogni
altro, in queste settimane, scalda il clima
negli enti locali e non solo, viste le
complesse implicazioni anche per i soggetti
economici. Trai punti più sofferti c'è
l'inesistenza di un limite di importo.
La legge prevede, infatti, che i nuovi
obblighi si applichino a tutti i contratti
di appalto di lavori, servizi e forniture
tra un committente pubblico e un operatore
economico, indipendentemente dalle procedure
di affidamento (gara, servizi in economia
eccetera) e senza differenza fra modalità di
stipula del contratto (contratto formale,
ordine a seguito di offerta eccetera). La
portata applicativa della nuova disciplina,
quindi, è ampia e comprende anche i
contratti relativi a piccole forniture o a
servizi di modico valore, acquistati in
economia.
L'altro punto delicato è rappresentato
dall'esclusione dagli obblighi di
tracciabilità degli acquisti effettuati
utilizzando il fondo economale, per spese di
carattere occasionale ed urgente. A
condizione, però: che non si tratti di spese
effettuate a fronte di contratti di appalto;
che gli acquisti siano tipizzati nel
regolamento di contabilità o di economato e
nel rispetto dei limiti di spesa che l'ente
si è dato nel regolamento della cassa
economale.
Problematica anche la strada dell'esclusione
dalla tracciabilità dello svolgimento di
prestazioni di lavori, servizi e forniture
in economia, tramite amministrazione diretta
ex articolo 125, comma 3 del Codice dei
contratti. Anche in questi casi -in cui la
stazione appaltante provvede all'esecuzione
di opere con materiali, mezzi e personale
... (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: Abolito
l'istituto dell'accessione invertita, il
dovere del Comune è quello della
restituzione del bene che risulti essere
ancora nella proprietà dei privati.
Il Collegio ritiene di dovere ulteriormente
precisare, in ordine al ventilato
perfezionamento del passaggio di proprietà
per accessione invertita, che l'effetto
acquisitivo automatico derivante
dall'alterazione definitiva dello stato dei
luoghi non trova più copertura normativa e/o
giurisprudenziale nel nostro ordinamento a
seguito delle statuizioni della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha
ritenuto, nella pronuncia della Sezione IV
del 06.03.2007 n. 43662, che l'istituto
della occupazione acquisitiva sia lesivo del
principio di legalità, per la perdita di
proprietà sulla base di un atto inizialmente
illegittimo che implica in primo luogo
l'applicazione del principio della
restituito in integrum e, ove ciò non
sia possibile, la determinazione di
un'indennità consistente nella
corresponsione di una somma equivalente al
valore del bene occupato, aumentato
dell'eventuale plus-valore dato
dall'esistenza di costruzioni edificate
durante l'occupazione da parte della P.A..
Per adeguare l'ordinamento nazionale ai
principi affermati dalla Corte, lo Stato ha
introdotto l'art. 43 del DPR 08.06.2001 n
327, concernente la cosiddetta "acquisizione
sanante", oggi dichiarata
incostituzionale per eccesso di delega con
sentenza 04-08.10.2010 n. 293, che
consentiva alla pubblica amministrazione, "extra
ordinem", rispetto all'ordinario
procedimento espropriativo (necessariamente
mancante o viziato), di acquisire a
determinate condizioni beni immobili altrui
al proprio patrimonio indisponibile.
Si tratta(va) di una norma che oltre ad
attribuire all'Amministrazione il potere di
dare "a regime" una soluzione al caso
concreto, quando gli atti del procedimento
divengano inefficaci per decorso del tempo o
siano annullati dal giudice amministrativo,
consente(iva) anche di rimuovere un
precedente contrasto tra la prassi interna
(amministrativa e giudiziaria) e la
Convenzione Europea.
L'art. 43 si riferi(va) anche alle
occupazioni "sine titulo", già
sussistenti alla data di entrata in vigore
del testo unico (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2
del 2005; Cons. Stato, Sez. IV 16.11.2007 n.
5830; Cons. Stato, Sez. IV 27.06.2007, n.
3752; Cons. Stato, Sez. IV 21.05.2007, n.
2582; TAR Sardegna, 31.01.2008 n. 83),
potendo, del resto, essere riconducibile nel
novero delle norme processuali.
Da ciò consegue che non possa ritenersi
perfezionato alcun diritto reale in favore
dell’amministrazione relativamente ai
terreni di proprietà dei ricorrenti, già
oggetto di esproprio poi annullato in sede
giurisdizionale, per cui il privato può
chiedere la restituzione del fondo con la
riduzione in pristino di quanto realizzato
(Cons. Stato, Sez. IV, 16.11.2007 n. 5830).
Corollario del sistema delineato dal
richiamato art. 43 precitato é il principio
secondo cui il trasferimento della proprietà
del bene non può oggi connettersi neppure
alla unilaterale volontà del privato di
abdicare al proprio diritto, che, in materia
di occupazione usurpativa, viene considerata
implicitamente nella richiesta del
proprietario di liquidazione del danno
commisurato alla definitiva perdita della
disponibilità del bene.
Nel nostro ordinamento, in definitiva, non
può più ritenersi sussistente l'istituto -di
creazione pretoria- della cosiddetta "occupazione
appropriativa", secondo il quale, anche
in assenza di un provvedimento ablatorio,
l'Amministrazione acquista, a titolo
originario, la proprietà dell'area altrui,
in virtù della trasformazione irreversibile
della stessa ed in attuazione della
dichiarazione di pubblica utilità (in tal
senso, tra le tante, Cons. St., IV,
30.11.2007 n. 6124; Id., 21.05.2007 n.
2582).
Come già rilevato, la Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo ha espressamente affermato
che l'istituto in questione rappresenta una
illegittima compressione del diritto di
proprietà privata, configurando una
violazione del Protocollo Addizionale n. 1
della Convenzione Europea e che spetta
all'ordinamento interno l'individuazione dei
mezzi di tutela, i quali devono, però,
essere efficaci e collegarsi in un quadro
normativo chiaro, preciso e prevedibile
(sentenze 30.05.2000; n. 24638/1994 e n.
31524/1996).
In altri termini, anche se è stata
realizzata l'opera pubblica,
l'Amministrazione ha l'obbligo di restituire
il suolo e di risarcire il danno cagionato:
"fin da quando l'istituto della c.d.
accessione invertita è stato espunto dal
nostro ordinamento a causa della sua
acclarata incompatibilità comunitaria,
l'annullamento giurisdizionale degli atti
espropriativi impugnati comporta l'obbligo
dell'Amministrazione di restituire i terreni
occupati e di risarcire il danno da
illegittimo spossessamento" (Consiglio
Stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1858; TAR
Lazio Roma, sez. I, 15.01.2009, n. 220; TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 18.12.2008, n.
1796; e, da ultimo, v. TAR Puglia Lecce,
sez. I, 10.05.2010 n. 1093).
In conclusione, non essendo oggi più
configurabile l'istituto dell'accessione
invertita, il pagamento di un equivalente
monetario presuppone necessariamente il
previo trasferimento della proprietà
dell'immobile (conseguente ad atto
amministrativo o negoziale, ad usucapione o
a rinunzia del privato), che manca; di
conseguenza, l'obbligo allo stato
sussistente in capo al Comune è quello della
restituzione del bene, che risulta essere
ancora nella proprietà dei privati (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 18.02.2011 n. 1014 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progetto preliminare -
Progetto definitivo - Modificazione lavori -
Variante - Non è necessaria.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del
D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici secondo tre successivi livelli di
approfondimenti tecnici, distinguendo il
progetto preliminare, il progetto definitivo
e il progetto esecutivo e spetta al progetto
definitivo di individuare "compiutamente
i lavori da realizzare". E' pertanto
considerata del tutto fisiologica
l'introduzione di modificazioni in ordine ai
lavori da realizzare senza che ciò implichi
l'applicazione dell'art. 19 del d.p.r. 2001
n. 327 e quindi l'approvazione di una
variante da riservare alla competenza del
Consiglio.
In particolare, la norma dispone
espressamente che "Gli strumenti
urbanistici comunali vigenti conservano
efficacia fino all'approvazione del PGT e
comunque non oltre la data del 31.03.2010.
Fino all'adeguamento dei PRG vigenti, a
norma dell'articolo 26, e comunque non oltre
il predetto termine, i comuni, ad eccezione
di quelli di cui al comma 2, possono
procedere unicamente all'approvazione di
atti di programmazione negoziata, di
progetti in variante ai sensi dell'articolo
5 del decreto del Presidente della
Repubblica 20.10.1998, n. 447, nonché di
varianti nei casi di cui all'articolo 2,
comma 2, della legge regionale 23.06.1997,
n. 23 (Accelerazione del procedimento di
approvazione degli strumenti urbanistici
comunali e disciplina del regolamento
edilizio) e di piani attuativi in variante,
con la procedura di cui all'articolo 3 della
predetta L.R. n. 23/1997".
Dal coordinamento tra le due norme citate
deriva che, qualora l'amministrazione
comunale approvi -nel periodo transitorio
individuato dall'art. 25, comma 1, della
legge reg. 2005 n. 12, periodo in cui si
colloca la fattispecie sottesa ai ricorsi in
esame- una delle varianti previste dall'art.
2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n.
23, devono trovare applicazione le
previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40,
della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere
applicato anche il comma 18 dell'art. 3
della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede
che "Il comune, contestualmente al loro
deposito, trasmette alla provincia
competente per territorio il piano
regolatore generale adottato, o le sue
varianti, ovvero il piano attuativo di
interesse sovracomunale adottato. La
provincia, entro novanta giorni dal
ricevimento degli atti, ne verifica,
garantendo comunque il confronto con il
comune interessato, la compatibilità con gli
aspetti di carattere sovracomunale contenuti
nel proprio piano territoriale di
coordinamento; decorso tale termine il
comune decide sulle osservazioni e procede
all'approvazione in via definitiva".
Ecco, allora, che quando l'amministrazione
comunale adotta una delle varianti previste
dall'art. 2, comma 2, della legge reg.
23.06.1997, n. 23, secondo il meccanismo
fatto salvo dall'art. 25, comma 1, della
legge 2005 n. 12, deve trasmettere la
variante adottata alla Provincia competente,
al fine di consentire la verificazione della
compatibilità della nuova disciplina
urbanistica con il piano territoriale di
coordinamento.
Nel caso di specie il Comune resistente ha
dichiaratamente posto in essere la variante
semplificata, oggetto del ricorso in esame,
ai sensi della legge reg. 1997 n. 23, ma ha
omesso di trasmettere alla Provincia la
variante adottata, in violazione dell'art.
3, comma 18, della legge reg. 2000 n. 1,
così precludendo all'Ente competente la
verificazione della compatibilità della
variante con il piano territoriale di
coordinamento, come esattamente contestato
dalla ricorrente (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 18.02.2011 n. 499 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Attività di
progettazione - Articolazione - Progetto
preliminare, definitivo ed esecutivo - Art.
93 d.lgs. n. 163/2006 - Progetto preliminare
- Suscettibilità di variazioni, modifiche e
specificazioni.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del
D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici secondo tre successivi livelli di
approfondimenti tecnici, distinguendo il
progetto preliminare, il progetto definitivo
e il progetto esecutivo.
Dal confronto tra il progetto preliminare e
il progetto definito emerge che quello
preliminare non delinea un quadro
dettagliato e compiuto dell’opera da
realizzare, ma è suscettibile di variazioni,
modifiche e specificazioni (cfr. tra le
tante TAR Campania Napoli, sez. IV,
21.08.2008, n. 9955; TAR Lombardia Brescia,
sez. II, 26.05.2009, n. 1064).
Ciò è confermato dalla circostanza che
spetta al progetto definitivo di individuare
“compiutamente i lavori da realizzare”.
Progetto definitivo -
Documentazione da allegare - Art. 25 d.P.R.
n. 554/1999 - Studio di impatto ambientale.
L’art. 25 del d.p.r. 1999 n. 554 individua
la documentazione che deve essere allegata
al progetto definitivo, prescrivendo, tra
l’altro, la redazione dello “studio di
impatto ambientale ove previsto dalle
vigenti normative ovvero studio di
fattibilità ambientale” (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.02.2011 n. 499 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Stipulazione del
contratto e attuazione del rapporto
negoziale - Ambito materiale
dell’ordinamento civile - Fase del collaudo
- Regioni - Applicazione della normativa
statale - Art. 8, c. 1 l.r. Lombardia n.
7/2010 - Illegittimità costituzionale.
Nel settore degli appalti pubblici, la fase
che ha inizio con la stipulazione del
contratto e prosegue con l’attuazione del
rapporto negoziale è disciplinata da norme
che devono essere ascritte all’ambito
materiale dell’ordinamento civile. Ciò in
quanto, in tale fase, l’amministrazione si
pone in una posizione di tendenziale parità
con la controparte ed agisce non
nell’esercizio di poteri amministrativi,
bensì nell’esercizio della propria autonomia
negoziale (ex multis, sentenza n. 401
del 2007).
Con riferimento alla disciplina del
collaudo, pertanto, le Regioni sono tenute
ad applicare la normativa statale e ad
adeguarsi alla disciplina dettata dallo
Stato per tutto quanto attiene alla fase di
esecuzione dei contratti di lavori, servizi
e forniture.
Ne deriva l’illegittimità costituzionale
dell’art. 8, comma 1, lettera r), della
legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n.
7, nella parte in cui ha sostituito l’art.
20, comma 3, della precedente legge
regionale 19.05.1997, n. 14, per invasione
dell’ambito materiale dell’ordinamento
civile riservato esclusivamente allo Stato,
in quanto tale norma disciplina un settore,
quello del collaudo e della verifica di
regolarità dell’esecuzione dei contratti di
lavori, forniture e servizi, che rientra
specificamente nella suddetta competenza
legislativa (Corte Costituzionale,
sentenza 18.02.2011 n. 53 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'illegittimità
costituzionale dell'art. 8, c. 1, lett. r),
della L.R. Lombardia 05.02.2010, n. 7, per
contrasto con la disciplina nazionale del
codice dei contratti pubblici.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 8,
c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia
05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per
l'attuazione della programmazione regionale
e di modifica ed integrazione di
disposizioni legislative - Collegato
ordinamentale 2010), nella parte in cui ha
previsto, che "per gli appalti di importo
inferiore alle soglie" comunitarie, "per
le forniture di beni prodotti in serie e di
servizi a carattere periodico, nonché per i
servizi di natura intellettuale, il collaudo
e la verifica di conformità possano essere
sostituiti da un attestato di regolare
esecuzione rilasciato dal RUP ovvero dal
dirigente della struttura destinataria della
fornitura o del servizio", per invasione
dell'ambito materiale dell'ordinamento
civile riservato esclusivamente allo Stato,
in quanto essa disciplina un settore, quello
del collaudo e della verifica di regolarità
dell'esecuzione dei contratti di lavori,
forniture e servizi, che rientra
specificamente nella suddetta competenza
legislativa.
E ciò indipendentemente dalla conformità o
meno della normativa regionale alla
sopravvenuta disciplina regolamentare
adottata dallo Stato con il d.P.R. n. 207
del 2010 (Corte Costituzionale,
sentenza 18.02.2011 n. 53 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Appalti, niente
scorciatoie al posto del collaudo. Corte
Costituzionale boccia una legge della
Regione Lombardia.
E' illegittima la norma
della regione Lombardia che prevede il mero
attestato di regolare esecuzione, invece del
collaudo, per forniture di beni standard e a
carattere periodico e per servizi
intellettuali «sotto soglia». La fase di
esecuzione del contratto, e quindi il
collaudo, attiene all'ordinamento civile,
materia di competenza statale esclusiva
sulla quale il legislatore regionale non può
disporre in difformità dalle norme statali.
E' quanto stabilisce la consulta con la
sentenza 18.02.2011 n. 53 relativamente alla
legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n.
7 recante interventi normativi per
l'attuazione della programmazione ... (articolo
ItaliaOggi del 19.02.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
APPALTI SERVIZI:
L. Lo Biundo,
Per il Consiglio di Stato le società
strumentali possono anche gestire servizi
pubblici locali (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
LINEE GUIDA per i rischi indoor ALLERGIE ed
ASMA: ecco un documento utile per la
progettazione e ristrutturazione di edifici
scolastici, manutenzione.
Di recente è stato siglato un Accordo tra
Governo, Regioni, Province autonome di
Trento e Bolzano, Province, Comuni e
Comunità montane, contenente le “Linee di
indirizzo per la prevenzione nelle scuole
dei fattori di rischio indoor per allergie
ed asma”.
Le linee guida rappresentano un utile
strumento per tutti i tecnici: forniscono i
criteri generali per la progettazione di
edifici scolastici, con indicazioni
operative sulla configurazione e
l’articolazione interna degli edifici,
sull’ottimizzazione del sistema
edificio/ambiente, sulla scelta dei
materiali da utilizzare e da evitare, su
volumi e aperture. Relativamente agli
edifici esistenti, vengono fornite
specifiche indicazioni sul tipo di
manutenzione da adottare e sui controlli da
effettuare.
Sono disponibili anche informazioni circa la
ristrutturazione di edifici esistenti e la
progettazione e manutenzione di verde
scolastico.
Vengono, inoltre, analizzati i diversi
fattori di rischio indoor per allergie ed
asma e sulle misure di prevenzione
disponibili al fine di effettuare la
Valutazione dei Rischi.
Il documento è strutturato come segue:
- INTRODUZIONE, contenente l’analisi del
problema e la situazione in Italia;
- PRIMA PARTE, con gli elementi di
conoscenza per facilitare l’individuazione e
la valutazione dei principali fattori di
rischio;
- SECONDA PARTE, con indicazioni operative
per realizzare un programma integrato di
interventi per la prevenzione delle malattie
allergiche e dell’asma.
Il documento è certamente interessante per
tutti i tecnici che operano nel settore
della progettazione, manutenzione e
valutazione dei rischi in edifici ad uso
collettivo (link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
ON-LINE i Certificati
di esecuzione dei Lavori Pubblici.
Dal 14.02.2011 i Certificati di esecuzione
dei Lavori Pubblici saranno rilasciati
esclusivamente ON-LINE, attraverso il nuovo
sistema informatico accessibile dal portale
Internet dell'Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture.
Lo ha comunicato il Presidente dell’AVCP,
ritenendo di dover offrire agli utenti che
usano il sistema informatico per il rilascio
e la gestione dei Certificati un servizio
adeguato alle loro esigenze e di dover
semplificare le attività di integrazione dei
dati forniti attraverso la compilazione dei
Certificati con quelli di altri sistemi
informatici. Le modalità di utilizzo del
nuovo sistema saranno disponibili nel
manuale utente, che sarà pubblicato sul
portale Internet dell'Autorità.
Gli utenti potranno accedere al nuovo
sistema utilizzando le stesse credenziali di
cui già in possesso per il rilascio dei
Certificati con la precedente procedura,
mentre le SOA potranno accedere in
consultazione alla nuova procedura
attraverso l'apposito link disponibile sul
portale Internet nella sezione dei “servizi
ad accesso riservato”, utilizzando le
credenziali già rilasciate dall'Autorità a
seguito di registrazione al servizio di “Anagrafe”
(link a www.acca.it). |
APPALTI:
Deve riconoscersi
all'Amministrazione il potere di provvedere
all'annullamento dell'aggiudicazione
provvisoria in via implicita e senza obbligo
di particolare motivazione.
Non costituisce ostacolo al riconoscimento
della responsabilità pre-contrattuale
dell'ente la reiezione della domanda di
annullamento del provvedimento di revoca,
potendo, infatti, sempre ritenersi
configurabile siffatto genere di
responsabilità per la revoca della gara non
ancora conclusa, quando il fine pubblico
venga attuato attraverso un comportamento
obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà,
sicché anche dalla revoca legittima degli
atti di gara può scaturire l'obbligo di
risarcire il danno, nel caso di affidamento
suscitato nell'impresa.
L’aggiudicazione provvisoria è inidonea a
generare nella ditta provvisoriamente
aggiudicataria una posizione consolidata di
vantaggio, con la conseguenza che
sull'Amministrazione che intende esercitare
il potere di autotutela rispetto
all'aggiudicazione provvisoria incombe un
onere di motivazione fortemente attenuato,
circa le ragioni di interesse pubblico che
lo hanno determinato, essendo sufficiente
che sia reso palese il ragionamento seguito
per giungere alla determinazione negativa,
attraverso l'indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi in base ai quali essa
si ritiene di non procedere
all'aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 31.05.2007 n. 2838; id., sez. V,
29.12.2009 n. 8966).
Ancora più nettamente, le ultime pronunce
del Giudice amministrativo di primo grado
sono nel senso che, pertanto, deve
riconoscersi all'Amministrazione il potere
di provvedere all'annullamento
dell'aggiudicazione provvisoria in via
implicita e senza obbligo di particolare
motivazione (TAR Sardegna Cagliari, sez. I,
11.11.2010, n. 2582; TAR Piemonte sez. I,
23.04.2010 n. 2085; TAR Lazio Roma, sez. II,
09.11.2009, n. 10991).
---------------
E' consolidato in giurisprudenza
amministrativa l’orientamento per cui non
costituisce ostacolo al riconoscimento della
responsabilità pre-contrattuale dell'ente la
reiezione della domanda di annullamento del
provvedimento di revoca, potendo, infatti,
sempre ritenersi configurabile siffatto
genere di responsabilità per la revoca della
gara non ancora conclusa, quando il fine
pubblico venga attuato attraverso un
comportamento obbiettivamente lesivo dei
doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca
legittima degli atti di gara può scaturire
l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di
affidamento suscitato nell'impresa (in tal
senso: Cons. Stato, Ad. plen., 05.09.2005 n.
6; id., sez. V, 30.11.2007 n. 6137; id.,
sez. V, 08.10.2008, n. 4947; TAR Campania,
Napoli, sez. I, 08.02.2006 n. 1794; TAR
Lazio, sez. II-quater, 02.04.2010 n. 5621;
TAR Puglia Bari, sez. I, 14.09.2010, n.
3459) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 16.02.2011 n. 302 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
procedura di gara, per omessa dichiarazione
di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,
da parte degli institori.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un RTI per aver
omesso di presentare la dichiarazione di cui
all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,
relativamente ad alcuni soggetti, dotati di
poteri amplissimi e pervasivi nella gestione
dell'impresa.
Il citato art. 38, impone, infatti, che la
dimostrazione del possesso dei requisiti
morali di partecipazione riguardi tutte le
persone fisiche che, in quanto titolari di
poteri di rappresentanza della persona
giuridica, siano in grado di trasmettere con
il proprio comportamento la riprovazione
dell'ordinamento al soggetto rappresentato.
Pertanto, tale obbligo sussiste anche con
riferimento agli institori, stante la
ampiezza dei poteri di rappresentanza agli
stessi attribuiti dalla legge.
L'institore è definito dall'art. 2203 c.c.
quale soggetto preposto dal titolare
all'esercizio di un'impresa commerciale, in
posizione differente dal mero procuratore
cui l'imprenditore conferisce il potere di
compiere, per lui, gli atti inerenti
all'esercizio di un'impresa pur non essendo
preposta ad esso.
La preposizione institoria, peraltro, è
caratterizzata dall'ampiezza dei poteri
rappresentativi e di gestione, che ne fanno
un alter ego dell'imprenditore stesso.
Pertanto, l'institore è titolare di una
posizione corrispondente a quella di un vero
e proprio amministratore, munito di poteri
di rappresentanza, cosicché deve anche
essere annoverato fra i soggetti tenuti alla
dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2011 n. 939 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori per opere di
urbanizzazione - Né usucapione né dicatio ad
patriam - Non sussiste.
E' accolto il ricorso avverso il
provvedimento che ha approvato il progetto
definitivo ed esecutivo di opere di opere di
urbanizzazione stradali e indizione
procedura di gara "aperta" implicante
dichiarazione di "pubblica utilità
indifferibilità ed urgenza" che sono da
realizzarsi, fra l'altro, sulla porzione di
terreno di proprietà della ricorrente:
l'Amministrazione non ha rispettato le
regole procedurali, prodromiche alla
dichiarazione di pubblica utilità di
un'opera (all'art. 16 del D.P.R. 08.06.2001
n. 327).
Altresì l'Amministrazione resistente ritiene
di poter fondare la propria legittimazione
ad eseguire i lavori sul terreno privato
affermando, fra l'altro, che questo sarebbe
assoggettato a demanialità da più di venti
anni: il termine ventennale è un termine
necessario per perfezionare l'usucapione, ed
essendo pacificamente ammesso, sia in
dottrina che in giurisprudenza, che anche i
diritti di natura demaniale possono essere
acquistati per usucapione, occorre
domandarsi se, nel caso concreto, il Comune
abbia acquisito per usucapione al proprio
demanio il terreno di proprietà della
ricorrente e la risposta non può che essere
negativa. L'Amministrazione non ha in alcun
modo dimostrato di aver effettivamente
posseduto, per un periodo almeno ventennale,
e quindi usucapito, il suddetto immobile.
Quanto alla dicatio ad patriam che
consiste nel comportamento del proprietario
che mette volontariamente e con carattere di
continuità un proprio bene a disposizione
della collettività, determinando in tal modo
l'insorgere, a favore della collettività
medesima, di una servitù di uso pubblico
(che si distinguono dunque dalle servitù
pubbliche in quanto, a differenza di queste
ultime -che, al pari delle servitù private,
postulano l'esistenza di due fondi-
postulano l'esistenza di un solo immobile
gravato da pesi direttamente funzionali alla
collettività beneficiaria).
Se il terreno della ricorrente fosse stato
oggetto di dicatio ad patriam e
quindi se esso fosse effettivamente gravato
da servitù di uso pubblico, effettivamente
il Comune sarebbe legittimato ad effettuare
i lavori di cui al provvedimento impugnato
giacché, per pacifica opinione, si ammette
che l'amministrazione locale, quale ente
rappresentativo degli interessi della
collettività, possa realizzare, sui beni
gravati dal predetto peso, i lavori
necessari ad assicurarne la pubblica
fruibilità o, perlomeno, a migliorane le
possibilità di fruizione mediante
l'esercizio dei poteri amministrativi di sua
spettanza.
Ma così non è poiché il connotato essenziale
della dicatio ad patriam è quindi
dato dalla volontaria messa a disposizione
del bene alla collettività: è quindi
necessario -in considerazione della notevole
importanza degli effetti che tale
comportamento determina- accertare in
maniera rigorosa se nel caso concreto la
volontà del proprietario (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenze 11.02.2011 nn. 465 e
466 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti della p.a.
- Art. 11, comma 8, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163 - Verifica dei prescritti requisiti di
qualificazione - Costituisce condizione di
efficacia dell'aggiudicazione definitiva -
Ratio.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara -
Commissione - Composizione - Art. 84, comma
2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Esperienza
dei componenti - Interpretazione - Va
valutata in capo alla Commissione nel suo
complesso.
1. La verifica del possesso in capo al
concorrente dei "prescritti requisiti",
prevista dall'art. 11, comma 8, del Codice
dei contratti pubblici, si pone come
condizione di efficacia dell'aggiudicazione
definitiva, a specifica salvaguardia
dell'interesse pubblico affinché, nei
confronti di chi sarà il futuro contraente
dell'Amministrazione, siano puntualmente
accertati i necessari requisiti di
partecipazione alla gara e quelli di
stipulazione (conf. v. TAR Veneto, sez. I,
04.08.2010, n. 3447).
2. Il requisito generale della competenza
tecnica nel settore nel quale si colloca la
fornitura di beni ovvero la prestazione di
servizi previsto dall'art. 84, comma 2,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per i componenti
della Commissione giudicatrice di una gara
per l'affidamento di un appalto pubblico,
deve essere inteso gradatamente e in modo
coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare; non è necessario, pertanto, che
l'esperienza professionale di ciascun
componente copra tutti i possibili ambiti
oggetto di gara, in quanto è la Commissione,
unitariamente considerata, che deve
garantire quel grado di conoscenze tecniche
richiesto nel caso specifico, in ossequio al
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione (conf. v. TAR Lombardia,
Milano, sez. I, 23.11.2010, n. 7320)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n. 452 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Illuminazione votiva dei
cimiteri comunali - Rientra nella categoria
delle concessioni di pubblico servizio -
Effetti - Applicabilità dell'art. 23-bis,
comma 8, del D.L. 112/2008 - Sussiste -
Conseguenze - In caso di precedente
affidamento senza gara - Cessazione ope
legis dell'affidamento medesimo alla data
del 31.12.2010.
L'attività di illuminazione votiva
cimiteriale, pur richiedendo la
realizzazione di impianti e la loro
manutenzione da parte dell'impresa
affidataria, rientra nella categoria delle
concessioni di pubblico servizio e, come
tale, risulta soggetta alla disciplina di
cui all'art. 113, comma 15-bis, D.Lgs.
18.08.2000, n. 267 e all'art. 23-bis, comma
8, del D.L. 25.06.2008, n. 112 secondo cui «le
gestioni affidate che non rientrano nei casi
di cui alle lettere da a) a d) cessano
comunque entro e non oltre la data del
31.12.2010, senza necessità di apposita
deliberazione dell'ente affidante».
(Nella specie, il TAR ha ravvisato
un'ipotesi di cessazione ope legis del
servizio di illuminazione votiva nei
confronti un'impresa affidataria senza gara
del servizio medesimo, in quanto non
rientrante nelle ipotesi contemplate alle
lettere da a) a d) del D.L. 25.06.2008, n.
112) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n. 450 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti della p.a.
- Appalto - Gara - Documentazione -
Irregolarità - Integrazione documentale -
Legittima - In caso chiarimenti relativi ad
un documento incompleto.
2. Contratti della p.a. - Bando - Clausole
di esclusione - Interpretazione - Divieto di
analogia - Sussiste.
1. Ai sensi dell'art. 46, D.Lgs. 12.04.2006,
n. 163, alla stazione appaltante è precluso
sopperire, mediante la richiesta
d'integrazione documentale, all'omessa
presentazione di un documento da parte di un
concorrente, atteso che l'integrazione
documentale riguarda semplici chiarimenti di
un documento incompleto, mentre l'omessa
allegazione di un documento o di una
dichiarazione, previsti a pena di
esclusione, non può considerarsi alla
stregua di un'irregolarità sanabile
(Nella specie, il TAR ha ritenuto legittimo
l'operato della stazione appaltante che a
fronte della produzione in gara, da parte
dell'impresa risultata aggiudicataria, di
una polizza fideiussoria completa in ogni
sua parte e mancante della sola firma
dell'assicurato, ne ha consentito la
successiva regolarizzazione).
2. Le clausole di esclusione previste dalla
lex specialis sono di stretta
interpretazione, essendo preclusa ogni loro
estensione analogica, specie quando
involgano profili privi di effettiva
sostanza (In applicazione di tale
principio, il TAR ha ritenuto che la
divergenza sul luogo di residenza dichiarato
dall'amministratore dell'impresa
aggiudicataria -e quella risultante dalla
carta di identità- non comporti la sua
esclusione ma possa, al limite, determinare
una richiesta di integrazione ex art. 46,
D.Lgs. 12.04.2006, n. 163) (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n. 449 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Concessione - Servizi
pubblici - Normativa applicabile -
Disciplina del Codice dei contratti pubblici
- Applicazione integrale - Esclusa - Limiti
- Divieto di disapplicazione del bando -
Sussiste.
Sebbene la concessione di servizi risulti
sottratta ex lege all'applicazione
del Codice dei contratti pubblici, nondimeno
l'art. 30, comma 3, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163 stabilisce che la scelta del
concessionario debba avvenire nel rispetto
dei principi desumibili dal Trattato UE e
dei principi generali relativi ai contratti
pubblici, fra i quali rientra certamente
anche quello, di ordine generale, che vieta
la disapplicazione del bando quando
l'Amministrazione si sia in origine
autovincolata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2011 n. 448 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Indicazioni e
chiarimenti in merito alla corretta gestione
degli appalti e subappalti.
E’ stata firmata dal Ministro Maurizio
Sacconi la
circolare 11.02.2011 n. 5 in
materia di appalti e subappalti avente per
oggetto: "Quadro giuridico degli appalti".
La circolare, tenuto conto del ricorso
sempre più frequente a processi di
esternalizzazione e della complessità della
legislazione e delle fonti di riferimento in
materia, effettua una ricognizione delle
principali problematiche che gli operatori
incontrano nel ricorrere all’appalto e
fornisce indicazioni e chiarimenti in merito
alla sua corretta gestione.
Tra le principali questioni affrontate, i
criteri che qualificano un appalto come
genuino, gli obblighi di carattere
retributivo connessi all’utilizzazione
dell’istituto, il valore degli appalti e i
criteri di scelta dei contraenti, la
responsabilità solidale tra committente,
appaltatore ed eventuali subappaltatori, il
ricorso alla certificazione, la disciplina
in materia di salute e sicurezza del lavoro. |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Appalti,
trattativa privata facile. Si alza
l'asticella della procedura negoziata. Scia
in edilizia. Dopo l'annuncio in cdm la
Semplificazione lavora sul decreto. Piano
casa per le aree degradate.
Niente gara pubblica per appalti di lavori
inferiori al milione di euro. E quindi
allargamento della procedura negoziata
(alias trattativa privata) che ora è
prevista per i lavori di importo fino a 500
mila euro. In più la
conferma ufficiale che la Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività) si applica
all'edilizia.
Edilizia che trova il suo piano casa per le
aree urbane da riqualificare (con premio di
cubatura da decidersi da parte delle
regioni).
Sono questi i binari sui cui si sta muovendo
il provvedimento sulla semplificazione,
ancora allo studio presso il dicastero del
ministro Roberto Calderoli, ma di cui
ItaliaOggi è in grado di fornire alcune
anticipazioni. Almeno delle linee di fondo.
Il provvedimento, approvato «salvo intese»
nel consiglio dei ministri di mercoledì
assumerà la veste giuridica del decreto
legge. Almeno questa è al momento
l'intenzione dei tecnici del ministero della
semplificazione che puntano a realizzare un
pronto intervento sulle prassi in atto.
Il decreto si muoverà nel solco delle norme
previste nel maxiemendamento del governo
alla legge di stabilità 2011 (legge n.
220/2010), e che in quella sede non hanno
visto la luce in quanto cassate dalla
commissione bilancio della camera per
estraneità di materia.
Due i settori maggiormente interessati
dall'intervento normativo che verrà varato
ufficialmente nel prossimo consiglio dei
ministri: l'edilizia e gli appalti.
Quanto all'edilizia, il primo intervento
riguarderebbe l'ambito di applicazione della
Scia, e cioè della segnalazione certificata
di inizio attività, che sostituisce i titoli
autorizzativi e consente di iniziare
un'attività da subito, senza dovere
aspettare la licenza dell'amministrazione e
senza dovere aspettare un lasso di tempo
iniziale, destinato ai controlli dell'ente
pubblico (come invece previsto per la Dia,
denuncia di inizio attività).
Il problema, dopo il varo della Scia, è
stato se si applichi o meno al settore
edilizio: i dubbi derivavano da una non
felice formulazione della norma istitutiva.
Nonostante alcuni chiarimenti ministeriali è
persistente la esigenza di certezza
legislativa, che dovrebbe arrivare con il
decreto in esame.
La Scia edilizia riguarderebbe tutti gli
interventi minori e quindi per le nuove
costruzioni o ristrutturazioni pesanti ci
vorrà o il permesso di costruire o la super
Dia. Peraltro la Scia edilizia, sempre per
interventi minori, troverebbe spazio anche
per le opere in aree vincolate, alla
condizione del conseguimento del parere
favorevole dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo.
Altra misura che dovrebbe trovare spazio del
decreto sulla semplificazione è il piano
casa per le aree urbane degradate. Alla
stessa stregua degli altri interventi di «piano
casa» fino ad ora approvati (ma che non
hanno avuto a oggi grande successo) la norma
prevede in premio cubatura aggiuntiva, così
da incentivare la riqualificazione: il tutto
naturalmente con apposite leggi regionali.
Nella stessa direzione (e cioè promuovere la
riqualificazione urbana) sarebbero dettati
incentivi alla delocalizzazione (ad esempio
strutture produttive in centro urbano) e in
particolare la possibilità di portarsi
dietro le cubature aggiuntive.
In materia di appalti si segnala la
possibilità di innalzamento dell'asticella
per l'uso della procedura negoziata, che
dovrebbe essere ammessa per i lavori di
importo complessivo inferiore a un milione
di euro. Si modifica l'importo oggi previsto
in 500 mila euro dall'articolo 122, comma 7,
del codice degli appalti. La norma dovrebbe
essere strutturata con una scaletta interna:
sopra i 500 mila euro comunque la stazione
appaltante dovrebbe invitare almeno dieci
soggetti, mentre per i lavori di importo
inferiore a 500 mila euro il numero minimo
di imprese da invitate scende a cinque.
Il decreto dovrebbe poi snellire la fase
della gara e in particolare le dichiarazioni
previste per attestare il possesso dei
requisiti di partecipazione alla selezione.
Si tratta, in particolare, dell'articolo 38
del codice degli appalti, che elenca le
dichiarazioni da formularsi in sedi di
richiesta di partecipazione, relative ad
esempio ai requisiti di moralità.
Nel decreto si preciserebbe che l'impresa
partecipante non deve dichiarare condanne
per reati depenalizzati e si precisano
restrittivamente le condizioni ostative
relative a violazioni contributive e
violazioni alla normativa sulla sicurezza
dei lavoratori (articolo
ItaliaOggi del 11.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità di
un'ordinanza contingibile e urgente con la
quale un sindaco, al fine di garantire il
trasporto pubblico degli studenti pendolari,
ha affidato il servizio a soggetti terzi.
E' legittima l'ordinanza contingibile e
urgente con la quale un sindaco, al fine di
garantire il trasporto pubblico degli
studenti pendolari nell'ultimo periodo
dell'anno scolastico, ha affidato il
servizio a soggetti terzi.
Tale provvedimento è stato adottato,
infatti, dopo avere riscontrato
l'impossibilità da parte della
concessionaria di proseguire il servizio di
trasporto alunni nelle tratte di interesse a
causa di un protratto fermo tecnico degli
autobus e dopo aver verificato l'assoluta
necessità ed urgenza di ripristinare i
collegamenti interrotti, anche con altri
mezzi, per il perseguimento dell'interesse
pubblico e prevalente di garantire ai
giovani l'esercizio concreto del proprio
diritto allo studio (Tar Sicilia-Catania,
Sez. III,
sentenza 10.02.2011 n. 285 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla violazione delle
disposizioni relative al subappalto.
Le eventuali violazioni delle disposizioni
relative al subappalto, non riguardando la
fase di ammissione alla gara ma l'esecuzione
del contratto, non possono condurre
all'esclusione della ditta, allorché la
stessa possieda i requisiti per svolgere in
proprio tutte le prestazioni oggetto del
contratto.
In questo caso, la S.A. potrà solo vietare
il subappalto e l'aggiudicatario dovrà
eseguire in proprio tutte le prestazioni
oggetto di gara (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.02.2011 n. 98 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Il
principio di intangibilità della compagine
consortile nel corso del procedimento di
gara si applica ai casi in cui la modifica
sia di tipo additivo.
La questione centrale da dirimere, nella
pronuncia in commento, attiene alla
legittimità della esclusione del consorzio
appellante, a seguito della sua modifica
soggettiva rispetto alla composizione che lo
stesso ente aveva all’epoca di proposizione
della domanda partecipativa alla procedura
comparativa indetta dal Comune in causa.
La questione, sottolineano i giudici del
Consiglio di Stato, non è nuova ed attiene
alla corretta delimitazione della portata
del divieto di cui all’art. 37, comma 9, del
d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che
“salvo quanto disposto ai commi 18 e 19,
è vietata qualsiasi modificazione alla
composizione dei raggruppamenti temporanei e
dei consorzi ordinari di concorrenti
rispetto a quella risultante dall'impegno
presentato in sede di offerta”.
I giudici di Palazzo Spada ritengono che
tale disposizione, per la sua portata
generale, debba trovare indistinta
applicazione nelle procedure comparative
funzionali ad individuare il miglior
contraente della amministrazione; deve
quindi trovare applicazione anche nel caso
di specie, in cui si verte nell’ambito di
una procedura volta alla individuazione di
soggetti che, quali concessionari del
demanio marittimo, devono dare affidamento
di perseguire l’interesse pubblico sotto il
profilo della più proficua utilizzazione del
bene demaniale oggetto di concessione.
Tale disposizione non distingue tra consorzi
costituiti e consorzi costituendi, così che
già la sua interpretazione letterale non
corrobora la tesi dell’appellante, secondo
cui la portata del divieto dovrebbe
riguardare soltanto i soggetti non ancora
formalmente costituiti in sede di
partecipazione alla gara. D’altra parte,
continuano i giudici d’appello, la tesi
dell’appellante contrasta anche con la
ratio della disposizione, che consiste
nell’esigenza per la stazione appaltante di
esercitare, prima della stipula del
contratto, ogni possibile controllo su
ciascuno dei componenti l’ente
plurisoggettivo, vuoi in vista
dell’applicazione del divieto di
partecipazione previsto dal comma 7 del
medesimo art. 37 per i soggetti in conflitto
di interessi, vuoi per la verifica della
sussistenza dei requisiti di moralità in
capo ai singoli consorziati.
Quanto alla effettiva portata del divieto,
osserva la VI Sezione che secondo una più
risalente interpretazione restrittiva, il
divieto della modifica della compagine
soggettiva in corso di gara o dopo
l’aggiudicazione è stato considerato
indistintamente applicabile a qualsiasi tipo
di modifica soggettiva, e cioè sia quando
subentra un nuovo soggetto, sia quando un
componente viene sostituito ad un altro, sia
quando un componente recede senza essere
sostituito.
Ciò in quanto, con la sottoscrizione del
mandato da parte di tutte le componenti
dell’a.t.i. o del consorzio, la stazione
appaltante è posta in grado di conoscere ex
ante i soggetti con cui andrà a contrattare;
inoltre, consentire una modifica della
compagine sarebbe lesivo della par
condicio competitorum nella misura in
cui si consente ai partecipanti di tarare la
composizione soggettiva in vista del
perseguimento del miglior risultato di gara.
In tal senso, si assume che il principio di
immodificabilità soggettiva dei partecipanti
alle gare pubbliche mira a garantire una
conoscenza piena da parte delle
amministrazioni aggiudicatrici dei soggetti
che intendono contrarre con le
amministrazioni stesse, consentendo una
verifica preliminare e compiuta dei
requisiti di idoneità morale,
tecnico-organizzativa ed
economico-finanziaria dei concorrenti,
verifica che non deve essere resa vana in
corso di gara con modificazioni di alcun
genere (Cons. St., sez. V, 07.04.2006, n.
1903; Cons. St., sez. V, 30.08.2006, n.
5081).
Tale conclusione interpretativa è stata però
rimessa in discussione da più recenti
pronunce, con riferimento a situazioni
diverse da quelle emerse nel corso del
presente giudizio. Infatti, per un diverso
orientamento di questo Consiglio (sez. IV,
23.07.2007, n. 4101), il divieto in
questione andrebbe inteso in senso
restrittivo, perché sarebbe applicabile solo
nel caso di aggiunta o sostituzione di
componenti, e non anche nel caso di recesso
di una o più imprese dell’a.t.i., dopo
l’aggiudicazione.
Si è al riguardo anche osservato che il
divieto di modificazione soggettiva non ha
l'obiettivo di precludere sempre e comunque
il recesso dal raggruppamento in costanza di
procedura di gara, perché la sua ratio
è quello di consentire alla stazione
appaltante di verificare il possesso dei
requisiti da parte dei soggetti che
partecipano alla gara (con la conseguente
preclusione di modificazioni soggettive,
sopraggiunte ai controlli, e dunque, in
grado di vanificare le suddette verifiche
preliminari): il divieto non è stato dunque
considerato applicabile nel caso di recesso
successivo alla verifica di capacità e di
moralità (sez. VI, 13.05.2009 n. 2964).
Proprio tale orientamento ha peraltro
indotto la VI Sezione a rilevare che il
divieto in esame senz’altro si applica
quando si tratti di una modificazione
soggettiva per la quale in sede di
aggiudicazione risultino nuovi soggetti
componenti (la compagine consortile),
rispetto a quelli indicati in sede di
partecipazione (sez. VI, n. 842 del
16.02.2010): il principio di intangibilità
della compagine consortile nel corso del
procedimento di gara riguarda le modifiche
di tipo additivo, atteso che in tal caso
alla stazione appaltante non residuerebbe
alcun margine di controllo sulla verifica
della sussistenza dei requisiti
partecipativi in capo al subentrato.
E’ dunque assolutamente costante
l’orientamento del Consiglio di Stato sulla
applicabilità del divieto ai casi in cui la
modificazione soggettiva non si caratterizzi
per un recesso, ma per una ‘modifica di
tipo additivo’, come è avvenuto nel caso
di specie (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2011 n. 888 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, sì alla
verbalizzazione postuma.
E' legittimo l'operato della Commissione
giudicatrice che procede alla
verbalizzazione delle sedute di gara in modo
non contestuale rispetto ai tempi ed alle
modalità di effettivo svolgimento delle
stesse. E’ legittima l’operato della
Commissione giudicatrice che procede alla
verbalizzazione delle sedute di gara in modo
non contestuale rispetto ai tempi ed alle
modalità di effettivo svolgimento delle
stesse.
La Prima Sezione del TAR del Veneto ha
affermato che non vìola l’art. 79 del Codice
dei contratti pubblici la verbalizzazione,
da parte della Commissione giudicatrice di
una gara di appalto, delle operazioni di
gara in modo non contestuale rispetto ai
tempi ed alle modalità di effettivo
svolgimento delle stesse.
La Commissione di gara, infatti, può
redigere un unico verbale delle sedute
svolte, atteso che non vi è alcuna
disposizione normativa che preclude tale
modalità di verbalizzazione.
Di conseguenza, è legittimo l'accorpamento
in un unico atto della verbalizzazione di
varie sedute della commissione ed anche la
sua redazione non contestuale al compimento
delle operazioni di gara.
Con la medesima decisone, il TAR del Veneto
ha affermato la legittimità dell’esclusione
di una ditta da una gara di appalto di
servizi, motivata con riferimento al fatto
che la ditta interessata aveva dichiarato di
voler espletare il servizio con un numero di
strumenti (nella specie, un solo
aspirapolvere) inferiore a quello
espressamente e chiaramente richiesto dal
bando, a pena di esclusione; ciò anche senza
fare applicazione dell’art. 46, d.lgs. n.
163 del 2006, atteso che l’ammissione alla
gara della suddetto concorrente, in presenza
di una così eclatante violazione della
chiara ed univoca lex specialis, si
sarebbe tradotto in una violazione del
principio della par condicio
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 09.02.2011 n. 220 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittima
l'esclusione di una società dalla gara per
l'affidamento in appalto del servizio di
raccolta dei rifiuti urbani, in applicazione
dell'art. 23-bis, c. 9, del d.l. n.
112/2008, conv. in l. n. 133/2008.
L'art. 23-bis, c. 9 del d.l. n.112/2008,
conv. in l. n.133/2008, vieta l'acquisizione
di ulteriori servizi pubblici, anche
mediante la partecipazione a gare d'appalto,
alle società cui sia già stata direttamente
affidata la gestione di un servizio pubblico
locale a rilevanza economica; il divieto
opera per tutta la durata della gestione
affidata senza gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittima
l'esclusione di una società dalla gara per
l'affidamento in appalto del servizio di
raccolta dei rifiuti urbani, essendo
pacifico che la stessa società è affidataria
diretta del medesimo servizio di raccolta
rifiuti presso un altro comune (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.02.2011 n. 181 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Al direttore dei lavori
è richiesta in via principale una attività
di vigilanza e di controllo dell'operato
dell'impresa appaltatrice, del cui operato
esecutivo di norma non risponde. Si tratta
di una attività preminentemente di
coordinamento tra l'operato dell'impresa e
l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché
di verifica dell'esatta realizzazione di
quanto progettato.
Il direttore dei lavori non assume nei
confronti del committente una obbligazione
di risultato, ma unicamente una obbligazione
di mezzi, che può essere svolta anche
attraverso una non continua e permanente
presenza sul cantiere da parte del
professionista. Neppure può ritenersi
preclusa la possibilità per il
professionista di avvalersi della
collaborazione di terze persone,
appartenenti o meno allo Studio tecnico di
cui sia titolare, quando si tratta di
svolgere compiti che non implichino la
soluzione di problemi tecnici e che, come
tali, richiedano la presenza personale del
professionista.
Osserva il Tribunale che al direttore dei
lavori è richiesta in via principale una
attività di vigilanza e di controllo
dell'operato dell'impresa appaltatrice, del
cui operato esecutivo di norma non risponde.
Si tratta a ben vedere, di una attività
preminentemente di coordinamento tra
l'operato dell'impresa e l'oggetto
contrattuale dell'appalto, nonché di
verifica dell'esatta realizzazione di quanto
progettato.
Come poi ha
esattamente rilevato la difesa dell'attore,
il direttore dei lavori non assume nei
confronti del committente una obbligazione
di risultato, ma unicamente una obbligazione
di mezzi, che può essere svolta anche
attraverso una non continua e permanente
presenza sul cantiere da parte del
professionista. Neppure può ritenersi
preclusa la possibilità per il
professionista di avvalersi della
collaborazione di terze persone,
appartenenti o meno allo Studio tecnico di
cui sia titolare, quando si tratta di
svolgere compiti che non implichino la
soluzione di problemi tecnici e che, come
tali, richiedano la presenza personale del
professionista.
Deve dunque convenirsi che al progettista e
direttore dei lavori ... spetta il compenso
per la prestata attività, così come
richiesta attraverso la fatturazione
contestata, indipendentemente dal ritardo
verificatosi nella conclusione dei lavori
appaltati e dall'esistenza dei vizi
dell'opera come denunciati dai committenti,
nessuna prova essendo emersa che sia il
ritardo che i vizi, ove effettivamente
sussistenti, siano ricollegabili ad
omissioni o a colpa dell'arch. ...
(TRIBUNALE di Siena, sentenza 09.02.2011
n. 50). |
APPALTI - ENTI LOCALI: G.U.
08.02.2011 n. 31 "Saggio degli interessi
da applicare a favore del creditore nei casi
di ritardo nei pagamenti nelle transazioni
commerciali" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
comunicato). |
APPALTI:
Valida l’aggiudicazione dell’appalto anche
se il DURC prodotto è incompleto
(link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nessuna norma obbliga
gli enti locali a preferire la modalità
dell'affidamento all'esterno rispetto a
quella della gestione diretta, sempre che il
servizio pubblico sia privo di rilevanza
economica.
Nessuna norma obbliga gli enti locali a
preferire la modalità dell'affidamento
all'esterno rispetto a quella della gestione
diretta, sempre che il servizio pubblico sia
privo di rilevanza economica.
Pertanto, nel caso di specie, considerati i
ridotti margini di profitto indicati dalla
stessa ricorrente (contenuti nell'ordine di
circa 7.000 euro) - non può dubitarsi che il
servizio pubblico locale oggetto della
deliberazione impugnata sia privo di
rilevanza economica.
Sicché, tenuto conto delle caratteristiche
del servizio e delle sue modeste dimensioni,
deve ritenersi che il consiglio comunale, ai
sensi dell'art. 113-bis del Tuel, avesse il
potere di preferire la formula della
gestione diretta rispetto a quella
dell'affidamento a soggetti esterni
all'amministrazione. In effetti, in un
comune, come quello di specie, di non
eccessiva grandezza, il servizio di
illuminazione votiva cimiteriale richiede,
di regola, l'impegno periodico di una
persona (o al massimo due) e una spesa annua
non rilevante.
In un tale contesto, oltre tutto, il
procedimento di indizione di una gara
pubblica finirebbe per comportare un costo,
in termini di impiego di risorse umane e
strumentali, ben maggiore rispetto a quello
conseguente alla gestione diretta del
servizio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1077 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nessuna norma obbliga
gli enti locali a preferire la modalità
dell’affidamento all’esterno rispetto a
quella della gestione diretta, sempre che il
servizio pubblico sia privo di rilevanza
economica.
L’articolo 113-bis del testo unico degli
enti locali, approvato con decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, stabilisce
che –con riguardo ai servizi pubblici locali
privi di rilevanza economica– oltre
all’affidamento diretto a istituzioni,
aziende speciali e società a capitale
interamente pubblico (comma 1, lett. a, b, e
c), “è consentita la gestione in economia
quando, per le modeste dimensioni o per le
caratteristiche del servizio, non sia
opportuno procedere ad affidamento ai
soggetti di cui al comma 1” (comma 2).
Come ha sottolineato il Consiglio di Stato
(cfr. da ultimo, proprio con riferimento ad
un servizio di illuminazione votiva, sez. V,
26.01.2011, n. 552), nessuna norma obbliga
gli enti locali a preferire la modalità
dell’affidamento all’esterno rispetto a
quella della gestione diretta, sempre che il
servizio pubblico sia privo di rilevanza
economica (sez. V, 04.05.2004, n. 2726) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1077 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della
revoca di una procedura negoziata a causa
del ritiro della copertura finanziaria da
parte dell'ente comunale, senza previa
comunicazione dell'avvio del procedimento.
Nel caso di revoca d'ufficio di un atto
endoprocedimentale inserito in una gara
d'appalto non è richiesta alcuna
comunicazione di avvio del procedimento,
dovendosi ritenere la stazione appaltante
obbligata al rispetto delle garanzie
partecipative solo quando l'esercizio del
potere di autotutela abbia ad oggetto
l'aggiudicazione definitiva, in ragione
della posizione di vantaggio, che solo
quest'ultima costituisce in capo all'impresa
aggiudicataria.
Gli atti endoprocedimentali, avendo effetti
instabili ed interinali, non sono, infatti,
idonei a generare nei partecipanti una
posizione consolidata di vantaggio, con la
conseguenza che sull'Amministrazione, la
quale intende esercitare il potere di
autotutela, incombe un onere di motivazione
fortemente attenuato circa le ragioni di
interesse pubblico, che lo hanno
determinato, essendo sufficiente che sia
reso palese il ragionamento seguito per
giungere alla determinazione negativa
attraverso l'indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi, in base ai quali si
ritiene di non dare corso ulteriore al
procedimento.
Nel caso di specie, il ritiro da parte del
comune della copertura finanziaria,
necessaria per coprire le spese conseguenti
all'affidamento del servizio, prima della
celebrazione della gara e, dunque, in una
fase, nella quale non era stato adottato
alcun provvedimento di aggiudicazione
neppure provvisorio, va qualificato come
atto endoprocedimentale, con il quale
l'amministrazione non ha annullato in
autotutela una aggiudicazione, ma ha "interrotto"
la procedura di gara, con conseguente
esclusione dell'obbligo di comunicazione
dell'avvio del relativo procedimento.
Ne deriva, altresì, che non vi era necessità
di una motivazione "rafforzata", che
si soffermasse sui profili di illegittimità
dell'atto e sulle ragioni di interesse
pubblico sottostanti al ritiro, dovendosi,
il provvedimento impugnato ritenere
adeguatamente giustificato dal riferimento
al venir meno della copertura finanziaria
dell'appalto, esistente al momento della
indizione della gara.
Peraltro, la mancanza della copertura
finanziaria rende doveroso il ritiro degli
atti di indizione della gara, che
rappresenta l'unico strumento utilizzabile
dall'amministrazione per evitare
l'affidamento di un appalto e la successiva
stipulazione del contratto in assenza della
necessaria copertura finanziaria (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 04.02.2011 n. 210 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Condanne riportate dai
concorrenti - Valutazione - Non compete al
soggetto partecipante ma alla stazione
appaltante - Obbligo di indicare tutte le
condanne riportate.
Le valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ed alla
loro incidenza sulla moralità professionale
spettano alla stazione appaltante e non al
concorrente medesimo, il quale è pertanto
tenuto a indicare tutte le condanne
riportate, non potendo operare a monte alcun
"filtro" e omettendo la dichiarazione
di alcune di esse sulla base di una
selezione compiuta secondo criteri personali
(Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n.
740), e ciò indipendentemente
dall’inserimento dell’obbligo in una
specifica clausola del bando e/o del
disciplinare di gara (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 03.02.2011 n. 782 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Associazione temporanea
di imprese - Verifica dei requisiti di
accesso alla gara - Requisiti di idoneità
tecnica - Dimostrazione - Sommatoria dei
mezzi e delle qualità delle singole imprese
raggruppate - Possibile - Salvo diversa
previsione del bando di gara.
Ove la legge di gara non preveda una soglia
minima quantitativa per ciascuna impresa
facente parte di un'ATI, il possesso dei
requisiti oggettivi di idoneità tecnica può
essere dimostrato facendo riferimento alla
sommatoria dei mezzi e delle qualità delle
singole imprese del raggruppamento (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.02.2011 n. 340 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Avvalimento.
L’avvalimento di
garanzia, figura nella quale l’impresa
ausiliaria mette in campo la propria
solidità economica e finanziaria a servizio
dell’aggiudicataria avvalente, può essere
ontologicamente ammessa solo in relazione
alla dimostrazione del possesso di idonei
requisiti economici e finanziari, come nel
caso del volume di affari o del fatturato,
ma non per requisiti di indole soggettiva,
quali l’esperienza pregressa in un dato
settore.
E’ quanto affermato dal TAR Campania-Napoli,
Sez. I, nella
sentenza 02.02.2011 n. 644, ove
viene ben chiarito l’alveo applicativo
dell’avvalimento, anche attraverso
un’anticipazione delle disposizioni
normative contenute nel nuovo Regolamento
attuativo.
Il Tar Campania, con la sentenza in esame,
interviene in tale delicato dibattito,
attraverso un preciso percorso
argomentativo.
In primo luogo, il Tar ricorda che
l'istituto dell' avvalimento, di origine
comunitaria, si delinea quale strumento in
grado di consentire la massima
partecipazione dei concorrenti alle gare
pubbliche, consentendo alle imprese, non in
possesso dei richiesti requisiti tecnici o
economici, di sommare, esclusivamente per la
gara in corso, le proprie capacità tecniche
ed economico-finanziarie a quelle di altre
imprese. Ovviamente, il ricorso
all'avvalimento non determina il
trasferimento definitivo dei requisiti
dell'impresa ausiliaria a quella avvalente,
ma, al contrario, la loro cessione ai soli
fini della partecipazione alla gara.
Dunque, l’avvalimento non implica alcun
effetto permanente: “In caso di
avvalimento, l'impresa ausiliata non potrà
fruire dei requisiti fatti oggetto di
prestito in altre future gare e ciò a
conferma del carattere non permanente
dell'istituto, il quale esplica i propri
effetti singolarmente”.
Il Tar Campania evidenzia che l’istituto
dell’avvalimento è integralmente animato da
un chiaro principio di favor verso la
partecipazione alle gare, in virtù del quale
il concorrente, per dimostrare le capacità
tecniche, finanziarie ed economiche nonché
il possesso dei mezzi necessari
all'esecuzione del contratto, può fare
riferimento alla capacità ed ai mezzi di uno
o più soggetti diversi, ai quali conta di
ricorrere. Conseguentemente, deve sempre
essere consentito ai partecipanti a
procedure concorsuali, al fine di dimostrare
il possesso dei requisiti tecnici, economici
ed organizzativi di partecipazione,
qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli intercorrenti con questi ultimi.
Venendo alla concreta questione, cioè la
possibilità di ricorrere all’avvalimento per
il requisito dell’esperienza quinquennale, i
giudici amministrativi campani prendono atto
che esso consiste in una “condizione
soggettiva, del tutto disancorata dalla
messa a disposizione di risorse materiali,
economiche o gestionali”. Il Tar ritiene
che il punto essenziale della problematica
sia proprio questo: il requisito
dell’esperienza quinquennale pregressa non
sembra avere apprezzabili collegamenti con
le “risorse”, che vengono trasferite
dall’impresa ausiliaria a quella avvalente e
che costituiscono il punto nodale
dell’avvalimento.
In merito il Tar compie un’anticipazione di
riferimento alle disposizioni normative
contenute nel nuovo Regolamento attuativo
del Codice, non ancora in vigore, affermando
che “la centralità della messa a
disposizione delle risorse all’interno del
sinallagma, tipizzante il contratto di
avvalimento, è peraltro ribadita
dall’articolo 88 del Regolamento di
attuazione del Codice dei Contratti (d.P.R.
n. 207 del 05.10.2010), che prescrive
l’indicazione puntuale ed analitica delle
risorse e dei mezzi prestati”.
Si tratta, invero, di un punto molto
importante. Infatti, il richiamato articolo
88 del nuovo Regolamento completa la
disciplina del Codice, ponendo enfasi
sull’elemento dell’imprestito di risorse,
oltre che di requisiti, quale profilo
fondante dell’avvalimento. Precisamente,
l’articolo 88 stabilisce che il contratto di
avvalimento, ai fini della qualificazione in
gara, deve riportare in modo compiuto,
esplicito ed esauriente i seguenti elementi:
a) l’oggetto, cioè le risorse ed i mezzi
prestati in modo determinato e specifico;
b) la durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini
dell’avvalimento.
Declamata la centralità dell’elemento “risorse”
nell’ambito dell’avvalimento, il Tar
Campania perviene ad una chiara conclusione:
“esclusa l’ipotesi dell’avvalimento
operativo, di portata generale, la
fattispecie in esame è da ricondurre al
cosiddetto avvalimento di garanzia, figura
nella quale l’ausiliaria mette in campo la
propria solidità economica e finanziaria a
servizio dell’aggiudicataria ausiliata,
ampliando così lo spettro della
responsabilità per la corretta esecuzione
dell’appalto”.
Tuttavia, secondo i giudici amministrativi,
l’avvalimento di garanzia incontra limiti
nell’ordinamento, in ragione della sua
peculiare funzione di estensione della base
patrimoniale della responsabilità
dell’esecuzione del contratto. Di
conseguenza, tale figura può trovare
legittimo riconoscimento solo in relazione
alla dimostrazione del possesso di idonei
requisiti economici e finanziari, come nel
caso del volume di affari o del fatturato.
In questa ipotesi l’avvalimento di garanzia
dispiega una apprezzabile funzione, nel
senso di assicurare alla stazione appaltante
un operatore economico, che goda di una
complessiva solidità finanziaria, come
dimostrato da recente giurisprudenza in tema
di capitale sociale minimo.
Pertanto, al di fuori di tale ipotesi, cioè
dell’esistenza di un chiaro collegamento con
le risorse fornite dall’impresa ausiliaria
all’impresa avvalente, “la messa a
disposizione di requisiti soggettivi snatura
e stravolge l’istituto dell’avvalimento per
piegarlo ad un logica di elusione dei
requisiti stabiliti nel bando di gara”
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura negoziata
senza pubblicazione del bando quando non sia
stata svolta alcuna attività qualificabile
in termini di indagine di mercato e non sia
stato dimostrato il presupposto dell’unicità
della prestazione.
La procedura negoziata senza pubblicazione
del bando di gara costituisce una deroga al
normale principio di concorrenzialità che
domina la materia degli appalti pubblici e
pertanto i casi in cui essa è
legislativamente consentita sono tassativi e
da interpretarsi restrittivamente, con onere
dell'Amministrazione di motivare
espressamente la sussistenza dei presupposti
giustificativi (Giurisprudenza costante: v.
per tutte Corte di Giustizia CE, 08.04.2008,
n. 337; I, 02.06.2005, n. 394; II,
13.01.2005, n. 84; I, 14.10.2004, n. 340;
II, 14.09.2004, n. 385; V, 10.04.2003, n.
20).
I presupposti per il ricorso alla procedura
negoziata senza pubblicazione del bando di
gara, per l'unicità della prestazione,
ricorrono soltanto quando si tratti di
qualità talmente particolari dell'impresa da
farla apparire, sia sotto il profilo delle
maestranze altamente specializzate, sia per
gli strumenti tecnologici di cui dispone,
sia per il prodotto o il servizio offerto,
come l'unica in grado di eseguire un'opera o
una prestazione dalle caratteristiche
tecniche assolutamente particolari, sì che
l'art. 57, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 163
del 2006 trova applicazione in casi di
prestazioni infungibili o rese in posizioni
monopolistiche (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
n. 2728 del 2000 TAR Lazio-Roma, Sez. III,
16.01.2010, n. 286).
Ai fini della legittimità del ricorso alla
procedura negoziata senza pubblicazione del
bando di gara è onere dell’amministrazione
individuare le caratteristiche esclusive del
servizio con estremo rigore ed ampiezza
descrittiva in modo da poter dimostrare
l’inutilità o comunque l’impossibilità di un
confronto concorrenziale il cui esito
sarebbe pressoché scontato a priori perché
solo un operatore è in grado di assicurare
la prestazione richiesta (cfr. ad es., TAR
Lazio n. 286/2010).
Presupposto di ciò è la preliminare
individuazione dell’oggetto della
prestazione da rendere, e non del
macchinario che si ritiene più adatto,
accompagnata da una preventiva indagine di
mercato, da svolgersi all’evidenza ex
ante non ex post (cfr., ex
multis, TAR Lazio-Roma, Sez. III,
11.11.2009, n. 11069 e Cons. Stato, Sez. V,
31.12.2007, n. 6797) da cui risulti
l’unicità dell’operatore in grado di
svolgere quella prestazione (non certo quale
sia quello che la svolge nel modo reputato
migliore).
E’ illegittima una procedura negoziata senza
pubblicazione del bando di gara per la
fornitura di un impianto di trattamento e
valorizzazione di rifiuti, ove:
a) non sia stata svolta alcuna attività
qualificabile in termini di indagine di
mercato, la quale presuppone sia il
contattare un certo numero di operatori di
mercato che l’acquisire gli elementi in
ordine ai relativi prodotti (nella specie vi
era stata solo un’indagine tecnica interna
in cui l’unico macchinario esaminato era
quello prescelto, senza l’indicazione di
elementi acquisiti anche solo informativi in
ordine ad altri eventuali analoghi
macchinari, anche solo per evidenziarne
l’incapacità a svolgere quella prestazione);
b) non sia stato dimostrato il presupposto
dell’unicità della prestazione (nella specie
l’approfondimento tecnico -parziale e non di
mercato- posto a fondamento della determina
analizzava l’unicità del macchinario
prescelto, ma non l’unicità della
prestazione da svolgere) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza 02.02.2011 n. 191 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della
revoca dell'aggiudicazione provvisoria per
mancanza del requisito di regolarità
fiscale, sanato dalla concorrente soltanto
successivamente all'adozione del
provvedimento.
E' legittima la revoca di aggiudicazione di
una gara nei confronti di un concorrente, in
relazione al quale sia stata accertata la
mancanza del requisito di regolarità
fiscale, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett.
g), del d.lgs. n. 163/2006, in quanto la
regolarizzazione è avvenuta solo
all'indomani del provvedimento di
aggiudicazione provvisoria, e non poteva
legittimamente integrare, in capo
all'impresa, il requisito di partecipazione
richiesto dalla legge.
Il requisito di regolarità contributiva e
fiscale prescritto è indispensabile non solo
per la stipulazione del contratto, bensì ai
fini dell'ammissione alla gara; ne consegue
l'obbligo, in capo all'impresa concorrente,
di regolarizzare la propria posizione fin
dalla presentazione della domanda, e
mantenerla tale per tutto lo svolgimento
della gara, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo delle
obbligazioni previdenziali e tributarie.
Nel caso di specie, non ha rilievo che la
cartella esattoriale sia divenuta definitiva
alla scadenza del termine utile per proporre
ricorso, dopo la presentazione dell'offerta
ma prima dell'adozione del provvedimento di
esclusione, giacché la ratio della
norma, che impone l'esclusione nelle sole
situazioni di irregolarità fiscale "definitivamente
accertate", è volta a garantire che
l'impresa non subisca le conseguenze di
procedure di accertamento tributario o di
riscossione erroneamente intraprese nei suoi
confronti (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 01.02.2011 n. 213 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
gennaio 2011 |
|
APPALTI:
TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI NELLE
COMMESSE PUBBLICHE (Art. 3, Legge 13.08.2010
n. 136 e s.m.) (ANIE,
linee guida gennaio 2011). |
LAVORI PUBBLICI:
SOA - Attività di
attestazione nei confronti di imprese
certificate dalle stesse SOA - Divieto -
Art. 8, c. 4, L. n. 109/1994 - Modifiche ex
art. 7 L. n. 166/2002 - Caducazione del
divieto - Esclusione.
Anche a seguito delle modifiche apportate
all’art. 8, comma 4, della legge n. 109 del
1994 dall’art. 7 della legge n. 166 del
2002, non è venuto meno il divieto per le
SOA di svolgere attività di attestazione nei
confronti di imprese certificate dalle
stesse SOA o da società da queste
controllate.
La circostanza che la legge non preveda più
il divieto per le società di certificazione
della qualità di svolgere anche attività di
qualificazione con riferimento alla stessa
impresa non significa affatto che le società
di certificazione possano ora
incondizionatamente anche attestare
nell’ambito dei lavori pubblici senza alcun
limite soggettivo.
La riforma disposta nel 2002 ha invece
comportato soltanto che le società di
certificazione non possono più essere
autorizzate a qualificare soggetti esecutori
di lavori pubblici, neppure con il limite
soggettivo prima esistente (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 31.01.2011 n. 696 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Non è necessario rendere
la dichiarazione relativa ai requisiti di
cui all'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs.
n. 163/2006, anche con riferimento ai
procuratori, nell'ipotesi di società di
capitali.
Ai sensi dell'art. 38, lett. b) e c), del
d.lgs. n. 163/2006, rientrano nel novero dei
requisiti per la partecipazione a gare
d'appalto, da un lato, l'assenza di
procedimenti di prevenzione pendenti o di
cause ostative di cui all'art. 10 della
legge n. 575/1965; dall'altro, la mancanza
di condanne definitive per reati incidenti
sull'affidabilità morale dell'impresa; per
le società di capitali, la norma si
riferisce ai soli amministratori muniti di
poteri di rappresentanza o al direttore
tecnico, mentre nulla viene stabilito a
proposito dei procuratori che, in quanto
tali, non possono ritenersi titolari della
legale rappresentanza dell'impresa, ferma
restando la rilevante differenza tra poteri
di gestione e funzione rappresentativa, per
cui gli stessi non possono ritenersi
destinatari della richiamata disposizione
dell'art. 38.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale, l'estensione ai
procuratori dell'obbligo di dichiarazione in
merito ai requisiti di cui alla citata
disposizione normativa, sussiste in virtù
della verifica sostanziale dell'entità dei
poteri a questi conferiti, tali da imporne
la qualifica di amministratori di fatto.
Tuttavia, l'esistenza di tale ulteriore
condizione in capo al procuratore è una
circostanza di fatto che deve costituire
oggetto di prova, nonché di specifica
allegazione da parte di chi invochi, come
nel caso di specie, la carenza della
dichiarazione di cui all'art. 38 (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 597 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Partecipazione alle
procedure di affidamento - Requisiti di
ordine generale - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006
- Destinatari della prescrizione - Società
di capitali - Amministratori muniti di
poteri di rappresentanza - Fondamento -
Procuratori - Esclusione.
L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 tra i
requisiti di ordine generale per la
partecipazione a procedure di affidamento di
appalti e concessioni di lavori, servizi e
forniture, alle lettere b) e c) stabilisce,
da un lato l’assenza di procedimenti di
prevenzione pendenti o di cause ostative ai
sensi dell’art. 10 della legge 31.05.1965 n.
575, dall’altro la mancanza di condanne
definitive per categorie di reati ritenuti
fortemente incidenti in senso negativo
sull’affidabilità morale dell’impresa; in
ordine alle persone fisiche cui riferire
tali requisiti, per le società di capitali
la norma si riferisce ai soli amministratori
muniti di poteri di rappresentanza o al
direttore tecnico, mentre nulla viene
stabilito a proposito dei procuratori.
Costoro, in quanto tali, non possono
ritenersi anche titolari della legale
rappresentanza dell’impresa, ferma restando
la sostanziale differenza tra poteri di
gestione e funzione rappresentativa, per cui
non possono ritenersi destinatari dalla
richiamata disposizione dell’art. 38 (TAR
Campania, I Sezione, 07.06.2010 n. 12674)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 597 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: La
disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs.
163/2006 va interpretata nel senso che
l’omissione o la non corrispondenza alla
realtà sottostante di una dichiarazione resa
ai sensi della precitata disposizione non
comportino ex se l’esclusione dalla gara
dell’impresa interessata quando non
sussistano in concreto situazioni ostative
alla partecipazione, riconoscendosi la
necessità di assicurare che le ipotesi di
esclusione vengano ispirate al canone della
tassatività e che le relative previsioni
rispondano ad effettive esigenze di
interesse pubblico a fronte di inequivoche
previsioni normative.
L'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 impone non già
la produzione di specifica documentazione
attestante la mancanza della causa di
esclusione indicata (l’aver cioè commesso
violazioni, definitivamente accertate,
rispetto agli obblighi relativi al pagamento
delle imposte e tasse secondo la
legislazione italiana), ma lo status
soggettivo del “non trovarsi” in tale
situazione; solo il positivo avveramento di
tale situazione impone, cioè, l’esclusione
dalla gara.
Alla stregua della più avveduta e recente
giurisprudenza del Supremo Consesso (cfr.
Cons. di Stato, sez.VI, 22.02.2010. n.
1017), in osservanza degli apicali principi
del favor partecipationis e di tutela
dell’affidamento, va rimarcato che la
disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs.
163/2006 va interpretata nel senso che
l’omissione o la non corrispondenza alla
realtà sottostante di una dichiarazione resa
ai sensi della precitata disposizione non
comportino ex se l’esclusione dalla
gara dell’impresa interessata quando non
sussistano in concreto situazioni ostative
alla partecipazione, riconoscendosi la
necessità di assicurare che le ipotesi di
esclusione vengano ispirate al canone della
tassatività e che le relative previsioni
rispondano ad effettive esigenze di
interesse pubblico a fronte di inequivoche
previsioni normative.
Tanto alla luce della considerazione che la
disposizione richiamata (art. 38 cit.)
impone non già la produzione di specifica
documentazione attestante la mancanza della
causa di esclusione indicata (l’aver cioè
commesso violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana), ma lo status
soggettivo del “non trovarsi” in tale
situazione; solo il positivo avveramento di
tale situazione impone, cioè, l’esclusione
dalla gara (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 31.01.2011 n. 35 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla sussistenza della
giurisdizione del g.o. per la controversia
inerente il mancato assolvimento di
obbligazioni negoziali tra le parti di un
rapporto concessorio avente ad oggetto la
gestione di una piscina comunale.
Gli impianti sportivi comunali per il nuoto
rientrano tra i beni del patrimonio
indisponibile degli enti locali e, in
particolare, giacché finalizzati a
soddisfare l'interesse della collettività
alle discipline sportive, sono ascrivibili
ai beni destinati ad un pubblico servizio,
onde gli stessi possono essere trasferiti
nella disponibilità dei privati solo
mediante concessione amministrativa, quale è
quella in cui il privato gestisce l'impianto
natatorio percependo il corrispettivo
direttamente dagli utenti e corrispondendo
un canone di concessione all'Amministrazione
comunale, secondo lo schema tipico della
concessione di servizio pubblico.
A seguito dell'intervento della Corte
costituzionale (sent. n. 204/2004), l'ambito
dei pubblici servizi è oggetto di
giurisdizione del giudice amministrativo
solo se in esso l'Amministrazione agisce
esercitando il suo potere di supremazia in
connessione funzionale con la tutela
dell'interesse pubblico affidato alle sue
cure, non quando la lite, vertendo sulla
mera inadempienza di singole prestazioni
negoziali, riguarda unicamente il rapporto
convenzionale delle parti e le reciproche
posizioni di diritto e di obbligo -anche in
vista dell'accertamento della responsabilità
per danni del debitore inadempiente (sia
questo il soggetto pubblico o il soggetto
privato)-, con la conseguenza che restano
assoggettate alla giurisdizione del giudice
ordinario le controversie, relative a
situazioni di diritto soggettivo, in cui
l'Amministrazione non sia coinvolta come
autorità, ancorché le stesse scaturiscano da
rapporti di tipo.
Poiché, nel caso di specie, le domande
giudiziali delle parti sono nella
circostanza fondate sul mancato assolvimento
di precise obbligazioni negoziali -l'una
adducendo il mancato pagamento del canone di
concessione e delle spese relative a varie
utenze da parte della ditta che aveva
assunto le gestione del bene e relative
strutture e l'altra pretendendo dall'ente
concedente il risarcimento del danno
conseguente all'inadempienza dell'obbligo di
cura della manutenzione straordinaria
dell'impianto natatorio, e poiché le
pronunce di incostituzionalità producono i
loro effetti anche sui giudizi pendenti,
entrambe le domande giudiziali si rivelano
inammissibili per difetto di giurisdizione
del giudice amministrativo, in quanto
relative a posizioni di diritto soggettivo
devolute alla cognizione del giudice
ordinario (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 30 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: La
valutazione (negativa) delle offerte operata
da una commissione di gara è espressione di
un’ampia discrezionalità che impinge nel
merito dell’azione amministrativa e come
tale sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salve le ipotesi di
manifesta irragionevolezza, illogicità,
irrazionalità, arbitrarietà o di
travisamento dei fatti.
Il Collegio non può non richiamare il
consolidato principio per cui la valutazione
(negativa) delle offerte operata da una
commissione di gara è espressione di
un’ampia discrezionalità che impinge nel
merito dell’azione amministrativa e come
tale sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salve le ipotesi di
manifesta irragionevolezza, illogicità,
irrazionalità, arbitrarietà o di
travisamento dei fatti (ex plurimis,
Consiglio Stato, sez. V, 29.10.2009, n.
6688) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 687 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Controllo societario e
partecipazione alle gare.
Devono essere escluse le imprese che si
trovano in una situazione di controllo
effettivo, anche qualora non sussistano
quelle specifiche ipotesi riconducibili allo
schema del codice civile.
Questo il principio enunciato dal Consiglio
di Stato, Sez. IV, nella
sentenza 28.01.2011 n. 673, che
ancora una volta si è pronunciato
sull’annosa questione della partecipazione
alle gare per le imprese che presentano
legami tali da alterare le normali regole
della concorrenza.
Nel caso in esame, relativo ad una gara per
l’affidamento dei lavori di pavimentazione
stradale, due imprese concorrenti erano
state escluse “in quanto esistente uno
stretto collegamento tra le due società,
tale da far ritenere unico il centro
decisionale e/o di interesse comune.”
Nella specie l’amministrazione contestava:
- Il collegamento familiare tra i vari
componenti delle due società;
- L’intreccio societario desumibile dagli
statuti;
- Le modalità di invio dei plichi contenenti
le offerte, spediti dallo stesso ufficio
postale, alla stessa data e ora e con numeri
di protocollo immediatamente successivi.
Il provvedimento della stazione appaltante,
oggetto di impugnazione, era stato tuttavia
confermato dai giudici di prime cure che non
avevano ritenuto attendibili le censure di
parte ricorrente, la quale aveva sostenuto:
“l’esclusione dalle gare d’appalto può
essere disposta solo in presenza di indizi
gravi, precisi e concordanti.”
Tali argomentazioni, riproposte in sede di
appello, non sono state comunque considerate
valide.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti,
stabilito che: “Il persistente
riferimento ad un "unico centro
decisionale", cui siano imputabili le
diverse offerte, a prescindere dal controllo
e collegamento di carattere presuntivo
legale e "documentale", di cui all'articolo
2359 del codice civile, quale causa di
esclusione, costituisce la riprova che il
legislatore ha inteso allargare la
disciplina codicistica, rilevante solo a
determinati effetti, appunto privatistici
(ad esempio, per il regime delle
responsabilità degli impegni assunti dalle
varie società), preferendo una soluzione
sostanziale e non formale, laddove consente
l'esclusione dalle gare d’appalto di
concorrenti societari che siano tra loro in
un rapporto di effettivo controllo, ancorché
realizzato attraverso ipotesi non
riconducibili allo schema della norma del
codice civile.
Sicché, è sufficiente la presenza di
significativi elementi rivelatori di un
collegamento materiale -a prescindere dai
fenomeni di votazione assembleare- tra
imprese, perché sorga l'onere, in capo
all'amministrazione, di verificare se esso
sia stato tale da alterare il normale,
imparziale e concorrenziale meccanismo della
gara.
D'altronde, ciò è coerente anche con il
sistema disegnato dalla norma del codice
civile, laddove essa, prevedendo
semplicemente una presunzione nell'unica
ipotesi di collegamento rilevante,
individuata attraverso i meccanismi di
partecipazione assembleare, non esclude che
vi possano essere altre forme di
collegamento o controllo societario, in
concreto idonee ad alterare il meccanismo di
gara (cfr. al riguardo, Cons. St., sez. V,
24.08.2010, n. 5923).”
La riconducibilità delle offerte ad unico
centro decisionale, determina in capo alla
stazione appaltante l’onere di porre in
essere tutti quelli accertamenti idonei a
verificare che non vi sia stata una
alterazione della par condicio tra i
concorrenti.
Tale verifica si inserisce all’interno di
una serie procedimentale progressiva che
deve avvenire nel rispetto dei principi di
legalità, buon andamento ed imparzialità
dell’azione amministrativa, enunciati
dall’articolo 97 della Costituzione
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul legame familiare tra
società concorrenti in una medesima gara
d'appalto.
Ai sensi
dell'art. 34, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006,
non possono partecipare alla medesima
procedura imprese che si trovino fra di loro
in una delle situazioni di controllo di cui
all'articolo 2359 c.c., aggiungendo a tale
ipotesi quella relativa ad offerte
imputabili ad un unico centro decisionale.
La fattispecie normativa citata ricorre
allorquando sussista una situazione di
collegamento sostanziale, desumibile da
univoci elementi individuati in concreto
dalla stazione appaltante, dai quali emerga
un rapporto tra società, tale da alterare il
libero svolgimento della gara nel rispetto
della par condicio e dei principi di
trasparenza ed efficacia delle procedure di
aggiudicazione. Il riferimento ad un unico
centro decisionale consente l'esclusione di
concorrenti che siano tra loro in un
rapporto di effettivo controllo, ancorché
realizzato attraverso ipotesi non
riconducibili allo schema civilistico.
Pertanto, è sufficiente la presenza di
significativi indici rivelatori di un
collegamento materiale, affinché sorga
l'onere, in capo alla stazione appaltante,
di verificare se esso sia stato tale da
alterare il normale meccanismo di gara. Il
principio sostanzialistico contenuto nel
citato art. 34 comporta la possibilità, per
le stazioni appaltanti, di procedere ad una
verifica più approfondita circa le relazione
di collegamento fra i partecipanti alla
gara.
In particolare, secondo un consolidato
orientamento giurisprudenziale, l'esistenza
di un legame familiare tra imprese
concorrenti, ove accompagnato da elementi di
oggettiva partecipazione societaria,
costituisce un'ipotesi di concentrazione del
potere decisionale in capo ad un unico
centro di interessi (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 673 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Gare,
parola alle regioni. Spazio a regole ad hoc
sulle aggiudicazioni. Per le sezioni unite
gli enti possono stabilire la necessità di
un successivo contratto.
Una legge regionale può
derogare alla regola generale per cui
l'aggiudicazione di una procedura di gara
equivale a stipula del contratto; è quindi
legittimo, con legge regionale, differire ad
un momento successivo la competenza dal
giudice ordinario, rispetto alla regola
stabilita dalla legge statale.
E' quanto afferma la sentenza 11.01.2011 n.
391 della Corte di Cassazione, Sezioni
unite, che decide su una questione di
riparto di giurisdizione, fra giudice
ordinario e giudice amministrativo.
Veniva infatti eccepito il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario rispetto
ad una controversia sottoposta alla
giurisdizione del giudice amministrativo,
sostenendosi che la deliberazione di
aggiudicazione definitiva di un compendio
immobiliare,venduto all'asta pubblica,
contrariamente a quanto sostenuto dalla
sentenza della Corte di appello di Bologna,
non equivaleva a contratto di compravendita.
Il collegio bolognese aveva sostenuto che il
processo verbale di aggiudicazione
definitiva equivale a tutti gli effetti al
contratto, a norma del rd n. 2440 del 1923,
art. 16, e che quindi la posizione
dell'acquirente, fino all'aggiudicazione è
di interesse legittimo, mentre diviene di
diritto soggettivo successivamente
all'aggiudicazione, stante la suddetta
equiparazione tra aggiudicazione e
contratto, con conseguente giurisdizione del
giudice ordinario.
La Cassazione era quindi chiamata a decidere
se il contratto di compravendita dovesse
ritenersi concluso per effetto della sola
aggiudicazione, come sostenuto dalla
sentenza impugnata, in applicazione del rd
n. 2440 del 1923, art. 16, sulla contabilità
di stato, oppure se fosse necessario un
successivo scambio di volontà e conclusione
di un formale contratto, come prevede
l'articolo 74 della legge regionale
dell'Emilia Romagna n. 22 del 1980. Si
trattava quindi di ricostruire i principi
generali dettati dalla normativa statale, di
verificare la natura di tale normativa e di
rapportarli alla norma regionale.
Prima di entrare nel merito, la Corte
ricorda che la cognizione del giudice
ordinario, quale giudice dei diritti,
diviene pienamente operativa nella
successiva fase contrattuale afferente
l'esecuzione del rapporto, fase aperta dalla
stipula, nella quale si è entrati a seguito
della conclusione -con l'aggiudicazione–
della fase pubblicistica.
Nel merito dei rapporti fra norma statale e
norma regionale, i giudici affermano che la
legge di contabilità dello Stato del 1923
(la 2440), all'articolo 16, stabilisce che i
i processi verbali di aggiudicazione
definitiva equivalgono per ogni legale
effetto al contratto. Ma tale disposizione,
dicono i giudici, ha natura di «norma
dispositiva, che si presta a essere derogata
nel senso di escludere che l'aggiudicazione,
oltre a concludere il procedimento di scelta
del contraente, produca da sé la conclusione
dell'accordo».
La Cassazione argomenta che la norma
statale, che è dettata in tema di
contabilità generale dello Stato, «può
essere derogate da una norma regionale
nell'ambito di una materia, la cui
competenza appartenga alla regione».
Occorre quindi verificare se nell'ambito in
cui incide il contratto vi sia una
competenza normativa regionale.
La Corte, nel caso di specie, si esprime
positivamente in quanto nelle materie
concorrenti, tra competenza legislativa
dello Stato e quella delle regioni, è
indicata la «tutela della salute»,
con la conseguenza che spetta allo stato
fissare i principi fondamentali, mentre alle
regioni compete dettare la disciplina
attuativa di tali principi, con l'autonomia
e l'autodeterminazione che, nel disegno
costituzionale, ad esse sono state
riconosciute.
I giudici da ciò fanno discendere che la
disciplina in materia di conclusione dei
contratti, risultando accessoria rispetto
all'individuazione delle linee fondamentale
dell'assistenza sanitaria e della tutela
della salute (che spettano allo stato) ben
può essere oggetto di formazione regionale (articolo
ItaliaOggi del 28.01.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
APPALTI SERVIZI: Clausola
riassorbimento personale.
L’obbligo imposto
all’impresa aggiudicataria della nuova gara
di mantenere in servizio i medesimi autisti
già assunti dal gestore uscente integra
un’evidente violazione del principio di
autonomia contrattuale, di cui all’articolo
1322 del codice civile, dal momento che
determina, in via unilaterale, l’imposizione
di un vincolo a contrarre, al di fuori dei
casi tassativamente tipizzati dal
Legislatore.
E’ quanto stabilito dal TAR Piemonte, Sez.
I, nella
sentenza 27.01.2011 n. 114, ove
viene affrontata una peculiare questione,
quale quella della clausola di
riassorbimento del personale del gestore
uscente, oggetto di una non irrilevante
diffusione nella concreta prassi delle
stazioni appaltanti.
Invero, i reali ostacoli alla legittimità
della clausola di riassorbimento derivano
proprio dai principi declinati dall’articolo
2, comma 1°, del Codice dei contratti
pubblici , oltre che da quelli consacrati in
Costituzione.
Infatti, la clausola di riassorbimento del
personale dell’impresa uscente si palesa
pienamente contrastante con il principio
costituzionale di libertà di iniziativa
economica. L’articolo 41, comma 1°, della
vigente Carta costituzionale, stabilisce che
l'iniziativa economica privata è libera. Si
tratta di un postulato della massima
importanza, che costituisce, senza dubbio,
il fondamento primo dell’economia di
mercato.
Orbene, la contestata clausola viola
l’indicato principio sotto un duplice
aspetto. In primo luogo, per quanto concerne
l’aspetto generale di libertà di iniziativa
economica, cioè libertà delle scelte
organizzative e gestionali, che
costituiscono un ineludibile contraltare al
principio del rischio di impresa. Orbene,
l’imprenditore deve essere libero, nel
rispetto dei limiti legalmente previsti, di
assumere personale, che risponda a specifici
requisiti di professionalità. Il voler
imporre l’assunzione obbligatoria di
personale di altra azienda costituisce una
ingiustificata e pericolosa intrusione nel
suo ambito di libertà di scelta
organizzativa.
In secondo luogo, il principio di libera
iniziativa economica viene violato per quel
che riguarda l’aggravamento economico
dell’iniziativa medesima. In altri termini,
la clausola di riassorbimento impone degli
oneri economici, che si manifestano gravosi
ed alteranti l’equilibrio economico
dell’azienda. In buona sostanza, il
vincitore della gara deve essere libero di
poter assumere o non assumere altro
personale, in conseguenza del nuovo appalto
o concessione. Infatti, è ben possibile che
il vincitore abbia personale,
momentaneamente e parzialmente
sotto-occupato, che troverà pieno utilizzo
proprio con la nuova concessione.
Occorre, poi, tener conto del principio di
libera concorrenza, di chiara derivazione
comunitaria ed involgente l’intero settore
dei pubblici contratti. Obiettivo
fondamentale della Comunità europea è, ai
sensi dell’articolo 2 del Trattato di Roma,
la creazione di un’Unione economica e, ancor
prima, di un mercato comune, da intendersi
come vero e proprio “mercato interno”
nell’accezione propria dell’articolo 14 del
Trattato medesimo. Un mercato, cioè, in cui
sia effettivamente ed efficacemente
assicurata la libera circolazione di
persone, merci, servizi e capitali. Venendo
al settore dei pubblici contratti e
ripercorrendo le novità introdotte dal
Codice e le trasformazioni indotte dalle
direttive comunitarie, sembra emergere un
dato ben chiaro: la disciplina degli
contratti pubblici si presenta adesso, alla
stregua di una rinnovata concezione
dell’interesse pubblico, quale strumento
funzionale al mercato, come passaggio
obbligato per garantire la piena operatività
del confronto concorrenziale, inteso quale
valore da promuovere, oltre che da tutelare.
Competitività e trasparenza dei mercati
costituiscono, infatti, un binomio
inscindibile nel consentire alle Pubbliche
autorità di acquistare beni e servizi e di
realizzare opere a prezzi più bassi e di
qualità migliore, con una consistente
semplificazione dei processi di acquisto e,
dunque, con una benefica riduzione dei costi
amministrativi e delle altre inefficienze
del settore. Pertanto, la presenza della
clausola di riassorbimento, quale clausola
palesemente alterante l’imprescindibile
valutazione dell’interesse economico, che
ogni impresa deve liberamente effettuare,
costituisce una chiara violazione del
principio di libera concorrenza.
Orbene, la violazione del principio di
libera concorrenza cagiona, quasi sempre,
un’eguale violazione del principio di
economicità, che costituisce
un’articolazione del principio
costituzionale di buona amministrazione
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
Tale principio impone alla Pubblica
amministrazione di perseguire la
realizzazione del massimo risultato con il
minor dispendio di mezzi e, quindi,
l’adozione, di procedure, volte ad
individuare offerte convenienti.
Quindi, la presenza della clausola di
riassorbimento ha l'effetto di alterare il
percorso logico e, quindi, il connesso
calcolo di convenienza economica, che
l'impresa segue nella formulazione
dell'offerta. L'impresa partecipante alla
gara effettua, sulla base anche delle
clausole contenute nel bando, una
valutazione di convenienza relativa alla
partecipazione alla gara ed al contenuto
dell'offerta. Inoltre, l'impresa medesima
elabora l'offerta, inserendovi le condizioni
che essa reputa migliori. A ben vedere, è
proprio con la formulazione dell'offerta che
l'impresa manifesta la sua efficienza, la
sua capacità di stare sul mercato, in altre
parole la sua concorrenzialità. Pertanto, da
quanto detto, emerge, chiaramente, che la
clausola di riassorbimento ha l'effetto di
distorcere le capacità di concorrenzialità
dell'impresa efficiente, a vantaggio di
quelle meno efficienti.
Infine, occorre prestare la massima
attenzione all’illegittima creazione di un
favor per l’impresa uscente, che viene
determinato dalla clausola in esame.
L’articolo 97 della Costituzione stabilisce
che l’azione amministrativa deve esplicarsi
secondo sicuri canoni di imparzialità. In
ossequio a tale principio, l’attività
amministrativa deve esplicarsi senza dar
luogo ad alcuna discriminazione.
Orbene, la clausola di riassorbimento si
presenta come palesemente avvantaggiante, in
quanto favorisce l’impresa uscente in base
ad una banale, ma solido ragionamento:
l’impresa uscente parteciperà alla gara e
formulerà la propria offerta, non subendo
alcuna coartazione della propria libertà
organizzativa, in quanto i dipendenti da
riassorbire sono già propri. In tal modo, i
principi di parità di trattamento e di non
discriminazione sono palesemente vulnerati
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'amministrazione
può provvedere alla revoca
dell’aggiudicazione provvisoria e
dell’intera procedura di gara in presenza di
un’unica offerta valida, senza obbligo di
particolare motivazione, specialmente se
l'intervento in autotutela di tipo
caducatorio sia basato su una valutazione di
convenienza economica.
La Sezione condivide il principio per cui
l'amministrazione può provvedere alla revoca
dell’aggiudicazione provvisoria e
dell’intera procedura di gara in presenza di
un’unica offerta valida, senza obbligo di
particolare motivazione, specialmente se
l'intervento in autotutela di tipo
caducatorio sia basato su una valutazione di
convenienza economica (TAR Lazio Roma, sez.
II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Lombardia
Milano, sez. III, 02.05.2006, n. 1108).
Nel caso di specie, la facoltà
dell’amministrazione di non procedere alla
aggiudicazione dell’appalto per ragioni di
convenienza economica è stata prevista
direttamente nella legge di gara ed è stata
esercitata correttamente dalla stazione
appaltante attraverso un provvedimento che
il collegio reputa congruamente motivato.
In particolare, non appare irragionevole
l’aver ritenuto che l’esiguo ribasso offerto
dall’unica concorrente rimasta in gara fosse
facilmente migliorabile in una nuova
procedura, essendo detto ribasso assai
prossimo allo zero.
Né appare illegittimo che tale previsione
sia stata desunta anche dalla percentuale di
ribasso offerta nella gara appena espletata
dal concorrente escluso, dal momento che la
predetta esclusione, motivata da ragioni
meramente formali, non impediva alla
stazione appaltante di assumere quella
stessa offerta come semplice elemento di
fatto, sintomatico dell’esistenza di una
disponibilità del mercato ad offrire prezzi
più convenienti.
E' quindi irrilevante che negli anni passati
la ricorrente si fosse aggiudicata il
servizio offrendo percentuali di ribasso non
dissimili da quella ritenuta incongrua
dall’amministrazione nella procedura
annullata, dal momento che la nuova
procedura aveva evidenziato l’esistenza di
una diversa propensione del mercato:
confermata, del resto, dal ribasso del 15 %
con cui la stessa ricorrente si è
aggiudicata la nuova procedura negoziata
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 114 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: L’obbligo
imposto all’impresa aggiudicataria della
nuova gara di mantenere in servizio i
medesimi autisti già assunti dal gestore
uscente integra un’evidente violazione del
principio di autonomia contrattuale di cui
all’art. 1322 c.c., giacché determina, in
via unilaterale, l’imposizione di un vincolo
a contrarre al di fuori dei casi
tassativamente tipizzati dal legislatore.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria
della nuova gara di mantenere in servizio i
medesimi autisti già assunti dal gestore
uscente integra un’evidente violazione del
principio di autonomia contrattuale di cui
all’art. 1322 c.c., giacché determina, in
via unilaterale, l’imposizione di un vincolo
a contrarre al di fuori dei casi
tassativamente tipizzati dal legislatore
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 114 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Giudizio di
responsabilità amministrativa – Rapporto con
altri giudizi - Rapporto con il giudizio
civile attivato per gli stessi fatti -
Sospensione del processo di responsabilità
in attesa della definizione di quello civile
– Non necessità.
Responsabilità amministrativa – Elementi –
Colpa grave – Direttore dei lavori e
progettista di opera pubblica – Palesi
difformità dell’opera eseguita rispetto al
progetto appaltato - Sussistenza.
Attesa l'autonomia del giudizio
amministrativo-contabile, va esclusa la
necessità, da parte della Corte dei conti di
sospendere il giudizio, in attesa della
definizione di quello instaurato in sede
civile da un Comune per la restituzione
delle somme indebitamente corrisposte ad una
ditta appaltatrice; peraltro, eventuali
somme recuperate in sede civile, in caso di
esito favorevole del predetto giudizio,
potranno eventualmente essere fatte valere
in sede esecutiva di quello contabile. (1)
Nel caso di opera pubblica eseguita in
difformità rispetto al progetto appaltato,
con ingiustificato aumento di costi, non
appare idonea ad escludere la colpa grave
del funzionario direttore dei lavori e
responsabile del procedimento, la scusante
della difficoltà dell’opera e la circostanza
che la stessa sia stata realizzata in luoghi
difficilmente raggiungibili, a fronte di
carenze nello svolgimento dell’incarico,
rivelatesi macroscopiche (vistosa
discordanza fra i lavori effettuati e quelli
indicati nel progetto; contabilizzazioni
particolarmente approssimative) e che quindi
non sarebbero potute sfuggire ad un
direttore dei lavori che avesse usato la
benché minima diligenza, tanto più che era
stato anche il progettista dell’opera.
---------------
(1) Giurisprudenza pacifica: v. nello
stesso senso, ex plurimis, Corte dei conti,
Sez. II app., 13.05.2008, n. 149; Sez. III
app., 10.09.2003, n. 392; Sez. reg.
Lombardia, 17.03.2009, n. 156; Sez. reg.
Abruzzo, 07.02.2008, n. 49; Sez. reg.
Sardegna, 09.08.2007, n. 869. Cfr., inoltre,
nello stesso senso, per i rapporti con il
giudizio penale, Sez. app. Sicilia,
20.07.2010, n. 189; Sez. I app., 19.03.2010,
n. 195; id., 05.05.2006, n. 104 (massima
tratta da www.centrostudi-sv.org - Corte dei
Conti, Sez. II giurisdiz. d'appello,
sentenza 27.01.2011 n. 52 - link
a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nessuna
scusante per il dipendente che diventa
direttore dei lavori.
Il dipendente che svolge
il compito di direttore dei lavori ha il
dovere di vigilare sulla corretta esecuzione
da parte della impresa aggiudicataria. Egli
risponde direttamente, in termini di
maturazione di responsabilità
amministrativa, nel caso in cui i lavori non
siano stati eseguiti per come previsto dal
capitolato e non ha evidenziato tali
inadempienza. Non può invocare come scusante
né la scarsa esperienza, né la difficoltà di
accesso ai luoghi in cui i lavori sono stati
eseguiti, né il sommarsi dell'incarico di
direttore lavori e responsabile del
procedimento.
Sono questi i principi dettati dalla II Sez.
giurisdizionale centrale d'appello della
Corte dei conti del Lazio nella
sentenza 27.01.2011 n. 52, con
cui è stata disposta la condanna di un
dipendente di ufficio tecnico comunale
direttore di lavori che non ha vigilato
adeguatamente sul corretto svolgimento degli
stessi in relazione alle prescrizioni
dettate dal capitolato.
Ovviamente i danni maturano anche nel caso
in cui il finanziamento dell'opera è stato
disposto da un'altra pubblica
amministrazione, tanto più nel caso in cui
la stessa si rivalsa sul comune tagliando il
finanziamento in relazione ai lavori non
effettivamente svolti. Siamo in presenza di
un principio che ascrive direttamente alla
responsabilità del dipendente i danni che si
sono determinati a seguito della sua
condotta quale direttore dei lavori.
In altri termini, per i magistrati contabili
costituisce una colpa grava la violazione
dei normali doveri di ufficio ovvero della
ordinaria diligenza e competenza tecnica che
il dipendente deve dimostrare di possedere e
deve concretamente esercitare a tutela
dell'interesse dell'amministrazione alla
puntuale e corretta esecuzione dei lavori da
parte dell'impresa aggiudicataria.
Il fatto che lo stesso abbia sommato la
responsabilità del procedimento e la
direzione dei lavori non costituisce una
ragione che possa essere invocata per
escludere la colpa grave, mentre se ne è
tenuto conto nell'ambito del potere
riduttivo della sanzione.
La sentenza aggiunge che «non appare
idonea ad escludere la colpa grave la
scusante della difficoltà dell'opera e la
circostanza che la stessa sia stata
realizzata in luoghi difficilmente
raggiungibili, in quanto le carenze nello
svolgimento dell'incarico di direttore dei
lavori, relative sia alla tenuta della
documentazione, sia al controllo e alla
verifica dell'esecuzione delle opere da
parte della ditta appaltatrice appaiono
macroscopiche. Infatti, come emerge dagli
analitici rilievi effettuati dagli ispettori
regionali, nonché dai successivi
accertamenti svolti dalla guardia di finanza
su incarico del giudice territoriale, la
discordanza fra i lavori effettuati e quelli
indicati nel progetto e le relative
contabilizzazioni era particolarmente
vistosa e non potevano sfuggire ad un
direttore dei lavori che avesse usato la
benché minima diligenza, tanto più che era
stato anche il progettista dell'opera».
La sentenza chiarisce infine «che la
presunta illegittimità della nomina del
medesimo a responsabile del procedimento non
appare rilevante nella fattispecie sia
perché il medesimo ha accettato e svolto
l'incarico, sia perché il fatto produttivo
del danno riguarda in modo specifico le sue
competenze di direttore dei lavori» (articolo
ItaliaOggi del 25.02.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'indizione della gara per l'affidamento
del servizio di distribuzione del gas
naturale con congruo anticipo rispetto alla
scadenza della concessione.
Sulla legittimità della scelta di un comune
di accollarsi il pagamento degli oneri
spettanti al gestore uscente.
L'art. 14, c. 7, del D.Lgs. 23.5.2000 n.
164, sancisce che "gli enti locali
avviano la procedura di gara non oltre un
anno prima della scadenza dell'affidamento,
in modo da evitare soluzioni di continuità
nella gestione del servizio". La norma
pone, dunque, come principio che le gare per
l'affidamento del servizio di distribuzione
del gas siano avviate con anticipo rispetto
alla scadenza delle concessioni in essere.
Il legislatore, peraltro, si è limitato a
prevedere, a tal fine, il rispetto di un
termine minimo, "non oltre un anno prima
della scadenza dell'affidamento",
consentendo agli enti locali di attivarsi
anche prima della scadenza del termine
anzidetto. D'altra parte, tanto più la gara
è indetta con anticipo, tanto minore sarà il
rischio che il nuovo affidamento possa
slittare nel tempo.
Un congruo anticipo nell'indire la gara si
risolve in più tempo a disposizione per
gestire il procedimento e il contenzioso
derivante, quindi aumenta la possibilità che
alla scadenza in questione sia già
individuato con certezza il soggetto pronto
ad assumere la gestione e si evitino
fenomeni di prorogatio.
L'art. 14, c. 1, del D.Lgs. n. 164/2000,
sancisce che il servizio di distribuzione
del gas è affidato mediante gare per periodi
non superiori a dodici anni con l'effetto
che i partecipanti alle gare sono tenuti, in
ragione della durata dell'affidamento, a
formulare le offerte sulla base di una
valutazione di lungo periodo (tredici anni
almeno tenuto conto del termine minimo di un
anno previsto dall'art. 14, c. 7, del D.Lgs.
n. 164/2000) tenendo conto di tutti i
parametri, economici e gestionali del
servizio.
La scelta del Comune di accollarsi il
pagamento degli oneri spettanti al gestore
uscente, non ostacolata dal dato normativo,
è giustificata sia dalla ricaduta positiva
sul margine di profitto dei concorrenti che
favorisce la più ampia partecipandone, sia,
soprattutto, dalla cogente esigenza di
attivare tempestivamente le procedure ad
evidenza pubblica per l'individuazione dei
nuovi aggiudicatari, procedure altrimenti
paralizzate, con chiara violazione del
disposto normativo al riguardo, dal
contenzioso insorto con i gestori uscenti e
dalla conseguente impossibilità di accollare
ai vincitori delle gare, un onere economico
non definito (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 581 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: E'
legittimo avviare, prima di un anno dalla
scadenza, la procedura di gara per
l’affidamento del servizio di distribuzione
del Gas.
L'art. 14, comma 7, del D.Lgs. 23.05.2000 n.
164 sancisce che "gli enti locali avviano
la procedura di gara non oltre un anno prima
della scadenza dell'affidamento, in modo da
evitare soluzioni di continuità nella
gestione del servizio".
La norma pone, dunque, come principio che le
gare per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas siano avviate con
anticipo rispetto alla scadenza delle
concessioni in essere. Il legislatore,
peraltro, si è limitato a prevedere, a tal
fine, il rispetto di un termine minimo, "non
oltre un anno prima della scadenza
dell'affidamento", consentendo agli enti
locali di attivarsi anche prima della
scadenza del termine anzidetto.
Questo è il caso sottoposto all’attenzione
del collegio dei giudici amministrativi
chiamati a vagliare la posizione assunta dai
colleghi del Tar di Brescia.
Un comune, avente in essere un contratto con
una società per la distribuzione del Gas, ha
avviato, tre anni prima della s cadenza del
contratto suddetto, le procedure per
individuare il nuovo affidatario. Tale
scelta è stata posta in discussione
dall’attuale gestore del servizio che, sulla
base della disposizione di cui al comma 7
dell’art. 14, ha sostenuto l’illegittimità
di una tale determinazione in quanto
suscettibile di pregiudicare i partecipanti
alla gara, impedendo loro di presentare
offerte consapevoli.
I giudici di Palazzo Spada non hanno
condiviso le perplessità di parte ricorrente
e aderendo alla posizione espressa dai
colleghi del Tar, hanno invece sostenuto la
congruità del tempo preso
dall’amministrazione e ne hanno sottolineato
la conformità al principio di buon andamento
della Pubblica Amministrazione.
Parimenti legittima è stata considerata la
previsione del bando di gara con la quale è
stata presa in considerazione la possibilità
di un affidamento anticipato del servizio
per l'ipotesi in cui fosse stato modificato
il regime transitorio del D.Lgs. n.
164/2000, consentendosi agli enti affidanti
di sciogliere i rapporti concessori in
essere prima del 31.12.2009.
A dispetto di quanto sostenuto dalla società
ricorrente secondo cui ciò avrebbe
introdotto una forte indeterminatezza circa
la decorrenza del nuovo rapporto che non
avrebbe consentito alla medesima di
formulare la propria offerta con piena
cognizione delle condizioni di affidamento,
i giudici del Consiglio di Stato hanno
ritenuto la previsione del bando neutra e
priva di concreta lesività limitandosi ad
imporre all'aggiudicatario il rispetto di
una eventuale, ipotetica normativa
sopravvenuta: in sostanza come appunto
rilevato dal Tar la previsione obbliga il
concessionario a fare: “...quanto in
futuro sarà previsto dalla legge”
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 581 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sottoscrizione
offerta.
La sottoscrizione dell’offerta si configura
come lo strumento idoneo a renderne nota la
paternità dell’atto ed a vincolare l’autore
alla manifestazione di volontà in esso
contenuta. La sua mancanza inficia,
pertanto, la validità e la ricevibilità
della manifestazione di volontà e non può
ritenersi equivalente ad essa l’apposizione
della controfirma sui lembi sigillati della
busta che la contiene.
E’ quanto affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. V, nella
sentenza 25.01.2011 n. 528, ove,
confermando un solido orientamento, si
perviene, correttamente in ragione delle
diverse funzioni, a negare la possibilità di
equivalenza fra la sottoscrizione
dell’offerta e la sottoscrizione apposta sui
lembi sigillati del plico di offerta.
I giudici amministrativi di appello
ricordano che la sottoscrizione di un atto o
di un documento, in linea generale, esplica
diverse funzioni. In primo luogo, va
osservato che la sottoscrizione di un
documento costituisce lo strumento, mediante
il quale l’autore fa propria la
dichiarazione contenuta nel documento
medesimo. Da un punto di vista sostanziale,
la sottoscrizione, comunemente intesa come
scrittura manuale del proprio nome e cognome
in calce ad un documento, consente di
risalire alla paternità dell’atto e di
ricondurre al suo autore tutti gli effetti,
che l’ordinamento indirizza verso la sfera
giuridica dello stesso. I principi di
trasparenza ed imparzialità, giustamente
operanti e dominanti nelle gare pubbliche,
esigono che sia certa ed inequivoca
l’imputazione dell’offerta e di
qualsiasivoglia altra documentazione al
soggetto concorrente.
Dunque, in considerazione del fatto che la
sottoscrizione è elemento essenziale della
dichiarazione, la sua mancanza, anche su una
sola delle parti indispensabili costituenti
l’offerta, o altro documento dichiarativo,
intesa quale manifestazione di volontà
negoziale, inficia la validità della
medesima. In secondo luogo, il CdS fa
osservare che la certa e sicura
riconducibilità di tutti gli elementi
costitutivi l’offerta, anche di quelli che
possano apparire prima facie non
essenziali o puramente formali, al soggetto
autore, garantisce la serietà e
l’affidabilità dell’offerta medesima, intesa
quale dichiarazione del partecipante alla
gara, finalizzata alla costituzione di un
rapporto contrattuale.
Infine, la sottoscrizione esplica una
funzione di chiusura e di immodificabilità
del documento, in modo tale da non
consentire riaperture di ulteriori
trattative negoziali. Da tale
considerazione, consegue l’ammissibilità
delle correzioni, contenute in un’offerta,
purché espressamente confermate con
specifica sottoscrizione a margine.
Oltre tali funzioni, i giudici
amministrativi di appello pongono enfasi su
di un corollario delle funzioni medesime:
l’effetto di vincolo. In altri termini, con
la sottoscrizione di un atto, di un’offerta,
il soggetto si obbliga, si vincola a
rispettare il preciso contenuto della
manifestazione di volontà esternalizzata e
scritta. Ciò comporta, tenuto conto del
naturale “formalismo” insito nelle
procedure di gara, la necessarietà della
sottoscrizione dell’offerta, affinché si
possa considerare il soggetto sottoscrittore
come puntualmente obbligato a rispettare e
ad adempiere tutto quanto ciò che precede la
sottoscrizione medesima.
Al riguardo, non è privo di rilievo ed,
anzi, assume un ruolo decisivo, il chiaro
tenore letterale dell’illustrata
disposizione normativa contenuta
nell’articolo 74, comma 1°: le offerte
debbono essere sottoscritte, manualmente o
digitalmente. Dunque, una sottoscrizione
deve esserci, in quanto richiesta
espressamente da una inequivoca disposizione
e deve sussistere indipendentemente da
un’espressa previsione del bando di gara. La
previsione normativa risponde ad ovvie
esigente di pubblica certezza, per cui non
può che assumere valenza di norma
imperativa, con sua immediata ed assoluta
applicabilità, a prescindere dalle regole di
gara, in ragione del noto principio
dell’eterointegrazione precettiva.
Acclarata la necessarietà legale della
sottoscrizione dell’offerta, il Consiglio di
Stato perviene ad affrontare il problema
della sua eventuale surrogabilità, cioè se
sia possibile considerare come equivalente
(alla sottoscrizione dell’offerta) la
sottoscrizione apposta sui lembi sigillati
del plico di offerta. Al riguardo, i giudici
amministrativi di appello pongono in risalto
le diverse funzioni espletate dalle due
sottoscrizioni, che non possono essere non
tenute in differenziazione.
Precisamente, la sottoscrizione
dell’offerta, imposta dal Codice, assolve
alle illustrate funzioni: imputazione di
paternità dell’atto; garanzia di serietà ed
affidabilità; chiusura ed immodificabilità
del documento; effetto di vincolo.
Viceversa, la sottoscrizione apposta sui
lembi di chiusura del plico di offerta
esplica una ben diversa funzione: garantire
la segretezza dell’offerta e l’integrità del
plico di offerta. Come si può ben vedere, si
tratta di differenti funzioni, cioè di
diverse “esigenze pubbliche da soddisfare”.
Da un lato, vi è la problematica della
paternità dell’atto e dei connessi vincoli;
dall’altro, vi è l’esigenza di assicurare la
segretezza e, soprattutto, l’integrità del
plico di offerta. In presenza di tale netta
diversità di funzioni, il Consiglio di Stato
ritiene che non sia possibile alcuna forma
di surrogazione o di equipollenza. Ciò, in
aderenza, fra l’altro, ad una propria
giurisprudenza (CdS, sez. V, n. 364/2004 e
sez. IV, n. 1832/2010), ove si è negata la
possibilità di sostituire la mancante
sottoscrizione con il timbro dell’impresa e
la fotocopia del documento di identità del
titolare della medesima (tratto dalla
newsletter di www.centrostudimarangoni.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Art. 38 d.lgs. 163/2006,
niente dichiarazione per i procuratori.
Il
Consiglio di Stato afferma che, ai
fini della dichiarazione di cui all'art. 38
del Codice Appalti, i procuratori, benché
dotati di ampi poteri, non possono essere
assimilati agli amministratori della
società. L'ennesimo giro di valzer, visto
che al riguardo, la giurisprudenza ha
espresso anche soluzioni opposte.
L’interpretazione del citato art. 38 con
riferimento ai soggetti per i quali la
dichiarazione deve essere resa è stata
oggetto di diversi orientamenti
giurisprudenziali, fra i quali permane un
contrasto.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006 fa riferimento, per le società di
capitali, agli “amministratori muniti del
potere di rappresentanza”.
Secondo una parte della giurisprudenza, per
l’individuazione dei soggetti tenuti alle
dichiarazioni sostitutive finalizzate alla
verifica del possesso dei requisiti di
moralità, quando si tratti di titolari di
organi di persone giuridiche da ricondurre
alla nozione di "amministratori muniti di
poteri di rappresentanza", occorre
esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo
effettivamente e sostanzialmente attribuiti
al soggetto considerato, al di là delle
qualifiche formali rivestite (Cons. Stato,
V, 16.11.2010 n. 8059; VI, 08.02.2007, n.
523, che nella categoria degli
amministratori, ai fini dell’art. 38 cit.,
fanno rientrare sia i "soggetti che
abbiano avuto un significativo ruolo
decisionale e gestionale societario",
sia i procuratori ai quali siano conferiti
poteri di partecipare a pubblici appalti
formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito
alla necessità di effettuare una valutazione
sostanzialistica della sussistenza delle
cause ostative, derivando –in assenza di più
restrittive clausole di gara– l’effetto di
esclusione dalla procedura solo dal mancato
possesso dei requisiti, e non dalla
omissione o incompletezza della
dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010,
n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato
la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione
ai soli amministratori muniti di potere di
rappresentanza e ai direttori tecnici, e non
anche a tutti i procuratori della società
(TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR
Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR
Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n.
379).
Il Collegio ritiene di dover aderire –per le
considerazioni di seguito esposte- alla
seconda tesi, che limita l’applicabilità
della disposizione ai soli amministratori
della società, e non anche ai procuratori
speciali.
Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la
gestione dell’impresa spetta esclusivamente
agli amministratori e può essere concentrata
in un unico soggetto (amministratore unico)
o affidata a più persone, che sono i
componenti del consiglio di amministrazione
(in caso di scelta del sistema monistico ex
artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del
consiglio di gestione (in caso di opzione in
favore del sistema dualistico ex artt. 2380
e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra
essi, spetta la rappresentanza istituzionale
della società.
I procuratori speciali (o ad negotia)
sono invece soggetti cui può essere
conferita la rappresentanza –di diritto
comune- della società, ma che non sono
amministratori e ciò a prescindere
dall’esame dei poteri loro assegnati.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/06 richiede la
compresenza della qualifica di
amministratore e del potere di
rappresentanza (che può essere limitato per
gli amministratori ex art. 2384, comma 2,
c.c.) e non vi è alcuna possibilità per
estendere l’applicabilità della disposizione
a soggetti, quali i procuratori, che
amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita
la partecipazione alle gare e la libertà di
iniziativa economica delle imprese, essendo
prescrittiva dei requisiti di partecipazione
e che, in quanto tale, assume carattere
eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di
applicazione analogica a situazioni diverse,
quale è quella dei procuratori.
Peraltro, anche l’applicazione analogica
sarebbe opinabile, in presenza di una
radicale diversità della situazione
dell’amministratore, cui spettano compiti
gestionali e decisionali di indirizzi e
scelte imprenditoriali e quella del
procuratore, il quale, benché possa essere
munito di poteri di rappresentanza, è
soggetto dotato di limitati poteri
rappresentativi e gestionali, ma non
decisionali (nel senso che i poteri di
gestione sono pur sempre circoscritti dalle
direttive fornite dagli amministratori). In
altri termini le manifestazioni di volontà
del procuratore possono produrre effetti
nella sfera giuridica della società, ma ciò
non significa che egli abbia un ruolo nella
determinazione delle scelte imprenditoriali,
lasciate all'amministratore.
Si deve, quindi, prendere atto che l'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i
soggetti tenuti a rendere la dichiarazione-
fa riferimento soltanto agli "amministratori
muniti di potere di rappresentanza":
ossia, ai soggetti che siano titolari di
ampi e generali poteri di amministrazione,
senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere
maggiormente rispondente al dato letterale
del citato art. 38, evita che l’obbligo
della dichiarazione possa dipendere da
sottili distinzioni circa l'ampiezza dei
poteri del procuratore, inidonee a garantire
la certezza del diritto sotto un profilo di
estrema rilevanza per la libertà di
iniziativa economica delle imprese,
costituito dalla possibilità di partecipare
ai pubblici appalti (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 25.01.2011 n. 513 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'ente
può annullare l'accordo se l'impresa alza il
prezzo.
In un appalto, se l'impresa ha dichiarato di
avere studiato il progetto e di ritenerlo
realizzabile al prezzo offerto e, alla
consegna dei lavori, eccepisce carenze
progettuali e chiede varianti, la stazione
appaltante è legittimata a risolvere il
contratto per venire meno dell'obbligo di
lealtà contrattuale.
È quanto ha affermato il Tar Sardegna, con
la
sentenza 25.01.2011 n. 51 della
II sezione, in una vicenda in cui, a seguito
dell'aggiudicazione di un appalto di lavori,
consegnati «sotto le riserve di legge»,
l'impresa aggiudicataria aveva
immediatamente evidenziato al responsabile
del procedimento e al direttore dei lavori
varie difficoltà operative conseguenti a
quelle che erano state presentate come
carenze progettuali.
Il responsabile del procedimento provvedeva
a revocare l'aggiudicazione sul presupposto
che la ricorrente avesse violato il
principio di buona fede. L'aggiudicatario
aveva infatti sottoscritto una dichiarazione
nella quale attestava di avere effettuato
uno studio approfondito del progetto a
seguito del quale tale progetto ben poteva
essere realizzato per il prezzo
corrispondente all'offerta presentata.
I giudici dichiarano legittima la
risoluzione del rapporto, non prima di avere
peraltro sottolineato come si trattasse di
una questione relativa alla fase di
esecuzione del contratto e, quindi, di
vicenda alla quale applicare i principi
civilistici.
In particolare, dicono i giudici,
l'aggiudicatario aveva visto risolto il
contratto da parte della stazione appaltante
a seguito dell'inadempimento concretizzatosi
nel non avere iniziato prontamente i lavori
a seguito della consegna in pendenza di
stipula contrattuale e nell'aver sollevato «pretestuose
eccezioni in ordine alla realizzabilità del
progetto esecutivo posto a base di gara,
pretendendo, in sostanza, modifiche
progettuali mediante l'approvazione di una
perizia di variante».
Nel caso concreto i giudici riconoscono del
tutto sleale il comportamento
dell'aggiudicataria che ha messo in
discussione le scelte progettuali facendo
prevalere propri valutazioni rispetto a
quelle della stazione appaltante e ciò prima
ancora di iniziare i lavori.
Pertanto i giudici affermano che, se prima
ancora di iniziare i lavori, l'impresa
chiede la modifica del progetto che in sede
di gara era stato oggetto di «studio
approfondito» ed era stato ritenuto «adeguato
e realizzabile per il prezzo corrispondente
all'offerta presentata», e inoltre
chiede nuove risorse finanziarie e si
riserva di contabilizzare i «gravi e
ingiustificati oneri finanziari», essa
viola «l'obbligo di leale condotta che
deve presiedere sia all'esecuzione del
contratto che alla sua formazione e
interpretazione» (articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente per
violazione dell'obbligo di allegare una
copia del documento d'identità all'offerta
economica.
E'
legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che, in
violazione di una clausola contenuta nel
bando di gara, abbia omesso di allegare
copia del documento di identità all'offerta
economica presentata in sede di gara, e ciò
anche nell'ipotesi in cui, come nel caso di
specie, tale copia sia stata prodotta
all'interno della busta contenente la
documentazione amministrativa, in quanto, a
fronte del chiaro ed inequivoco disposto
letterale del disciplinare di gara,
l'Amministrazione è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella lex specialis, senza
alcuna possibilità di valutazione
discrezionale in ordine alla rilevanza
dell'adempimento.
La richiesta di allegare il documento di
identità all'offerta economica non si
risolve in un mero formalismo, in quanto è
diretto a comprovare, oltre alle generalità
del dichiarante, il nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione ad un
determinato concorrente; pertanto, tale
clausola non può dirsi illogica né
sproporzionata, in quanto trova la sua
ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare
un interesse apprezzabile
dell'Amministrazione, dando certezza circa
la provenienza della dichiarazione; d'altro
canto, essa si limita ad imporre ai
partecipanti uno sforzo minimo, e, dunque,
proporzionato rispetto all'interesse
pubblico perseguito (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 24.01.2011 n. 478 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La tracciabilità dei flussi finanziari dopo
la L. 217/2010 (Non si applica
quando la pubblica Amministrazione jure
privatorum utitur – Si applica per
l’affidamento degli incarichi di
collaborazione – L’impiego di contante per
la pubblica Amministrazione) (link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
Il favor partecipationis quale limite
al potere di predeterminazione dei requisiti
di ammissione (link a
www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L’affidamento dei lavori pubblici in Italia:
problemi e possibili soluzioni secondo la
Banca d’Italia.
Il settore degli appalti pubblici italiano è
esposto in misura considerevole ai rischi di
collusione, corruzione e rinegoziazioni
successive con gli aggiudicatari dei
contratti. Carenze sono, inoltre, presenti
sul piano della progettazione degli
interventi. Tutto ciò nonostante le numerose
riforme che hanno interessato il settore
negli ultimi anni.
Questi, in sintesi, i risultati di
un’analisi del sistema dei contratti
pubblici effettuata dalla Banca d’Italia e i
cui risultati sono riportati nella
pubblicazione “L'affidamento dei lavori
pubblici in Italia: un'analisi dei
meccanismi di selezione del contraente”.
Nella pubblicazione l’istituto esegue
l’analisi delle diverse procedure di gara e
dei diversi criteri di aggiudicazione
evidenziandone le criticità ed i rischi
associati. Banca d’Italia, tuttavia, non si
limita a criticare il sistema degli appalti
ma propone delle soluzioni, derivate dalla
letteratura internazionale, per tentare di
contenere e/o contrastare le problematiche
evidenziate (rischio di mancato
completamento dell’opera, collusione,
fenomeni di corruzione, etc.).
Le indicazioni provenienti dalla letteratura
economica e i confronti internazionali
suggeriscono che miglioramenti potrebbero
provenire da:
1- l'eliminazione del ricorso a meccanismi
di esclusione automatica delle offerte
anomale, che ridurrebbe i rischi di
collusione tra gli offerenti;
2- un accentramento delle valutazioni di
anomalia delle offerte in capo a stazioni
appaltanti di maggiori dimensioni e un
innalzamento degli importi delle garanzie
fideiussorie prestate dai soggetti
aggiudicatari, che ridurrebbero i rischi di
rinegoziazioni successive e di mancato
completamento dell'opera;
3- un rafforzamento delle misure di
contrasto ai fenomeni di corruzione, specie
per quanto attiene ai controlli relativi
alla sub-contrattazione;
4- una maggiore standardizzazione
progettuale e, per gli appalti più
complessi, il ricorso al dialogo competitivo
(link a www.acca.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti di forniture e
servizi: prova della capacità economica e
finanziaria.
E’ legittima la clausola del bando di gara
che richiede, al fine della dimostrazione
della capacità economica e finanziaria, la
produzione dei bilanci in attivo
regolarmente approvati con riguardo
all’ultimo triennio.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
V, con la
sentenza 21.01.2011 n. 426,
nell’ambito di un appalto di servizi socio
educativi – assistenziali il cui
disciplinare di gara richiedeva “la
produzione dei bilanci in attivo
regolarmente approvati con riguardo al
triennio 2005-2007.”
Tale previsione infatti non contrasta con
l’art. 41 del codice dei contratti “che
non fornisce alcuna indicazione in ordine
all’ambito temporale di riferimento delle
scritture contabili; per altro verso si
spiega, sul piano logico, con l’esigenza di
assicurare l’acquisizione, per tutti i
soggetti partecipanti e con riferimento al
medesimo periodo triennale, di bilanci
regolarmente approvati e depositati alla
stregua della disciplina civilistica di
riferimento (cfr. artt. 2364 e segg., che
stabiliscono in 180 giorni dalla chiusura
dell’esercizio sociale, il termine massimo
per la convocazione dell’assemblea ordinaria
ai fini dell’assolvimento del predetto
obbligo).”
La giurisprudenza, si veda ad esempio la
sentenza del Tar Roma, 17.02.2011, n. 2505,
nell’ambito di una gara di appalto per la
fornitura di materiale medico, ha altresì
ribadito che l’art. 41 del codice permette
ai concorrenti che siano impossibilitati a
presentare la documentazione attestante il
requisito economico - finanziario richiesto
dalla lex specialis di allegare altri
documenti.
E’ tuttavia “onere del concorrente
impossibilitato a presentare la
documentazione attestante il requisito
richiesto dal bando, indicare i
"giustificati motivi" dell’impedimento e,
nel contempo, allegare "qualsiasi altro
documento" idoneo a dimostrare la propria
capacità economico-finanziaria; ove infatti
si fosse avvalso della facoltà prevista dal
comma terzo del citato articolo 41 –la cui
applicabilità non è certo esclusa dal suo
mancato richiamo da parte del bando di gara,
che deve intendersi automaticamente
integrato dalle disposizioni di legge,
disciplinanti la procedura– la stazione
appaltante avrebbe, a sua volta, avuto
l’obbligo di valutare la capacità del
concorrente in base alla documentazione
"alternativa" presentata.”
E’ legittimamente escluso pertanto il
concorrente che non produca alcuna
documentazione alternativa, limitandosi a
richiamare l’art. 41 del codice. La stazione
appaltante da parte sua non può, in mancanza
di alcuna giustificazione, sollecitare un
successivo completamento documentale, che si
risolverebbe inevitabilmente “nella
produzione di un documento nuovo e diverso
rispetto a quelli depositati a corredo della
domanda di partecipazione alla procedura”,
in assoluta violazione del principio della
par condicio tra i concorrenti (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’esclusione dalla gara
per gravi inadempienze nell'esecuzione di
precedenti contratti è motivata congruamente
col richiamo alle stesse.
La ditta individuale in causa aveva
partecipato alla gara a procedura aperta per
l’affidamento dei lavori di “sistemazione
parziale della viabilità nell’area
cimiteriale in ampliamento” ed è stata
esclusa dalla stessa, ai sensi dell’art. 38,
I comma, lett. f) del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163, perché, in qualità di
capogruppo di un’ATI, era stata oggetto di
risoluzione in danno di un precedente
contratto, relativo ai lavori di
realizzazione delle infrastrutture idriche e
fognanti della zona industriale del Comune
in causa, tale risoluzione, dovuta a grave
inadempimento dell’appaltatore, è stata
considerata tale da far venir meno il
rapporto fiduciario con la stazione
appaltante stante anche il breve lasso di
tempo intercorso dal provvedimento di
risoluzione succitato.
Il TAR, sostiene la ditta ricorrente, ha
ritenuto adeguatamente motivato il
provvedimento impugnato, mediante mero
richiamo alle inadempienze intervenute, alla
risoluzione contrattuale ed al giudizio
civile in corso, senza considerare che
l’art. 38, I c., lettera f), del D.Lgs. n.
163 impone che l’esclusione sia assistita
non da una semplice motivazione ma da una “motivata
valutazione” della stazione appaltante;
nel caso di specie l’Amministrazione avrebbe
inadeguatamente motivato nel senso sopra
indicato, senza operare, previa adeguata
istruttoria, alcuna valutazione circa la
gravità e importanza delle negligenze e
delle inadempienze, nonché circa la
incidenza delle infrazioni sul piano della
persistente inaffidabilità del concorrente e
senza tenere conto del lasso di tempo
trascorso dall’adozione dell’atto di
risoluzione (che non sarebbe breve ma di
circa tre anni), della assenza di recidive e
della instaurazione di una azione
giudiziaria al riguardo da parte della parte
appellante (ancora pendente).
Osserva al riguardo il Consiglio di Stato
che, a ragione, il TAR ha ritenuto legittima
la giustificazione dell’esclusione, giacché
l’impresa, quale contraente, era incorsa in
gravi inadempienze, tanto che
l’Amministrazione aveva dovuto risolvere il
contratto (con espressa valutazione
collegantesi alla pregressa vicenda
negoziale pienamente a conoscenza
dell’istante) rilevando l’inconsistenza di
ogni rilievo in ordine ad una mancata o
superficiale considerazione della situazione
e ad una carente motivazione.
Invero, in virtù dell'articolo 38, comma 1,
lettera f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 "sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che, secondo motivata valutazione
della stazione appaltante, hanno commesso
grave negligenza o malafede nell'esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; o che hanno
commesso un errore grave nell'esercizio
della loro attività professionale, accertato
con qualsiasi mezzo di prova da parte della
stazione appaltante".
Tale disposizione, nel precludere la
partecipazione alle gare d'appalto alle
imprese che si sono rese responsabili di
gravi inadempienze nell'esecuzione di
precedenti contratti (denotando ciò
un'inidoneità "tecnico-morale" a
contrarre con la P.A.), fissa il duplice
principio che la sussistenza di tali
situazioni ostative può essere desunta da
qualsiasi mezzo di prova e che il
provvedimento di esclusione deve essere
motivato congruamente (Consiglio di Stato,
V, 27.01.2010 n. 296).
Per procedere alla esclusione in questione è
necessario quindi che sia fornita
un'adeguata prova dell'inadempimento e che
lo stesso rilevi sul piano del venir meno
dell'affidabilità dell'impresa nei confronti
della Amministrazione e, ai fini della
sussunzione nell'ipotesi prevista
dall'articolo 38, comma 1, lettera f), del
codice dei contratti pubblici, occorre
ricordare ulteriormente che quest'ultima
postula, alternativamente, una grave
negligenza o malafede nell'esecuzione di uno
specifico contratto con la medesima stazione
appaltante oppure un grave errore
nell'esercizio della attività professionale.
La gravità deve essere peraltro idonea ad
influire sull'interesse (pubblico)
dell'Amministrazione a stipulare un nuovo
contratto con l'impresa privata; non a
liberarsi dal precedente rapporto, come nel
caso della risoluzione. Ne consegue che la
gravità della generica negligenza o
dell'inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali va commisurata al pregiudizio
arrecato alla fiducia, all'affidamento che
la stazione appaltante deve poter riporre,
ex ante, nell'impresa cui decide di
affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto
contrattuale.
Quindi la valutazione assume un aspetto più
soggettivo (di affidabilità) che oggettivo
(il pregiudizio al concreto interesse
all'esecuzione della specifica prestazione
inadempiuta). Non a caso, l'articolo 38,
comma 1, lett. f), in questione, include
presupposti espressamente soggettivi (la
malafede) oppure avulsi dallo specifico
rapporto contrattuale (il grave errore
nell'attività professionale), ma comunque
idonei ad incidere sull'affidabilità
dell'impresa privata e, quindi,
sull'immagine della stessa agli occhi della
stazione appaltante.
L'esclusione dalla gara pubblica per i
motivi che interessano non ha quindi
carattere sanzionatorio, essendo viceversa
prevista a presidio dell'elemento fiduciario
destinato a connotare, sin dal momento
genetico, i rapporti contrattuali di appalto
pubblico.
Alle formulate considerazioni consegue che,
al fine del decidere, non assume alcun
rilievo la contestazione da parte della
impresa della suddetta valutazione
amministrativa, posto che l'esigenza
soddisfatta dalla richiamata previsione nel
delineare la causa di esclusione è
salvaguardare l'elemento fiduciario,
scalfito in presenza di un giudizio
formulato dall'Amministrazione circa la
grave negligenza dell'aspirante partecipante
(Consiglio Stato, sez. V, 27.01. 2010, n.
296).
Peraltro, la mancanza di ulteriori parametri
da parte del legislatore dimostra la volontà
di riconoscere in capo alla stazione
appaltante un ampio spazio discrezionale
nella valutazione circa la sussistenza o
meno del requisito di affidabilità, perciò
non possono essere condivisi i limiti e le
interpretazioni restrittive proposte dalla
parte appellante.
L'esclusione non può essere impedita per la
semplice circostanza che la inadempienza è
stata commessa da lungo tempo o per la non
rilevante gravità e importanza della stessa,
trattandosi di elementi che non incidono in
modo determinante sulla qualificazione della
commessa inadempienza, nell’ambito della
valutazione della rilevanza
sull'affidabilità della impresa concorrente;
perciò non esiste nessun particolare onere
da parte della stazione appaltante di
pronunciarsi in modo specifico su tali
circostanze quando venga comunque raggiunto
un ragionevole convincimento, debitamente
esplicitato, circa la mancanza del requisito
di affidabilità, cui consegua la necessità
di escludere la ditta partecipante (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.01.2011 n. 409 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'importo
limitato dei lavori e dei servizi giustifica
l’adozione delle forme procedurali
semplificate e accelerate proprie del
cottimo fiduciario, tra cui in particolare
la riduzione della pubblicità dell’appalto e
la limitazione del numero di imprese ammesse
al confronto. L'amministrazione
aggiudicatrice è però tenuta a compilare la
lista delle imprese da invitare al confronto
nel rispetto dei principi generali di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, tutti richiamati nell’art. 125,
comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti,
deve condurre la procedura sulla base dei
medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto
analoghi lavori o servizi sulla base di
procedure negoziate l’amministrazione
aggiudicatrice può legittimamente decidere
di favorire l’ingresso di altri soggetti
escludendo dagli inviti, per un certo
periodo, gli affidatari pregressi. Il
principio di rotazione risulta ancora più
stringente per l’amministrazione
aggiudicatrice quando la situazione di
mercato in un determinato contesto economico
sia caratterizzata dalla presenza di
numerose imprese potenzialmente idonee e
interessate all’appalto. In questo caso la
rotazione può essere applicata non solo ai
precedenti affidatari ma anche ai soggetti
che abbiano partecipato alle procedure
negoziate senza conseguire l’appalto.
L'importo limitato dei lavori e dei servizi
giustifica (qualora non vi sia stato
artificioso frazionamento dell’appalto)
l’adozione delle forme procedurali
semplificate e accelerate proprie del
cottimo fiduciario, tra cui in particolare
la riduzione della pubblicità dell’appalto e
la limitazione del numero di imprese ammesse
al confronto. L'amministrazione
aggiudicatrice è però tenuta a compilare la
lista delle imprese da invitare al confronto
nel rispetto dei principi generali di
trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, tutti richiamati nell’art. 125,
comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti,
deve condurre la procedura sulla base dei
medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto
analoghi lavori o servizi sulla base di
procedure negoziate l’amministrazione
aggiudicatrice può legittimamente decidere
di favorire l’ingresso di altri soggetti
escludendo dagli inviti, per un certo
periodo, gli affidatari pregressi. Il
principio di rotazione risulta ancora più
stringente per l’amministrazione
aggiudicatrice quando la situazione di
mercato in un determinato contesto economico
sia caratterizzata dalla presenza di
numerose imprese potenzialmente idonee e
interessate all’appalto. In questo caso la
rotazione può essere applicata non solo ai
precedenti affidatari ma anche ai soggetti
che abbiano partecipato alle procedure
negoziate senza conseguire l’appalto.
Nello specifico l’applicazione del principio
di rotazione appare giustificata, in quanto
la ricorrente è stata più volte invitata in
passato a procedure di cottimo fiduciario e
in un caso è risultata anche aggiudicataria
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 137 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La scelta dei criteri
più adeguati per l'individuazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
è sottratta al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo.
La scelta dei criteri più adeguati per
l'individuazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa costituisce espressione
tipica della discrezionalità della stazione
appaltante e, impingendo nel merito
dell'azione amministrativa, è sottratta al
sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, tranne che, in relazione
alla natura, all'oggetto e alle
caratteristiche del contratto, non sia
manifestamente illogica, arbitraria ovvero
macroscopicamente viziata da travisamento di
fatto, con la conseguenza che il giudice
amministrativo non può sostituire con
proprie scelte quelle operate
dall'Amministrazione (cfr. da ultimo: TAR
Liguria, sez. II, 03.02.2010, n. 233 e n.
237; Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n.
7259 e 16.02.2009, n. 837; idem, sez. IV,
08.06.2007, n. 3103; TAR Campania, Salerno,
sez. I, 19.06.2009, n. 3300) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.01.2011 n. 129 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
materia di procedure ad evidenza pubblica le
clausole di esclusione poste dalla legge o
dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è
tenuta la impresa partecipante alla gara
sono di stretta interpretazione, dovendosi
dare esclusiva prevalenza alle espressioni
letterali in esse contenute e restando
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione.
La norma contenuta nell’art. 38, comma 1,
lettera f), del Codice dei Contratti, nel
prevedere quale requisito di partecipazione
alla gara che il concorrente non abbia
commesso “grave negligenza o malafede”
nell’esecuzione delle prestazioni affidate
dalla stazione appaltante ovvero un “errore
grave” nell’esercizio della propria attività
professionale, non può essere estesa in via
interpretativa a soggetti giuridici diversi
(quand’anche collegati) da quello che abbia
concretamente presentato la domanda di
partecipazione e abbia reso la dichiarazione
prevista dalla suddetta norma, essendo
quest’ultima di natura eccezionale, e quindi
di stretta interpretazione.
E’ principio condiviso quello per cui in
materia di procedure ad evidenza pubblica le
clausole di esclusione poste dalla legge o
dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è
tenuta la impresa partecipante alla gara
sono di stretta interpretazione, dovendosi
dare esclusiva prevalenza alle espressioni
letterali in esse contenute e restando
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza
della più ampia partecipazione (da ultimo,
Consiglio Stato, sez. V, 15.11.2010, n.
8044; Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2010,
n. 6550; Consiglio Stato, sez. V,
21.05.2010, n. 3213).
Da tale principio consegue che la norma
contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f),
del Codice dei Contratti, nel prevedere
quale requisito di partecipazione alla gara
che il concorrente non abbia commesso “grave
negligenza o malafede” nell’esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante ovvero un “errore grave”
nell’esercizio della propria attività
professionale, non può essere estesa in via
interpretativa a soggetti giuridici diversi
(quand’anche collegati) da quello che abbia
concretamente presentato la domanda di
partecipazione e abbia reso la dichiarazione
prevista dalla suddetta norma, essendo
quest’ultima di natura eccezionale, e quindi
di stretta interpretazione (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 33 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Responsabilità - Danno
alla concorrenza - Definizione
La violazione delle regole della concorrenza
e della trasparenza, lesiva dei principi
tutelati dagli artt. 41 e 97 Cost. e dalla
L. 241/1990, realizza un vulnus
all’obbligo di servizio del funzionario
preposto alla gestione della procedura
concorsuale e, cioè, il c.d. “danno alla
concorrenza”.
Ciò in quanto i valori dell’economicità,
dell’efficacia e dell’efficienza
dell’attività amministrativa rappresentano,
ormai, i profili di maggior rilievo della
legalità sostanziale del sistema
giuscontabile e, in relazione a essi, non è
più consentito omettere un minimo di
confronto concorrenziale per qualsiasi
procedura contrattuale a oggetto pubblico.
Appalti pubblici -
Lavori di completamento di una precedente
opera (secondo lotto) - Unicum inscindibile
dalla primigenia parte.
Qualora i
lavori oggetto di un appalto pubblico
concernano il mero completamento di una
precedente opera, trattandosi di un secondo
lotto, essi devono essere considerati un
unicum inscindibile con quelli di cui alla
primigenia parte, sia ai fini della
determinazione della soglia di rilevanza
comunitaria, sia -conseguentemente- in
ordine all’eventuale ammissibilità del
ricorso alla trattativa privata, in base a
quanto previsto dall’art. 24,L. 109/1994
(ora confluito nell’art. 57, Dlgs.
163/2006).
Appalti pubblici -
Responsabilità dei dirigenti - Nel caso di
attuazione dell’illegittimo indirizzo della
Giunta - Sussiste.
Ai sensi
dell’art. 107 del Dlgs 267 del 2000,
spettano ai dirigenti la direzione degli
uffici e servizi, nonché tutti i compiti
compresa l’adozione di atti amministrativi,
tra cui la responsabilità delle procedure di
appalto e di concorso.
Non vale, quindi, a escludere la
responsabilità del funzionario posto al
vertice del pertinente settore comunale la
circostanza di essersi costui limitato a
seguire l’illegittimo indirizzo dato in
proposito dalla Giunta con apposito atto
generale, potendo quest’ultimo soltanto
fungere da indicazione di massima, giammai
peraltro prevalente sul contrario dettato
legislativo (massima tratta da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 5/2011 - Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Abruzzo,
sentenza 20.01.2011 n. 23 - -
link a www.corteconti.it).
---------------
ATTENZIONE:
celarsi dietro al paravento "... me l'ha
detto la Giunta (o Sindaco che sia)" non
serve a niente!!
Dare attuazione ad un illegittimo indirizzo
da parte della Giunta Comunale non mette al
riparo da ipotetici danni da pagare di tasca
propria.
E' proprio il caso di ricordare il detto
popolare: "Uomo avvisato mezzo salvato!!". |
APPALTI: Lavori
pubblici, la giunta non salva il dirigente.
Aggiudicazioni. Gli atti dell'esecutivo non
sono un'esimente in caso di lesione della
concorrenza.
Matura responsabilità
contabile a carico del responsabile dei
lavori pubblici che non rispetta nelle
procedure di aggiudicazione il principio
della tutela della concorrenza. In tal caso
egli arreca un duplice danno: priva l'ente
dei risparmi che possono derivare dal
rispetto di tale principio e arreca un
nocumento ai privati. E non costituisce
esimente dal maturare della responsabilità
né ragione di riduzione il fatto che abbia
seguito direttive impartite dalla giunta.
Questi i principi affermati dalla
sentenza 20.01.2011 n. 23 della
sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della
Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i
valori dell'economicità, dell'efficacia e
dell'efficienza dell'attività amministrativa
rappresentano ormai i profili di maggior
rilievo della legalità sostanziale del
sistema giuscontabile e, in relazione ad
essi, non è più consentito omettere un
minimo di confronto concorrenziale per
qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto
pubblico».
E ancora, «simile confronto è ancor più
necessario oggi che i basilari principi in
materia di concorrenza e libera prestazione
dei servizi, di cui agli articoli 81 e
seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si
impongono al rispetto degli Stati membri,
indipendentemente dall'ammontare delle
commesse pubbliche».
Circa il danno provocato all'ente ... (articolo
Il Sole 24 Ore 28.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Mancata indicazione
preventiva dei costi di sicurezza -
Incompletezza dell’offerta - Natura
costituzionale degli interesse protetti.
La violazione della norma primaria che
impone l’indicazione preventiva dei costi di
sicurezza rende l’offerta incompleta sotto
un profilo particolarmente importante alla
luce della natura costituzionalmente
sensibile degli interessi protetti, ed
impedisce alla Stazione appaltante un
adeguato controllo sull’affidabilità
dell’offerta stessa (in termini Cons. Stato,
Sez. V, 23.07.2010, n. 4849) (TAR Umbria,
Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 17 - link
a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
In sede di occupazione
d’urgenza l’intervento deve essere motivato
congruamente.
Occorre evidenziare come la norma in
questione, ossia l’art. 22-bis del d.P.R. n.
327 del 2001, come introdotto dall’art. 1
D.Lgs. 27.12.2002 n. 302, prevede, al comma
I, che “Qualora l'avvio dei lavori
rivesta carattere di particolare urgenza,
tale da non consentire, in relazione alla
particolare natura delle opere,
l'applicazione delle disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 dell'articolo 20, può essere
emanato, senza particolari indagini e
formalità, decreto motivato che determina in
via provvisoria l'indennità di
espropriazione, e che dispone anche
l'occupazione anticipata dei beni immobili
necessari”.
Accanto a tale previsione generale,
l’urgenza è inoltre prevista direttamente
dalla norma per gli interventi di cui alla
legge 21.12.2001, n. 443, e quindi in
materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici, e qualora il numero
dei destinatari della procedura
espropriativa sia superiore a 50.
Nel caso in esame, la giurisprudenza
formatasi in relazione alle modalità
applicative dell’art. 22-bis del d.P.R. n.
327 del 2001 si è consolidata nel senso che
l’onere motivazionale dell’amministrazione
si debba estendere alle oggettive ragioni
che denotano la supposta urgenza, in modo
che una puntuale analisi dei presupposti può
essere esclusa solo qualora evincibile da
altri elementi del procedimento.
Pertanto, perché possa legittimamente farsi
luogo ad occupazione di urgenza ai sensi
dell'art. 22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327,
occorre che l'amministrazione motivi
congruamente in ordine alle oggettive
ragioni che denotano la conclamata urgenza
dell'intervento, potendo tale obbligo
motivazionale escludersi nei soli casi in
cui questa risulti in re ipsa dalla
natura stessa dell'intervento (da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. IV, 22.05.2008, n.
2459) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.01.2011 n. 385 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’affidamento in
concessione del servizio di gestione della
piscina comunale costituisce servizio
pubblico locale.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che l’affidamento in concessione del
servizio di gestione della piscina comunale
costituisce servizio pubblico locale (Cons.
Stato, Sez. V, 06.12.2007, n. 6276), nel
senso di servizio riservato in via esclusiva
all’Amministrazione per la produzione di
beni e servizi con rilievo anche sotto il
profilo della promozione sociale, e della
salute pubblica, trattandosi di attività
oggettivamente funzionale a consentire a
qualunque interessato lo svolgimento di
attività sportiva (TAR Lombardia, Milano,
Sez. III, 12.11.2009, n. 5021).
E’ noto come, ai sensi dell’art. 30 dello
stesso corpus normativo, in conformità della
disciplina comunitaria, «salvo quanto
disposto nel presente articolo, le
disposizioni del codice non si applicano
alle concessioni di servizi».
Né si può invocare un’applicazione analogica
dell’art. 37, comma 9, del codice dei
contratti pubblici, in quanto, così
opinando, l’intera disciplina verrebbe ad
essere estesa alle concessioni di servizi
(Cons. Stato, Sez. V, 13.07.2010, n. 4510).
Del resto, l’avviso pubblico si limita a
recepire l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006, concernente i requisiti di ordine
generale, che nulla ha a che vedere, dal
punto di vista funzionale (e salve,
ovviamente, le esigenze di raccordo per
quanto concerne la disciplina delle cause di
esclusione), con le modalità di “partecipazione
associata” cui fa riferimento l’art. 37
(TAR Umbria,
sentenza 19.01.2011 n. 12 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ordine di trattazione
dei ricorsi, impugnabilità del bando,
immodificabilità soggettiva del concorrente
e a.t.i. sovrabbondanti: deciderà l'Adunanza
Plenaria.
A distanza di pochi giorni dall’ordinanza n.
14, del 05.01.2011 della Quarta sezione del
Consiglio di Stato (in tema di D.I.A.), un
altro pacchetto di problematiche di grande
rilievo è stato deferito, questa volta dalla
Sesta Sezione, all’Adunanza Plenaria.
Sono tre i gruppi di questioni individuati
nell’ordinanza
di rimessione 18.01.2011 n. 351:
a)
ai sensi dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (“Se
la sezione cui è assegnato il ricorso
ritiene di non condividere un principio di
diritto enunciato dall'adunanza plenaria”):
- quanto alla questione di ordine di esame
di ricorso principale e incidentale in caso
di contenzioso su gare di appalto quando
tutti i concorrenti siano in giudizio
ricorrenti principali (i concorrenti diversi
dall’aggiudicatario) o incidentale
(l’aggiudicatario);
b)
ai sensi dell’art. 99, co. 5, c.p.a. (“Se
ritiene che la questione è di particolare
importanza, l'adunanza plenaria può comunque
enunciare il principio di diritto
nell'interesse della legge anche quando
dichiara il ricorso irricevibile,
inammissibile o improcedibile, ovvero
l'estinzione del giudizio”):
- quanto alla questione dell’ambito
dell’onere di impugnazione immediata del
bando di gara e della legittimazione
all’impugnazione del medesimo e a quella dei
limiti di ammissibilità di un’a.t.i.
sovrabbondante;
c)
ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a. (“se
rileva che il punto di diritto sottoposto al
suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a
contrasti giurisprudenziali”):
- quanto alla modificabilità o meno "per
riduzione" della compagine organizzativa di
a.t.i. e consorzi in corso di gara; alla
necessità o meno che le imprese del settore
che impugnino gli atti di una procedura
senza bando cui non hanno partecipato,
dimostrino il possesso dei requisiti di
partecipazione a quella gara.
L’ordinanza di rimessione trae spunto da una
gara per l’affidamento della progettazione
esecutiva e della progettazione relativo a
interventi di trazione elettrica.
Tre i classificati: il secondo impugnava
l’aggiudicazione; l’aggiudicatario proponeva
ricorso incidentale contro il secondo;
quest’ultimo, per fondare il proprio
interesse strumentale al ricorso e alla
rinnovazione della gara, proponeva con
motivi aggiunti censure contro l’ammissione
in gara della terza classificata, che a sua
volta passava al contrattacco, contestando
l’ammissione delle prime due, le quali
reagivano con distinti ricorsi incidentali.
Insomma: tre concorrenti, tutti contro
tutti.
All’esito dell’articolato giudizio di primo
grado, di fatto restava in piedi
l’aggiudicazione in favore della prima
classificata.
1)
La prima questione attiene all’ordine di
esame dei ricorsi principali e dei ricorsi
incidentali, non già in termini generali, ma
solo nel limitato caso di gare di appalto in
cui i concorrenti ammessi tendono ad
escludersi a vicenda al fine di pervenire
alla rinnovazione della gara.
Questione già oggetto di pronuncia da parte
della Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad.
Plen., 10.11.2008 n. 11) con riferimento al
caso di due soli concorrenti, ma con
principi che sono estensibili anche al caso
di gara con tre o più concorrenti ammessi.
La soluzione sinora accolta fa leva sulla
nozione di interesse strumentale al ricorso
e sul principio di imparzialità del giudice
e parità delle parti, principi che
prevarrebbero sulle regole ordinarie
relative all’ordine di trattazione delle
questioni.
Ritiene peraltro che il sistema elaborato
dalla giurisprudenza in materia di contratti
della p.a., oltre a favorire una litigiosità
esasperata –e il caso in esame ne sarebbe un
esempio illuminante–, da una parte, non
garantisca la soddisfazione dell’interesse
primario del concorrente (l’aggiudicazione
dell’appalto); dall’altra, renderebbe
estremamente difficoltosa e spesso
impossibile (si pensi alla perdita di
finanziamenti comunitari) l’esecuzione
dell’opera pubblica.
Quindi, la materia meriterebbe un
ripensamento perché a fronte dell’interesse
strumentale dei concorrenti, a dir poco
ipotetico, verrebbero invece sacrificati
l’interesse pubblico, indubbio e attuale,
all’esecuzione dell’opera (quantomeno
all’esecuzione in tempi ragionevoli come
auspicato e preteso in tutti i modi dal
legislatore) e l’interesse del privato
beneficiario dell’aggiudicazione sia pure
illegittima.
2)
Una seconda questione riguarda
l’ammissibilità o meno della legittimazione
ad impugnare il bando in capo ad un’impresa
che abbia scelto di partecipare alla gara.
Viene posto in dubbio se sia corretto
riconoscere la legittimazione ad impugnare
il bando in capo a chi abbia partecipato
alla gara (la giurisprudenza addirittura
afferma la necessità, di regola e salvo
limitate eccezioni, di presentare domanda di
partecipazione alla gara per poterne
impugnare il bando; cfr. Cons. St., ad.
plen., 23.01.2003 n. 1).
La risposta negativa proposta dalla Sesta
Sezione, in difformità dell’indirizzo
consolidato, non sarebbe espressione di una
logica sanzionatoria e formalistica, ma al
contrario sarebbe ispirata al rispetto del
principio di buona fede, di ovvia
applicazione nelle trattative contrattuali
fra privati e stranamente disatteso in
rapporti che più degli altri lo
esigerebbero.
3)
Una terza questione, in teme di avvalimento,
riguarda l’eccepito difetto di requisiti di
qualificazione dell’impresa ausiliaria di
cui si è avvalsa l’a.t.i. aggiudicataria,
risultata priva di alcuni requisiti
richiesti dall’art. 38 codice contratti.
si interroga circa le conseguenze della
eventuale declaratoria di inammissibilità
dell’avvalimento.
L’aggiudicatario, richiamato un orientamento
interpretativo che ammette deroghe al
principio di immodificabilità soggettiva del
concorrente in caso di venir meno del
raggruppamento o del consorzio (orientamento
estendibili anche all’ipotesi del venir meno
dell’impresa ausiliaria), si era difeso
sostenendo la possibilità di modificare la
propria compagine organizzativa –per
riduzione– offrendo le restanti componenti
dell’a.t.i. i requisiti che l’impresa
ausiliaria non poteva più prestare.
L’interpretazione più restrittiva del
divieto di modificazione previsto dall’art.
37, co. 9, del codice dei contratti
pubblici, è stata di recente condivisa
proprio dalla Sesta sezione, ma con
puntualizzazioni che già comportano un
contrasto di giurisprudenza.
Da qui l’esigenza di rimettere in
discussione in radice il principio
dell’ammissibilità di modifiche della
compagine organizzativa del concorrente in
corso di gara, affermato, sia pure con
diverse sfumature, da alcune decisioni.
4)
Ma almeno un’altra importante questione
viene rimessa all’Adunanza Plenaria, sullo
sfondo della tutela della concorrenza, circa
la legittimità di a.t.i. sovradimensionate.
Viene ricordato che in taluni casi concreti
l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato e la giurisprudenza hanno ritenuto
illecita, sul piano del diritto di
concorrenza, la costituzione ex ante
di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza
reale rispetto ai requisiti previsti dai
bandi di gara, inserendosi in un più
complesso contesto collusivo caratterizzato
dall’esistenza di intese a monte
rappresentate da accordi puntuali e "macroaggregazioni"
aventi quale loro oggetto esplicito la
disciplina del comportamento delle imprese
per fini anticoncorrenziali più che per la
finalità sinergica volta al miglioramento
dell’offerta (Cons. St., sez. VI, 09.04.2009
n. 2203).
Anche tale questione merita, ad avviso della
Sezione, un approfondimento per valutare se
sia il caso di pervenire ad un divieto
generalizzato, pur in difetto di espressa
previsione nell’art. 38 codice appalti,
ovvero di riconoscere in capo alla stazione
appaltante il potere di escludere dalla gara
un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un
palese artificio in danno della concorrenza
eventualmente previa espressa previsione in
tal senso nel bando di gara.
Si è così cercato di sintetizzare il
contenuto di questa importantissima
ordinanza, la cui ricchezza di
argomentazioni e sfumature merita un più
attento e completo esame, anche perché le
possibili implicazioni pratiche appaiono sin
d’ora notevoli (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Deve impugnarsi
immediatamente solo la clausola del bando
univocamente lesiva.
E' illegittima la esclusione dalla
partecipazione ad una gara motivata
esclusivamente sulla base di un divieto non
assistito dalla relativa sanzione in quanto
contrastante con i principi di favor
partecipationis e della tassatività delle
cause di esclusione, le quali devono
risultare chiaramente dal bando.
Quando l'impresa partecipante ad una gara
pubblica ottiene il risarcimento del danno
per mancata aggiudicazione, ovvero per la
semplice perdita della possibilità di
aggiudicazione, non sussistono i presupposti
per il risarcimento dei costi di
partecipazione alla gara, atteso che
mediante il risarcimento non può farsi
conseguire all'impresa un beneficio maggiore
di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione.
Quanto alla lamentata perdita di chance la
Sezione ritiene di aderire all'indirizzo
giurisprudenziale che limita il criterio
presuntivo del 10%, invocato dalla
appellante, facendo applicazione del
principio dell'aliunde perceptum, quale
strumento per evitare indebite
locupletazioni da parte del danneggiato,
secondo il quale il mancato guadagno può
essere risarcito per intero, se e in quanto
l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della
gara e possa nel contempo documentare di non
aver potuto utilizzare mezzi e maestranze,
lasciati disponibili, per l'espletamento di
altri servizi. Laddove tale dimostrazione
non sia stata offerta, è da ritenere che
l'impresa possa avere ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per lo
svolgimento di altri, analoghi servizi, così
vedendo in parte ridotta la propria perdita
di utilità, con conseguente riduzione in via
equitativa del danno risarcibile
E' noto il principio giurisprudenziale,
anche di recente ribadito dalla Sezione,
secondo cui vi è necessità di immediata
impugnazione della clausola del bando lesiva
solo ove questa precluda in maniera
definitiva ed univoca la partecipazione alla
gara, ma non nel caso in cui la stessa
clausola sia ambigua (Cons. Stato, V
15.10.2010 n. 7515).
---------------
Si richiama l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui è illegittima la esclusione
dalla partecipazione ad una gara motivata
esclusivamente sulla base di un divieto non
assistito (come nel caso di specie) dalla
relativa sanzione in quanto contrastante con
i principi di favor partecipationis e
della tassatività delle cause di esclusione,
le quali devono risultare chiaramente dal
bando (Cons. Stato, V, 11.12.2007 n. 6410).
---------------
E' preferibile l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui quando
l'impresa partecipante ad una gara pubblica
ottiene il risarcimento del danno per
mancata aggiudicazione, ovvero per la
semplice perdita della possibilità di
aggiudicazione, non sussistono i presupposti
per il risarcimento dei costi di
partecipazione alla gara, atteso che
mediante il risarcimento non può farsi
conseguire all'impresa un beneficio maggiore
di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV,
07.09.2010, n. 6485).
---------------
Quanto alla
lamentata perdita di chance la
Sezione ritiene di aderire all'indirizzo
giurisprudenziale che limita il criterio
presuntivo del 10%, invocato dalla
appellante, facendo applicazione del
principio dell'aliunde perceptum,
quale strumento per evitare indebite
locupletazioni da parte del danneggiato,
secondo il quale il mancato guadagno può
essere risarcito per intero, se e in quanto
l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della
gara e possa nel contempo documentare di non
aver potuto utilizzare mezzi e maestranze,
lasciati disponibili, per l'espletamento di
altri servizi. Laddove tale dimostrazione
non sia stata offerta, è da ritenere che
l'impresa possa avere ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per lo
svolgimento di altri, analoghi servizi, così
vedendo in parte ridotta la propria perdita
di utilità, con conseguente riduzione in via
equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, n. 1666/2008).
L'onere di provare l'assenza dell'aliunde
perceptum grava sull'impresa dovendosi
ritenere che l'imprenditore, in quanto
soggetto che esercita professionalmente
un'attività economica organizzata
finalizzata alla produzione di utili,
normalmente non rimane inerte per tutto il
tempo della gara e sino alla mancata
aggiudicazione di un appalto, ma si procura
prestazioni contrattuali alternative dalla
cui esecuzione trae utili.
Poiché l'appellata non ha fornito prova al
riguardo, né presentando la offerta
economica, né documentando un'inutile
immobilizzazione di risorse umane e mezzi
tecnici, deve concludersi che essa abbia
ragionevolmente riadoperato le proprie
risorse per lo svolgimento di attività
analoghe, con la necessità della riduzione
dell'importo a base d’asta al 50%, secondo
un criterio di riduzione in via equitativa
ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a
sua volta divisa per il numero dei
partecipanti alla gara (Sez. VI, 09.03.2007,
n. 1114; sez. VI, 09.11.2006 n. 6607;
Sezione VI, 25.07.2006, n. 4634; sez. V
24.10.2002 n. 5860)
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 18.01.2011 n. 329 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della
clausola di un bando di gara per
l'affidamento del servizio di distribuzione
del gas che attribuisce un valore
preponderante all'elemento economico.
E' da ritenere legittima, anche sotto il
profilo della ragionevolezza, la clausola di
un bando di gara che assegna un valore
preponderante, ai fini della selezione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
all'elemento economico, in quanto dal
dettato normativo di cui all'art. 14, c. 6,
del d.lgs. n. 164/2000, si evince che il
legislatore non ha predeterminato il valore
ponderale da attribuire, rispettivamente,
all'elemento qualità ed all'elemento prezzo
delle offerte per l'affidamento del servizio
di distribuzione del gas naturale, lasciando
spazio alla discrezionalità della P.A., da
esplicare alla luce degli interessi da
perseguire e delle circostanze specifiche
della singola procedura in relazione alle
condizioni della rete.
D'altra parte, la scelta di attribuire il
peso di due terzi circa all'elemento
economico non appare irragionevole né
sproporzionata, in quanto, da un lato,
l'elemento qualitativo non viene
marginalizzato in modo da perdere ogni
rilievo al fine di influenzare la scelta
dell'aggiudicatario; d'altro canto, il
riconoscimento di un rilievo significativo
al dato economico è giustificato dalla
decisione della stazione appaltante di farsi
integralmente carico dell'onere di rimborso
spettante al gestore uscente, ai sensi
dell'art. 14, c. 8, del d.lgs. n. 164/2000,
esonerando così i partecipanti dall'obbligo
di sostenere il relativo costo (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2011 n. 224 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Offerta economicamente
più vantaggiosa - Elementi di valutazione -
Punteggio numerico - Sufficienza -
Presupposti.
Il solo punteggio numerico assegnato agli
elementi di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa può essere
ritenuto idoneo a configurare motivazione
sufficiente quando i prefissati criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un
massimo, siano estremamente dettagliati; in
questo caso, infatti, sussiste comunque la
possibilità di ripercorrere il percorso
valutativo, quindi di controllare la
logicità e la congruità del giudizio tecnico
(cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez.
V, 16.06.2010 n. 3806 e 11.05.2007 n. 2355,
nonché 09.04.2010 n. 1999, richiamata
dall’appellante) (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 17.01.2011 n. 222 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Procedura
di verifica dell'offerta anomala - Richiesta
di giustificazioni e convocazione
dell'offerente - Necessità del preavviso di
tre giorni prima della convocazione -
Principio di effettività del contraddittorio
- Necessità del coinvolgimento del
concorrente alla verifica delle dinamiche
procedimentali.
Il procedimento di verifica dell'anomalia
trova compiuta disciplina nell'art. 88 del
D.Lgs. n. 163/2006 che, al comma 1,
prescrive che la Stazione appaltante, in
relazione agli aspetti criticamente
rilevati, procede con richiesta di
giustificazioni scritte, reiterando la
richiesta, ai sensi del successivo comma
1-bis "ove non le ritenga sufficienti ad
escludere l'incongruità dell'offerta".
In ogni caso, ai sensi del comma 4 della
medesima norma, "prima di escludere
l'offerta ritenuta eccessivamente bassa, la
stazione appaltante convoca l'offerente con
anticipo non inferiore a tre giorni
lavorativi e lo invita a indicare ogni
elemento che ritenga utile". Nella
fattispecie concreta la descritta scansione
procedimentale non trova riscontro
nell'operato della stazione appaltante, che
ha assunto a presupposto del provvedimento
di revoca profili del tutto estranei al
contraddittorio scritto, omettendo quello
orale con grave lesione del diritto alla
difesa della ricorrente.
Come ripetutamente affermato in
giurisprudenza, il principio di effettività
del contraddittorio impone all'opposto un
pieno coinvolgimento dell'impresa
assoggettata a verifica nelle dinamiche
procedimentali caratterizzanti tale delicata
fase affinché, in vista della difesa delle
proprie posizioni, abbia piena
consapevolezza di tutti gli elementi critici
rilevati e dei parametri di raffronto che
l'organo preposto intende utilizzare
nell'esercizio del proprio sindacato (ex
multis, TAR Piemonte, Sez. I,
19.04.2010, n. 1951) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n. 100 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Costituisce erronea
applicazione dell'articolo 83 del D.Lgs. n.
163 del 2006, ed è pertanto illegittima, la
riscontrata commistione realizzata dalla lex
specialis tra requisiti soggettivi di
partecipazione alla gara ed elementi
oggettivi di valutazione dell'offerta.
Una tale circostanza, in particolare, trova
verificazione qualora elementi di
valutazione specificati nel disciplinare
concernono caratteristiche organizzative e
soggettive della concorrente, afferenti alla
maturata esperienza pregressa ed al suo
livello di capacità tecnica e
specializzazione professionale, e dunque ad
aspetti che, in quanto tali, possono
legittimamente rilevare solo in sede di
qualificazione alla gara, quali criteri di
ammissione alla stessa, e non già in sede di
valutazione dell'offerta.
-
Ritenuta, nel
merito, la fondatezza della censura intesa a
lamentare l’illegittima commistione,
realizzata dall’impugnata lex specialis,
tra i requisiti soggettivi di ammissione ed
i criteri oggettivi di valutazione delle
offerte, relativamente alla previsione delle
“norme di partecipazione” secondo cui “il
progetto sarà valutato dalla Commissione
Giudicatrice sulla base dei seguenti
elementi: (…) 4. certificazione di qualità:
Max 3 punti (1 punto per ogni
certificazione)”;
Evidenziato infatti che “la
certificazione di qualità è preordinata ad
assicurare, in funzione della garanzia
qualitativa di un determinato livello di
esecuzione dell’intero rapporto
contrattuale, l’idoneità dell’impresa ad
effettuare la prestazione secondo il livello
medesimo, accertata da un organismo esterno
qualificato (organismo di certificazione) e
secondo parametri rigorosi definiti a
livello europeo, mediante attestazione che
il prodotto, processo produttivo o servizio,
risulta conforme ai requisiti fissati da
norme tecniche, garantendone la validità nel
tempo attraverso adeguata attività di
sorveglianza” (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. IV, 14.10.2005, n. 5800);
- Rilevato quindi che la certificazione di
qualità attiene all’accertamento
dell’idoneità tecnico-organizzativa di
un’impresa, misurata secondo standards
qualitativi di carattere oggettivo, e non
alla rispondenza dell’offerta, nei suoi
contenuti tecnici, alle esigenze perseguite
dalla stazione appaltante mediante
l’indizione della gara;
- Evidenziato quindi che l’illustrato
contenuto della lex specialis,
realizzando “la commistione fra requisiti
soggettivi di partecipazione ed elementi
oggettivi di valutazione dell’offerta che si
verifica quando elementi di valutazione
specificati nel disciplinare riguardano
caratteristiche organizzative e soggettive
della concorrente, che afferiscono
all’esperienza pregressa maturata dalla
concorrente ed al suo livello dì capacità
tecnica e specializzazione professionale,
ovvero ad aspetti che, in quanto tali,
possono legittimamente rilevare solo in sede
di qualificazione alla gara, e quindi solo
quali criteri di ammissione alla stessa e
non di valutazione dell'offerta, costituisce
erronea applicazione dell’articolo 83 del
d.lgs. 163 del 2006” (cfr. TAR Sardegna,
Sez. I, 14.07.2010, n. 1887);
- Ritenuto che la contestata previsione
della lex specialis, sebbene
correlata all’attribuzione di un punteggio
non particolarmente rilevante nella
complessiva articolazione dei criteri di
valutazione dell’offerta tecnica (3 punti su
complessivi 50), sia nondimeno suscettibile
di condizionare ex ante le modalità
di formulazione dell’offerta da parte delle
imprese concorrenti, rivelando in tal modo
diretta e concreta attitudine lesiva, tale
da legittimare l’impugnazione immediata
della disciplina di gara;
- Ritenuta, peraltro, la fondatezza del
ricorso anche nella parte in cui viene
dedotta l’illegittimità della clausola in
virtù della quale, ai fini della valutazione
dell’offerta tecnica, viene prevista
l’attribuzione di un punteggio variabile in
relazione al “numero di automezzi di
proprietà o in leasing che verranno
utilizzati a supporto del personale che sarà
in servizio”, ed in particolare di 5
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 5 fino a 10 automezzi, di 10
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 10 fino a 20 automezzi, di 15
punti in relazione ad una previsione di
utilizzo di 20 fino a 30 automezzi, e di un
massimo di 20 punti in corrispondenza di una
previsione di utilizzo di 30 o più
automezzi;
- Evidenziato invero che l’articolazione del
punteggio in relazione al suddetto parametro
risulta affetta dai lamentati vizi di
illogicità e non proporzionalità, ove si
consideri che l’allegato B del bando
prevede, ai fini dell’espletamento del
servizio di vigilanza, l’impiego contestuale
di non più di circa 11 operatori
complessivi;
- Ritenuto che, anche rispetto alla suddetta
previsione ed a fortiori, sussiste la
facoltà di impugnazione immediata della
lex specialis, incidendo essa sulle
modalità di formulazione dell’offerta da
parte delle imprese concorrenti, le quali
sarebbero costrette, al fine di aumentare le
loro chances di aggiudicazione
dell’appalto, a mettere a disposizione della
stazione appaltante, ai fini dello
svolgimento del servizio de quo, un
numero sproporzionato di automezzi,
sottraendoli alla restante gestione
aziendale o comunque garantendosene
-mediante acquisto o in altro modo- la
disponibilità;
- Ritenuta l’irrilevanza, da quest’ultimo
punto di vista, della circostanza relativa
alla presentazione dell’offerta da parte
dell’impresa ricorrente (cfr. nota prot. n.
3355 del 29.4.2009, allegata alla produzione
difensiva dell’amministrazione intimata del
06.05.2009), non potendo escludersi che
l’offerta suddetta sia stata formulata sul
presupposto della illegittimità (e, quindi,
senza tenerne conto) delle menzionate
previsioni della lex specialis, e
comunque essendo innegabile l’interesse
della ditta suindicata, sulla scorta delle
considerazioni precedentemente svolte in
ordine alla lesività immediata delle
prescrizioni impugnate, a partecipare alla
gara dopo che queste ultime siano state
espunte dalla relativa disciplina
regolatrice;
- Ritenuto, invece, che la domanda di
annullamento non possa essere accolta
relativamente alla previsione di
attribuzione di 5 punti in relazione al
possesso dei certificati inerenti il
servizio di vigilanza rilasciati al
personale che le imprese concorrenti
intendono utilizzare per l’espletamento del
servizio, atteso che essa, concernendo i
requisiti professionali posseduti dai
soggetti che erogheranno concretamente il
servizio di vigilanza, afferisce
direttamente alle modalità qualitative di
svolgimento della prestazione (e non alla
complessiva idoneità tecnico-organizzativa
del concorrente);
- Ritenuta la sussistenza, in capo alla
stazione appaltante ed in conseguenza della
presente sentenza, dell’onere di indire un
nuovo procedimento di gara, ponendo a
fondamento dello stesso una lex specialis
emendata dai vizi riscontrati ...
(TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n. 49 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Barbiero,
Tracciabilità dei flussi finanziari relativi
agli appalti ed ai finanziamenti pubblici
[Nota di premessa: questa elaborazione
sostituisce un precedente documento prodotto
in data 07.09.2010, assorbendo gli elementi
di innovazione normativa dettati dal d.l. n.
197/2010 e dalla sua legge di conversione
(n. 217/2010) e le interpretazioni rese
dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici con le determinazioni n. 8/2010 e
n. 10/2010] (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Guida pratica per i
contratti pubblici di servizi e forniture (a
cura della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Segretariato Generale):
-
Vol. 2° - L’evidenza pubblica;
-
Vol. 1° - Il mercato degli appalti
(N.B.: la stesura del volume è precedente
all’approvazione del Regolamento di
attuazione del Codice dei contratti da parte
del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il
testo pertanto sarà aggiornato a cura degli
autori nelle parti interessate dalle
disposizioni di dettaglio contenute nel
Regolamento). |
APPALTI:
La richiesta di
traduzione giurata non costituisce onere
aggiuntivo.
Con
sentenza 14.01.2011 n. 325 il TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter, ha riconosciuto la
legittimità del provvedimento di esclusione
adottato dalla stazione appaltante, nei
confronti di una società che aveva fornito
documentazione in lingua straniera non
corredata da apposita traduzione giurata in
lingua italiana.
In particolare la società ricorrente aveva
preso parte ad una gara relativa
all’affidamento del “Servizio di
manutenzione della segnaletica orizzontale e
verticale” presentando una
documentazione, attestante i requisiti
(capacità economica-finanziaria e tecnica)
posseduti da una sua ausiliaria, in lingua
inglese e non accompagnata da traduzione
giurata.
La ricorrente censurava il provvedimento di
esclusione sotto vari profili ritenendolo
illegittimo in quanto:
1) la mancata produzione di traduzione
giurata non era prevista dalla regole di
gara a pena di esclusione e, in ogni caso,
non configurava un vizio sostanziale
attinente la sussistenza dei requisiti di
capacità tecnica, ma mera irregolarità
formale;
2) l’obbligo di presentazione della
traduzione giurata creava per le imprese
straniere un onere aggiuntivo e una
disparità di trattamento rispetto alle
imprese italiane.
Il TAR Roma ha rigettato il ricorso
richiamando importanti principi in merito al
valore che assume la traduzione in lingua
italiana certificata, nell’ambito di una
gara d’appalto pubblico.
Ed infatti il giudice amministrativo ha
evidenziato come la presentazione di
certificazioni (concernenti i requisiti di
qualificazione di una società ex art. 42
d.lgs. 163/2006) in lingua straniera
(inglese nel caso in questione) non
accompagnate della traduzione ufficiale in
italiano equivale alla mancata produzione
degli stessi “Tuttavia è bene ricordare
che la giurisprudenza ha ritenuto che “la
produzione di atti non accompagnati dalla
traduzione ufficiale equivale alla non
produzione degli stessi, in quanto impedisce
alla stazione appaltante di avere immediata,
diretta e certa contezza delle referenze
relative alla capacità tecnico-economica dei
concorrenti” (TAR Lazio, Sez. III-ter,
25.03.2003, n. 2565). D’altro canto, anche
se la Commissione avesse avuto padronanza
della lingua straniera, solo la traduzione
giurata avrebbe potuto fornire garanzia
ufficiale di corrispondenza tra la
documentazione prodotta in lingua originale
ed il suo significato.
In proposito il Collegio ritiene,
conformemente all’orientamento del Giudice
delle Leggi, che in varie occasioni ha
statuito che la lingua italiana è la lingua
ufficiale dello Stato, da usare
obbligatoriamente, salve le espresse deroghe
disposte a tutela dei gruppi linguistici
minoritari, nell’ambito delle funzioni
esercitate dai pubblici uffici (Corte
costituzionale 11.02.1982, n. 28).”.
Secondariamente ha chiarito come il “principio
di reciprocità” debba essere inteso nel
senso di garantire all’impresa straniera il
trattamento giuridico analogo a quello di
cui si chiede di poter beneficiare in
Italia, ma non può essere in alcun modo
inteso come facoltà di fornire una
certificazione non tradotta nella lingua
dichiarata come ufficiale nel bando di gara
“Quanto, poi, al principio di
reciprocità, cui le ricorrenti fanno
ripetutamente riferimento, il Collegio
rileva che esso va inteso nel senso che
all’impresa straniera che partecipi ad una
gara va garantito il trattamento giuridico
analogo a quello di cui si chiede di poter
beneficiare in Italia (TAR Lazio, Roma
III-bis, 28.03.2007, n. 2671); in nessun
modo esso può essere inteso come facoltà di
fornire certificazione non tradotta nella
lingua dichiarata come ufficiale nel bando
di gara. Ciò, peraltro, non costituisce un
onere aggiuntivo, ma è condizione per
assicurare la libera circolazione dei
servizi in tutti i paesi europei e la
massima partecipazione degli operatori
economici. ”.
In conclusione, la sentenza in oggetto, pur
non innovando l’orientamento della
giurisprudenza amministrativa in merito al
valore della traduzione giurata, esplica in
modo chiaro e preciso le ragioni che
legittimano l’esclusione da una gara
pubblica di quelle imprese che non assolvono
a tale adempimento (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente per aver presentato la
documentazione relativa al possesso dei
requisiti di qualificazione redatta in
lingua straniera non accompagnata da una
traduzione giurata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia presentato la documentazione
relativa al possesso dei requisiti di
qualificazione redatta in lingua straniera,
omettendo, tuttavia, di allegarvi una
traduzione giurata in lingua italiana, in
quanto secondo consolidata giurisprudenza,
al fine di assicurare la certezza delle
situazioni giuridiche acclarate nelle
certificazioni concernenti i requisiti
richiesti dal bando di gara, qualora il loro
originale sia stato formato in lingua
straniera, è necessario che le predette
certificazioni siano accompagnate dalla
traduzione in lingua italiana giurata.
Per pacifica giurisprudenza, la
presentazione di atti non accompagnati dalla
traduzione ufficiale equivale alla non
produzione degli stessi, in quanto ciò
impedisce alla stazione appaltante di avere
immediata, diretta e certa contezza delle
referenze relative alla capacità
tecnico-economica dei concorrenti.
D'altro canto, anche se la commissione
avesse avuto padronanza della lingua
straniera, soltanto la traduzione giurata
avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di
corrispondenza tra la documentazione
prodotta in lingua originale ed il suo
significato, e ciò, peraltro, conformemente
all'orientamento della Corte costituzionale,
secondo cui la lingua italiana è la lingua
ufficiale dello Stato, da usare
obbligatoriamente, salve le espresse deroghe
disposte a tutela di gruppi linguistici
minoritari, nell'ambito delle funzioni
esercitate dai pubblici uffici.
Inoltre, grava sull'impresa partecipante
l'onere di porre la stazione appaltante
nella migliore condizione per poter
prontamente verificare il contenuto dei
documenti prodotti (TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter,
sentenza 14.01.2011 n. 325 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' illegittimo il
provvedimento di esclusione del concorrente
nei confronti del quale, accertata
l'irregolarità nel pagamento di una cartella
esattoriale, la stessa non sia stata
debitamente notificata allo stesso.
Nel caso di specie, la cartella non
risultava debitamente notificata al
destinatario-concorrente, in quanto
consegnata con la dicitura “altri
conviventi” presso la sede, sicché il
procedimento di notifica non si era
perfezionato stante la mancata prova
dell’invio della raccomandata con ricevuta
di ritorno, prescritta dall’art. 60 del DPR
n. 600/1973.
E’ da condividersi il rilievo secondo cui le
modalità di notifica della cartella
esattoriale di cui sopra non risultano
idonee e sufficienti per affermare con
certezza l'avvenuta conoscenza da parte
della ricorrente della cartella di cui è
questione alla data della notifica della
stessa a mani di persona qualificatasi, in
assenza del destinatario, persona addetta al
ritiro.
In detta evenienza, infatti, si impone che
della avvenuta consegna a persona diversa
dal destinatario, quest'ultimo sia informato
con raccomandata. Il che, nel caso di
specie, non è avvenuto, dovendosi ritenere
veritiera la dichiarazione resa in ordine al
requisito di regolarità contributiva (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 201 - link
a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI: Dichiarazione
ai sensi dell'art. 38 del D.lgs. 163/2006 -
Società per azioni - Necessità che i
soggetti tenuti alla dichiarazione siano
dotati di poteri di rappresentanza della
società - Sussistenza di poteri sostanziali
- Rilevanza - Limiti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D. L.vo n.
163/2006, con riferimento alla società per
azioni, individua i soggetti tenuti a
rilasciare la prescritta dichiarazione negli
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza o nel direttore tecnico.
Nonostante la specifica previsione
normativa, parte della giurisprudenza,
ispirata dalla ratio sottesa alla
norma di verificare la affidabilità
complessivamente considerata dell'operatore
economico che andrà a stipulare il contratto
di appalto con la stazione appaltante
individuando coloro che effettivamente "sono
in grado di manifestare all'esterno al
volontà dell'azienda" (Cons. Stato, Sez.
V, n. 375/2009), ha ricercato, in via
interpretativa, di ampliare l'ambito di
applicazione della disposizione includendo
nel novero dei necessari dichiaranti anche
soggetti che, pur non ricoprendo le
specifiche cariche indicate, siano,
tuttavia, titolari di ampi poteri
decisionali tali da consentire di
determinare gli indirizzi di gestione
dell'impresa.
Secondo il richiamato orientamento
occorrerebbe "avere riguardo alle
funzioni sostanziali del soggetto, più che
alle qualifiche formali, altrimenti la ratio
legis potrebbe venire agevolmente elusa e
dunque vanificata" (detto indirizzo,
peraltro tuttora non consolidato, non torna
in ogni caso applicabile al caso di specie
alla luce dell'espressa dichiarazione che i
soggetti in questione erano privi di ogni
potere di rappresentanza, essendo soltanto
titolari del potere di sottoscrizione dei
documenti di gara, che è competenza
obiettivamente diversa da quella di colui
che sia, in sede di gara, titolare del
potere di agire e di disporre) (massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 73 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Verifica
sulla congruità dell'offerta anomala -
Necessità del contraddittorio con
l'offerente - Limiti delle giustificazioni -
Divieto di trasformare l'offerta originaria
in un quid diverso attraverso le
giustificazioni - Divieto di rimodulazione
delle voci di costo al solo scopo di
armonizzare la struttura dell'offerta al
ribasso formulato.
In sede di verifica della congruità
dell'offerta presentata in una gara
d'appalto di lavori pubblici, il principio
del contraddittorio successivo (come imposto
dalle regole comunitarie interpretate dalla
Corte di giustizia con la sentenza
27.11.2001 n. 285) mira a consentire un
fisiologico arricchimento degli elementi
dedotti in origine e quindi incontra un
limite nel divieto -immanente al sistema- di
trasformazione dell'offerta originaria in un
quid sostanzialmente nuovo o diverso
per mezzo delle ulteriori giustificazioni
(Cons. Stato, Sez. V, 11.04.2006, n. 2021).
E' noto al Collegio quell'indirizzo della
giurisprudenza che ritiene, entro certi
limiti, possibile l'aggiustamento delle
varie componenti dell'offerta (Cons. St.,
sez. VI, 21.05.2009, n. 3146), restando in
ogni caso fermo che: a) o una modifica delle
giustificazioni delle singole voci di costo
(rispetto alle giustificazioni già fornite),
lascia le voci di costo invariate; b) oppure
un aggiustamento di singole voci di costo
trova il suo fondamento o in sopravvenienze
di fatto o normative che comportino una
riduzione dei costi, o in originari e
comprovati errori di calcolo, o in altre
ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha, infatti, precisato che
il subprocedimento di giustificazione
dell'offerta anomala non è volto a
consentire aggiustamenti dell'offerta per
così dire in itinere ma mira, al contrario,
a verificare la serietà di una offerta
consapevolmente già formulata ed immutabile
(Cons. St., sez. V, 12.03.2009, n. 1451). E'
dunque incontestato che non si può
consentire che, in sede di giustificazioni,
vengano rimodulate le voci di costo al solo
scopo di armonizzare la struttura
dell'offerta con l'importo derivante dal
ribasso formulato (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 65 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di un appalto del
servizio di gestione dell'asilo nido
comunale ad una società cooperativa sociale
consortile costituita da due gruppi di
cooperative.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione di un appalto del servizio di
gestione dell'asilo nido comunale, adottato
da una stazione appaltante nei confronti di
una società cooperativa consortile
costituita da due gruppi di cooperative in
quanto, nel caso di specie, trattasi di un
consorzio di cooperative c.d. di "secondo
grado", cui si applica l'art. 27 del
d.lgs. C.P.S. n. 1577/1947, in quanto tale
ammesso a partecipare alle gare di appalto
per l'affidamento di pubblici servizi, ai
sensi dell'art. 34, lett. b), del d.lgs. n.
163/2006.
Né a diversa conclusione può condurre la
presenza, tra i soggetti partecipanti al
consorzio, di una società per azioni,
giacché tale evenienza è espressamente
prevista dalla legge, che, all'art. 8 l. n.
381/1991, prevede che la base sociale dei
consorzi rientranti nel suo stesso ambito di
applicazione possa essere formata, ancorché
in misura inferiore al trenta per cento,
anche da soggetti diversi da cooperative
sociali.
Nel caso di specie, la partecipazione, con
un'incidenza minima sul capitale sociale, di
una società per azioni non può, quindi,
precludere la qualificabilità di detta
struttura consortile quale consorzio di
cooperative, come tale legittimato alla
partecipazione in proprio alle gare
pubbliche.
Peraltro, nella fattispecie in esame, è
incontestato che il possesso dei requisiti
generali in ordine alla regolarità della
gestione delle singole imprese sotto il
profilo dell'ordine pubblico e di idoneità
morale, siano stati dichiarati e verificati
non solo in capo al consorzio, ma anche alle
consorziate designate esecutrici del
servizio, così come ritenuto necessario
dalla giurisprudenza; mentre, in ordine ai
soli requisiti di idoneità tecnica e
finanziaria, gli stessi sono stati
correttamente ritenuti cumulabili in capo al
consorzio (TAR Lombardia-Brescia Sez. II,
sentenza 14.01.2011 n. 51 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di una ATI da una gara per
l'affidamento del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti urbani in quanto la
mandante risultava affidataria diretta di
servizi pubblici locali diversi da quello
posto in gara.
Il testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9,
come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett.
d), del d.l. n. 135/2009, consente alla
società titolare di affidamento diretto di
individuare la gara oggetto di deroga su
tutto il territorio nazionale, anziché nel
solo contesto territoriale interessato
dall'affidamento in essere.
E' legittima l'esclusione di una ATI
costituenda dalla procedura di gara, indetta
da un Consorzio Obbligatorio di Comuni,
avente ad oggetto l'appalto dei servizi di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in
ottantaquattro comuni della provincia, in
quanto la mandante era partecipata al 49,5%
da una S.p.a. la quale, a sua volta, era
titolare di affidamenti diretti del servizio
di distribuzione del gas naturale in
molteplici comuni. Tali affidamenti,
disposti senza procedura di gara, erano,
infatti, suscettibili di attribuire vantaggi
competitivi all'affidataria e costituivano,
pertanto, presupposto per l'applicazione del
divieto di partecipazione nei confronti
della società partecipata, previsto
dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008,
convertito in l. n. 133/2008.
---------------
La ratio sottesa alle disposizioni
normative di cui agli artt. 113, c. 6 del
T.U.E.L. e 23-bis, c.9, del d.l. n.
112/2008, convertito in l.n. 133/2008 (nel
testo vigente al momento della pubblicazione
del bando nel caso di specie) era quella di
evitare che le società titolari di
affidamenti diretti, quindi operanti in un
mercato protetto, potessero operare con enti
diversi da quelli di riferimento e
introdurre meccanismi di alterazione della
concorrenza derivanti dai privilegi di cui
esse godono. Il legislatore, peraltro, ha
ritenuto di dettare regole transitorie che
contemplavano la possibilità di partecipare
alle "prime gare" aventi ad oggetto i
servizi forniti da tali società. La deroga
era finalizzata ad evitare un'ingiustificata
dissipazione delle risorse investite nelle
società già affidatarie dirette di servizi
pubblici locali e di tutelare l'affidamento
generato in capo alle stesse. Tenendo conto
di tali finalità e della natura derogatoria,
quindi eccezionale, delle disposizioni
normative in esame, le stesse vanno
interpretate in senso letterale,
circoscrivendone conseguentemente
l'applicazione alla possibilità di
partecipare alla prima gara successiva per
chi svolgeva in affidamento diretto il
medesimo servizio.
Pertanto, nel caso di specie, è corretta la
determinazione assunta dalla stazione
appaltante e l'infondatezza della tesi di
parte ricorrente che pretende di riferire la
nozione di "prima gara" a tutte le
procedure competitive indette per la prima
volta, anche da enti diversi da quelli
presso i quali operava l'affidatario
diretto. Quest'ultima interpretazione,
peraltro, non sarebbe consentita neppure dal
testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come
sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del
d.l. n. 135/2009, secondo il quale "i
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad
oggetto i servizi da essi forniti".
Il nuovo dettato normativo, comunque
inapplicabile ratione temporis alla
procedura di gara, ha innovato la disciplina
previgente nel senso di conferire una
particolare facoltà di scelta alla società
titolare di affidamento diretto la quale può
ora individuare la gara oggetto di deroga su
tutto il territorio nazionale, anziché nel
solo contesto territoriale interessato
dall'affidamento in essere.
La disposizione medesima, invece, non può
essere interpretata come se contemplasse la
possibilità di partecipare a tutte le prime
gare indette da ciascun ente su tutto il
territorio nazionale, giacché tale approccio
ermeneutico, oltre a contrastare con la
delineata ratio dell'art. 23-bis
(anche nella nuova versione), svuoterebbe di
reale significato il divieto di
partecipazione posto in linea di principio
dalla norma (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 26 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Offerta economicamente
più vantaggiosa - Variazioni migliorative in
sede di offerta.
E’ insito nella scelta del criterio
selettivo dell'offerta economicamente più
vantaggiosa che, anche in presenza di un
progetto definitivo posto a base di gara,
sia consentito alle imprese proporre le
variazioni migliorative rese possibili dal
possesso di peculiari conoscenze
tecnologiche, purché non si alterino i
caratteri essenziali delle prestazioni
richieste dal bando, per non ledere la par
condicio (cfr. C.S., sezione IV, dec.
11.02.1999 n. 149).
In particolare (cfr. C.S., sezione V, dec.
19.02.2003 n. 923), si ammettono varianti
migliorative riguardanti le modalità
esecutive dell'opera o del servizio, purché
non si traducano in una diversa ideazione
dell'oggetto del contratto, che si ponga
come del tutto alternativo rispetto a quello
voluto dalla p.a.; risulta inoltre
essenziale che la proposta tecnica sia
migliorativa rispetto al progetto base, che
l'offerente dia contezza delle ragioni
giustificanti l'adattamento proposto e le
variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la
variante garantisca l'efficienza del
progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata.
Offerta economicamente
più vantaggiosa - Offerta tecnica -
Punteggio - Discrezionalità della
commissione - Art. 83 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di specificazione dei criteri per
la valutazione delle offerte, secondo quello
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
l'art. 83, comma 4, d.lgs. n. 163/2006,
lascia ampia discrezionalità alla
commissione nella suddivisione del punteggio
da attribuire agli elementi costituenti
l'offerta tecnica, secondo i criteri
predefiniti nel bando di gara: tale
discrezionalità tecnico-amministrativa non
potrebbe essere oggetto di sindacato
giurisdizionale se non in presenza di
macroscopiche irrazionalità e/o
incongruenze, tali non essendo la parziale
riproduzione di alcuni dei punti messi in
evidenza dai criteri generali di valutazione
espressi dal bando, laddove la incongruità
invece sarebbe stata evidente se la
commissione, nell'elaborare i sottocriteri,
si fosse discostata completamente dal bando
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.01.2011 n. 171 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità delle
disposizioni di un bando di gara che
prevedano la possibilità, per la commissione
giudicatrice, di operare in composizione
ridotta, e non con il "plenum" dei suoi
componenti.
Sono legittime le disposizioni di un bando
di gara che prevedano la possibilità, in
capo ad una commissione giudicatrice, di
svolgere la propria attività non in qualità
di "collegio perfetto", in sede
plenaria, bensì in composizione ridotta.
Secondo consolidata giurisprudenza, la
caratteristica del c.d. "collegio
perfetto" riposa sulla circostanza che
esso debba operare con il plenum dei suoi
componenti, nelle fasi in cui l'organo è
chiamato a compiere valutazioni
tecnico-discrezionali, ovvero ad esercitare
prerogative decisorie, rispetto alle quali
si configura l'esigenza che tutti i suoi
componenti offrano il loro contributo ai
fini di una corretta formazione della
volontà collegiale.
Tuttavia, tale modalità operativa si
giustifica, in assenza di una norma che
espressamente disponga in tal senso, quando
i componenti designati non si distinguono in
base alla rispettiva formazione
professionale, ma si qualificano quali
esperti del settore o della materia cui fa
riferimento l'oggetto del procedimento
selettivo. Ossia, quando i singoli
componenti non rivestano la funzione di
rappresentanti di interessi esterni
all'amministrazione procedente.
Pertanto, non v'è quella eterogeneità di
provenienza, esperienza, possesso di titoli,
che avrebbe potuto giustificare
l'attribuzione in via ermeneutica della
qualifica di "collegio perfetto" alla
commissione, in quanto formato da soggetti
portatori di distinte e non sovrapponibili
esperienze, la cui necessaria contemporanea
compresenza garantisce lo svolgimento dei
lavori della commissione.
In carenza di tale elemento, la scelta di
prevedere la possibilità che la commissione
renda il proprio parere pur in assenza del
plenum dei propri componenti è da ritenersi
legittima e non distorsiva della par
condicio dei concorrenti (TAR Sardegna, Sez.
I,
sentenza 13.01.2011 n. 19 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' illegittima
l’esclusione dalla gara per omessa
indicazione nella domanda di partecipazione
l’indirizzo di posta elettronica certificata
(Pec), come prescritto dal bando di gara.
È illegittima l’esclusione da una gara
d’appalto dell’impresa che abbia omesso di
indicare nella domanda di partecipazione
l’indirizzo di posta elettronica certificata
(Pec), come prescritto dal bando di gara,
che prevedeva l’indicazione a pena di
esclusione di varie forme di ricezione delle
comunicazioni.
La clausola del bando di gara che impone la
contestuale disponibilità di più forme di
ricezione concernenti le comunicazioni di
gara (ossia domicilio, fax e posta
elettronica certificata) si pone in
contrasto con la previsione generale di cui
all’art. 79 d.lgs 163/2006, come da ultimo
modificato dal d.lgs. n. 53 del 2010, il
quale individua mezzi alternativi (e non
cumulativi) di comunicazione.
La richiamata clausola, che ai fini della
comunicazioni di cui agli art. 11 e 79,
richiede l’indicazione necessaria della
posta elettronica certificata, oltre il
domicilio e il fax, appare eccessiva anche
alla luce dei principi generali di cui
all’art. 77 del d.lgs 163/2006 in base al
quale “il mezzo di comunicazione scelto
(tra stazione appaltante e operatore
economico) deve essere comunemente
disponibile, in modo da non limitare
l’accesso degli operatori economici alla
procedura di aggiudicazione” e “gli
strumenti da utilizzare per comunicare per
via elettronica, nonché le relative
caratteristiche tecniche, devono essere di
carattere non discriminatorio, comunemente
disponibili al pubblico e compatibili con i
prodotti della tecnologia dell’informazione
e della comunicazione generalmente in uso”;
in questa prospettiva la necessità che
l’indirizzo di posta elettronica avesse
natura certificata, a pena di esclusione,
non appare requisito ragionevolmente
necessario posto che comunque la stazione
appaltante era in possesso di tutti i dati
necessari (domicilio, fax, posta
elettronica) per inviare comunicazioni alla
ricorrente, anche con effetto legale
(certezza dell’invio e della ricezione).
La previsione risulta infine eccessivamente
onerosa anche alla luce della normativa di
settore (cfr. art. 16 d.l. 185/2008, così
come convertito con legge 2/2009) che impone
alle società già operanti di munirsi di un
indirizzo Pec solo da novembre 2011,
trattandosi di un mezzo di comunicazione d
all’utilizzo ancora non generalizzato
(massima tratta da
www.entilocali.provincia.le.it - TAR
Puglia-Lece, Sez. III,
sentenza 13.01.2011 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla interpretazione di
"gara" ai fini dell'art. 15, c. 9, d.lvo n.
164/2000, in materia di prosecuzione delle
gestione in essere del servizio pubblico di
distribuzione del gas.
Il servizio pubblico di distribuzione del
gas resta soggetto alla disciplina del
d.lgs. 164/2000 e dell'articolo 46-bis del
d.l. 159/2007. La definizione degli ambiti
per la distribuzione del gas non è
sufficiente per l'indizione delle gare (di
ambito).
Una interpretazione comunitariamente
orientata del presupposto considerato
dall'art. 15, c. 9, del D.Lgs. n. 164/2000,
in materia di prosecuzione delle gestione in
essere del servizio pubblico di
distribuzione del gas, conduce a ritenere
che l'elemento qualificante di una "gara",
sia la predefinizione e comunicazione ai
potenziali interessati delle regole della
competizione (nella forma, quanto meno, dei
contenuti delle offerte e dei relativi
criteri di valutazione), unica seria
garanzia che la scelta del contraente
privato rispetti i principi di imparzialità
e parità di trattamento, a tutela della
concorrenza e del mercato, e presupposto
indispensabile della sua sindacabilità in
sede giurisdizionale. D'altra parte, la
proroga dodecennale degli affidamenti in
essere si giustifica in quanto si tratti di
affidamenti intervenuti sulla base di regole
quanto meno analoghe a quelle che dovranno
essere seguite per i nuovi, aventi la
medesima durata massima. Nel caso di specie,
mancando questo minimum, sotto il
profilo della predefinizione delle regole
della competizione, e, più in generale,
sotto quello della imparzialità e parità di
trattamento nella scelta, occorre concludere
che si sia in realtà trattato di un
affidamento diretto.
Mentre in linea di principio la disciplina
generale in tema di servizi pubblici locali
di rilevanza economica prevale anche su
quelle di settore con essa incompatibili (c.
1 dell'art. 23-bis del d.l. 112/2008,
convertito in l. 133/2008), ciò non accade
relativamente alla distribuzione del gas
naturale, per la quale continuano ad
applicarsi integralmente il d.lgs. 164/2000
e l'art. 46-bis del d.l. 159/2007.
La definizione degli ambiti non è
sufficiente per l'indizione delle gare (di
ambito), posto che, non avendo la legge
individuato un'autorità competente
all'espletamento della gara, occorrerà
comunque che gli enti locali ricompresi
negli ambiti si organizzino (mediante
accordi) per gestire la procedura; senza
contare che l'art. 46-bis, c. 3, del d.l.
159/2007, prevede comunque, per
l'espletamento della gara, un termine di due
anni dall'individuazione degli ambiti.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato ha, altresì, affermato che "… pur
essendo certamente auspicabile, sotto il
profilo dell'efficienza delle gestioni,
l'espletamento di gare sulla base di ambiti
territoriali minimi, l'interpretazione
orientata a sostenere il blocco delle gare
fino alla determinazione di detti ambiti si
ponga in contrasto con il principio
comunitario di concorrenza, la cui
attuazione, attraverso un atto ministeriale
potrebbe essere rinviata ad un futuro
incerto, con il rischio di ritardare
ulteriormente il completamento del processo
di liberalizzazione del settore del gas"
(TAR Umbria,
sentenza 13.01.2011 n. 1 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'esclusione di un concorrente per
carenza della regolarità contributiva in
corso di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
privo del requisito di regolarità
contributiva, che pur abbia provveduto a
sanare detta carenza, ma successivamente
alla data all'uopo indicata dal bando, in
quanto, secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, la mancanza del predetto
requisito alla data di scadenza del termine
previsto dal bando per la presentazione
delle offerte, non è sanato dall'eventuale
adempimento tardivo dell'obbligazione
contributiva, atteso che tale tardivo
adempimento può rilevare nelle reciproche
relazioni di credito e di debito fra i
soggetti del rapporto obbligatorio e non,
invece, anche nei confronti
dell'amministrazione appaltante deputata ad
accertare la sussistenza del requisito della
regolarità contributiva ai fini
dell'ammissione alla gara.
Un'acquisizione tardiva della correttezza
contributiva non esclude l'obbligo, in capo
alla stazione appaltante, di disporre
l'esclusione dell'impresa inadempiente, pena
una palese violazione del principio di par
condicio tra i concorrenti, in quanto,
diversamente, si consentirebbe ad un
soggetto carente dei requisiti prescritti
dal bando -quale, come nel caso di specie,
la correttezza contributiva- di sanare ex
post tale mancanza, con evidente
disparità di trattamento nei confronti di
quelle imprese, che, conformemente alle
disposizioni normative, erano in possesso di
quei requisiti alla data indicata dal
regolamento di gara (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 12.01.2011 n. 104 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Verifica
dei requisiti di partecipazione ex art. 48
del d.lgs. n. 163/2006 - Mancata
dimostrazione da parte dell'impresa
concorrente - Effetto - Esclusione
automatica - Legittima.
La fase di verifica dei requisiti di
partecipazione anteriore all'apertura delle
buste contenenti le offerte, disciplinata
dall'art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, reca in
sé un automatismo in virtù del quale, se non
è comprovato da parte dell'impresa il
possesso dei requisiti previsti dalla lex
specialis, attraverso la produzione
della pertinente documentazione,
l'Amministrazione è tenuta a disporre
l'esclusione della stessa e il relativo
provvedimento assume la natura di atto
vincolato, specie qualora l'Amministrazione
abbia consentito all'impresa di fornire
chiarimenti e integrazioni documentali
(Nella fattispecie, l'impresa è stata
esclusa per non avere dimostrato il possesso
dei requisiti di capacità economica e
finanziaria richiesti dal disciplinare di
gara) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 33 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Aggiudicazione provvisoria - Atto
preparatorio all'aggiudicazione definitiva -
Non sussiste l'onere di impugnazione
immediata - Revoca dell'aggiudicazione
provvisoria - Insussistenza dell'onere di
impugnazione immediata.
2. Aggiudicazione definitiva - Necessità di
comunicazione individuale - Decorrenza del
termine per l'impugnazione dalla
comunicazione individuale.
1.
Secondo un pacifico orientamento
giurisprudenziale, l'aggiudicazione
provvisoria non è l'atto conclusivo del
procedimento, bensì quello preparatorio, che
produce solo effetti prodromici e, di
conseguenza, non vi è un onere di immediata
impugnazione della stessa (C.S. Sez. VI
20.02.2008 n. 588). Parimenti non vi può
essere alcun onere di immediata impugnazione
dell'atto amministrativo che rimuova la
predetta aggiudicazione provvisoria,
contestualmente rimettendo gli atti alla
Commissione di gara per effettuare una nuova
valutazione delle offerte, all'esito della
quale potrebbe peraltro, in astratto,
confermarsi la posizione del precedente
aggiudicatario, addirittura con un punteggio
maggiore.
Da quanto precede consegue l'insussistenza
di un onere di immediata impugnazione della
revoca dell'aggiudicazione provvisoria,
atteso che la lesività di tale provvedimento
si è consolidata solo in occasione
dell'adozione della successiva delibera di
aggiudicazione definitiva a favore della
controinteressata.
2.
Costituisce principio giurisprudenziale
pacifico quello secondo cui la conoscenza
del provvedimento di aggiudicazione
definitiva non può essere ricondotta alla
data di pubblicazione dello stesso,
sussistendo un onere per le stazioni
appaltanti di portare gli esiti delle
procedure di gara a conoscenza dei
concorrenti per mezzo di apposite
comunicazioni. Essendo richiesta la
comunicazione individuale dell'atto di
aggiudicazione, il termine per
l'impugnazione non può farsi decorrere dal
giorno in cui sia scaduto il termine della
pubblicazione (C.S. Sez. VI 25.01.2008 n.
213).
L'eccezione di tardività del ricorso
principale deve essere pertanto scrutinata
alla luce della comunicazione effettuata
dalla stazione appaltante, e ricevuta dalla
ricorrente e dei contatti successivamente
intercorsi tra la ricorrente principale e la
stazione appaltante (fattispecie precedente
all'art. 79, comma 5, lett. a, del Codice
dei Contratti così come modificato dal
D.lgs. 53/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 28 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamento
diretto di servizi pubblici locali - Sono
soggetti legittimati all'impugnazione coloro
che sono lesi dall'atto - Decorrenza del
termine per l'impugnazione dalla conoscenza
piena dell'atto - Insufficienza della
pubblicazione sull'albo pretorio per la
decorrenza del termine.
Ai fini della decorrenza del termine per
l'impugnazione, ai sensi dell'art. 21 della
L. 06.12.1971, n. 1034 e degli artt. 1 e 2
del R.D. 17.08.1907, n. 642, la
giurisprudenza ha avuto modo di precisare
che debbono considerarsi soggetti
interessati non soltanto quelli che
risultano nominativamente contemplati
nell'atto, ma anche coloro che possano
essere individuati come soggetti sulle cui
posizioni l'atto specificamente incida in
modo svantaggioso (cfr. Consiglio di Stato,
IV Sezione, 20.05.1996, n. 625).
Tanto premesso, ritiene il Collegio che
nella materia in esame, concernente le
scelte organizzatorie dell'Amministrazione
comunale per la gestione dei servizi
pubblici, il termine per l'impugnativa da
parte dei soggetti che si ritengano lesi
dall'affidamento diretto degli stessi inizi
a decorrere, in difetto di comunicazione
individuale, dalla data della loro piena
cognizione e non dalla loro pubblicazione.
Diversamente opinando, l'azione
giurisdizionale dei potenziali aspiranti
alla procedura di evidenza pubblica per la
scelta del gestore dei servizi pubblici
verrebbe di fatto frustrata attraverso oneri
di attivazione del tutto inesigibili,
presupponendo una penetrante osservazione di
tutta l'attività politico amministrativa
dell'Ente locale, attraverso il sistematico
esame di tutte le delibere affisse all'albo
(TAR Napoli Campania sez. IV 07.11.2003 n.
13382) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 27 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La disposizione di cui
all'art. 16, c. 4, R.D. n. 2440/1923 (l. di
contabilità di Stato), secondo cui i
processi verbali di aggiudicazione
definitiva equivalgono per ogni legale
effetto al contratto, è derogabile da una
norma regionale.
Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, c. 4,
statuisce che: "I processi verbali di
aggiudicazione definitiva, in seguito ad
incanti pubblici o a private licitazioni,
equivalgono per ogni legale effetto al
contratto".
Sennonché il verbale di aggiudicazione di
una licitazione privata non necessariamente
equivale a ogni effetto legale al contratto,
perché l'art. 16 della legge di contabilità
dello Stato (R.D. 18.11.1923, n. 2440) è
norma dispositiva, che si presta a essere
derogata nel senso di escludere che
l'aggiudicazione, oltre a concludere il
procedimento di scelta del contraente,
produca da sé la conclusione dell'accordo.
A maggior ragione quindi questa norma, che è
dettata in tema di contabilità generale
dello Stato, può essere derogate da una
norma regionale nell'ambito di una materia,
la cui competenza appartenga alla regione
(Corte di Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 11.01.2011 n. 391 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it) |
APPALTI:
E' illegittima
l'esclusione di un concorrente da una gara
di appalto per ragioni di inadempimento
delle prescrizioni formali di gara quando le
stesse prescrizioni formali siano state
formulate in modo del tutto impreciso ed
equivoco.
L’esclusione di un concorrente da una gara
di appalto per ragioni di inadempimento
delle prescrizioni formali di gara è
senz’altro doverosa ed automatica soltanto
quando tali prescrizioni formali risultano
indicate (nel bando o nella lettera di
invito o anche nel capitolato speciale di
appalto) in modo del tutto chiaro e la
relativa violazione risulti sanzionata in
modo altrettanto chiaro ed esplicito a pena
di esclusione; non, invece,quando le stesse
prescrizioni formali siano state formulate
in modo del tutto impreciso ed equivoco e
comunque senza la previsione esplicita della
sanzione della automatica esclusione dalla
gara, in caso di violazione.
In questo caso, il Capitolato speciale di
appalto, proprio con riferimento alle
prescrizioni formali di cui alla busta “C”
contenente l’offerta economica, non
precisava affatto –a proposito delle firme
da apporre su detta offerta e sulla relativa
documentazione– che tali firme dovevano
essere apposte su ogni foglio, a pena di
esclusione dalla gara (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 78 - link
a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla non applicabilità
del divieto di partecipazione a gare
d'appalto, imposto dall'art. 13 del D.L. n.
223/2006, alle società miste, partecipate da
soggetti pubblici e privati.
Il divieto di partecipazione a gare
d'appalto, previsto dall'art. 13, commi 1 e
2 del D.L. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani
1), per le società c.d. strumentali, non si
applica, anche con riferimento alle c.d. "società
miste", vale a dire quelle che, come nel
caso di specie, non presentano, quale
oggetto sociale esclusivo, lo svolgimento
dei servizi pubblici locali, in quanto le
citate tipologie societarie presentano
differenti caratteristiche giuridiche e
diverso modello organizzativo, anche con
riguardo alla finalità della speciale
disciplina limitativa di cui al citato art.
13, ossia di evitare alterazioni o
distorsioni della concorrenza e del mercato
e di assicurare la parità degli operatori.
Pertanto, mentre i divieti e gli obblighi
imposti dai citati commi del predetto art.
13 trovano giustificazione per le società
c.d. strumentali, non altrettanto
ragionevole appare l'applicazione della
stessa anche per quelle società c.d. "miste",
partecipate da soggetti pubblici e privati
le quali, pur non avendo un oggetto sociale
esclusivo circoscritto alla sola operatività
con gli enti costituenti o partecipanti o
affidanti e, quindi, svolgendo sia servizi
pubblici locali, sia altri servizi e
forniture di beni a favore degli enti
pubblici e privati partecipanti nonché a
favore di altri enti o loro società o
aziende pubbliche e private, operano
comunque nel pieno rispetto delle regole di
concorrenza imposte dal mercato, nonché di
quelle previste per le procedure di
affidamento dei contratti pubblici
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2011 n. 77 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI:
Oggetto: Accesso a fatture di pagamento e
documenti di regolarità contributiva di
imprese aggiudicatarie di appalti pubblici.
L’ente civico istante espone che una società
cooperativa aveva chiesto il rilascio delle
determinazioni di aggiudicazione, delle
fatture di pagamento e relativi documenti
unici di regolarità contributiva (cd durc)
delle imprese affidatarie di appalti di
lavori comunali dall'01.05.2010 in poi.
Pur confermando l’accessibilità alle determine di aggiudicazione (trattandosi
peraltro di atti pubblici),
l’amministrazione manifesta a questa
Commissione alcune perplessità sulla
ostensione delle fatture e relativi “durc”,
stante la particolarità del tipo di
informazioni richieste.
Non risultando se la società istante abbia
partecipato o meno alle procedure di appalto
di lavori e servizi cui afferiscono i
documenti richiesti, la Commissione ritiene
che la questione prospettata vada risolta
alla stregua del doppio regime del diritto
di accesso (previsto per il cittadino
residente e non) dalla legge n. 241/1990 e
dal d.lgs. n. 267/2000.
Qualora l’istanza di accesso provenga da un
concorrente alle gare di appalto, il
partecipante ad un procedimento ha pieno
diritto ad accedere agli atti dello stesso
procedimento ai sensi dell’art. 10, legge n.
241/1990, senza necessità di dimostrare la
titolarità di un interesse diretto e
concreto e senza che la sua istanza sia
motivata, trattandosi di c.d. accesso endoprocedimentale. L’unico limite
all’accesso è previsto dall’art. 24 della
citata legge per i documenti relativi a
“interessi industriali e commerciali” (come
peraltro confermato, in materia di
procedimenti ad evidenza pubblica, dall’art.
13 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti
pubblici), fatta salva comunque la
prevalenza dell’accesso ogniqualvolta la
conoscenza dei documenti sia necessaria per
curare o per difendere i propri interessi
giuridici.
Se invece l’istanza sia presentata da
soggetto estraneo alla procedura, opera
l’accesso cd “esoprocedimentale”
riconosciuto dall’art. 10, co. 1, d.lgs. n.
267/2000 ai cittadini residenti ed alle
ditte, aventi o meno personalità giuridica,
con sede legale nel territorio comunale.
Infatti, la richiamata disciplina sancisce
espressamente, ed in linea generale, per i
cittadini (ed analogamente per le società,
enti o associazioni) residenti (o aventi
sede nel comune) il principio della
pubblicità di tutti gli atti
dell’amministrazione comunale e provinciale,
ad eccezione di quelli riservati per
espressa indicazione di legge o per effetto
di una temporanea e motivata dichiarazione
del sindaco che ne vieti l’esibizione,
conformemente a quanto stabilito dal
regolamento, in quanto la loro diffusione
possa pregiudicare il diritto alla
riservatezza delle persone, dei gruppi o
delle imprese.
Nella specie, poiché la società istante ha
sede nel Comune (e dunque non rileverebbe
l’eventuale difetto di motivazione
dell’istanza) e non pare davvero che la
documentazione richiesta contenga davvero
segreti tecnici e commerciali (e cioè
fatture di pagamento e attestazioni di
regolarità nell’assolvimento degli obblighi
legislativi nei confronti degli enti
previdenziali), l’istanza di accesso deve
essere accolta
(Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta
dell'11.01.2011
- link a www.commissioneaccesso.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un'impresa
cessionaria del ramo d'azienda, per omessa
dichiarazione in ordine alla posizione del
cedente.
In materia di procedure ad evidenza
pubblica, le clausole di esclusione poste
dal bando di gara in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante sono di stretta
interpretazione, dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute, restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare la par condicio
dei concorrenti, nonché l'esigenza della più
ampia partecipazione.
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di
partecipazione, a prescindere da un'espressa
previsione del bando, sono riconducibili al
patrimonio di una società o di un
imprenditore cessionari di un ramo
d'azienda, i requisiti posseduti dal
soggetto cedente, giacché essi devono
considerarsi compresi nella cessione in
quanto strettamente connessi all'attività
propria del ramo ceduto.
Manca nel Codice dei contratti (d.lvo
12.04.2006 n. 163) una norma, con effetto
preclusivo, che preveda, in caso di cessione
d'azienda antecedente alla partecipazione
alla gara, un obbligo specifico di
dichiarazioni in ordine ad i requisiti
soggettivi della cedente riferita sia agli
amministratori e direttori tecnici, in
quanto l'art. 51 del Codice dei contratti si
occupa della sola ipotesi di cessione
successiva alla aggiudicazione della gara.
Ne discende che, in assenza di tale norma, e
siccome la cessione di azienda comporta non
una successione a titolo universale del
cessionario al cedente bensì invece una
successione nelle posizioni attive e passive
relative all'azienda tra soggetti che
conservano distinta personalità giuridica, è
da ritenersi illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa
cessionaria del ramo d'azienda, per omessa
dichiarazione in ordine alla posizione del
cedente (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 10.01.2011 n. 12 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Decisioni
della Commissione giudicatrice -
Discrezionalità tecnica - Cognizione piena
del G.A. - Estensione non solo ai fatti ma
anche ai giudizi della Commissione
giudicatrice.
Una volta distinta l'area della
discrezionalità tecnica da quella del merito
amministrativo (sull'esempio di Cons. St.,
sez. IV, n. 601/1999), e riconosciuto nel
primo caso al giudice amministrativo
l'accesso diretto ai fatti in contestazione
(anche attraverso i mezzi di prova e
l'ausilio di un consulente tecnico, ove
necessario), non vi sono ragioni valide per
escludere una cognizione piena non solo
sulle modalità (di formazione), ma anche
sull'attendibilità dei giudizi e degli
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara di
appalto (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 10.01.2011 n. 11 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: AVVALIMENTO.
Ogni impresa, operante in un determinato
settore, ha un interesse tutelato a
contestare l’illegittima indizione di una
procedura negoziata, atteso che la mancata,
ma dovuta, indizione di una procedura aperta
lede il suo interesse sostanziale a
competere, secondo pari opportunità, ai fini
dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi
secondo le prescritte procedure. A tal
riguardo, non assume rilievo il fatto che
l’impresa ricorrente non possieda i
requisiti tecnici e finanziari per
partecipare alla gara, dal momento che
l’impresa medesima potrebbe partecipare, pur
essendone priva, avvalendosi dei requisiti
di imprese diverse.
E’ quanto affermato dal Tar
Abruzzo-L’Aquila, nella
sentenza 10.01.2011 n. 3, ove
vengono fornite alcune importanti
precisazioni, relative agli effetti
dell’istituto dell’avvalimento in merito ad
un importante tema processuale:
l’impugnazione di una procedura negoziata,
in assenza dei necessari presupposti di
legge.
Come noto, costituisce principio generale,
sancito dall'articolo 100 del codice di
procedura civile, applicabile anche al
processo amministrativo, quello secondo il
quale costituisce condizione per
l'ammissibilità dell'azione, oltre alla
titolarità di una situazione giuridica
sostanziale di diritto soggettivo o di
interesse legittimo (legittimazione a
ricorrere), anche la sussistenza
dell'interesse a ricorrere, inteso
quest'ultimo, non come idoneità astratta
dell'azione a realizzare il risultato
perseguito ma, più specificamente, come
interesse proprio e concreto del ricorrente
al conseguimento di un'utilità o di un
vantaggio (materiale o, in certi casi,
morale) a mezzo del processo amministrativo.
Vale a dire, nell'ottica di un processo di
stampo impugnatorio–annullatorio, quale
quello amministrativo, la sussistenza di un
interesse all'eliminazione del
provvedimento, che il ricorrente ritiene
lesivo della propria sfera giuridica.
Per quanto concerne l’indizione di una
trattativa privata (ora procedura
negoziata), da tempo la giurisprudenza
ammette la possibilità di censurarne
l’illegittima attivazione, da parte delle
imprese “operanti nel settore”.
Tale possibilità, da un punto di vista
sostanziale deve essere ricollegata al fatto
che le procedure negoziate hanno pienamente
conservato all’interno del Codice dei
contratti pubblici la loro originaria natura
eccezionale. Infatti, il comma 4°,
dell’articolo 54, stabilisce che le stazioni
appaltanti possono aggiudicare i contratti
pubblici mediante una procedura negoziata,
con o senza pubblicazione del bando di gara,
solo “nei casi e alle condizioni
specifiche espressamente previste”, cioè
solo in presenza delle peculiari e
straordinarie ipotesi, espressamente e
tassativamente, previste dal Codice
medesimo, agli articoli 56 (procedura
negoziata previa pubblicazione di un bando
di gara) e 57 (procedura negoziata, senza
previa pubblicazione di un bando di gara).
Sopravvenuto il Codice, si è evidenziata
ancor più la sua natura derogante: “La
trattativa privata, oggi definita procedura
negoziata nelle direttive comunitarie e
negli atti nazionali di recepimento, è un
criterio di selezione dei concorrenti di
tipo eccezionale perché la necessità di
tutelare i principi di libera concorrenza,
parità di trattamento, non discriminazione,
imparzialità e buon andamento impongono il
ricorso alle procedure aperte o ristrette e
la procedura negoziata, come si evince dal
confronto tra il quarto e il secondo comma
dell'art. 54, d.lgs. n. 163 del 2006, può
essere utilizzata solo nei casi specifici in
cui la legge lo preveda espressamente” .
Dunque, da un punto di vista sostanziale,
una procedura negoziata può essere
contestata, nella sua indizione, in ragione
della carenza dei necessari presupposti di
legge. Ma, chi può effettuare tale censura?
A questa domanda, come già anticipato, la
giurisprudenza, da tempo , ha risposto
indicando un soggetto non molto definito:
l’operatore economico del settore. Tale
posizione è rimasta del tutto immutata anche
recentemente: “Qualora una stazione
appaltante decida di procedere alla
stipulazione di un contratto con un
determinato imprenditore a seguito di
procedura negoziata, va riconosciuta la
legittimazione a ricorrere, avverso la
decisione suddetta, agli altri operatori
economici del settore, poiché titolari di un
interesse strumentale alla effettuazione
della gara, in quanto aspiranti partecipanti
alla stessa”.
In altri termini, gli imprenditori, che
svolgono la propria attività nel medesimo
ambito economico, cui si riferisce l'oggetto
dell'appalto posto in gara, vantano un
interesse qualificato ad impugnare il
provvedimento di affidamento diretto o
tramite procedura negoziata. Qualora la
stazione appaltante si determini a
concludere un contratto mediante procedura
negoziata con un determinato imprenditore,
si incide, infatti, in senso sfavorevole
sulle posizioni soggettive degli altri
imprenditori operanti nel medesimo settore,
che sono, perciò, portatori di un interesse
alla possibile conclusione del medesimo
contratto, con conseguenze negative sulla
libera concorrenza.
Gli aspiranti partecipanti alla gara,
rimasti esclusi dalla procedura negoziata,
ben potranno, pertanto, proporre ricorso
giurisdizionale, in quanto titolari
dell’interesse strumentale ad ottenere
l'annullamento dell'affidamento diretto ed a
far seguire l'indizione di una gara aperta o
ristretta, quali modelli generali di scelta
del contraente. Quindi, per poter contestare
l’illegittima indizione di una procedura
negoziata, l’impresa deve almeno dimostrare
di operare in un dato settore, pur se, come
avvertito da attenta giurisprudenza, non è
necessario che l’impresa dimostri di
possedere tutti i requisiti tecnici e
finanziari, occorrenti per poter partecipare
alla gara.
Con la sentenza in esame, si perviene ad un
importante sviluppo concettuale: non si
parla più di impresa di settore, in quanto
grazie all’avvalimento il problema
dell’appartenenza ad un dato settore
economico, quale presupposto legittimante il
ricorso, perde di interesse. Potendo
l’impresa avvalersi dei requisiti di altro
operatore economico, non è necessario che
appartenga ad un dato settore e, dunque, può
impugnare l’illegittima indizione di una
negoziata, prescindendo dall’appartenenza
medesima (commento tratto dalla newsletter
di www.centrostudimarangoni.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ogni impresa operante in
un determinato settore ha un interesse
tutelato a contestare la scelta della p.a.
di non procedere all'indizione di una
procedura di gara pubblica.
Sulle condizioni che devono sussistere
affinché si possa far ricorso alla procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un
bando di gara.
Ogni impresa operante in un determinato
settore ha un interesse tutelato a
contestare anche la scelta della p.a. di non
procedere all'indizione di una procedura di
gara pubblica a tutela del principio della
libera concorrenza e del criterio di
effettività del diritto alla tutela
giurisdizionale, atteso che la mancata
indizione di una procedura di evidenza
pubblica lede il suo interesse sostanziale a
competere, secondo pari opportunità, ai fini
dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi
secondo le prescritte procedure.
Il ricorso alla procedura senza
pubblicazione del bando di gara di cui
all'art. 57 c. 2, lett. c), d.lgs. n. 163
del 2006 trova fondamento nella presenza di
circostanze eccezionali che non consentano
l'indugio degli incanti e della licitazione
privata, a condizione però che l'estrema
urgenza risulti da eventi imprevedibili per
la stazione appaltante e non dipenda da un
ritardo nell'attivazione dei procedimenti ad
essa imputabile e solo quando l'estrema
urgenza non sia compatibile con i termini
imposti dalle procedure aperte, ristrette o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara (TAR Abruzzo, Sez. I,
sentenza 10.01.2011 n. 3 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
RIEPILOGO DISCIPLINA SULLA TRACCIABILITA’
DEI PAGAMENTI (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
NUOVO REGOLAMENTO DEI CONTRATTI PUBBLICI DPR
05/10/2010 N. 207 (link a
www.ancebrescia.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia svolto, in precedenza,
servizi analoghi ma non identici a quelli
richiesti dal bando.
Sulla portata del significato da attribuire
al termine "servizio analogo", ai fini
dell'aggiudicazione di una gara d' appalto.
E' illegittimo il provvedimento di
esclusione adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che abbia svolto, nel triennio precedente,
servizi aventi ad oggetto prestazioni simili
ma non identiche a quelle prescritte dal
bando di gara.
Nel caso di specie, la lex specialis
richiedeva la stipulazione di contratti
sottoscritti direttamente con strutture
sanitarie pubbliche o private, laddove
l'impresa concorrente, invece, ha svolto
analoghi servizi per una società fornitrice,
a sua volta, delle predette strutture.
Ai sensi della direttiva 2004/18/CE, è
inaccettabile la decisione di valorizzare
soltanto contratti stipulati direttamente
con Aziende sanitarie pubbliche e private.
peraltro, posto che il bando richiedeva un
fatturato minimo per servizi analoghi e non
"identici", prestati in strutture
sanitarie pubbliche o private, la stazione
appaltante era tenuta ad ammettere alla
competizione tutti i soggetti capaci di
dimostrare l'acquisizione della necessaria
esperienza, a prescindere dal titolo
giuridico sottostante, e ciò a tutela del
principio del favor partecipationis.
Sul punto va richiamata anche la
giurisprudenza interna, avallata dagli artt.
41 e 42 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui
un prestatore ben può comprovare il possesso
dei requisiti economici, finanziari e
tecnici di partecipazione ad una gara di
appalto pubblico di servizi, facendo
riferimento alle capacità di altri soggetti,
qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli che ha con essi: unica condizione
posta dal giudice comunitario è la prova
dell'effettiva disponibilità dei mezzi
necessari all'esecuzione dell'appalto,
attraverso l'attestazione di rapporti
giuridici idonei, spettando poi, al giudice
nazionale, valutare la correttezza di tale
dimostrazione.
---------------
Ai fini della dimostrazione della capacità
tecnica ed in particolare nella scelta del
fatturato minimo da provare, rientra nella
discrezionalità dell'amministrazione
aggiudicatrice stabilire quali, tra le
modalità elencate dal bando, siano utili
nelle singole procedure di gara, a seconda
della natura, quantità ed utilizzo dei
servizi o delle forniture. Tuttavia, una
volta scelto un particolare requisito, ne
deve essere data un'interpretazione ampia,
per non creare un'eccessiva compressione
della concorrenza.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n.
163/2006, interpretato coerentemente con i
principi comunitari, non limita la
possibilità di partecipazione ai soli
soggetti economici che abbiano già prestato
i medesimi servizi o forniture.
Il concetto di "servizio analogo" va
inteso non già come identità, bensì come
similitudine tra le prestazioni richieste,
considerando che l'interesse pubblico
sottostante non è la creazione di una
riserva a favore degli imprenditori già
presenti sul mercato, ma l'apertura del
mercato attraverso l'ammissione alle gare di
tutti i concorrenti per i quali si possa
raggiungere un giudizio complessivo di
affidabilità.
E ciò tanto più nell'ipotesi in cui sorgano
dubbi in ordine alla portata di una regola
di gara, laddove è preferibile
un'interpretazione volta a tutelare la più
ampia partecipazione delle imprese alla gara
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.01.2011 n. 23 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'Amministrazione ha il
potere di annullare l'aggiudicazione di un
appalto pubblico anche dopo la stipulazione
del contratto, in presenza di adeguate
esigenze di interesse pubblico.
L’accertata illegittimità della procedura di
affidamento di un’opera o di un servizio da
parte di una pubblica amministrazione
determina, in generale, oltre l’annullamento
degli atti di aggiudicazione ritenuti
illegittimi anche l’inefficacia del
contratto eventualmente già sottoscritto
(cfr. fra le più recenti, Consiglio Stato,
sez. V, 09.04.2010, n. 1998).
Infatti, anche se nei contratti della
Pubblica amministrazione l'aggiudicazione,
quale atto conclusivo del procedimento di
scelta del contraente, segna di norma il
momento dell'incontro della volontà della
stessa Amministrazione e del privato di
concludere il contratto, manifestata con
l'individuazione dell'offerta ritenuta
migliore, non è tuttavia precluso
all'Amministrazione di procedere, con atto
successivo e con richiamo ad un preciso e
concreto interesse pubblico,
all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la pubblica Amministrazione ad
adottare atti il più possibile rispondenti
ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di
fornire una adeguata motivazione in ordine
ai motivi che, alla luce della comparazione
dell'interesse pubblico con le contrapposte
posizioni consolidate dei partecipanti alla
gara, giustificano il provvedimento di
autotutela (Consiglio Stato, sez. V,
10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n.
17) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link
a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: L’accertata
illegittimità della procedura di affidamento
di un’opera o di un servizio determina
l’inefficacia del contratto eventualmente
già sottoscritto.
Dopo aver affidato al responsabile
dell’Ufficio Ambiente l’incarico di reperire
sul mercato proposte per lo sfruttamento
dell’energia eolica e fotovoltaica, la
Giunta del Comune in causa decideva di
aderire ad una proposta pervenuta dalla
società appellante e incaricava il
Responsabile dell’Ufficio Ambiente per la
sottoscrizione del contratto: lo stesso
affidava a trattativa privata l’incarico a
quest’ultima e lo stesso giorno veniva
sottoscritta anche la relativa convenzione.
Tuttavia, il Comune, dopo aver provveduto
alla sostituzione del Responsabile del
Servizio Ambiente comunicava alla società
l’annullamento di tutti gli atti relativi
alla richiamata procedura di affidamento,
ivi compresa la convenzione già
sottoscritta. Il Comune, ricevute le
osservazioni della parte, procedeva quindi
all’annullamento degli atti avendo ritenuto
che il precedente Responsabile del Servizio
Ambiente, avesse a suo tempo operato in
totale carenza di poteri e al di fuori degli
indirizzi stabiliti dalla Giunta comunale.
Secondo l’appellante il Comune non poteva
recedere da un contratto già sottoscritto,
ma, i giudici del Consiglio di Stato
ricordano che nella fattispecie non può
parlarsi di recesso unilaterale dal
contratto ma di caducazione del contratto a
seguito dell’annullamento degli atti che ne
hanno determinato la sottoscrizione.
Infatti, l’accertata illegittimità della
procedura di affidamento di un’opera o di un
servizio da parte di una pubblica
amministrazione determina, in generale,
oltre l’annullamento degli atti di
aggiudicazione ritenuti illegittimi anche
l’inefficacia del contratto eventualmente
già sottoscritto.
La stessa quinta Sezione, in relazione al
possibile esercizio in materia dei poteri
autotutela, ha affermato che, anche se nei
contratti della Pubblica amministrazione
l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del
procedimento di scelta del contraente, segna
di norma il momento dell'incontro della
volontà della stessa Amministrazione e del
privato di concludere il contratto,
manifestata con l'individuazione
dell'offerta ritenuta migliore, non è
tuttavia precluso all'Amministrazione di
procedere, con atto successivo e con
richiamo ad un preciso e concreto interesse
pubblico, all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento
che impegna la pubblica Amministrazione a
adottare atti il più possibile rispondenti
ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di
fornire un’adeguata motivazione in ordine ai
motivi che, alla luce della comparazione
dell'interesse pubblico con le contrapposte
posizioni consolidate dei partecipanti alla
gara, giustificano il provvedimento di
autotutela (Consiglio Stato, sez. V,
10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n.
17).
E l'Amministrazione ha il potere di
annullare l'aggiudicazione di un appalto
pubblico anche dopo la stipulazione del
contratto, in presenza ovviamente di
adeguate esigenze di interesse pubblico.
In tale evenienza e in virtù della stretta
consequenzialità tra l'aggiudicazione della
gara pubblica e la stipula del relativo
contratto, l'annullamento giurisdizionale,
ovvero, come nella specie, l'annullamento a
seguito di autotutela degli atti della
procedura amministrativa, comporta la
caducazione automatica degli effetti
negoziali del contratto successivamente
stipulato, stante la preordinazione
funzionale tra tali atti.
Infatti, il contratto non ha un’autonomia
propria ed è destinato a subire gli effetti
del vizio che affligge il provvedimento cui
è inscindibilmente collegato restando “caducato”
a seguito dell’annullamento degli atti che
ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr.
per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza
plenaria, 30.07.2008 n. 9, secondo cui
l'annullamento del l'aggiudicazione
determina un vincolo permanente e puntuale
sulla successiva attività
dell'amministrazione, il cui contenuto non
può prescindere dall'effetto caducatorio del
contratto stipulato) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla discrezionalità
della stazione appaltante in ordine alla
scelta relativa alle modalità di
strutturazione della legge di gara.
Con riferimento al criterio di
aggiudicazione, l'art. 81, c. 1, del d.lgs.
n. 163/2006, coerentemente con la normativa
e la giurisprudenza comunitaria, laddove
dispone che nei contratti pubblici, la
migliore offerta è selezionata con il
criterio del prezzo più basso o con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, lascia intendere che, esistendo
una perfetta equivalenza tra i due sistemi,
la scelta dell'uno o dell'altro è rimessa
alla libera determinazione
dell'amministrazione, con l'unico limite di
far ricadere tale scelta su quello più
adeguato in relazione alle caratteristiche
dell'oggetto del contratto, al fine di
selezionare la migliore offerta, e di
garantire la qualità delle prestazioni ed il
rispetto dei principi di libera concorrenza,
parità di trattamento, non discriminazione,
ai sensi dell'art. 2 del citato d.lgs.
163/2006, con cui il legislatore nazionale
ha recepito la direttiva n. 2004/18/CE.
Tale assunto trova conferma in numerose
pronunce del giudice comunitario e
nazionale, secondo cui rientra nei poteri
discrezionali della stazione appaltante
operare la scelta in ordine alle modalità di
strutturazione della legge di gara, in base
alle caratteristiche dell'appalto, avendo di
mira la garanzia della libera concorrenza e
la selezione della migliore offerta.
In relazione alle caratteristiche dei
prodotti oggetto di fornitura tale predicato
si traduce, nel caso di scelta del criterio
di aggiudicazione del prezzo più basso,
nella necessità di identificare
compiutamente i prodotti desiderati, senza
per questo limitarli ad una marca o ad un
brevetto specifico.
Il criterio di aggiudicazione basato sul
prezzo, che favorisce un più corretto
svolgimento del processo competitivo, appare
conforme alle previsioni di cui agli artt.
81 e 82 del d.lgs. n. 163/2006, laddove non
vi siano dubbi sulle caratteristiche
qualitative del bene posto a gara, atteso
che la puntuale individuazione dell'oggetto
della fornitura appare di per sé in grado di
evitare fenomeni distorsivi della
concorrenza.
Viceversa, è illogica la scelta del criterio
del prezzo più basso qualora la legge di
gara attribuisca rilievo ad aspetti
qualitativi variabili dell'offerta. In tali
casi, la pluralità di elementi presi in
considerazione dalla lex specialis si
pone in contrasto con l'unicità del criterio
del prezzo più basso, comportando la
violazione delle suddette disposizioni (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.01.2011 n. 1 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del
recesso, da parte di un'amministrazione
comunale, di un contratto già sottoscritto,
per caducazione dello stesso a seguito
dell'annullamento degli atti che ne hanno
determinato la stipulazione.
E' legittimo l'operato di un'Amministrazione
comunale che, successivamente alla
sottoscrizione di un contratto con
l'affidatario di un appalto aggiudicato a
seguito di trattativa privata, abbia
receduto dalla stesso, successivamente
all'annullamento degli atti che ne hanno
determinato la stipulazione, in quanto, in
siffatta ipotesi, non può parlarsi di
recesso unilaterale dal contratto, bensì di
caducazione dello stesso.
Infatti, l'accertata illegittimità della
procedura di affidamento di un'opera o di un
servizio da parte di una P.A. determina
anche l'inefficacia del contratto
eventualmente già sottoscritto. Secondo
costante giurisprudenza, in relazione al
possibile esercizio in materia dei poteri
autotutela, anche se nei contratti della
P.A. l'aggiudicazione, quale atto conclusivo
del procedimento di scelta del contraente,
segna il momento dell'incontro tra la
volontà della stessa amministrazione e
quella del privato di concludere il
contratto, non è tuttavia precluso alla
stazione appaltante di procedere,
successivamente e con richiamo ad un
concreto interesse pubblico,
all'annullamento d'ufficio
dell'aggiudicazione, fondandosi detta
potestà di annullamento in autotutela sul
principio costituzionale di buon andamento,
che impegna la P.A. ad adottare atti il più
possibile rispondenti ai fini da conseguire,
ma con l'obbligo di fornire una adeguata
motivazione in ordine ai motivi che
giustificano il provvedimento di autotutela.
In virtù della stretta consequenzialità tra
l'aggiudicazione della gara pubblica e la
stipula del relativo contratto,
l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come
nel caso di specie, l'annullamento a seguito
di autotutela degli atti della procedura
amministrativa, comporta la caducazione
automatica degli effetti negoziali del
contratto successivamente stipulato, stante
la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti il contratto non ha una autonomia
propria, pertanto è destinato a subire gli
effetti del vizio che affligge il
provvedimento cui è collegato, restando "caducato"
a seguito dell'annullamento degli atti che
ne hanno determinato la sottoscrizione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.01.2011 n. 11 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Subappalto, nolo, cottimo, fornitura con
posa in opera: tutti i chiarimenti e gli
adempimenti.
Con la Legge n. 136/2010 il Governo ha
approvato il "Piano straordinario contro
le mafie, nonché la delega al Governo in
materia di normativa antimafia". La
nuova legge ha fornito lo spunto agli autori
dell'articolo "I subaffidamenti e la
nuova legge antimafia" pubblicato sul
sito della Direzione Provinciale del Lavoro
di Modena.
Gli autori dell’articolo effettuano
un’approfondita analisi di tutte le
tipologie di sub-affidamenti possibili:
- subappalto;
- subappalto "a cascata";
- Fornitura con posa in opera;
- nolo a freddo;
- nolo a caldo;
- cottimo.
Per ciascuna tipologia sono illustrati i
riferimenti normativi, le peculiarità, la
corretta applicazione e anche alcuni
possibili meccanismi utilizzati per aggirare
la normativa.
L'articolo illustra inoltre gli obblighi del
subappaltatore, le modalità di richiesta
delle autorizzazioni e le sanzioni previste,
concludendo con un approfondimento sugli
obblighi introdotti dalla nuova normativa
antimafia (L. 136/2010).
In particolare gli autori si soffermano su:
- Tracciabilità dei flussi finanziari (art.
3);
- Identificazione dei lavoratori (art. 5 -le
tessere di riconoscimento degli addetti nei
cantieri devono riportare anche la data di
assunzione e, in caso di subappalto, la
relativa autorizzazione);
- Identificazione dei mezzi di trasporto nei
cantieri (art. 4 - la bolla di consegna del
materiale impiegato nei cantieri deve
indicare il numero di targa e il nominativo
del proprietario degli automezzi adibiti al
trasporto) (link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA -
LAVORI PUBBLICI:
Le novità del Codice dell’Ambiente per i
cantieri illustrate dall’ANCE.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010,
sono state apportate importanti modifiche
alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente
(D.Lgs. 152/2006).
Per quanto attiene ai cantieri BibLus-net ha
già evidenziato (cfr. newsletter n. 216)
che:
- in materia di terre e rocce da scavo
continuano ad applicarsi le disposizioni
dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si
precisa, inoltre, che la procedura non si
applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo
non contaminato e altro materiale allo stato
naturale scavato nel corso di attività di
costruzione, riutilizzato a fini di
costruzione allo stato naturale e nello
stesso sito in cui è stato scavato”;
- coloro i quali intendono trasportare i
propri rifiuti non pericolosi, senza aderire
su base volontaria al SISTRI, a seguito
delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi
di un registro di carico e scarico per ogni
cantiere.
Per approfondire le principali novità per il
settore delle costruzioni l'ANCE
(Associazione Nazionale dei Costruttori
Edili) ha realizzato una
nota esplicativa.
Con l'occasione BibLus-net ricorda che il
testo originario del Codice ambiente è stato
oggetto di consistenti modifiche attraverso
quattro provvedimenti “correttivi”:
- D.Lgs. 284/2006 (I correttivo) che aveva
disposto la proroga dell’operatività delle
Autorità di Bacino e la soppressione
dell’Autorità di Vigilanza sulle risorse
idriche e sui rifiuti;
- D.Lgs. 4/2008 (II correttivo) che ha
modificato la parte terza e quarta del
Codice, in particolare le norme sugli
scarichi idrici, la definizione di rifiuto e
la disciplina delle materie prime
secondarie, dei sottoprodotti e delle terre
e rocce da scavo;
- D.Lgs. 128/2010 (III correttivo) che ha
rivisto la parte prima (riconoscimento dello
sviluppo sostenibile fra gli obiettivi della
tutela dell’ambiente), la parte seconda
(autorizzazioni ambientali) e quinta
(nozione di impianto e di stabilimento);
- D.Lgs. 205/2010 (IV correttivo) che attua
la direttiva 2008/98/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti,
detta le disposizioni sanzionatorie del
Sistri, aggiorna la definizione di
sottoprodotto e detta gli obiettivi di
riciclaggio da raggiungere entro il 2020
(link a www.acca.it). |
dossier APPALTI
--->
per il dossier APPALTI ANNO CORRENTE
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anni dal
2016 al 2019
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anni 2014-2015
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anno 2013
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI anno 2012
cliccare qui
---> per il dossier APPALTI sino al 2010
cliccare qui |
|