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per approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici) <---> Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario di giurisprudenza)

anno 2011
dicembre 2011

APPALTIAppalti fasulli, committente con potere di vigilanza.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 15615/2011, in tema di appalti fasulli, ha stabilito che l'esercizio di un potere di controllo da parte del committente può essere compatibile con un regolare contratto di appalto e quindi deve ritenersi legittima la pretesa da parte del committente dell'osservanza delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno essere rispettate dall'appaltatore.
Nella fattispecie si trattava di un contratto di appalto avente ad oggetto servizi informatici che prevedevano lo svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti della società appaltatrice presso la struttura della committente con mezzi materiali propri della stessa e in gruppi di lavoro formati anche dai dipendenti della società.
La società soccombente ha proposto ricorso per Cassazione affermando che i dipendenti della società appaltatrice erano in possesso di conoscenze tecniche specifiche e altamente qualificate in campo informatico e sussisteva quindi il requisito dell'organizzazione dei mezzi necessari richiesto ai fini della genuinità del contratto di appalto ai sensi dell'art. 29 dlgs n. 276/2003 (anche se l'attività lavorativa era svolta all'interno di una struttura della committente presso la quale erano presenti anche altri lavoratori e con mezzi materiali di proprietà della committente).
La Corte ha ribadito che il divieto di intermediazione di manodopera opera tutte le volte in cui l'appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata a un risultato produttivo autonomo ed ha precisato che l'esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto.
Sotto questo profilo può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno essere rispettate dall'appaltatore.
Quindi non può ritenersi sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro oppure al solo risultato delle prestazioni lavorative, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

APPALTIBando annullato, spese rimborsate. Cds: è legittima l'autotutela dell'ente.
Bando di gara annullato dopo l'aggiudicazione: l'Ati perdente è rimborsata delle spese di partecipazione. Legittima l'autotutela dell'ente se le prescrizioni sono «ambigue», ma scatta il danno da responsabilità precontrattuale.
È quanto emerge dalla sentenza 30.12.2011 n. 7000 della V Sez. del Consiglio di stato.
Il bando si rivela «ambiguo» soltanto dopo l'aggiudicazione dell'appalto: è l'Ati perdente che solleva la questione, con fondati motivi, evidenziando come non sia chiaro se i materiali dell'opera siano fungibili o meno. E deve essere risarcita del danno per le spese sostenute per la partecipazione alla gara, mentre la perdita di chance non scatta unicamente perché l'azienda non riesce a dimostrare di aver dovuto rinunciare ad altri contratti per colpa della stazione appaltante, che si è «rimangiata» il progetto.
Progettista incerto. Con quale materiale devono essere realizzati i tubi per convogliare l'acqua piovana? Non lo sa neppure il comune che ha realizzato il progetto per la costruzione delle condotte. Ad aprire il fronte è l'Ati che ha perso la gara: l'aggiudicataria -è la censura- ha vinto perché ha proposto una variante progettuale, evidentemente più economica, ma non consentita. Il dubbio viene alla stessa stazione appaltante, che pure ha provveduto nel frattempo ad assegnare l'opera: l'incertezza è oggettiva, non resta che annullare gli atti di gara.
L'autotutela risulta sì legittima, ma non esclude di per sé il risarcimento all'impresa che ha partecipato alla procedura. L'Ati perdente ha riposto affidamento nel bando, che invece non chiarisce se il materiale delle tubazioni sia o no un elemento fondamentale e imprescindibile dell'opera.
Sarà il progettista, spiega il comune dopo l'annullamento, a doversi schiarire le idee e a dover chiarire la questione della fungibilità: intanto l'Ati ottiene un risarcimento di oltre 43 mila euro, relativo ai costi sostenuti per la redazione dell'offerta e per la partecipazione alla gara; si tratta delle spese di progettazione, consulenza, rilievi, analisi prezzi, riepilogo dei versamenti per il contributo all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, oltre che servizi e forniture, per la polizza fideiussoria, valori bollati e per servizi (articolo ItaliaOggi Sette del 03.01.2011).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto per le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto di "acquisire la gestione di servizi ulteriori" (art. 23-bis, c. 9, del d.l. 25.06.2008, n. 112).
L'art. 23-bis del d.l. 25.06.2008, n. 112, nel disciplinare i servizi pubblici locali di rilevanza economica ha introdotto al c. 9 il divieto per le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto ad "acquisire la gestione di servizi ulteriori".
Pertanto, nel caso di specie, è legittima la mancata aggiudicazione di una gara per l'affidamento, per un periodo di cinque anni, del servizio di raccolta e trasporto rifiuti urbani alle due società costituenti l'a.t.i. per non aver dimostrato, così come richiesto dalla stazione appaltante, l'intervenuta cessazione degli affidamenti diretti in corso mediante l'esibizione di una lettera liberatoria dei Comuni interessati (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.12.2011 n. 733 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: F. Gavioli, Lavori, forniture, servizi: quando la P.A. fa economia (link a www.ipsoa.it).

APPALTI: F. Gavioli, Appalti pubblici, transazione (quasi) senza limiti (link a www.ipsoa.it).

APPALTI: Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una gara d'appalto sono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una procedura concorsuale per l'affidamento di un appalto costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono -volendo utilizzare altra terminologia- valutazioni tecniche; tuttavia, a prescindere dalla terminologia prescelta, è oggi pacifico che si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l'aspetto più strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/1999 della IV Sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2011 n. 6980 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIl concorrente legittimamente escluso dalla gara non può impugnare l'aggiudicazione.
Con la sentenza della Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 è stato precisato che, nel caso in cui venga accertato che l'amministrazione ha legittimamente escluso dalla gara un concorrente, questi non conserva la legittimazione ad impugnare l'aggiudicazione al controinteressato.
Ciò in quanto la determinazione di esclusione non annullata cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara. Sono quindi da ritenere improcedibili, per sopravvenuto difetto all'interesse, le doglianze mosse contro l'aggiudicazione di una gara ad altro concorrente, da parte della ditta nei cui confronti viene accertato che è stata legittimamente esclusa dalla gara.
Ciò anche se le concorrenti in gara siano solamente due, in quanto la riscontrata assenza di una posizione legittimante in capo al concorrente illegittimamente ammesso alla gara è stato ritenuto che determini il superamento della tesi proposta dalla decisione della A.P. del Consiglio di Stato n. 11/2008, secondo cui in tal caso esso conserverebbe interesse alla rinnovazione della procedura di gara (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6965 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa P.A. nelle gare pubbliche può richiedere integrazioni documentali soltanto se esiste un indizio circa il possesso dei requisiti.
Il rimedio della regolarizzazione documentale, di cui all'art. 46, del d. lgs. n. 163/2006, non si applica al caso in cui l'impresa concorrente abbia integralmente omesso la produzione documentale prevista dall'art. 38 dello stesso d.lgs.; viceversa, qualora la documentazione prodotta dal concorrente ad una pubblica gara sia presente, ma carente di taluni elementi formali, di guisa che sussista un indizio del possesso del requisito richiesto, l'Amministrazione non può pronunciare l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare e chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo tale attività acquisitiva un ordinario “modus procedendi”, ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.
Il rimedio della regolarizzazione postuma è attivabile solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante, risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano rispettato la disciplina prevista dalla "lex specialis" (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6965 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'annullamento dell'aggiudicazione non determina l'automatica inefficacia del contratto.
Dopo l'entrata in vigore delle disposizioni attuative della direttiva comunitaria 2007/66/Ce, ora trasfuse negli art. 121 e 122 del codice del processo amministrativo, in caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una pubblica gara, spetta al G.A. il potere di decidere discrezionalmente (anche nei casi di violazioni gravi) se mantenere o meno l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato; il che significa che l'inefficacia non è conseguenza automatica dell'annullamento dell'aggiudicazione, che determina solo il sorgere del potere in capo al Giudice di valutare se il contratto debba o meno continuare a produrre effetti (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6965 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' automatica l'esclusione dalla gara per l'impresa inaffidabile per gravi negligenze nell'esecuzione di precedenti contratti con la stessa P.A..
L'esclusione dalle gare pubbliche per inaffidabilità delle imprese concorrenti per grave negligenza e malafede commessa nel corso di esecuzione di precedenti contratti pubblici può essere pronunciata in termini di automaticità soltanto quando il comportamento di deplorevole trascuratezza e slealtà sia stato posto in essere in occasione di un pregresso rapporto negoziale intercorso con la stessa stazione appaltante che indice la gara.
In caso contrario, invece, il giudizio di inaffidabilità professionale su un'impresa partecipante ad una gara pubblica è subordinato alla preventiva motivata valutazione della stazione appaltante o della commissione giudicatrice, che è tenuta a valorizzare i precedenti professionali delle imprese concorrenti nel loro complesso, nonché a valutare gravità e rilevanza sul piano professionale di precedenti risoluzioni contrattuali comminate da altre Amministrazioni.
Ciò che rileva a detti fini è che l'errore ascritto sia espressione di un difetto di capacità professionale e lo stesso, nella sua obiettiva rilevanza, costituisca elemento sintomatico della perdita del requisito di affidabilità e capacità professionale a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico perseguiti dall'ente committente. La violazione deve quindi essere tanto grave da escludere l'affidabilità tecnico-professionale del potenziale aggiudicatario, tale da costituire violazione dei principi di correttezza e buona fede, determinando il venir meno della fiducia dell'amministrazione nella propria fornitrice e della possibilità futura del corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
A tal fine, il concetto normativo di "violazione dei doveri professionali" abbraccia un'ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all'errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili "gravi" e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, sebbene senza la necessità di una sentenza passata in giudicato.
Pertanto nell'apprezzamento dell'errore grave nell'esecuzione di precedenti forniture si deve procedere in maniera particolarmente rigorosa, evidenziando tutti i profili di specificità che consentano di giustificare un giudizio complessivo di inaffidabilità e di incapacità tecnica dell'impresa che si intende escludere dalla gara.
E’ quindi all'Amministrazione aggiudicatrice che compete il potere di valutare la gravità delle infrazioni commesse, con riferimento alla specificità del rapporto, e reputare se sia conseguentemente venuto meno il rapporto fiduciario con la stessa impresa (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn caso di aggiudicazione a seguito di ricorso giudiziale il ricorrente ha il dovere di non concorrere ad aggravare il danno ritenendosi risarcibili soltanto mezzi e manodopera inutilizzati per altri lavori in quanto necessari a dar corso all'esecuzione dell'appalto oggetto del giudizio.
In sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale spetta, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l'"aliunde perceptum vel percipiendum”.
Deve inoltre evidenziarsi che ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto, l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare che riuscirà vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative.
Pertanto, non costituisce, normalmente, e salvi casi particolari, condotta ragionevole immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle more del giudizio, nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ragionevole che l'impresa si attivi per svolgere altre attività (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOnere di immediata impugnazione delle clausole del bando sui requisiti di ammissione.
Come statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 1 del 2003, “nei pubblici appalti l’impugnazione delle clausole e delle regole della “lex specialis” della gara, diverse da quelle che impediscano la partecipazione, può essere effettuata contestualmente a quella dell’atto che determina per il concorrente l’esito negativo della procedura: l’unico interesse del concorrente è infatti quello al conseguimento della aggiudicazione, mentre va esclusa la sussistenza di un interesse autonomo alla legittimità delle regole e delle operazioni di gara”.
L’onere di impugnazione immediata riguarda cioè solo le clausole del bando di gara o della lettera invito concernenti i requisiti di ammissione alla procedura e che precludono la partecipazione alla selezione, mentre l’eventuale illegittimità di altre clausole può essere fatta valere in un momento successivo, con l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6937 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'impresa esclusa non può impugnare gli esiti della gara se non ha impugnato l’atto di esclusione ovvero l'impugnazione sia stata respinta.
Con la recente decisione n. 4/2011, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che in materia di pubblici appalti, per configurare una posizione sostanziale differenziata che radica la legittimazione al ricorso non è sufficiente il solo “fatto storico” della iniziale partecipazione alla gara, indipendentemente dalla successiva esclusione, oppure dall’accertamento della sua illegittimità.
La situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.
Pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l’illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell’atto di esclusione, sia per annullamento dell’atto di ammissione.
L’Adunanza Plenaria, quindi, ha chiarito che, nel caso in cui l’amministrazione abbia escluso dalla gara il concorrente, questi non ha la legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione al controinteressato, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell’esclusione. Infatti, la determinazione di esclusione, non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendolo nelle stesse condizioni di colui che sia rimasto estraneo alla gara.
Ne deriva, pertanto, che non spetta alcuna legittimazione a contestare gli esiti della gara al concorrente escluso dalla gara, che non abbia impugnato l’atto di esclusione o la cui impugnazione sia stata respinta (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIFalse dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara: il Consiglio di Stato chiarisce le novità introdotte con il Decreto sviluppo.
Il quadro normativo di riferimento, per effetto delle modifiche alla materia dei contratti pubblici introdotte dal D.L. 13.05.2011, n. 70 (c.d. “Decreto sviluppo”) e della relativa legge di conversione (L. 12.07.2011, n. 106), è profondamente mutato per quanto attiene alla comunicazione ai fini dell’inserimento nel Casellario Informatico delle esclusioni ex art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nonché per l’annotazione di tutte le altre notizie ritenute utili. Infatti, la norma attuale dell’art. 38 contempla un comma 1-ter che stabilisce che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all'Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1, lettera h), per un periodo di un anno, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.
Pertanto, nell’assetto attuale, è indubbia la valenza costitutiva dell’iscrizione da parte dell’Autorità. Nell’assetto antecedente, invece, prevale l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, quando la legge prescrive in via automatica la segnalazione di determinati dati all'Osservatorio, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine al se della comunicazione e al contenuto della stessa, si possono, come regola generale, individuare equipollenti dell'avviso di avvio del procedimento di iscrizione.
Diverso discorso va svolto per dati la cui comunicazione non è automatica e dovuta, ma frutto di valutazioni da parte della stazione appaltante su dati opinabili; ciò accade ad es. nel caso di segnalazione di episodi di grave negligenza o grave inadempimento, e nel caso di false dichiarazioni (come nel caso di specie). Infatti, in tali casi la stazione appaltante, per effettuare la segnalazione, deve valutare se vi è o meno grave negligenza, grave inadempimento, falsità della dichiarazione.
Sicché l'interessato non può sapere ex ante se e quando tale valutazione verrà svolta in senso affermativo e se vi sarà o meno segnalazione all'Osservatorio. Pertanto, tale segnalazione non può che avere natura costitutiva, con la sua conseguente immediata impugnabilità (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.12.2011 n. 6911 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Rotazione nelle gare: salva la deroga saltuaria. L'eccezione al principio non falsa la concorrenza. Consiglio di Stato. Interpretazione innovativa sulla selezione negli appalti.
L'episodica mancata applicazione del principio di rotazione relativo agli affidamenti mediante procedure in economia non incide sulla selezione dell'operatore economico, se la stessa è stata svolta garantendo un confronto trasparente.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 28.12.2011 n. 6906 ha fornito un'interpretazione innovativa della gestione di questo particolare principio, che costituisce il contemperamento della deroga realizzata con le procedure previste dall'articolo 125 del codice dei contratti alle forme di più aperto confronto concorrenziale (gare con procedure aperte e ristrette).
Il criterio di rotazione ha come finalità quella di evitare che la stazione appaltante possa consolidare rapporti solo con alcune imprese venendo meno così al rispetto del principio di concorrenza. Questa situazione verrebbe a prodursi in caso di affidamenti replicativi (specialmente se in un breve arco di tempo) di lavori, servizi o forniture a favore di uno stesso operatore economico. Il principio di rotazione consente di non coinvolgere tale operatore nelle procedure indette per un certo periodo successivo, garantendo ad altre imprese analoghe chance.
La sua gestione nelle procedure derogatorie (negoziate con gara informale e cottimo fiduciario) rispetto alla massima concorrenza è stata analizzata sia dalla giurisprudenza amministrativa (che ne ha sempre dato un'interpretazione molto restrittiva) sia dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nella determinazione 2/2011, la quale ha evidenziato che in attuazione dello stesso il soggetto che risulterà affidatario non sarà invitato alle gare indette successivamente con procedure in economia nell'arco di un certo periodo di tempo.
La sentenza del Consiglio di Stato afferma invece come la rotazione dei soggetti da invitare nelle procedure negoziate sia indubbiamente un principio funzionale ad assicurare un certo avvicendamento delle imprese affidatarie dei servizi con il sistema selettivo del cottimo fiduciario, ma proprio in quanto tale lo stesso non ha, per le stazioni appaltanti, una valenza precettiva assoluta.
Di conseguenza l'eventuale ed episodica mancata applicazione del principio non inficia gli esiti di una gara già espletata, una volta che questa si sia conclusa con l'aggiudicazione in favore di un soggetto già in precedenza invitato a simili selezioni (oppure già affidatario del servizio).
Il Consiglio di Stato richiede tuttavia che sussistano determinate condizioni, in rapporto allo svolgimento del percorso selettivo mediante procedura in economia, affinché il mancato rispetto del principio di rotazione non incida sulla procedura selettiva. La consultazione degli operatori economici deve essere svolta nel rispetto del principio di trasparenza e di parità di trattamento, nonché deve essere conclusa con l'individuazione dell'offerta più vantaggiosa per la stazione appaltante, senza che nel giudizio comparativo tra le offerte abbia inciso la pregressa esperienza specifica maturata dalla impresa aggiudicataria nella veste di partner contrattuale della amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto il precedente affidatario di un servizio o di una fornitura aggiudicata in base all'articolo 125 del codice dei contratti pubblici non ha una condizione preferenziale per l'eventuale invito a un ulteriore confronto con le modalità semplificate.
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In sintesi
01 | IL RICORSO
Il ricorso contro l'elezione a sindaco di un cittadino già due volte eletto a primo cittadino del Comune confinante è stato respinto dal tribunale civile di Padova, sez. II, con la sentenza 23.12.2011 n. 2902.
02 | LA NORMA
Il comma 2 dell'articolo 51 del Tuel stabilisce che: «Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco (…) non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alla medesima carica».
03 | LA SENTENZA
Secondo i giudici, è eleggibile alla carica di sindaco di un Comune il cittadino che ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco in altro Comune confinante dal Tribunale. Il comma 2 dell'articolo 51 contiene un'eccezione, non è suscettibile di applicazione analogica, e deve essere interpretato restrittivamente (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIL’art. 38, comma 1, lett. g), del D.lgs. n. 163/2006 esclude dalle procedure di affidamento di contratti pubblici i concorrenti che hanno commesso violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi di pagamento delle imposte e delle tasse, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui essi sono stabiliti.
Sull’interpretazione di tale regola, il collegio intende aderire alla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che muove dalla chiara ratio della medesima la quale, in attuazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18, risponde all’esigenza di garantire l’amministrazione in merito alla solvibilità e solidità finanziaria del contraente. E’ stato pertanto escluso un significato rigidamente preclusivo della norma, nel senso della sua applicabilità nei confronti di qualsivoglia inadempimento tributario, giacché esso si tradurrebbe in un irragionevole e non proporzionato pregiudizio per il principio comunitario e costituzionale di libera concorrenza, che non può essere conculcato per il sol fatto che si configurino, a carico di un’impresa, debiti tributari definitivamente accertati, dai quali non discenda un oggettivo pericolo circa l’affidabilità e la solidità finanziaria della stessa.
Dev’essere di volta in volta indagata la vicenda relativa all’assolvimento degli obblighi di pagamento di imposte e di tasse, per accertarne la rilevanza, mirando la necessaria verifica ad appurare non già la sussistenza di una mera singola violazione, ma la globale regolarità sul piano tributario di ciascuna impresa partecipante alla gara quale eventuale futura contraente con la pubblica amministrazione, coincidente con la sottesa correttezza delle scritture contabili e del conseguente pagamento di ogni correlata prestazione imposta, che si renda a tal fine dovuta, capace di accreditare anche sotto questo particolare aspetto una regolare gestione finanziaria e la conseguente solvibilità delle imprese.

L’art. 38, comma 1, lett. g), del D.lgs. n. 163/2006 esclude dalle procedure di affidamento di contratti pubblici i concorrenti che hanno commesso violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi di pagamento delle imposte e delle tasse, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui essi sono stabiliti.
Sull’interpretazione di tale regola, il collegio intende aderire alla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che muove dalla chiara ratio della medesima la quale, in attuazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18, risponde all’esigenza di garantire l’amministrazione in merito alla solvibilità e solidità finanziaria del contraente. E’ stato pertanto escluso un significato rigidamente preclusivo della norma, nel senso della sua applicabilità nei confronti di qualsivoglia inadempimento tributario, giacché esso si tradurrebbe in un irragionevole e non proporzionato pregiudizio per il principio comunitario e costituzionale di libera concorrenza, che non può essere conculcato per il sol fatto che si configurino, a carico di un’impresa, debiti tributari definitivamente accertati, dai quali non discenda un oggettivo pericolo circa l’affidabilità e la solidità finanziaria della stessa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21.04.2010 n. 2226; id., 11.08.2009 n. 4928; contra, tuttavia: Cons. Stato, Sez. V, 15.10.2009 n. 6325; TAR Abruzzo, Sez. I, 31.01.2011 n. 35).
Nessun valore, pertanto, è stato attribuito all’assenza dell’aggettivo “grave” nel testuale disposto della citata lett. g), previsto invece per le infrazioni alle norme in materia di sicurezza (lett. e), così come per la negligenza, la malafede e gli errori professionali (lett. f) e per le violazioni alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali (lett. i).
Da tale assunto, il Consiglio di Stato ha ricavato la conseguenza che dev’essere di volta in volta in concreto indagata la vicenda relativa all’assolvimento degli obblighi di pagamento di imposte e di tasse, per accertarne la rilevanza, mirando la necessaria verifica ad appurare non già la sussistenza di una mera singola violazione, ma la globale regolarità sul piano tributario di ciascuna impresa partecipante alla gara quale eventuale futura contraente con la pubblica amministrazione, coincidente con la sottesa correttezza delle scritture contabili e del conseguente pagamento di ogni correlata prestazione imposta, che si renda a tal fine dovuta, capace di accreditare anche sotto questo particolare aspetto una regolare gestione finanziaria e la conseguente solvibilità delle imprese.
Non essendo una tale valutazione intervenuta -e tenuto anche conto che l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nella decisione del 25.11.2011 n. 218, depositata dalla difesa comunale, ha archiviato la procedura sanzionatoria a carico della banca, dichiarando come la dichiarazione sul possesso dei requisiti fiscali, fornita in modo non veritiero, “si fondi su un errore incolpevole, perciò scusabile”, avendo l’istituto “dimostrato come l’importo contestato si appalesi esiguo”-, ne segue l’annullamento degli atti impugnati, ai fini della rinnovazione dell’attività amministrativa dal punto dove essa si è interrotta (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 23.12.2011 n. 2078 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAnche nelle concessioni di servizi è ammissibile l'avvalimento. Il Tar molise ritiene la normativa comunitaria prevalente sul codice dei contratti pubblici.
È illegittima per violazione del diritto comunitario la limitazione del ricorso all'avvalimento e della possibilità di partecipare alla gara in raggruppamento.
È quanto afferma il TAR Molise con la sentenza 23.12.2011 n. 990 rispetto a una procedura di gara per l'affidamento di una concessione di servizi da parte di un comune.
Il bando di gara veniva impugnato nella parte in cui non ammetteva la possibilità di costituire associazioni di più soggetti per la partecipazione alla gara ed escludeva l'istituto dell'avvalimento per la dimostrazione dei requisiti di capacità tecnico-organizzativi ed economico-finanziari. Le censura che veniva portata davanti ai giudici molisani era fondata sul mancato rispetto della normativa comunitaria che (direttive 2004/18 e 17) prevede in via generale sia la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali pubbliche per ogni tipo di affidamento (appalti e concessioni), singolarmente e in forma associata, sia l'utilizzo dell'avvalimento. A ciò si aggiungeva la censura di mancanza di ragionevolezza e proporzionalità nell'introduzione delle clausole restrittive del bando di gara emesso dal comune. Il Tar Molise accoglie integralmente il ricorso e annulla gli atti di gara.
La sentenza, dopo avere ritenuto pacifico che si tratti di una concessione di servizi pubblici (gestione di una piscina), analizza l'articolo 30 del Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006). In particolare la sentenza evidenzia che la norma prevede che alle concessioni di servizi non si applichino le norme del Codice, fra cui vi sarebbe anche l'articolo 49 sull'avvalimento.
In base alla parte iniziale della disposizione esaminata, effettivamente l'avvalimento non dovrebbe essere applicato alle concessioni di servizi e quindi non sarebbe possibile documentare e provare requisiti di ordine economico-finanziario e tecnico-organizzativo facendo ricorso ad altri soggetti. La restante parte della disposizione fa però salve le disposizioni di deroga del principio della generale inapplicabilità delle norme del Codice dettate nello stesso articolo.
Se si osserva, dice la sentenza, il terzo comma dell'articolo 30 si può quindi notare come sia affermata esplicitamente l'applicabilità dei principi del Trattato e di quelli «generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità». Proprio con riguardo all'applicazione e al rispetto di questi principi i giudici ritengono in particolare che i principi di non discriminazione e di proporzionalità, postulino «senza dubbio che sia consentita la facoltà di riunirsi in associazione per soddisfare i requisiti di partecipazione ovvero di avvalersi di altri soggetti per conseguire lo stesso effetto».
Al riguardo la sentenza si richiama anche a precedenti decisioni del Consiglio di stato che, ancorché non specificamente su affidamenti di concessioni, ha comunque ritenuto applicabile a tutto tondo l'istituto dell'avvalimento. In particolare, la sentenza n. 9577 del 29.12.2010, sezione sesta, ha affermato testualmente che una norma restrittiva dell'avvalimento «sarebbe contraria al diritto comunitario» e che «non vi sono limiti legali quantitativi al ricorso all'avvalimento, potendo lo stesso essere utilizzato anche per le percentuali di capacità minima richiesti dalla legge per ciascun singolo mandante» (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIAppalto servizio fornitura pasti. Presupposti procedura negoziata ex art.57, comma 5, lett. b), D.lgs. n. 163/2006.
Nell'ambito dei contratti delle pubbliche amministrazioni, la procedura negoziata (senza previa pubblicazione di bando di gara) è un criterio di selezione dei concorrenti di tipo eccezionale, utilizzabile nei soli casi in cui la legge lo prevede, espressamente elencati all'art. 57, D.Lgs. n. 163/2006.
Con particolare riferimento all'ipotesi di cui all'art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, in correlazione all'art. 23, L. n. 62/2005 (Legge comunitaria per il 2004), abrogativo dell'istituto del rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni, il Giudice amministrativo ritiene che la ripetizione dei servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale con un diverso oggetto.
Con l'entrata in vigore della L. n. 136/2010, sono soggette all'obbligo di richiesta del CIG, per il versamento dei contributi di legge all'AVCP, tutte le fattispecie contrattuali di cui al D.Lgs. n. 163/2006. Il CIG deve essere richiesto ad ogni nuova procedura di scelta del contraente.

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 L' Ente riferisce di aver indetto, nel 2009, una gara a procedura aperta per la fornitura di pasti veicolati per il triennio 2010-2012, di cui è risultata aggiudicataria l'unica ditta partecipante, la quale tutt'ora esegue il servizio.
Chiede l'Ente se per il triennio 2013-2015 sia possibile addivenire a procedura negoziata con la suddetta ditta appaltatrice per la ripetizione del servizio alle condizioni in essere, ai sensi dell'art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, espressamente richiamato nel bando originario, e se in tal caso debba procedersi con nuovo contratto, nuova acquisizione del CIG, nuovo versamento all'AVCP.
Il ricorso alla trattativa privata, senza previa pubblicazione di un bando di gara, oggi definita procedura negoziata nelle direttive comunitarie e negli atti nazionali di recepimento, è ammesso nei soli tassativi[1] casi individuati dal legislatore all'art. 57, D.Lgs. n. 163/2006, trattandosi di procedura di carattere eccezionale, in deroga all'ordinario obbligo dell'Amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale[2].
Seguendo l'elencazione delle ipotesi dell'art. 57 richiamato, il comma 5, lett. b), indica tra gli ulteriori casi anche quello: 'per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l'importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all'articolo 28'.
La disposizione da ultimo richiamata ripete il contenuto dell'art. 7, comma 2, lett. f), D.Lgs. n. 157/1995[3], ora abrogato, in relazione al quale il Giudice amministrativo ha chiarito il riferimento ad una situazione di nuova e diversa aggiudicazione[4], affermando come all'intervento normativo di cui all'art. 23, L. n. 62/2005, di eliminazione della clausola dell'ordinamento che permetteva il rinnovo dei contratti[5], dovesse assegnarsi valenza generale, volta ad impedire la rinnovazione di contratti di appalto scaduti. Pertanto, era del tutto inappropriato il richiamo dell'art. 7, comma 2, lett. f), D.Lgs. n. 157/1995, per praticare il rinnovo dei contratti, riferendosi questo, invece, alla diversa ipotesi di una nuova aggiudicazione, come risultante dalla sua esplicita e testuale espressione contenuta nel primo periodo del comma 2[6].
Le stesse considerazioni valgono per il vigente art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006, in ordine al quale il Giudice amministrativo richiama la giurisprudenza resa con riferimento alla previgente analoga disciplina, per affermare come il ricorso ad esso non possa risolversi in uno strumento per aggirare l'ormai pacifico divieto di rinnovo[7].
Mentre il rinnovo del contratto (illegittimo), chiarisce il Giudice amministrativo, si sostanzia nella riedizione del rapporto pregresso e comporta una ripetizione delle prestazioni per una durata pari a quella originariamente fissata nel contratto che si va a rinnovare, la ripetizione di servizi analoghi, di cui all'art. 57 del Codice dei contratti postula una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata e senza previa pubblicazione di un bando) alla stregua di un progetto base e comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale, con un diverso oggetto[8].
Dal punto di vista letterale, osserva, ancora, il Giudice amministrativo, l'art. 57 del codice dei contratti ha come oggetto una nuova aggiudicazione di 'nuovi servizi': si tratta, appunto, di servizi del cui bisogno al momento dell'indizione della gara originaria non vi è certezza, essendo lo stesso, in quel momento, eventuale e di cui solo successivamente può sorgere la necessità. È per questo che la stazione appaltante, pur prendendoli in considerazione nel bando, non li assegna all'esito della corrispondente procedura concorsuale, ma si riserva la facoltà di farlo nel triennio dalla stipula del contratto[9].
Venendo al caso di specie, sembrano mancare, invero, i presupposti legittimanti la fattispecie di cui all'art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163/2006. In particolare, la ripetizione di nuovi servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale con un diverso oggetto, mentre l'ente ipotizza la procedura negoziata per la ripetizione, per un successivo triennio, del medesimo servizio di fornitura di pasti veicolati, alle condizioni in essere.
Appare, dunque, opportuna, nel caso prospettato dall'Ente, l'indizione di una nuova procedura di gara, a garanzia dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, imparzialità e buon andamento[10].
Per quanto concerne l'aspetto contributivo, con l'entrata in vigore della Legge 13.08.2010, n. 136, come modificata dal D.L. n. 187/2010, sono soggette all'obbligo di richiesta del CIG (codice di identificazione della procedura di scelta del contraente), per il versamento dei contributi di legge[11] all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), tutte le fattispecie contrattuali di cui al D.Lgs. n. 163/2006. Il responsabile del procedimento della stazione appaltante provvederà ai necessari adempimenti per l'acquisizione del CIG e per il pagamento della contribuzione per ogni nuova procedura di scelta del contraente che dà vita, sia essa la gara, sia essa la procedura negoziata (laddove consentita, nel rispetto delle condizioni di legge) ad una nuova aggiudicazione con un nuovo e diverso contratto.
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[1] Cfr. TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008, che richiama il pronunciamento della Corte di Giustizia CE, sz. II, n. 187/2005, con cui il Giudice comunitario ha avuto modo di ribadire che il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione preliminare di un bando di gara è ammesso solo nei casi tassativamente elencati dalle direttive adottate in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. La normativa nazionale, osserva il TAR Lazio, ha dunque ritenuto di adeguarsi, in recepimento delle direttive comunitarie, prevedendo anche tale strumento operativo, purché contenuto nell'ambito indicato.
[2] Tra le tante, TAR Piemonte, n. 803/2011; TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008.
[3] Si riporta il testo dell'art. 7, comma 2, lett. f), D.Lgs. n. 157/1995, oggi abrogato e confluito nell'art. 57, comma 5, lett. b), D.lgs. n. 163/2006: 'Comma 2. Gli appalti del presente decreto possono essere aggiudicati a trattativa privata, senza preliminare pubblicazione di un bando di gara:
f) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati allo stesso prestatore di servizi mediante un precedente appalto aggiudicato dalla stessa amministrazione, purché tali servizi siano conformi a un progetto di base per il quale sia stato aggiudicato un primo appalto conformemente alle procedure di cui al comma 3; in questo caso il ricorso alla trattativa privata, ammesso solo nei tre anni successivi alla conclusione dell'appalto iniziale, deve essere indicato in occasione del primo appalto e il costo complessivo stimato dei servizi successivi è preso in considerazione dall'amministrazione aggiudicatrice per la determinazione del valore globale dell'appalto'.
[4] CdS, sez. IV, n. 6426/2006; nello stesso senso, CdS, sez. VI, n. 6457/2006.
[5] Il riferimento è all'art. 6, comma 2, ultimo periodo, L. n. 537/1993, (articolo oggi abrogato dal D.Lgs. n. 163/2006), che ammetteva, a determinate condizioni, la possibilità di rinnovare i contratti delle pubbliche amministrazioni, entro i tre mesi prima della loro scadenza, e di cui si riporta il testo: 'È vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione'.
[6] CdS, sez. IV, n. 6426/2006. il Giudice amministrativo evidenzia come in conseguenza dell'intervento normativo dell'art. 23, L. n. 62/20005, non è, altresì, possibile la previsione del rinnovo nel bando di gara e nel successivo contratto, posto che la natura imperativa ed inderogabile della sopravvenuta disposizione legislativa che introduce un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni implica la sopravvenuta inefficacia delle previsioni, amministrative e contrattuali, configgenti con il nuovo e vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza dell'efficacia di difformi clausole negoziali.
[7] Cfr. CdS, sez. V, n. 2882/2009; TAR Lazio, Roma, n. 3546/2008; TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008.
[8] CdS n. 2882/2009. La ripetizione dei servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale, come a tacer d'altro si ricava dal dato che la ripetizione può aver luogo solo nel triennio successivo alla stipula dell'appalto iniziale (vale a dire persino in pendenza del contratto originario, il quale può generalmente durare fino a 48 mesi).
[9] CdS n. 2882/2009. L'art. 57 del Codice dei contratti non fonda una nuova ipotesi di generale rinnovabilità dei contratti di servizi consistente nella ripetizione di servizi analoghi a quelli affidati all'esito di una gara, ma si riferisce soltanto ad eventuali esigenze di servizi analoghi sopravvenute nel triennio successivo alla stipula del contratto.
[10] TAR Lazio, Roma, n. 3546/2008; TAR Lazio, Roma, n. 4924/2008.
[11] L'art. 1, comma 67, L. n. 266/2005, dispone che l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento, determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione. Con deliberazione del 03.11.2010, l'Autorità per la vigilanza ha stabilito le modalità e l'entità secondo cui è dovuto il versamento dei contributi per l'anno 2011
(23.12.2011 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Procedura negoziata ex art. 125 del Codice dei Contratti: al fine di assicurare l'invito ad almeno 5 ditte, vanno invitate anche imprese non iscritte nell'elenco appositamente predisposto dalla stazione appaltante.
In presenza di una procedura negoziata (pur procedimentalizzata), la lex specialis va contemperata con i principi del favor partecipationis e della necessaria chiarezza delle regole di gara, a tutela dell'interesse pubblico alla massima concorrenzialità e di quello privato all'affidamento in base alle condizioni di partecipazione enunciate dalla Stazione appaltante (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 22.12.2011 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cosa sono le soglie comunitarie negli appalti pubblici e qual è il loro importo? Novità da gennaio 2012.
Le soglie comunitarie rappresentano un meccanismo empirico di individuazione della cosiddetta "rilevanza comunitaria".
Una procedura di appalto pubblico è considerata di interesse comunitario se il suo importo è superiore a determinate soglie predefinite ed in tal caso vanno applicate le direttive europee sugli appalti pubblici.
Sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Economica Europea è stato pubblicato il Regolamento (CE) n. 1251/2011 del 30 novembre 2011 che modifica le soglie in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti, come segue:
◊ negli appalti di forniture e di servizi la soglia passa dagli attuali 125.000 Euro a 130.000 Euro;
◊ negli appalti pubblici di servizi la soglia passa dagli attuali 193.000 Euro a 200.000 Euro;
◊ negli appalti pubblici di lavori la soglia passa dagli attuali 4.845.000 Euro a 5.000.000 Euro.
La redazione di BibLus-net propone una tabella riepilogativa con le nuove soglie, le vecchie e il settore di applicazione (22.12.2011 - link a www.acca.it).

APPALTI: Il principio di tassatività delle cause di esclusione non si applica ai bandi pubblicati prima del 14.05.2011.
Il principio della tassatività delle cause legali che legittimano l’esclusione dalle gare di appalto ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del codice appalti, come modificato dal d.l. n. 70 del 2011 non è estendibile alle procedure iniziate in data antecedente al 14.05.2011, data di entrata in vigore della predetta norma (v. Cons. Stato, ordinanza 12.10.2011, n. 4497) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 21.12.2011 n. 2437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici può essere effettuata anche nei casi di esclusione dalla gara disposta per l'accertata carenza dei requisiti di ordine generale.
Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese.

La segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici va fatta non soltanto nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
A seguito della sentenza della Corte di Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007 che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto comunitario, non è più possibile sanzionare il collegamento tra più imprese mediante l'automatica esclusione dalla procedura selettiva, sulla scorta di una presunzione di "inquinamento" del confronto concorrenziale concretatasi in un'anticipazione della soglia di tutela, occorrendo invece accertare se in concreto tale situazione abbia influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della gara. La disciplina interna deve essere cioè intesa nel senso che il rapporto tra le imprese può giustificare l'esclusione soltanto se la stazione appaltante accerti che tale rapporto abbia influenzato la formulazione delle offerte, in modo che dette imprese siano messe in grado di dimostrare l'insussistenza di rischi di turbative della selezione. Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale, quindi, non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1343 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa segnalazione all’Autorità di Vigilanza va fatta non soltanto nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
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A seguito della sentenza della Corte di Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007 che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto comunitario, non è più possibile sanzionare il collegamento tra più imprese mediante l'automatica esclusione dalla procedura selettiva, sulla scorta di una presunzione di “inquinamento” del confronto concorrenziale concretatasi in un'anticipazione della soglia di tutela, occorrendo invece accertare se in concreto tale situazione abbia influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della gara.
La disciplina interna deve essere cioè intesa nel senso che il rapporto tra le imprese può giustificare l'esclusione soltanto se la stazione appaltante accerti che tale rapporto abbia influenzato la formulazione delle offerte, in modo che dette imprese siano messe in grado di dimostrare l'insussistenza di rischi di turbative della selezione.
Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale, quindi, non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese.
E' Illegittima l’esclusione di una ditta da una gara pubblica, motivata con riferimento al fatto che è stata riscontrata una situazione di collegamento sostanziale con altra ditta concorrente, nel caso in cui la situazione valutata dalla stazione appaltante, in forza della quale è stato ritenuto sussistente il suddetto collegamento, sia obiettivamente ambigua, in quanto caratterizzata da elementi e coincidenze non idonei a configurare con certezza quella situazione di collegamento vietata dal bando e dall’ordinamento in quanto distorsiva della concorrenza; in tal caso, infatti, l’amministrazione deve approfondire l’effettiva esistenza di un reciproco condizionamento, tale da far ritenere l’esistenza di un unico centro decisionale, con la conseguenza che l’esclusione disposta in difetto di tale approfondimento e comminata sulla base di un riscontro non sufficientemente probante è illegittima.
L'esistenza di un collegamento sostanziale tra imprese non può di per sé solo impedire alle stesse di partecipare alla medesima gara, dovendosi riconoscere a queste ultime la possibilità di dimostrare che il detto rapporto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della specifica procedura d'appalto.

Parte ricorrente lamenta che la stazione appaltante abbia disposto la segnalazione dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza sebbene l’art. 48 del D.Lgs. 163/2006 preveda l’obbligo di detta segnalazione soltanto in relazione alle esclusioni disposte per irregolarità concernenti i requisiti di ordine speciale.
A sostegno della doglianza, parte ricorrente richiama l’indirizzo giurisprudenziale, già condiviso da questa Sezione, secondo cui l'irrogazione all'impresa partecipante alla gara pubblica della triplice sanzione (esclusione dalla gara; escussione della cauzione provvisoria; segnalazione all'autorità di vigilanza) si riferisce alle sole irregolarità accertate con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui all'art. 48, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale ex art. 38, sanzionabili solo con l'esclusione dalla gara (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.07.2010 , n. 3129).
La censura non può essere condivisa.
Va dato atto che l’indirizzo giurisprudenziale richiamato dalla difesa attrice è stato di recente rimeditato da questa Sezione con la recente sentenza n. 1152 del 04.11.2011, pervenendosi all’opposta conclusione che la segnalazione all’Autorità di Vigilanza va fatta non soltanto nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
In tal modo, la Sezione si è motivatamente uniformata ai principi affermati dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, ritenendoli maggiormente confacenti a canoni di ragionevolezza e di interpretazione sistematica del dato normativo (in senso analogo, Cons. Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3567; sez. VI, 03.02.2011, n. 782; sez. VI, 04.08.2009, n. 4905; sez. V, 12.02.2007 n. 554; sez. IV, 07.09.2004, n. 5792).
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A seguito della sentenza della Corte di Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007 che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto comunitario, non è più possibile sanzionare il collegamento tra più imprese mediante l'automatica esclusione dalla procedura selettiva, sulla scorta di una presunzione di “inquinamento” del confronto concorrenziale concretatasi in un'anticipazione della soglia di tutela, occorrendo invece accertare se in concreto tale situazione abbia influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della gara.
La disciplina interna deve essere cioè intesa nel senso che il rapporto tra le imprese può giustificare l'esclusione soltanto se la stazione appaltante accerti che tale rapporto abbia influenzato la formulazione delle offerte, in modo che dette imprese siano messe in grado di dimostrare l'insussistenza di rischi di turbative della selezione.
Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale, quindi, non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese (TAR Lazio Roma, sez. III, 04.11.2010, n. 33167; TAR Calabria Catanzaro sez. I 04.03.2011, n. 300; TAR Piemonte Torino, sez. II, 04.11.2008, n. 2739).
In particolare, è stato affermato che è illegittima l’esclusione di una ditta da una gara pubblica, motivata con riferimento al fatto che è stata riscontrata una situazione di collegamento sostanziale con altra ditta concorrente, nel caso in cui la situazione valutata dalla stazione appaltante, in forza della quale è stato ritenuto sussistente il suddetto collegamento, sia obiettivamente ambigua, in quanto caratterizzata da elementi e coincidenze non idonei a configurare con certezza quella situazione di collegamento vietata dal bando e dall’ordinamento in quanto distorsiva della concorrenza; in tal caso, infatti, l’amministrazione deve approfondire l’effettiva esistenza di un reciproco condizionamento, tale da far ritenere l’esistenza di un unico centro decisionale, con la conseguenza che l’esclusione disposta in difetto di tale approfondimento e comminata sulla base di un riscontro non sufficientemente probante è illegittima (Consiglio Stato, sez. VI, 06.09.2010, n. 6469).
Analogamente, è stato affermato che l'esistenza di un collegamento sostanziale tra imprese non può di per sé solo impedire alle stesse di partecipare alla medesima gara, dovendosi riconoscere a queste ultime la possibilità di dimostrare che il detto rapporto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della specifica procedura d'appalto (TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 24.02.2011, n. 161)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, quando l'avvalimento riguarda prestazioni eterogenee.
In presenza di una clausola del bando di gara d'appalto che imponga il possesso di un requisito di partecipazione di cui il concorrente sia privo, non necessita, ai fini della legittimazione ad agire, la presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Con sentenza 21.12.2011 n. 1336, la I Sez. del TAR Piemonte ha affermato che in presenza di una clausola del bando di gara d'appalto che imponga, a pena di esclusione il possesso di un requisito di partecipazione di cui il concorrente sia privo, non necessita, al fine di radicare nel medesimo la legittimazione al ricorso, la previa presentazione della domanda di partecipazione alla gara, la quale si risolverebbe in un inutile formalismo poiché l'esclusione dalla procedura sarebbe certa.
Sotto altro profilo, i giudici piemontesi hanno affermato che in tema di appalti pubblici, l'istituto dell'avvalimento, il quale sostanzia una facoltà per le imprese partecipanti alle gare ed è inteso a favorire ed ampliare le possibilità di partecipazione alle stesse, non priva del carattere escludente una clausola che imponga a pena di esclusione un determinato requisito di partecipazione, sia ai concorrenti singoli che a quelli riuniti in raggruppamento o consorzio, in quanto altrimenti, l'utilizzo dell'avvalimento, lungi dall'assurgere a strumento agevolativo della partecipazione alla gara, determinerebbe una ingiustificata compressione della libertà di impresa e di iniziativa economica, addirittura fungendo non da strumento per agevolare il favor partecipationis, ma da congegno processuale necessario a radicare l'interesse a ricorrere a fronte di una siffatta clausola.
Per quanto concerne il bando avente per oggetto assolutamente dominante la riscossione della tassa automobilistica e in via secondaria anche quella di una serie di imposte comunali, si è ritenuto che tale lex specialis è di per sé illegittima in quanto accorpa in sé servizi tra loro eterogenei che non consentono di formulare offerte consapevoli e, comunque, non può richiedere anche per la prima attività, a pena di esclusione, il possesso dell'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati alle attività di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate degli enti locali contemplato dall'art. 53 D.L.vo 15.12.1997 n. 446, in quanto altrimenti darebbe corpo all'imposizione di un requisito sproporzionato e in ultima analisi determinerebbe una compressione della concorrenza (Nella specie, le due tipologie di tributo erano assolutamente diverse tra di loro).
E' stato, infine affermato che, ai fini della riscossione della tassa automobilistica, il sistema on-line è quello tipizzato dal legislatore ed è quindi illegittimo il sistema off-line costituito dal pagamento mediante utilizzazione del bollettino mav. (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIIl bilanciamento tra il diritto di accesso degli interessati e il diritto alla riservatezza non è stato rimesso alla potestà regolamentare o alla discrezionalità delle singole amministrazioni, ma è stato compiuto direttamente dalla legge che, nel prevedere la tutela della riservatezza dei terzi (nella specie il know how industriale inerente all'offerta tecnica presentata in sede di gara), ha fatto nel contempo salvo il diritto degli interessati alla visione degli atti ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, a termini dell’art. 22, comma 2, L. 241/1990, principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attinente ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
La partecipazione a una gara comporta che l'offerta tecnico-progettuale presentata fuoriesca dalla sfera di dominio riservato dell'impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti, con la conseguenza che la società non aggiudicataria ha interesse ad accedere alla documentazione afferente le offerte presentate per la tutela dei propri interessi.
Va legittimamente escluso l'accesso ai dati contenuti in un’offerta che attengono al "know-how" industriale in senso stretto, vale a dire a quella esperienza tecnico-industriale, frutto di sviluppo di tecnologie specialistiche ignote alla generalità degli operatori e che devono rimanere nell'ambito del legittimo detentore e rimanere sottratte alla conoscenza altrui, poiché, in caso contrario, ciò si tradurrebbe in un chiaro vantaggio illecito.

La ditta ricorrente chiede l’accesso agli atti di gara, e specificatamente all’offerta tecnica formulata dal raggruppamento risultato vincitore, per l’affidamento del Servizio manutenzione del sistema di controllo e video sorveglianza dell'azienda sanitaria locale di Pescara; chiede altresì l'annullamento del diniego dell'amministrazione a consentire detto accesso.
In generale il bilanciamento tra il diritto di accesso degli interessati e il diritto alla riservatezza non è stato rimesso alla potestà regolamentare o alla discrezionalità delle singole amministrazioni, ma è stato compiuto direttamente dalla legge che, nel prevedere la tutela della riservatezza dei terzi (nella specie il know how industriale inerente all'offerta tecnica presentata in sede di gara), ha fatto nel contempo salvo il diritto degli interessati alla visione degli atti ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi (Consiglio di Stato, sez. VI, 07.06.2006, n. 3418).
Occorre appena ricordare che il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, a termini dell’art. 22, comma 2, L. 241/1990, principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attinente ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Va poi rammentato che, con regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400, il governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi ”...d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persona giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”.
Il comma 7 stabilisce poi che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Ciò premesso, risulta peraltro fatto noto che la partecipazione a una gara comporta che l'offerta tecnico-progettuale presentata fuoriesca dalla sfera di dominio riservato dell'impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti, con la conseguenza che la società non aggiudicataria ha interesse ad accedere alla documentazione afferente le offerte presentate per la tutela dei propri interessi.
Va quindi stabilito se il diritto alla riservatezza dei terzi costituisca o meno un ostacolo all'esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Le disposizioni in materia di accesso sono infatti finalizzate a coniugare la ratio dell'istituto, quale elemento di trasparenza e garanzia dell'imparzialità dell'amministrazione, con il bilanciamento da effettuare rispetto a interessi contrapposti e, più in particolare, a quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili" che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (art. 22, comma 1, lett. e), legge n. 241 del 1990).
Ad avviso di questo Collegio, va legittimamente escluso l'accesso ai dati contenuti in un’offerta che attengono al "know-how" industriale in senso stretto, vale a dire a quella esperienza tecnico-industriale, frutto di sviluppo di tecnologie specialistiche ignote alla generalità degli operatori e che devono rimanere nell'ambito del legittimo detentore e rimanere sottratte alla conoscenza altrui, poiché, in caso contrario, ciò si tradurrebbe in un chiaro vantaggio illecito (TAR Lazio Roma, sez. III, 03.08.2009, n. 7797).
Nel caso in esame il raggruppamento di imprese nel partecipare alla gara ha precisato nell'offerta tecnica che le informazioni in essa contenute erano riservate e in ogni caso dal punto di vista tecnico industriale in grado, ove divulgate, di porre la società stessa in una posizione di svantaggio rispetto agli altri soggetti che ne avessero avuto contezza.
In questo quadro, questo Collegio ritiene di dover assumere un atteggiamento mediano, consentendo l’accesso alla ditta ricorrente a tutta la documentazione di gara, inclusa l’offerta tecnica proposta dalla ditta vincitrice della gara, con esclusione peraltro di quella parte dell’offerta tecnica, che, per la sua natura e contenuto, risulta in grado di svelare eventuali segreti industriali e di conseguenza di compromettere la posizione nel mercato della ditta vincitrice della gara. Spetterà all’amministrazione compiere una ragionata e motivata scelta discrezionale tra la documentazione attinente all’offerta tecnica escludendo le parti in grado di compromettere la posizione del raggruppamento vincitore; in questa operazione l’amministrazione si potrà far assistere dai propri uffici tecnici e -ove lo ritenga necessario– anche dalla ditta vincitrice della gara.
Il ricorso va quindi accolto in parte nei limiti sopra indicati, per cui la resistente amministrazione dovrà entro trenta giorni dalla notificazione ovvero comunicazione della presente pronuncia consentire –dopo aver effettuato l’operazione di cernita sopra indicata- l’accesso alla parte dell’offerta tecnica come sopra specificata (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 21.12.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIModalità di indicazione negli atti di gara dei costi relativi alla sicurezza.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del Codice dei Contratti Pubblici impongono, anche per gli appalti di servizi e forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica di tutti i costi relativi alla sicurezza.
In particolare gli oneri della sicurezza –sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture– devono essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (che devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese che devono essere indicati dalle stesse nelle rispettive offerte, con il conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 impongono la specifica stima ed indicazione di tutti i costi relativi alla sicurezza, tanto nella fase della “predisposizione delle gare di appalto” (e quindi nella predisposizione della documentazione di gara) quanto nella fase della formulazione dell’offerta economica.
Peraltro, anche l’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 281 del 09.04.2008 (recante norme in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), emanato in attuazione della delega prevista dall’art. 1, comma 1, della legge n. 123 del 2007, stabilisce che nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza, “che deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.
Ciò significa che, negli atti di gara, devono essere specificamente indicati, separatamente dall’importo dell’appalto posto a base d’asta, i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze, per i quali è precluso qualsiasi ribasso (art. 86, comma 3-bis. e comma 3-ter, del d.lgs. n. 163/2006), trattandosi di costi ritenuti necessari per la tutela dei soggetti interessati. Gli atti di gara devono poi prevedere che, nell’offerta economica, siano indicati gli altri oneri per la sicurezza (da rischio specifico) che sono variabili perché legati all’offerta economica delle imprese partecipanti alla gara.
A loro volta le imprese partecipanti devono includere necessariamente nella loro offerta sia gli oneri di sicurezza per le interferenze (nella esatta misura predeterminata dalla stazione appaltante), sia gli altri oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali) la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica, trattandosi di costi il cui ammontare è determinato da ciascun concorrente in relazione alle altre voci di costo dell’offerta (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.12.2011 n. 6677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIFalso innocuo del concorrente nella procedura di gara.
Le eventuali inesattezze delle dichiarazioni rese dai concorrenti nell’ambito di una procedura per l’affidamento di un contratto pubblico rilevano solo se idonee, effettivamente, ad incidere sullo svolgimento della gara (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.12.2011 n. 6639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'Amministrazione, che intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di contratti pubblici, è tenuta a comunicare l'avvio del procedimento quantomeno nei confronti dell'aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall'adozione dell'atto di revoca.
E’ del tutto pacifico, infatti, che l'Amministrazione, che intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di contratti pubblici, è tenuta a comunicare l'avvio del procedimento quantomeno nei confronti dell'aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall'adozione dell'atto di revoca (ex multis, TAR Piemonte, sez. I, 23.04.2010, n. 2085, TAR Sardegna, sez. I, 12.08.2008, n. 1721, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 18.02.2008, n. 113, TAR Campania Salerno, sez. I, 14.02.2008, n. 200) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 19.12.2011 n. 1252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La dichiarazione sul possesso di requisiti resa per conto di altri soggetti deve contenere l'indicazione nominativa dei soggetti stessi.
Il soggetto che rende le dichiarazioni di cui all’art. 38 anche in relazione agli altri amministratori muniti di legale rappresentanza ed al direttore tecnico, deve indicare quanto meno i nominativi di tali soggetti, al fine di consentire la loro identificazione e quindi la successiva verifica del possesso dei requisiti (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 19.12.2011 n. 1025 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi turistico-culturali, può il Comune affidare servizi senza gara d'appalto.
Domanda.
Può il Comune affidare direttamente alla locale Pro Loco la gestione diretta dei servizi turistico-culturali dal 2012 al 2016 senza alcuna gara di appalto?
Premesso che: a) il Piano Finanziario presumibile dell'intero pacchetto dei servizi supera annualmente la somma di Euro 100.000,00 (I.V.A. compresa); b) l'intervento del Comune a favore della Pro Loco, a fronte dei servizi forniti è quantificato annualmente in Euro ... ... ... (I.V.A. compresa), da corrispondersi dietro presentazione di regolare fattura da parte della stessa Associazione; c) le entrate derivanti dalle visite, vendite di gadgets e di prodotti tipici, ecc., rimangono interamente alla concessionaria.
Risposta.
Giova preliminarmente ricordare che le Associazioni Pro Loco sono Enti associativi di natura privatistica e senza finalità di lucro che svolgono attività di promozione e di valorizzazione del territorio e di utilità sociale.
Il Comune può stipulare con questi Enti Convenzioni che prevedono forme di affidamento diretto di servizi turistico-ricreativi e culturali, regolando, se del caso, la concessione in uso a titolo gratuito di spazi pubblici e il rimborso di spese e/o l'erogazione di contributi strumentali e coordinati all'erogazione ai terzi di servizi (art. 7, L. 11-08-1991, n. 266; la stipula della Convenzione può trovare un titolo di legittimazione ulteriore anche nella partecipazione dell'Ente Locale all'Ente Pro Loco: arg. dall'art. 113-bis, comma 3, D.Lgs. 18-08-2000, n. 267).
La soluzione dell'affidamento diretto mediante Convenzione all'Associazione Pro Loco presuppone, peraltro, che l'attività oggetto della Convenzione non sia qualificabile come vero e proprio appalto di servizi ovvero come concessione di servizi pubblici, in cui si prevede, rispettivamente, l'erogazione di un vero e proprio corrispettivo da parte del Comune-appaltante ovvero forme di remunerazione degli investimenti mediante acquisizione dei proventi della gestione.
L'affidamento di un appalto o di una concessione a terzi, che postula la natura imprenditoriale dell'attività demandata all'appaltatore o al concessionario, deve sempre essere oggetto di affidamento mediante modalità concorrenziali -più o meno strutturate- che consentano di sollecitare adeguatamente la presentazione di offerte da parte degli operatori economici presenti sul mercato (art. 2, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 e s.m.i.).
Laddove, pertanto, il Comune intenda affidare un vero e proprio servizio all'esterno -nelle forme dell'appalto o della concessione- la soluzione della procedura di gara si palesa come ineludibile.
I servizi culturali e turistici rientrano nell'Allegato II B al D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 e s.m.i. (v. TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, 06.05.2010 n. 6406) e il loro affidamento è regolato dagli artt. 20 e 27, del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 cit., laddove l'affidamento a terzi configuri un appalto di servizi, ovvero dall'art. 30, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, laddove l'affidamento a terzi configuri una concessione di servizio pubblico, norme che impongono di scegliere il contraente mediante l'esperimento di una gara, sia pure nelle forme della procedura negoziata.
Nel caso di specie, la necessità o meno della gara per l'affidamento a terzi dipende, dunque, dalla qualificazione dell'oggetto dell'affidamento -le prestazioni rese al Comune e/o agli utenti dei servizi- e, soprattutto, dell'"intervento del Comune a favore della Pro Loco" (19.12.2011 - tratto da www.ispoa.it).

APPALTI: Sempre il modello GAP per l'aggiudicazione di una gara d'appalto.
E' illegittima l'aggiudicazione di una gara di appalto in favore di una ditta che ha omesso di produrre il modello GAP, invero richiesto al fine di accedere a notizie riguardanti le imprese partecipanti alle pubbliche gare.

La segnalata pronuncia affronta la questione sulla legittimità, o meno, dell’aggiudicazione di una gara di appalto in favore di una ditta che ha omesso di presentare la documentazione relativa alla propria attività sotto i profili organizzativi, finanziari e tecnici.
In particolare, la ricorrente, seconda in graduatoria, ha impugnato gli atti inerenti una procedura aperta indetta dal competente Provveditorato interregionale per l’affidamento di alcuni lavori pubblici, nonché il decreto con cui il Provveditore aveva disposto l’aggiudicazione definitiva in favore di altra società.
Ha eccepito, oltre al resto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 5, del D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982, degli artt. 38, comma 1, lett. c) e 40, comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006, nonché la violazione e falsa applicazione della sezione del disciplinare di gara relativa alla busta A ("Documentazione").
Segnatamente, ha lamentato che l’aggiudicataria avrebbe omesso di allegare alla propria offerta il "modello GAP impresa partecipante", nonché l’attestazione di insussistenza, in capo al proprio legale rappresentante e al proprio direttore tecnico, di sentenze di applicazione della pena su richiesta e di sentenze di condanna incidenti sulla moralità professionale per le quali il destinatario abbia goduto del beneficio della non menzione, mentre, sempre con riferimento agli anzidetti esponenti aziendali, avrebbe esibito certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti scaduti.
Il Collegio di Napoli, in via preliminare, ha ritenuto che il giudizio poteva essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., in considerazione dell’oggetto della causa, dell’integrità del contraddittorio e della completezza dell’istruttoria.
In punto di rito ha dapprima dichiarato la tempestività del gravame sulla scorta della considerazione per cui l’iniziale comunicazione effettuata dal Provveditorato interregionale, nel richiamare soltanto i verbali di gara relativi all’esame della documentazione amministrativa prodotta dalle imprese concorrenti, nonché all’aggiudicazione provvisoria in favore della controinteressata, doveva intendersi riferita all’aggiudicazione provvisoria e non a quella definitiva.
Siffatta comunicazione, pertanto, a suo avviso, non integrava gli estremi propri di quella prevista dall’art. 79, comma 5, lett. a), del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui: "in ogni caso l'amministrazione comunica di ufficio … l'aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva".
Di conseguenza, il giudicante, considerato che la ricorrente aveva acquisito piena conoscenza dell’aggiudicazione definitiva attraverso il testuale richiamo a essa contenuto nella successiva nota dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ha proceduto all’esame del merito della vicenda.
In proposito, ha osservato come, in termini generali, l'onere di presentare il modello GAP risponde a un’esigenza fondamentale di tutela dell’ordine pubblico, consistente nel consentire all'alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, l’accesso a notizie riguardanti le imprese partecipanti alle pubbliche gare e nell’apprestargli, per tal via, un indefettibile strumento conoscitivo per svolgimento delle sue funzioni (cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 298/1998; TAR Lazio, Latina, n. 1067/2010).
Conseguentemente ha ritenuto che, nel caso di specie, la rilevanza sostanziale dell'interesse pubblico sotteso alla clausola concorsuale prescrittiva di un simile onere documentale, avrebbe dovuto implicare l'esclusione dalla gara delle imprese resesi inadempienti, pur in difetto di espressa sanzione espulsiva da parte della lex specialis e in virtù del principio di eterointegrazione di quest’ultima a opera della norma imperativa di cui all’art. 1, comma 5, del D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982 (cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 94/2003; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 313/2005; idem, Sez. III, n. 1173/2007 e n. 532/2008; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, n. 2024/2009; idem n. 1100/2010 e n. 1900/2011).
Quest’ultima disposizione, infatti, recita testualmente che: “… a richiesta dell'alto Commissario, le imprese, sia individuali che costituite in forma di società aggiudicatarie o partecipanti a gare pubbliche di appalto o a trattativa privata, sono tenute a fornire allo stesso notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico sulla propria attività, nonché ogni indicazione ritenuta utile ad individuare gli effettivi titolari dell'impresa ovvero delle azioni o delle quote sociali".
E così, ravvisata fondatezza del profilo di doglianza dianzi scrutinato, il G.A. partenopeo ha accolto il gravame, con conseguente annullamento dell’impugnato decreto del competente Provveditore interregionale.
Tuttavia, non ha ritenuto sussistenti le condizioni per dichiarare l’inefficacia del contratto di appalto, atteso che la relativa stipula non risultava avvenuta; né tampoco ha accolto la domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario.
A quest’ultimo riguardo, ha infatti evidenziato che attraverso l’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti impugnati e l’effetto conformativo da esso derivante, la ricorrente ha ottenuto esattamente il bene della vita ambito, ossia la classificazione al primo posto della graduatoria concorsuale e la connessa possibilità di aggiudicazione (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.12.2011 n. 5872 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: 1. Contratti della PA - Concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche - Nozione - Natura commutativa - Differenze rispetto alla nozione di appalto di lavori - Corrispettivo.
2. Contratti della PA - Concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche - Domanda del concessionario di compensazione dovuta all'aumento dei costi di costruzione ex art. 133 D.Lgs. n. 163/2006 - Ammissibilità.
3. Contratti della PA - Concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche - Domanda di compensazione per aumento dei costi di costruzione ex art. 133 D.Lgs. n. 163/2006 - Accoglimento - Conseguenze - Possibilità di mutare le condizioni delle gestione previste nel PEF.

1. Sotto il profilo causale la concessione di lavori pubblici costituisce al pari dell'appalto di lavori, un contratto sinallagmatico e si caratterizza solo per il fatto che il corrispettivo per la esecuzione dell'opera è dato dal diritto di gestirla per un determinato periodo di tempo, anziché dal pagamento di un prezzo in danaro.
2. Il fatto che la remunerazione del concessionario consista anziché in una prestazione pecuniaria nella attribuzione del diritto di gestire l'opera realizzata non incide sul riparto dei rischi relativi alla costruzione. La maggiore alea che il concessionario si accolla rispetto all'appaltatore riguarda, infatti, la gestione dell'opera: egli nel momento in cui accetta che il proprio investimento venga remunerato attraverso la concessione del diritto di sfruttare economicamente il manufatto realizzato si assume un rischio di impresa che, normalmente, grava sull'ente concedente.
A parte ciò il contratto di concessione, in base alla sua stessa definizione normativa (sia interna che comunitaria), non presenta differenze rispetto ad un comune contratto di appalto, con la conseguenza che il rischio di costruzione assunto dal concessionario rimane nei limiti dell'alea normale tipica dell'appalto di lavori.
3. Nel contratto di concessione di costruzione e gestione l'adeguamento dell'equilibrio contrattuale ai costi eccedenti l'alea normale del contratto non necessariamente deve avvenire attraverso il pagamento di una somma di danaro. Essendo la parte preponderante dell'investimento remunerata attraverso il diritto di gestire l'opera, appare conforme allo schema causale del contratto che l'alterazione dell'equilibrio contrattuale dovuta all'aumento dei costi di costruzione per effetto di eventi eccezionali ed imprevedibili possa avvenire anche tramite il mutamento delle condizioni della gestione previste nel piano economico finanziario (come la durata della concessione, il regime tariffario, etc.).
Per tali ragioni, nonostante l'art. 143 del D.Lgs. n. 163 del 2006 non annoveri fra le cause di revisione del PEF l'aumento dei costi dei materiali o della manodopera, appare pienamente lecita una disciplina convenzionale che, invece, includa tale evento fra i presupposti che ne comportano la rinegoziazione; e, comunque, anche in assenza di una specifica previsione contrattuale, il concessionario che reclami il compenso revisionale non potrebbe rifiutare in buona fede l'offerta dell'amministrazione di far fronte ai maggiori costi attraverso modalità diverse dal pagamento di una somma di danaro (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 16.12.2011 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILA MANOVRA MONTI/ Mini-enti insieme per gli appalti. Acquisti e bandi tramite centrali di committenza uniche. Vincoli di gestione associata (unioni o convenzioni) per i piccoli comuni.
I comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti dovranno a partire dal prossimo 31 marzo effettuare tutti gli acquisti di beni e servizi e gli appalti di lavori pubblici esclusivamente tramite centrali di committenza costituite nell'ambito delle unioni e/o attraverso convenzioni.
Questo nuovo vincolo di gestione associata si aggiunge a quelli dettati dalle manovre estive del 2010 e del 2011 e in base alle quali i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti e inferiori a 5.000 devono entro il 2011 gestire in forma associata almeno due funzioni fondamentali ed entro il 2012 le restanti quattro, mentre quelli con popolazione inferiore a 1.000 abitanti dovranno trasferire a partire dal turno elettorale della primavera del 2013 tutte le proprie funzioni e i propri servizi a unioni o a convenzioni costituite tra centri che hanno queste ridottissime dimensioni.
È evidente che siamo in presenza di una chiara volontà legislativa di obbligare in vario modo i piccoli comuni alla gestione associata. La relazione illustrativa del decreto evidenzia che dalla centralizzazione delle procedure di acquisto ci si possono attendere significativi risparmi. Si deve subito evidenziare che la mancanza di esplicite sanzioni in caso di inadempienza non deve indurre in errore: gli acquisti e gli appalti effettuati direttamente dai singoli comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti saranno infatti illegittimi e, in presenza di un ricorso, saranno annullati, con tutte le pesanti conseguenze di rimborso spese e di eventuale maturazione di responsabilità amministrativa in capo ai dirigenti inadempienti.
Nel caso di mancato avvio della gestione associata sono previste conseguenze negative in termini di riduzione dei trasferimenti erariali ai piccoli comuni attraverso il fondo sperimentale di riequilibrio ed inoltre, in caso di prolungata omissione, i prefetti potrebbero provvedere allo scioglimento dei consigli per violazione dei vincoli dettati dal legislatore. Le nuove disposizioni non modificano l'obbligo per cui tutte le p.a. devono necessariamente ricorrere alle convenzioni di acquisto Consip o richiedere condizioni più favorevoli nel caso in cui effettuino direttamente gli acquisti.
Le nuove disposizioni che obbligano i piccoli comuni alla utilizzazione di centrali di committenza associate costituite nell'ambito delle unioni dei comuni o tramite specifiche convenzioni per tutti gli acquisti di beni e servizi e per l'aggiudicazione di appalti sono dettate nella forma della modifica del dlgs n. 163/2006, cioè del codice degli appalti. Il legislatore impone questo vincolo in modo assai ampio: non sono infatti previste deroghe di sorta, vuoi per importi ridotti, vuoi per tipologia, vuoi in presenza di ragioni di urgenza. Per cui siamo in presenza di una disposizione che deve essere applicata come procedura ordinaria da parte dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
Occorre chiarire il riferimento al territorio provinciale contenuto nella disposizione: il dettato legislativo non sembra affidare i compiti delle centrali di committenza alle province e sembra invece richiedere che esse siano costituite tra comuni che sono compresi nell'ambito dello stesso territorio provinciale. Il che determinerebbe la introduzione di un vincolo a che le eventuali unioni di comuni siano costituite esclusivamente tra municipi della stessa provincia.
La disposizione rinvia con molta chiarezza l'entrata in vigore delle nuove disposizioni alle procedure d'acquisto indette a partire dal prossimo 31 marzo, con il che si lascia ai comuni un margine di tempo per dare concreta applicazione al nuovo vincolo. Ovvero, per tenere conto del nuovo vincolo nell'ambito del processo di realizzazione delle esperienze di gestione associata delle funzioni fondamentali previsto dalle manovre estive. Per cui i singoli comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti devono non solo rispettare il termine del 31.12.2011 per dare vita alla gestione associata di almeno due funzioni fondamentali tramite unione o convenzione ed a quello di estendere questa esperienza alle altre quattro funzioni fondamentali entro la fine del 2012, ma devono anche attivare le centrali di committenza entro il prossimo mese di marzo.
Sono evidenti le interferenze tra le disposizioni istituzionali sull'obbligo della attivazione della gestione associata e quelle sugli acquisti: il legislatore sembra spingere le amministrazioni dei comuni con meno di 5.000 abitanti nella direzione di dare corso a una unica forma di gestione associata e non alla suddivisione tra vari strumenti. Le centrali di committenza dovranno gestire interamente ed esclusivamente la fase dell'acquisto e/o dell'appalto, sulla base degli input e delle richieste formulate dalle singole amministrazioni (articolo ItaliaOggi del 16.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Sicurezza: R.U.P. deve sorvegliare anche durante la fase di svolgimento dei lavori.
A carico del responsabile unico del procedimento (R.U.P.) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
E’ questo il principio ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza 15.11.2011 n. 41993.
Nel caso di specie il giudice di prime cure condannava per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per omicidio colposo, il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici e responsabile dei lavori, il coordinatore in materia di sicurezza e il titolare della ditta subappaltatrice, rispettivamente a 6 mesi di reclusione il primo e a 5 mesi di reclusione gli altri due con l’ulteriore risarcimento danni in favore della parte civile. Ai tre, infatti, era stato addebitato di avere consentito, in violazione degli obblighi di sicurezza a loro carico gravanti, che un operaio, intento alla posa in opera della copertura di una piscina, lavorasse in totale assenza delle opere di protezione collettiva previste dal piano di sicurezza e senza precauzioni atte ad evitare la caduta dall'alto. In tale frangente l’operaio cadeva da un'altezza di circa 10 m. decedendo per gravi lesioni al capo.
La situazione viene confermata anche in secondo grado, ad eccezione del titolare della ditta dichiarando l'estinzione del reato a suo carico per morte dell'imputato. Il ricorso per cassazione procede solo per il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici, in quanto quello presentato dal coordinatore in materia di sicurezza è dichiarato inammissibile per presentazione tardiva.
Sul responsabile dei lavori, ai sensi dell'art. 6 del d.p.r. 494 del 1996, incombe l’obbligo delle verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in attuazione dei relativi piani (art. 4 ed art. 5, co. 1, lett. a), d.p.r. cit.). Inoltre, il responsabile del procedimento provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e la salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia.
Sommando i diversi compiti a carico del responsabile deriva quella posizione di garanzia ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durate il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
Da ciò ne consegue che in ogni caso era onere del RUP, a fronte di modifiche progettuali, in adempimento degli obblighi sopra richiamati, controllare la adeguatezza dei piani di sicurezza alla salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori.
Né il lamentato comportamento negligente della persona offesa (che non avrebbe utilizzato le cinture), può escludere la rilevanza causale della condotta omissiva dell'imputato. Infatti, «la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta».
La vittima ha subito l'infortunio mentre svolgeva, senza alcuna abnormità di condotta, la sua ordinaria attività di lavoro. Da qui il rigetto del ricorso da parte dei giudici del Palazzaccio e la condanna al pagamento delle spese processuali (link a www.altalex.com).

LAVORI PUBBLICI: Responsabilità del RUP e posizione di garanzia nei lavori pubblici. Responsabilità per omicidio colposo occorso ad un lavoratore.
Furono imputati del reato il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici e responsabile dei lavori, il coordinatore in materia di sicurezza, il titolare della ditta subappaltatrice, per aver consentito, in violazione degli obblighi di sicurezza a loro carico gravanti, che il lavoratore, intento alla posa in opera della copertura di una piscina, lavorasse in totale assenza delle opere di protezione collettiva previste dal piano di sicurezza e senza precauzioni atte ad evitare la caduta dall'alto e in tale frangente cadeva da un'altezza di circa 10 mt., decedendo per gravi lesioni al capo.
Condannati in primo grado, la Corte di Appello di Genova confermava la pronuncia di condanna per il Responsabile del Procedimento e del coordinatore per la sicurezza, dichiarando l'estinzione del reato a carico del titolare della ditta subappaltatrice per morte dell'imputato.
Ricorso in Cassazione - Il ricorso proposto dal coordinatore per la sicurezza è inammissibile perché tardivo; La Corte rigetta invece il ricorso del Responsabile del procedimento amministrativo.
"La Corte afferma che va premesso che la sua responsabilità è stata ritenuta sulla base della qualità di "Responsabile del procedimento amministrativo" e responsabile dei lavori, figura che nei lavori pubblici rappresenta il committente.
Sul responsabile del lavori incombe, ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 494 del 1996, l'obbligo della verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in attuazione dei relativi piani (art. 4 ed art. 5, co, 1, lett a), d.P.R. cit).
Orbene ciò premesso, deve ricordarsi che ai sensi dell'art. 7, co. 2°, del d.P.R. 554 del 1999 (Regolamento di attuazione della Legge Quadro dei Lavori Pubblici), il "Responsabile del procedimento" provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e la salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia
."
... In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del procedimento) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durate il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
Orbene, nel caso di specie, come correttamente rilevato dal giudice di merito, l'imputato è venuto meno all'adempimento degli oneri a suo carico gravanti.
Per quanto detto, va ribadito che la radicata posizione di garanzia in capo all'imputato, rende rilevante causalmente la sua negligente condotta omissiva, non avendo l'imputato controllato l'adeguatezza e specificità dei piani di sicurezza rispetto alle loro finalità; nonché non avendo vigilato sulla loro corretta attuazione.
Né il lamentato comportamento negligente della persona offesa (che non avrebbe utilizzato le cinture), può escludere la rilevanza causale della condotta omissiva dell'imputato. Nel caso di specie la vittima ha patito l'infortunio mentre svolgeva, senza alcuna abnormità di condotta, la sua ordinaria attività di lavoro nel pozzo citato, che era privo di presidi anticaduta (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 15.11.2011 n. 41993 - link a http://olympus.uniurb.it).

APPALTI: Appalti pubblici e principio di tassatività delle cause di esclusione.
Contrasta con l’articolo 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006 la legge di gara che chiede, a pena di esclusione, l’attestazione notarile relativa ai poteri del funzionario che rilascia la polizza fideiussoria; ed infatti questa formalità non incide sul contenuto formativo dell’offerta in quanto non priva di certezza la provenienza della garanzia, né impedisce a quest’ultima di raggiungere il suo scopo.

Questo è il principio espresso dal TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, con la sentenza 15.12.2011 n. 9791.
Il ricorso veniva introdotto da un società, esclusa da un appalto di servizi in quanto il notaio non aveva attestato i poteri del funzionario che aveva rilasciato la polizza fideiussoria, inviata a garanzia dell’offerta, in conformità alla clausola della lettera di invito secondo cui “La firma dei funzionari che rilasceranno la polizza dovrà essere autenticata da un notaio (pena l’esclusione dalla gara) il quale dovrà, altresì, attestarne i relativi poteri”.
Avverso questa esclusione, la società contestava, tra l’altro, la nullità della clausola in quanto contraria alle regole previste dall’articolo 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006.
Come noto, il comma 1-Bis è stato introdotto dal decreto legge 70/2011 (convertito in legge n. 106/2011) e prevede che “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In merito alla ratio della recente modifica il TAR Roma ha chiarito come “Il Legislatore, ispirato anche dal principio del favor partecipationis, ha limitato il numero di esclusioni fondate su elementi di carattere formale.
L’intento è stato quello di tutelare in modo sostanziale e concreto il principio di derivazione comunitaria della concorrenza oltre quello, più squisitamente politico-economico-sociale, di ridurre il contenzioso in materia di appalti.
Secondo il nuovo testo del citato art. 46, la stazione appaltante può escludere le imprese dalla gara di appalto esclusivamente in caso di:
- mancato adempimento a prescrizioni di legge previste dal codice degli appalti, dal regolamento attuativo (DPR n. 207/2010) e da altre disposizioni legislative vigenti;
- incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali;
- non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura del plico, tale da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Queste cause di esclusione sono tassative ed ogni altra prescrizione prevista dagli atti di gara deve considerarsi nulla (nullità testuale).
Il Collegio ritiene che, seppure lo sforzo Legislatore sia apprezzabile, l’interpretazione delle norme non possa andare a discapito dell’altro fondamentale principio della par condicio o della certezza dell’agire della pubblica amministrazione.
Si tratta di appurare, pertanto, se nel caso concreto siano state o meno violate le norme regolatrici dell’appalto ed insieme a queste i cennati principi informatori della procedura di gara
”.
In base a queste considerazioni i giudici del TAR Roma hanno annullato il provvedimento di esclusione, dichiarando nulla la clausola impugnata, in quanto la mancata attestazione notarile, attenendo al contenuto meramente formale della garanzia, non poteva essere considerata come un elemento integrativo co-necessario dell’offerta e dunque non rendeva incerto il contenuto sostanziale dell’offerta medesima.
Con questa decisione i giudici hanno dunque chiarito come il principio della tassatività delle cause di esclusione, debba essere contemperato con gli altri principi fondamentali, nell’ambito degli appalti pubblici, della par condicio e della certezza dell’agire della pubblica amministrazione (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIntegrazione documentale nelle gare pubbliche.
Nelle gare pubbliche l'integrazione documentale è ammissibile solo per la documentazione attestante il possesso dei requisiti di partecipazione, per cui non è possibile rettificare, precisare o comunque modificare gli elementi costitutivi dell'offerta, e comunque essa non costituisce un obbligo assoluto ed incondizionato per la stazione appaltante, ma incontra precisi limiti applicativi ravvisabili nella necessità del rispetto della par condicio, atteso che l'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241 non può essere invocato per supplire all'inosservanza di adempimenti procedimentali significativi o all'omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInterpretazione delle clausole del bando di gara.
In sede di gara pubblica, le clausole poste a pena di esclusione devono essere chiare e puntuali e, nella eventuale incertezza interpretativa, deve essere favorita, anche nell'ottica della più ampia partecipazione di concorrenti, una interpretazione meno restrittiva delle stessa che, comunque, non lede la par condicio tra i concorrenti (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl giudice di regola non può sindacare le scelte discrezionali della commissione giudicatrice.
Le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell'elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l'espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l'idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
Ne consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell'organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della Commissione), se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l'adeguatezza della motivazione, ben potendo questa essere adeguata e sufficiente e tuttavia al tempo stesso illogica (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Costituisce principio generale regolatore delle pubbliche gare quello che vieta la commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta. Tale principio trova il suo sostanziale supporto logico nella necessità di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che attengono all'offerta e, quindi, all'aggiudicazione; detto canone operativo, che affonda le sue radici nell'esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova in definitiva il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione.
A titolo esemplificativo del principio, che requisiti soggettivi e di esperienza (come fatturati precedenti o titoli curriculari) costituiscono elementi che, attenendo all'affidabilità dell'offerente e dunque alla sua capacità tecnica di corretta esecuzione dell'appalto, appartengono propriamente alla fase di qualificazione; dunque, essendo essi estranei alle caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta e del contratto concretamente dedotti in gara, non possono essere assunti quali validi criteri di aggiudicazione.
Alle stazioni appaltanti è comunque garantita un’ampia fascia di discrezionalità in sede di determinazione dei criteri di valutazione: costituisce parimenti principio consolidato quello a mente del quale la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutarne l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Peraltro, anche in tale principio è insito il limite del carattere oggettivo del criterio, scollegato da elementi soggettivi propri di una fase anteriore di prequalificazione e quindi di ammissione alla gara.
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La commissione di gara può integrare e specificare i criteri di bando, con il solo limite di non poter introdurre nuovi criteri di qualificazione, né modificare i limiti di punteggio massimo e minimo stabiliti nel bando. Nel caso di specie pertanto all’illegittimità predetta si aggiunge il carattere di novità dei criteri contestati.
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Il possesso in capo ai componenti di una commissione di gara dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, costituisce principio immanente nell'ordinamento generale, che oltretutto trascende il settore dei lavori pubblici, per rendersi operativo in qualsiasi gara, in quanto risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; in particolare, la commissione giudicatrice avendo il compito di valutare la qualità dell’offerta, deve essere composta, almeno prevalentemente, da persone fornite di specifica competenza tecnica o munite di qualificazioni professionali che tale competenza facciano presumere.

In ordine al primo ordine di motivi, dall’analisi degli atti di gara emerge all’evidenza la violazione dei principi invocati da parte ricorrente. Infatti, rispetto ai criteri di valutazione delle offerte così come correttamente predeterminati dalla lex specialis (cfr. punto 13 del disciplinare), la commissione risulta aver aggiunto i criteri motivazionali in termini incompatibili con i consolidati principi predetti, in specie rimettendo la valutazione dell’offerta (anche) all’attività svolta in precedenza ed al curriculum. A quest’ultimo proposito, appare manifestamente irragionevole, ad esempio, la valutazione della metodologia dell’intervento proposto con l’offerta sulla scorta del curriculum cioè di elementi soggettivi, del tutto estranei all’offerta in quanto relativi ai titoli soggettivi in possesso dei singoli partecipanti.
In tale contesto appare prima facie violato il consolidato orientamento a mente del quale costituisce principio generale regolatore delle pubbliche gare quello che vieta la commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta. Tale principio trova il suo sostanziale supporto logico nella necessità di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che attengono all'offerta e, quindi, all'aggiudicazione; detto canone operativo, che affonda le sue radici nell'esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova in definitiva il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione (cfr. ex multis Consiglio Stato , sez. VI, 15.12.2010 , n. 8933).
A titolo esemplificativo del principio, la sezione ha già avuto modo di evidenziare che requisiti soggettivi e di esperienza (come fatturati precedenti o titoli curriculari) costituiscono elementi che, attenendo all'affidabilità dell'offerente e dunque alla sua capacità tecnica di corretta esecuzione dell'appalto, appartengono propriamente alla fase di qualificazione; dunque, essendo essi estranei alle caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta e del contratto concretamente dedotti in gara, non possono essere assunti quali validi criteri di aggiudicazione (cfr. TAR Liguria Genova, sez. II, 27.02.2008, n. 335).
E dire che alle stazioni appaltanti è comunque garantita un’ampia fascia di discrezionalità in sede di determinazione dei criteri di valutazione: costituisce parimenti principio consolidato quello a mente del quale la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutarne l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Peraltro, anche in tale principio è insito il limite del carattere oggettivo del criterio, scollegato da elementi soggettivi propri di una fase anteriore di prequalificazione e quindi di ammissione alla gara. Nel caso di specie la commistione, imputabile ai criteri illegittimamente aggiunti dalla commissione, appare evidente come sopra riportata.
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Va ricordato che secondo la giurisprudenza comunitaria, condivisa dal Collegio e sotto il cui faro va interpretata la norma nazionale (cfr. ad es. Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005, C-331/04) la commissione di gara può integrare e specificare i criteri di bando, con il solo limite di non poter introdurre nuovi criteri di qualificazione, né modificare i limiti di punteggio massimo e minimo stabiliti nel bando. Nel caso di specie pertanto all’illegittimità predetta si aggiunge il carattere di novità dei criteri contestati.
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Valenza autonoma, parimenti fondata, assume il quarto ordine di rilievi, concernente l’illegittima composizione della commissione stessa.
Secondo la normativa invocata da parte ricorrente, come noto, “la commissione, nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”.
Pur dinanzi alla ampiezza del concetto di esperto nello specifico settore inerente l’oggetto del contratto, è ben possibile svolgere un’adeguata esegesi della norma, sia in termini di principio che di specificazione delle professionalità.
Nella prima direzione, dopo aver ricordato la pacifica qualificazione della norma come principio in quanto regola attuativa del canone costituzionale del buon andamento (cfr. Consiglio di Stato n. 1408/2004), pur rientrando nella sfera discrezionale dell’Ente la scelta dei commissari deputati a far parte della commissione giudicatrice, tale provvedimento non può ritenersi avulso dall’obbligo di motivazione, soprattutto quando la Commissione, peraltro composta quasi integralmente da soggetti sforniti di titoli di studio di livello universitario, sia destinata ad esaminare proposte progettuali particolarmente complesse, da valutare per di più con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Non è rispondente ai criteri di logica e ragionevolezza, che devono in particolare presidiare l'attività della pubblica amministrazione, che l'attività valutativa debba essere posta in essere da soggetti privi delle necessarie cognizioni tecniche correlate all'oggetto della gara, ovvero che il giudizio sia il frutto di una valutazione individuale e non collegiale. Nel caso de quo la scelta di commissari tutti privi di titoli adeguati alla formulazione di atti analoghi a quelli da valutare si accompagna al tentativo di integrazione (inammissibile) della motivazione posta a base della scelta attraverso la produzione di curricula, che peraltro confermano la carenza predetta.
Nella seconda direzione, va reputata come illegittima la composizione della commissione giudicatrice di una gara di appalto per l’affidamento della progettazione di una opera pubblica nel caso in cui risulti che nessuno dei commissari possieda alcun diploma di laurea ovvero titolo equipollente o comunque adeguato, atteso che in tale ipotesi nessuno dei commissari avrebbe potuto progettare ciò su cui erano chiamati ed esprimere il proprio giudizio, non essendo possibile fare riferimento esclusivamente alla pregressa attività lavorativa dei commissari, occorrendo invece una valutazione della professionalità di questi ultimi, in relazione al giudizio che sono chiamati a rendere (cfr. per una analoga fattispecie Consiglio di Stato n. 4829/2008).
In definitiva, va ribadito che il possesso in capo ai componenti di una commissione di gara dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, costituisce principio immanente nell'ordinamento generale, che oltretutto trascende il settore dei lavori pubblici, per rendersi operativo in qualsiasi gara, in quanto risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; in particolare, la commissione giudicatrice avendo il compito di valutare la qualità dell’offerta, deve essere composta, almeno prevalentemente, da persone fornite di specifica competenza tecnica o munite di qualificazioni professionali che tale competenza facciano presumere
(TAR Liguria, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 1841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: La presenza di un direttore tecnico ignoto alla SOA vizia il certificato prodotto dall'impresa.
La SOA certifica l’idoneità del direttore tecnico, sicché la presenza di un ulteriore direttore tecnico (tale dovendosi qualificare il condirettore tecnico) ignoto alla SOA vizia il certificato prodotto dall’impresa, non consentendole di partecipare alla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 15.12.2011 n. 1015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: I requisiti di partecipazione devono rispondere ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Se è vero, in linea generale, che le Amministrazioni, che indicono una gara, possono integrare le previsioni recate dalla normativa interna o anche comunitaria, è altrettanto incontrovertibile che l’esercizio di siffatta potestà non si sottrae all’osservanza dei limiti intrinseci della discrezionalità amministrativa, con particolare riferimento ai principi della ragionevolezza e proporzionalità.
Ai sensi dell’art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006, l’Amministrazione è sempre tenuta, nel caso di aggiudicazione dell’appalto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a indicare nella lex specialis di gara i criteri di valutazione, con l’indicazione della ponderazione loro attribuita, specificando per ciascun criterio di valutazione prescelto gli eventuali sub criteri e sub pesi o sub punteggi (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V, 14.05.2010, n. 2939).
E ciò non solo al fine di assicurare la dovuta trasparenza della fase procedimentale della valutazione delle offerte e la coerenza (logicità, non arbitrarietà, etc.) delle scelte operate dalla commissione di gara, ma anche al fine di consentire ai concorrenti di formulare un’offerta seria, adeguata e responsabile rispetto alle finalità perseguite dall’amministrazione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 15.12.2011 n. 998 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIL’art. 115 del D Lvo n. 163/2006, in materia di adeguamento prezzi, sostitutivo dell’art. 6, comma 4, della legge n. 537/1993, così dispone che <<tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lett. c e comma 5>>.
La ratio dell’istituto è quella di adeguare il prezzo determinato nell’originario rapporto al fine di conservare il livello qualitativo delle prestazioni dell’appaltatore, grazie al ricorso ad un meccanismo che contenga entro margini prefissati, e comunque prevedibili, il rischio connesso all’innalzamento del livello dei prezzi contrattualmente stabiliti. In questo modo si consente alle parti di ancorare il meccanismo di revisione a criteri oggettivi, tali da conservare l’equilibrio contrattuale.
Atteso che la finalità primaria è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non possano col tempo subire una diminuzione qualitativa a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte, le disposizioni negoziali contrastanti con la precitata disposizione non solo sono colpite da nullità ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., ma sostituite de iure, ex art. 1339 cod. civ., dalla disciplina imperativa di legge.
La riconosciuta natura cogente ed inderogabile di tale prescrizione fa dunque sì che nei casi in cui la clausola citata non sia stata inserita, operi il meccanismo di cui all’art. 1339 cod. civ., con conseguente inserzione automatica della clausola; tale norma imperativa si impone sulle pattuizioni delle parti, modificandone ed integrandone la volontà contrastante con la stessa.

Devesi innanzitutto rilevare che:
a) l’art. 115 del D Lvo n. 163/2006, in materia di adeguamento prezzi, sostitutivo dell’art. 6, comma 4, della legge n. 537/1993, così dispone <<tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lett. c e comma 5>>;
b) la ratio dell’istituto è quella di adeguare il prezzo determinato nell’originario rapporto al fine di conservare il livello qualitativo delle prestazioni dell’appaltatore, grazie al ricorso ad un meccanismo che contenga entro margini prefissati, e comunque prevedibili, il rischio connesso all’innalzamento del livello dei prezzi contrattualmente stabiliti. In questo modo si consente alle parti di ancorare il meccanismo di revisione a criteri oggettivi, tali da conservare l’equilibrio contrattuale;
c) atteso che la finalità primaria è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non possano col tempo subire una diminuzione qualitativa a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte, le disposizioni negoziali contrastanti con la precitata disposizione non solo sono colpite da nullità ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., ma sostituite de iure, ex art. 1339 cod. civ., dalla disciplina imperativa di legge;
d) la riconosciuta natura cogente ed inderogabile di tale prescrizione fa dunque sì che nei casi in cui la clausola citata non sia stata inserita, operi il meccanismo di cui all’art. 1339 cod. civ., con conseguente inserzione automatica della clausola; tale norma imperativa si impone sulle pattuizioni delle parti, modificandone ed integrandone la volontà contrastante con la stessa (TAR Basilicata, sentenza 15.12.2011 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOfferte al netto del costo del lavoro, DIETROFRONT! “Comma 3-bis” ABROGATO!
Da oggi niente più offerte al netto del costo del personale! Lo stabilisce il Decreto Monti.
Ricordiamo, brevemente, che la Legge Sviluppo ha aggiunto all’art. 81 del Codice dei Contratti il comma 3-bis, che prevedeva che l'offerta migliore fosse “determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più significative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Una prima interpretazione fu data dal gruppo ITACA, secondo cui le stazioni appaltanti avrebbero dovuto indicare ex ante il costo del lavoro (V. articolo Il costo del lavoro non è negoziabile! Le modifiche introdotte dalla “Legge Sviluppo” e le prime indicazioni operative)
Successivamente l'AVCP proponeva una ulteriore interpretazione, secondo cui era opportuno dare la possibilità di giustificazione ai concorrenti dei prezzi offerti, in relazione alla produttività, all’efficienza organizzativa dell’impresa e alle attrezzature, tutelando sempre e comunque il costo del personale (V. articolo Appalti, bandi tipo e costo del lavoro. Dall'AVCP le indicazioni per stazioni appaltanti, tecnici e imprese)
L'art. 44 del Decreto Monti, al comma 2, recita: “L'articolo 81, comma 3-bis, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, e' abrogato”.
Questo vuol dire che il famoso comma 3-bis, che prevedeva che l'offerta fosse effettuata al netto delle spese del costo del lavoro, viene soppresso. Pertanto ancora una volta si fa dietrofront.
Tra le altre novità in materia di LL.PP. sono presenti tante novità, tra cui:
● revoca dell’innalzamento da 100.000 euro a 193.000 euro per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria con procedura negoziata senza bando di gara (articolo 44, comma 5 del nuovo D.L.);
● estensione delle procedure previste dal Codice dei Contratti anche al caso di liquidazione coatta e concordato preventivo dell’appaltatore (articolo 44, comma 6, del nuovo D.L.);
● possibilità di consultazione preliminare per lavori con importo a base di gara superiore a 20 milioni di euro (articolo 44, comma 8, del nuovo D.L.);
● affidamento dell’acquisizione di lavori, servizi e forniture ad un’unica centrale di committenza per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (articolo 23, comma 4, del nuovo D.L.);
● nuovi criteri di scelta per il finanziamento e l’approvazione di infrastrutture di interesse strategico (articolo 41, comma 1, del nuovo D.L.);
● nuovo iter di approvazione per le opere strategiche (articolo 41, comma 2, del nuovo D.L.).
In allegato proponiamo un estratto del D.L. (Capo IV del D.L. 201/2011) contenente le misure per lo sviluppo infrastrutturale (15.12.2011 - link a www.acca.it).

APPALTI: Le disposizioni di lex specialis non possono essere superate da arbitrario giudizio della commissione.
La giurisprudenza della Sezione ha già evidenziato che la presentazione delle offerte va effettuata in scrupolosa osservanza del bando e della lettera d'invito e la stazione appaltante non può legittimamente disattendere le predette prescrizioni, non avendo alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, la p.a. è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tale previsione, senza alcuna possibilità di valutare la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza l'Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando (Consiglio di Stato, sez. IV, 05.04.2005, n. 1519).
In linea generale, il Collegio osserva che, secondo la maggioritaria impostazione, la stazione appaltante è tenuta ad applicare le clausole inserite nella lex specialis in modo rigoroso e incondizionato.
Tali clausole relative ai requisiti di partecipazione o alle cause di esclusione sono, infatti, ritenute connesse ad esigenze di certezza e celerità, oltre che a garanzie di imparzialità dell'azione amministrativa e di par condicio tra i concorrenti.
Tale rigore interpretativo, e conseguentemente applicativo, è stato avallato dalla giurisprudenza anche con riferimento alle clausole relative alla partecipazione alla gara, la cui osservanza è prevista a pena di esclusione (cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.02.2008, n. 567,).
Pertanto, la Commissione giudicatrice non può in alcun modo discostarsi in sede applicativa dalla disposizione del bando che prevedeva espressamente l'esclusione dalla gara dell'impresa partecipante per mancanza di documenti specificatamente indicati.
E’ pur vero che non mancano, al contrario, quantomeno nel sistema normativo antecedente alla riforma attuata al riguardo dal cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 70 del 2011), non applicabile nella specie ratione temporis, pronunce che mettono in risalto come clausole particolarmente rigorose debbano essere vagliate in relazione alla fattispecie e siano inapplicabili, qualora risultino irragionevoli, irrazionali e sproporzionate.
Tuttavia, anche a voler condividere tale orientamento interpretativo più blando, è evidente che, nel caso di specie, l’assenza dei predetti documenti ha un indubbio significato di sostanza, che oltrepassa il mero rispetto delle forme procedimentali di partecipazione consacrate nella lex specialis, atteso che esse sono costituenti componenti dell’offerta, oggetto di valutazione della commissione e si traducono in termini di attribuzione dei punteggi.
Tale rilievo rende ancora più evidente il pericoloso arbitrio che ha connotato l’operato della Commissione di gara, che ha preso atto della non corrispondenza degli atti presentati a quanto richiesto dai diversi atti di gara e ha, tuttavia, al dichiarato fine di garantire la massima partecipazione alla gara, deciso di procedere ad un vaglio tecnico/sostanziale, sul grado di menomazione riscontrabile nella complessiva proposta progettuale, per effetto dell’avanzamento progettuale non realizzato e della connessa mancata presentazione degli elaborati contrassegnati con "P.9, P.10 e P.11”, concludendo, nella seduta di gara del 23.06.2008, con un giudizio di “non essenzialità degli elaborati mancanti”, ritenendo che il progetto presentato dal raggruppamento Iter contenesse in ogni caso gli elementi richiesti dalla lex specialis di gara (cfr. verbale n. 11 del 23.06.2008).
In questo modo, la Commissione di gara ha finito con l’apprezzare l’ammissibilità di una documentazione inequivocabilmente mancante, pur in presenza di una clausola chiara della lex specialis, su cui avrebbe poi dovuto pronunciarsi attribuendo il relativo punteggio, così ledendo la par condicio dei concorrenti, con un’operazione non trasparente, difficilmente sindacabile, che opportunamente la lex specialis aveva risolto a monte con le clausole sopra indicate.
Alla luce di quanto esposto, la sentenza del TAR deve essere confermata, attesa l’infondatezza dell’appello per quanto riguarda il dirimente e assorbente profilo del ricorso incidentale accolto dal TAR in primo grado (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.12.2011 n. 6546 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’Ati deve specificare le quote di partecipazione già in fase di presentazione dell’offerta.
Per quanto riguarda la dichiarazione relativa alle quote di partecipazione di un Ati, nelle procedure concorsuali riguardanti forniture e servizi, gli operatori economici riuniti o consorziati hanno l’obbligo di specificare le parti delle prestazioni che saranno realizzate da ciascuna impresa del gruppo, nonché le quote di partecipazione.
Tale obbligo –estrinsecazione di un principio generale che prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento, o alla tipologia delle prestazioni– risponde all’esigenza della stazione appaltante di conoscere preventivamente chi sarà il soggetto che esegue il servizio e la parte specifica del servizio ripartito e svolto dalle singole imprese al fine di rendere più spedita l’esecuzione del rapporto individuando il responsabile, nonché all’esigenza di agevolare la verifica delle competenza tecnica dell’esecutore comparata con la documentazione prodotta in sede di gara, ed alla esigenza di rendere effettiva la composizione del raggruppamento al fine di unire insieme capacità tecniche e finanziarie integrative e complementari e non a coprire la partecipazione di imprese non qualificate, aggirando così le norme di ammissione stabilite dal bando (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 27.10.2011 , n. 5736).
Tale obbligo di dichiarazione, inoltre, deve essere necessariamente osservato già in fase di presentazione dell’offerta e ai fini dell’ammissione alla gara, costituendo tale assetto soggettivo un requisito di partecipazione che deve essere necessariamente posseduto al momento della presentazione dell’ offerta, in conformità alla legge di gara (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.12.2011 n. 6538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Giudizio di anomalia - Limiti del sindacato giurisdizionale - Discrezionalità tecnica - Cognizione piena del giudice amministrativo sull'attendibilità dei giudizi e apprezzamenti espressi dalla commissione giudicatrice.
2. Giudizio di anomalia - Costo delle attrezzature - Possibilità di giustificare mediante i bilanci e i libri dei cespiti.

1. In materia di giudizio di anomalia, l'area della riserva amministrativa non è violata, ove si contesti l'esistenza di errori di apprezzamento da parte della stazione appaltante, che involgono fatti anche tecnici che a detta area sono palesemente estranei.
Una volta distinta l'area della discrezionalità tecnica da quella del merito amministrativo, il giudice amministrativo ha infatti cognizione piena non solo sulle modalità (di formazione), ma anche sull'attendibilità dei giudizi e degli apprezzamenti espressi dalla commissione giudicatrice nell'ambito di una gara di appalto (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 10.01.2011, n. 11).
La verificazione disposta dal Giudice sul procedimento di verifica dell'anomalia non deve pertanto limitarsi ad un controllo meramente formale ed estrinseco sul procedimento amministrativo seguito dalla stazione appaltante.
2. Qualora l'impresa abbia presentato i bilanci e i libri dei cespiti, la mancata formale indicazione -in sede di giustificazione dell'offerta- del parco delle attrezzature impiegate per l'appalto, comunque aliunde desumibile, non è circostanza che renda di per sé anomala l'offerta della ricorrente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Giudizio di anomalia - Limiti del sindacato giurisdizionale - Discrezionalità tecnica - Cognizione piena del giudice amministrativo sull'attendibilità dei giudizi e apprezzamenti espressi dalla commissione giudicatrice.
2. Giudizio di anomalia - Costo delle attrezzature - Possibilità di giustificare mediante i bilanci e i libri dei cespiti.

1. In materia di giudizio di anomalia, l'area della riserva amministrativa non è violata, ove si contesti l'esistenza di errori di apprezzamento da parte della stazione appaltante, che involgono fatti anche tecnici che a detta area sono palesemente estranei.
Una volta distinta l'area della discrezionalità tecnica da quella del merito amministrativo, il giudice amministrativo ha infatti cognizione piena non solo sulle modalità (di formazione), ma anche sull'attendibilità dei giudizi e degli apprezzamenti espressi dalla commissione giudicatrice nell'ambito di una gara di appalto (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 10.01.2011, n. 11).
La verificazione disposta dal Giudice sul procedimento di verifica dell'anomalia non deve pertanto limitarsi ad un controllo meramente formale ed estrinseco sul procedimento amministrativo seguito dalla stazione appaltante.
2. Qualora l'impresa abbia presentato i bilanci e i libri dei cespiti, la mancata formale indicazione -in sede di giustificazione dell'offerta- del parco delle attrezzature impiegate per l'appalto, comunque aliunde desumibile, non è circostanza che renda di per sé anomala l'offerta della ricorrente  (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa partecipazione alla gara non costituisce, infatti, acquiescenza al capitolato ed alla lettera di invito, in quanto né il capitolato, né la 'lex specialis' della procedura concorsuale sono immediatamente lesivi al momento della presentazione dell' offerta , fatto salvo il diverso caso della previsione di clausole cosiddetti escludenti.
Gli elementi attinenti all’esperienza o alla qualifica professionale, ed in generale alla capacità tecnica, economica o finanziaria del prestatore (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualità), possono essere utilizzati unicamente ai fini della selezione. L’offerta deve invece essere valutata in base a criteri che abbiano una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servano a misurarne il valore e dunque ad individuare l’offerta più vantaggiosa, estranei dovendo restare a questa valutazione i requisiti che attengono alla capacità tecnica del prestatore, anziché alla qualità dell’offerta.
La predetta regola ha subito alcuni temperamenti in giurisprudenza, ma solo con riferimento agli appalti di servizi, il che trova giustificazione quando l’offerta tecnica non si sostanzia in un progetto o in un prodotto, ma nella descrizione di un facere, per il quale ben può essere utile la considerazione della pregressa esperienza dell’operatore, come anche dell’affidabilità della sua organizzazione d’impresa.
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Nella fase di valutazione delle offerte da parte di una commissione di gara, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è consentita quando il numero delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro le quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia sufficientemente analitica da delimitare il giudizio delle commissione nell'ambito di un minimo ed un massimo di portata tale da rendere di per sé evidente l'iter logico seguito. Ne consegue che in assenza di sub-criteri o anche di criteri di valutazione puntualmente dettagliati, la stazione appaltante non deve limitarsi ad attribuire il mero voto numerico, ma indicare in modo espresso le ragioni del giudizio svolto.

La partecipazione alla gara non costituisce, infatti, acquiescenza al capitolato ed alla lettera di invito, in quanto né il capitolato, né la 'lex specialis' della procedura concorsuale sono immediatamente lesivi al momento della presentazione dell' offerta , fatto salvo il diverso caso della previsione di clausole cosiddetti escludenti (TAR Lombardia Milano, Sez. III, 08.11.2004 n. 5701).
Nel merito, come affermato anche dalla circolare dell'01.03.2007 del Presidente del Consiglio dei Ministri, gli elementi attinenti all’esperienza o alla qualifica professionale, ed in generale alla capacità tecnica, economica o finanziaria del prestatore (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualità), possono essere utilizzati unicamente ai fini della selezione. L’offerta deve invece essere valutata in base a criteri che abbiano una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servano a misurarne il valore e dunque ad individuare l’offerta più vantaggiosa, estranei dovendo restare a questa valutazione i requisiti che attengono alla capacità tecnica del prestatore, anziché alla qualità dell’offerta (C.S. Sez. V 29.04.2009 n. 2716).
La predetta regola ha subito alcuni temperamenti in giurisprudenza, ma solo con riferimento agli appalti di servizi, il che trova giustificazione quando l’offerta tecnica non si sostanzia in un progetto o in un prodotto, ma nella descrizione di un facere, per il quale ben può essere utile la considerazione della pregressa esperienza dell’operatore, come anche dell’affidabilità della sua organizzazione d’impresa (C.S. Sez. IV 25.11.2008, n. 5808; C.S. Sez. V 12.06.2009, n. 3716).
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La giurisprudenza ha da tempo chiarito che nella fase di valutazione delle offerte da parte di una commissione di gara, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è consentita quando il numero delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro le quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia sufficientemente analitica da delimitare il giudizio delle commissione nell'ambito di un minimo ed un massimo di portata tale da rendere di per sé evidente l'iter logico seguito (C.S., Sez. V, 29.11.2005 n. 6759). Ne consegue che in assenza di sub-criteri o anche di criteri di valutazione puntualmente dettagliati, la stazione appaltante non deve limitarsi ad attribuire il mero voto numerico, ma indicare in modo espresso le ragioni del giudizio svolto (C.S. Sez. V, 03.12.2010 n. 8410) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Procedimento di verifica della congruità dell'offerta - Termini per il deposito di giustificazioni - Non perentorietà.
2. Subappalto - Individuazione subappaltatori - Può essere rimandata al momento di costituzione del rapporto contrattuale.
3. Giudizio di anomalia - In caso di prestazione già integralmente eseguita - Affidabilità dell'offerta è confermata da avvenuta esecuzione a regola d'arte.

1. Nell'ambito del procedimento di verifica della congruità dell'offerta condotto dalla stazione appaltante, i termini per il deposito delle giustificazioni richieste in detta sede non sono qualificati come perentori, mentre il termine di 10 giorni, previsto dall'art. 88 del D.Lgs. n. 163/2006, integra il termine minimo che l'Amministrazione deve concedere per dar modo al concorrente di redigere e produrre le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
2. L'art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, nel prevedere che tutte le lavorazioni sono subappaltabili e che all'atto della predisposizione dell'offerta il concorrente debba partecipare l'intenzione di subappaltare a soggetti qualificati, va interpretato nel senso che è rimandata al momento della costituzione del rapporto contrattuale l'individuazione di questi ultimi, nonché la specificazione della loro qualificazione e del possesso dei requisiti generali di partecipazione; salvo che la lex specialis non disponga diversamente (TAR Lazio, Latina, sez. I, 04.06.2009, n. 541).
3. Qualora la prestazione oggetto di appalto risulti già integralmente eseguita nei termini contrattuali, risulta definitivamente preclusa la possibilità di effettuare, ora per allora, valutazioni prognostiche di presunta anomalia dell'offerta; risultando la prestazione eventualmente suscettibile solo di una valutazione diagnostica, ossia ex post, di corretta esecuzione.
La realizzazione dell'opera a regola d'arte conferma la globale affidabilità dell'offerta (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Procedimento di verifica della congruità dell'offerta - Termini per il deposito di giustificazioni - Non perentorietà.
2. Subappalto - Individuazione subappaltatori - Può essere rimandata al momento di costituzione del rapporto contrattuale.
3. Giudizio di anomalia - In caso di prestazione già integralmente eseguita - Affidabilità dell'offerta è confermata da avvenuta esecuzione a regola d'arte.

1. Nell'ambito del procedimento di verifica della congruità dell'offerta condotto dalla stazione appaltante, i termini per il deposito delle giustificazioni richieste in detta sede non sono qualificati come perentori, mentre il termine di 10 giorni, previsto dall'art. 88 del D.Lgs. n. 163/2006, integra il termine minimo che l'Amministrazione deve concedere per dar modo al concorrente di redigere e produrre le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
2. L'art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, nel prevedere che tutte le lavorazioni sono subappaltabili e che all'atto della predisposizione dell'offerta il concorrente debba partecipare l'intenzione di subappaltare a soggetti qualificati, va interpretato nel senso che è rimandata al momento della costituzione del rapporto contrattuale l'individuazione di questi ultimi, nonché la specificazione della loro qualificazione e del possesso dei requisiti generali di partecipazione; salvo che la lex specialis non disponga diversamente (TAR Lazio, Latina, sez. I, 04.06.2009, n. 541).
3. Qualora la prestazione oggetto di appalto risulti già integralmente eseguita nei termini contrattuali, risulta definitivamente preclusa la possibilità di effettuare, ora per allora, valutazioni prognostiche di presunta anomalia dell'offerta; risultando la prestazione eventualmente suscettibile solo di una valutazione diagnostica, ossia ex post, di corretta esecuzione.
La realizzazione dell'opera a regola d'arte conferma la globale affidabilità dell'offerta (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTII termini per il deposito delle giustificazioni richieste in sede di verifica della congruità dell'offerta non sono qualificati come perentori, mentre il termine di 10 giorni, previsto dall'art. 88 del d.lgs. n. 163 del 2006, integra il termine minimo che l'Amministrazione deve concedere per dar modo al concorrente di redigere e produrre le proprie giustificazioni.
Non possono, di conseguenza, ritenersi violate le regole procedimentali laddove l’Amministrazione, a fronte di una verifica che richiede accertamenti complessi, abbia ripetutamente richiesto alla concorrente di integrare e chiarire le giustificazioni.
Le esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria relativa alla verifica delle offerte ritenute anomale ben possono fondare la dilatazione di termini procedimentali.
Il principio di continuità della procedura ad evidenza pubblica ha valenza solo orientativa, potendo essere derogato sia in ragione della complessità delle operazioni di gara (quali, appunto, quelle ricomprese nel subprocedimento di verifica di anomalia), sia in presenza di situazioni particolari che impediscano la concentrazione delle stesse operazioni in una sola seduta (quale, appunto, l'insufficienza delle giustificazioni esaminate).
Il surrichiamato principio, che pure costituisce esplicazione dei più generali principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e correttezza dell'operato dell'Amministrazione può, in concreto, subire eccezioni in particolari situazioni che, come nel caso di specie, obiettivamente impediscono la conclusione delle operazioni di gara in una sola seduta.
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L'art. 118 del D.lgs. 12.04.2006 n. 163, nel prevedere che tutte le lavorazioni sono subappaltabili e che all'atto della predisposizione dell'offerta il concorrente debba partecipare l'intenzione di subappaltare a soggetti qualificati, va interpretato nel senso che è rimandata al momento della costituzione del rapporto contrattuale l'individuazione di questi ultimi, nonché la specificazione della loro qualificazione e del possesso dei requisiti generali di partecipazione.
Nelle ipotesi di subappalto di lavori per i quali l'offerente non possegga la qualificazione obbligatoriamente prevista dal bando, la dichiarazione circa l'intenzione di avvalersi del subappalto al fine di integrare i requisiti di capacità tecnico-organizzativa prescritti a pena di esclusione deve necessariamente contenere i dati identificativi del subappaltatore ed essere accompagnata dalla dichiarazione circa il possesso della prescritta qualificazione, anche nelle ipotesi in cui il bando nulla disponga in tal senso.

Quanto alle dedotte criticità relative al procedimento di verifica della congruità dell’offerta si osserva che i termini per il deposito delle giustificazioni richieste in detta sede non sono qualificati come perentori, mentre il termine di 10 giorni, previsto dall'art. 88 del d.lgs. n. 163 del 2006, integra il termine minimo che l'Amministrazione deve concedere per dar modo al concorrente di redigere e produrre le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
Non possono, di conseguenza, ritenersi violate le regole procedimentali laddove l’Amministrazione, a fronte di una verifica che, come nel caso di specie, richiedeva accertamenti complessi, abbia ripetutamente richiesto alla concorrente di integrare e chiarire le giustificazioni.
Le esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria relativa alla verifica delle offerte ritenute anomale ben possono fondare la dilatazione di termini procedimentali.
Il principio di continuità della procedura ad evidenza pubblica ha valenza solo orientativa, potendo essere derogato sia in ragione della complessità delle operazioni di gara (quali, appunto, quelle ricomprese nel subprocedimento di verifica di anomalia), sia in presenza di situazioni particolari che impediscano la concentrazione delle stesse operazioni in una sola seduta (quale, appunto, l'insufficienza delle giustificazioni esaminate).
Il surrichiamato principio, che pure costituisce esplicazione dei più generali principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e correttezza dell'operato dell'Amministrazione può, in concreto, subire eccezioni in particolari situazioni che, come nel caso di specie, obiettivamente impediscono la conclusione delle operazioni di gara in una sola seduta (cfr. in termini: TAR Campania Napoli, sez. VIII, 02.07.2010, n. 16568).
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L'art. 118 del D.lgs. 12.04.2006 n. 163, nel prevedere che tutte le lavorazioni sono subappaltabili e che all'atto della predisposizione dell'offerta il concorrente debba partecipare l'intenzione di subappaltare a soggetti qualificati, va interpretato nel senso che è rimandata al momento della costituzione del rapporto contrattuale l'individuazione di questi ultimi, nonché la specificazione della loro qualificazione e del possesso dei requisiti generali di partecipazione (TAR Lazio Latina, sez. I, 04.06.2009, n. 541).
Il Collegio non ignora l’esistenza di giurisprudenza più restrittiva, secondo cui nelle ipotesi di subappalto di lavori per i quali l'offerente non possegga la qualificazione obbligatoriamente prevista dal bando, la dichiarazione circa l'intenzione di avvalersi del subappalto al fine di integrare i requisiti di capacità tecnico-organizzativa prescritti a pena di esclusione deve necessariamente contenere i dati identificativi del subappaltatore ed essere accompagnata dalla dichiarazione circa il possesso della prescritta qualificazione, anche nelle ipotesi in cui il bando nulla disponga in tal senso (TAR Molise Campobasso, sez. I, 23.09.2010, n. 1051); tuttavia osserva che la fattispecie sottoposta all’esame del Collegio nel caso di specie è radicalmente diversa da quella esaminata dal TAR molisano nell’indicata pronuncia, in cui la ditta concorrente aveva effettuato una generica dichiarazione di volersi avvalere del subappalto senza alcuna ulteriore specificazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'interesse perseguito dal legislatore con l’art. 38 dlgs 163/2006 è quello di verificare la condotta di coloro che determinano effettivamente le scelte all'interno dell'impresa, essendo necessario esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite.
D’altra parte si sono registrati in giurisprudenza anche orientamenti di segno contrario intesi a limitare la sussistenza dell'obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società.
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel dar conto dei diversi orientamenti formatisi in giurisprudenza, sulla base della lettura comparata della disciplina civilistica delle società e della ratio sottesa all’art. 38 del codice dei contratti, ha ritenuto di dover aderire alla seconda tesi, che limita l'applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali.
La soluzione prescelta, secondo la V Sezione del Consiglio di Stato, “oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l'obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti.”
Il Collegio ritiene di aderire al più recente filone interpretativo, essendone condivisibili le sottese esigenze di funzionalità delle pubbliche gare.
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Il comma 1 dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione; da ciò deve farsi discendere che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, ope legis, l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la lex specialis non preveda espressamente la sanzione dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui all’art. 38, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile di fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.

Dalla lettura della visura camerale della ricorrente emerge che la procuratrice speciale Silvia Seveso è dotata di ampi poteri tra i quali quello di rappresentare la società in tutti gli atti nei confronti della pubblica amministrazione riguardanti la gestione dei contratti.
La Sezione in passato si è espressa nel senso di ritenere che l'interesse perseguito dal legislatore con l’art. 38 sia quello di verificare la condotta di coloro che determinano effettivamente le scelte all'interno dell'impresa, essendo necessario esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 25.03.2010, n. 729; in termini v. anche Cons. Stato, Sez. V, 16.11.2010, n. 8059; id. Sez. VI, 08.02.2007, n. 523).
D’altra parte si sono registrati in giurisprudenza anche orientamenti di segno contrario intesi a limitare la sussistenza dell'obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (TAR Basilicata, Sez. I, 22.04.2009, n. 131; TAR Liguria, Sez. II, 11.07.2008, n. 1485; TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, 08.07.2008, n. 379).
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel dar conto dei diversi orientamenti formatisi in giurisprudenza, sulla base della lettura comparata della disciplina civilistica delle società e della ratio sottesa all’art. 38 del codice dei contratti, ha ritenuto di dover aderire alla seconda tesi, che limita l'applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali (cons. Stato, sez. V, 21.11.2011, n. 6136; v. anche id., 24.03.2011, n. 1782 e 25.01.2011, n. 513).
La soluzione prescelta, secondo la V Sezione del Consiglio di Stato, “oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l'obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti.”
Il Collegio ritiene di aderire al più recente filone interpretativo, essendone condivisibili le sottese esigenze di funzionalità delle pubbliche gare.
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D’altra parte, anche in mancanza di esplicita adesione andrebbe tenuto presente che il comma 1 dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione; da ciò deve farsi discendere che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, ope legis, l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la lex specialis non preveda espressamente la sanzione dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui all’art. 38, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile di fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (da ultimo: Cons. Stato, sez. V, 24.11.2011, n. 6240; anche id. 09.11.2010, n. 7967).
Nel caso di specie il disciplinare di gara richiedeva che le dichiarazioni, tra cui quella “di non trovarsi in alcuna delle condizioni di esclusione indicate dall’art. 38 del D.Lgs. 163/2006”, “devono essere sottoscritte dal legale rappresentante o dal titolare o procuratore in caso di concorrente singolo”.
D’altra parte la ricorrente ha prodotto il certificato generale del casellario giudiziale a nome di ... dal quale non risultano precedenti penali a suo carico (doc. n. 5 del fascicolo di parte ricorrente); ne consegue che, applicando il richiamato principio al caso di specie, la mancanza della relativa dichiarazione può in ogni caso considerarsi innocua (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZICosti per la sicurezza - Rischi da interferenza e rischi relativi all'organizzazione dell'appaltatore - Soggetti obbligati alla quantificazione.
I costi concernenti la sicurezza sul lavoro negli appalti di servizi si distinguono in due gruppi. Da un lato, essi debbono corrispondere ai cosiddetti rischi da interferenza derivanti dallo svolgimento del servizio presso la stazione appaltante, previsti dall'art. 26 del D.Lgs. 81/2008: tali costi vanno quantificati dalla stazione appaltante, a pena di illegittimità della procedura. Dall'altro, vi sono i costi relativi all'organizzazione interna dell'appaltatore, che questi è invece tenuto ad indicare ex lege, quand'anche il capitolato non lo preveda espressamente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Costi per la sicurezza - Rischi da interferenza e rischi relativi all'organizzazione dell'appaltatore - Soggetti obbligati alla quantificazione.
2. Attribuzione al seggio di gara del compito di aprire le buste contenenti offerte tecniche ed economiche e di esaminare le offerte economiche - Legittimità.

1. I costi concernenti la sicurezza sul lavoro negli appalti di servizi si distinguono in due gruppi. Da un lato, essi debbono corrispondere ai cosiddetti rischi da interferenza derivanti dallo svolgimento del servizio presso la stazione appaltante, previsti dall'art. 26 del D.Lgs. 81/2008: tali costi vanno quantificati dalla stazione appaltante, a pena di illegittimità della procedura. Dall'altro, vi sono i costi relativi all'organizzazione interna dell'appaltatore, che questi è invece tenuto ad indicare ex lege, quand'anche il capitolato non lo preveda espressamente.
2. E' legittima la previsione del capitolato che attribuisce al Seggio di Gara, e non alla Commissione Tecnica, il compito di aprire le buste contenenti offerte tecniche ed economiche e di esaminare le offerte economiche.
La giurisprudenza ha già precisato che, nell'ipotesi di aggiudicazione secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla impedisce che il disciplinare di gara attribuisca al Seggio, e non alla Commissione, il compito di applicare meccanicamente i criteri di attribuzione matematica del punteggio relativo al prezzo offerto, atteso che in tale operazione non si esercita alcuna discrezionalità (Tar Lombardia, Brescia, 10.02.2011, n. 244).
Tale conclusione è valida anche con riguardo alla fase di mera apertura della busta contenente la documentazione amministrativa e l'offerta tecnica, al solo scopo di verificare, con operazione altrettanto priva di discrezionalità, l'inserimento di quanto richiesto dal capitolato speciale. Ciò che invece è necessario riservare alla Commissione è la sola valutazione dell'offerta, in quanto espressiva di discrezionalità tecnica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAttribuzione al seggio di gara del compito di aprire le buste contenenti offerte tecniche ed economiche e di esaminare le offerte economiche - Legittimità.
E' legittima la previsione del capitolato che attribuisce al Seggio di Gara, e non alla Commissione Tecnica, il compito di aprire le buste contenenti offerte tecniche ed economiche e di esaminare le offerte economiche.
La giurisprudenza ha già precisato che, nell'ipotesi di aggiudicazione secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nulla impedisce che il disciplinare di gara attribuisca al Seggio, e non alla Commissione, il compito di applicare meccanicamente i criteri di attribuzione matematica del punteggio relativo al prezzo offerto, atteso che in tale operazione non si esercita alcuna discrezionalità (Tar Lombardia, Brescia, 10.02.2011, n. 244).
Tale conclusione è valida anche con riguardo alla fase di mera apertura della busta contenente la documentazione amministrativa e l'offerta tecnica, al solo scopo di verificare, con operazione altrettanto priva di discrezionalità, l'inserimento di quanto richiesto dal capitolato speciale. Ciò che invece è necessario riservare alla Commissione è la sola valutazione dell'offerta, in quanto espressiva di discrezionalità tecnica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl DURC attesta solo irregolarità contributive “definitivamente accertate” che superano la “soglia di gravità” fissata dal D.M. 24.10.2007.
L'impresa dev’essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e deve conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante, pena la vanificazione del principio della par condicio, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva.
Le imprese che partecipano a gare pubbliche d’appalto, allorché rendano autodichiarazioni previste dalla legge o dal bando, hanno l’onere di rendersi particolarmente diligenti nel verificare preliminarmente (attraverso la documentazione in loro possesso od anche accedendo ai dati dei competenti uffici) che queste trovino esatto riscontro nelle banche dati degli istituti previdenziali, posto che, in proposito, non sono esperibili ulteriori indagini da parte delle amministrazioni, né in ordine all’elemento psicologico (se cioè la discrepanza sia dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore), né alla gravità della violazione.
La disposizione di cui all’art. 38, comma 1, lett. i), del D.lgs. n. 163/2006, dev’essere interpretata nel senso che il concorrente, in presenza di un bando di gara che richieda genericamente una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui alla citata lett. i), possa essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l’eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato e cioè che non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, autonomamente dalle risultanze del DURC, mediante accertamenti ulteriori.

E' pacifico in giurisprudenza che:
- il DURC attesta solo irregolarità contributive “definitivamente accertate” che superano la “soglia di gravità” fissata dal D.M. 24.10.2007 (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 04.08.2009 n. 4906);
- l’impresa dev’essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e deve conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante, pena la vanificazione del principio della par condicio, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2005 n. 4817, 30.01.2006 n. 288, 19.06.2006 n. 3660 e 31.05.2007 n. 2876; Sez. V, 22.10.2007 n. 5511 e Sez. VI, 26.01.2009; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 23.07.2009 n. 4269);
- le imprese che partecipano a gare pubbliche d’appalto, allorché rendano autodichiarazioni previste dalla legge o dal bando, hanno l’onere di rendersi particolarmente diligenti nel verificare preliminarmente (attraverso la documentazione in loro possesso od anche accedendo ai dati dei competenti uffici) che queste trovino esatto riscontro nelle banche dati degli istituti previdenziali, posto che, in proposito, non sono esperibili ulteriori indagini da parte delle amministrazioni, né in ordine all’elemento psicologico (se cioè la discrepanza sia dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore), né alla gravità della violazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17.04.2003 n. 2081 e 09.12.2002 n. 6768; TAR Puglia, Bari, 03.07.2008 n. 1622);
- la disposizione di cui all’art. 38, comma 1, lett. i), del D.lgs. n. 163/2006, dev’essere interpretata nel senso che il concorrente, in presenza di un bando di gara che richieda genericamente una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui alla citata lett. i), possa essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l’eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato e cioè che non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, autonomamente dalle risultanze del DURC, mediante accertamenti ulteriori (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2011, n. 4053) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1995 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIL’accorpamento dei livelli di progettazione, previsti dall’art. 93 del d.lgs. n. 163/2006, può risolversi in una mera irregolarità che non ridonda in un profilo di illegittimità dell’atto, salvo che venga dedotto che le finalità, oggetto di tutela, siano state effettivamente messe a repentaglio a seguito dell’unificazione di qualcuna delle fasi.
Le norme citate non escludono, insomma, che le fasi progettuali o alcune di esse siano elaborate in un unico contesto quando i lavori abbiano carattere di urgenza e indifferibilità e a condizione che la concentrazione delle fasi non si risolva in lacune o imprecisioni.

Come già statuito dal giudice amministrativo (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 02.03.2009, n. 2134), è ormai acquisito in giurisprudenza che l’accorpamento dei livelli di progettazione previsti dall’art. 93 del d.lgs. n. 163/2006, può risolversi in una mera irregolarità che non ridonda in un profilo di illegittimità dell’atto, salvo che venga dedotto che le finalità, oggetto di tutela, siano state effettivamente messe a repentaglio a seguito dell’unificazione di qualcuna delle fasi (così ad esempio, TAR Lombardia, sez. II, 28.01.2005, n. 164).
Le norme citate non escludono, insomma, che le fasi progettuali o alcune di esse siano elaborate in un unico contesto quando i lavori abbiano carattere di urgenza e indifferibilità e a condizione che la concentrazione delle fasi non si risolva in lacune o imprecisioni (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27.03.2002, n. 1742, sia pure con riferimento all’omologa previsione dell’art. 16 della l. n. 109/1994) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1984 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La verifica di anomalia dell’offerta costituisce un sub-procedimento formalmente distinto (ancorché collegato) rispetto al procedimento di evidenza pubblica di individuazione della proposta migliore, e si esprime in un’indagine di contenuto tecnico-economico secondo una precisa ratio di fondo che è quella di evitare l’aggiudicazione a prezzi tali da non garantire la qualità del lavoro, fornitura o servizio oggetto di affidamento.
Il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto. Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.

Osserva preliminarmente il Collegio che la verifica di anomalia dell’offerta costituisce un sub-procedimento formalmente distinto (ancorché collegato) rispetto al procedimento di evidenza pubblica di individuazione della proposta migliore, e si esprime in un’indagine di contenuto tecnico-economico secondo una precisa ratio di fondo che è quella di evitare l’aggiudicazione a prezzi tali da non garantire la qualità del lavoro, fornitura o servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme (Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6495) e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (Consiglio di Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV – 20/05/2008 n. 2348). Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146; sentenza Sezione 10/08/2011 n. 1242, che risulta appellata) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti, limiti per la concorrenza. Da gennaio innalzamento degli importi per l'aggiudicazione. Adeguamento annuale delle soglie per l'applicazione delle direttive Ue sui contratti pubblici.
Dall'01.01.2012 aumentano le soglie per l'applicazione delle direttive europee sugli appalti pubblici; sale a 200 mila (da 193 mila) la soglia per appalti di forniture e servizi e a 5 milioni di euro (da 4.8845.000) quella per i lavori.
È quanto prevede il Regolamento Ue n. 1251/2011 della Commissione del 30.11.2011, che modifica alcune norme delle direttive 2004/17/Ce, 2004/18/Ce e 2009/81/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio adeguando le soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori, forniture e servizi.
Si tratta dell'adeguamento annuale (qualche migliaia di euro) conseguente all'applicazione del cosiddetto Accordo Omc stipulato dalla Commissione europea nel 1994. In questo accordo il termine di riferimento era il Dsp (Diritto speciale di prelievo) e con riguardo ad esso si erano stabiliti gli importi (soglie) superati i quali le amministrazioni dei diversi Paesi firmatari (oltre all'Unione europea, ad esempio, gli Stati Uniti, il Giappone e molti altri paesi) devono aprire il loro mercato alla concorrenza straniera. Il regolamento europeo ha quindi lo scopo di allineare le soglie per garantire che corrispondano al controvalore in euro, arrotondato al migliaio più vicino, delle soglie di cui all'accordo espresse in Dsp.
Ecco quindi l'intervento sul corpus delle direttive 2004/17 e 18, nonché della direttiva 2009/81 sugli appalti nel settore della sicurezza e difesa. Le nuove soglie, applicabili dal prossimo primo gennaio 2012, prevedono quindi che nei settori ordinari, per servizi e forniture affidate dalle amministrazioni centrali, si passi dal valore di 125 mila a quello di 130 mila euro; per appalti pubblici di servizi e forniture affidati da tutte le altre amministrazioni, l'aumento sarà da l93 mila a 200 mila euro, mentre per i lavori si passa da 4.845.000 a 5 milioni di euro.
Nei settori «speciali» (acqua, energia e trasporti), per servizi e forniture si passa da 387 mila a 400 mila euro. Uguali le soglie per la direttiva 81 negli appalti di servizi e forniture il valore è a 400 mila euro, mentre per i lavori è a 5 milioni.
Superati questi valori le amministrazioni saranno quindi tenute ad applicare alcune specifiche parti del Codice dei contratti pubblici e, in particolare, il titolo primo del Codice che (articoli 28-120) ha riguardo ai contratti di «rilevanza comunitaria». Si tratta di disposizioni che, per garantire la concorrenza nel mercato interno dell'Unione, prevedono, ad esempio, la pubblicazione dei bandi di gara sulla Gazzetta Ufficiale europea, termini per la partecipazione alle gare più lunghi rispetto a quelli (spesso molto brevi) previsti per le procedure di aggiudicazione esperite a livello nazionale.
Va ricordato che sotto la soglia comunitaria anche per altre materie (ad esempio i criteri di aggiudicazione) la disciplina nazionale è meno rigida di quella europea, tanto che le direttive europee prevedono un preciso divieto di suddivisione artificiosa dell'appalto al fine di evitare di eludere, quanto meno, gli obblighi di pubblicità comunitaria (articolo ItaliaOggi del 14.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Contratti pubblici. Attività di SOA e di certificatore, dubbi sul conflitto di interessi.
Non è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 40, comma 3, D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle Società organismo attestazione, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di S.O.A. e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una S.O.A.
Con sentenza 13.12.2011 n. 9717, la I Sez. del TAR Lazio-Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., dell'art. 40 comma 3 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle Società organismo attestazione, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di S.O.A. e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una S.O.A.
L'art. 40, co. 3, infatti, prevede come il sistema di qualificazione sia attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall'Autorità, specificando che l'attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l'assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori, sicché, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA.
A tali conclusioni i giudici romani sono giunti sulla base delle considerazioni che seguono.
L'art. 41 Cost. sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma).
L'iniziativa economica privata e l'intervento pubblico nell'economia come delineato nella Costituzione, quindi, possono coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini sociali e di benessere collettivo.
Ne consegue che l'esercizio della libertà economica privata può essere limitato, ma solo per ragioni di utilità sociale, sicché il rispetto della norma costituzionale postula che l'imposizione di limiti deve rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, i limiti posti alla libertà di iniziativa economica privata, per essere legittimi, devono essere diretti a tutelare, con carattere di adeguatezza e proporzionalità, altri valori di rilevanza costituzionale.
Ora, se non c'è dubbio che nella fattispecie in esame i limiti discendenti dalla norma di legge, essendo volti a garantire la neutralità e l'imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, sono in linea di massima certamente aderenti a valori di rilievo costituzionale, come la concorrenza, ed ai principi comunitari, occorre però rilevare che lo stesso risultato di indipendenza e neutralità potrebbe essere messo a rischio non già dalla teorica possibilità per uno stesso gruppo societario di attestare sia la certificazione di qualità che i requisiti di qualificazione, ma dalla concreta ipotesi che tale duplice attività sia svolta nei confronti della medesima impresa.
In altri termini, se è vero che potrebbe sussistere un vulnus alla fondamentale esigenza della imparzialità e della indipendenza della SOA nell'accertamento del possesso della certificazione di qualità in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia stata rilasciata da un soggetto che partecipa alla SOA stessa, facendo parte della relativa compagine societaria, è altrettanto vero che tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attività siano svolte nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare.
Pertanto, se è certamente ragionevole e proporzionato che le due attività in discorso non possano essere svolte da uno stesso soggetto nei confronti della medesima impresa, appare invece sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla norma e, per tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una società, o un gruppo societario con un medesimo centro di imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attività, senza prevedere invece tale possibilità con il limite del divieto di svolgimento nei confronti della stessa impresa.
D'altra parte, la soluzione ipotizzata era quella già delineata dal legislatore della legge quadro del 1994, prima delle modifiche legislative intervenute con l. 166/2002, e la stessa, ad avviso del Collegio, sembra più congrua e proporzionata e, quindi, maggiormente idonea a garantire l'equilibrio tra tutti i valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie.
La norma in discorso sembra parimenti contrastare con l'art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i soggetti dell'ordinamento, in quanto si traduce in una disparità di trattamento tra gli operatori economici laddove agli organismi di certificazione preclude sic et simpliciter la possibile partecipazione al capitale delle SOA anche nell'ipotesi in cui, ove previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione nei confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus ai principi di imparzialità ed indipendenza e gli altri soggetti che possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA. In altri termini, la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini.
Nel caso di specie -atteso che il principio di indipendenza ed imparzialità sembra poter essere efficacemente tutelato con una previsione normativa volta ad escludere lo svolgimento delle attività di certificazione e di attestazione nei confronti di una medesima impresa, mentre, come detto, il divieto assoluto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale delle SOA appare sproporzionato e debordante rispetto alla finalità perseguita dalla norma- il trattamento differente riservato agli organismi di certificazioni appare violativo del canone di ragionevolezza al quale la discrezionalità del legislatore deve ontologicamente ispirarsi (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIConseguenze della presenza del rappresentante dell'impresa esclusa alle seduta di gara.
Se l’impresa assiste, tramite proprio rappresentante, alla seduta in cui vengono adottate le determinazioni sulle offerte anomale, è in detta seduta che l’impresa acquisisce la piena conoscenza del provvedimento, ed è dalla data di detta seduta che decorre il termine per impugnare il provvedimento medesimo; la presenza di un rappresentante della ditta partecipante alla gara di appalto nella riunione nella quale la commissione giudicatrice ha escluso la ditta stessa dalla competizione non comporta ex se piena conoscenza dell’atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione solo qualora non risulti che il rappresentante stesso era munito di mandato ad hoc, oppure rivestiva una specifica carica sociale, per cui la conoscenza avuta dal medesimo doveva ritenersi riferibile alla società concorrente (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.12.2011 n. 6531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa stazione appaltante decide sull'esclusione dalla gara per anomalia dell'offerta.
Le operazioni tecniche di verifica di anomalia possono essere condotte direttamente dalla stazione appaltante, o da apposita commissione all’uopo nominata, che può essere diversa dalla commissione di gara (artt. 88, comma 1-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 e 121, commi 2 e 5, d.P.R. 05.10.2010, n. 207).
In ogni caso, l’esclusione per anomalia non è mai atto di competenza della commissione incaricata della verifica di anomalia, ma sempre della stazione appaltante e per essa del soggetto che presiede la gara (artt. 88, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 121, comma 3, d.P.R. n. 207 del 2010) (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.12.2011 n. 6531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità delle operazioni di apertura e valutazione delle offerte integrative gestite monocraticamente dal responsabile del procedimento, anziché dalla commissione di gara.
Per commissione di gara, anche sulla base della normativa di settore, si dove intendere senz'altro un organo a struttura collegiale, e non un organo monocratico.
Pertanto, nel caso di specie, sono illegittime le operazioni di gara per violazione della disciplina di gara, atteso che -come dettagliatamente evidenziato nella sentenza appellata- numerose fasi valutative della procedura di gara sono state gestite monocraticamente dal responsabile del procedimento (sia pure assistito di volta in volta da un funzionario più esperto per i profili da affrontare), anziché dall'organo collegiale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.12.2011 n. 6523 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Potere della commissione giudicatrice di introdurre elementi di specificazione dei criteri generali di valutazione delle offerte e fissare il metodo di attribuzione dei punteggi.
Nel caso di gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la commissione giudicatrice può introdurre elementi di specificazione e integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte già indicati nel bando di gara o nella lettera d'invito, oppure fissare sottocriteri di adattamento di tali criteri o regole specifiche sulle modalità di valutazione, a condizione però che vi provveda prima dell'apertura delle buste recanti le offerte stesse e che non introduca nuovi elementi di valutazione non previsti dal bando (1). In particolare, è ammissibile che la commissione di gara, prima dell'apertura dei plichi contenenti le offerte, specifichi i criteri motivazionali previsti dal bando (2).
Nel caso di gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, può ritenersi ammesso che la commissione di gara fissi la metodologia di attribuzione dei punteggi, per rendere più trasparente il proprio apprezzamento, a garanzia della par condicio dei concorrenti; la mancata fissazione dei criteri motivazionali, d'altra parte, non inficia l'operato della medesima commissione, ove quest'ultima fornisca comunque un'argomentata motivazione circa i giudizi formulati.
Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, disciplinato dalla normativa comunitaria e nazionale, non presuppone inderogabilmente una puntualizzazione dei criteri di valutazione delle offerte a tal punto dettagliati da predeterminare in maniera rigida e stringente il giudizio sulle singole voci, quasi a trasformarsi, anche in rapporto alla valutazione del merito tecnico, in un criterio automatico di selezione; invero, l'art. 83, del D.L.vo n. 163 del 2006 impone alla stazione appaltante di valutare le offerte secondo parametri attinenti all'oggetto dell'appalto sotto il profilo quantitativo (prezzo, costo di utilizzazione, redditività, data di consegna, termine di esecuzione) e sotto il profilo qualitativo (qualità, pregio tecnico, caratteristiche estetiche, funzionali ed ambientali, servizio successivo, assistenza tecnica).
Nel caso di gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per ciò che concerne l'esame dell'aspetto qualitativo, la stazione appaltante, onde identificare in concreto l'offerta economicamente più vantaggiosa, può considerare ogni singolo elemento offerto, valutandone ogni concreta ed effettiva caratteristica e qualità con diretta incidenza ed utilità rispetto a quello da aggiudicarsi, trattandosi pur sempre dell'aspetto qualitativo dell'offerta e dovendosi scegliere quella concretamente più vantaggiosa per la p.a. (3).
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(1) Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005, C-331/04, secondo cui la commissione di gara può integrare e specificare i criteri di bando, con il solo limite di non poter introdurre nuovi criteri di qualificazione, né modificare i limiti di punteggio massimo e minimo stabiliti nel bando.
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.07.2010 n. 4502; sez. V, 16.06.2010 n. 3806; sez. VI, 17.05.2010 n. 3052; sez. VI, 11.03.2010 n. 1443; sez. V, 15.02.2010 n. 810
(3) Cons. Stato, sez. VI, 15.09.2011, n. 5157; sez. V, 08.09.2008, n. 4271; 11.05.2010, n. 2826
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.12.2011 n. 1281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl rapporto di coniugio tra l'amministratore di una società ed un mafioso non basta per affermare l'esistenza di un pericolo di inquinamento mafioso a carico della società.
Nell’ambito dell’informativa prefettizia antimafia, al fine della sussistenza di un pericolo di inquinamento mafioso nell’ambito di una società, gli indizi devono avere un ragionevole grado di attendibilità, serietà e concordanza. Il solo rapporto di coniugio tra l’amministratore della società e un soggetto indagato, imputato o condannato per mafia, è un indizio rilevante, ma che deve essere corroborato da altri riscontri, atteso che il solo rapporto di coniugio non comprova senz’altro il pericolo di infiltrazione criminale (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.12.2011 n. 6497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZICorte dei conti Lombardia. Vietato «allungare» il contratto di servizio all'in house che gestisce funzioni strumentali. Niente proroga dell'affido diretto. No alla raccolta rifiuti, anche se a tempo, per la partecipata con doppia attività.
EFFETTI A CASCATA/ Impossibile riassorbire il personale non trasferito con l'esternalizzazione perché l'operazione è finanziariamente onerosa.

Niente affidamento diretto del servizio rifiuti alla propria partecipata che svolga sia attività nell'ambito dei servizi pubblici locali, sia servizi strumentali all'attività degli enti soci. E neppure proroga in via eccezionale del servizio nelle more del riassetto societario necessario per adeguare l'oggetto sociale dell'in house ai vincoli dell'articolo 13 del Dl 223/2006 proprio per evitare questa doppia attività.
Questo il principio ribadito dalla Corte dei conti, sezione controllo della Lombardia, nel parere 12.12.2011 n. 653, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti inviata da un Comune in merito alla possibilità di rinnovo dell'affidamento diretto alla propria in house –nelle more della scadenza del contratto di servizio– nonostante la società gestisse sia servizi pubblici, sia attività strumentali.
La richiesta
Il Comune aveva anche precisato che tale partecipata «effettivamente non si era ancora attivata per allinearsi ai dettati normativi di cui all'articolo 13 del Dl 223/2006, in quanto il termine del 04.01.2010... è caduto in periodo di scadenza del vecchio consiglio di amministrazione e del vecchio collegio sindacale».
L'ente aveva comunque manifestato la volontà di apportare le modifiche statutarie e attuare il riassetto societario necessario per garantire la legittima gestione dei servizi: queste modifiche, tuttavia, non potevano diventare operative entro la scadenza del contratto di servizio e non essendo più in tempo per procedere a una gara, l'ente locale aveva manifestato l'intenzione di affidare direttamente il servizio e adeguare lo statuto solo successivamente.
Il Comune, infine, aveva chiesto ai magistrati contabili se, in caso di risposta negativa, era possibile riassumere direttamente il servizio, assorbendo il personale dalla società, anche se non aveva rispettato il patto di stabilità nel 2010 e nel 2011.
La risposta
La Corte ha chiarito preliminarmente che l'eventuale ritorno alla gestione diretta, con conseguente assorbimento dei dipendenti della società, non risulta ammissibile non avendo il Comune trasferito il proprio personale, al momento dell'esternalizzazione del servizio, ma avendolo ricollocato all'interno dell'ente con diverse mansioni.
La dotazione organica del Comune quindi non è stata diminuita all'epoca e, pertanto, la prospettata ipotesi di reinternalizzazione del servizio, con contestuale assunzione di nuove unità di personale, è un'operazione finanziariamente non neutra per le casse comunali.
Inoltre, la Corte ha ribadito che gli enti che non rispettano il patto di stabilità interno non possono comunque assumere.
Per quanto riguarda la possibilità di poter prorogare l'affidamento del servizio nelle more degli adempimenti obbligatori dello statuto della partecipata, i magistrati hanno definito incompatibile con l'attuale assetto legislativo il fatto che la società svolga servizi pubblici locali e strumentali in contemporanea. Le società strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati poiché, in caso contrario, si verificherebbe un'alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all'interno del mercato locale di riferimento.
Era onere degli enti intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali ovvero l'affidamento a terzi con gara dei servizi pubblici locali a rilevanza economica o, ancora, la creazione di distinti organismi societari per la gestione in modo separato delle attività strumentali e dei servizi pubblici locali.
La Corte ha chiarito quindi che gli enti, che detengono partecipazioni in società che gestiscano contestualmente le due attività, non possono affidare legittimamente a tali in house la gestione di alcun servizio (articolo Il Sole 24 Ore del 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIMini Comuni con appalti «unici». Dall'01.04.2012 centrale di committenza d'obbligo per gli enti fino a 5mila abitanti.
In base all'articolo 23, comma 4, del Dl 201/2011 (la cosiddetta "manovra salva Italia"), i Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti dovranno affidare l'acquisizione di lavori, servizi e forniture a un'unica centrale di committenza (articolo 33 del Codice dei contratti) nell'ambito delle Unioni dei Comuni, ove esistenti, o tramite convenzione; tale nuovo obbligo si applica alle gare bandite successivamente al 31.03.2012 (articolo 23, comma 5).
Occorre mettere in correlazione le nuove disposizioni con la normativa generale sulle gestioni associate, che prescrive obblighi e scadenze differenziate:
– i Comuni con popolazione fino a mille abitanti devono gestire in forma associata tutte le funzioni, compresa dunque la gestione degli appalti (articolo 16 del Dl 138/2011);
– i Comuni con popolazione superiore a mille e fino a 5mila abitanti devono gestire in forma associata le «funzioni fondamentali», tra cui gli appalti (articolo 14 del Dl 78/2010, corretto dalla manovra 2011). È controversa la rilevanza, a questi fini, della percentuale del 70% delle spese fissata nell'articolo 21 della legge 42/2009; il decreto legge 201/2011 cancella ogni perplessità in materia di appalti, costringendo tutti gli enti con popolazione fino a 5mila abitanti ad associare il servizio.
Resta, infine, la facoltà per i Comuni sopra la soglia di 5mila abitanti di partecipare alla gestione associata in esame.
Il versante organizzativo.
Sotto il profilo organizzativo occorre dare applicazione da un lato alle disposizioni del regolamento attuativo del Codice degli appalti (articoli 274, 306, 307, 312 del Dpr 207 del 05.10.2010) e, dall'altro, al Dpcm 30.06.2011, in cui viene disciplinata la stazione unica appaltante (Sua).
Alla luce di tali normative si ritiene che tutti gli atti di gara, dal bando all'aggiudicazione finale, debbano essere adottati dal responsabile del servizio appalti dell'Unione, che deve essere pienamente responsabilizzato su tali procedure e sui relativi adempimenti; nelle semplice convenzioni ex articolo 30 del Tuel, gli atti vanno adottati dall'organo gestionale del Comune capofila o da un ufficio comune costituito dai Comuni aderenti.
Il singolo Comune resta responsabile delle fasi che precedono e seguono la gara. Anzitutto programma le attività da realizzare, accantonando le risorse necessarie, definisce i contenuti progettuali, e in particolare i capitolati. Programmi e progetti devono essere comunicati per tempo alla Sua, ai fini di un'efficace gestione degli affidamenti. Successivamente, l'ente diretto destinatario della prestazione oggetto della gara stipula e roga (tramite la propria segreteria comunale) il contratto di cui esso è parte e ne verifica la corretta esecuzione.
Altre soluzioni appaiono a rischio d'illegittimità per violazione di legge.
I rapporti tra Sua ed ente aderente devono essere regolati da apposite convenzioni.
Gli scopi.
L'obiettivo della normativa in esame è triplice:
– una maggiore celerità delle procedure di gara, grazie a una struttura unica specializzata;
– una significativa ottimizzazione delle risorse e, quindi, un conseguente risparmio, concentrando in un'unica struttura quegli adempimenti che normalmente vengono curati da una pluralità di stazioni appaltanti;
– la massima trasparenza possibile, grazie alla collaborazione costante con la Prefettura locale nell'ambito delle attività di prevenzione delle infiltrazioni criminali negli appalti pubblici.
Tali potenziali vantaggi risultano evidenti soprattutto con riferimento agli enti locali di piccole dimensioni, chiamati a confrontarsi con la complessità delle procedure di gara e con il continuo susseguirsi di modifiche normative e/o interpretative.
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Punto per punto
01 | LE PRESTAZIONI
Le prestazioni da affidare alle centrali uniche di committenza sono quelle che riguardano lavori, servizi e forniture.
02 | OBBLIGO O FACOLTÀ
La gestione associata degli appalti è obbligatoria per i Comuni fino a 5mila abitanti e facoltativa per i Comuni che oltrepassano oltre questa soglia.
03 | FORME DI GESTIONE
Da una parte, la semplice convenzione (o insieme di convenzioni: Associazione di Comuni); dall'altra, l'Unione di Comuni (o Unione montana/isolana) (articolo Il Sole 24 Ore del 12.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALINell'offerta anche il costo del lavoro.
ABBASSATO IL TETTO/ Riportato a 100mila euro il valore massimo per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura con procedura informale.

La gestione ottimale degli appalti pubblici passa per alcune semplificazioni procedurali, per l'aggregazione delle stazioni appaltanti di minori dimensioni e per un maggiore coinvolgimento dei soggetti privati nella realizzazione e gestione di opere pubbliche. Le ultime modifiche al Codice dei contratti pubblici apportate dal Dl 201/2011 introducono importanti novità nella gestione delle gare, con l'eliminazione e la correzione di problematiche determinate dal contenuto critico di alcune disposizioni.
Il dato più rilevante è l'eliminazione del comma 3-bis dell'articolo 81 del Codice. In base a tale norma, i concorrenti a una gara dovevano formulare l'offerta al netto del costo del lavoro e dei costi da essi sostenuti per gli adempimenti in materia di sicurezza. La norma abrogatrice richiama le disposizioni sul rispetto del costo del lavoro e delle misure di sicurezza negli appalti, che devono essere necessariamente attuate dagli appaltatori. Altrettanto rilevante risulta l'abrogazione dell'articolo 12 della legge 180/2011 (Statuto delle imprese), che innalzava la soglia per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura con gara informale: così si riporta il valore massimo per l'utilizzo della procedura semplificata a 100mila euro, mentre oltre questa soglia è necessaria la gara (secondo le previsioni degli articoli 264-266 del regolamento attuativo).
La linea di razionalizzazione è tradotta in termini molto più ampi dall'articolo 23 del Dl 201/2011, che integra l'articolo 33 del Codice, introducendo una norma (comma 3-bis) molto vincolante per i Comuni di minori dimensioni (si veda l'articolo sopra).
Per ottimizzare i rapporti con il sistema degli operatori economici più piccoli, la manovra contiene anche molte norme che evidenziano l'attenzione per le piccole e medie imprese, stabilendo (con modifica dell'articolo 2 del Codice) che le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali. Nell'ambito della manovra ci sono anche molte disposizioni che valorizzano l'apporto dei privati alla realizzazione (e gestione) di opere pubbliche.
L'articolo 42 modifica il comma 5 dell'articolo 143 del Codice, relativo alla disciplina generale delle concessioni di costruzione e gestione, stabilendo che, per garantirne l'equilibrio economico-finanziario, l'amministrazione possa prevedere, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità, o espropriati allo scopo, per assicurarne al privato l'utilizzazione o la valorizzazione. La stessa disposizione prevede che la gestione funzionale ed economica possa anche riguardare opere direttamente connesse a quelle oggetto della concessione e da ricomprendere nella stessa. In una prospettiva simile può interpretarsi anche la disposizione inserita dall'articolo 45 del Dl 201/2011 nell'articolo 16 del Dpr 380/2011, con la quale si stabilisce (comma 2-bis) che, nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati, nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, di importo inferiore alla soglia comunitaria (dall'01.01.2012, in base al regolamento comunitario di revisione delle soglie, pari a 5 milioni di euro), è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il Dlgs 163/2006.
La norma consente quindi ai soggetti attuatori di piani urbanistici (ma anche ai titolari di un permesso di costruire) di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione primaria strettamente collegate all'intervento senza dover fare gara, se di valore inferiore alla soglia Ue. Tali aspetti dovranno essere definiti all'interno delle convenzioni urbanistiche o degli accordi procedimentali relativi ai permessi di costruire (articolo Il Sole 24 Ore del 12.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: A. Bonanni, LA DISCIPLINA SUI RITARDATI PAGAMENTI NEI CONTRATTI PUBBLICI E LE DEROGHE CONVENZIONALI, TRA PRASSI APPLICATIVA E DECISIONI GIURISPRUDENZIALI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: A. Bonanni, APPROVATO LO STATUTO DELLE IMPRESE: NUMEROSE LE NOVITÀ NEL SETTORE DEGLI APPALTI PUBBLICI ANCHE SE EMERGONO ALCUNI DUBBI INTERPRETATIVI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZIL'Antitrust bacchetta gli enti se violano la concorrenza.
Aumentano i poteri dell'autorità per la concorrenza grazie alla manovra economica del governo Monti. L'Antitrust diventa una sorta di pubblico ministero antitrust di fronte alla giustizia amministrativa: può infatti impugnare davanti al giudice gli atti di qualsiasi pubblica amministrazione ritenuti contratti alle regole del libero mercato. Sono avvisati, insomma, i comuni che invece di bandire le gare d'appalto procedono senz'altro con gli affidamenti in house.
È l'articolo 35 del decreto legge 201/2011 a delimitare il nuovo perimetro per l'attività del garante, aggiungendo il comma 21-bis alla legge 287/1990: adesso l'Agcm risulta legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che reputa sospetti.
Da oggi in funziona così: laddove l'Antitrust ritenga che una certa pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza, emette un parere motivato in cui indica i profili specifici delle violazioni riscontrate; poi la palla passa all'ente: se l'amministrazione non si adegua alle censure mossegli entro il termine dei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare tramite l'avvocatura dello stato il ricorso entro i successivi trenta giorni.
Ai giudizi instaurati ai sensi del primo comma dell'articolo 35 del decreto si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del dlgs 104/2004, vale a dire le norme del nuovo codice del processo amministrativo che riguardano l'ottemperanza e i riti speciali e in particolare i procedimenti abbreviati relativi a controversie speciali, ad esempio quelli in tema di lavori pubblici. Il tutto, precisa il governo, si risolve in una riforma a costo zero.
Il presidente del consiglio Mario Monti, intervenendo alla camera, ha spiegato che l'Antitrust potrà «sollevare questioni di legittimità costituzionale di leggi che ostacolino il libero sviluppo dei mercati». La manovra, fra l'altro, riduce il numero dei componenti delle autorità amministrative. Eppure le competenze dell'Antitrust si ampliano anche su un altro fronte, quello dell'attività istituzionale: diventa obbligatorio il parere dell'Authority sui disegni di legge governativi e sui regolamenti che introducono restrizioni all'accesso o all'esercizio di attività, che finora è stato facoltativo ai sensi dall'articolo 22 della legge 287/1990.
Nella manovra «ci sono molte delle cose che come Antitrust avevamo chiesto di fare», ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, in occasione del passaggio di consegne con il suo successore Giovanni Pitruzzella (articolo ItaliaOggi del 09.12.2011).

APPALTI: Manovra Monti (D.L. 201/2011): le modifiche al Codice dei contratti pubblici. Nel decreto 201/2011 una mini-riforma degli appalti pubblici.
Anche il governo dei tecnici non resiste alla tentazione di mettere mano al decreto legislativo 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici): gli articoli 41 e ss. del decreto (costituenti il Capo IV del Titolo IV "Misure per lo sviluppo infrastrutturale") intervengono infatti in più punti sulla disciplina degli appalti pubblici, segnando a volte una netta inversione di marcia rispetto alle scelte legislative più recenti.
È il caso, ad esempio, della soglia per l’affidamento dei servizi di progettazione senza pubblicazione del bando di gara: l’art. 12 del cosiddetto Statuto imprese (entrato in vigore appena qualche giorno fa, il 15.11.2011) aveva innalzato da 100.000 euro a 193.000 euro la soglia per l’affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria con la procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara prevista all’articolo 57 comma 6 del Codice dei contratti. A distanza di poco più di due settimane, il legislatore ci ripensa e (all’articolo 44, comma 5, lettera a) del nuovo decreto-legge) ha abrogato la norma dello Statuto imprese che permetteva di abbreviare (ma a discapito della trasparenza) le procedure.
Altra norma di recente introduzione (era stata prevista dal cosiddetto decreto sviluppo, ovvero il decreto legge 13.05.2011, n. 70 convertito in L. 106/2011), l’art. 81, comma 3-bis, prevedeva che l’offerta migliore fosse determinata al netto delle spese relative al costo del personale: abrogata la novella (articolo 44, comma 2 del nuovo decreto legge 201/2011), il costo del personale negli appalti è di nuovo compreso nell’importo soggetto a ribasso.
Nello sforzo di razionalizzare gli acquisti della P.A., si impone a tutti i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia di affidare ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle Unioni dei Comuni (articolo 23, comma 4, del D.L. 201/2011).
Altre disposizioni hanno ad oggetto, invece, le opere di più rilevante peso economico. Innanzitutto, con l’art. 44, comma 8, del D.L. 201/2011 si introduce un nuovo articolo (il 112-bis) all’interno delle disposizioni dedicate alle garanzie e verifiche della progettazione: per i lavori di importo a base di gara superiore a 20 milioni di euro, da affidarsi con la procedura ristretta senza previa pubblicazione del bando, le stazioni appaltanti sono ora tenute a indicare nel bando che sul progetto a base di gara è indetta una consultazione preliminare, garantendo il contraddittorio tra le parti.
Un intero articolo del nuovo decreto legge, il 41, è infine dedicato alle infrastrutture strategiche; innanzi tutto, si modifica l’articolo 161 del Codice dei Contratti pubblici, ridefinendo modalità e criteri di programmazione delle opere strategiche, per permettere la selezione di opere che possono essere realizzate via prioritaria, con particolare riferimento alle opere finanziabili con l’apporto di capitale privato. Si cerca inoltre di ridurre la durata della fase progettuale complessiva dell’infrastruttura: il comma 2 introduce un nuovo articolo (il 169-bis) nel Codice dei Contratti pubblici volto a consentire che l’approvazione, da parte del CIPE, dei progetti delle opere di interesse strategico, possa intervenire, su richiesta Ministero delle infrastrutture sul progetto preliminare qualora sia assicurata la copertura integrale del progetto. La disposizione prevede la fissazione di un termine perentorio in caso di opere finanziate a carico della finanza pubblica, a pena di decadenza per l’approvazione del progetto definitivo (link a www.diritto.it).

APPALTI: R. Rizzato, Le principali clausole contrattuali per gestire la sicurezza su lavoro negli appalti (link a www.altalex.com).

APPALTI: A. Massari, La legge 180/2011 (ovvero lo “Small business act” italiano): prime criticità applicative in materia di appalti - Commento alla L. 11.11.2011 n. 180 “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese (link a www.diritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZINessun diritto di proroga in capo al gestore uscente alla scadenza del contratto.
In assenza di puntuali obblighi giuridici o contrattuali in tal senso, l’amministrazione non è affatto tenuta a prorogare il servizio in atto con il gestore uscente alla scadenza del precedente rapporto contrattuale e fino alla stipulazione del nuovo contratto, all’esito della rinnovata procedura selettiva.
L'utilità meramente eventuale del gestore uscente a proseguire il servizio, costituisce un semplice interesse di fatto che non le attribuisce alcuna autonoma legittimazione alla impugnazione degli atti della gara, una volta accertato che essa non aveva titolo a partecipare alla contestata procedura selettiva (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.12.2011 n. 6441 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAggiudicazione appalto: insindacabilità nel merito del giudizio della Commissione di gara.
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame ribadisce il principio secondo cui i giudizi valutativi espressi dalla Commissione non sono sindacabili nel merito, e sono, viceversa, legittima espressione di discrezionalità se non affetti da macroscopici vizi logici, disparità di trattamento, errore manifesto, rientrando nel potere valutativo quello di ritenere migliore un progetto che contiene elementi maggiormente specifici (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.12.2011 n. 6434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDifferenza tra la certificazione antimafia delle Camere di Commercio e l'Informativa antimafia del Prefetto.
Il rilascio di certificazione antimafia da parte della locale Camera di Commercio ha natura, finalità e contenuto di valenza ben diversa dall’interdittiva antimafia. Invero, quest'ultima non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha inteso ribadire l’orientamento consolidato, secondo cui, l’efficacia interdittiva proviene direttamente dalla valutazione del Prefetto, per cui alla stazione appaltante non sono riconosciuti né il potere discrezionale né l’onere di verificare la portata e i presupposti dell’informativa, posto che i citati provvedimenti derivano direttamente dall’atto prefettizio e sono vincolati al giudizio circa il pericolo di infiltrazione maturato dal Prefetto (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.12.2011 n. 6427 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nelle gare di appalto, in tema di avvalimento, l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata, ma anche verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente, sicché l’ausiliario è tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante.
In tali ipotesi, quindi, l’impresa ausiliaria diventa titolare passivo di un'obbligazione accessoria, dipendente rispetto a quella principale del concorrente, e tale obbligazione si perfeziona con l'aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti.
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Nell'avvalimento anche l’impresa ausiliaria deve rispettare i requisiti antimafia.
Il comma 18 dell’art. 37 dlgs 163/2006, per il caso in cui l’interdittiva, o gli altri eventi ivi previsti, colpiscano il mandatario, riconosce alla stazione appaltante la facoltà di proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal codice, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori ancora da eseguire. La disposizione in questione risponde all’esigenza di garantire gli operatori economici che partecipano a gare pubbliche in formazione soggettivamente complessa dagli eventi che possono colpire gli altri componenti del raggruppamento, minimizzando i rischi di perdita della commessa pubblica aggiudicata.
In questa prospettiva la distinzione fra gli eventi che colpiscono la mandataria (comma 18) e quelli che colpiscono la mandante (comma 19) risiede nella circostanza che, in caso di fallimento (o informativa antimafia sfavorevole) della mandante, la mandataria resta obbligata all’esecuzione della prestazione; e per provvedere a tale impegno può, secondo una disposizione chiaramente eccezionale, sostituire il membro colpito con un altro soggetto parimenti idoneo, anche esterno alla originaria composizione partecipante alla gara.
Il mantenimento della responsabilità della buona esecuzione dell’appalto in capo alla mandataria è bilanciato dalla possibilità di sostituire la mandante divenuta incapace con altro soggetto che ne possieda i requisiti ovvero dalla stessa mandataria in proprio (o dalle residue mandanti in proprio), laddove posseggano i requisiti necessari per l’esecuzione della prestazione aggiudicata. Diversamente, in caso di fallimento (o altro evento causativo di incapacità a contrarre) della mandataria, il meccanismo sopra descritto non può operare, poiché è venuto meno proprio il soggetto che ha la responsabilità generale e solidale della buona esecuzione dell’appalto; per questa ragione la norma, nel distinguere le due ipotesi, prevede che solo se sussista la condizione secondo cui la mandante (o le mandanti) abbia di per sé tutti i requisiti necessari è possibile la prosecuzione del rapporto (l’uso del verbo “può” non va inteso in accezione facultizzante per la stazione appaltante, ma esprime solo una eventualità –il possesso di tutti i requisiti in capo alla mandante– che potrebbe non verificarsi in concreto.

Nel presente giudizio si controverte in ordine alla legittimità della determinazione n. 710 del 04.08.2011 con cui il Comune di Capua annullava il provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore della ricorrente ... s.r.l. dell’appalto dei lavori per il “Recupero urbano di zona P.ta Napoli - Intervento n. 4 – Lavori di messa in sicurezza, risanamento e recupero capannone in via Mariano”.
...
Con un primo ordine di censure, la società ricorrente contesta in radice l’applicabilità della normativa in questione nei confronti della impresa ausiliaria, dal momento che l’avvalimento ha ad oggetto la sola prestazione dei requisiti oggettivi attinenti l’idoneità finanziaria, organizzativa operativa, e l’applicazione dell’istituto non comporta per l’aggiudicataria alcun mutamento di rapporto con l’amministrazione, né le fa perdere la sua originaria natura monosoggettiva. Di qui consegue, a parere della ricorrente, che l’annullamento dell’aggiudicazione si risolverebbe in un’illegittima ed inammissibile estensione degli effetti del provvedimento interdittivo nei confronti della ricorrente, la cui compagine sociale è del tutto estranea a quella della impresa ausiliaria di cui ha dichiarato di avvalersi.
Ritiene il Collegio che l’assunta e discutibile posizione di terzietà dell’impresa ausiliaria rispetto alla stazione appaltante non può costituire in nessun caso valido motivo a sostegno della inapplicabilità, nei confronti della medesima, della normativa di rango superiore e di ordine pubblico, posta a presidio della affidabilità morale e professionale degli operatori economici operanti nell’ambito dei rapporti di evidenza pubblica.
In senso contrario alla prospettazione di parte ricorrente depone, innanzitutto, il dato testuale normativo ricavabile direttamente dalla disciplina dell’avvalimento, contenuta nell’articolo 49 del codice dei contratti di cui al d.lgs. n. 163/2006.
Ivi la norma è chiara nel richiedere all’impresa ausiliaria di documentare, in sede di gara, il possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163/2006 attraverso la allegazione di una dichiarazione sottoscritta da parte della stessa impresa ausiliaria come indicato al comma 1, lett c). E tra i requisiti generali di cui all’art. 38 cit. ricorre, alla lett. m), l’indicazione, quale causa di esclusione e di divieto alla stipula del contratto, dei soggetti “nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'08.06.2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 04.07.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.08.2006 n. 248”.
Ancora, l’articolo 49 del d.lgs. n. 163/2006 al comma 5 stabilisce espressamente che gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario, in ragione dell’importo dell’appalto posto a base di gara.
Tale essendo il chiaro dettato normativo, non può sostenersi che la mancanza del possesso di uno dei requisiti generali di cui all’art. 38 da parte della impresa ausiliaria non riverberi i suoi effetti altresì nei confronti della impresa aggiudicataria, dal momento che il comma 3 dell’art. 49 cit., nel sanzionare le dichiarazioni rese dall’ausiliaria, sancisce espressamente l’esclusione del “concorrente” nel caso di dichiarazione mendaci.
A sua volta l’art. 10 del d.P.R. n. 252 -di cui il provvedimento impugnato costituisce applicazione– riferisce l’esito delle verifiche prefettizie alle imprese c.d. “interessate” così ampliando la platea dei possibili destinatari delle informative antimafia preclusive della stipula del contratto, anche oltre l’ambito dei soggetti risultati aggiudicatari.
Premesso che possono costituire oggetto di avvalimento esclusivamente i requisiti “oggettivi” di carattere economico, finanziario, tecnico e organizzativo, ciò non esime l’impresa avvalente dalla dimostrazione del possesso, anche da parte dell’impresa ausiliaria, dei requisiti generali di cui all’art. 38 cit..
Ciò risponde, ad avviso del Collegio, ad un principio di ordine generale rinvenibile nella normativa sull’evidenza pubblica che, pur nelle rilevanti trasformazioni intervenute con riferimento all’ampliamento della sfera soggettiva dei potenziali concorrenti, è restata tuttavia connotata dal rilievo dell’ “intuitus personae” in quelle disposizioni che impongono di garantire la serietà e l’affidabilità morale dei soggetti che, a vario titolo, debbano intrattenere rapporti economici con l’amministrazione pubblica.
Tali disposizioni, ad avviso del Collegio, devono essere rese coerenti e non possono ritenersi derogate da quegli istituti di recente introduzione che, al pari dell’avvalimento, consentono ai soggetti interessati di ricorrere a nuovi moduli organizzativi, con l’utilizzo di nuove figure di intermediazione collaborativa e strutturale.
Ove si tratti di assicurare e garantire la serietà ed affidabilità morale dell’operatore economico che sia coinvolto a vario titolo in ambiti di evidenza pubblica, i requisiti generali sono comunque richiesti anche rispetto ai soggetti “indirettamente” interessati dal contratto di evidenza pubblica (come nell’avvalimento e nel subappalto ) nonché nei casi in cui in via eccezionale si ammetta una modifica soggettiva del concorrente (cfr. art. 51 del d.lgs. 163 cit. per il caso di vicende soggettive del candidato offerente e aggiudicatario, art. 37, comma 18, del d.lgs. 163/2006 per le r.t.i) .
In tal senso depone peraltro il testo dell’articolo 45 paragrafo 2 della Direttiva 2004/18/Ce che riferisce le cause di esclusione dalla partecipazione all’appalto ad “ogni operatore economico” che si trovi in una delle situazioni annoverate dalla lettera a) alla lettera g) del paragrafo medesimo. L’uso della parola operatore economico, anziché concorrente, contribuisce a corroborare quanto innanzi affermato, ossia che la norma debba intendersi riferita anche all’impresa ausiliaria, quale soggetto che partecipa, seppure indirettamente, all’appalto.
La personalità degli elementi strettamente correlati al soggetto, alla sua idoneità morale, alla sua situazione personale, alla sua legittimazione a porsi come contraente della stazione appaltante, impone che essi debbano essere posseduti non solo dal concorrente,ma anche dall’ausiliaria proprio in virtù del rapporto di collaborazione con essa esistente.
Pertanto deve ritenersi imprescindibile il possesso dei predetti requisiti di ordine personale/soggettivo, ivi compreso quello antimafia, in capo all’impresa ausiliaria, in quanto essa, concorrendo alla qualificazione del concorrente, assume, comunque un ruolo decisivo per far conseguire una posizione giuridicamente rilevante e differenziata verso la stazione appaltante, posizione dalla quale derivano in caso di aggiudicazione anche diritti di ordine economico e patrimoniale.
Di qui l‘irrilevanza, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di ordine generale, dell‘ipotizzata posizione di terzietà della impresa ausiliaria in quanto priva della qualifica di concorrente alla gara ed estranea alla compagine sociale della impresa aggiudicataria.
Posizione di terzietà che non può comunque costituire un dato acquisito (cfr. contra Tar Valle d’Aosta, sez. I, 14.07.2010 n. 52; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 08.11.2007, n. 10990) se sol si consideri il rilievo della responsabilità solidale che grava ex lege, a carico dell’impresa ausiliaria in solido con il concorrente nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto, ai sensi del comma 4 dell’articolo 49 d.lgs. n. 163, e quindi l’esistenza di una obbligazione diretta della stessa ausiliaria nei confronti della stazione appaltante.
Questo Tribunale ha in precedenza osservato al riguardo che: “Nelle gare di appalto, in tema di avvalimento, l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata, ma anche verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente, sicché l’ausiliario è tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante. In tali ipotesi, quindi, l’impresa ausiliaria diventa titolare passivo di un'obbligazione accessoria, dipendente rispetto a quella principale del concorrente, e tale obbligazione si perfeziona con l'aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti” (Tar Campania, sez. VIII, 16.12.2010 n. 27551 in senso conforme a C.d.S. sez. VI, 13.05.2010 n. 2956).
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Con un secondo ordine di censure la società ricorrente lamenta l‘illegittimità del provvedimento di annullamento impugnato laddove il Comune, nel respingere la richiesta di archiviazione del procedimento di annullamento, negava altresì la sussistenza dei presupposti per applicare l’articolo 37, comma 19, del d.lgs. n. 163/2006 per consentire alla ricorrente di sostituire l’impresa ausiliaria, la Prisma Costruzioni s.r.l., con la quale nelle more, e precisamente in data 17.06.2011, aveva risolto il contratto di avvalimento, impegnandosi altresì a stipulare, nel più breve tempo possibile, un nuovo contratto di avvalimento con una società dotata delle stesse categorie possedute dalla Prisma Costruzioni s.r.l..
Parte ricorrente, con la istanza inoltrata in data 24.06.2011 in seguito alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento dell’aggiudicazione, ha invocato sostanzialmente l’applicazione estensiva -anche al caso di avvalimento- della facoltà prevista in favore del mandatario, anche per il caso di interdittiva antimafia a carico della mandante, nel caso di raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti dall’articolo 37, comma 19, del d.lgs. n. 163/2006, “di indicare altro operatore economico subentrante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità”. Il comma 19 cit., infatti, per il caso in cui l’evento ivi previsto, inclusi i “casi previsti dalla normativa antimafia” colpisca il mandante, stabilisce che il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione direttamente o a mezzo degli altri mandanti purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.
A sua volta il comma 18 dell’art. 37 cit., per il caso in cui l’interdittiva, o gli altri eventi ivi previsti, colpiscano il mandatario, riconosce alla stazione appaltante la facoltà di proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal codice, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori ancora da eseguire.
Circa la ratio delle predette disposizioni si è chiarito nella pronuncia Tar Campania Napoli sez. I n. 1177/2010 richiamata in atti, che la disposizione in questione: “risponde all’esigenza di garantire gli operatori economici che partecipano a gare pubbliche in formazione soggettivamente complessa dagli eventi che possono colpire gli altri componenti del raggruppamento, minimizzando i rischi di perdita della commessa pubblica aggiudicata.
In questa prospettiva la distinzione fra gli eventi che colpiscono la mandataria (comma 18) e quelli che colpiscono la mandante (comma 19) risiede nella circostanza che, in caso di fallimento (o informativa antimafia sfavorevole) della mandante, la mandataria resta obbligata all’esecuzione della prestazione; e per provvedere a tale impegno può, secondo una disposizione chiaramente eccezionale, sostituire il membro colpito con un altro soggetto parimenti idoneo, anche esterno alla originaria composizione partecipante alla gara.
Il mantenimento della responsabilità della buona esecuzione dell’appalto in capo alla mandataria è bilanciato dalla possibilità di sostituire la mandante divenuta incapace con altro soggetto che ne possieda i requisiti ovvero dalla stessa mandataria in proprio (o dalle residue mandanti in proprio), laddove posseggano i requisiti necessari per l’esecuzione della prestazione aggiudicata. Diversamente, in caso di fallimento (o altro evento causativo di incapacità a contrarre) della mandataria, il meccanismo sopra descritto non può operare, poiché è venuto meno proprio il soggetto che ha la responsabilità generale e solidale della buona esecuzione dell’appalto; per questa ragione la norma, nel distinguere le due ipotesi, prevede che solo se sussista la condizione secondo cui la mandante (o le mandanti) abbia di per sé tutti i requisiti necessari è possibile la prosecuzione del rapporto (l’uso del verbo “può” non va inteso in accezione facultizzante per la stazione appaltante, ma esprime solo una eventualità –il possesso di tutti i requisiti in capo alla mandante– che potrebbe non verificarsi in concreto
“ (cfr. C.d.S., comm. sp., 22.01.2008 n. 4575).
Ciò premesso, l’amministrazione intimata ha respinto la richiesta di sostituzione dell’impresa ausiliaria ritenendo inapplicabile la normativa invocata alla fattispecie, dal momento che la norma si riferisce al caso di raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti e non ad una ipotesi di avvalimento, ed ha altresì precisato che la pronuncia di cui al Tar Campania sez. I n. 1177 del 26.02.2010 invocata a sostegno della richiesta di sostituzione, riguardava un’ipotesi di risoluzione contrattuale mentre nella specie si verte nella “fase precontrattuale”.
La motivazione addotta dalla amministrazione a sostegno del diniego di sostituzione trova condivisione da parte del Collegio.
Devesi innanzitutto convenire, conformemente a quanto sostenuto dalla stazione appaltante, circa la natura senza dubbio eccezionale e derogatoria dell’articolo 37, commi 18 e 19 in esame, che non ne consente alcuna applicazione al di fuori dei casi e dei limiti ivi consentiti, in conformità al dettato di cui all’art. 14 disp. prel. c.c. a tenore del quale le norme “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.
Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla natura eccezionale e derogatoria dell’art. 12 del regolamento di cui al d.p.r. n. 252/1998, anch’esso richiamato in ricorso, che, per il caso di associazioni o raggruppamenti temporanei di impresa e per i consorzi non obbligatori, stabilisce, al comma 1, che se una delle situazioni di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 10, comma 7, "interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione di cui all’art. 10 della legge 31.05.1965, n. 575, e quelle di divieto di cui all’art. 4, comma 6, del decreto legislativo n. 490 del 1994, non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto o alla concessione dei lavori”. La stessa norma stabilisce ancora che “la sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto o alla concessione dei lavori”.
La predetta disciplina è applicabile, quindi, sia anteriormente che successivamente alla stipulazione del contratto ed il suo ambito di operatività è stato definito dalla giurisprudenza, come per l’articolo 37, comma 19, d.lgs. 163 cit., con riferimento ai casi in cui, come nella specie, l’informativa sia intervenuta dopo l’aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.06.2011 n. 3697).
Tuttavia, la possibilità di estromissione o di sostituzione, disciplinata dall’art. 12 d.p.r. n. 252 cit. per la fase che precede la stipula del contratto, ha un più ristretto ambito di applicazione rispetto a quella prevista dall’art. 37 sopra citato, in quanto:
a) presuppone espressamente che la sostituzione avvenga nei confronti di un soggetto che “partecipi ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese” (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.10.2010 n. 7345);
b) consente il subentro nella posizione delle sole imprese mandanti.
Nel caso in esame avente ad oggetto la diversa fattispecie dell’avvalimento, non ricorrono le condizioni legittimanti l’applicazione del beneficio in parola atteso che la sostituzione riguarda un’impresa ausiliaria, che non è legata alla impresa aggiudicataria da un vincolo di mandato come nel rapporto di cui al precedente punto a).
Né vi è spazio per un’interpretazione analogica dell’art. 12 del d.P.R. n. 252 cit., perché, come più volte ribadito, quest’ultimo reca una norma di carattere speciale e derogatorio del principio di immodificabilità soggettiva del partecipante alle gare ad evidenza pubblica.
Come noto, nella materia in esame, il principio di immodificabilità dell’offerta vige ed è cogente, sia con riferimento alla figura soggettiva dei partecipanti alla gara sia con riguardo agli elementi oggettivi essenziali dell’offerta presentata.
L’offerta, anche in osservanza al principio della par condicio dei concorrenti, è e deve restare cristallizzata con riferimento a quanto documentato all’atto della sua presentazione, dal momento che oltre quel limite e fino alla stipula del contratto opera il principio della invariabilità . Ove si riconoscesse alla società ricorrente, nella fase che precede la stipula del contratto, la facoltà di sostituzione della impresa ausiliaria, le si consentirebbe di introdurre nell’offerta un elemento modificativo di discontinuità rispetto all’assetto cristallizzato in fase di gara, al di fuori dei casi in cui ciò è espressamente consentito dalla legge.
L’inserimento di un nuovo contratto di avvalimento stipulato, a gara già espletata, con un’impresa terza che non ha partecipato alla procedura violerebbe il principio della par condicio dei concorrenti (cfr. C.d.S. sez. IV 20.11.2008 n. 5742; C.d.S. sez. VI 04.05.2009 n. 2785; C.d.S. sez. V 19.09.2011 n. 5279; C.d.S. sez. VI ord. n. 351/2011).
L’operazione ermeneutica richiesta non può trovare una logica giustificazione nemmeno prospettando, come richiesto, un’intepretazione “estensiva” pure ammissibile in linea generale per le norme di natura eccezionale attraverso: “un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale, e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore, e quindi estendere la regula iuris ai casi non espressamente previsti dalla norma, ma dalla stessa implicitamente considerati” (cfr. Cass. civ. sez. I, 26.08.2005 n. 17396).
Ed infatti, posto che la ratio legis della disposizione eccezionale in parola risiede nella tutela della libertà di iniziativa economica delle imprese in forma associata (C.d.S. sez. V n. 7345/2010), estendendone la portata ad un’ ipotesi diversa da quella espressamente tipizzata dal legislatore, non sarebbe comprensibile la ragione per cui, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco, debba attribuirsi prevalenza alla tutela della libertà di impresa rispetto al principio, senza dubbio di rango prioritario nella materia de qua, della par condicio dei concorrenti (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 07.12.2011 n. 5712 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDeve essere escluso dalla gara il partecipante la cui busta contenente l’offerta non è controfirmata sui lembi di chiusura dal legale rappresentante della ditta offerente o dal suo procuratore, atteso che, nelle avvertenze della lettera invito, si legge: “si farà luogo all’esclusione dalla gara nel caso … non venga osservata qualunque altra prescrizione o formalità …”.
La previsione della lex specialis di cui trattasi mira a garantire in astratto ogni rischio di compromissione dei plichi contenenti le offerte; essa stabilisce modalità di chiusura delle buste facilmente rispettabili procedendo con attenzione; dette modalità sono, al contempo, l’apposizione della ceralacca e della firma; risulta quindi del tutto irrilevante ogni indagine sull'effettiva integrità e segretezza dell'offerta presentata.
La firma, in aggiunta alla ceralacca, costituisce una maggiore garanzia nei confronti di eventuali frodi od indebite violazioni del segreto a tutela dell'interesse della p.a. e dei partecipanti affinché le buste non possano essere in astratto manomesse.

Invero, il plico contenente l’offerta avrebbe dovuto essere chiuso con ceralacca e controfirmato sui lembi di chiusura dal legale rappresentante della ditta offerente o dal suo procuratore.
Detta prescrizione doveva essere osservata a pena di esclusione atteso che, nelle avvertenze della lettera invito, si legge: “si farà luogo all’esclusione dalla gara nel caso … non venga osservata qualunque altra prescrizione o formalità …”.
Nel caso di specie risulta dalla documentazione in atti, ed è peraltro incontestato tra le parti, che i lembi di chiusura del plico presentato dalla ricorrente principale non sono stati controfirmati dal legale rappresentante dell’offerente.
Segue da ciò che la stazione appaltante avrebbe dovuto comminare la sanzione dell’esclusione dalla gara di cui trattasi.
D’altra parte, irrilevante appare l’osservazione della difesa della ricorrente principale secondo cui in sede di gara non risulta essere stata sollevata alcuna eccezione sull’integrità del plico, garantita dalla presenza della ceralacca.
Invero, la previsione della lex specialis di cui trattasi mira a garantire in astratto ogni rischio di compromissione dei plichi contenenti le offerte; essa stabilisce modalità di chiusura delle buste facilmente rispettabili procedendo con attenzione; dette modalità sono, al contempo, l’apposizione della ceralacca e della firma; risulta quindi del tutto irrilevante ogni indagine sull'effettiva integrità e segretezza dell'offerta presentata (v. Cons. Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7219).
Il Collegio ritiene altresì che la firma, in aggiunta alla ceralacca, costituisca una maggiore garanzia nei confronti di eventuali frodi od indebite violazioni del segreto a tutela dell'interesse della p.a. e dei partecipanti a che le buste non possano essere in astratto manomesse (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 07.12.2011 n. 2304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli appalti pubblici dall'01.01.2012 (ANCE Bergamo, circolare 07.12.2011 n. 272).

APPALTISe è vero che la mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore dell'atto non è in grado di spiegare gli effetti certificativi previsti dalla corrispondente fattispecie normativa, rendendo del tutto inutile la produzione della documentazione per la partecipazione alla gara, è anche vero che l'articolo 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici prevede: “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La mancata allegazione della fotocopia di un valido documento di identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie prevista dalla novella normativa qui invocata: "incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali”.

Se è vero che, come indicato nella pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4967/2011, la mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore dell'atto non è in grado di spiegare gli effetti certificativi previsti dalla corrispondente fattispecie normativa, rendendo del tutto inutile la produzione della documentazione per la partecipazione alla gara, è anche vero che l'articolo 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici, aggiunto dall’art. 4, comma 2, lettera d), del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 12.07.2011, n. 106, prevede: “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Questa censura va respinta perché la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento di identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie prevista dalla novella normativa qui invocata: "incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali” (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 06.12.2011 n. 9597 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa mancata dichiarazione delle sentenze penali di condanna riportate costituisce una causa autonoma di esclusione dalla gara, a prescindere dal tipo di prescrizioni contenute nel bando di gara. Ciò in quanto anche le sentenze di condanna definitiva, non indicate nei certificati del Casellario giudiziale richiesti dai privati, sono riportate nei certificati integrali del Casellario giudiziale ex art. 21 DPR n. 313/2002, rilasciati su richiesta della stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 38, comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, e tali sentenze di condanna definitiva possono riferirsi ad un reato grave in danno dello Stato o della Comunità che incide sulla moralità professionale e perciò possono costituire un ostacolo all’ammissione in un procedimento di evidenza pubblica.
Ne consegue che il comma 2 dell’art. 38 D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel senso che i concorrenti ad una gara di pubblico appalto di servizi devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna definitiva che vengono indicate nel certificato del Casellario giudiziale a richiesta dei privati (cioè di una dichiarazione sostitutiva del certificato del Casellario giudiziale), anche l’assenza di tutti gli altri provvedimenti giurisdizionali, per i quali non è stata ottenuta la riabilitazione ex art. 178 C.P. o l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P., tenuto pure conto della circostanza che lo stesso art. 38, commi 1, lett. c), e 2, D.Lg.vo n. 163/2006 fa espresso riferimento alle sentenze patteggiate ex art. 444 C.P.P., ai decreti penali di condanna (divenuti irrevocabili) ed alle sentenze di condanna con il beneficio della non menzione, cioè a provvedimenti giurisdizionali non indicati nel certificato del Casellario giudiziale richiesto dai privati.
La non rilevanza dei reati sulla moralità professionale non può essere rimessa all’apprezzamento soggettivo dei concorrenti, per cui l’art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel senso che impone alle imprese, partecipanti ad un procedimento di evidenza pubblica, l’obbligo di autodichiarare l’esistenza di tutte le sentenze di condanna riportate dai loro direttori tecnici ed amministratori con potere di rappresentanza, al fine di consentire poi all’Amministrazione appaltante di effettuare tutte le valutazioni intorno all’effettiva incidenza di tali condanne sulla moralità professionale delle stesse imprese concorrenti.
La stazione appaltante, oltre ad avere l’obbligo, prescritto dall’art. 38, comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, di verificare il possesso del requisito di ammissione di ordine generale ex art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 mediante l’acquisizione dei certificati del Casellario Giudiziale, dopo aver accertato che uno dei soggetti indicati dal predetto art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 ha riportato una condanna penale definitiva, deve valutare caso per caso, dandone conto con idonea motivazione, la gravità del reato e la verifica dell’incidenza del reato commesso sulla moralità professionale, attraverso la disamina in concreto e non secondo criteri astratti e/o automatici delle peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità di commissione del reato.
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Dal tenore letterale degli artt. 37, comma 13, D.Lg.vo n. 2006 e 93, comma 4, DPR n. 554/1999 (per la precisione quest’ultima norma, di contenuto analogo all’art. 37, comma 13, D.Lg.vo n. 2006, è stata abrogata dall’art. 256, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006) si evince la necessarietà (e perciò anche a prescindere da una specifica e/o espressa indicazione della lex specialis di gara) che le quote di partecipazione ad un’ATI siano previamente indicate in sede di offerta, non essendo sufficiente che vengano evidenziate soltanto nella fase esecutiva dell’appalto, poiché la ratio di tali norme è quella di permettere alla stazione appaltante di verificare il possesso da parte di tutte le imprese facenti parte di un’ATI dei requisiti di ammissione alla gara in relazione alle singole quote di partecipazione all’ATI e di assicurare l’effettiva corrispondenza sostanziale tra quota di qualificazione, tra quota di partecipazione all’ATI e quota di esecuzione dell’appalto, e perciò tali norme rispondono ad un interesse di natura sostanziale e di carattere essenziale della Pubblica Amministrazione, per cui, poiché esprimono un principio fondamentale nella materia dei procedimenti di affidamento degli appalti pubblici, deve ritenersi che, anche in assenza di una puntuale previsione del bando e della lettera invito la mancata specificazione delle parti dell’appalto va sanzionata con l’esclusione dalla gara.
Tale orientamento giurisprudenziale trova applicazione anche nel caso in cui non vi sia corrispondenza tra le quote di partecipazione all’ATI ed i requisiti di ammissione corrispondenti all’indicata quota di partecipazione all’ATI, in quanto costituisce principio fondamentale dei procedimenti di evidenza pubblica quello statuito dall’art. 40, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, secondo cui “i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati”, cioè devono possedere i requisiti di ammissione, stabiliti dalla lex specialis di gara, per poter concorrere all’aggiudicazione dell’appalto pubblico ed alla sua esecuzione, oppure, nel caso di ATI, devono possedere i requisiti di ammissione, stabiliti dalla lex specialis di gara, corrispondenti alla quota di partecipazione all’ATI, al fine di garantire la stazione appaltante in ordine alla effettiva capacità tecnico economica delle imprese aggiudicatarie di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, le quali debbono essere in grado di far fronte alle obbligazioni contrattuali, discendendone che solo ove la singola impresa costituente il raggruppamento sia dotata della capacità economica adeguata alla sua percentuale di partecipazione al raggruppamento, la medesima può adeguatamente adempiere alle prestazioni scaturenti dall’aggiudicazione del contratto di appalto.
Diversamente l’istituto dell’Associazione Temporanea di Imprese, creato con la chiara finalità di attuare in modo più efficace il principio della libera concorrenza e di apertura al mercato del settore degli appalti pubblici (il quale può trovare concreta applicazione soltanto se le imprese, che non hanno i requisiti di carattere economico e tecnico per partecipare singolarmente alla gara, possono associarsi; conseguentemente, la possibilità di partecipare in ATI risponde al principio generale di garantire la più ampia partecipazione nei procedimenti di evidenza pubblica, al fine di garantire la selezione della migliore offerta presente sul mercato) si presterebbe ad essere utilizzato strumentalmente, per consentire alle imprese, non in possesso dei requisiti di ammissione alla gara, di eseguire lo stesso gli appalti pubblici.
Pertanto, dall’art. 37, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006, che ha espressamente sancito anche per gli appalti pubblici di forniture e servizi l’obbligo di specificare in sede di offerta “le parti del servizio o della fornitura, che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti”, discende che i suddetti principi trovano automatica applicazione anche nei procedimenti di gara per l’affidamento di appalti pubblici di forniture e servizi (per inciso va, però, precisato che tali principi risultano espressamente richiamati dal combinato disposto di cui agli artt. 37, comma 6, e 40 D.Lg.vo n. 163/2006 soltanto con riferimento agli appalti pubblici di lavori), tenuto conto anche della circostanza che il predetto art. 40, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, sebbene espressamente riferito soltanto agli appalti pubblici di lavori, costituisce un principio fondamentale in materia di procedimenti di evidenza pubblica, senz’altro valevole anche con riferimento agli appalti pubblici di forniture e servizi, dal momento che l’opposta interpretazione, sostenuta dai ricorrenti, sancirebbe l’incomprensibile ed illogico principio, secondo cui, diversamente dagli appalti pubblici di lavori, gli appalti pubblici di servizi e forniture potrebbero essere eseguiti anche da imprese e/o ditte, partecipanti ad un’ATI, non in possesso pro quota dei requisiti di ammissione alla gara.

Questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata n. 472 del 15.09.2011; n. 106 dell’01.03.2011, n. 387 del 20.06.2009 e n. 652 del 14.11.2007) non condivide l’orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. V Sent. n. 4905 del 04.08.2009; n. 4906 del 04.08.2009; n. 4897 del 07.10.2008; n. 4244 dell’08.09.2008 e n. 945 del 22.02.2007), secondo cui il concorrente, che ha omesso di dichiarare di aver riportato una sentenza penale di condanna, divenuta irrevocabile, non può essere escluso dalla gara, quando il bando di gara richiede genericamente soltanto la dichiarazione sostitutiva ex DPR n. 445/2000 di insussistenza delle cause di esclusione, previste dall’art. 38, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006 (in quanto in tal caso il bando di gara “demanda di fatto al singolo concorrente il giudizio circa l’incidenza sull’affidabilità morale e professionale di eventuali reati dal medesimo concorrente commessi, sicché è da escludere che possa qualificarsi come falsa dichiarazione una valutazione soggettiva del concorrente stesso”).
Sempre secondo il riferito orientamento giurisprudenziale il provvedimento di esclusione risulta legittimo soltanto nel caso in cui il bando di gara impone ai concorrenti di dichiarare tutti i reati, per i quali fossero intervenute sentenze di condanna (passate in giudicato o emanate ai sensi dell’art. 444 C.P.P. o decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili).
Questo Tribunale invero, aderisce all’altro orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S., VI, n. 782 del 03.02.2011; V n. 428 del 02.02.2010; V, n. 6221 del 06.12.2007 e V, n. 352 del 25.01.2003), secondo cui la mancata dichiarazione delle sentenze penali di condanna riportate costituisce una causa autonoma di esclusione dalla gara, a prescindere dal tipo di prescrizioni contenute nel bando di gara. Ciò in quanto anche le sentenze di condanna definitiva, non indicate nei certificati del Casellario giudiziale richiesti dai privati, sono riportate nei certificati integrali del Casellario giudiziale ex art. 21 DPR n. 313/2002, rilasciati su richiesta della stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 38, comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, e tali sentenze di condanna definitiva possono riferirsi ad un reato grave in danno dello Stato o della Comunità che incide sulla moralità professionale e perciò possono costituire un ostacolo all’ammissione in un procedimento di evidenza pubblica.
Ne consegue che il comma 2 dell’art. 38 D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel senso che i concorrenti ad una gara di pubblico appalto di servizi devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna definitiva che vengono indicate nel certificato del Casellario giudiziale a richiesta dei privati (cioè di una dichiarazione sostitutiva del certificato del Casellario giudiziale), anche l’assenza di tutti gli altri provvedimenti giurisdizionali, per i quali non è stata ottenuta la riabilitazione ex art. 178 C.P. o l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P., tenuto pure conto della circostanza che lo stesso art. 38, commi 1, lett. c), e 2, D.Lg.vo n. 163/2006 fa espresso riferimento alle sentenze patteggiate ex art. 444 C.P.P., ai decreti penali di condanna (divenuti irrevocabili) ed alle sentenze di condanna con il beneficio della non menzione, cioè a provvedimenti giurisdizionali non indicati nel certificato del Casellario giudiziale richiesto dai privati.
Per altro verso, il Tribunale ritiene che la non rilevanza dei reati sulla moralità professionale non può essere rimessa all’apprezzamento soggettivo dei concorrenti, per cui l’art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 va interpretato nel senso che impone alle imprese, partecipanti ad un procedimento di evidenza pubblica, l’obbligo di autodichiarare l’esistenza di tutte le sentenze di condanna riportate dai loro direttori tecnici ed amministratori con potere di rappresentanza, al fine di consentire poi all’Amministrazione appaltante di effettuare tutte le valutazioni intorno all’effettiva incidenza di tali condanne sulla moralità professionale delle stesse imprese concorrenti.
Pertanto, l’ATP controinteressata doveva essere esclusa dalla gara, atteso che il professionista mandatario designato Arch. ..., non aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 46 DPR n. 445/2000, in sede di gara di aver riportato la seguente condanna penale: Sentenza ex art. 444 C.P.P., emessa dal Tribunale di Potenza il 18.9.1999, di condanna al pagamento della multa di £. 600.000 pari a 309,87 €, per aver commesso il 12.02.1994 il delitto ex art. 4 L. n. 516/1982 di evasione in materia di imposte sui redditi e sull’IVA (al riguardo, va precisato che, trattandosi di un delitto e non di una contravvenzione, per tale condanna non può trovare applicazione la speciale ed eccezionale norma estintiva, desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 38, comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006 e 5, comma 1, lett. d), DPR n. 313/2002).
Inoltre, anche il professionista mandante, Arch. ..., non aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 46 DPR n. 445/2000, in sede di gara di aver riportato la condanna penale emessa dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza del 22.04.1975, confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 18.11.1975, di condanna alla reclusione di 9 mesi ed all’arresto di 2 mesi con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per aver commesso in concorso con altre persone il delitto ex art. 1, comma 3, D.Lg.vo n. 66/1948 di blocco stradale e la contravvenzione ex art. 655 C.P. di radunata sediziosa.
Mentre il predetto professionista mandatario designato dell’ATP controinteressata, Arch. ..., ha legittimamente omesso di dichiarare di aver riportato le condanne penali, emesse con la Sentenza Corte di Appello di Potenza del 03.02.2000, divenuta irrevocabile il 21.03.2000, di condanna sia alla reclusione di 15 giorni sia alla multa di £. 1.125.000 pari a 581,01 € con il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale (per aver commesso nel periodo dall’agosto 1993 al marzo 1994 il delitto ex art. 1 L. n. 389/1989 di evasione dei contributi previdenziali ed assistenziali) e con la Sentenza Corte di Appello di Potenza del 13.07.2000, divenuta irrevocabile il 30.12.2000, di condanna sia alla reclusione di 5 giorni sia alla multa di £. 375.000 pari a 193,67 € con il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale (per aver commesso nel periodo 01.05.1994-31.05.1994 il delitto ex art. 2 L. n. 638/1983 di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali), atteso che con Ordinanza n. 79 del 20.03.2008 (divenuta irrevocabile il 22.04.2008) il Tribunale di Sorveglianza presso la Corte di Appello di Potenza, ai sensi degli artt. 178 C.P. e 683 C.P.P., ha disposto la riabilitazione dell’Arch. ..., con riferimento alle predette due Sentenze, emesse dalla Corte di Appello di Potenza il 03.02.2000 ed il 13.07.2000. Anche se i suddetti due delitti, costituendo casi di violazione alla normativa in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, potrebbero integrare l’ulteriore ed autonomo caso di esclusione ex art. 38, coma 1, lett. i), D.Lg.vo n. 163/2006, se poi il reo non ha più pagato i contributi.
Comunque, anche con riferimento alla Sentenza n. 805 del 16.12.2010, dichiarata in sede di gara dal professionista, designato come soggetto mandatario, Arch. ..., di condanna alla pena detentiva convertita nella pena pecuniaria di 1.188,00 €, per il delitto ex artt. 81 C.P. e 1, comma 3, L. n. 389/1989 (per aver omesso, nella qualità di titolare della ditta “officina Maroscia”, di versare all’INPS le trattenute previdenziali ed assistenziali dei propri operai), risulta pure fondata la censura, dedotta dall’ATP ricorrente, dell’eccesso di potere per omesso esame e/o valutazione del reato dichiarato dal mandatario designato dell’ATP controinteressata, omessa istruttoria e carenza di motivazione.
Infatti, secondo un univoco orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. V Sent. n. 1736 del 23.03.2009; C.d.S. Sez. V Sent. n. 1723 del 12.04.2007; C.d.S. Sez. V Sent. n. 5321 del 18.09.2003; C.d.S. Sez. V Sent. n. 2129 del 28.04.2003; C.d.S. Sez. V Sent. n. 1145 dell’01.03.2003; C.d.S. Sez. V Sent. n. 6482 del 25.11.2002; C.d.S. Sez. V Sent. n. 5517 del 18.10.2001; TAR Veneto Sez. I Sent. n. 458 del 21.03.2011; TAR Milano Sez. III Sent. n. 599 dell’01.03.2011; TAR Trento Sent. n. 309 del 02.12.2008; TAR Milano Sez. III Sent. n. 3684 del 21.09.2005; TAR Palermo Sez. II Sent. n. 606 del 29.03.2004) la stazione appaltante, oltre ad avere l’obbligo, prescritto dall’art. 38, comma 3, ultimo periodo, D.Lg.vo n. 163/2006, di verificare il possesso del requisito di ammissione di ordine generale ex art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 mediante l’acquisizione dei certificati del Casellario Giudiziale, dopo aver accertato che uno dei soggetti indicati dal predetto art. 38, comma 1, lett. c), D.Lg.vo n. 163/2006 ha riportato una condanna penale definitiva, deve valutare caso per caso, dandone conto con idonea motivazione, la gravità del reato e la verifica dell’incidenza del reato commesso sulla moralità professionale, attraverso la disamina in concreto e non secondo criteri astratti e/o automatici delle peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità di commissione del reato.
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Risulta pure fondata la censura, con la quale è stata dedotta la violazione degli artt. 37, comma 4, e 90, comma 1, lett. g), D.Lg.vo n. 163/2006.
Infatti, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale (cfr. C.d.S. Sez. VI Sent. n. 416 dell’08.02.2008; C.d.S. Sez. V Sent. n. 5260 del 09.10.2007; C.d.S. Sez. VI Sent. n. 2310 dell’11.05.2007; C.d.S. Sez. VI Sent. n. 1001 dell’01.03.2007; Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia Sent. n. 116 del 31.03.2006; Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia Sent. n. 358 del 13.06.2005; Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia Sent. n. 97 dell’08.03.2005; C.d.S. Sez. V Sent. n. 6586 del 12.10.2004), condiviso anche da questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata Sentenze n. 577 del 26.10.2009 e n. 408 del 05.08.2008), dal tenore letterale degli artt. 37, comma 13, D.Lg.vo n. 2006 e 93, comma 4, DPR n. 554/1999 (per la precisione quest’ultima norma, di contenuto analogo all’art. 37, comma 13, D.Lg.vo n. 2006, è stata abrogata dall’art. 256, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006) si evince la necessarietà (e perciò anche a prescindere da una specifica e/o espressa indicazione della lex specialis di gara) che le quote di partecipazione ad un’ATI siano previamente indicate in sede di offerta, non essendo sufficiente che vengano evidenziate soltanto nella fase esecutiva dell’appalto, poiché la ratio di tali norme è quella di permettere alla stazione appaltante di verificare il possesso da parte di tutte le imprese facenti parte di un’ATI dei requisiti di ammissione alla gara in relazione alle singole quote di partecipazione all’ATI e di assicurare l’effettiva corrispondenza sostanziale tra quota di qualificazione, tra quota di partecipazione all’ATI e quota di esecuzione dell’appalto, e perciò tali norme rispondono ad un interesse di natura sostanziale e di carattere essenziale della Pubblica Amministrazione, per cui, poiché esprimono un principio fondamentale nella materia dei procedimenti di affidamento degli appalti pubblici, deve ritenersi che, anche in assenza di una puntuale previsione del bando e della lettera invito la mancata specificazione delle parti dell’appalto va sanzionata con l’esclusione dalla gara.
Secondo questo Tribunale (cfr. da ultimo TAR Basilicata Sentenze nn. 130, 131, 132 e 133 dell’11.03.2011) tale orientamento giurisprudenziale trova applicazione anche nel caso in cui non vi sia corrispondenza tra le quote di partecipazione all’ATI ed i requisiti di ammissione corrispondenti all’indicata quota di partecipazione all’ATI, in quanto costituisce principio fondamentale dei procedimenti di evidenza pubblica quello statuito dall’art. 40, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, secondo cui “i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati”, cioè devono possedere i requisiti di ammissione, stabiliti dalla lex specialis di gara, per poter concorrere all’aggiudicazione dell’appalto pubblico ed alla sua esecuzione, oppure, nel caso di ATI, devono possedere i requisiti di ammissione, stabiliti dalla lex specialis di gara, corrispondenti alla quota di partecipazione all’ATI, al fine di garantire la stazione appaltante in ordine alla effettiva capacità tecnico economica delle imprese aggiudicatarie di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, le quali debbono essere in grado di far fronte alle obbligazioni contrattuali, discendendone che solo ove la singola impresa costituente il raggruppamento sia dotata della capacità economica adeguata alla sua percentuale di partecipazione al raggruppamento, la medesima può adeguatamente adempiere alle prestazioni scaturenti dall’aggiudicazione del contratto di appalto.
Diversamente l’istituto dell’Associazione Temporanea di Imprese, creato con la chiara finalità di attuare in modo più efficace il principio della libera concorrenza e di apertura al mercato del settore degli appalti pubblici (il quale può trovare concreta applicazione soltanto se le imprese, che non hanno i requisiti di carattere economico e tecnico per partecipare singolarmente alla gara, possono associarsi; conseguentemente, la possibilità di partecipare in ATI risponde al principio generale di garantire la più ampia partecipazione nei procedimenti di evidenza pubblica, al fine di garantire la selezione della migliore offerta presente sul mercato) si presterebbe ad essere utilizzato strumentalmente, per consentire alle imprese, non in possesso dei requisiti di ammissione alla gara, di eseguire lo stesso gli appalti pubblici.
Pertanto, dall’art. 37, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006, che ha espressamente sancito anche per gli appalti pubblici di forniture e servizi l’obbligo di specificare in sede di offerta “le parti del servizio o della fornitura, che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti”, discende che i suddetti principi trovano automatica applicazione anche nei procedimenti di gara per l’affidamento di appalti pubblici di forniture e servizi (per inciso va, però, precisato che tali principi risultano espressamente richiamati dal combinato disposto di cui agli artt. 37, comma 6, e 40 D.Lg.vo n. 163/2006 soltanto con riferimento agli appalti pubblici di lavori), tenuto conto anche della circostanza che il predetto art. 40, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, sebbene espressamente riferito soltanto agli appalti pubblici di lavori, costituisce un principio fondamentale in materia di procedimenti di evidenza pubblica, senz’altro valevole anche con riferimento agli appalti pubblici di forniture e servizi, dal momento che l’opposta interpretazione, sostenuta dai ricorrenti, sancirebbe l’incomprensibile ed illogico principio, secondo cui, diversamente dagli appalti pubblici di lavori, gli appalti pubblici di servizi e forniture potrebbero essere eseguiti anche da imprese e/o ditte, partecipanti ad un’ATI, non in possesso pro quota dei requisiti di ammissione alla gara.
Al riguardo, va anche rilevato che sia l’art. 40, comma 1, lett. g), sia l’art. 105, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, nell’ambito della disciplina dei concorsi di progettazione, richiamano espressamente le disposizioni della Parte II del D.Lg.vo n. 163/2006 e perciò anche l’art. 37 D.Lg.vo n. 163/2006. Inoltre, va evidenziato che l’art. 65, comma 4, DPR n. 554/1999 statuisce che la stazione appaltante, nel caso di ATP, “può chiedere che i requisiti finanziari e tecnici di cui all’art. 66, comma 1, lett. a, b) e d)” dello stesso DPR n. 554/1999 “siano posseduti in misura non superiore al 60% dalla capogruppo”, specificando che “la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dal o dai mandanti, ai quali non possono essere richiesti percentuali di possesso dei requisiti minimi”, per cui anche da quest’ultima norma, che deroga all’art. 95 stesso DPR n. 554/1999 soltanto per l’assenza di prescrizioni del possesso in capo alla mandataria ed alle mandanti dei requisiti ammissione in base a percentuali minime (mentre l’art. 95 DPR n. 554/1999 prevede rispettivamente il possesso in capo alla mandataria della percentuale minima del 40% ed in capo alle mandanti della percentuale minima del 10% dei requisiti di ammissione), si desume agevolmente la conferma del suddetto principio di corrispondenza tra le quote di partecipazione all’ATP ed i requisiti di ammissione corrispondenti all’indicata quota di partecipazione all’ATP.
Dunque, poiché l’ATP controinteressata nella domanda di partecipazione si è limitata ad indicare in modo generico i compiti, che avrebbero svolto i singoli componenti dell’ATP, ma non ha indicato in modo preciso sia le parti dell’appalto, sia le corrispondenti quote di partecipazione e/o di esecuzione dell’appalto, doveva essere esclusa dalla gara, in quanto tali carenze non hanno permesso alla stazione appaltante di verificare la corrispondenza tra le quote di partecipazione all’ATP ed i requisiti di ammissione di ogni singolo componente dell’ATP, corrispondenti all’indicata quota di partecipazione all’ATP (TAR Basilicata, sentenza 06.12.2011 n. 571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - VARI: G.U. 06.12.2011 n. 284, suppl. ord. n. 251/L, "Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici" (D.L. 06.12.2011 n. 201).

APPALTI: La seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte di gara costituendo una regola generale rispondente ai principi di trasparenza ed imparzialità, si applica anche agli appalti di servizi all. II B del dlgs. 163/2006.
La seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte di gara costituisce una regola generale rispondente ai principi di trasparenza ed imparzialità, e come tale, se non espressamente esclusa dalla legge o dalla disciplina di gara, deve ritenersi applicabile ad ogni tipo di procedura concorsuale: tale conclusione si impone peraltro alla luce dell'art. 27 del DLgs n. 163 del 2006 il quale sancisce che anche per le gare aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture esclusi dall'applicazione del codice (come, nella specie, il servizio di educazione) devono trovare applicazione (tra gli altri) i principi di imparzialità e trasparenza, principi cui è indubbiamente collegata la regola della seduta pubblica per l'apertura delle buste afferenti alla gara (nella fattispecie, per l'individuazione dell'impresa cui affidare il servizio educativo) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 05.12.2011 n. 1805 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte di gara costituisce, invero, una regola generale rispondente ai principi di trasparenza ed imparzialità, e come tale, se non espressamente esclusa dalla legge o dalla disciplina di gara, deve ritenersi applicabile ad ogni tipo di procedura concorsuale: tale conclusione si impone peraltro alla luce dell'art. 27 del DLgs n. 163 del 2006 il quale sancisce che anche per le gare aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture esclusi dall'applicazione del codice devono trovare applicazione (tra gli altri) i principi di imparzialità e trasparenza, principi cui è indubbiamente collegata la regola della seduta pubblica per l'apertura delle buste afferenti alla gara.
- che è invece fondata la successiva censura con cui, richiamando Ap n. 13/2011, si contesta la mancata apertura della busta contenente l’offerta tecnica in seduta pubblica: la seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte di gara costituisce, invero, una regola generale rispondente ai principi di trasparenza ed imparzialità, e come tale, se non espressamente esclusa dalla legge o dalla disciplina di gara, deve ritenersi applicabile ad ogni tipo di procedura concorsuale: tale conclusione si impone peraltro alla luce dell'art. 27 del DLgs n. 163 del 2006 il quale sancisce che anche per le gare aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture esclusi dall'applicazione del codice (come, nella specie, il servizio di educazione) devono trovare applicazione (tra gli altri) i principi di imparzialità e trasparenza, principi cui è indubbiamente collegata la regola della seduta pubblica per l'apertura delle buste afferenti alla gara (nella fattispecie, per l'individuazione dell'impresa cui affidare il servizio educativo);
- che, dunque, il ricorso è fondato sotto tale, dedotto profilo, con conseguente annullamento dell’intera gara e l’obbligo di rinnovazione della stessa da parte dell’Amministrazione comunale ... (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 05.12.2011 n. 1805 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTII 40mila euro sono una soglia per tutti.
L'innalzamento a 40mila euro della soglia per l'affidamento diretto di beni e servizi mediante procedure in economia vale anche per i servizi tecnici, intesi come i servizi di progettazione, direzione lavori e simili, affidabili in base all'articolo 91 del Dlgs 163/2006.

Alla modifica apportata al comma 11 dell'articolo 125 del Codice dei contratti pubblici dalla legge 106/2011 non era seguito l'adeguamento del dato di valore esplicitato nel comma 10 dell'articolo 267 del Dpr 207/2010. Inoltre, a sostegno della tesi della permanenza del vecchio valore di 20mila euro per l'affidamento diretto di servizi di ingegneria e architettura mediante procedure in economia, si poneva l'abrogazione, a opera della stessa legge 106/2011, dell'inciso che faceva riferimento al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del Codice: proprio quello che disciplina l'affidamento senza procedura di consultazione.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) ha tuttavia risolto la questione in senso positivo, affermando che l'innalzamento della soglia vale anche per l'affidamento di servizi tecnici.
Nel proprio parere sulla normativa Reg 22/2011 del 16.11.2011, infatti, l'Avcp evidenzia come da una più attenta disamina del contrasto normativo venutosi a creare non possa che ricostruirsi una fattispecie nella quale il legislatore ha inteso modificare un aspetto di una normativa di rango primario (la parte dell'articolo 125 del Codice, nella quale è menzionata la soglia di riferimento, portata a 40mila euro) omettendo di porre mano ad una modifica che, in un'ottica di carattere sistematico, appare tanto logicamente conseguente quanto necessaria.
Secondo l'Autorità, in tal senso appare evidente come, a seguito di una modifica della disciplina principale, le disposizioni correlate di livello regolamentare (proprio il Dpr 207/2010), che hanno carattere esecutivo ed attuativo e non anche delegificante (così come previsto proprio dallo stesso Codice all'articolo 5), non possano interpretarsi che in senso conforme a quanto previsto dalla normativa di rango primario, senza porsi in alcun modo in contrasto con essa.
La tesi sembra confermata dalla circostanza che il legislatore, modificando l'originaria formulazione del comma 10 dell'articolo 267 con l'eliminazione del riferimento al "secondo periodo" del comma 11 dell'articolo 125, avrebbe inteso ricomprendere i servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria nel più ampio ambito, e nella relativa disciplina, di cui all'articolo 125, comma 11, del Codice (articolo Il Sole 24 Ore del 05.12.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIUn'analisi di mercato prima di ogni nuovo affidamento.
A LARGO RAGGIO/ L'esclusiva viene meno con un meccanismo di silenzio-assenso anche quando la privativa è disposta per legge.

La mancata adozione da parte dei Comuni della delibera quadro sui servizi pubblici locali a rilevanza economica determina il venir meno dei diritti di esclusiva sugli stessi, con meccanismo di silenzio-assenso.
È dubbio se tale meccanismo agisca automaticamente, anche in forza di quanto previsto dall'articolo 3 dello stesso Dl 138/2011, pure per quei servizi pubblici locali ove la privativa è disposta per legge (ciclo dei rifiuti, ciclo idrico, trasporto pubblico locale eccetera).
L'articolo 9, comma 2, lettera c), della legge di stabilità 2012 (la 183/2011), che integra le disposizioni dell'articolo 4 della legge 148/2011, stabilisce l'obbligo di procedere, prima di ogni nuovo affidamento, e comunque non oltre il 12.08.2012, all'analisi di mercato per ciò che concerne la produzione ed erogazione dei servizi, secondo standard quali-quantitativi compatibili con i livelli essenziali delle prestazioni, postulando la prevalenza del principio di liberalizzazione se le condizioni strutturali dell'offerta e della domanda sono tali da garantirne il rispetto in un'ottica di equa distribuzione territoriale.
Tale prevalenza, da realizzare attraverso la privatizzazione dei processi produttivo-erogativi, la libera concorrenza e sistemi di benchmarking anche territoriali, impone dunque specifiche valutazioni propedeutiche prima dell'adozione di qualunque modello organizzativo dell'ente.
Nell'ambito delle funzioni esercitate, e comunque almeno per quelle essenziali definite con la legge delega sul federalismo fiscale (la 42/2009), occorre quindi individuare, distintamente per ogni tipologia di servizio, l'interesse del mercato al fine di verificarne l'eventuale rilevanza economica e i possibili meccanismi di regolazione della concorrenza.
L'attuazione del processo di liberalizzazione sarà possibile ove la risposta del mercato risulti adeguata almeno agli standard produttivi ed erogativi minimi assicurati dalla privativa pubblica. L'analisi di mercato presuppone valutazioni specifiche a livello di singole realtà territoriali e di diverso contesto socio-economico e culturale; in altre parole, se, da un lato, è agevole dimostrare in generale che solo in presenza di poteri autoritativi pubblici può essere proficuamente reso il servizio cimiteriale e dunque possono essere salvaguardate la salute e l'igiene pubblica, dall'altro occorre considerare che le possibilità di liberalizzare le modalità di gestione dei servizi culturali, anziché sportivi o di trasporto e refezione scolastica, dipendono essenzialmente dall'adeguatezza del mercato rispetto alla domanda locale.
L'ente dovrà dunque chiarire, attraverso l'analisi di mercato, se una gestione concorrenziale possa costituire una valida alternativa alla privativa pubblica, ricordando che il prezzo del servizio, una volta liberalizzato, lo fa il mercato e non più il Comune, il quale potrà solo intervenire con compensazioni finanziarie per garantirne la fruizione alle categorie meno abbiente.
Un decreto ministeriale, da emanare entro gennaio 2012, dovrà definire i criteri guida per la delibera quadro e le modalità con cui i soggetti affidatari sono tenuti a rendere pubblici i dati concernenti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente e il livello degli investimenti effettuati.
Poiché l'adozione da parte del consiglio comunale della delibera citata costituisce un atto propedeutico a qualunque modifica rispetto alle attuali modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, nelle more dell'emanazione del decreto attuativo si produce una sorta di condizione sospensiva, durante la quale parrebbero inibite nuove scelte strategico-organizzative a livello locale.
La mancata adozione di qualsiasi delibera propedeutica alle future scelte strategiche per gli affidamenti in regime transitorio determinerà l'intervento sostitutivo del Governo, tramite il prefetto, che nominerà un commissario ad acta previa diffida, secondo le modalità che saranno definite nell'emanando Dm attuativo dell'articolo 9 della legge 183/2011 (articolo Il Sole 24 Ore del 05.12.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: F. Gavioli, Contenzioso appalti, accordo bonario chi-come-quando (link a www.ipsoa.it).

APPALTI FORNITURE: Appalti di forniture, per partecipare solo prodotti omologati.
Il Consiglio di Stato ha precisato che i requisiti essenziali per la partecipazione alle gare di appalto devono essere posseduti al momento della presentazione delle offerte. Nel caso di specie la mancanza dell'omologazione dei prodotti al momento della presentazione dell'offerta, rilasciata successivamente alla seduta di gara, è stato ritenuto elemento sufficiente per l'esclusione dalla procedura di gara.
Numerose sono le sfaccettature della decisione, ma in questa sede, riteniamo sottolineare solo un aspetto, ossia quello relativo alla omologazione dei prodotti offerti in sede di gara.
E' stata sollevata con ricorso in appello censura nei confronti dell'aggiudicataria, motivata dal fatto che la lex specialis di gara richiedeva l'omologazione del prodotto al momento della formulazione dell'offerta.
Parte controinteressata ha precisato che la dimostrazione dell'esistenza dell'omologazione poteva essere provata successivamente all'aggiudicazione provvisoria.
La Sezione ha valutato la censura avanti esposta ed ha concluso che astrattamente può essere provato il possesso del certificato di omologazione di un prodotto in sede di dimostrazione dei requisiti di gara, successivamente all'aggiudicazione provvisoria e prima di quella definitiva.
Tuttavia, ha precisato il Giudicante che la previsione del bando di gara del possesso del certificato di omologazione al momento della presentazione dell'offerta, comporta che è in sede di offerta che deve essere esibito il certificato di omologazione e ciò per rispetto della pars condicio tra i concorrenti partecipanti alla gara.
Inoltre, la sezione ha evidenziato che oltre agli aspetti formali della e nell'ambito della procedura di gara, vi è una problematica di tipo sostanziale che impedisce di ammettere legittimamente ad una procedura di gara ditte che non presentano il certificato di omologazione dei prodotti offerti, contestualmente alla presentazione dell'offerta e quindi in sede di gara. Tanto perché il certificato di omologazione di un prodotto è l'attestazione che quel prodotto ha il requisito per essere messo in commercio e ciò sicuramente necessario per essere un prodotto offerto alla Pubblica Amministrazione.
Le considerazioni avanti esposte hanno caratterizzato un settore delle motivazioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato che è stata quella del rigetto dell'appello, in quanto solo l'aggiudicazione definitiva rappresenta il momento della perfezione dell'appalto e della nascita di effetti giuridici aventi valore contrattuale tra le parti.
Sostanzialmente il procedimento di gara è ancora aperto tra la fase dell'aggiudicazione provvisoria e quella definitiva e la Stazione Appaltante, attraverso Responsabile del procedimento e Dirigente può esperire ogni accertamento necessario od utile ai fini di gara.
Alla luce di tutto ciò non si può che concludere che la seduta di gara è solo deputata alla raccolta ed all'apertura dell'offerte e si conclude con un atto di aggiudicazione provvisoria, m quale è il verbale di gara, che comunque non impedisce alla Pubblica Amministrazione di ulteriormente provvedere sul procedimento, nei limiti derivati dalla prima fase.
Certamente non è da sottovalutare la fase della seduta di gara che alla presenza di pubblici ufficiali, quali sono i componenti della Commissione di Gara e quella eventuale delle ditte partecipanti, costituisce un momento importante di trasparenza e di certezza per gli atti e le operazioni compiuti che vengono trasfuse nel verbale di gara quale atto pubblico.
A questo punto vi è da aggiungere che, nel caso di specie, non è stata ritenuta valida l'eccezione di essere nel possesso della omologazione perché in effetti alla data di presentazione dell'offerta, corredata da dichiarazione sostitutiva del possesso della omologazione dei prodotti, non è stata idonea in quanto l'omologazione è stata rilasciata in data successiva, quindi al momento di celebrazione della gara non vi era.
Di conseguenza successivamente alla seduta di gara non vi era alcuna attività possibile né da parte della stazione appaltante, né da parte dei concorrenti per l'acquisizione del documento mancante, ma dichiarato, in quanto nella sostanza non vi era l'omologazione dei prodotti e quindi difettava in capo alla concorrente un requisito di partecipazione (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.12.2011 n. 6376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sulla possibilità ai sensi dell'art. 37, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, di costituire raggruppamenti di tipo verticale per la partecipazione ad appalti di fornitura o servizi.
L'art. 37, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, consente di costituire raggruppamenti di tipo verticale per la partecipazione ad appalti di fornitura o servizi e, quindi, di ripartire le prestazioni richieste tra le imprese partecipanti a seconda della natura (principale o secondarie), a condizione che la stazione appaltante abbia chiaramente indicato quali di esse abbiano tale connotazione.
Dal disposto dell'ultimo inciso dell'art. 37, c. 2, si evince che compete unicamente all'amministrazione appaltante siffatta determinazione; di tal che, in mancanza, non è possibile assumere che una prestazione abbia carattere principale rispetto all'altra, risultando per la stessa ragione inammissibile una integrazione delle regole di gara da parte dell'operatore economico volta a supplire alla mancata indicazione delle prestazioni principale e secondarie (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 02.12.2011 n. 2074 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Effetti giuridici della pubblicazione dei bandi: rileva solo la pubblicazione nella GURI.
Per espressa previsione normativa, per quanto riguarda gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione dei bandi, assume unica rilevanza quella effettuata nella GURI (Gazzetta ufficiale della repubblica Italiana), indipendentemente quindi dall’anteriore pubblicazione operata nella GUCE (Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea).

Questo è il principio contenuto nella sentenza 02.12.2011 n. 1791 pronunciata dal TAR Veneto, Sez. I.
Il ricorso veniva introdotto da una società, esclusa da un appalto di servizi, per aver fornito una cauzione insufficiente rispetto a quanto previsto dalla disciplina di gara.
La ricorrente sosteneva che la disposizione del bando che prescriveva, a pena di esclusione, la prestazione di una determinata cauzione, fosse da ritenersi in contrasto con la nuova disciplina della tassatività delle cause di esclusione prevista dall’articolo 46, 1-bis del d.lgs. 163/2006 e applicabile all’appalto in questione in quanto il bando era stato pubblicato in GURI successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 70/2011.
Questa tesi era contrastata dall’amministrazione resistente, la quale evidenziava l’inapplicabilità della nuova disciplina in quanto la pubblicazione del bando in GUCE risultava anteriore rispetto alla data di entrata in vigore del D.L. 70/2011.
In merito all’applicabilità, ratione temporis, della nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 70/2011, il TAR Veneto ha così deciso “Ritiene il Collegio, conformemente all’indirizzo già espresso su analoga questione (cfr. TAR Veneto, I, n. 1575/2011), che il riferimento temporale da tenere in considerazione sia quello dell’avvenuta pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Invero, la disposizione contenuta nel comma 8 dell’art. 66 del Codice dei Contratti ha espressamente introdotto il principio generale per cui gli effetti giuridici connessi dall’ordinamento italiano all’avvenuta pubblicazione dei bandi di gara debbano essere ricondotti unicamente alla pubblicazione effettuata nella GURI, a nulla rilevando, a questo specifico fine, la data di pubblicazione nella GUCE.
Quindi, per espressa previsione normativa, per quanto riguarda gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione dei bandi, assume unica rilevanza quella effettuata nella GURI, indipendentemente quindi dall’anteriore pubblicazione operata nella GUCE.
Conseguenza diretta del combinato disposto della norma di cui al comma 8 dell’art. 66 e di quella introdotta dal comma 1-bis dell’art. 46, è che il principio di tassatività della clausole di esclusione debba valere, a pena di nullità delle clausole difformemente introdotte, per tutti i bandi la cui pubblicazione, avvenuta nella GURI, sia successiva all’entrata in vigore della norma, a prescindere all’anteriore pubblicazione dei medesimi nella GUCE
”.
Ritenuta applicabile la nuova disciplina della tassatività delle cause di esclusione, i giudici hanno accolto il ricorso dichiarando nulla, ex lege, la disposizione del bando di gara che sanzionava, a pena di esclusione, la prestazione di una cauzione provvisoria insufficiente rispetto a quanto richiesto dalla legge di gara.
Sotto questo aspetto, i giudici del TAR Veneto, richiamando il contenuto dell’articolo 75 del d.lgs. 163/2006 dove al primo comma è previsto che “L’offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente”, mentre l’ottavo comma dispone che “L’offerta è altresì corredata, a pena di esclusione, dall’impegno del fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, di cui all’art. 113, qualora l’offerente risultasse affidatario”, hanno sottolineato come il legislatore abbia espressamente sanzionato, a pena di esclusione, solo l’obbligo imposto dall’ottavo comma e non quello del primo.
In conclusione i giudici del TAR Veneto, in linea con quanto previsto dall’art. 66, comma 8, del d.lgs. 163/2006, hanno chiarito come gli effetti giuridici che l'ordinamento connette alla pubblicità, in ambito nazionale, decorrono dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, essendo irrilevante, ai fini della legge applicabile, l’eventuale anteriore pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U.U.E. 02.12.2011 n. L. 319 "REGOLAMENTO (UE) N. 1251/2011 DELLA COMMISSIONE del 30.11.2011 che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti".

APPALTI: E' illegittima l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche avvenuta in occasione della seduta riservata dedicata alla loro valutazione poiché risulta in contrasto con il principio di pubblicità affermato dalla sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011.
L’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto vìola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.

Considerato:
- che, a prescindere dalla prova della preclusione dell’accesso alla seduta pubblica in cui sono state aperte le buste contenenti la documentazione amministrativa, l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche risulta essere avvenuta in seduta riservata, in contrasto non solo con il principio di pubblicità recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001, ma anche con la stessa lex specialis della gara.
Contrariamente a quanto asserito da parte resistente, infatti, il verbale della prima seduta, pubblica, dà atto solo della <<presenza, integrità e la correttezza delle buste “Domanda di partecipazione”, “Offerta tecnica” e "Offerta economica”>>, dell’avvenuto accantonamento, in ordine progressivo, delle suddette buste, del riscontro della correttezza della sola documentazione contenuta nelle buste n. 1;
- che, conseguentemente, deve presumersi che l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche sia avvenuta in occasione della seduta riservata dedicata alla loro valutazione, in contrasto con il principio di pubblicità affermato dalla sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011 e, prima ancora e soprattutto, con il bando di gara;
- che l’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto vìola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di discostarsi dal precedente di questo Tribunale (sentenza TAR Brescia, II, 05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006, come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere che: “la norma sia volta a garantire l'imparzialità della commissione incaricata di valutare le offerte, e quindi, in ultima analisi, un principio fondamentale delle gare come quello della parità fra i concorrenti; si tratta in altre parole, come sottolineato dalla citata TAR Lazio-Roma, sez. III, 21.11.2008 n. 10565, di norma di rilievo procedimentale, ma non formalistico, che prescinde come tale "da ogni considerazione circa la specifica professionalità, competenza e serietà dei soggetti in concreto nominati", ma che, ove violata, vizia in modo irrimediabile l'esito finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione delle ragioni per cui, nella designazione dei membri della commissione giudicatrice, si è fatto ricorso a membri esterni alla stazione appaltante, omettendo anche di assegnare all’unico componente interno il ruolo di Presidente, inficia la legittimità di tutti gli atti adottati da tale commissione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche in seduta riservata risulta in contrasto con il principio di pubblicità recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001.
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L’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto viola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di discostarsi dal precedente di questo Tribunale in cui si legge, con riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006, come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere che: “la norma sia volta a garantire l'imparzialità della commissione incaricata di valutare le offerte, e quindi, in ultima analisi, un principio fondamentale delle gare come quello della parità fra i concorrenti; si tratta in altre parole di norma di rilievo procedimentale, ma non formalistico, che prescinde come tale "da ogni considerazione circa la specifica professionalità, competenza e serietà dei soggetti in concreto nominati", ma che, ove violata, vizia in modo irrimediabile l'esito finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione delle ragioni per cui, nella designazione dei membri della commissione giudicatrice, si è fatto ricorso a membri esterni alla stazione appaltante, omettendo anche di assegnare all’unico componente interno il ruolo di Presidente, inficia la legittimità di tutti gli atti adottati da tale commissione.

A prescindere dalla prova della preclusione dell’accesso alla seduta pubblica in cui sono state aperte le buste contenenti la documentazione amministrativa, l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche risulta essere avvenuta in seduta riservata, in contrasto non solo con il principio di pubblicità recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001, ma anche con la stessa lex specialis della gara. Contrariamente a quanto asserito da parte resistente, infatti, il verbale della prima seduta, pubblica, dà atto solo della <<presenza, integrità e la correttezza delle buste “Domanda di partecipazione”, “Offerta tecnica” e "Offerta economica”>>, dell’avvenuto accantonamento, in ordine progressivo, delle suddette buste, del riscontro della correttezza della sola documentazione contenuta nelle buste n. 1.
Conseguentemente, deve presumersi che l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche sia avvenuta in occasione della seduta riservata dedicata alla loro valutazione, in contrasto con il principio di pubblicità affermato dalla sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011 e, prima ancora e soprattutto, con il bando di gara.
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L’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto viola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di discostarsi dal precedente di questo Tribunale (sentenza TAR Brescia, II, 05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006, come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere che: “la norma sia volta a garantire l'imparzialità della commissione incaricata di valutare le offerte, e quindi, in ultima analisi, un principio fondamentale delle gare come quello della parità fra i concorrenti; si tratta in altre parole, come sottolineato dalla citata TAR Lazio Roma sez. III 21.11.2008 n. 10565, di norma di rilievo procedimentale, ma non formalistico, che prescinde come tale "da ogni considerazione circa la specifica professionalità, competenza e serietà dei soggetti in concreto nominati", ma che, ove violata, vizia in modo irrimediabile l'esito finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione delle ragioni per cui, nella designazione dei membri della commissione giudicatrice, si è fatto ricorso a membri esterni alla stazione appaltante, omettendo anche di assegnare all’unico componente interno il ruolo di Presidente, inficia la legittimità di tutti gli atti adottati da tale commissione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'inapplicabilità del procedimento di verifica sull'anomalia dell'offerta agli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 20 del d.lgs. n. 163 del 2006, dispone che l'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dall'art. 68 (sulle specifiche tecniche), dall'art. 65 (sull'avviso sui risultati della procedura di affidamento), nonché dall'art. 225 (sugli avvisi relativi agli appalti aggiudicati), e dunque non trova applicazione, in linea di principio, la normativa sull'anomalia dell'offerta.
Pertanto, poiché nel caso di specie, si tratta di un appalto di servizi di "servizi culturali, turistici e sale conferenze" compreso nell'ambito dell'All. II B del codice dei contratti pubblici (servizi ricreativi, culturali e sportivi) la disciplina sull'anomalia dell'offerta di cui all'art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006, non si applica alla fattispecie in esame.
Peraltro, la gestione dell'attività di valorizzazione dei beni culturali, secondo la norma di riferimento, costituita dall'art. 115 del codice dei beni culturali (d.lgs. 22.01.2004, n. 42), può avvenire o in forma diretta, ovvero, mediante concessione a terzi. A rigore, dunque, la gara avrebbe dovuto avere ad oggetto una concessione di servizi pubblici, piuttosto che un appalto di servizi; anche in tale prospettiva ai sensi dell'art. 30 del codice dei contratti pubblici la disciplina sull'anomalia dell'offerta non si estende alle concessioni di servizi (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 01.12.2011 n. 389 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

novembre 2011

APPALTI: Gli atti del convegno "Le procedure di acquisto in economia" tenutosi nel novembre 2011 a cura del Centro Studi Marangoni (link a www.centrostudimarangoni.it):
- 1^ parte.

APPALTI SERVIZI: C. Rapicavoli, L’affidamento dei servizi pubblici locali - La normativa vigente dopo la legge di stabilità (link a www.filodiritto.com).

APPALTILe prescrizioni del bando che comminano l'esclusione non sono valutabili dalla commissione di gara.
Confermato dal Consiglio di Stato il principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui qualora il bando commini l’esclusione obbligatoria dalla gara, l’amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tali prescrizioni, senza alcuna possibilità di valutazione (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.11.2011 n. 6330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa violazione della clausola di “stand still” in sé considerata, e cioè senza che concorrano vizi propri dell’aggiudicazione e senza un’apprezzabile incidenza sulla possibilità di ottenere l’appalto, non comporta l’annullamento di quest’ultima né l’inefficacia del contratto, potendo rilevare ai fini della valutazione delle responsabilità, anche risarcitorie, e dell’applicazione delle sanzioni alternative.
Ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. c), del Codice del processo amministrativo il contratto di appalto stipulato a seguito di aggiudicazione annullata è dichiarato inefficace quando l’amministrazione abbia violato il termine dilatorio stabilito dall’art. 11 del Codice dei contratti pubblici, “sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento”.
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Il Consiglio di Stato ha affermato che –ai fini della tutela della segretezza delle offerte, e per assicurare la “par condicio” e la trasparenza delle operazioni concorsuali– la Commissione di gara è tenuta a predisporre particolari cautele per la conservazione delle buste contenenti le offerte, e a fare espressa menzione di esse nel verbale di gara.
Questa Sezione ha però aderito al tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale, in presenza dell’obbligo di garantire la non manomissione dei documenti di una gara pubblica, è da presumere che lo stesso sia stato assolto dalla stazione appaltante adottando le normali precauzioni per la custodia degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei plichi: pertanto la doglianza secondo la quale le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che possa essersi verificata la sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura.
Anche il Consiglio di Stato ha osservato che la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla Commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione.
Secondo tale linea interpretativa non è sufficiente invocare la mancanza di idonee cautele a salvaguardia della non manomissione dei plichi –insinuando il generico sospetto di condotte idonee ad inquinare lo svolgimento della procedura– senza che sia dedotta alcuna altra circostanza oggettiva suscettibile di generare il ragionevole dubbio di uno scorretto e negligente assolvimento del dovere di custodia: costituirebbe inutile e formalistica decisione quella di annullare la gara solo perché non è stato dato atto a verbale dell’adozione di misure idonee a contrastare l’astratta possibilità che le buste in questione siano state manomesse. Il supporto normativo di tale indirizzo si rinviene nell’art. 78 del D.Lgs. 163/2006 il quale, nell’indicare gli elementi che non possono essere omessi nella redazione del verbale, non menziona le operazioni di custodia della documentazione di gara
Recentemente è stato elaborato un orientamento intermedio secondo cui la mera omessa verbalizzazione delle precauzioni assunte non è idonea in sé ad inficiare la procedura laddove il concreto andamento della medesima (ad esempio il trascorrere di un anomalo lasso di tempo tra una seduta e l’altra) ovvero ulteriori elementi non inducano a dubitare della corretta conservazione dei plichi.
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L’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che i Commissari diversi dal Presidente, non devono aver svolto, né possono svolgere, alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.
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L’assenza di elementi (nel provvedimento di costituzione della commissione di gara) attestanti l’accertamento della carenza in organico di adeguate professionalità, e l’omessa menzione di oggettive e comprovate esigenze che giustifichino la nomina (quale figura tecnica appropriata) del geom. ... integrano la violazione dell’art. 84, comma 8, del D.Lgs. 163/2006 per difetto di motivazione.
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La violazione della clausola di “stand still” in sé considerata, e cioè senza che concorrano vizi propri dell’aggiudicazione e senza un’apprezzabile incidenza sulla possibilità di ottenere l’appalto, non comporta l’annullamento di quest’ultima né l’inefficacia del contratto, potendo rilevare ai fini della valutazione delle responsabilità, anche risarcitorie, e dell’applicazione delle sanzioni alternative (cfr. TAR Calabria Reggio-Calabria – 20/10/2010 n. 942; TAR Lazio-Roma, sez. I-bis – 30/05/2011 n. 4842).
Ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. c), del Codice del processo amministrativo il contratto di appalto stipulato a seguito di aggiudicazione annullata è dichiarato inefficace quando l’amministrazione abbia violato il termine dilatorio stabilito dall’art. 11 del Codice dei contratti pubblici, “sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento”.
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Parte ricorrente censura l’operato della Commissione per violazione dell’obbligo di custodia dei plichi, dei principi di segretezza delle offerte, par condicio e trasparenza delle operazioni di gara, in quanto i documenti sono rimasti incustoditi per un’ora, ed il verbale (doc. 2) nulla specifica sulle precauzioni assunte in detto lasso temporale. Si tratta in particolare della sospensione per la pausa pranzo avvenuta dalle ore 13 alle ore 14 del giorno 15/02/2011, durante la quale la Commissione non ha osservato accorgimenti per assicurare la loro integrità.
La censura è priva di pregio.
Sul punto esiste un puntuale contrasto di giurisprudenza in seno al giudice di appello, il quale ha anche affermato che –ai fini della tutela della segretezza delle offerte, e per assicurare la “par condicio” e la trasparenza delle operazioni concorsuali– la Commissione di gara è tenuta a predisporre particolari cautele per la conservazione delle buste contenenti le offerte, e a fare espressa menzione di esse nel verbale di gara (Consiglio di Stato, sez. III – 03/03/2011 n. 1368).
Questa Sezione ha però aderito al tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale, in presenza dell’obbligo di garantire la non manomissione dei documenti di una gara pubblica, è da presumere che lo stesso sia stato assolto dalla stazione appaltante adottando le normali precauzioni per la custodia degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei plichi: pertanto la doglianza secondo la quale le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che possa essersi verificata la sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura (TAR Campania-Napoli, sez. I – 08/07/2010 n. 16615; TAR Sardegna, sez. I – 17/02/2006 n. 238).
Anche il Consiglio di Stato ha osservato che la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla Commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione (Consiglio di Stato, sez. V – 22/02/2011 n. 1094).
Secondo tale linea interpretativa non è sufficiente invocare la mancanza di idonee cautele a salvaguardia della non manomissione dei plichi –insinuando il generico sospetto di condotte idonee ad inquinare lo svolgimento della procedura– senza che sia dedotta alcuna altra circostanza oggettiva suscettibile di generare il ragionevole dubbio di uno scorretto e negligente assolvimento del dovere di custodia: costituirebbe inutile e formalistica decisione quella di annullare la gara solo perché non è stato dato atto a verbale dell’adozione di misure idonee a contrastare l’astratta possibilità che le buste in questione siano state manomesse. Il supporto normativo di tale indirizzo si rinviene nell’art. 78 del D.Lgs. 163/2006 il quale, nell’indicare gli elementi che non possono essere omessi nella redazione del verbale, non menziona le operazioni di custodia della documentazione di gara (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 07/07/2011 n. 4055).
Recentemente è stato elaborato un orientamento intermedio (cfr. TAR Piemonte, sez. I – 06/04/2011 n. 651) secondo cui la mera omessa verbalizzazione delle precauzioni assunte non è idonea in sé ad inficiare la procedura laddove il concreto andamento della medesima (ad esempio il trascorrere di un anomalo lasso di tempo tra una seduta e l’altra) ovvero ulteriori elementi non inducano a dubitare della corretta conservazione dei plichi.
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Con ulteriore doglianza parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 84 commi 2, 4, 8 e dell’art. 206 del D.Lgs. 163/2006 in quanto ai lavori della Commissione –composta dal responsabile dell’Area Affari Generali quale Presidente, da ... (altro membro interno), da ... come componente esterno e dal segretario (istruttore amministrativo dipendente)– ha assistito indebitamente il consulente Ing. ..., incaricato di predisporre la documentazione di gara: il consesso è stato in tal modo esautorato, e all’obiezione per cui egli avrebbe fornito solo dati tecnici Condotte Nord replica che in tal modo si ammette l’impreparazione dei componenti.
La doglianza è fondata.
Il Collegio ritiene di rimeditare i propri precedenti e le conclusioni sommariamente raggiunte in sede cautelare, anche in ragione dei recenti arresti dei giudici d’appello.
L’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che i Commissari diversi dal Presidente, non devono aver svolto, né possono svolgere, alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.
Non può sostenersi che l’applicabilità di tale disposizione è esclusa in quanto nel caso di specie non si verte in tema di appalto di lavori, servizi e forniture, ma di una concessione di pubblico servizio, giacché nella determinazione di nomina della Commissione (doc. 9 ricorrente) l’art. 84 del predetto D.Lgs. è espressamente richiamato e l’Ente procedente si è così vincolato alla sua osservanza.
Il verbale del 15/02/2011 dà atto che l’Ing. ... assiste alle procedure di gara “in qualità di consulente tecnico incaricato della predisposizione della documentazione tecnica utilizzata nella procedura di gara e di tutte le altre incombenze inerenti l’affidamento a terzi della gestione della rete metanifera”. Ne deriva che, nonostante il riferimento nominalistico alla veste di consulente, il suddetto Ing. ... ha partecipato continuativamente all’unica riunione della Commissione, non limitandosi a fornire un occasionale supporto tecnico eb externo ma verosimilmente (alla luce dello stabile affiancamento degli altri componenti) contribuendo in modo pieno ed organico alla formazione del processo decisionale ed alla conseguente assunzione delle determinazioni dell’organo collegiale.
Il Consiglio di Stato (cfr. sez. V – 16/03/2011 n. 1628) in proposito ha richiamato il canone ermeneutico che impone di annettere rilevanza, in sede qualificatoria, al dato sostanziale a preferenza della veste formale, e di fatto l’Ing. ... ha agito accanto agli altri membri della Commissione anche nell’adunanza riservata: per la sua peculiare condizione di aver prestato attività fondamentale nella fase di preparazione della gara il predetto soggetto si trovava in una situazione di incompatibilità, e non poteva essere membro di fatto (né “assistente” in via continuativa) della Commissione di gara (Consiglio di Stato, sez. V – 25/07/2011 n. 4450).
Le regole poste dall’art. 84 del Codice dei contratti pubblici in ordine ai criteri di scelta dei componenti della Commissione ed alla composizione complessiva dell’organo collegiale, laddove impongono il ricorso a professionalità tecnicamente attrezzate, sarebbero tra l’altro con evidenza eluse se si consentisse l’attribuzione ad un soggetto esterno di compiti decisionali determinanti in sede di valutazione delle offerte tecniche, tali da esautorare la Commissione nell’espletamento di un compito di sua pertinenza.
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Condotte Nord deduce la violazione dell’art. 84 del D.Lgs. 163/2006 sotto altro profilo, poiché non si è dato conto del rispetto delle norme per la selezione dei Commissari interni (si attesta la sola qualifica), e del membro esterno, per il quale occorreva certificare l’assenza in organico di professionalità adeguate (doc. 9).
La doglianza, nella parte riguardante l’esperto esterno, è fondata.
Come già evidenziato al punto 3.1 la disposizione invocata è stata esplicitamente recepita nella determinazione di nomina della Commissione e l’amministrazione si è vincolata alla sua osservanza, in disparte la questione della diretta applicazione alle fattispecie di concessione di pubblico servizio.
Nel merito, malgrado il provvedimento di nomina del 15/02/2011 dia conto dell’esperienza maturata dal soggetto prescelto (circostanza messa in luce nell’ordinanza cautelare), lo stesso non racchiude considerazioni (né risulta alcuna attività in tal senso) sul fatto che all’interno della stazione appaltante non sono state individuate professionalità adeguate ai compiti dell’organo ausiliario e neppure sulla necessità di rivolgersi al Consiglio dell’Ordine per chiedere un elenco di candidati con almeno 10 anni di anzianità, nel cui ambito scegliere il professionista membro dell’organo collegiale: (cfr. TAR Lazio-Roma, sez. II-ter – 27/05/2011 n. 4810). L’assenza di elementi attestanti l’accertamento della carenza in organico di adeguate professionalità, e l’omessa menzione di oggettive e comprovate esigenze che giustifichino la nomina (quale figura tecnica appropriata) del geom. ... integrano la violazione dell’art. 84, comma 8, del D.Lgs. 163/2006 per difetto di motivazione (Consiglio di Stato, sez. V – 17/01/2011 n. 224).
L’attribuzione agli Ordini del compito di individuare, secondo criteri trasparenti imperniati sulla competenza, le rose di professionisti, appare coerente con le funzioni di tali soggetti, ispirandosi a canoni comunitari di trasparenza ed efficienza che regolano la materia dei contratti pubblici (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 30.11.2011 n. 1673 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’atto con il quale viene disposto l’incameramento della cauzione presenta profili di autonomia rispetto al provvedimento di esclusione dalla gara: a differenza del primo, quest’ultimo può risultare, in concreto, non lesivo dell’interesse della parte, per cui la mancanza o l’inammissibilità dell’impugnazione dell’atto di esclusione può valere soltanto a rendere definitiva la mancata ammissione alla gara della Società interessata, senza che a questa sia precluso il diritto di contestare l’incameramento della cauzione o di far valere le proprie ragioni innanzi all’Autorità.
Parte ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione dell’art. 48 del D.Lgs. 163/2006, dei canoni di correttezza e leale collaborazione, dato che il ritiro –avvenuto prima della scadenza del termine (10 giorni) per il deposito dei documenti– ha natura di revoca della proposta contrattuale, e l’escussione della cauzione è prevista dalla legge soltanto per il caso di mancata sottoscrizione del contratto dopo la conseguita aggiudicazione.
Sostiene in particolare il Consorzio che:
• l’irrevocabilità della proposta garantisce la serietà dell’offerta fino al momento della stipulazione del contratto, mentre il ritiro dalla competizione può al limite esporre l’impresa ad un’azione di responsabilità precontrattuale, con l’onere di dimostrare il danno (nella specie insussistente);
• si tratta di abbandono innocuo ed in tal caso il Codice dei contratti non commina direttamente sanzioni;
• il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa e l’importo contrattuale escludevano il rischio di “cordate” ed altri accordi fraudolenti;
• non si tratta di una misura tipizzata, e la natura sanzionatoria dell’art. 48 impone una lettura in termini di stretta interpretazione (dunque l’applicazione non può intervenire per offerte non più in gara);
• in ogni caso il principio di buona fede e di leale collaborazione avrebbe dovuto indurre l’amministrazione –ricevuta la comunicazione dell’abbandono della competizione– ad avvisare con tempestività del rischio delle gravi misure sanzionatorie poi applicate; in buona sostanza la ricorrente doveva essere edotta dell’obbligo di inoltrare “in ogni caso” la documentazione anche dopo essersi ritirata con nota 12/05/2011.
La doglianza è fondata.
La norma di riferimento è l’art. 48 del D.Lgs. 163/2006, la quale (rubricata “Controlli sul possesso dei requisiti”) statuisce al comma 1 che “Le stazioni appaltanti prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono … di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. … Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'art. 6, comma 11. L’Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.
Va anzitutto premesso che l’atto con il quale viene disposto l’incameramento della cauzione presenta profili di autonomia rispetto al provvedimento di esclusione dalla gara: a differenza del primo, quest’ultimo può risultare, in concreto, non lesivo dell’interesse della parte, per cui la mancanza o l’inammissibilità dell’impugnazione dell’atto di esclusione può valere soltanto a rendere definitiva la mancata ammissione alla gara della Società interessata, senza che a questa sia precluso il diritto di contestare l’incameramento della cauzione o di far valere le proprie ragioni innanzi all’Autorità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 18/05/2001 n. 2780).
Ad ogni modo la riferita disposizione risponde alla ratio di consentire la sollecita definizione del procedimento selettivo –anche per evitare che determinate offerte influenzino la (eventuale) fase di individuazione della soglia di anomalia– mentre l’impresa destinataria della richiesta può rimanere inerte, ovvero attivarsi senza riuscire a rispettare il termine indicato. In tal caso il legislatore ha ritenuto prevalenti –rispetto alla posizione soggettiva del concorrente coinvolto nella fase di verifica– le esigenze correlate ai principi di speditezza e buon andamento dell’amministrazione e di par condicio dei partecipanti alla gara, per cui l’impresa inadempiente deve essere senz’altro esclusa.
A diverse conclusioni la giurisprudenza (cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. III – 01/12/2003 n. 5457) è pervenuta con riguardo alla cauzione, sostenendo che questa rappresenta una garanzia legata alla serietà e all’affidabilità dell’offerta e che la misura dell’incameramento non comporta conseguenze dirette in ordine all’accelerazione della procedura e all’esigenza di evitare che determinate offerte influenzino la fase di individuazione della soglia di anomalia: ciò ha indotto a valorizzare le circostanze che hanno determinato il mancato rispetto del termine e la non imputabilità del ritardo o dell’omissione alla sua condotta.
La necessità di valutare dette circostanze, al fine di attenuare gli effetti del descritto automatismo, risponde all’esigenza di offrire una lettura della norma non contrastante con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità cui l’azione amministrativa deve essere necessariamente ispirata (e detto ragionamento vale ovviamente anche per la segnalazione del fatto all’Autorità). Il principio di proporzionalità nell’applicazione delle sanzioni (cfr. per una recente applicazione TAR Lombardia Milano, sez. III – 20/07/2010 n. 3246) –che costituisce regola fondamentale dell'ordinamento giuridico sia interno che comunitario– non consente di considerare allo stesso modo (con conseguente applicazione della medesima sanzione) fatti aventi disvalore obiettivamente diverso, quali il non possedere i requisiti dichiarati in sede di offerta per la partecipazione alla gara, il documentare con ritardo requisiti effettivamente esistenti, o il documentare i medesimi in modo ritenuto insufficiente dall’amministrazione.
In definitiva la disposizione in esame non impedisce al concorrente –che sia effettivamente in possesso dei requisiti dichiarati– di produrli anche successivamente al termine di scadenza per l’adozione del provvedimento di esclusione, integrando la documentazione presentata e dando prova della sua buona fede al fine di richiedere il ritiro del provvedimento sanzionatorio e la restituzione della cauzione eventualmente già incamerata dalla stazione appaltante (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 30.11.2011 n. 1672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’enunciazione dei criteri di valutazione deve precedere il giudizio della commissione.
È incompatibile con il principio di trasparenza ed imparzialità nella gestione della procedura di gara la totale mancata individuazione previa del peso ponderale dei criteri valutativi dell’offerta tecnica. La parte ricorrente in questa circostanza, lamentava che il suddetto peso ponderale non fosse indicato non solo nel bando ma in nessun momento della procedura.
Ma in relazione a procedure di gara alle quali non trovano puntuale applicazione le direttive appalti ma solo i generali principi comunitari di evidenza pubblica, la giurisprudenza comunitaria ha talvolta puntualizzato che non è ricavabile da detti principi un onere dell’amministrazione di comunicare ai concorrenti i pesi ponderali dei criteri di valutazione prima della scadenza del termine per presentare la domanda di partecipazione. In questa vicenda, tuttavia, la mancata individuazione dei pesi ponderali da attribuirsi ai criteri di aggiudicazione è proseguita ben oltre il bando e per tutta la procedura.
In tal caso, i giudici del Tribunale amministrativo di Torino ricordano che la giurisprudenza comunitaria è compatta nel ritenere che, anche se non necessariamente nel bando, sussiste per ogni procedura di evidenza pubblica un onere di definizione previa dei pesi ponderali dettati per i criteri di valutazione (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.11.2011 n. 1260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pagamento di una fattura emessa da una ditta dichiarata fallita.
Domanda.
La scrivente Amministrazione Comunale deve provvedere su istanza del Curatore Fallimentare al pagamento di una fattura emessa da una ditta dichiarata fallita a seguito di sentenza del Tribunale.
Lo stesso Curatore chiede che il pagamento sia effettuato mediante emissione di assegno circolare non trasferibile così intestato: "Fallimento ditta XXX". Ciò premesso, considerata la natura speciale della procedura, si chiede di conoscere quanto segue:
1) Se sia legittimo il pagamento nella forma richiesta dal Curatore (assegno circolare non trasferibile);
2) Se il pagamento in oggetto rientri nell'alveo di applicazione della Legge 136/2011 sulla tracciabilità dei flussi finanziari, con obbligo di indicazione nel mandato di pagamento del Cig, Cup e conto corrente dedicato;
3) Se la scrivente Amministrazione debba procedere alle verifiche di regolarità contributiva DURC ed eventualmente, se l'ordinativo di pagamento supera euro 10.000,00, anche a quelle di cui all'art. 48-bis del D.P.R. 602/1973.
Risposta.
Per quanto riguarda la tracciabilità degli flussi finanziari tale strumento, disciplinato principalmente dall'art. 3 e dall'art. 6 della legge n. 136 del 13.08.2010, non prevede deroghe per società fallite. Le norme sulla tracciabilità dei flussi finanziari si applicano in tutti i casi in cui sia stipulato un contratto d'appalto pubblico tra operatore economico e mittente pubblico ad eccezione dei casi previsti dalla legge e richiamati nella Determinazione del 07.07.2011 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ad es. contratti ex art. 25 del Codice).
Gli obblighi si articolano in tre adempimenti da lei elencati: utilizzo di conti correnti bancari o postali dedicati alle commesse pubbliche, anche in via non esclusiva; effettuazione dei movimenti finanziari con strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni; indicazione, ad ogni transazione, del codice identificativo di gara (CIG), ove obbligatorio ai sensi dell'art. 11 della legge 16.01.2003, del codice unico di progetto (CUP). Pertanto non ne ammissibile effettuare il pagamento con un assegno circolare non trasferibile in quanto tale strumento non assicura la piena tracciabilità dell'operazione e non è annoverato tra strumenti ammissibili nella suddetta Determinazione dell'Autorità.
A titolo di completezza corre l'urgenza di segnalare che, ai fini del semplice test di legittimità, tale forma di pagamento non può essere in alcun modo considerata illegittima in senso generale, ma solo nei confronti di soggetto appartenente alla PA (in altre parole, vige una sorte di illegittimità limitata in senso soggettivo).
Con riferimento alla verifica DURC ed agli obblighi di cui all'art. 48-bis del D.P.R. 602/1973, attuato con il D.M. del 18.01.2008, non sono previsti esoneri per società dichiarate fallite: pertanto la Sua Amministrazione Pubblica verificherà -anche in via telematica- se la società soggetta a procedura concorsuale è inadempiente rispetto alla notifica di una o più cartelle per un ammontare complessivo superiore a tale importo (30.11.2011 - tratto da link a www.ipsoa.it).

APPALTINella lex specialis la stazione appaltante deve predeterminare i criteri e i sub-criteri di valutazione nonché il loro specifico peso.
La lex specialis deve consentire ai concorrenti di conoscere preventivamente la rilevanza, in termini di punteggio, di ciascun sub-criterio onde evitare di precludere di fatto, agli operatori economici interessati, di predisporre l’offerta in modo da valorizzare quegli aspetti tecnico-qualitativi cui la stazione appaltante intendeva riconoscere maggiore rilevanza.
Il d.l.vo n. 152/2008 (terzo decreto correttivo del codice dei contratti pubblici), in adesione al parere espresso dalla Adunanza Consultiva del Consiglio di Stato del 14.07.2008, ha espunto dall’art. 83, comma 4, del codice, l’inciso secondo cui ”... la commissione giudicatrice prima della apertura delle buste contenenti le offerte fissa in generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando”.
La modifica normativa conferma, quindi, che il giudizio espresso dalla commissione di gara deve trovare il suo substrato nella puntuale e rigorosa predeterminazione di criteri e sub-criteri di valutazione nonché del loro specifico peso ponderale da parte della stazione appaltante in sede di preventiva redazione della lex specialis. Né assume rilevo la circostanza che la commissione di gara tenti di sopperire all’incontestabile mancata indicazione nella lex specialis di sub-pesi o sub-punteggi attraverso una relazione posta in calce ai verbali di gara.
Tale modus operandi si configura, infatti, come il tentativo della commissione di sanare in via postuma la illegittimità in cui era incorsa la stazione appaltante all’atto della redazione della lex specialis e giammai tale motivazione postuma può considerarsi surrogatoria della mancata prefissione di precisi criteri di valutazione (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 29.11.2011 n. 6306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICommissione di gara - Competenza tecnica - Valutazione di adeguatezza - Non implica esperienze specifiche in capo ad ogni commissario - Necessità di una valutazione dell'organo nel suo complesso.
Il giudizio di adeguatezza della Commissione sotto lo specifico profilo della competenza tecnica necessaria, come la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare, non implica che ciascun Commissario debba possedere tutte le cognizioni rilevanti in relazione allo specifico oggetto dell'appalto, ma che tale competenza debba risultare dall'insieme delle esperienze di ciascun componente e come tale riferibile all'organo nel suo complesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.11.2011 n. 2952 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOGGETTO: richiesta di parere sull’accessibilità di informazioni relative alla certificazione antimafia ai sensi del d.lgs. n 490/1994 e DPR n 252/1998.
La Prefettura in indirizzo ha rappresentato che -a seguito della richiesta di certificazione antimafia da parte di un’autorità portuale- aveva interdetto (ex art. 10 DPR n. 252/1998 e art. 4 d.lgs. n. 490/1994) dai rapporti con la p.a. una ditta individuale il cui titolare era amministratore unico di un consorzio stabile di cui facevano parte due soggetti contigui alla criminalità organizzata. Rilasciata copia dell’informativa antimafia (con mascheramento dei nominativi dei soci del consorzio), la Prefettura aveva ricevuto dal titolare della ditta un’istanza di accesso per conoscere l’identità dei soci consorziati appartenenti al sodalizio mafioso, al fine di provvedere alla loro immediata esclusione.
Tanto premesso, l’amministrazione ha chiesto di conoscere se il principio di inaccessibilità degli atti rientranti nelle categorie indicate dall’art. 3 del D.M. n. 415/1994 a tutela della prevenzione e repressione della criminalità organizzata debba o meno ritenersi prevalente rispetto al diritto di accesso a fini di difesa ai sensi dell'art. 24, co. 7, legge n. 241/1990.
La Commissione ritiene di dover preliminarmente richiamare sinteticamente il quadro normativo di riferimento.
L'art. 24 della legge n. 241/1990 prevede una serie di esclusioni all'esercizio del diritto di accesso, alcune obbligatorie, precisamente quelle elencate al comma 1, altre facoltative e da individuare con regolamenti, in riferimento agli interessi elencati al comma 6. Il successivo comma 7 dispone che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili o giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute la vita sessuale".
Tale ultimo disposto non pare riferibile a tutti i casi di esclusione dell'accesso previsti dalla normativa vigente, e in particolare a quelli previsti dall’art 3 del D.M. 10.05.1994 n. 415 (modificato con il D.M. 17.11.1997 n. 508) che alla lett. b), per quanto qui rileva, sottrae all’accesso "relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relative a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizione di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".
Infatti, se, prima facie, l’art. 24, co. 7, sembra riferito a tutti gli interessi indicati nel comma 6 (e nel comma 1) della citata disposizione, tuttavia è significativo che esso preveda alcune eccezioni al generale principio di accessibilità dei documenti “riservati”, qualora il richiedente ne abbia necessità per difendersi in giudizio, laddove negli stessi siano presenti altrui informazioni personali qualificabili come dati sensibili o giudiziari, con una tutela particolarmente accentuata per quelli idonei a rivelare l'altrui stato di salute o vita sessuale.
In tale ottica, la norma in questione è “figlia” del vecchio testo dell'art. 24, co. 2, lett. d), della legge n 241/1990 che escludeva l'accesso nei casi, previsti da regolamento, in cui risultasse necessario tutelare la "riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici".
La ratio della norma era quella di contemperare l'esercizio dell'accesso a fini di difesa con la tutela della riservatezza dei terzi, bilanciando la posizione dell’accedente con uno solo degli interessi contrapposti (appunto la riservatezza): non era invece riferibile agli altri interessi, la cui salvaguardia poteva giustificare il diniego dell'accesso. Ciò induce a ritenere che anche il nuovo comma 7 dell'art. 24, legge 241/1990 (modificato dall’art. 16 della legge n. 15/2005) sia riferibile solo ai conflitti tra diritto d'accesso a fini di difesa e tutela della riservatezza, e non sia invece destinato a risolvere situazioni nelle quali il primo confligga con gli altri interessi elencati al comma 6 (o comma 1) dell'art. 24. Si noti, in tal senso, anche la relazione di accompagnamento alla legge n. 15/2005, modificativa della legge 241/1990, che riferisce il nuovo comma 7 dell'art. 24 unicamente all'esigenza di tutelare la riservatezza dei terzi.
D’altro canto, se così non fosse, l’art. 24, comma 7, si esporrebbe a censure di incostituzionalità in quanto garantirebbe maggiormente la riservatezza delle persone -che può costituire un limite all'accesso ove i documenti richiesti contengano dati sensibili o giudiziari di terzi- mentre non riserverebbe un'eguale protezione ai pur preminenti interessi alla tutela dell'ordine pubblico e della prevenzione e repressione della criminalità, non essendo previsti analoghi limiti all’accesso. Non si giustificherebbe però il differente trattamento riservato alla tutela della riservatezza rispetto agli altri interessi della prevenzione della criminalità. Anche tali interessi, infatti, assumono preminente rilevanza costituzionale e dunque debbono trovare analoga tutela legislativa rispetto alla riservatezza.
Alla luce di quanto sopra, la Commissione ritiene che, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata del nuovo testo dell'art. 24, comma 7, legge n. 241/1990, siffatta disposizione debba ritenersi applicabile unicamente alla risoluzione dei conflitti tra diritto di accesso e tutela della riservatezza altrui.
Pertanto, non venendo nella fattispecie in rilievo un conflitto di tal genere, essendo i dati sottratti all’accesso motivati dalla esigenza di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o della prevenzione e repressione della criminalità, si ritiene che i nominativi richiesti dall’istante non siano conoscibili, quand’anche il richiedente ne abbia necessità per difendere i propri interessi giuridici
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 29.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

APPALTI: OGGETTO: Richiesta di parere concernente il diritto di accesso ai documenti relativi a gara telematica per appalto del servizio di manovalanza relativo ai trasporti per esigenze del Ministero della Difesa.
Il Ministero istante riferisce che, dopo aver indetto una gara d’appalto per il servizio di manovalanza connesso ai trasporti relativi ad esigenze centrali e periferiche ministeriali, un consorzio stabile, classificatosi al secondo posto nella graduatoria della pubblica gara citata in oggetto, aveva richiesto di accedere ai sensi della legge n. 241/1990 a tutti gli atti di gara, ivi compresi quelli relativi all’offerta di una cooperativa risultata aggiudicataria dell’appalto, al fine di verificare il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti di partecipazione ed eventualmente di valutare ipotesi di invalidità del contratto d’appalto ormai stipulato. L’amministrazione istante precisa che l’aggiudicataria controinteressata aveva espresso la propria opposizione all’accesso ad atti contenenti dati sensibili e riservati (relativi a contratti, progetti base ed altre informazioni concernenti il know how aziendale).
L’amministrazione, esprimendo dubbi sull’utilità dell’istanza di accesso, in quanto sarebbero decorsi i termini per impugnare l’aggiudicazione definitiva e difetterebbe la legittimazione dell’impresa partecipante, non aggiudicataria ad intentare azione di annullamento del contratto, chiede a questa Commissione se debba prevalere il principio di trasparenza amministrativa ovvero se l’accesso vada negato essendo finalizzato ad un controllo generalizzato sull’operato della p.a., tenuto anche conto della motivata opposizione del controinteressato per esigenze di riservatezza a tutela di segreti industriali.
Il primo tema al quale il Ministero ha fatto cenno nella richiesta di parere è precisamente quello dell’utilità dell’accesso ai documenti richiesti. Univoca è la giurisprudenza del G.A., alla quale anche questa Commissione si è uniformata, secondo cui l’Amministrazione, in sede di esame della istanza di accesso, non deve svolgere
nessun apprezzamento sull’utilità di detto accesso, ovvero in ordine alla fondatezza o alla ammissibilità della domanda che si intenda proporre a difesa della propria posizione posta a base della relativa istanza (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15.11.2004 n. 7349).
Il secondo tema riguarda il “contemperamento” fra l’esercizio del diritto all’accesso e la tutela della riservatezza. Anche in tal caso, è costante nella giurisprudenza amministrativa il principio generale secondo cui il diritto d’accesso ai documenti amministrativi prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo, ogniqualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. VI 26.04.2005 n. 1896). Con particolare riguardo al caso in esame, l’articolo 13, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 stabilisce che, anche in caso di segreti industriali o commerciali "è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso".
Seppur in astratto non paiono configurabili segreti di sorta, tenuto conto della natura del servizio appaltato (servizio di manovalanza connessa a trasporti), tuttavia, al più, l'Amministrazione potrà intervenire con opportuni accorgimenti (cancellature o omissis) in relazione alle eventuali parti dell'offerta idonee a rivelare i segreti industriali a condizione che queste ultime "non siano state in alcun modo prese in considerazione in sede di gara" (Consiglio Stato, sez. VI, 07.06.2006, n. 3418 e Consiglio Stato, sez. VI, 20.04.2006, n. 2223)
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 29.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi di Igiene Ambientale, l'avvicendamento di imprese nella gestione di appalti.
Domanda.
In caso di gara per Servizi di Igiene Ambientale l'obbligo per l'aggiudicatario di assumere il personale della ditta uscente previsto dal Contratto Collettivo Nazionale, comporta anche l'obbligo di rispettare il tipo di contratto in corso, per cui se i lavoratori da assorbire sono assunti a tempo pieno non è possibile proporre nel progetto offerta la loro assunzione part-time?
Risposta.
Il tema dell'avvicendamento di imprese nella gestione di appalti per l'espletamento dei Servizi di Igiene Ambientale viene compiutamente disciplinato dall'art. 6 del C.C.N.L. di settore.
Ivi si legge testualmente come: "L'impresa subentrante assume "ex novo", senza effettuazione del periodo di prova, tutto il personale in forza a tempo indeterminato -ivi compreso quello in aspettativa ai sensi dell'art. 31 della legge n. 300/1970 nonché quello di cui all'art. 59, lettera c), del vigente C.C.N.L.- addetto in via ordinaria allo specifico appalto/affidamento che risulti in forza presso l'azienda cessante nel periodo dei 240 giorni precedenti l'inizio della nuova gestione in appalto/affidamento previsto dal bando di gara e alla scadenza effettiva del contratto di appalto".
La possibilità di assumere il personale in forza alla vecchia gestione prevedendo una diversa tipologia contrattuale, ovvero prevedendo un mutamento delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa segnatamente all'orario di lavoro, quindi in concreto attuando una trasformazione da contratto di lavoro a tempo pieno a quello a tempo parziale appare di dubbia fattibilità.
Occorre infatti verificare se il nuovo appalto risulta sostanzialmente differente o meno da quello precedentemente in atto in quanto a termini, modalità e prestazioni contrattuali.
Nella prima ipotesi, visto l'oggettivo mutamento delle condizioni di fornitura apparirebbe anche plausibile una trasformazione delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, dovuta alle mutate esigenze tecnico-organizzative di esecuzione di un appalto sostanzialmente diverso da quello per cui i lavoratori erano assunti con l'azienda cessante.
Nel secondo caso, ovvero qualora ci siano le medesime condizioni di fornitura applicate già dalla ditta cessante, appare sicuramente improponibile un mutamento dei contratti di lavoro in fase di assunzione "ex novo", in ottemperanza a quanto stabilito dall'art. 6 e dal successivo art. 10 del C.C.N.L. di settore.
Quest'ultimo prevede infatti come: "La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e viceversa deve avvenire con il consenso delle parti, le quali possono stabilire le condizioni per il ripristino del rapporto originario. Tale consenso deve risultare da atto scritto, convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio".
Pertanto una volta assunti i lavoratori a tempo pieno, così come provenienti dall'azienda cessante, sarà nel caso possibile avviare tali consultazioni tese alla modifica dell'orario di lavoro, con la possibilità in capo agli stessi lavoratori di opporre validamente un rifiuto insindacabile (28.11.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Requisiti di gara: la dichiarazione poco chiara è un falso innocuo.
Chi partecipa a una gara e ha tutti i requisiti richiesti e la lex specialis non prevede espressamente la sanzione dell'esonero in caso di mancata osservanza delle puntuali prescrizioni su modalità e oggetto delle dichiarazioni da fornire, non può essere escluso. L’omissione infatti non danneggia gli interessi presidiati dalla legge e pertanto può essere considerata un'ipotesi di falso innocuo che, come tale, non può provocare, in assenza di una chiara regola legislativa o dell’indicazione del bando, l'esclusione, le cui ipotesi sono invece tassative.
Il principio è stato espresso dal Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.11.2011 n. 6240.
Secondo i giudici se non sussistono esplicite previsioni escludenti in base alla lex specialis, occorre richiamarsi a una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause di esclusione, considerando che il primo comma dell'articolo 38 del Dlgs n. 163 del 2006 ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma successivo comma non prevede analoga sanzione in caso di mancata o non chiara dichiarazione resa in tal senso.
Per questo motivo, solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dal citato articolo 38 implica “ope legis” l'effetto espulsivo (commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, sull'assunto che tutti progettisti da esso indicati non avevano reso, per proprio conto, la dichiarazione di assoggettamento all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, è doveroso, in difetto di esplicite previsioni escludenti in base alla lex specialis, effettuare una valutazione sostanzialistica circa la sussistenza delle cause di esclusione, ciò in considerazione del fatto che, l'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dalla citata disposizione comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo.
Diversamente, allorquando il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti, e la "lex specialis" non preveda espressamente la sanzione dell'esclusione a seguito della mancata osservanza delle puntuali prescrizioni in ordine a modalità ed'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l'omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo al più un'ipotesi di "falso innocuo", come tale non suscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l'esclusione, le cui ipotesi sono tassative.
Nel caso di specie, le dichiarazioni fornite dai professionisti di cui trattasi possono ritenersi caratterizzate da completezza e veridicità, sufficienti a soddisfare le esigenze che la norma che le prevede è tesa a tutelare, atteso che con le stesse essi avevano dichiarato di avere alle proprie dipendenze un numero di dipendenti inferiore a quello comportante l'obbligo di assunzione di lavoratori diversamente abili, che corrispondeva sostanzialmente alla dichiarazione di non assoggettamento agli obblighi di assunzione obbligatoria di cui alla l. n. 68/1999, che era previsto dovesse essere prodotta. Illegittimamente, quindi, l'impresa concorrente è stata esclusa dalla gara, sull'assunto che tutti progettisti indicati dalla stessa per l'attività di progettazione non avevano reso per proprio conto la dichiarazione di assoggettamento all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.11.2011 n. 6240 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'applicabilità della nozione di falso innocuo al fine di escludere la rilevanza della falsità di eventuali dichiarazioni non veritiere rese dai soggetti partecipanti alle gare pubbliche.
La nozione di "falso innocuo" è applicabile al fine di escludere la rilevanza della falsità delle dichiarazioni non veritiere rese dai soggetti partecipanti alle gare pubbliche quando esso non abbia prodotto alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla disposizione che impone di attestare una determinata circostanza (sia essa contenuta nella legge o nel bando) e non abbia procurato all'impresa dichiarante alcun vantaggio competitivo.
La ratio dell'art. 48, d.lgs. n. 163 del 2006 va individuata infatti nel contemperamento del principio del libero accesso alle gare, con la garanzia che vi partecipino imprese affidabili; a tale fine, il legislatore impone una campionatura a sorteggio tesa a riscontrare il possesso, da parte delle imprese, dei requisiti dichiarati ai fini partecipativi; la finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti e di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute dal bando, che, per il solo fatto di partecipare senza titolo, alterano, di per sé, la gara quantomeno per un aggravio di lavoro della commissione di gara, chiamato a vagliare anche concorrenti inidonei, con le relative questioni innescabili (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.11.2011 n. 6239 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIL’utilizzo del fax costituisce modalità “ordinaria” di scambio delle comunicazione tra le stazioni appaltante e le imprese partecipanti alle gare.
L'invio tramite fax del provvedimento amministrativo rappresenta uno strumento idoneo -in assenza di espresse prescrizioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l'effettività della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono in via generale una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche la presunzione circa l'avvenuta ricezione, senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue all’invio della comunicazione a mezzo fax all’indirizzo corretto (accompagnata dal rapporto di ricezione) non ha quindi natura assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; essa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
Dunque, nel momento in cui il fax viene trasmesso, e ciò risulti debitamente documentato dal c.d. rapporto di trasmissione, si forma una presunzione della sua ricezione in capo al destinatario, il quale può vincerla solo opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità deve essere offerta prova rigorosa non potendo evidentemente darsi campo e giustificazione a circostanze impeditive opposte in modo generico e non seriamente documentate.

Nel merito, stabilisce l’art. 77, comma 1, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che tutte le comunicazioni e tutti gli scambi di informazioni tra stazioni appaltanti e operatori economici possono avvenire, a scelta delle stazioni appaltanti, mediante posta, mediante fax, per via elettronica ai sensi dei commi 5 e 6, per telefono nei casi e alle condizioni di cui al comma 7, o mediante una combinazione di tali mezzi. Il mezzo o i mezzi di comunicazione prescelti devono essere indicati nel bando o, ove manchi il bando, nell'invito alla procedura.
La lettura contestuale dei commi che compongono l’articolo consente di affermare che l’utilizzo del fax costituisce modalità “ordinaria” di scambio delle comunicazione tra le stazioni appaltante e le imprese partecipanti alle gare.
Secondo costante giurisprudenza, l'invio tramite fax del provvedimento amministrativo rappresenta uno strumento idoneo -in assenza di espresse prescrizioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l'effettività della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono in via generale una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche la presunzione circa l'avvenuta ricezione, senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue all’invio della comunicazione a mezzo fax all’indirizzo corretto (accompagnata dal rapporto di ricezione) non ha quindi natura assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; essa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio (es. Cons. di Stato VI, 04.06.2007, n. 2951, che fa riferimento a Cons. Stato, V, 24.04.2002, n. 2202).
Dunque, nel momento in cui il fax viene trasmesso, e ciò risulti debitamente documentato dal c.d. rapporto di trasmissione, si forma una presunzione della sua ricezione in capo al destinatario, il quale può vincerla solo opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità deve essere offerta prova rigorosa non potendo evidentemente darsi campo e giustificazione a circostanze impeditive opposte in modo generico e non seriamente documentate.
In applicazione di quanto precede è evidente che il principio secondo cui la comunicazione mediante telefax rappresenta strumento idoneo -in carenza di espresse previsioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza di un atto o documento (principio che trae fondamento nell’art. articolo 48 d.lgs. 07.03.2005, n. 82 e, in tema di documentazione amministrativa, nel d.P.R. 28.12.2000, n. 445) non può essere vanificato da semplici dichiarazioni del soggetto destinatario che opponga tout court di non avere ricevuto il fax (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.11.2011 n. 6208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICISussiste la necessità della relazione geologica anche per i manufatti interrati.
L’onere della relazione geologica sussiste già al momento della progettazione definitiva.

Già il d.m. 11.03.1988 (Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione), in riferimento all'art. 1 l. 02.02.1974, n. 64 prevedeva la necessità della relazione geologica per i manufatti interrati.
Le successive norme (art. 25 d.P.R. 21.12.1999, n. 554; art. 16 l. 11.02.1994, n. 109; art. 93 d.lgs. 12.04.2006, n. 163) prevedono l’onere della relazione geologica già al momento della progettazione definitiva (cfr. Cons. Stato, VI, 23.09.2009, n. 5666, per cui la regola che l'acquisizione della relazione geologica non sia soggetta a valutazioni discrezionali, in quanto obbligatoriamente prevista in ciascuna fase della progettazione in zona sismica, comporta l’illegittimità degli atti anche se a fondamento della progettazione è stato utilizzato un pregresso studio geologico in possesso della stazione appaltante).
Qui il progetto definitivo non era corredato dalla necessaria relazione geologica (non è tale il generico “studio geologico” precedente), anche se l’opera interessa un’area classificata sismica, attraversata da un dislivello. Nessuna efficacia sanante ha la circostanza, contra legem, che la relazione si poi sopravvenuta ex post, ed in una tale prospettiva nessun rilievo ha il dato di mero fatto che le opere realizzate le siano conformi.
Nemmeno nella procedura seguita dal comune vi fu alcun accorpamento di fasi procedimentali: l’amministrazione provvide separatamente all’approvazione dei progetti preliminare, definitivo ed esecutivo, e ognuno di essi era regolato dalle specifiche previsioni di legge (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.11.2011 n. 6207 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIConcessioni solo tramite gara.
Le amministrazioni locali devono procedere con gara all'affidamento in concessione di beni demaniali o del loro patrimonio indisponibile, limitando al massimo le soluzioni di prorogabilità del rapporto con il concessionario uscente.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 21.11.2011 n. 6132, ha analizzato il caso di un impianto sportivo affidato in gestione a un'associazione che riteneva di poter vantare un diritto di insistenza sul bene, tale da comportare, per l'amministrazione, il rinnovo come scelta quasi obbligata.
Nella pronunzia viene invece evidenziato come tale soluzione possa essere esperita solo quando sia contemporaneamente bandita una gara per l'individuazione del concessionario cui assegnare il bene, essendo le Pa assoggettate all'obbligo di adottare procedure a evidenza pubblica per individuare il soggetto contraente. Tale obbligo discende, per le concessioni dei beni pubblici, dall'applicazione dei principi traduttivi dell'articolo 81 del Trattato Ue e dalle direttive comunitarie sugli appalti, che richiedono un'attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie e tali da assicurare parità di trattamento ai partecipanti.
Il Consiglio di Stato qualifica quindi il rinnovo come soluzione volta a garantire la gestione del bene in attesa dell'individuazione del nuovo concessionario, configurandolo sostanzialmente come una proroga. In questa prospettiva, il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto.
Pertanto, un eventuale diniego da parte dell'amministrazione a una simile richiesta, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell'agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione, essendo parificabile al rigetto di un'ordinaria istanza di concessione. Inoltre, questa situazione non implica alcun "diritto d'insistenza" qualora l'amministrazione intenda procedere ad un nuovo sistema d'affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Il concessionario uscente, quindi, non vanta alcun diritto speciale e non può essere favorito in forza della sua posizione, dovendo pertanto essere posto sullo stesso piano di altri soggetti richiedenti lo stesso titolo (come affermato dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato).
La sentenza ha numerose implicazioni sul piano operativo, proprio in ordine alla gestione della procedura selettiva per la nuova concessione. L'amministrazione, infatti, dovrà verificare gli eventuali investimenti effettuati dal concessionario uscente per il corretto mantenimento del bene, poiché i risultati degli interventi realizzati diventeranno di sua proprietà alla cessazione della concessione (se interamente ammortizzati).
Per garantire la continuità di gestione del bene l'amministrazione può comunque disporre una limitata proroga, che deve essere prevista come facoltà esercitabile già nel bando di selezione originario.
Tale aspetto delle regole di rapporto tra concessionario e concedente è stato delineato quasi contemporaneamente dalla Sez. VI dello stesso Consiglio di Stato, con la sentenza 24.11.2011 n. 6194, nella quale è stato evidenziato come la scelta per tale opzione debba essere adeguatamente motivata, chiarendo le ragioni per cui si è stabilito di discostarsi dal principio generale della procedura selettiva (articolo IL Sole 24 Ore del 05.12.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: F. Gavioli, Gare nella P.A., subappalti senza ''cascata'' (link a www.ipsoa.it).

APPALTI: Spetta all'amministrazione e non all'impresa partecipante ad una gara di appalto il giudizio sull'eventuale gravità delle eventuali condanne riportate.
L'art. 38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, limitandosi a fare riferimento alla necessità di produrre un'attestazione che documenti il "possesso dei requisiti", ricollega il contenuto della dichiarazione relativa alle condanne subite, direttamente al precetto di cui all'art. 1, lett. c, della medesima disposizione.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, spettando all'amministrazione il giudizio sull'eventuale gravità delle eventuali condanne riportate, è comunque obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti, non spettando a quest'ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato, in quanto ciò si risolverebbe nella possibile privazione, in capo alla stazione appaltante, delle conoscenze indispensabili per potere delibare in ordine all'incidenza del precedente riportato sulla moralità professionale e sulla gravità del medesimo.
Detto approccio interpretativo, pienamente conciliabile con il dato testuale contenuto nella disposizione di legge in parola, ha il pregio di non vanificarne la portata, demandando al concorrente una delibazione preventiva sulla "gravità" della condanna. Tale delibazione compete alla discrezionalità valutativa della stazione appaltante, previa comunicazione alla medesima della sussistenza del precedente penale da valutare (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6153 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti non pertenendo a quest'ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato.
Deve ritenersi che le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla Stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun «filtro», omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali. (Consiglio Stato, sez. IV, 10.02.2009, n. 740).
Spettando all’amministrazione il giudizio sulla eventuale gravità delle eventuali condanne riportate, è comunque obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti non pertenendo a quest’ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato perché ciò si risolverebbe nella possibile privazione in capo alla stazione appaltante delle conoscenze indispensabili per potere delibare in ordine alla incidenza del precedente riportato sulla moralità professionale e sulla gravità del medesimo.
Ne consegue che, in ipotesi di omessa dichiarazione di condanne riportate è legittimo il provvedimento d’esclusione non dovendosi configurare in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione e conseguendo la statuizione espulsiva dalla omissione della prescritta dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6153 - link a www.mediagraphic.it).

LAVORI PUBBLICI1. Opere strategiche - Normativa applicabile - E' disciplina speciale - Differenze dal procedimento ordinario - Possibilità di partecipazione di soggetti privati - Non sussiste.
2. Opere pubbliche - Valutazione di impatto ambientale - Finalità - Realizzazione della migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell'opera e l'impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.
3. Opere strategiche - Valutazione di impatto ambientale - Oggetto della valutazione - Progetto preliminare - Conseguenze.
4. Opere strategiche - Valutazione di impatto ambientale - Necessità di nuovo procedimento di V.I.A. in sede di progetto definitivo - Non sussiste.

1. Il procedimento delle opere strategiche, disciplinato dalla normativa speciale -in particolare art. 3, D.Lgs. n. 190/2002 dettato in attuazione della Legge 443/2001 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale, norma poi abrogata dall'art. 256, D.Lgs. 12.04.2006- diverge significativamente dall'ordinario procedimento, in quanto non è prevista alcuna forma di partecipazione dei soggetti privati; le maggiori differenze attengono, poi, al progetto preliminare, che (i) deve evidenziare tutta una serie di elementi oltre a quanto previsto nell'art. 16 della legge quadro, (ii) non è sottoposto a conferenza di servizi, (iii) comporta l'accertamento della compatibilità ambientale, (iv) viene a comportare un assoggettamento di tutti gli immobili in cui è localizzata l'opera al vincolo preordinato all'esproprio ai sensi dell'art. 10 D.P.R. 327/2001, con variazione automatica degli strumenti urbanistici vigenti.
2. La valutazione dell'impatto ambientale, quale prevista nelle indicate direttive comunitarie n. 337/85 CEE e n. 11/97/CE e dalla normativa interna di relativo recepimento, è specificamente finalizzata all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o attività potrebbero avere sull'ambiente: la procedura tende ad accertare la sostenibilità ambientale degli interventi, verificando, per il singolo progetto, il suo inserimento ottimale nel territorio e realizzando la migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell'opera e l'impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.
3. Per le opere strategiche la VIA si svolge sul progetto preliminare e non su quello definitivo: è, quindi, nel primo livello di progettazione che devono essere individuati gli elementi che possono avere una incidenza negativa sull'ambiente, in modo da poter adeguare il progetto definitivo.
Il tutto, al fine di prevenire il danno ambientale, con il passaggio da un sistema di ripristino, a valle, del danno medesimo ad un sistema di previsione-prevenzione, a monte, dello stesso nella gestione del territorio e delle risorse naturali.
4. Poiché per le infrastrutture strategiche la procedura V.I.A. viene effettuata sul progetto preliminare, in sede di progetto definitivo la Commissione competente deve limitarsi a verificare che il progetto definitivo abbia rispettato le prescrizioni contenute nel parere di compatibilità ambientale, ma non viene previsto in alcun caso un nuovo procedimento di V.I.A. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2011 n. 2822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti pubblici e perdita di chances. Per illegittima mancata aggiudicazione.
Domanda.
Nell'ipotesi di illegittima mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, cosa si intende per perdita di chances?
Risposta.
Nell'ipotesi di illegittima mancata aggiudicazione di un appalto pubblico la perdita di chances, aspetto della responsabilità precontrattuale della P.A. (diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio non attuale, ma soggetto a ristoro purché certo e altamente probabile, nonché ascrivibile ad una causa efficiente già in atto) costituisce un danno attuale, che non si identifica con la perdita di un risultato utile, ma con quella della concreta possibilità ovvero probabilità di conseguirlo, e necessita, a tal fine, della sussistenza di una situazione presupposta, concreta ed idonea a consentire la realizzazione del vantaggio sperato, da valutarsi sulla base di un giudizio prognostico e statistico, fondato sugli elementi di fatto allegati dal danneggiato (22.11.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZI: Il rinnovo di una concessione può essere legittimamente disposto bandendo una gara. In assenza di diverse disposizioni nell'atto concessorio, il concessionario non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto.
In applicazione del principio del "favor partecipationis" possono essere pretesi particolari requisiti di capacità tecnica e finanziaria solo se necessari.

Secondo la prevalente giurisprudenza, il rinnovo di una concessione può essere legittimamente disposto bandendo una gara per l'individuazione del concessionario cui assegnare il bene, essendo le pubbliche amministrazioni assoggettate all'obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini dell'individuazione del soggetto contraente; inoltre che da tali acquisizioni giurisprudenziali non può ritenersi estranea la materia della concessione dei beni pubblici, in applicazione dei principi discendenti dall'art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, con attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti.
Il concessionario di un bene demaniale non può vantare (se non diversamente disposto nell'atto concessorio) alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto e che il relativo diniego, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell'agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione (essendo parificabile al rigetto di un'ordinaria istanza di concessione), né implica alcun "diritto d'insistenza" allorché la Amministrazione intenda procedere ad un nuovo sistema d'affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Pertanto, in sede di rinnovo di una concessione, il precedente concessionario va posto sullo stesso piano di altro soggetto richiedente lo stesso titolo, con possibilità di indizione di una gara al riguardo senza necessità di particolare motivazione con riferimento alla richiesta di rinnovo.
In applicazione del principio del "favor partecipationis", possono essere pretesi particolari requisiti di capacità tecnica e finanziaria solo se necessari. Pertanto, nel caso di specie, legittimamente il Comune ha affidato la gestione dell'impianto sportivo tramite gara (che non necessita, per comune conoscenza, di particolari capacità tecniche o finanziarie) senza richiedere ai partecipanti il possesso di alcun requisito di capacità tecnica, economica e finanziaria, utilizzando solo il criterio del prezzo offerto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.11.2011 n. 6132 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'operato di una commissione di gara che abbia optato per l'apertura delle buste contenenti l'offerta tecnica in seduta riservata.
Alla luce della recentissima decisione dell'adunanza plenaria n. 13/2011, la verifica dell'integrità dei plichi non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non abbiano subìto manomissioni od alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento di concorrenti, cui deve essere consentito di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti e di avere la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche nell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.
Peraltro, tale regola costituisce corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno desumibili dall'art. 97 cost. e dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, le quali impongono che le commissioni di gara agiscano con trasparenza: la norma, avendo portata di principio, deve quindi investire passaggi essenziali e determinanti degli esiti delle procedure di gara, quale è l'apertura della borsa dell'offerta tecnica, momento che ha identica rilevanza rispetto all'apertura della documentazione amministrativa e dell'offerta tecnica e che quindi merita le medesime garanzie, a tutela di tutti gli interessi coinvolti. Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la scelta di una commissione giudicatrice di aprire le buste contenenti l'offerta tecnica in seduta riservata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.11.2011 n. 6127 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIComposizione qualificata della commissione di gara.
Fermo l'art. 84 del codice dei contratti pubblici che impone, in generale, la composizione qualificata della commissione di gara, il Consiglio di Stato precisa che la necessaria presenza di esperti all’interno delle commissioni di gara costituisce comunque un principio generale delle procedure selettive a contenuto tecnico (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.11.2011 n. 6640 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRinnovo della gara solo se c'e una chance di vittoria.
L'interesse a ricorrere avverso il provvedimento di esclusione da una gara è configurabile ex se e non richiede la dimostrazione che l'esito della gara sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole al ricorrente solo nelle ipotesi in cui il criterio di aggiudicazione previsto sia di tipo non automatico, in quanto la parte ricorrente ha interesse a veder valutata la propria offerta in sede di gara e dunque è portatore di un interesse strumentale all'annullamento degli atti impugnati e alla rinnovazione della procedura: dal rinnovo deriva una nuova chance di partecipazione e di vittoria.
Nel caso, invece, di procedure di aggiudicazione di tipo meccanico, in cui non si fa luogo a valutazioni tecnico-discrezionali da parte del seggio di gara, una volta aperte le buste contenenti le offerte dei concorrenti, l'idoneità della singola offerta a conseguire l'aggiudicazione è oggettivamente determinabile attraverso meri calcoli aritmetici e dunque, a differenza dell'altro caso, il concorrente escluso è in grado di determinare se la propria offerta sarebbe stata sufficiente ad assicurargli la vittoria (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6090 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, che abbia prodotto, in relazione al proprio atto costitutivo, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in luogo di copia autentica, come richiesto dal disciplinare di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un Consorzio concorrente, che abbia omesso di produrre un documento nelle forme richieste dalla lettera d'invito, avendolo viceversa presentato nelle forme dell'atto di notorietà.
Nel caso di specie, trattasi dell'atto costitutivo del consorzio stesso. La dichiarazione sostitutiva assolve, infatti, alla funzione di far constatare alla P.A., esclusivamente a fini amministrativi ed in luogo di certificazioni rilasciate dalla stessa o da essa conservate, circostanze ad essa in propri atti.
Nel caso in esame, l'atto costitutivo non era stato rilasciato, né conservato dall'Amministrazione procedente, in quanto redatto da un Notaio e da esso custodito in originale, sicché, stante l'inderogabilità della legge di gara, non era comunque possibile surrogare la mancata produzione del citato atto, prevista a pena di esclusione, con la presentazione di documento redatto in base all'art. 19 del D.P.R. n. 445/2000 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6090 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTITermine per impugnare l'esclusione dalla gara d'appalto.
Per gli atti come l'esclusione dalle gare pubbliche, per i quali è richiesta la notificazione individuale, trova applicazione la regola generale della piena conoscenza ed il termine per impugnare non decorre sino a che non si dimostri che è avvenuta la notifica o la comunicazione diretta dell'atto all'interessato.
Tale termine decorre quindi normalmente dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.lgs. n. 163/2006, salva ovviamente l'ipotesi della piena conoscenza dell'atto, acquisita con altre modalità, come d'altronde ribadito dall'art. 41 del c.p.a.: fra queste ipotesi, rientra quella in cui all'atto dell'esclusione dalla gara sia presente un rappresentante della impresa esclusa munito di mandato speciale, ovvero che riveste una specifica carica sociale, per cui la conoscenza acquisita dallo stesso sia riferibile alla società concorrente (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'impresa concorrente in una gara d'appalto deve dichiarare la propria posizione nei confronti degli obblighi previdenziali, al momento dell'effettiva presentazione dell'offerta.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, peraltro avallato dalla Corte di Giustizia UE e sostenuto in sede amministrativa dall'AVCP, l'impresa che abbia ottenuto una rateizzazione del debito tributario, deve essere considerata in regola ai fini della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, stante il valore novativo che tali atti assumono; ciò, purché la sussistenza del requisito della regolarità fiscale e contributiva sia comunque riguardata in relazione al momento ultimo per la presentazione delle offerte.
Infatti, condizione necessaria affinché l'impresa possa considerarsi in regola, pur in presenza di inadempienze fiscali in corso, è quella secondo cui, gli eventi sopra richiamati, che pongono nuovamente l'impresa stessa in condizione di regolarità, devono essersi verificati entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara. In materia di contribuzione obbligatoria, l'accoglimento dell'istanza di dilazione deve in ogni caso precedere l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità, in quanto non è ammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura; e ciò, tanto più nell'ipotesi in cui esso non dipenda dalla presentazione dell'istanza, bensì dall'accoglimento della stessa.
Pertanto, è al momento dell'effettiva presentazione dell'offerta che l'impresa deve dichiarare la sua effettiva posizione nei confronti degli obblighi previdenziali, a nulla rilevando che tale situazione possa essere accertata e dimostrata solo in un momento successivo alla scadenza del termine, pur se con riferimento ad una data anteriore a tale scadenza.
La circostanza che, in relazione ai debiti, sia intervenuta una richiesta di rateizzazione, conferma il carattere della definitività del debito, in quanto la rateizzazione implica la certezza dell'ammontare e dell'esistenza della pretesa erariale, la quale non può essere più contestata in sede giudiziale, e non è comunque certo il suo accoglimento prima dell'adozione del relativo atto. Pertanto, nel caso di specie, la dichiarazione inerente all'insussistenza di infrazioni definitivamente accertate, prima dell'effettivo accoglimento della domanda di rateizzazione suddetta, deve ritenersi non proponibile (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6084 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICIL'Avvalimento deve essere reale e non solo formale pena l'esclusione dalla gara.
L'art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 ammette esplicitamente l’avvalimento anche per l’attestazione della certificazione SOA subordinando tale facoltà all’espresso impegno da parte dell’impresa ausiliaria, nei confronti dell’impresa ausiliata e della stazione appaltante, di mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente.
L’omissione di tale dichiarazione, nel caso di specie prevista anche dal bando di concorso, non poteva che comportare l’esclusione dalla gara in quanto l’avvalimento nei requisiti soggettivi di qualità deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione posseduta, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell’istituto, finalizzato a consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa cultura del sospetto salva talvolta il settore degli appalti pubblici dalle infiltrazioni della criminalità organizzata.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto sufficiente l’accertamento di meri elementi di sospetto per far scattare il meccanismo di salvaguardia del sistema attraverso l’inibizione dell’accesso al rapporto contrattuale o alla gara per l’impresa sospettata di contiguità mafiosa.
Quanto al riferimento alla cultura del sospetto come regola da preferire a quella della legalità, secondo i Giudici di Palazzo Spada è affermazione non pertinente, in quanto l'informativa antimafia atipica e' una forma di tutela anticipata volta a prevenire l’inquinamento del territorio attraverso possibili infiltrazioni della malavita organizzata ed il giudizio espresso dal Comune nell’ambito dell’informativa antimafia atipica non riguarda la singola persona, nel caso il rappresentante legale della società, ma l’affidabilità nel suo complesso dell’aggiudicatario per i rapporti di contiguità con la criminalità organizzata, desumibile anche da condotte che di per sé non realizzano necessariamente fattispecie penalmente rilevanti.
Esse in breve assolvono la funzione di accrescere il bagaglio conoscitivo della p.a. ai fini di un più ponderato esercizio dei propri poteri discrezionali nel corso del procedimento di evidenza pubblica, integrando una forma anticipatoria della soglia di difesa sociale nel campo del contrasto alla criminalità organizzata nel settore dei pubblici appalti di opere e servizi (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOfferta economicamente più vantaggiosa - legittimità dell'esclusione delle offerte che non raggiungono un punteggio tecnico minimo (c.d. clausola di sbarramento) - Contraddittorio non necessario se non previsto dalla lex specialis.
Con riferimento all'aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la giurisprudenza ha ritenuto legittime le clausole del bando che prevedono la valutazione dell'offerta economica solo in caso di un punteggio minimo raggiunto dall'offerta, considerata la rilevanza che può avere l'aspetto della qualità tecnica per la amministrazione aggiudicatrice (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la legittimità di una clausola di sbarramento, prevista nel capitolato speciale per una gara di appalto per l'aggiudicazione di un servizio all'offerta economicamente più vantaggiosa, che non consente la valutazione del prezzo nel caso di offerte che sotto il profilo qualitativo non raggiungano un punteggio minimo; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630).
Una volta determinato lo standard cui l'offerta deve conformarsi, il mancato raggiungimento dei livelli minimi prescritti è, infatti, elemento di per sé legittimante l'esclusione del concorrente senza necessità di instaurare alcun confronto in contraddittorio se non previsto dalle norme di gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Esclusione da una gara d’appalto nel caso in cui l’offerta presentata dall’unico concorrente partecipante non abbia raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando.
E’ legittima l’esclusione da una gara per l’affidamento di un appalto di servizi, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che sia motivata con riferimento al fatto che l’offerta presentata dall’unico concorrente partecipante non ha raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando; infatti, nel caso di gara per l’affidamento di un appalto di servizi, con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, devono ritenersi legittime le clausole del bando che prevedono la valutazione dell'offerta economica solo in caso di un punteggio minimo raggiunto dall'offerta stessa, considerata la rilevanza che può avere l'aspetto della qualità tecnica per la amministrazione aggiudicatrice (1).
Il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati (2).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la legittimità di una clausola di sbarramento, prevista nel capitolato speciale per una gara di appalto per l'aggiudicazione di un servizio all'offerta economicamente più vantaggiosa, che non consente la valutazione del prezzo nel caso di offerte che sotto il profilo qualitativo non raggiungano un punteggio minimo; v. anche TAR Lazio-Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n. 67
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esclusi dalla gara, serve il punteggio minimo: anche per l'unico partecipante.
E' legittima l'esclusione da una gara per l'affidamento di un appalto di servizi, da aggiudicarsi secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che sia motivata con riferimento al fatto che l'offerta presentata dall'unico concorrente partecipante non ha raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando.

La segnalata pronuncia risolve la questione circa la legittimità dell'esclusione di una ditta partecipante a una gara di appalto che, sebbene unica concorrente, non ha raggiunto il punteggio minimo imposto dalla lex specialis.
Segnatamente, un'Amministrazione indiceva una procedura di gara per l'affidamento del servizio di nettezza urbana per la durata di anni 7 da aggiudicarsi mediante il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, prevedendo l'assegnazione di 25 punti per l'offerta economica e 75 punti per l'offerta tecnica, quale punteggio massimo per entrambe, suddiviso sulla base di una pluralità di singoli parametri e sottoparametri prestabiliti, ma con previsione di una soglia minima (di punti 36) ai fini dell'ammissione all'esame dell'offerta economica.
Nella seduta di valutazione delle offerte pervenute, la Commissione procedeva a vagliare l'offerta della ricorrente, unica partecipante alla gara, e con successivo predisponeva l'esclusione della stessa per mancato raggiungimento della soglia minima per l'offerta tecnica (30 punti contro i 36 necessari).
Avverso quest'ultimo provvedimento, nonché tutti gli atti di gara, è insorta la società interessata, all'uopo eccependo l'illegittimità della previsione di una soglia minima di punteggio tecnico necessaria ai fini dell'ammissione alle successive fasi di gara; il mancato esperimento del contraddittorio orale prima dell'adozione dell'esclusione; l'illegittimità della griglia di valutazione che, in relazione a ciascun parametro, prevedeva unicamente un punteggio massimo e non anche uno minimo; l'illegittima fissazione, da parte della Commissione, dei criteri di valutazione, nonché la mancata descrizione del "metodo di lavoro" adottato; l'insufficienza del punteggio espresso unicamente con un dato numerico, nonché l'erroneità della valutazione della propria offerta tecnica, frutto dei travisamenti in cui sarebbe incorsa la Commissione che non avrebbe tenuto conto delle numerose migliorie proposte.
Orbene, il Collegio di Milano ha ritenuto infondata l'eccezione d'illegittimità della soglia di sbarramento di 36 punti come imposta dalla stazione appaltante.
Al riguardo, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha precisato che "rispetto all'aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, si reputano legittime le clausole del bando che prevedono la valutazione dell'offerta economica solo in caso di un punteggio minimo raggiunto dall'offerta, considerata la rilevanza che può avere l'aspetto della qualità tecnica per la Amministrazione aggiudicatrice (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la legittimità di una clausola di sbarramento, prevista nel capitolato speciale per una gara di appalto per l'aggiudicazione di un servizio all'offerta economicamente più vantaggiosa, che non consente la valutazione del prezzo nel caso di offerte che sotto il profilo qualitativo non raggiungano un punteggio minimo)" (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630).
Parimenti infondata è stata ritenuta la seconda censura con cui la ricorrente ha dedotto l'illegittimità della propria esclusione in quanto non preceduta da contraddittorio orale.
Sul punto, infatti, è stato evidenziato che una volta determinato lo standard cui l'offerta deve conformarsi, il mancato raggiungimento dei livelli minimi prescritti costituisce elemento di per sé legittimante l'esclusione del concorrente senza necessità di instaurare alcun confronto in contraddittorio non previsto da alcuna norma in relazione alla fattispecie in esame.
E ancora, in relazione al terzo ordine di censure, la ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 83, D.Lgs. n. 163/2006 per illogicità e violazione del principio di proporzionalità, dell'art. 3, L. n. 241/1990 e dell'art. 53 della Dir. 2004/18/CE in relazione alla previsione di un punteggio massimo e non anche di un punteggio minimo: le censure sono state reputate inammissibili e infondate.
Sotto il primo profilo, il giudicante ha precisato che la disciplina dettata dal disciplinare di gara esprime una scelta discrezionale della stazione appaltante, non sindacabile da parte del G.A. qualora esente da vizi di evidente incongruità e irragionevolezza.
Quanto al secondo, ha soggiunto che la graduazione del punteggio nell'ambito del range prefissato costituisce valutazione di merito tecnico che viene espressa dai componenti della Commissione sulla base della rispondenza o meno delle componenti di offerta alla prestazione richiesta, come formulata dalla disciplina di gara secondo un apprezzamento che sfugge al sindacato giurisdizionale.
Inoltre, il TAR lombardo ha ritenuto infondata la doglianza con cui la ricorrente ha eccepito che la Commissione avrebbe definito i criteri di valutazione e adottato un "metodo di lavoro" non altrimenti illustrato a verbale.
In proposito, ha precisato che la definizione del "metodo di lavoro" non necessitava di alcuna esplicitazione ulteriore rispetto a quella contenuta nel bando di gara, in quanto riguardava aspetti organizzativi privi di interesse ai fini della valutazione.
Con un quinto ordine di censure la ricorrente ha dedotto, con riferimento alle valutazioni tecniche, il difetto di motivazione quale conseguenza dell'assegnazione di un punteggio numerico non corredato da un giudizio.
Anche quest'ultima censura è stata reputata infondata.
Difatti, l'adito Tribunale ha rimarcato che, come in giurisprudenza ripetutamente evidenziato, "il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati" (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n. 67).
In ragione di tanto, il Collegio lombardo ha rigettato il ricorso in quanto in parte infondato, in parte inammissibile, contestualmente condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Art. 120, comma 5, c.p.a. - Appalti di servizi - Termine dimidiato a 30 giorni - Applicabilità anche al ricorso incidentale.
2. Art. 17, comma 3, L. 55/1990 - Divieto di partecipazione alle gare in caso di intestazioni fiduciarie - Art. 1, comma 1, DPCM 187/1997 - Obbligo informativo delle intestazioni fiduciarie prima della stipula del contratto - Art. 9, comma 63, L. 415/1998 - Solo obbligo di comunicare l'identità del socio fiduciario per le fiduciarie autorizzate.

1. Ai sensi dell'art. 120, comma 5, c.p.a. è dimidiato il termine per la proposizione di ricorso e motivi aggiunti ai fini dell'impugnazione degli atti concernenti le procedure di affidamento di servizi pubblici: esso è perciò pari a 30 giorni, così sottraendosi all'eccezione introdotta dall'art. 119, comma 2, c.p.a. In giurisprudenza è discusso se il termine dimidiato sia applicabile anche alla proposizione del ricorso incidentale, che non viene espressamente menzionato dall'art. 120, comma 5 (in senso favorevole, Tar Catania n. 1475 del 2011; in senso contrario, Tar Lecce n. 113 del 2011).
Il Tribunale è dell'opinione positiva: da un punto di vista letterale, proprio il confronto con l'art. 119, comma 2, ove sono menzionati "ricorso introduttivo" e "ricorso incidentale" dimostra che la più ampia espressione "ricorso" contenuta senza altra specificazione nell'art. 120, comma 5, è idonea a comprendere l'uno e l'altro.
2. L'art. 17, comma 3, della L. n. 55 del 1990, recante disposizioni in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, ha vietato la partecipazione alle gare concernenti opere pubbliche in caso di intestazione fiduciaria: è palese la finalità della norma, la quale intende prevenire l'accesso al remunerativo meccanismo di aggiudicazioni pubbliche di soggetti criminali, mascherati dietro un mandatario (Tribunale civile di Milano, sentenza 13.02.2008).
Sulla base dell'art. 17, comma 3, è stato poi emanato il regolamento ivi previsto con il D.P.C.M. 11.05.1997, n. 187, il cui art. 1, comma 1, ha posto un obbligo informativo a carico delle società aggiudicatarie, "prima della stipula del contratto", concernente le intestazioni fiduciarie, collegato all'onere stabilito dal successivo art. 4, comma 1, di far cessare entro 90 giorni l'intestazione, al fine di poter legalmente contrarre con la P.A. In seguito, l'art. 9, comma 63, della L. n. 415 del 1998 ha allentato il divieto originario, distinguendo la posizione delle fiduciarie autorizzate ai sensi della L. n. 1966 del 1939: in tal caso, permane il solo obbligo di comunicare l'identità del socio fiduciario entro 30 giorni dalla richiesta a tal fine formulata dall'Amministrazione.
In giurisprudenza si è perciò già rilevato che, allo stato, l'art. 17, comma 3, prevede due differenti situazioni: un divieto assoluto di intestazione fiduciaria, che comporta l'immediata esclusione dalla gara; un mero obbligo comunicativo, susseguente all'aggiudicazione e da assolversi, pertanto, a seguito di essa e prima della stipula del contratto, nel rispetto del termine di legge (Cons. Stato, sez. V, n. 4010 del 2002) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2797 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali, Antitrust rafforzata. L'Authority potrà entrare nel merito delle decisioni degli enti. Le novità della legge di stabilità. Il format per le delibere arriverà entro fine gennaio con decreto.
La delibera-quadro sull'assetto concorrenziale dei servizi pubblici locali che gli enti dovranno adottare entro il 12.08.2012 e in ogni caso prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione, avrà uno specifico format entro il 31 gennaio del prossimo anno, grazie a un decreto interministeriale.
A specificarlo è l'art. 9, co. 2, lett. m), della recente legge di stabilità (legge n. 183/2011).
Inoltre, se con il dl 138/2011 la stessa delibera sembrava dovesse assumere un ruolo marginale e di «presa d'atto» da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al parlamento ai sensi della legge 287/1990, con l'aggiunta dell'inciso «anche» disposta dalla lett. b) del medesimo comma e articolo, la funzione dell'Authority potrebbe essere più incisiva con la possibilità di entrare nel merito di quanto deliberato dagli enti locali; non più un ruolo «passivo» di quest'ultima, ma tutt'altro, di regolatore e garante di una maggiore concorrenza dei servizi pubblici a svantaggio dei monopoli molto spesso antieconomici e svantaggiosi per gli utenti.
La previsione di tale decreto recepisce di fatto quanto rilevato da tempo dal Consiglio di stato che aveva, già con parere, sez. consultiva per gli atti normativi 24.05.2010 n. 2415, auspicato in merito la definizione di criteri puntuali e definiti.
Intanto, sono molte le perplessità che assillano gli enti in questo periodo: se la previsione di un prossimo decreto aiuterà a capire quali elementi inserire nella delibera-quadro (tra i quali troviamo i criteri per la verifica della concorrenza e l'idoneità o meno della libera iniziativa economica privata, le modalità per la comparazione delle diverse gestioni), resta da capire cosa fare ora in una fase delicata caratterizzata da scadenze contrattuali e normative che può portare a cessazioni prima della scadenza del prossimo 31 marzo o del 30 giugno –rispettivamente– delle in-house laddove siano riferite a servizi con valore superiore a 900 mila (senza frazionamenti artificiosi) ovvero non conformi alle prescrizioni della giurisprudenza europea e delle società miste laddove non vi sia stata contestuale gara per la scelta del socio e dell'attribuzione dei compiti operativi.
Medesime problematicità per i rinnovi e le aggiudicazioni a mezzo gara che dovranno essere effettuate prima dell'emanando decreto interministeriale.
Se da un lato ci si augura che detto decreto possa essere emanato anche molto prima della scadenza del 31 gennaio, dall'altro ciò non può costituire un esimente per non adottare la delibera laddove necessaria nel frattempo.
La previsione del decreto da parte della legge di stabilità non sembra pregiudicare l'immediata operatività dell'art. 4 del dl 138/2011; solo la decisione di liberalizzare uno o più servizi pubblici locali potrebbe non richiedere l'adozione preventiva della delibera-quadro che, viceversa, serve a giustificare l'eventuale decisione dell'ente di riservarsi i diritti di esclusiva, quest'ultimi da attribuire mediante gara ovvero nella forma dell'in-house providing.
La scelta migliore per gli enti locali rimane quella di approcciarsi quanto prima alla definizione della delibera-quadro (a prescindere dalle imminenti e prossime scadenze) suscettibile anche di miglioramenti ed integrazioni sulla base del futuro decreto, con cui, secondo una visione unitaria tra ente e partecipate, procedere immediatamente alla verifica delle attuali condizioni economiche, finanziarie e qualitative dei diversi servizi, distinguendo quelli a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza, rispetto ai servizi strumentali. Per i primi soprattutto sarà necessario valutare se liberalizzare o meno sulla base di apposite indagini di mercato con l'ausilio di esperti esterni, augurandosi che anche l'Autorità garante per il mercato e la concorrenza possa essere quanto prima di supporto agli enti nel fornire assistenza e elementi utili, quali banche dati per settore e attività.
I tempi sono ormai maturi per trasformare il settore dei servizi pubblici locali in volano per lo sviluppo economico territoriale. Agli amministratori locali uno sforzo per garantire competitività eliminando monopoli non più giustificabili anche in relazione alla attuale grave crisi economica (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIIl rimedio della regolarizzazione postuma è attivabile solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta, risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis.
Come osservato in giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. I, 24.02.2011, n. 1094; TAR Lombardia Milano, sez. I, 11.02.2011, n. 449) il rimedio della regolarizzazione postuma è attivabile solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta (come nel caso di specie), risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (orientamento consolidato: cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 02.08.2010 n. 5084; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.12.2009 n. 8386; TAR Campania Napoli, Sez. I, 27.05.2010 n. 9649; TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006 n. 390) (TAR Basilicata, sentenza 17.11.2011 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dichiarazioni ex art. 38 del codice di contratti pubblici circa l’insussistenza di cause di esclusione.
Impugnazione da parte di un concorrente legittimamente escluso.

Nelle gare di appalto, è consentito che la dichiarazione in ordine all’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici sia resa e sottoscritta da un unico legale rappresentante dell’impresa concorrente con riferimento espresso anche agli altri soggetti nei cui confronti il requisito va comprovato. Tuttavia, in tale ipotesi, perché la dichiarazione sia valida, occorre che dalla stessa sia ricavabile l’indicazione analitica e nominativa dei predetti soggetti; ciò è necessario al fine di consentire alla stazione appaltante di compiere le necessarie verifiche, e pertanto la mancata indicazione dei nominativi dei soggetti diversi dal dichiarante riguardo ai quali si attesta l’insussistenza di cause ostative sul piano della moralità implica anche la mancanza dell’assunzione di responsabilità per il caso di non veridicità della dichiarazione che rappresenta il proprium del meccanismo dell’autocertificazione (1).
Il concorrente legittimamente escluso da una gara d’appalto non ha alcun interesse, giuridicamente qualificato e differenziato da quello di quisque de populo, a far valere gli ulteriori vizi della procedura; il ricorso dallo stesso proposto al predetto fine, pertanto, va dichiarato inammissibile.
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.06.2010, n. 3972; id., 20.10.2010, n. 7578
V. anche di recente Cons. Stato, sez. IV, 27.06.2011, n. 3862, con riferimento alla dichiarazione relativa agli amministratori cessati dalla carica nel triennio antecedente
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 6053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti, corsia di favore per le pmi. Multe Antitrust per tardivo pagamento. Sanzioni ridotte in Cdc. In vigore la legge sullo Statuto delle imprese. Accesso privilegiato alle infrastrutture per le pmi locali.
Sanzioni dell'Antitrust in caso di ritardi nei pagamenti a danno delle pmi da parte delle grandi imprese; codice etico «antimafia» obbligatorio per le associazioni di categoria; incentivi alla partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici; un garante tutto nuovo per le piccole e medie imprese.
Eppoi, procedure più flessibili per l'affidamento di incarichi di progettazione (e altri servizi tecnici) fino alla soglia comunitaria dei 193 mila euro. E ancora sanzioni dimezzate per l'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi al registro imprese; con tanto di ravvedimento operoso a breve termine.

Sono queste solo alcune delle novità della legge 180/2011, contenente lo Statuto delle imprese, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14.11.2011. ItaliaOggi ne aveva anticipato i contenuti il 4 e 5 novembre scorso. Ora, con la pubblicazione in Gazzetta il provvedimento è entrato in vigore, ieri 15.11.2011. Ma andiamo con ordine.
Accesso al mercato delle pmi. Il testo interviene sugli appalti pubblici, invitando le stazioni appaltanti a procedere alla suddivisione degli appalti in più lotti o lavorazioni, ammettendo il subappalto e garantendo la corresponsione diretta dei pagamenti da effettuare tramite bonifico bancario. Prevista, inoltre, una disposizione a favore delle aggregazioni (raggruppamenti temporanei, consorzi e reti di impresa) per partecipare alle gare. Per i contratti stipulati dai piccoli comuni (sotto i 5 mila abitanti), invece, la legge disegna una corsia di favore per le aziende che hanno sede nelle aree in cui vanno realizzate opere compensative per grandi infrastrutture. Garantendo in primis un accesso privilegiato alle pmi del posto.
Non solo. Per i servizi pubblici degli stessi comuni, la normativa dispone l'individuazione di lotti adeguati all'entità del servizio da erogare. E ambiti di servizio compatibili con le caratteristiche tipiche della stessa comunità locale. Più in generale, negli appalti relativi alle pmi, la prova dei requisiti dovrà essere sostenuta solo dall'aggiudicatario dell'appalto. Mentre, verrà fatto divieto di chiedere requisiti sproporzionati rispetto all'oggetto dell'appalto. Quindi, sul fronte della tutela dei rapporti commerciali delle imprese, la legge prevede la possibilità che l'Antitrust intervenga, con tanto di diffide e sanzioni, per comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese nei confronti delle pmi.
Infine, lo statuto delle imprese introduce anche un nuovo strumento: la legge annuale per le pmi. Che stabilirà, anno per anno, le norme da introdurre (articolo ItaliaOggi del 16.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Responsabilità del RUP e posizione di garanzia nei lavori pubblici. Responsabilità per omicidio colposo occorso ad un lavoratore.
Furono imputati del reato il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici e responsabile dei lavori, il coordinatore in materia di sicurezza, il titolare della ditta subappaltatrice, per aver consentito, in violazione degli obblighi di sicurezza a loro carico gravanti, che il lavoratore, intento alla posa in opera della copertura di una piscina, lavorasse in totale assenza delle opere di protezione collettiva previste dal piano di sicurezza e senza precauzioni atte ad evitare la caduta dall'alto e in tale frangente cadeva da un'altezza di circa 10 mt., decedendo per gravi lesioni al capo.
Condannati in primo grado, la Corte di Appello di Genova confermava la pronuncia di condanna per il Responsabile del Procedimento e del coordinatore per la sicurezza, dichiarando l'estinzione del reato a carico del titolare della ditta subappaltatrice per morte dell'imputato.
Ricorso in Cassazione - Il ricorso proposto dal coordinatore per la sicurezza è inammissibile perché tardivo; La Corte rigetta invece il ricorso del Responsabile del procedimento amministrativo.
"La Corte afferma che va premesso che la sua responsabilità è stata ritenuta sulla base della qualità di "Responsabile del procedimento amministrativo" e responsabile dei lavori, figura che nei lavori pubblici rappresenta il committente.
Sul responsabile del lavori incombe, ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 494 del 1996, l'obbligo della verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in attuazione dei relativi piani (art. 4 ed art. 5, co, 1, lett a), d.P.R. cit).
Orbene ciò premesso, deve ricordarsi che ai sensi dell'art. 7, co. 2°, del d.P.R. 554 del 1999 (Regolamento di attuazione della Legge Quadro dei Lavori Pubblici), il "Responsabile del procedimento" provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e la salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia
."
... In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del procedimento) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durate il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
Orbene, nel caso di specie, come correttamente rilevato dal giudice di merito, l'imputato è venuto meno all'adempimento degli oneri a suo carico gravanti.
Per quanto detto, va ribadito che la radicata posizione di garanzia in capo all'imputato, rende rilevante causalmente la sua negligente condotta omissiva, non avendo l'imputato controllato l'adeguatezza e specificità dei piani di sicurezza rispetto alle loro finalità; nonché non avendo vigilato sulla loro corretta attuazione.
Né il lamentato comportamento negligente della persona offesa (che non avrebbe utilizzato le cinture), può escludere la rilevanza causale della condotta omissiva dell'imputato. Nel caso di specie la vittima ha patito l'infortunio mentre svolgeva, senza alcuna abnormità di condotta, la sua ordinaria attività di lavoro nel pozzo citato, che era privo di presidi anticaduta (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 15.11.2011 n. 41993 - link a http://olympus.uniurb.it).

APPALTI: E' consentito il ricorso all'avvalimento, da parte di un consorzio concorrente alla gara, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti in ordine al fatturato, all'esperienza pregressa e al numero di dipendenti.
Il capitolato richiedeva che i concorrenti autocertificassero il possesso di un’esperienza documentata di almeno tre anni nello svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara, nonché di un numero annuo di dipendenti a tempo indeterminato non inferiore a cinque negli ultimi tre anni dalla pubblicazione del bando.
il Giudice di primo grado, sul rilievo incontestato che il Consorzio partecipante non avesse singolarmente il requisito della capacità tecnica e professionale richiesta (in specie, il fatturato specifico e l’esperienza pregressa, nonché il numero annuo di dipendenti a tempo indeterminato non inferiore a cinque negli ultimi tre anni), in quanto soggetto giuridico di recente costituzione, ha ritenuto illegittimo l’avvalimento intercorso tra lo stesso Consorzio e la mandante, sul presupposto che i requisiti dell’esperienza triennale nel settore dei servizi sociali per disabili e del numero annuo di dipendenti fossero di carattere soggettivo.
Il Collegio è dell’avviso, invece, che il ricorso all’avvalimento, avente ad oggetto il fatturato, l’esperienza pregressa ed il numero dei dipendenti a tempo indeterminato, sia stato legittimo, atteso che la disciplina dell’art. 49 del Codice dei contratti non pone alcuna limitazione, se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39, il cui possesso da parte dell’odierno appellante è nella fattispecie in esame incontestato (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.11.2011 n. 6040 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Revoca di una gara con riferimento alla mutata esigenza di esternalizzare il servizio, potendo la P.A. svolgerlo con personale interno. L’aggiudicazione provvisoria o definitiva non impediscono la revoca della gara per ragioni di pubblico interesse.
Legittimamente la stazione appaltante revoca integralmente gli atti di una gara per l’affidamento di un appalto di servizi, nel caso in cui tale revoca sia motivata con riferimento al fatto che, rispetto al momento in cui è stata indetta la procedura di evidenza pubblica, è successivamente venuta meno l’esigenza di esternalizzare il servizio stesso, potendo la stazione appaltante continuare a svolgerlo con il personale interno; infatti, l’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 consente alla P.A. l’esercizio del potere di revoca di atti amministrativi, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, nel caso di mutamento della situazione di fatto che ha dato origine al provvedimento da revocare ed a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (1).
In materia di contratti della P.A., il potere di negare l'approvazione dell'aggiudicazione di una gara ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse, senza trovare ostacoli nell'avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria della stessa (2).
E’ irrilevante, ai fini della sua legittimità, la circostanza che l’Amministrazione nell’atto di revoca non abbia indicato anche l’ammontare dell’indennizzo da liquidare alla parte, così come previsto dai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, atteso che la mancata previsione dell’indennizzo legittima solo il privato ad azionare la relativa pretesa patrimoniale, anche davanti al giudice amministrativo (3).
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(1) V. in generale Cons. Stato, sez. V, 18.01.2011, n. 283, secondo cui l’ordinamento ammette la revoca di provvedimenti amministrativi diventati inopportuni in base a nuove circostanze sopravvenute ed anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 17 .03.2010, n. 1554
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n. 1554
(massima tratta da www.regione.piemonte.it
- Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.11.2011 n. 6039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Esternalizzazione dei servizi, quando alla P.A. non interessa più. Revoca dell'aggiudicazione lecita.
L’amministrazione ha ritenuto di dover revocare, per ragioni di interesse pubblico, tutti gli atti della gara per l’affidamento del servizio di gestione del magazzino economale che, all’esito della vicenda processuale descritta, aveva visto la ricorrente collocata al primo posto della graduatoria dei partecipanti.
L’amministrazione non è quindi rimasta inerte dopo la pubblicazione della sentenza della Sezione V n. 2221 dell’11.04.2011 ma ha provveduto intervenendo nella vicenda con un atto di revoca, facendo quindi applicazione del proprio potere di autotutela la cui disciplina si rinviene ora nell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 07.08.1990.
Ai sensi della indicata disposizione tre sono i presupposti che, in via alternativa, possono legittimare l’adozione di un provvedimento di revoca da parte dell’Autorità competente:
- sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
- il mutamento della situazione di fatto;
- una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
L’ordinamento ammette quindi la revoca di provvedimenti amministrativi diventati inopportuni in base a nuove circostanze sopravvenute ed anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (Consiglio di Stato, sez. V, n. 283 del 18.01.2011).
Nella fattispecie, l’Azienda Ospedaliera ha ritenuto di dover revocare gli atti della gara in questione, facendo espressa applicazione dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 che, come si legge nello stesso atto, consente l’esercizio del potere di revoca di atti amministrativi per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, nel caso di mutamento della situazione di fatto che ha dato origine al provvedimento da revocare ed a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
E tale revoca si è resa necessaria, come si evince sempre dai contenuti di tale atto:
- considerato che, nelle more della definizione dei due gradi del giudizio, sono trascorsi circa tre anni e che, nel frattempo, l’Azienda “ha sempre continuato a gestire il servizio di che trattasi mediante l’impiego di personale dipendente in servizio”;
- ritenuto che “a seguito di una revisione organizzativa interna, che ha permesso di recuperare personale amministrativo idoneo al proficuo e puntuale svolgimento del servizio attinente alla gestione dei magazzini economali, sono venuti meno i presupposti per esternalizzare il servizio di che trattasi”;
- ritenuto quindi opportuno “continuare a svolgere la gestione del magazzino economale dell’Azienda mediante il personale interno” tenuto conto anche del “considerevole risparmio di pubbliche risorse in ottemperanza alle determinazioni impartite dal Commissario ad acta della Regione Lazio intese al contenimento dei costi per l’affidamento all’esterno dei servizi e l’acquisto di beni”.
Sulla base di tali ragioni non può ritenersi elusiva del giudicato (né comunque illegittima) l’azione dell’Amministrazione.
Sono state infatti chiaramente indicate (e non risultano manifestamente irragionevoli) le ragioni di pubblico interesse (attuale e concreto) che hanno determinato l’adozione dell’atto di autotutela e che risultano prevalenti rispetto agli altri interessi militanti in favore della conservazione degli atti oggetto della revoca.
E del resto, la giurisprudenza ha chiarito che, in materia di contratti della P.A., il potere di negare l’approvazione dell’aggiudicazione di una gara ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse, senza trovare ostacoli nell’avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria della stessa (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1554 del 17.03.2010).
Né può giungersi a diversa conclusione in relazione alla circostanza che l’amministrazione nell’atto di revoca non ha indicato anche l’ammontare dell’indennizzo da liquidare alla parte, così come previsto dai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.
Per giurisprudenza costante, infatti, l’eventuale mancata previsione dell’indennizzo non ha efficacia viziante o invalidante dell’atto di revoca ma legittima solo il privato ad azionare la relativa pretesa patrimoniale, anche davanti al giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1554 del 17.03.2010) (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.11.2011 n. 6039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInfiltrazioni mafiose negli appalti pubblici.
Gli elementi relativi al “tentativo di infiltrazione mafiosa” devono avere una consistenza oggettiva circostanziata, ancorché anche solo indiziaria, che renda evidente la concretezza e attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa.
Nel caso attenzionato, il Consiglio di Stato ha, per contro, evidenziato che l'informativa antimafia si fondava, invece, su elementi in parte non provati, in parte inattuali, in parte del tutto occasionali, essendo incensurato l’amministratore e avendo il socio reati estinti che per la loro tipologia non sono indiziari di contiguità mafiosa, e non essendovi prova di loro frequentazioni in ambienti criminali (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.11.2011 n. 6027 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di gara con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è illegittima la clausola di un bando di gara, che svilisca l'elemento economico dell'offerta, attribuendo ad esso un ruolo secondario, se non addirittura irrilevante.
Ferma restando, nel caso di adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la discrezionalità dell'amministrazione di decidere il peso da attribuire all'elemento economico dell'offerta, nonché di stabilire la formula matematica da utilizzare per la sua concreta determinazione, è evidente che deve esistere coerenza logica rispetto al criterio di gara utilizzato oltre che tra le varie disposizioni che regolano la gara. Nell'indicazione delle condizioni minime che devono connotare le offerte, per essere ammissibili, l'amministrazione è libera di indicare tutti i requisiti che ritiene necessari, a garanzia di un elevato standard qualitativo delle offerte che partecipano alla gara; offerte che comunque, superato il vaglio di ammissibilità, saranno valutate da un punto di vista qualitativo per l'attribuzione del punteggio all'uopo previsto.
Ma una volta compiutamente valutati tutti gli aspetti concernenti il livello qualitativo dell'offerta, e determinate le implicazioni che da tale valutazione discendono, il peso che deve essere attribuito all'elemento prezzo non può ulteriormente essere condizionato da una supposta volontà di privilegiare la qualità delle offerte, e deve autonomamente essere valutato e ponderato secondo il peso ad esso assegnato negli atti di gara.
Pertanto, è illegittima l'impugnata previsione del bando di gara, nel caso di specie, che finisce per svilire l'elemento economico dell'offerta attribuendo ad esso un ruolo assolutamente secondario, se non addirittura irrilevante (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.11.2011 n. 6023 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Prima nota sulle modifiche dell’articolo 9 della legge 183/2011, c.d. legge di stabilità 2012, apportate all’articolo 4 del dl 138/2011, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica (ANCI, nota 15.11.2011).

APPALTI: Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Stazione appaltante, no all'elezione diretta di un professionista.
Domanda.
Questo Comune ha indetto una procedura per l'affidamento di un appalto di lavori da assegnare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Dovendosi nominare la Commissione giudicatrice, ci siamo posti il problema se, per velocizzare il sub-procedimento di nomina, e' possibile interpellare un professionista -esperto nella materia oggetto dell'appalto- con il quale l'Amministrazione ha avuto e ha in corso proficui rapporti di consulenza.
Risposta.
Come si sa, l'art. 84, comma 8, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 e s.m.i. prevede che: "8. I commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza.
9. Gli elenchi di cui al comma 8 sono soggetti ad aggiornamento almeno biennale
."
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente, la corretta applicazione di questa norma esclude che la stazione appaltante possa fare luogo a elezione diretta di un professionista, sia pure in possesso dei requisiti e delle capacità professionali richiesti dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. cit. (in questo senso, da ultimo, TAR Lazio-Roma Sez. II-ter, 27.05.2011, n. 4810, che ha giudicato illegittima la scelta come professionista esterno in Commissione di un avvocato, nella qualità di esperto in appalti, effettuata senza la preventiva richiesta all'Ordine degli avvocati di una rosa di candidati e la conseguente formazione di un apposito elenco dal quale attingere).
La risposta al quesito, pertanto, deve ritenersi negativa, in ossequio all'orientamento giurisprudenziale più recente (15.11.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Linee Guida per l’utilizzo del Codice Unico di Progetto (CUP) – Spese di sviluppo e gestione.
Nell’ambito dell’attività del Gruppo di lavoro Osservatori regionali Appalti presso ITACA, sono state messe a punto le linee guida 14.11.2011 per l’utilizzo del Codice Unico di Progetto (CUP) che la legge 3/2003 impone a tutte le amministrazioni di richiedere per ogni progetto d’investimento pubblico.
La legge 136/2011 ha reso obbligatorio inoltre il CUP anche ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari per prevenire fenomeni di infiltrazioni criminali. Il documento è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento per la programmazione, il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

APPALTI - VARI: G.U. 14.11.2011 n. 265 "Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese" (Legge 11.11.2011 n. 180).
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L'ENNESIMA MODIFICA AL CODICE DEI CONTRATTI (D.Lgs. 163/2006): si legga, al riguardo, l'art. 12 ed anche l'interessante art. 13.

APPALTI: G. P. Cirillo, Requisiti generali di qualificazione: garanzie per l’amministrazione o occasione di contenzioso? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: C. Contessa, L’abuso delle clausole escludenti nelle pubbliche gare e i suoi possibili rimedi: un ritorno alla disapplicazione? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPolizza fideiussoria nel raggruppamento temporaneo di imprese.
Nel caso di partecipazione alla gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese, la polizza fideiussoria deve essere intestata a tutte le imprese componenti il costituendo raggruppamento di imprese al fine di costituire la cauzione provvisoria richiesta per la partecipazione alla gara (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5959 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese la polizza fideiussoria deve essere intestata a tutte le imprese componenti il costituendo RTI.
Nel caso di partecipazione alla gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese, la polizza fideiussoria deve essere intestata a tutte le imprese componenti il costituendo RTI, al fine di costituire la cauzione provvisoria richiesta per la partecipazione alla gara; infatti, stante il carattere accessorio della garanzia, il fideiussore, nel manifestare in modo espresso la volontà di prestarla, deve anche indicare l'obbligazione principale garantita, il soggetto garantito, nonché le eventuali condizioni e limitazioni soggettive ed oggettive della garanzia rispetto all'obbligazione principale, e tanto in omaggio al principio generale, desumibile dagli artt. 1346 e 1348 c.c., secondo cui, l'oggetto del contratto deve essere determinato o almeno determinabile a pena di nullità. In presenza di un'ATI costituenda, il soggetto garantito non è l'ATI nel suo complesso, non essendo ancora costituita, e neanche la sola capogruppo designata, in quanto la garanzia riguarda tutte le imprese associande che, durante la gara, operano individualmente e responsabilmente nell'assolvimento degli impegni connessi alla partecipazione alla gara, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello di conferire il mandato collettivo alla impresa designata capogruppo, che stipulerà il contratto con l'Amministrazione.
Pertanto, nel caso di specie, è inidonea la costituzione della cauzione provvisoria mediante polizza intestata alla sola mandataria e non corredata da altra indicazione volta ad identificare l'altra impresa costituente il raggruppamento di imprese e ad estendere il perimetro dell'obbligazione di garanzia anche con riguardo alle condotte della mandante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5959 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Esclusione dalla gara, gravità del reato senza codice penale. La valutazione dipende dalle modalità di esecuzione del contratto.
Nelle gare d'appalto il Codice dei contratti pubblici è volto ad evitare che i questi possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. L’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare.
Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara.
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che, nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro.
E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche.
Nel caso di specie, peraltro, alla condanna per lesioni colpose si aggiungeva anche quella per evasione fiscale che, ancorché di per sé non decisiva ai fini dell’esclusione, valeva comunque ad appannare ulteriormente l’immagine morale e commerciale dell’impresa.
Privo di pregio è anche il rilievo secondo cui la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione il lungo tempo trascorso fra la commissione dei reati e la presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Invero, il lasso temporale che, eventualmente, deve essere valutato ai fini del giudizio sulla moralità dell’impresa partecipante alla gara è quello intercorso dalla condanna, che, nel caso di specie, non appare particolarmente lungo visto che entrambe le condanne prese in esame dalla Commissione di gara sono state pronunciate nel 2008.
Nessun rilievo, ai fini della decisione del presente ricorso, può, inoltre, avere il fatto che la società abbia partecipato e vinto altre gare di appalto successivamente alle condanne sopra menzionate.
Infatti, la valutazione in ordine alla moralità professionale ha natura discrezionale e comporta apprezzamenti legati all’oggetto di ciascun appalto che possono variare da caso a caso.
Senza contare, poi, che i giudizi espressi in proposito da altre stazioni appaltanti non potevano certo ritenersi condizionanti o decisivi nel caso di specie (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Gara d'appalto - Requisiti di partecipazione - Potere di riesame - Non fa venire meno - Avvicendarsi delle fasi .
2. Gara d'appalto - Annullamento aggiudicazione - Intervento in autotutela - Ammesso.

1. L'avvicendarsi delle diverse fasi della gara non preclude alla stazione appaltante il potere di riesaminare anche in un momento successivo a quello della verifica dei requisiti di partecipazione la documentazione allegata all'offerta per disporre l'esclusione di un'impresa concorrente che ne fosse priva.
2. La giurisprudenza amministrativa ammette addirittura l'intervento della p.a. in via di autotutela anche dopo la conclusione della gara con l'annullamento dell'aggiudicazione. Per conseguenza l'esercizio del potere di verifica delle offerte non può essere in alcun modo impedito quando la gara è in corso e non si sono ancora formate posizioni consolidate in relazione al conseguimento della commessa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara.
Nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro. E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006).

Occorre ricordare che l’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara (Consiglio Stato sez. VI,, 04.06.2010 n. 3560; TAR Toscana, Sez. II, 31.08.2011 n. 1351).
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza amministrativa (anche di questo Tribunale) ha più volte affermato che, nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro (Consiglio di Stato, sez. V, 12.04.2007 n. 1723; TAR Campania, Salerno, sez. I, 09.03.2011 n. 436; TAR Milano, sez. I, 17.12.2009 n. 5594). E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della modifica dell'originaria composizione di una commissione giudicatrice, avvenuta successivamente all'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche.
E' illegittima la modifica della struttura della commissione giudicatrice, avvenuta in un momento successivo all'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche e concretizzatasi nell'aggiunta di due commissari esterni rispetto ai tre componenti originari.
La variazione della consistenza numerica dell'organo, intervenuta in un momento in cui i membri originari avevano già potuto prendere conoscenza dei contenuti delle offerte tecniche presentate dai concorrenti, si pone, infatti, in contrasto con l'esigenza di trasparenza e la garanzia di continuità delle operazioni valutative che impongono di individuare in detto discrimine temporale il limite invalicabile oltre il quale non può essere variata la consistenza numerica della Commissione.
L'alterazione della composizione numerica dell'organo collegiale, nella specie disposta nel corso della procedura per effetto di un'iniziativa assunta dal Presidente della Commissione in contrasto gli altri componenti, si presta al rischio di alterazione del giudizio in corso di formazione e di formazione di maggioranze precostituite, in guisa da cagionare un vulnus ai principi di trasparenza, imparzialità e continuità dell'azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2011 n. 5906 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n. 163 ha introdotto il principio della tassatività delle cause di esclusione dei soggetti partecipanti agli esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità di comminare l’esclusione solo “nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” e che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione” e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, è oggi possibile comminare l’esclusione da una gara solo ove vi sia incertezza in ordine alla provenienza della domanda, al suo contenuto o alla sigillazione dei plichi e che ogni altra ragione di non partecipazione agli incanti non può essere prevista, a pena di nullità della disposizione del bando o della lettera d’invito.

L’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n. 163, aggiunto dall’art. 4, 2 comma, n. 2, lett. d) del D.L. n. 70 del 2011, convertito con modificazioni nella L. 12.07.2011, n. 106, ha introdotto il principio della tassatività delle cause di esclusione dei soggetti partecipanti agli esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità di comminare l’esclusione solo “nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” e che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione” e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, in definitiva, è oggi possibile comminare l’esclusione da una gara solo ove vi sia incertezza in ordine alla provenienza della domanda, al suo contenuto o alla sigillazione dei plichi e che ogni altra ragione di non partecipazione agli incanti non può essere prevista, a pena di nullità della disposizione del bando o della lettera d’invito (cfr. in tal senso e da ultimo TAR Liguria, sez. II, 22.09.2011, n. 1396, e TAR Veneto, sez. I, 13.09.2011, n. 1376) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.11.2011 n. 632 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: È da escludersi la redazione del DUVRI da parte del committente di un servizio di trasporto scolastico.
Con il secondo motivo viene fatta rilevare l’assenza nella lex specialis di gara del DUVRI e la mancanza dell’indicazione dei costi per la sicurezza ai sensi dell’art. 86 del d.lgs. 163/2006.
Il mezzo è infondato, in quanto dall’articolo 3, comma 1, lett. a), della L. n. 123/2007, il quale modifica l’art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 16.09.1994 n. 626, discende che il DUVRI deve essere redatto solo nei casi in cui esistano “interferenze”. In esso, dunque, non devono essere riportati i rischi propri dell’attività delle singole imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di rischi per i quali resta immutato l’obbligo dell’appaltatore di redigere un apposito documento di valutazione e di provvedere all’attuazione delle misure necessarie per ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In assenza di interferenze non occorre redigere il DUVRI; in tal caso, tuttavia si ritiene opportuno che nella lex specialis di gara sia comunque indicato che l’importo degli oneri della sicurezza è pari a zero.
Si noti, inoltre, che la circolare interpretativa del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale n. 24 del 14.11.2007 ha escluso dalla valutazione dei rischi da interferenza le attività che, pur essendo parte del ciclo produttivo aziendale, si svolgano in luoghi sottratti alla giuridica disponibilità del committente e, quindi, alla possibilità per la stazione appaltante di svolgere nei medesimi luoghi gli adempimenti di legge, per cui nel caso di specie, trattandosi di un servizio di trasporto scolastico in cui il luogo fisico dell’espletamento del servizio è costituito da mezzi di trasporto messi a disposizione dallo stesso appaltatore, la redazione del DUVRI da parte del committente è da escludersi.
Per quanto concerne la mancata indicazione dei costi della sicurezza, sono quantificabili come costi della sicurezza da interferenze le misure, in quanto compatibili, di cui all’art. 7 comma 1 del d.P.R. n. 222/2003, previste nel DUVRI.
Il concetto di “costo della sicurezza” è quindi strettamente interconnesso con il DUVRI; per cui si ritiene che, ove non sia obbligatorio elaborare questo documento, si possa prescindere dalla indicazione dei costi della sicurezza in sede di documentazione di gara predisposta dalla stazione appaltante (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 09.11.2011 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'obbligo in capo ad un'ATI di indicare sia le quote di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell'appalto.
Secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, quale che sia il settore dell'appalto lavori, servizi, forniture, l'a.t.i. offerente deve indicare sia le quote di partecipazione all'a.t.i. di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell'appalto, e vi deve essere corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione.
Tale obbligo di duplice indicazione è espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla morfologia del raggruppamento verticale ovvero orizzontale, o ancora alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5892 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Non sussiste l'obbligo, anche in capo ad un'ATI orizzontale, di indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascuna impresa.
Ai sensi dell'art. 37, c. 4, del d.lgs. n. 163/2006, nelle gare pubbliche indette per l'affidamento di servizi, l'offerta di un'ATI concorrente deve indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascuna impresa, solo nell'ipotesi in cui il raggruppamento sia di tipo verticale, vale a dire con scorporo di singole parti, mentre nel caso di RTI orizzontale, non è necessario indicare le parti da eseguire da ciascuna impresa, ma soltanto le percentuali, e ciò in quanto, nel raggruppamento orizzontale gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione e tutte le imprese sono responsabili in solido dell'intero (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.11.2011 n. 1658 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Consorzio stabile: sulla qualificazione minima della consorziata indicata per l'esecuzione dei lavori.
Poiché l’art. 97, comma 4, nella seconda parte prevede espressamente che “alle singole imprese consorziate si applicano le disposizioni previste per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei di imprese”, va quindi richiamato l’art. 95, comma 2, del medesimo DPR, il quale dispone che tali imprese devono possedere i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi ciascuna nella misura minima del 10% di quanto richiesto all'intero raggruppamento.
Come ancora questa Sezione ha già avuto modo di precisare (cfr. sentenza 08.02.2007 n. 223), tale soluzione interpretativa consente di salvaguardare la fondamentale esigenza di far eseguire i lavori ad imprese consorziate adeguatamente qualificate, e quindi in grado di operare con la necessaria competenza tecnica, fornendo idonee garanzie di buona esecuzione all’Ente committente.
E tale esigenza non può essere confusa, da una parte, con la possibilità che ha il Consorzio, come soggetto distinto, di cumulare le qualificazioni delle consorziate al fine di partecipare alla gara, con la diversa esigenza che chi si occuperà in concreto, anche in parte, della esecuzione dell’appalto, sia comunque qualificato a tal fine; e, dall’altra, con l’espressa previsione dell’art. 97, comma 1, del citato D.P.R. 554/1999 secondo cui la facoltà, che i consorzi stabili di imprese hanno, di far eseguire i lavori dai consorziati, lascia “ferma la responsabilità sussidiaria e solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante”.
Perché anche tale previsione ha una distinta ratio, che non incide in alcun modo sulla necessità, già precisata, che anche i consorziati siano adeguatamente qualificati per le opere che dovranno eseguire (nello stesso senso cfr. anche Cons. St., sez. IV, 21.04.2008 n. 1778, secondo cui, a prescindere dal fatto che si tratti di consorzio stabile o ordinario, “è fuori discussione che esso debba dare la dimostrazione, nei modi previsti, del possesso dei requisiti di tutti i consorziati che vengano individuati come esecutori delle prestazioni scaturenti dal contratto”; nonché Id., sez. VI, 22.10.2010 n. 7609) (tratto da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 07.11.2011 n. 2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cauzione provvisoria: è superflua ai fini dell'operatività della garanzia la sottoscrizione del contratto da parte del soggetto garantito.
Nel negozio di fideiussione le parti contraenti sono il garante e il soggetto a favore del quale opera la garanzia, mentre non è parte del contratto di fideiussione il soggetto garantito (cioè il debitore), la cui sottoscrizione risulta, pertanto, superflua ai fini della operatività della garanzia.
La normativa applicabile nella Regione Siciliana sancisce chiaramente che la cauzione definitiva deve essere valida ed operante sino alla data di collaudo provvisorio a prescindere dal fatto che quest’ultimo intervenga o meno entro il termine stabilito in astratto per il suo espletamento.
Ne consegue che la dichiarazione preventiva di impegno del garante deve necessariamente conformarsi alla concreta realizzazione del suddetto evento, non potendosi ritenere idonea l’indicazione di un termine prefissato di durata, seppur in via astratta superiore al termine entro il quale, di norma, l’evento (collaudo) dovrebbe realizzarsi (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.A., sentenza 07.11.2011 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Risarcimento del danno per equivalente: non sono mai rimborsabili le spese sostenute per la partecipazione ad una gara.
L'amministrazione, di conseguenza, è legittimata a revocare la procedura solo se fornisce una adeguata motivazione in ordine alla natura e alla gravità delle anomalie contenute nel bando o verificatesi nel corso delle operazioni di gara o comunque negli atti della fase procedimentale che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela.
Per quanto specificamente riguarda le spese di partecipazione, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, in assenza di una specifica previsione di legge le spese sostenute per la partecipazione ad una gara pubblica non sono mai rimborsabili, a nulla rilevando se l'impresa che ne pretenda la restituzione sia risultata o meno aggiudicataria, trattandosi di un onere ordinariamente affrontato da ogni impresa interessata a procacciarsi un affare e, quindi, a carico dei concorrenti in conseguenza della sola partecipazione a una procedura di evidenza pubblica e del tutto indipendentemente dal relativo esito (V Sez. n. 808 del 2010) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 07.11.2011 n. 785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della clausola del bando di gara che preveda, per la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, una apposita seduta riservata.
Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di quei concorrenti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, abbiano commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dall'amministrazione che bandisce la gara.

Alla luce di una recente sentenza dell'Adunanza Plenaria del C.d.S., negli appalti pubblici da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il principio della pubblicità delle operazioni da svolgere in seduta pubblica, trova applicazione con specifico riferimento anche all'apertura della busta contenente l'offerta tecnica.
Infatti, la pubblicità delle sedute di gara risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, cui deve essere consentito di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere, in tal modo, la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.
Pertanto, è illegittima la clausola del bando che prevede, per la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, una seduta riservata, atteso che all'apertura delle buste delle offerte tecniche deve procedersi in seduta pubblica, trattandosi di un passaggio essenziale e determinante dell'esito della procedura concorsuale, che deve essere presidiata dalle medesime garanzie previste per l'aperture delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
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Ai sensi dell'articolo 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle gare d'appalto i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, abbiano commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; ovvero che siano incorsi in un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale.
Tale disposizione prevede quindi la possibile esclusione di quelle imprese che si siano rese responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti rapporti contrattuali, pertanto non ritenute affidabili dalla stazione appaltante. La giurisprudenza ha peraltro chiarito che, l'esclusione dalla gara, non ha carattere sanzionatorio, e per procedere alla stessa è necessario che l'amministrazione, con atto motivato, dia conto della gravità della negligenza o dell'errore professionale commesso e del rilievo che tali elementi hanno sull'affidabilità dell'impresa e sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo contratto con la stessa.
La valutazione sulla rilevanza, ai fini dell'affidamento di un nuovo appalto, della negligenza o dell'errore professionale e, quindi, sulla sussistenza o meno del requisito di affidabilità, ha quindi carattere discrezionale; pertanto, occorre che il provvedimento di esclusione sia adeguatamente motivato con l'indicazione delle ragioni del convincimento circa la mancanza del requisito di affidabilità dell'impresa partecipante alla gara.
Nel caso di specie, la mancata esclusione del concorrente è stata determinata da una valutazione discrezionale della P.A., la quale ha ritenuto che l'errore professionale commesso non fosse talmente grave da far venir meno il requisito di affidabilità della stessa impresa nella partecipazione ad una nuova gara (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.11.2011 n. 5866 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti di servizi, per prestazioni specifiche ok a bandi più rigidi. Ragionevole l'esclusione per mancata allegazione dei requisiti di affidabilità.
E' legittima, non contrastando con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica, la clausola del bando di gara per l'affidamento dell'appalto del servizio di trasporto scolastico che prevede, a pena di esclusione, la produzione di un titolo idoneo allo svolgimento di un'attività intimamente connessa all'oggetto dell'appalto.

La ricorrente ha impugnato, oltre al resto, il provvedimento con cui la stazione appaltante aveva disposto la sua esclusione da una gara di appalto per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico.
Nello specifico, ha eccepito l’illegittimità della clausola del bando di gara con cui era stata prevista, a pena di esclusione, la produzione di un titolo idoneo per lo svolgimento dell’attività dell’oggetto dell’appalto.
In particolare, di un contratto di locazione o di un certificato di proprietà attestante la disponibilità di un deposito a uso rimessa, ubicato a una certa distanza dalla sede di espletamento del servizio di trasporto scolastico.
Depositate le memorie dalle parti in causa in vista della Camera di consiglio, il Collegio lombardo, con sentenza in forma semplificata, ha, in punto di rito, rilevato di non poter ammettere la memoria e i documenti depositati dalla controinteressata, aggiudicatrice dell’appalto, in quanto tardive rispetto al termine dimidiato di 1 giorno libero (da calcolare a ritroso dalla data della Camera di consiglio), ai sensi dell’art. 55, comma 5, 119 e 120 del Codice del processo amministrativo (allo stesso modo, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 13.05.2011 n. 693).
Ha precisato, infatti, che nel calcolo "a ritroso" dei termini, l’assegnazione di un intervallo minimo prima del quale deve essere compiuta un’attività processuale comporta l’impossibilità di prorogare al primo giorno seguente non festivo il termine che scada in giorno festivo (poiché diversamente opinando si produrrebbe l’effetto di un’abbreviazione dell’intervallo): detta proroga "in avanti" opera dunque con esclusivo riguardo ai termini cd. a decorrenza successiva (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 04.01.2011, n. 182).
Nel merito, ha ritenuto il ricorso infondato.
Invero, non ha mancato di rilevare che la ricorrente era stata esclusa, tra l’altro, per non avere allegato copia di un contratto di locazione o di un certificato di proprietà attestante la disponibilità di un deposito a uso rimessa, ubicato a una distanza non superiore a 15 Km. dal luogo in cui svolgere l’attività di trasporto scolastico.
Detto requisito doveva essere comprovato con apposita produzione documentale, giusta quanto imposto dall’art. 8, lett. m), del bando di gara che, al riguardo, precisava pure che il mancato possesso anche di uno solo dei requisiti richiesti avrebbe comportato l’esclusione dalla procedura selettiva.
La ricorrente, tuttavia, aveva esibito in sede di gara la dichiarazione di un’agenzia di intermediazione immobiliare attestante la disponibilità di un capannone di 420 mq. ubicato in comune affatto differente da quello in cui si sarebbe dovuto svolgere il servizio oggetto d’appalto.
Orbene, il TAR lombardo, precisando il principio in massima, ha proseguito che la prescrizione contenuta nel bando di gara rispondeva all’interesse pubblico della stazione appaltante di affidare il servizio –rivolto ai minori frequentanti la scuola dell’obbligo e per sua natura essenziale– a un operatore economico che disponesse delle condizioni minime indispensabili a garantirlo con continuità ed efficienza.
Pertanto, il G.A. bresciano ha rilevato come la semplice dichiarazione di un’agenzia immobiliare non dava conto di alcun impegno giuridicamente coercibile a carico del terzo proprietario dell’immobile, il quale avrebbe ben potuto decidere di non concludere il contratto di compravendita (o di locazione) dopo l’eventuale aggiudicazione.
Per siffatta ragione, i concorrenti –per evitare di assumere il vincolo definitivo prima di conoscere l’esito della gara– avrebbero al più potuto stipulare un contratto preliminare recante una clausola condizionale di validità e efficacia all'aggiudicazione dell’appalto.
Alla stregua di tanto, considerato che il bando non consentiva la tardiva presentazione del titolo attestante la disponibilità del locale, pena la violazione della fondamentale regola della par condicio dei concorrenti, e che l’art. 46 del Codice dei contratti pubblici prevede effettivamente il potere-dovere di soccorso della stazione appaltante nei confronti dei concorrenti mediante la richiesta di chiarimenti in ordine al contenuto dei documenti presentati, ha precisato il giudicante che nella vicenda non poteva essere esercitato da parte dell’amministrazione un potere di soccorso per permettere all’offerente di sanare l’irregolarità originaria della propria domanda.
Non a caso, il titolo di disponibilità del deposito a uso rimessa degli autobus costituiva un elemento essenziale dell’offerta, diretto come già sottolineato ad avallarne la credibilità e l’affidabilità.
A siffatta conclusione, del resto, si è pervenuti anche con riferimento alla novella di cui all’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006; infatti la nuova normativa contempla la fattispecie dell’esclusione dei concorrenti per difetto di "elementi essenziali" dell’offerta, come l’impegno di cui si discorre nella fattispecie.
Ragion per cui il Collegio, reputando che la domanda della ricorrente fosse priva di tale elemento essenziale, ha rilevato la legittimità dell’operato della stazione appaltante, contestualmente rigettando il gravame (tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 1510 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara per il servizio di trasporto scolastico, per omessa attestazione della disponibilità di un deposito-rimessa, sito ad una determinata distanza dalla sede di espletamento del servizio.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di attestare la disponibilità di un deposito ad uso rimessa, ubicato ad una determinata distanza dalla sede di espletamento del servizio, qualora il bando richieda la dimostrazione del predetto requisito, come nel caso di specie, mediante apposita produzione documentale, pena l'esclusione dalla procedura.
Non confligge con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e massima partecipazione alle procedure selettive, la previsione espressa, nella lex specialis, della produzione di un titolo idoneo allo svolgimento di un'attività intimamente connessa all'oggetto dell'appalto; nella fattispecie in esame, trattasi di apposito luogo di ricovero dei mezzi a distanza non eccessiva dal territorio ove il servizio deve essere espletato; infatti, tale prescrizione risponde all'interesse pubblico della stazione appaltante, di affidare il servizio ad un operatore economico che disponga delle condizioni minime indispensabili a garantirlo con continuità ed efficienza (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 1510 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un concorrente che abbia indicato, nella propria offerta, voci relative al costo del lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle ministeriali.
L'art. 86, c. 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006, in relazione al giudizio di anomalia delle offerte presentate dai concorrenti in sede di gara, prescrive una rigorosa verifica del rispetto del costo del lavoro, alla luce delle indicazioni "tendenziali" evincibili dalla tabelle ministeriali.
Per pacifica giurisprudenza, congruente anche con le più recenti indicazioni normative, tra cui il nuovo art. 81, c. 3-bis, del medesimo decreto, sono inderogabili solo i minimi salariali di costo del lavoro dettati dalla contrattazione collettiva i quali, in sede di valutazione di congruità di un'offerta, non possono che essere ritenuti come tali inderogabili. In realtà, l'unico parametro di computo dettato dalle tabelle ministeriali, effettivamente inderogabile, è la retribuzione minima oraria dettata dalla contrattazione collettiva; invece i restanti maggiori costi, se pure esistenti, possono essere concretamente giustificati in termini anche minori rispetto a quanto astrattamente ed omogeneamente previsto dalla tabelle ministeriali.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia indicato nella propria offerta, voci relative al costo del lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1173 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In sede di verifica del rispetto del costo del lavoro, l'unico parametro di computo dettato dalla tabelle ministeriali effettivamente inderogabile è la retribuzione minimia inderogabile oraria dettata dalla contrattazione collettiva.
L’art. 86, comma 3-bis, prescrive una rigorosa verifica del rispetto del costo del lavoro alla luce delle indicazioni “tendenziali” evincibili dalla tabelle ministeriali. E’ sul punto pacifica e univoca giurisprudenza, congruente anche con le più recenti indicazioni normative (si veda il nuovo art. 81, comma 3-bis) che inderogabili siano solo i minimi salariali di costo del lavoro dettati dalla contrattazione collettiva i quali, in sede di valutazione di congruità di una offerta, non possono che essere ritenuti come tali inderogabili. Altra e ben diversa problematica attiene alla verifica del rispetto tendenziale dal maggior costo “del servizio” che tiene complessivamente conto, oltre che del costo orario inderogabile del singolo lavoratore, dei maggiori costi effettivi del servizio che possono essere indotti dalla circostanza che non tutte le ore teoriche retribuite sono effettivamente lavorate (si pensi alle assenze per malattia, ferie ecc.).
L’unico parametro di computo dettato dalla tabelle ministeriali effettivamente inderogabile è la retribuzione minimia inderogabile oraria dettata dalla contrattazione collettiva, mentre i restanti maggiori costi, se pure esistenti, possono essere concretamente giustificati in termini anche minori rispetto a quanto astrattamente e omogeneamente previsto dalla tabelle ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1173 - tratto da www.mediagraphic.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa segnalazione all'Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
Sostiene l’esponente che la segnalazione all’Autorità sarebbe stata effettuata in aperta violazione della normativa di riferimento, applicabile ratione temporis, poiché la sanzione della segnalazione all’Autorità era prevista nel solo caso di irregolarità accertate con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale di cui all’art. 38, essendo queste ultime sanzionabili, in conseguenza, solo con l’esclusione dalla gara.
L’assunto in questione trova riscontro nel precedente orientamento ermeneutico della Sezione, consolidatosi a partire dalla sentenza n. 3699 del 21.12.2009.
Con tale pronuncia, il Collegio aveva rilevato che “l'ipotesi di carenza dei requisiti di carattere generale, regolata dall'art. 38 del citato d.lgs., che prevede in tal caso solo l'esclusione del concorrente dalla gara, è cosa assai diversa da quella relativa al mancato possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, disciplinata dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, che riconnette a tale circostanza non solo l'esclusione del concorrente dalla gara, ma anche l'escussione della relativa cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici”.
Ne consegue, secondo la pronuncia richiamata, che “l'art. 48 del d.lgs 163/2006, dedicato ai procedimento e sanzioni, si applica limitatamente ai soli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi; pertanto, il procedimento e le sanzioni ex art. 48 non si applicano alla verifica delle dichiarazioni sostitutive circa il possesso dei requisiti di carattere generale; trattandosi, infatti, di norme sanzionatorie e quindi di stretta interpretazione, l'esplicito riferimento ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi esclude che gli effetti previsti all'art. 48 possano estendersi anche al controllo disposto dalla stazione appaltante delle dichiarazioni sostitutive relative ai requisiti di ordine generale di cui all'art. 38 d.lgs. 163/2006. Pertanto, l'eventuale falsità delle stesse dichiarazioni sostitutive sui requisiti di ordine generale non trova disciplina, quanto alle sanzioni, nell'art. 48”.
Tale orientamento, aderente all’interpretazione offerta dalla prevalente giurisprudenza di prime cure nonché da talune pronunce del giudice d’appello (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. VI, 28.08.2006, n. 5009), è stato più volte ribadito dalla Sezione (v., fra le altre, le sentenze n. 3699 del 21.12.2009, n. 957 del 15.02.2010, n. 3129 del 16.07.2010 e n. 3738 del 22.10.2010).
Esso necessita, però, di essere radicalmente riconsiderato, alla luce del recente arresto del giudice amministrativo d’appello (Cons. Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3567) che, accogliendo il gravame proposto dall’Autorità avverso una delle citate sentenze di questo Tribunale (la n. 957 del 2010), ha affermato l’opposto principio secondo cui “la segnalazione all'Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici”.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di argomentazione dirimente, sia in ragione della sua intrinseca logicità e rilevanza sia perché rappresenta un elemento di saldatura rispetto alla posizione prevalentemente assunta dal giudice d’appello in merito alla questione controversa (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2004, n. 5792; sez. V, 12.02.2007 n. 554; sez. VI, 04.08.2009, n. 4905 e, più recentemente, sez. VI, 03.02.2011, n. 782) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della composizione di una commissione di gara, nel caso in cui alcuni membri della stessa siano privi di adeguata competenza tecnica, in relazione allo specifico settore oggetto dell'appalto da affidare.
In materia di gare d'appalto, è illegittima la composizione di una commissione giudicatrice, nel caso in cui alcuni membri effettivi della stessa siano privi di adeguata competenza tecnica, in relazione allo specifico settore oggetto dell'appalto da affidare.
La regola fissata dall'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall'appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa, ed in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata; la mancanza, all'interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all'appalto oggetto di gara, non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell'art. 84 citato, in caso di assenza, nell'organico dell'amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti tra funzionari di altre amministrazioni, ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa regola fissata dall’art. 84 del codice dei contratti pubblici, per la quale i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa e, in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata.
La mancanza, all’interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all’appalto oggetto di gara non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in caso di assenza, nell’organico dell’amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione di gara, in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti o tra funzionari di altre amministrazioni ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo.

Il Collegio intende confermarsi a quanto già affermato nella propria ordinanza n. 2958/2011, la quale, nell'accogliere l'istanza cautelare proposta dalla società ricorrente, ha ritenuto fondato il motivo di doglianza in esame, considerato che:
a) la regola fissata dall’art. 84 del codice dei contratti pubblici, per la quale i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa (Cons. St., sez. V, 04.03.2011, n. 1386) e, in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata;
b) la mancanza, all’interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all’appalto oggetto di gara non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in caso di assenza, nell’organico dell’amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione di gara, in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti o tra funzionari di altre amministrazioni ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo (Cons. St., sez. V, 24.11.2009 n. 7353; Tar Veneto, sez. I, 08.10.2009, n. 2575) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: OPERE PUBBLICHE.
Sussiste violazione dell'art. 84, Codice dei Contratti Pubblici per illegittima composizione della Commissione di gara, nell'ipotesi in cui due dei soggetti diversi dal Presidente, con qualifica di membro effettivo, risultino privi della necessaria esperienza nello specifico settore oggetto dell'accordo quadro. In merito deve rilevarsi che la regola fissata dal menzionato disposto normativo costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa, ed, in quanto tale, non è suscettibile di deroga.
Il ristoro del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito -e dunque della condotta, della colpa, del nesso di causalità e dell'evento dannoso- secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse. Tale giudizio prognostico favorevole non può in alcun modo essere formulato nelle ipotesi in cui (come nella specie) l'annullamento dell'aggiudicazione consegua unicamente alla riscontrata illegittima composizione della Commissione di gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDirettiva 2004/18/CE - Art. 68 D.lgs. 163/2006 - Necessità di assicurare una concorrenza effettiva tramite la partecipazione del maggior numero possibile di offerenti - Necessità per le stazioni appaltanti di specificare le proprie esigenze in termini di prestazioni - Sussiste - Art. 68 costituisce norma imperativa e di eterointegrazione.
Il comma 4 dell'art. 68 D.Lgs. n. 163/2006 prevede che "quando si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche di cui al comma 3, lettera a), le stazioni appaltanti non possono respingere un'offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l'offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche".
Parimenti, per il successivo comma 7 del medesimo articolo, quando si avvalgono della facoltà, prevista al comma 3, di definire le specifiche tecniche in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, le stazioni appaltanti non possono respingere un'offerta di lavori, di prodotti o di servizi conformi ad una norma nazionale che recepisce una norma europea, ad un'omologazione tecnica europea, ad una specifica tecnica comune, ad una norma internazionale o ad un riferimento tecnico elaborato da un organismo europeo di normalizzazione se tali specifiche contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali da esse prescritti. Per il successivo comma, in tale ipotesi, nella propria offerta l'offerente è tenuto a provare in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti e con qualunque mezzo appropriato, che il lavoro, il prodotto o il servizio conforme alla norma ottempera alle prestazioni o ai requisiti funzionali prescritti.
Il predetto articolato è diretta espressione della normativa comunitaria, che in sede di emanazione della Direttiva 2004/18/CE, posta a base del codice dei contratti, ha significativamente innovato la materia rispetto al passato, sul rilievo che le disposizioni precedentemente applicabili obbligavano i committenti pubblici a far riferimento a taluni strumenti esaustivamente elencati, ma che l'applicazione di tali disposizioni conduceva a situazioni limitative della scelta del committente all'acquisto dei soli prodotti conformi alla norma tecnica. E' pertanto apparso necessario semplificare tali disposizioni, privilegiando un approccio che consenta di assicurare una concorrenza effettiva tramite la partecipazione del maggior numero possibile di offerenti, permettendo ai committenti pubblici anche di specificare le proprie esigenze in termini di prestazioni.
Nella Direttiva pertanto la definizione delle specifiche tecniche tramite rinvio ad una certa normativa è stato posto in termini meramente alternativi rispetto alla facoltà di indicare determinate "prestazioni" o "requisiti funzionali", senza che il richiamo a questi ultimi possa ritenersi eccezionale o derogatorio (v. il nuovo articolo 23, comma 2 secondo cui "le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza").
L'art. 68 del codice dei contratti costituisce, in ogni caso, una norma imperativa, per la quale opera il principio di eterointegrazione, trovando applicazione a prescindere dal suo mancato riferimento nella "lex specialis" (TAR Sicilia Palermo, Sez. I, 15.03.2010 n. 2932). Anche se le norme destinate a disciplinare la gara hanno infatti valore di "lex specialis", le medesime devono essere integrate da quelle imperative, ai sensi dell'art. 1339 c.c. (TAR Campania Napoli, Sez. I, 11.01.2001 n. 116) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.11.2011 n. 2633 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGara pubblica - Partecipazione da parte di associazioni di volontariato - Legittimità - Condizioni - Esercizio di un'attività economica.
Con riferimento alla possibilità che le associazioni di volontariato partecipino a gare pubbliche, la Corte di Giustizia CE ha chiarito che le disposizioni della direttiva 2004/18 devono essere interpretate nel senso di consentire a soggetti che non perseguono preminente scopo di lucro, che non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e che non assicurano una presenza regolare sul mercato, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi (sentenza 23.12.2009, C 305/08).
In senso conforme si è espresso anche il Consiglio di Stato che, con indirizzo cui si aderisce, ha precisato che "l'assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato possano esercitare un'attività economica, né rileva la carenza di iscrizione alla Camera di Commercio o al registro delle imprese, che non costituiscono requisito indefettibile di partecipazione alle gare di appalto (Cons. St. 4236/2009) né, nella fattispecie, ciò era espressamente stabilito dalle norme di gara" (Cons. St., Sez. V, 26.08.2010, n. 5956).
Il connotato rilevante ai fini dell'odierna decisione tesa a sancire la legittimità o meno della partecipazione di un'associazione di volontariato, non è, pertanto, la ricorrenza in capo al soggetto di uno "scopo di lucro" ma l'esercizio da parte del partecipante alla gara, di un'attività definibile come "economica": quest'ultima certamente non esclusa in difetto del primo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.11.2011 n. 2614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGare pubbliche - Ricorso giurisdizionale - Per l'annullamento dell'aggiudicazione e, in subordine, dell'intera gara - Inammissibilità.
Laddove sia impugnato l'esito di una procedura di gara, non può essere soddisfatta la pretesa del ricorrente di vedere esaminata con precedenza la censura che conduca al conseguimento dell'aggiudicazione e, solo in caso di mancato accoglimento, di ottenere che venga preso in considerazione un motivo di illegittimità riguardante l'intera procedura; ciò in quanto non si può conseguire un'aggiudicazione a seguito di una selezione la cui procedura sia integralmente viziata (cfr., Cons. Stato, sez. V, 07.07.2011, n. 4052; id. 06.04.2009, n. 2143) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.11.2011 n. 2607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario.

Le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario (tra le tante, TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 23.02.2011, n. 50; TAR Campania Napoli, sez. I, 18.03.2011, n. 1498) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 03.11.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui casi in cui la Commissione di gara giudica in composizione plenaria.
Sui casi in cui le valutazioni effettuate dalla Commissione di gara siano sindacabili dal G.A..

La regola secondo cui la Commissione giudicatrice ha natura di collegio perfetto, e deve quindi operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti, è applicabile allorché la Commissione sia chiamata a compiere scelte decisorie e discrezionali, rispetto alle quali determinante appare il contributo di tutti i componenti del collegio ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale; non è invece applicabile allorché la Commissione è chiamata a svolgere compiti a carattere non valutativo, che si sostanziano in un'attività puramente preparatoria ovvero del tutto vincolata.
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Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, in materia di gare d'appalto, le valutazioni effettuate dalla Commissione costituiscono espressione di ampia discrezionalità, finalizzate a stabilire in concreto l'idoneità tecnica delle offerte. Ne consegue che le valutazioni stesse non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistano elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
Peraltro, laddove la lex specialis articoli analiticamente i parametri per l'assegnazione dei punteggi, risultano palesi anche le motivazioni del punteggio dato in relazione alle caratteristiche tecniche. Nel caso di specie, il Capitolato speciale di gara prefissava dettagliatamente il punteggio attribuibile alle singole voci e sottovoci, indicatori della valenza tecnica dell'offerta, sicché il giudizio della Commissione si estrinsecava nel punteggio assegnato per ciascuna voce (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 02.11.2011 n. 8355 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'obbligo di prestare la cauzione provvisoria per tutti i soggetti partecipanti ad una gara di appalto, compresi mandanti e mandatari, nel caso di RTI non costituito.
La cauzione provvisoria deve essere prestata da tutti i soggetti partecipanti, compresi mandanti e mandatari nel caso di RTI non costituito, di modo che, ove la cauzione, come nel caso di specie, sia prestata a mezzo polizza fideiussoria, quest'ultima deve essere intestata a tutti i soggetti del raggruppamento, e non solo alla mandataria. In materia di cauzione provvisoria vanno considerati, infatti, obbligati a prestare la cauzione provvisoria tutti i soggetti che intendono partecipare alla gara, senza esclusione alcuna, perché individualmente responsabili delle dichiarazioni rese. Diversamente opinando, qualora l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, bensì dalle mandanti, verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI concorrente, che abbia prodotto una cauzione provvisoria, la cui fideiussione, a garanzia della stessa, sia stata rilasciata alla sola impresa mandataria, in violazione di quanto disposto dall'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.11.2011 n. 5841 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Il comma 1 dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione: da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui alla normativa in esame, l’omissione o l’incompletezza in ordine a tali elementi non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o -si ripete- della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.

Va ricordata la prevalente opinione giurisprudenziale (cfr. ad es. Consiglio di Stato Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017) da tempo in via consolidamento, che si muove nella medesima ottica sopra evidenziata, a tenore della quale il comma 1 dell’art. 38 cit. ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione: da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui alla normativa in esame, l’omissione o l’incompletezza in ordine a tali elementi non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o -si ripete- della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 09.11.2010, n. 7967).
In senso conforme alla prospettata soluzione depone anche l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi , essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (cfr. Cons. St. n. 1017/2010 cit.) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 02.11.2011 n. 1497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisiti per l'affidamento di contratti pubblici.
Appalti pubblici, ha valore la dichiarazione resa dal legale rappresentante dell'impresa?
Domanda.
La dichiarazione relativa all'art. 38, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, può essere resa dal legale rappresentante anche in relazione agli altri Amministratori o al Direttore tecnico in carica, atteso che il comma 2 dell'art. 38, parla di autocertificazione resa dal concorrente o candidato senza individuare il soggetto tenuto a renderla?
Risposta.
La prescritta dichiarazione di cui all'art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici consente alle Amministrazioni di individuare tutti i soggetti obbligati a dimostrare il possesso dei requisiti necessari per poter contrarre con la P.A. e conseguentemente, gli eventuali reati che tali soggetti hanno commesso e per i quali sono stati condannati. L'omissione di siffatta dichiarazione è causa di esclusione dalle procedure di gara. Lo stesso art. 38, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 chiarisce che le dichiarazioni, attestanti il possesso dei requisiti generali, devono essere rese in conformità alle disposizioni del D.P.R. 28-12-2000, n. 445, ovvero, rispondere ai principi generali in tema di dichiarazioni sostitutive rese alla Pubblica Amministrazione ed essere connesse alla responsabilità penale per le false dichiarazioni.
Proprio in ragione di siffatto richiamo al D.P.R. 28-12-2000, n. 445, la Giurisprudenza sembra ormai orientata nel ritenere che l'obbligo per il "concorrente o candidato" di dichiarare il possesso dei requisiti può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell'impresa anche avuto riguardo ai terzi (Direttori tecnici o altri soggetti comunque muniti di poteri di rappresentanza anche se cessati dalla carica nel triennio antecedente) e ciò in considerazione del fatto che anche in questo caso sono operanti le previsioni di responsabilità penale ed il potere di verifica da parte della stazione appaltante.
Diversamente opinando, la disposizione apparirebbe illogica e contraria al buon senso comune in quanto finirebbe con il subordinare la possibilità di partecipazione a gare pubbliche di un soggetto economico, alla dichiarazione di un soggetto estraneo e privo di responsabilità sul punto, cessato già da tempo dalla carica e magari animato da spirito di rivalsa nei confronti del richiedente proprio a causa dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ovvero perché deceduto o più semplicemente in quanto irreperibile, tanto è vero che per superare tale ostacolo è ammessa la prova della difficoltà di ritrovamento del soggetto che dovrebbe rendere la dichiarazione in questione (02.11.2011 - tratto da www.ispoa.it).

ottobre 2011

APPALTI SERVIZI: Gli atti del convegno "La riforma dei Servizi Pubblici Locali" tenutosi nell'ottobre 2011 a cura del Centro Studi Marangoni (link a www.centrostudimarangoni.it):
- 1^ parte; - 2^ parte.

APPALTI: La revoca del provvedimento di aggiudicazione di una gara non può essere impedita dalla cessione di un ramo d'azienda.
Se da una parte il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell'Amministrazione: in tale ottica, ai sensi dell'art. 35, c. 1, della l. n. 109/1994, gli atti gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all'art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario.
Ne consegue la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall'Amministrazione, non solo non sussistendo, in tale ipotesi, l'esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione quale strumento elusivo dell'inidoneità alla stipula dell'originale soggetto aggiudicatario (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.10.2011 n. 5809 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI RELATIVI A CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI, FORNITURE - INQUADRAMENTO GENERALE DELLA MATERIA E INDICAZIONI OPERATIVE (ANCE, Direzione Legislazione Opere Pubbliche - testo e schema operativo - link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: Le risposte dell'ANCI.
Il responsabile del procedimento.
Si chiede di sapere se come responsabile del procedimento di lavori, alla luce del nuovo regolamento attuativo di cui al Dpr n. 207/2010 che nell’art. 9, co. 4, fa riferimento alla figura del funzionario, possa essere nominato sia il dipendente di cat. D1 che cat. C, essendo entrambe queste figure presenti nel comune.

Per individuare con esattezza la figura di cui si discute occorre fare riferimento al co. 5 dell’art. 10 del Codice degli appalti, Dlgs n. 163/2006, ed in particolare al successivo co. 6 per il quale spetta al regolamento la determinazione dei requisiti di professionalità richiesti al Rup.
Ai sensi del co. 4 dell’art. 9 del nuovo regolamento (citato dal quesito) “il responsabile del procedimento è un tecnico, abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, è un funzionario tecnico, anche di qualifica non dirigenziale, con anzianità di servizio non inferiore a cinque anni”.
In sintesi la lettura dell’articolato ci dice che il Rup deve essere un tecnico con:
● titolo di studio adeguato all’intervento da realizzare;
● abilitazione all’esercizio dell’attività professionale.
Soltanto nel caso in cui l’abilitazione non sia prevista, le funzioni di Rup possono essere attribuite a un funzionario tecnico, anche di qualifica non dirigenziale, con anzianità di servizio di almeno 5 anni.
Appare interessante notare come il dispositivo del nuovo regolamento, rispetto al corrispondente art. 7 del vecchio regolamento Merloni (Dpr n. 554/1999) elimini l’ulteriore puntualizzazione secondo cui si dovrebbe comunque trattare di un funzionario tecnico “con idonea professionalità” e specifichi, in aggiunta rispetto allo stesso art. 7, che potrebbe trattarsi di un funzionario tecnico “anche di qualifica non dirigenziale”.
Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha più volte chiarito che la capacità richiesta al soggetto è più organizzativa e propositiva che meramente tecnica. Resta ovvio che di fronte alla realizzazione di opere particolarmente complesse, è chiaramente opportuno affidare l’incarico a soggetti in possesso di titolo di studio più elevato e commisurato alla tipologia degli interventi da realizzare. Così, discutendo della figura professionale del geometra, risulta ormai consolidato che essendo questi un tecnico e soddisfacendo, quindi, la prima condizione posta, nel caso in cui siano soddisfatte anche le ulteriori condizioni, e cioè l’adeguata professionalità (non espressamente contemplata dal nuovo regolamento) e anzianità di ruolo non inferiore a 5 anni, questi può essere tranquillamente nominato Rup.
Il soggetto va prescelto tra i dipendenti di ruolo dell’ente e la formale nomina (provvedimento “ad hoc” con data certa) compete al dirigente o al responsabile dell’unità organizzativa che gestisce l’intervento (competenza ad “assegnare a sé o ad altro dipendente addetto alla unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento”, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 241/1990).
Si terrà altresì presente che secondo quanto disposto dall’art. 10 del Codice degli appalti già citato, tale responsabile deve essere “unico per le fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione”.
Alla luce di quanto chiarito, l’appartenenza alla categoria C o D, fermo restando le declaratorie professionali contrattualmente definite e fatto salvo quanto disciplinato dal regolamento locale dei servizi e degli uffici, assume un rilievo poco rilevante nel contesto di precipuo interesse.
Risulta per contro pregnante la qualifica di tecnico e la sussistenza degli ulteriori requisiti sopra citati (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

LAVORI PUBBLICI: Le risposte dell'ANCI.
I livelli di progettazione.
Per piccoli lavori un ente approva prima la progettazione preliminare e poi anche quella definitiva/esecutiva.
La legge è chiara livelli di progettazione devono essere tre. Però nel caso che un’opera non abbia procedure espropriative (il cui avvio parte dalla progettazione preliminare), né vi è bisogno di Conferenze di servizi, depositi ecc. (dove serve quella definitiva) si potrebbe optare per un’unica progettazione, magari chiamandola “progettazione completa preliminare, definitiva ed esecutiva”? E sempre rispettando i documenti di legge di cui gli artt. 17 e seguenti del nuovo regolamento?

La possibilità, ipotizzata nel quesito di accorpare in un’unica progettazione da definire come progettazione “completa” e cioè che pur comprenda tutti gli elementi previsti per ciascuna fase (preliminare, definitiva ed esecutiva) si ritiene di non certa ammissibilità.
Ed infatti, se da una parte l’Avcp con la determinazione n. 9/2005 si è espressa in senso favorevole all’accorpamento, purché la fase esecutiva sia sempre presente ed i lavori non rivestano una particolare complessità e rilevanza economica, la giurisprudenza (anche se formatasi in relazione alla previgente legge n. 109/1994, tuttavia sostanzialmente omologa sul punto) tende a ritenere che il triplice livello previsto “ex lege” preclude impropri accorpamenti o contrazioni, evidenziando come le tre fasi debbano rimanere distinte e separate in quanto ciascuna deve essere elaborata sulla base del livello precedente di cui costituisce uno sviluppo
in termini di complessità e rilevanza con la finalità di garantire la qualità finale dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2003 n. 1467; 10.01.2002 n. 112 e 11.05.2004 n. 2930).
È stato anche precisato peraltro che tale facoltà di accorpamento non può trovare fondamento nell’ambito del potere del Rup di cui all’art. 16 della L. n. 109/1994 (ora si veda analogamente l’art. 93 del Codice dei contratti pubblici. E anche l’art. 10 del Dpr n. 207/2010), il quale consente di dare una diversa composizione allo studio di fattibilità o una diversa articolazione agli elaborati progettuali tenendo conto della tipologia e rilevanza delle opere da eseguire, poiché tale facoltà non si può mai risolvere in quella di eliminare alcuno dei citati livelli ma solo di adattare, con idonea motivazione, l’elenco dei vari elaborati progettuali in concreto ritenuti necessari (cfr. Cons. Stato, n. 112/2002 citata) (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

APPALTI: A. Barbiero, La tracciabilità dei flussi finanziari negli appalti pubblici - Analisi dei principali adempienti per le imprese appaltatrici previsti dall'art. 3 della legge n. 136/2010 (28.10.2011 - tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Le società partecipate non possono gestire contestualmente servizi pubblici locali e servizi strumentali (28.10.2011 - tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: Sulle procedure di acquisizione di servizi in economia ex art. 125 del d.lgs. n. 163/2006, prima dell'emanazione del d.P.R. n. 207/2010.
Prima dell'avvento del d.P.R. n. 207/2010, nelle procedure di acquisizione di servizi in economia, rimetteva alla Stazione appaltante la decisione delle garanzie da richiedere ai concorrenti e gli oneri dichiarativi a pena di esclusione a carico dei concorrenti in tema di requisiti morali erano rimessi alle prescrizioni caso per caso della lex specialis, potendo imporsi, tra i contenuti dell'art. 38 del Codice del 2006, a guisa di principi inderogabili, soltanto le previsioni di esclusione dalla partecipazione alle procedure per i casi elencati nel primo comma dell'articolo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5742 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa difformità tra bando e lettera d’invito può produrre una lesione della par condicio dei partecipanti alla gara.
Nelle procedure ristrette, infatti, vale la regola dell’inderogabilità del bando da parte della lettera d’invito, collegata sia alla funzione meramente integrativa della lettera d’invito rispetto al bando, sia alla necessità che le prescrizioni rese note alla generalità degli aspiranti a partecipare alla gara non possano essere modificate con un atto rivolto alle sole imprese che abbiano chiesto di partecipare.
L’applicazione di questa regola implica che ove la stazione appaltante riscontri una illegittimità ovvero intenda modificare le prescrizioni del bando di gara, non può procedere ad una sua rettifica mediante la lettera d’invito, ma è tenuta ad utilizzare per la modifica lo strumento del contrarius actus. Parimenti, quando illegittimità vengano riscontrate nella lettera d’invito, né l’amministrazione né la Commissione hanno il potere di emendarla dopo l’apertura delle offerte, avendo la possibilità di annullare l’intera gara.
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, pertanto, nonostante sotto il profilo interpretativo, il contrasto tra bando e lettera d’invito vada risolto in base alla prevalenza del primo, quale lex specialis della selezione concorsuale (Cons. St. Sez. V, 29.03.2004, n. 1660, che richiama il parere della Sez. II, n. 149 del 07.03.2001), ciò non toglie che la difformità tra i due atti –indipendentemente dai motivi che abbiano, consapevolmente o per mero errore materiale, indotto l’amministrazione alla modifica delle prescrizioni nella lettera d’invito- sia idonea, in concreto, a pregiudicare l’imparzialità e l’applicazione uniforme delle regole nei confronti di tutti i partecipanti.
Nella pronuncia in commento, la società ricorrente, al pari degli altri concorrenti, al momento di presentare l’offerta, ha dovuto tener conto della contraddittoria modifica delle prescrizioni sulle cauzioni ed ha presentato un’offerta confidando (o, comunque, potendo confidare, non prevedendo il successivo comportamento della Commissione di valutazione) nell’attribuzione di pesi ponderali contenuti nella lettera d’invito difformi da quelli indicati nel bando.
Il comportamento della stazione appaltante e della Commissione, a parere dei giudici di Palazzo Spada –che prima ha applicato le regole della lettera d’invito per poi correggersi applicando i pesi indicati nel bando- avvalora lo stato di incertezza e la turbativa al corretto ed uniforme svolgimento della procedura di selezione denunciato dalla ricorrente e la violazione dei principi di correttezza, pubblicità, trasparenza e par condicio tra i concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice dei contratti pubblici, applicabili a tutte le procedure di scelta, sia dell’appaltatore che del concessionario, anche in base all’espresso richiamo contenuto nell’art. 30 dello stesso codice (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla regola dell'inderogabilità del bando da parte della lettera d'invito.
La costituzione della commissione di gara deve avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.

Nelle procedure ristrette vale la regola dell'inderogabilità del bando da parte della lettera d'invito, correlata sia alla funzione meramente integrativa della lettera d'invito rispetto al bando, sia alla necessità che le prescrizioni rese note alla generalità degli aspiranti a partecipare alla gara non possano essere modificate con un atto rivolto alle sole imprese che abbiano chiesto di partecipare.
L'applicazione di detta regola comporta che ove la stazione appaltante riscontri una illegittimità ovvero intenda modificare le prescrizioni del bando di gara, non può procedere ad una sua rettifica mediante la lettera d'invito, ma è tenuta ad utilizzare per la modifica lo strumento del contrarius actus. Parimenti, quando illegittimità vengano riscontrate nella lettera d'invito, né l'amministrazione né la commissione hanno il potere di emendarla dopo l'apertura delle offerte, avendo la possibilità di annullare l'intera gara.
Pertanto, nel caso di specie, il comportamento della stazione appaltante e della commissione -che prima ha applicato le regole della lettera d'invito per poi correggersi applicando i pesi indicati nel bando- avvalora lo stato di incertezza e la turbativa al corretto ed uniforme svolgimento della procedura di selezione e la violazione dei principi di correttezza, pubblicità, trasparenza e par condicio tra i concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), applicabili a tutte le procedure di scelta, sia dell'appaltatore che del concessionario, anche in base all'espresso richiamo contenuto nell'art. 30 dello stesso codice.
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La costituzione della commissione di gara deve avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte deve trovare applicazione in concreto, secondo le circostanze del caso e, quindi, il suo rispetto va valutato tenendo conto del termine effettivo di scadenza.
La disposizione dell'art. 84, c. 10, del d.lgs. n. 163, è infatti espressione di un principio di ordine generale, rispondente ad esigenze di imparzialità della procedura di gara, allo scopo di evitare collusioni tra commissari e concorrenti, ed è applicabile ad ogni specie di competizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'obbligo per le imprese riunite dell'indicazione della percentuale delle prestazioni corrispondenti alla quota di partecipazione al raggruppamento non consente distinzioni legate alla natura morfologica del RTI o alla tipologia delle prestazioni.
La chiarezza del tenore letterale dell'art. 37, co. 13, del D.Lgs n. 163/2006, impone di considerare vincolanti, per le imprese riunite, gli obblighi di specificazione delle parti delle prestazioni che saranno eseguite da ciascuna di esse e delle quote di partecipazione.
Tale obbligo è espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5736 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI1. Contratti della P.A. - Gara - Offerte - Verifica di anomalia - Termini per il deposito delle giustificazioni - Carattere ordinatorio.
2. Contratti della P.A. - Verifica di anomalia - Obbligo di motivazione analitica - Sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprima un giudizio negativo.

1. I termini per il deposito delle giustificazioni richieste in sede di verifica dell'anomalia delle offerte non sono perentori (cfr., TAR Lazio Roma, Sez. III, 09.12.2010 n. 35952).
2. La verifica di anomalia di un'offerta richiede una motivazione analitica solamente nei casi in cui essa non sia giustificata da elementi congrui e che quindi si concluda negativamente per gli interessati.
Nel caso in cui la valutazione si esaurisca in un giudizio di congruità, non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che dia conto delle singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni, quando esse siano perspicue (cfr., TAR Liguria Genova, sez. II, 20.04.2011, n. 645) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINessuna norma impone che la verifica dell'offerta anomala sia effettuata dalla commissione giudicatrice, ben potendo essere a ciò delegato un terzo; la giurisprudenza ha affermato, al riguardo, che “quanto alla verifica dell'anomalia, la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del 1999, al responsabile del procedimento, il quale può condurla avvalendosi dell'ausilio di organismi tecnici della stazione appaltante”.
La verifica di anomalia di un'offerta richiede una motivazione analitica solamente nei casi in cui l'anomalia non sia giustificata da elementi congrui e che quindi si concluda negativamente per gli interessati; nel caso in cui la valutazione si esaurisca in un giudizio di congruità, non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che dia conto delle singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni, quando esse siano perspicue.

Con il secondo motivo è stata denunciata l’incompetenza del responsabile del procedimento nell’effettuazione della verifica di anomalia, atteso che la stessa avrebbe dovuto essere effettuata dalla commissione giudicatrice.
Il motivo deve essere respinto, atteso che nessuna norma applicabile alla fattispecie de quo imponeva che la detta verifica fosse effettuata dalla commissione giudicatrice, ben potendo essere a ciò delegato un terzo; la giurisprudenza ha affermato, al riguardo, che “quanto alla verifica dell'anomalia, la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del 1999, al responsabile del procedimento, il quale può condurla avvalendosi dell'ausilio di organismi tecnici della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.10.2002, n. 5813).
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Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la mancanza di un’adeguata istruttoria e motivazione del giudizio di congruità dell’offerta della controinteressata.
Anche tale motivo è infondato, costituendo principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui la verifica di anomalia di un'offerta richiede una motivazione analitica solamente nei casi in cui l'anomalia non sia giustificata da elementi congrui e che quindi si concluda negativamente per gli interessati; nel caso in cui la valutazione si esaurisca in un giudizio di congruità, non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che dia conto delle singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni, quando esse siano perspicue (TAR Liguria, sez. II, 20.04.2011, n. 645) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima la correzione di voci di costo, da parte di un'impresa chiamata a giustificare l'anomalia di un offerta, conferendo valori diversi rispetto a quelli indicati nella documentazione presentata al momento della partecipazione alla gara.
Nelle procedure di gara, il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta "in itinere" ma mira, al contrario, a verificare la serietà di un'offerta consapevolmente già formulata ed immutabile.
È illegittima, pertanto, per violazione della par condicio, la correzione di voci di costo, da parte di un'impresa chiamata a giustificare l'anomalia di un offerta, conferendo valori diversi rispetto a quelli indicati nella documentazione presentata al momento della gara. Un siffatto modo di concepire il procedimento di verifica dell'anomalia, che realizza la formulazione di una nuova offerta, si risolve nella radicale vanificazione delle regole in materia di gare pubbliche.
Da ciò discende l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta non adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata. La possibilità di rimodulare i costi in sede di giustificazioni, infatti, può indurre i partecipanti a presentare offerte a basso costo per poi successivamente effettuare le necessarie correzioni per evitare l'anomalia (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.10.2011 n. 1859 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In materia di appalti pubblici il principio della unicità dell'offerta risponde non solo alla necessità di garantire l'effettiva "par condicio" dei concorrenti, ma soprattutto a quella di far emergere la migliore offerta nella gara.
In materia di appalti pubblici il principio della unicità dell'offerta -che impone ai partecipanti alle gare di presentare un'unica proposta tecnica ed economica quale contenuto della propria offerta-, risponde non solo alla necessità di garantire l'effettiva "par condicio" dei concorrenti, ma soprattutto a quella di far emergere la migliore offerta nella gara.
In particolare, la necessità di presentare, in sede di pubbliche gare, una sola offerta con un'unica soluzione tecnica ed un unico prezzo ed il fatto che l'Amministrazione sia tenuta a valutare solo proposte così formulate risponde, da un lato, al principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa e, dall'altro, all'esigenza di rispettare il principio di imparzialità, poiché la presentazione di più di un'offerta da parte di uno dei concorrenti, attribuendo allo stesso maggiori possibilità di conseguire l'aggiudicazione dell'appalto attraverso la presentazione di diverse proposte, finirebbe per ledere la par condicio fra i concorrenti.
La violazione del principio par condicio fra i concorrenti non può ritenersi sanata dalla circostanza che, in presenza di due diverse proposte contenute nella medesima offerta, la stessa sia stata ricondotta ad unicità dalla commissione disponendo l'esclusione di una delle soluzioni proposte, risolvendosi in tale ipotesi il rispetto della "par condicio" a circostanza meramente eventuale discendente dall'operato della commissione, laddove la "par condicio" va assicurata a monte attraverso l'esclusione della stessa possibilità di presentazione di duplici offerte o di plurime proposte nell'ambito della medesima offerta, la cui inammissibilità non può che condurre alla esclusione del concorrente che le ha formulate dalla gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.10.2011 n. 1857 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla validità della consegna, alla stazione appaltante, di un assegno circolare quale garanzia presentata da un'ATI concorrente in una gara d'appalto.
In sede di gara d'appalto, la cauzione costituisce parte integrante dell'offerta e non, invece, un elemento di corredo della stessa, ed ha lo scopo di garantire la serietà della partecipazione alla gara, nonché l'adempimento dell'impegno a contrattare, in caso di aggiudicazione. Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre che dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria, anche dalla presentazione di un assegno circolare che, a differenza di quello bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, equivalente al versamento in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo direttamente al pagamento a mezzo di somme di danaro, estingue l'obbligazione qualora il rifiuto del creditore appaia contrario alle regole di correttezza, che gli impongono l'obbligo di prestare la sua collaborazione all'adempimento dell'obbligazione, a norma dell'art. 1175 c.c.; la stessa natura dell'assegno circolare assicura, al legittimo portatore, la sicurezza di conseguire l'importo di danaro in esso indicata, così che, salvo dubbi sulla sua regolarità od autenticità, ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile interesse a ricevere il danaro in contanti, l'assegno circolare estingue l'obbligazione (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 1584 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Partecipazione alle gare, cauzione anche con assegno (circolare).
Poiché l'assegno circolare, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute, ne consegue che in sede di gara per l'aggiudicazione di lavori pubblici la presentazione delle cauzioni mediante assegno circolare deve ritenersi ritualmente effettuata rispetto alla previsione del bando che faccia riferimento al versamento per numerario o in titoli di Stato o garantiti dallo Stato. In sede di gara di appalto la cauzione costituisce parte integrante dell’offerta e non un elemento di corredo della stessa ed ha, come ragione di essere, la finalità di garantire la serietà della partecipazione alla gara e l'adempimento dell'impegno a contrattare in caso di aggiudicazione.
Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre che dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria, anche dalla presentazione di un assegno circolare che, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della Suprema Corte di Cassazione la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo direttamente al pagamento a mezzo di somme di danaro, estingue l'obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che gli impongono l'obbligo di prestare la sua collaborazione all'adempimento dell'obbligazione a norma dell'art. 1175 C.C.; la stessa natura dell'assegno circolare assicura al legittimo portatore la sicurezza di conseguire la somma di danaro in esso indicata, così che, salvo che non vi siano dubbi sulla sua regolarità o autenticità ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile interesse a ricevere il danaro in contanti, anziché in titoli, l'assegno circolare estingue l'obbligazione.
Con parere 29.03.2007 anche l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici ha ritenuto che Ai fini della cauzione provvisoria, la presentazione dell’assegno circolare è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza amministrativa: "atteso che l'assegno circolare, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute, in sede di gara per l'aggiudicazione di lavori pubblici la presentazione delle cauzioni mediante assegno circolare deve ritenersi ritualmente effettuata rispetto alla previsione del bando che faccia riferimento al versamento per numerario o in titoli di Stato o garantiti dallo Stato”.
Ciò premesso, si tratta di verificare se l’assegno circolare tratto da una sola delle imprese (la mandataria) del costituendo raggruppamento possa garantire in tutto e per tutto la stazione appaltante anche nel caso in cui l’eventuale inadempimento sia ascrivibile ad altra impresa associanda (mandante).
Ritiene il Collegio che la garanzia offerta nella specie soddisfi alla disciplina di gara, in conformità con quanto previsto dal codice dei contratti pubblici; la cauzione può essere, infatti, a scelta dell’offerente, costituita, tra l’altro, in contanti o in titoli del debito pubblico a titolo di pegno a favore dell’amministrazione aggiudicatrice; nel caso in esame la stessa è stata costituita con assegno circolare, nel rispetto, per quanto sopra rilevato, della disciplina di settore; solo che, nell’allegare detti assegni all’offerta, non è stato fatto esplicito riferimento all’ATI costituenda, né alla mandante.
È non di meno da ritenere che, essendovi sostanziale coincidenza tra la garanzia in numerario e l’assegno circolare (che è coperto dalla banca emittente, che ne garantisce la copertura per l’intero importo pari al prescritto 2% dell’importo posto a base di gara), l’assegno stesso costituisca una sorta di garanzia reale, in virtù della quale l’eventuale inadempimento da parte dell’ATI, indipendentemente dall’impresa associanda alla quale è dovuto, viene garantito dalla possibilità stessa, per la stazione appaltante, di riscuotere l’assegno stesso presso la banca emittente, senza che questa possa eccepire alcunché o opporre ostacoli alla corresponsione del dovuto, mentre eventuali divergenze interpretative per ciò che attiene all’impresa oggettivamente responsabile dell’inadempimento dovranno essere risolte tra le imprese associande, senza che nelle eventuali controversie tra di esse possa essere coinvolta la stazione appaltante.
Come ritenuto dalla stazione appaltante, quindi, si è trattato della presentazione di una garanzia immediata, potendo essa stessa escutere direttamente la cauzione presentando in banca il titolo in suo possesso, senza correre il rischio connesso ad eventuali eccezioni del terzo in ordine all’estensione soggettiva della garanzia (laddove, invece, nell’ipotesi di garanzia offerta mediante polizza fideiussoria da un soggetto terzo in base ad un rapporto di natura obbligatoria, le imprese debbono essere intestatarie tutte della cauzione stessa, onde garantire la stazione appaltante da eventuali eccezioni del fideiussore in ordine ad inadempimenti imputabili ai soggetti che non risultano intestatari della polizza medesima).
Donde, in definitiva, la piena tutela assicurata da detto strumento finanziario alla stazione appaltante; strumento che, in quanto allegato dall’ATI concorrente all’offerta quale garanzia della stessa e per il prescritto importo percentuale, non poteva che essere riferita a quest’ultima ed agli eventuali inadempimenti di entrambe le associande (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 1584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Crollo del solaio e Responsabilità di un dirigente comunale.
Responsabilità di un dirigente del comune di Livorno per il delitto di lesioni colpose commesso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un dipendente comunale.
In fatto, era accaduto che l'infortunato, incaricato dall'imputato, unitamente all'architetto L.M., di eseguire alcune misurazioni per la ristrutturazione di un ex sanatorio, sito in un immobile di proprietà comunale, mentre si trovava al primo piano di detto immobile, era precipitato nel vano sottostante in conseguenza del crollo del solaio. Nella caduta il dipendente ha riportato lesioni gravissime per la frattura della colonna vertebrale, con conseguente perdita quasi totale della capacità di deambulazione e con danni alle funzioni respiratorie e della digestione.
Condannato, ricorre in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
La Corte afferma che "le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale nella sentenza impugnata escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p., comma 2, posto che dall'esame di detta decisione non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell'insussistenza del fatto contestato all'imputato o della sua estraneità al medesimo, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla responsabilità dello stesso. La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto all'imputato."
Ciò che rileva, invero, in punto di prevedibilità, è che erano certamente note all'imputato le condizioni di estremo degrado del manufatto e di rischio di quanti vi si fossero avventurati senza che si fosse provveduto ad eseguire i necessari interventi di consolidamento.
"Degrado e pericolosità che l'imputato, responsabile dell'unità alla quale apparteneva l'I., certamente conosceva, o avrebbe dovuto doverosamente conoscere, anche a prescindere dalle segnalazioni della persona offesa, e che avrebbero dovuto quantomeno indurlo a segnalare i rischi connessi all'attività da eseguirsi nella fase di progettazione -alla quale egli era deputato-, ed a richiedere e pretendere i necessari interventi di consolidamento, ove gli stessi non fossero di sua competenza, e comunque ad evitare di disporre sopralluoghi nei locali dell'edificio, proprio per tutelare l'incolumità dei tecnici che si trovavano alle sue dirette dipendenze.
Non avendo seguito tali elementari regole di doverosa prudenza e non avendo considerato nel relativo documento -secondo quanto ancora affermano i giudici del merito, senza essere smentiti- i rischi connessi all'attività di progettazione, della quale era stato incaricato, l'imputato ha posto a repentaglio l'incolumità del personale appartenente all'unità da lui diretta ed ha creato le premesse dell'infortunio, del quale giustamente è stato ritenuto responsabile
." (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 26.10.2011 n. 38773 - link a http://olympus.uniurb.it).

APPALTI: E' irrilevante il possesso del titolo di studio di un determinato livello da parte di un commissario di gara, essendo rilevante, invece, che quest'ultimo sia esperto nel settore oggetto d'appalto.
Il requisito generale dell’esperienza “nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”, prescritto dall’art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, deve essere inteso gradatamente ed in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare; non è necessario, pertanto, che l’esperienza professionale di ciascun componente della commissione copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto nella specifica fattispecie, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 04.06.2008 n. 1126; TAR Piemonte, Sez. II, 22.05.2007 n. 2223).
Il pacifico assunto che, ad onta di quanto indicato nella determinazione di nomina della commissione, nel caso di specie, un componente non possegga il diploma di laurea in ingegneria, non induce a ritenere lo stesso sprovvisto di competenza in materia, essendo descritta nel curriculum una vasta esperienza in ambito informatico, corroborata da titolo di studio specifico (perito elettrotecnico) nonché da vari corsi di formazione e docenze. Invero, l’art. 84, comma 2, cit. non richiede che i membri della commissione giudicatrice debbano essere tutti laureati, ma semplicemente pretende che chi è nominato commissario debba essere esperto nel settore oggetto d’appalto, con conseguente irrilevanza del possesso del titolo di studio di un determinato livello, purché, beninteso, il titolo di studio vantato sia adeguato alla prestazione oggetto della gara (come è puntualmente avvenuto nella presente fattispecie) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 26.10.2011 n. 4975 - tratto da www.mediagraphic.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPmi, semplificato l'accesso alle gare.
Accesso semplificato alle gare d'appalto per le piccole e medie imprese. Le gare saranno assegnate non solo in base al criterio dell'offerta più bassa, ma anche in base a quello dell'offerta più innovativa o con un miglior impatto ambientale.
Saranno queste le proposte di riforma che la Commissione europea presenterà dicembre. Intanto, però, una risoluzione preparata dal deputato Heide Rühle (Verdi) e approvata dal Parlamento Ue anticipa le proposte legislative di riforma dell'esecutivo di Bruxelles.
«In questa crisi profonda, abbiamo bisogno di regole chiare: solo così le autorità pubbliche potranno sostenere innovazione e crescita», ha detto la relatrice durante il dibattito.
Fra le varie proposte approvate dall'Aula per semplificare le procedure di assegnazione di un appalto vi è la creazione di un passaporto elettronico che certifichi rapidamente il rispetto, da parte dell'impresa in gara, delle regole comunitarie in materia.
I deputati, per semplificare ulteriormente l'iter amministrativo, hanno proposto l'autocertificazione sul possesso dei requisiti per partecipare all'appalto. In pratica la richiesta della documentazione originale da parte delle autorità si farà solo per le imprese selezionate per la fase finale della gara.
Le norme semplificate per le pmi partono da un dato di fatto. Le piccole imprese ottengono una percentuale di contratti pubblici minore rispetto al loro peso nell'economia europea: circa il 31-38% rispetto a una partecipazione globale all'economia stimata al 52%. Il motivo principale, secondo il Parlamento, sono le procedure di accesso agli appalti, oggi troppo complicate e costose.
L'aula di Strasburgo per questo ha proposto di suddividere in lotti gli appalti in modo da garantire alle piccole e medie imprese migliori possibilità di partecipazione alle gare. I deputati hanno chiesto inoltre alla Commissione di verificare «se per il subappalto siano necessarie nuove norme, ad esempio l'istituzione di una catena di responsabilità» per evitare che le pmi subappaltatrici siano soggette a condizioni peggiori di quelle applicabili all'impresa principale che si è aggiudicata l'appalto.
Infine, per gli eurodeputati il criterio del «prezzo più basso» non dovrebbe più essere un fattore determinante per l'assegnazione dei contratti, ma dovrebbe essere sostituito da criteri più ampi che includano l'impatto sociale e ambientale della proposta e prendano in considerazione l'intero ciclo di produzione del bene o del servizio in appalto (articolo ItaliaOggi del 26.10.2011).

APPALTI:  Stop alla direttiva sul ritardo dei pagamenti. Per la commissione bilancio della camera costa troppo.
Slitta l'applicazione in Italia della direttiva europea sul ritardo dei pagamenti (direttiva 2011/7/Ue del 16/02/2011).
Ieri, la commissione bilancio della camera ha chiesto che il provvedimento sia tolto dalla legge comunitaria 2011. Il motivo? Applicarla costa troppo alle casse dello stato. Almeno per il momento. Così, se l'aula di Montecitorio dovesse far proprio l'orientamento della commissione, il recepimento della direttiva, che regola i tempi di pagamento di tutte le transazioni commerciali, sarà congelato.
I deputati, nel dire stop hanno votato un parere da inoltrare alla commissione politiche Ue. Nel parere si chiede a chiare lettere di rinviare l'adozione delle norme. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, l'aut aut è giunto direttamente dal ministero dell'economia.
La direttiva stabilisce che, a partire dal 16.03.2013, il periodo di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese non superi in linea generale i 60 giorni, anche se sono ammesse deroghe. Nei contratti con le imprese, invece, la pubblica amministrazione sarà tenuta a pagare entro 30 giorni prorogabili a 60 solo in caso, tra l'altro, di enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria. In caso di ritardo nel saldo delle fatture, l'Ue ha stabilito l'obbligo di pagamento degli interessi di mora.
Lo stop. Tutto parte da Massimo Polledri (Lnp), relatore sulla Comunitaria 2011 presso la commissione bilancio. Il deputato ha chiesto un chiarimento in merito alla commissione. In particolare Polledri si è interrogato sull'opportunità o meno di dar via libera alla direttiva, visto che, simili emendamenti, allegati però al ddl Comunitaria 2010, erano stati bocciati proprio dalla commissione bilancio.
Con la comunitaria 2011, poi, l'impegno al recepimento è stato anche rafforzato, poiché la direttiva sui pagamenti è stata inserita direttamente nel testo iniziale dl ddl. Al quesito proposto da Polledri ha risposto il governo, nella persona del sottosegretario all'economia Bruno Cesario (Responsabili). Il sottosegretario ha riportato una nota della Ragioneria dello stato, che ha messo in guardia sugli effetti finanziari dell'adozione delle nuove regole.
In particolare, secondo il dipartimento guidato da Mario Canzio, il recepimento della direttiva avrebbe potenziali effetti negativi sulla finanza pubblica; per l'esattezza «profili di onerosità». Sulla base di questa nota il relatore Polledri ha proposto alla commissione bilancio di cancellare ogni riferimento all'adozione della direttiva dall'allegato alla Comunitaria 2011. Tutto ciò, va detto, non costerà nulla all'Italia per il momento.
Il recepimento nell'ordinamento italiano della direttiva sui ritardati pagamenti dovrà avvenire entro maggio del 2013. Se Montecitorio dovesse accettare il parere della commissione bilancio, dunque, al momento non scatterebbero procedure di infrazione.
Né messe in mora da parte di Bruxelles. Ma, un effetto è chiaro da subito: lo stop del governo arriva per motivi legati ai tempi di pagamento imposti alla pubblica amministrazione (30 giorni al massimo) e, soprattutto, per la gravosità delle sanzioni che scatterebbero in capo alle p.a. irrispettose di questo limite.
Tutto ciò nonostante esista già il dlgs 231/2002, che prevede tempi di pagamento stringenti; un provvedimento mai rispettato dalle p.a., visto che, secondo gli ultimi dati diffusi dall'Ance, oggi le pubbliche amministrazioni pagherebbero a otto mesi (articolo ItaliaOggi del 26.10.2011).

APPALTI: La titolarità di precedenti concessioni non cancella l’obbligo dell’Amministrazione concedente di assoggettare a procedura comparativa le offerte presentate.
La pregressa esperienza nel noleggio di articoli da mare, ovvero la titolarità di precedenti concessioni, non può oscurare l’obbligo dell’Amministrazione concedente di assoggettare a procedura comparativa le offerte presentate, risultando solo in tal modo soddisfatto il prevalente interesse all’individuazione dell’affidatario che offra migliori garanzie di proficua utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse, secondo quanto prevede l’art. 37 del codice della navigazione, il quale impone l’abbandono dell’originaria valorizzazione del diritto di insistenza o di posizioni assimilabili al medesimo, a vantaggio del confronto concorrenziale tra i contenuti di più offerte, in modo da assicurare la migliore gestione possibile del bene (Cons. Stato, VI, 25/09/2009, n. 5765), in coerenza con il principio comunitario di non discriminazione. Tale principio si applica anche a materie diverse dagli appalti, essendo sufficiente che si tratti di attività suscettibile di apprezzamento in termini economici (Cons. Stato, VI, n. 3642/2008; TAR Piemonte, II, 29/11/2010, n. 4239) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Società pubbliche locali, quali i requisiti del soggetto adibito ai compiti del R.U.P.?
Domanda.
Una S.r.l. a totale e unica partecipazione del Comune -che esercita sulla stessa il "controllo analogo"- deve appaltare un lavoro di 2.500.000 euro per ristrutturare un immobile di proprietà. Vi chiediamo come la Società -che ha solo personale impiegatizio e fungerà da Stazione Appaltante- debba regolarsi in merito all'individuazione del R.U.P. così come previsto dall'art. 9 e 10 del D.P.R. 05-10-2010, n. 207 (Regolamento di Attuazione del Codice dei Lavori Pubblici).
In particolare chiediamo -nel caso che sia tenuta anch'essa ad individuarlo- quale sia il titolo di studio/qualifica richiesto.
Risposta.
Giova ricordare che la questione relativa alla soggezione di Società costituite o partecipate dall'Ente Locale all'obbligo di nominare il Responsabile Unico del Procedimento (di seguito solo R.U.P.) non è nuova nella legislazione statale ma trovava già nella previgente normativa interna in materia di lavori pubblici, vale a dire nel complesso costituito dalla L. 11.02.1994, n. 109 e dal D.P.R. 21.12.1999, n. 554, un'espressa disciplina positiva.
Come noto, la c.d. Legge Merloni assoggettava le Società costituite e/o partecipate dagli Enti Locali ai sensi dell'art. 2, comma 2, lettera b), alle norme sull'evidenza pubblica, ma le esonerava dall'obbligo della nomina del R.U.P., posto che, ai sensi dell'art. 7, comma 1, Legge cit. tale obbligo era previsto solo in capo ai soggetti indicati all'art. 2, comma 2, lettera a), tra i quali non erano comprese le Società costituite o partecipate dagli Enti Locali.
L'art. 7, comma 1, L. 11-02-1994, n. 109 doveva leggersi in combinato disposto con l'art. 7, comma 6, D.P.R. 21.12.1999, n. 554, che vincolava i soggetti non tenuti all'applicazione dell'art. 7 della Legge a garantire lo svolgimento dei compiti previsti per il responsabile del procedimento dalle norme della legge e del regolamento che li riguardano.
La situazione giuridica delle Società costituite o partecipate da Enti Locali di fronte alla nomina del R.U.P. non sembra essere mutata nel nuovo quadro normativo costituito dal D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e dal D.P.R. 05.10.2010, n. 207.
L'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m.i. prevede, infatti, che "Le stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni e enti pubblici, in conformità ai principi della legge 07.08.1990, n. 241, individuano, secondo i propri ordinamenti, uno o più soggetti cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento, limitatamente al rispetto delle norme del presente codice alla cui osservanza sono tenuti".
Le Società costituite o partecipate dall'Ente Locale, ancorché totalitarie, sono soggetti all'applicazione di questa deroga perché sono qualificabili alla stregua di Enti privatistici.
L'attuale disciplina dell'art. 10, comma 9, D.Lgs. cit. deve, peraltro, essere sincronizzata con le novità introdotte dalla L. 11.02.2005, n. 15 nel corpo della L. 07.08.1990, n. 241.
Assume particolare rilevanza il coordinamento della norma in commento con l'art. 1, comma 1-ter, L. 07.08.1990, n. 241 e s.m.i., a mente del quale i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, cioè economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (v. anche art. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163).
In tale prospettiva, la norma settoriale dell'art. 10 deve intendersi, in coerenza alla norma generale sul procedimento, nel senso che gli Enti privatistici, come le Società miste e le stesse Società a partecipazione pubblica totalitaria, non sono strictu sensu obbligate a nominare un soggetto da adibire al ruolo di R.U.P. per i procedimenti amministrativi di rispettiva competenza, come i procedimenti di evidenza pubblica; tali soggetti hanno, tuttavia, un distinto obbligo, quello cioè di affidare a uno o anche più soggetti i compiti che le legge e il regolamento demandano al R.U.P. e che scaturiscono dall'applicazione delle norme del Codice (e del Regolamento di Attuazione) applicabili anche a tali Enti privatistici.
Nel caso di specie, dunque, la Società potrà e dovrà affidare i compiti del R.U.P. a uno o più soggetti, senza però sottostare all'obbligo di nominare un soggetto da adibire al ruolo di R.U.P.
L'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, peraltro, non offre puntuali indicazioni circa i criteri di scelta del soggetto o dei soggetti da adibire ai compiti di cui all'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e, in particolare, circa la qualificazione -professionale e lavorativa- del soggetto o dei soggetti da preporre ai compiti del R.U.P.
La soluzione che meglio si armonizza con la previsione dell'esonero delle Società costituite o partecipate da Enti Locali dall'obbligo di nominare un vero e proprio R.U.P., dovrebbe ritenersi quella che esclude che questi Enti, nell'individuare i soggetti da adibire ai relativi compiti, siano tenuti in modo rigido a rispettare le previsioni del Codice e del Regolamento che identificano requisiti e le qualifiche che il soggetto da nominare a R.U.P. deve possedere.
Diversamente, infatti, cioè opinando che anche Enti privatistici debbono pedissequamente seguire le stesse regole previste dall'art. 10 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 per la scelta del R.U.P. da parte di Pubbliche Amministrazioni e Enti pubblici, verrebbero ad essere frustrate le ragioni sottese alla previsione derogatoria dell'art. 10, comma 9 cit. e svilite le peculiarità, organizzative e ordinamentali, favorevolmente apprezzate dal Legislatore codicistico.
Vero è, invece, che gli Enti privatistici in parola devono garantire che i compiti del R.U.P. siano esercitati in modo efficiente, economico, imparziale, trasparente e proporzionato ai fini pubblici perseguiti, come si desume dal coordinamento dell'art. 10, comma 9, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m.i. con l'art. 1, L. 07.08.1990, n. 241 e, ancor prima, con l'art. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 medesimo.
Ciò significa, quindi, che, per tornare al quesito sottoposto, le Società pubbliche locali nell'operare la scelta del soggetto o dei soggetti da adibire ai compiti del R.U.P. ad esse applicabili:
- potranno operare con maggiore elasticità sul fronte organizzativo, operando la designazione in modo più confacente al proprio ordinamento interno;
- non potranno derogare alla regola -diretto corollario del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa ad esse applicabile- che impone di affidare i compiti del R.U.P. a un soggetto in grado di assolverli adeguatamente e, quindi, a un soggetto che, ancorché privo della qualificazione di tecnico, possa sopperire efficacemente alle sue lacune curriculari avvalendosi di soggetti adeguatamente qualificati in relazione alla tipologia e alla natura dell'intervento (cfr. art. 10, comma 7, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m.i.) (24.10.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

APPALTIConcorrente escluso per mancanza del sigillo previsto dal bando.
L'uso della ceralacca per sigillare le buste, qualora previsto dal disciplinare quale requisito essenziale, determina l'esclusione del concorrente che non si attenga a tale previsione a nulla rilevando la sua fungibilità con altri metodi (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.10.2011 n. 5658 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare d'appalto, sì alla partecipazione con requisiti ''indiziari''.
Nelle gare d'appalto l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione.

La "ratio" dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 è ravvisabile nell'esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare di appalto (al fine di evitare che l'esito delle stesse possa essere alterato da carenze di ordine meramente formale nella documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti), in un'ottica intesa al contemperamento di principi talvolta in antitesi, come quello del "favor partecipationis" e quello della "par condicio" tra i concorrenti.
Detta disposizione va, quindi, intesa nel senso che l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione: in sostanza, quando il documento è già stato presentato in sede di gara, anche se parzialmente, è consentita la sua regolarizzazione se la violazione è squisitamente formale ed il rimedio, in concreto, non altera la "par condicio" tra i concorrenti, secondo i principi di proporzionalità e del dovere dell'Amministrazione di ascoltare i privati prima di assumere decisioni.
Differente da detta attività amministrativa volta alla regolarizzazione degli atti è quella giurisdizionale volta, tramite istruttoria o acquisizione di atti, a verificare la fondatezza o meno delle censure mosse all'operato della Amministrazione, esperibile quando il giudicante ritenga di dover attivare i suoi poteri d'ufficio al superiore fine di decidere, solo dopo però che le parti abbiano delineato il tema del contendere.
Il Giudice può, dunque, approfondire aspetti che non appaiano convincenti o che siano controversi, ma la cui emersione sia avvenuta già nel procedimento, mentre egli non deve finire per integrare la mancante istruttoria.
Nel caso che occupa l'istruttoria svolta dal Giudice di primo grado e la accettata produzione documentale non appare, in base all'esame degli atti, volta ad operare una non consentita regolarizzazione degli atti che avrebbero dovuto essere prodotti in sede di gara, ma solo ad attivare i suoi poteri istruttori in ordine a aspetti processuali controversi, già emersi nel corso del procedimento, ed in riferimento a requisiti già auto dichiarati in sede di presentazione delle offerte (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.10.2011 n. 5639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAffidamenti blindati per l'ente. Palazzo Spada: sì a polizza fideiussoria.
Affidamento di servizi blindato per il comune. È legittima la clausola del bando che prevede una polizza fideiussoria per la quale, una volta ottenuta l'aggiudicazione, il concessionario dovrà essere in possesso di una fideiussione bancaria, pari al 10% dell'importo della gara vinta, in modo che l'ente locale abbia una garanzia rafforzata del pagamento da parte del concessionario del canone offerto per ogni stallo.
È quanto emerge dalla sentenza 21.10.2011 n. 5636 della V Sez. del Consiglio di stato.
Stallo escluso. Accolto il ricorso dell'amministrazione nell'ambito di un contenzioso sull'affidamento della gestione dei parcheggi: legittima l'esclusione dalla gara dell'azienda concorrente che, con riferimento alla cauzione prescritta dal bando, allega all'offerta soltanto l'appendice scheda-tecnica, secondo lo schema tipo 1.1. di cui al dm 123/2004, rilasciata dalla compagnia assicurativa.
Il bando di gara parla chiaro: dispone espressamente a pena di esclusione che la polizza fideiussoria debba contenere «l'impegno a rilasciare, in caso di aggiudicazione dell'appalto, una fideiussione bancaria pari al 10% dell'importo di aggiudicazione, oltre Iva se e in quanto dovuta, da svincolarsi dopo due mesi dalla fine del contratto con l'espressa previsione che, se non si ottempererà al pagamento (del canone), il comune potrà procedere alla riscossione della stessa, senza ulteriori adempimenti e con la contestuale risoluzione del contratto».
La clausola voluta dall'amministrazione è pienamente lecita perché le relative prescrizioni puntano a evitare eventuali contestazioni in sede di esecuzione del contratto: nonostante le cauzioni provvisorie e definitive ex articoli 75 e 113 dlgs 163/2006 siano garanzie autonome e/o a prima richiesta, cioè prive di accessorietà con il debito dell'obbligato principale, non si può escludere a priori che il soggetto aggiudicatario (che è il debitore principale) possa agire in via di regresso e/o rivalsa nei confronti del comune garantito (articolo ItaliaOggi del 25.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIResponsabilità extracontrattuale - Appalto - Gara - Danno da mancata aggiudicazione - Dimostrazione - Mancato utilizzo dei mezzi e della manodopera per lo svolgimento di altre commesse - Necessaria.
Il danno derivante ad un'impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell'utile non conseguito, solo se e in quanto l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze (lasciati disponibili) per l'espletamento di altri servizi.
Mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr., Cons. Stato, V, 24.10.2002, n. 5860; Cons. Stato, Sez. VI, 09.11.2006, n. 6607) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.10.2011 n. 2524 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stazione appaltante non può incamerare la cauzione provvisoria nel caso di contemporanea partecipazione del consorzio e del consorziato.
La normativa di settore –sia l’art. 12, comma 5, della L. n. 109/1994, e sia l’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006– non prevede l’incameramento della cauzione provvisoria nelle ipotesi di contemporanea partecipazione del consorzio e del consorziato alla medesima procedura di gara, e poiché le norme sanzionatorie che prevedono l’incameramento della cauzione provvisoria hanno carattere tassativo, non possono essere estese ad altre ipotesi (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 21.10.2011 n. 2547 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della P.A. - Partecipazione alla gara - Art. 48, comma 1, D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - Cauzione provvisoria - Incameramento da parte della P.A. - Finalità.
L'incameramento della cauzione provvisoria da parte dell'Amministrazione, prevista dall'art. 48, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, costituisce, in primo luogo, una garanzia del rispetto dell'ampio patto d'integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche. In secondo luogo, è congruente rispetto alla funzione di garantire la serietà e l'affidabilità dell'offerta, sanzionando la violazione dell'obbligo di diligenza gravante sull'offerente, mediante l'anticipata liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante, tenuto conto che l'operatore economico, con la domanda di partecipazione, sottoscrive e si impegna ad osservare le regole della relativa procedura delle quali ha, dunque, contezza.
Inoltre, è preordinato ad assicurare il regolare e rapido espletamento della procedura e la tempestiva liquidazione dei danni prodotti dall'alterazione della stessa a causa della mancanza dei requisiti da parte dell'offerente e, quindi, la norma è strumentale rispetto all'esigenza di garantire l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa (cfr., Corte Cost., 13.07.2011, n. 211; sul punto v. anche, ex multis, TAR Sardegna, sez. I, 17.06.2011, n. 594; TAR Sicilia Palermo, sez. III, 18.03.2011, n. 504) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.10.2011 n. 2513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le offerte con identico ribasso -se poste a cavallo delle ali- vanno escluse fittiziamente dalla gara.
Nell'ipotesi caratterizzata dalla presenza, a cavallo delle ali, di due imprese con identico ribasso, entrambe le imprese, alla luce dell’ormai univoco orientamento giurisprudenziale, codificato dal regolamento di attuazione approvato con DPR n. 207/2010, devono essere fittiziamente escluse dalla gara (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 20.10.2011 n. 2502 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla portata di una clausola contenuta nell'Accordo di Programma intercorso tra un Comune ad una Provincia in materia di affidamento del servizio di trasporto pubblico locale.
La controversia riguardante la portata della clausola contenuta nell'Accordo di Programma in materia di affidamento del servizio di trasporto pubblico locale ed in particolare se l'importo da corrispondersi dal Comune alla Provincia sia una somma forfettariamente determinata, comunque dovuta dall'ente locale alla Provincia per il servizio di trasporto pubblico urbano o possa essere modulata in ragione della misura in cui l'ente territoriale assolva ai propri impegni, va letta alla luce dei principi dettati dall'art. 1362 cod. civ., che evidenziano un rapporto di sinallagmaticità tra il trasferimento delle risorse ed il complesso dei servizi che la Provincia è tenuta ad espletare.
Esiste, dunque, un'interdipendenza funzionale delle reciproche obbligazioni, sicché l'importo costituisce il corrispettivo dovuto dal Comune a fronte dell'integrale "esatto" adempimento da parte della Provincia a tutti gli impegni assunti, che comprendono anche i servizi definiti nel documento elaborato di comune accordo.
Una diversa interpretazione della clausola, non solo non corrisponde al significato letterale della locuzione usata nell'Accordo che fa riferimento alle risorse necessarie all'espletamento del servizio di trasporto pubblico urbano che completi il livello dei servizi minimi essenziali, ma determina un trasferimento di risorse senza causa, ove non è stato completato il livello dei servizi minimi.
Pertanto, l'importo in questione sta ad indicare il valore da computare ai fini della gara e, quindi, il limite massimo delle risorse che il Comune si impegna a trasferire quale corrispettivo di tutti i servizi previsti dall'Accordo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.10.2011 n. 5627 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un partecipante da una gara per non avere rispettato la clausola del disciplinare secondo cui l'offerta tecnica, a pena d'esclusione, doveva essere firmata o siglata in ogni sua pagina.
E' legittima l'esclusione di un partecipante dalla gara per l'affidamento del servizio di igiene ambientale per la raccolta e trasporto dei rifiuti per non avere rispettato la disposizione del disciplinare secondo cui l'offerta tecnica, a pena d'esclusione, doveva essere firmata o siglata in ogni sua pagina dal legale rappresentante dell'impresa.
La clausola di esclusione corrisponde, infatti, ad un interesse sostanziale apprezzabile dell'amministrazione, che è quello alla autenticità ed alla certezza del contenuto integrale dell'offerta, assolvendo la sigla di ogni pagina la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta, in tutti i suoi elementi, vincolando l'autore al contenuto di tutte le parti, nella specie separate in singole schede.
Inoltre, i pur ammissibili temperamenti al formalismo delle procedure di gara, nei casi in cui questo sia in grado di compromettere l'interesse pubblico -ipotesi da escludere nel caso di specie, in cui tutte le imprese partecipanti sono state escluse in applicazione della medesima clausola- non possono operare fino a spingersi a configurare l'esistenza, in capo all'amministrazione, di un potere discrezionale volto a porre rimedio ad eventuali insufficienze o inadempienze della impresa partecipante, soprattutto qualora queste appaiano imputabili esclusivamente alla impresa, dovendosi rispettare le regole di gara al fine di assicurare la par condicio tra i concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.10.2011 n. 5619 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sussiste la responsabilità precontrattuale di un Comune che abbia proceduto alla revoca di una procedura di gara a distanza di lungo tempo dalla pubblicazione del bando, e successivamente alla fase di valutazione delle offerte tecniche.
Sussiste la responsabilità precontrattuale in capo ad un Comune appaltante, che abbia proceduto alla revoca di una procedura di gara a distanza di lungo tempo dalla pubblicazione del bando, e successivamente alla fase di valutazione delle offerte tecniche. Costituisce ius receptum il principio secondo cui, la legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto, non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento della P.A., con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza in senso oggettivo.
La previsione dell'obbligo di indennizzare il privato, per eventuali pregiudizi subiti in conseguenza della revoca, di cui all'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, non fa venir meno la possibile responsabilità della stazione appaltante per violazione dell'obbligo di buona fede, nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto. Non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità precontrattuale dell'ente, la mancata impugnazione del provvedimento di revoca, purché sia provato che l'elusione delle aspettative del concorrente, seppure non intenzionale, è colposa e contraria ai canoni di correttezza e buona fede nella formazione del contratto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa. Nelle ordinarie ipotesi di danni conseguenti alla violazione di interessi legittimi, ai fini del risarcimento, non vi è una violazione diretta della disciplina sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici; l'illegittimità è piuttosto riferibile al comportamento complessivo della stazione appaltante, la quale assume, con ingiustificato ritardo, una legittima determinazione di revoca della gara, violando il legittimo affidamento dei concorrenti.
Nel caso di specie, la delibera comunale relativa alla revoca è giunta a distanza di nove mesi dalla pubblicazione del bando di gara; il decorso di un tempo così lungo costituisce, di per sé, sintomo di negligenza e cattiva amministrazione, giacché le gare per l'affidamento dei servizi pubblici debbono svolgersi nel rispetto dei principi di concentrazione e speditezza delle procedure di evidenza pubblica, anche al fine di scongiurare le sopravvenienze legate al passare del tempo, le quali fanno sì che le condizioni tecnico-economiche fissate nei bandi di gara non rispondano più alle effettive esigenze della P.A. aggiudicatrice (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 19.10.2011 n. 1552 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Appalti e accesso agli atti: registri contabili sì, relazione del direttore lavori no.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha esaminato il ricorso di un'impresa appaltante contro il diniego di accesso da parte di un'amministrazione relativo ad alcuni atti di contabilità e alla relazione riservata dell'impresa. La sentenza approfondisce le disposizioni sul divieto di ostensione previste dall'art. 13 del Codice appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006).
Un'impresa in qualità di partecipante ad un consorzio che è stato subappaltatore di un'altra società, a seguito della controversia relativa alla quantificazione dei corrispettivi del subappalto per la costruzione di una residenza per un ente pubblico, richiedeva l'accesso all'intera pratica amministrativa e contabile dell'impresa dante causa.
L'oggetto della richiesta di accesso era comprensiva di contratto; capitolato speciale, cronoprogramma, libretti delle misure, contabilità dei lavori, verbali di consegna; registri di contabilità.
L'amministrazione pubblica di fronte all'istanza di accesso rispondeva che, ai sensi dell'art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 163 del 2006, alcuni atti di contabilità e la relazione riservata dell'impresa non erano ostensibili. L'impresa presentava ricorso al Tribunale amministrativo contro il diniego di accesso.
Il Tribunale amministrativo chiedeva all'amministrazione di chiarire a quali documenti si riferissero la relazione riservata dell'impresa e gli atti di contabilità richiamati.
Secondo l'amministrazione la relazione riservata dell'impresa è costituita dalla relazione riservata del direttore dei lavori, mentre gli atti di contabilità sono i registri di contabilità, ritenuti non ostensibili in ragione del fatto che possono contenere le controdeduzioni del direttore lavori, sulle riserve dell'impresa, esplicitate nelle successive relazioni riservate.
La sentenza è di interesse in quanto approfondisce l'ostensibilità o meno del registro di contabilità e si concentra anche sul divieto di ostensione della relazione riservata del direttore dei lavori. In riferimento al divieto di ostensibilità della relazione riservata, la sentenza richiama sia la specifica normativa sia la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. Cons. di Stato, Ad. plen., 13.09.2007, n. 11).
La "relazione riservata" del direttore dei lavori è prevista dall' art. 13 comma 5, D.Lgs. n. 163 del 2006 come documenti oggetto di divieto di ostensione, ed è citata dal successivo art. 240, stesso decreto, in tema di accordo bonario.
Il collegio illustra come il divieto in oggetto sia giustificato non solo con la finalità di favorire l'eventuale perfezionamento dell'accordo bonario, ma, più in generale, in virtù della "caratteristica di strumento di tutela dei propri interessi, del quale l'amministrazione dispone nell'eventuale contenzioso che l'appaltatore intenda istaurare per il riconoscimento delle riserve e per il pagamento del prezzo integrale dell'opera."
Il collegio osserva che l'art. 13, D.Lgs. n. 163 del 2006 equipara nel divieto di divulgazione le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore ai "pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente Codice": si tratta di documenti non ostensibili, perché riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l'appaltatore e investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante.
Il collegio specifica che il divieto di ostensione era previsto ab origine, dal regolamento sui lavori pubblici del 1895, per la sola relazione del collaudatore.
Il Tribunale ha approfondito la tematica dell'ostensibilità dei registri di contabilità che contengono sovente le "motivate deduzioni" annotate, dal direttore dei lavori (v.artt. 164 e 165 del richiamato D.P.R. n. 554 del 1999).
Il collegio ha osservato che i registri di contabilità sono documenti che si rivolgono non solo all'amministrazione ma anche all'esecutore dell'opera pubblica e ha specificato che esclusivamente nel caso in cui le riserve vengano da questi confermate nel conto finale, è prevista la redazione di una relazione riservata da parte del direttore dei lavori, indirizzata alla sola stazione appaltante, quale strumento di supporto al fine dell'eventuale raggiungimento di un accordo bonario, e, comunque, della successiva definizione delle riserve.
Secondo il Tribunale, l'impresa può pertanto accedere ai registri di contabilità in quanto non sussistono pertanto ragioni ostative alla divulgazione dei registri, non solo -come è ovvio- nei confronti dell'appaltatore che è chiamato a firmarlo, ma anche, come nel caso di specie, nei confronti di un'impresa avente causa dalla prima, che abbia necessità di consultarli al fine di quantificare le proprie pretese.
Il Tribunale ha accolto il ricorso e ha condannato l'amministrazione ad esibire, nel termine di quindici giorni i registri di contabilità, nonché la restante documentazione (cronoprogramma, libretti delle misure, etc.).
Il diritto di accesso agli atti di una gara prevale sulle esigenze di riservatezza dell'impresa partecipante laddove il diritto sia esercitato per la la cura e la difesa di un interesse giuridico (Cons. di Stato, Sez. VI, 07.06.2006, n. 3418 e Cons. di Stato, Sez. VI, 20.04.2006, n. 2223); nel caso in esame, l'impresa richiedente ha richiesto copia dei documenti connessi alla controversia relativa alla quantificazione dei corrispettivi del subappalto.
La sentenza in oggetto è di interesse in quanto ha riconosciuto il diritto di accesso al registro di contabilità, documento strategico nella gestione degli appalti, da parte del subappaltatore avente causa da un'altra impresa che ha partecipato all'appalto (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 18.10.2011 n. 8013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Può ricorrere contro il bando di gara la ditta che abbia solo comunicato di non poter presentare un’offerta remunerativa in base allo stesso.
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Se è vero che la misura del prezzo a base d'asta non implica una mera scelta di convenienza e opportunità, ma una valutazione alla stregua di cognizioni tecniche (andamento del mercato nel settore di cui trattasi, tecnologie che le ditte devono adoperare nell'espletamento dei servizi oggetto dell'appalto, numero di dipendenti che devono essere impiegati, rapporto qualità-prezzo per ogni servizio) sulla quale è possibile il sindacato del giudice amministrativo, va precisato che tale sindacato è limitato ai casi di complessiva inattendibilità delle operazioni e valutazioni tecniche operate dall'amministrazione, alla illogicità manifesta, alla disparità di trattamento, non potendo il giudizio che il Tribunale compie giungere alla determinazione del prezzo congruo.

Va difatti ricordato che la legittimazione del soggetto che contrasta immediatamente il bando di gara (in relazione alle sue clausole "escludenti"), senza partecipare al procedimento, ha una giustificazione logica evidente, direttamente collegata alla affermazione giurisprudenziale dell'onere di sollecita impugnazione di tale atto lesivo, senza attendere l'esito della selezione.
La certezza del pregiudizio determinato dal bando rende superflua la domanda di partecipazione e l'adozione di un atto esplicito di esclusione.
Come ben ha ricordato l’Adunanza Plenaria nella citata sentenza n. 4/2011 “al di fuori delle ipotesi tassativamente enucleate dalla giurisprudenza, pertanto, deve restare fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l'affidamento dei contratti pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all'attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela. In questa veste, il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse "finale" al conseguimento dell'appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa l'interesse strumentale alla caducazione dell'intera gara e alla sua riedizione".
Ciò premesso, va ricordato che la definitiva esclusione o l'accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara o la mancata partecipazione impediscono di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva.
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Va ricordato, in punto di diritto, che se è vero che la misura del prezzo a base d'asta non implica una mera scelta di convenienza e opportunità, ma una valutazione alla stregua di cognizioni tecniche (andamento del mercato nel settore di cui trattasi, tecnologie che le ditte devono adoperare nell'espletamento dei servizi oggetto dell'appalto, numero di dipendenti che devono essere impiegati, rapporto qualità-prezzo per ogni servizio) sulla quale è possibile il sindacato del giudice amministrativo, va precisato che tale sindacato è limitato ai casi di complessiva inattendibilità delle operazioni e valutazioni tecniche operate dall'amministrazione, alla illogicità manifesta, alla disparità di trattamento, non potendo il giudizio che il Tribunale compie giungere alla determinazione del prezzo congruo (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. II, 09.05.2006, n. 716, Tar Sardegna, Sez. I, 20.5.2010, n. 1232) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 18.10.2011 n. 992 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: F. Gavioli, Codice appalti senza sponsorizzazioni (link a www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, Appalti pubblici e servizi pubblici. Dall’art. 23-bis al decreto legge manovra di agosto 2011 attraverso il referendum: l’attuale quadro normativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: R. Cavalli, Decreto ambiti distribuzione gas: il blocco delle gare (link a www.dirittosuweb.com).

APPALTI SERVIZI: D. Scarpino, Gestione di impianti sportivi e responsabilità civile (link a www.dirittosuweb.com).

APPALTI: R. Cavalli, Commento al DPCM del 30.06.2011 sulle stazioni uniche appaltanti (link a www.dirittosuweb.com).

APPALTI: La mancata allegazione del documento d'identità è causa di esclusione?
I giudici del Tar Lazio hanno ritenuta legittima l'esclusione da una gara di appalto di un concorrente che abbia omesso di allegare il documento di identità alla busta contenente l'offerta economica.

Il caso.
I giudici del Tar Lazio sono chiamati a pronunciarsi sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia omesso di allegare il documento di identità alla busta contenente l'offerta economica .
La posizione del Tar Lazio.
I giudici del Tar Lazio affermano che è legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, in violazione di una clausola contenuta nel bando di gara, abbia omesso di allegare copia del documento di identità all'offerta economica presentata, e ciò anche nell'ipotesi in cui tale copia sia stata prodotta all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa, in quanto a fronte del chiaro ed inequivoco disposto letterale del disciplinare di gara, l'amministrazione è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella lex specialis, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine alla rilevanza dell'adempimento, non risolvendosi la richiesta di allegare il documento di identità in un mero formalismo, in quanto detta prescrizione è diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, il nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad un determinato concorrente.
Peraltro, detta clausola da un lato trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare un interesse apprezzabile dell'amministrazione procedente, dando certezza in ordine alla provenienza della dichiarazione e, d'altra parte, si limita ad imporre ai partecipanti uno sforzo minimo e proporzionato rispetto all'interesse pubblico perseguito.
In materia di gare relative a contratti pubblici deve ritenersi indefettibile la produzione della copia fotostatica del documento d'identità nel caso in cui si tratti di supportare la più importante delle dichiarazioni di volontà che intervengono nella procedura concorsuale, cioè l'offerta economica, stante che la prescritta formalità assolve all'essenziale funzione di ricondurre incontrovertibilmente al suo autore l'autenticità dell'apposta sottoscrizione (commento tratto da www.ispa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 13.10.2011 n. 7931 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 dlgs. n. 163/2006.
Nel caso in cui il bando di gara, richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38, del d.lgs. n. 163/2006, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché questi non può essere escluso per il solo fatto dell'omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tal caso, non può essere ritenuta falsa.
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dalla legge, all'evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell'illecito, al fine di esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (TAR Umbria, sentenza 13.10.2011 n. 330 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'articolo 38, comma 1, del dlgs 163/2006 ricollega l'esclusione dalla gara pubblica al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati nel bando mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l'ipotesi di mancata o non perspicua dichiarazione.
Laddove il bando di gara richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'articolo 38 del Codice, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché questi non può essere escluso per il solo fatto dell'omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'articolo 38, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dalla legge, all'evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell'illecito, al fine di esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.

L’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici considera, come cause di esclusione, al comma 1, lettera c), tra l’altro, l’aver riportato condanne per <<reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale>>.
Il comma 2 prevede che <<Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione>>.
La giurisprudenza prevalente afferma che l'articolo 38, comma 1, (nelle diverse fattispecie ivi elencate) ricollega l'esclusione dalla gara pubblica al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati nel bando (per la fattispecie di cui alla lettera c), la stazione appaltante deve valutare caso per caso la condotta dell'offerente, tenendo conto di molteplici aspetti quali quelli soggettivi, temporali, relazionali per verificare la sua professionalità per come nel tempo si è manifestata, dando specifico conto delle risultanze nella motivazione dell'eventuale provvedimento di esclusione – cfr. TAR Umbria, 25.02.2011, n. 58 ), mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l'ipotesi di mancata o non perspicua dichiarazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 24.03.2011, n. 1795).
Laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'articolo 38 del Codice, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché questi non può essere escluso per il solo fatto dell'omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'articolo 38, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dalla legge, all'evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell'illecito, al fine di esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (cfr. Cons. Stato, VI, 21.12.2010, n. 9324; 24.06.2010, n. 4019; 22.01.2010, n. 1017 – oltre a n. 4082/2009, cit.) (TAR Umbria, sentenza 13.10.2011 n. 330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un'impresa concorrente, per accertata irregolarità contributiva, con riguardo ad un importo eccedente la soglia stabilita dall'art. 8 del d.m. 24.10.2007.
Alla luce della disciplina introdotta dal d.m. del Ministero del lavoro 24.10.2007 e dalla successiva circolare applicativa n. 5/2008, la presenza di un d.u.r.c. negativo alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, obbliga la stazione appaltante ad escludere dalla procedura l'impresa interessata, senza che si possano effettuare apprezzamenti in ordine alla gravità degli adempimenti ed alla definitività dell'accertamento previdenziale.
Inoltre, la regolarità contributiva deve essere conservata nel corso di tutto l'arco temporale impegnato dallo svolgimento della procedura, mentre non assume rilievo l'intervento di un adempimento tardivo da parte dell'impresa.
Pertanto, nel caso di deve ritenersi legittima la decisione con la quale la stazione appaltante ha escluso dalla procedura l'impresa concorrente alla quale era stata accertata, durante la gara, una situazione di irregolarità mediante d.u.r.c. negativo con riguardo ad un importo eccedente la soglia stabilita dall'art. 8 del citato d.m. 24.10.2007 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.10.2011 n. 5531 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: L'avviso d'immissione in possesso è legittimamente notificato al proprietario catastale del fondo oggetto dell'occupazione d'urgenza.
In relazione ad essa va premesso che ai sensi dell'art. 3, comma 4, della l. 03.01.1978 n. 1, l'avviso d'immissione in possesso è legittimamente notificato al proprietario catastale del fondo oggetto dell'occupazione d'urgenza, essendo onere del privato interessato curare l'esatta corrispondenza delle risultanze catastali alla reale situazione giuridica del bene oggetto della procedura ablatoria (cfr: Consiglio Stato, sez. IV, 20.05.1997, n. 957).
E’ ben vero che, più recentemente, la giurisprudenza amministrativa ha ammorbidito la portata di tale asserzione, affermando che il principio generale per cui l'avviso di immissione in possesso è legittimamente notificato al proprietario catastale del fondo non trova applicazione, perché ne viene meno la logica acceleratoria che lo sorregge, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione abbia sicura ed esatta conoscenza della situazione dominicale, tanto da instaurare un contraddittorio nel procedimento con i proprietari effettivi e da notificare a questi altri atti della procedura (cfr: Consiglio Stato , sez. IV, 17.12.2003, n. 8289), ma tale correttivo non rileva nel caso di specie, non essendosi data la prova che l’amministrazione fosse comunque a conoscenza del dichiarato trasferimento del diritto di proprietà sull’area interessata dal procedimento espropriativo (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 12.10.2011 n. 970 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il Comune non è competente in ordine alla realizzazione di una Caserma dei Carabinieri.
La decisione del Comune di annullare in autotutela le delibere del 2006, con cui si era deciso di dar corso alla procedura di finanza di progetto per la scelta del contraente cui affidare la realizzazione della Caserma dei Carabinieri, è stata assunta senza il concorso delle Autorità statali individuate come competenti dalla normativa primaria. Difatti, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 16 del 1985 (ora abrogato dal D.Lgs. n. 66 del 2010, Codice dell’ordinamento militare), le Caserme dei Carabinieri, essendo destinate alla difesa, rientrano tra le opere pubbliche di natura militare (TAR Lazio, Latina, 15.02.1990, n. 79).
A ciò si ricollega un filone giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui “per le opere militari (tra cui le caserme, pur se ubicate nell’ambito urbano) tutte le competenze di programmazione, localizzazione, progettazione, esecuzione e controllo, sono di esclusiva pertinenza dell’Autorità statale, con esclusione di qualsiasi competenza o intervento di altre Autorità regionali o comunali” (TAR Sardegna, Cagliari, II, 06.09.2007, n. 1724).
Nel caso di specie, il Comune sarebbe intervenuto illegittimamente in un ambito non rientrante nella propria competenza, oltretutto senza nemmeno provvedere a coinvolgere gli organismi a ciò deputati, attraverso la convocazione, ad esempio, di una Conferenza di servizi.
Inoltre, l’adozione delle delibera impugnata, essendo avvenuta nell’esercizio del potere di autotutela, avrebbe richiesto necessariamente il coinvolgimento del soggetto privato inciso dal provvedimento adottato in precedenza.
Proprio in tema di gare pubbliche è stato affermato che “con la presentazione della domanda di partecipazione e, ancor più, con la predisposizione e l’inoltro dell’offerta, i soggetti concorrenti assumono una posizione differenziata e qualificata che giustifica la posizione di contro interessati ai quali è necessario comunicare l’avviso di avvio del procedimento ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa, al fine di consentire la difesa del bene della vita dato dalla chance di aggiudicazione” (Consiglio di Stato, V, 29.03.2011, n. 1922).
Questo principio vale a maggior ragione nel caso de quo, visto che il soggetto privato era stato individuato quale unico interlocutore e che, pertanto, poteva fino a quel momento vantare un interesse qualificato alla realizzazione, con il sistema della finanza di progetto, della Caserma dei Carabinieri (cfr. Consiglio di Stato, V, 06.10.2010, n. 7334) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 2412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cause di esclusione: il giudice non può sostituire la lex specialis di gara.
Nella ipotesi in cui una causa di esclusione non sia espressamente contemplata nella lex specialis di gara, è precluso all’interprete, sia in sede amministrativa che giurisdizionale, di desumerla in via interpretativa.
È peraltro principio consolidato che l’inosservanza delle prescrizioni del bando di gara circa le modalità di presentazione delle offerte, implica l’esclusione dalla gara solo quando si tratti di prescrizioni rispondenti ad un particolare interesse della pubblica amministrazione appaltante, o poste a garanzia della par condicio dei concorrenti.
Tuttavia, in assenza di una espressa previsione e comminatoria di esclusione, non è consentito al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell’amministrazione che ha predisposto la lex specialis, dato che il cd. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello letterale.
Non appare poi superfluo rilevare che, alla stregua delle norme del bando, nulla poteva essere giustificato in via preventiva, tenuto conto che le valutazioni relative all’ attendibilità delle offerte erano state effettuate –nel caso di specie– nel rispetto del principio del contraddittorio
Analogamente l’’ulteriore profilo di censura relativo al difetto di motivazione, in esito alla valutazione di congruità dell’offerta, deve essere respinta.
Sul punto è sufficiente rilevare che, nel caso di specie, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo, quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico operato dalla stazione appaltante.
Il mezzo di gravame pertanto non merita accoglimento (commento tratto da www.leggioggi.it - TAR Lazio-Latina, sentenza 10.10.2011 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: P.a., pagamenti alti con verifica. Sopra i dieci mila euro controllo preventivo con Equitalia. Una circolare della Ragioneria generale dello stato dà ulteriori indicazioni sul dpr 602/1973.
La pubblica amministrazione fa un passo indietro. Prima di effettuare il pagamento a imprese e privati di somme superiori a 10 mila euro, la pubblica amministrazione deve effettuare un controllo preventivo con Equitalia. In base all'art. 48-bis del dpr 602/1973, dovrà sempre essere verificato se il creditore ha in sospeso con l'Erario il pagamento di cartelle esattoriali.
E questa verifica deve essere effettuata anche se il credito deriva da una sentenza o da un provvedimento esecutivo. In caso di pendenze nei confronti dell'erario la p.a. non procederà al pagamento. Le disposizioni restrittive non si applicano nel caso di erogazioni di finanziamenti e contributi pubblici.

È quanto emerge dalla circolare 23.09.2011 n. 27 + allegato A della  della Ragioneria generale dello stato, con la quale vengono rese note ulteriori indicazioni sulla procedura disciplinata dall'art. 48-bis del dpr n. 602/1973. Sull'argomento i primi chiarimenti sono stati forniti con le circolari n. 22/rgs del 29.07.2008 e n. 29/rgs dell'08.10.2009, che mantengono, come sottolineato dalla recente circolare, piena validità.
Obblighi di pagamento derivanti da sentenza. Il pagamento da cui il legislatore fa derivare gli obblighi di verifica previsti dall'articolo 48-bis è relativo, come precisato nella precedente circolare n. 22/rgs/2008, all'adempimento di un obbligo contrattuale. Tuttavia, è possibile che l'obbligazione del pagamento non nasca da un contratto, bensì da un altro atto o fatto idoneo a produrla, in conformità dei principi dell'ordinamento giuridico.
A titolo esemplificativo e non esaustivo, possono scaturire obblighi di pagamento pur in assenza di un contratto nei seguenti casi:
-gestione di affari altrui (c.d. negotiorum gestio ai sensi dell'articolo 2028 c.c.);
-pagamento dell'indebito (articolo 2033 c.c.);
-arricchimento senza causa (articolo 2041 c.c.);
-risarcimento per fatto illecito (articolo 2043 c.c.);
-rovina di edificio (articolo 2053 c.c.);
-responsabilità precontrattuale (articolo 1337 c.c.).
L'obbligo di pagamento posto a carico dell'amministrazione può derivare anche da una sentenza passata in giudicato o da un provvedimento giurisdizionale esecutivo con cui il giudice ha determinato concretamente l'esistenza e la misura del diritto di credito vantato dal beneficiario nei confronti della p.a. soccombente.
In merito a tali aspetti, la Ragioneria, con la recente circolare n. 27/rgs/2011, chiarisce che anche se il credito deriva da una sentenza o da un provvedimento esecutivo, l'amministrazione debitrice dovrà sempre procedere al controllo preventivo con Equitalia e verificare se il creditore ha in sospeso con l'Erario il pagamento di cartelle esattoriali.
Esecuzione di somme assegnate dal giudice. Un altro caso esaminato nella circolare è quello in cui l'Amministrazione, avendo assunto la qualità di terzo pignorato a seguito di un'ordinanza di assegnazione del giudice dell'esecuzione, si trova a dover effettuare il pagamento delle somme dovute non al creditore originario, ma direttamente al creditore assegnatario.
Al riguardo, la Ragioneria ritiene che la procedura di verifica dovrà essere effettuata nei confronti del creditore assegnatario e non di quello originario.
Dal punto di vista soggettivo, infatti, il creditore assegnatario (pignorante) subentra all'originario beneficiario (pignorato) quale parte nel rapporto di credito nei confronti dell'Amministrazione debitrice, tanto che l'eventuale pagamento effettuato all'originario creditore, in costanza di pignoramento, non avrebbe alcuna efficacia liberatoria.
Finanziamenti e contributi alle imprese. Tali concessioni sono considerate prioritarie rispetto alla verifica di regolarità fiscale. Secondo la circolare n. 27/rgs/2011, nel campo degli incentivi, la p.a. ha pochi margini di discrezionalità. Ciò in quanto i requisiti dei soggetti ammessi agli incentivi sono stabiliti direttamente dal legislatore e inoltre gli stessi incentivi sono finalizzati al raggiungimento degli obiettivi ritenuti prioritari per l'interesse della collettività. Pertanto in tal caso l'interesse pubblico è preminente rispetto alla procedura di verifica.
Il controllo amministrativo di regolarità amministrativa. Alcune difficoltà sono state manifestate in particolare da parte dei soggetti preposti al controllo di regolarità amministrativo-contabile, riguardo il trattamento di eventuali irregolarità riscontrate in ordine all'effettuazione della verifica prescritta dall'art. 48-bis e dal dm 40/2008. In particolare, sono stati formulati dubbi circa l'opportunità di procedere, ogni qual volta si presenti una situazione di irregolarità, alla denuncia o alla segnalazione del fatto potenzialmente dannoso per l'erario, in quanto potrebbe semplicemente trattarsi di un mero inadempimento procedurale, senza conseguenze sulla finanza pubblica.
In presenza di irregolarità, devono essere primariamente promosse tutte quelle iniziative di natura conoscitiva per accertare o escludere i presupposti di un danno all'erario.
In assenza di chiarimenti soddisfacenti da parte dell'Amministrazione che ha disposto il pagamento, diventa comunque necessario, prima di avanzare una segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti, effettuare una verifica del disposto pagamento.
La richiesta ad Equitalia. Nelle more dell'implementazione di un sistema telematico che renda possibile effettuare on-line l'accertamento, la p.a. dovrà formulare apposita richiesta scritta, utilizzando uno specifico modello previsto dalla circolare n. 27/rgs/2011, da inviare a Equitalia.
Sulla base della richiesta, l'ente di riscossione accerterà se il beneficiario del pagamento si trova a quel momento in posizione di inadempienza rispetto all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari o superiore all'importo di 10 mila euro e, nel solo caso affermativo, se tale posizione di inadempienza era già esistente, sulla base dell'obbligo derivante dalle medesime cartelle, all'epoca in cui è stato effettuato il pagamento.
L'esito del suddetto accertamento sarà comunicato da Equitalia direttamente all'Amministrazione interessata, indicativamente nel termine di 30 giorni, attraverso il mezzo indicato da quest'ultima al momento della richiesta.
Laddove l'esito dell'accertamento palesi un perdurante stato di inadempimento a carico del beneficiario, i soggetti tenuti all'obbligo di denuncia devono provvedere a trasmettere apposita segnalazione alla competente procura regionale della magistratura contabile, in aderenza alle direttive contenute nella nota del procuratore generale presso la Corte dei conti n. p.g. 9434/2007P, del 02.08.2007 (articolo ItaliaOggi Sette del 10.10.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di A.T.I. costituende concorrenti in una gara d'appalto, la polizza per la cauzione provvisoria deve essere intestata a tutte le imprese associate.
In materia di gare d'appalto, i principi regolanti la polizza fideiussoria, impongono di considerare soggetti obbligati a prestare la cauzione provvisoria tutti coloro che intendano eseguire l'opera e/o la progettazione, senza esclusione alcuna, in quanto individualmente responsabili delle dichiarazioni rese ai fini della la partecipazione alla gara. Diversamente opinando, qualora l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, bensì dalle mandanti, verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante. Tanto trova ragione nella "causa" e nella "funzione" della cauzione provvisoria.
Pertanto, nel caso di ATI costituende, la garanzia deve essere intestata a tutte le associate, che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, venendosi, diversamente, a configurare una carenza di garanzia per la stazione appaltante qualora l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle mandanti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2011 n. 5499 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIPer l'affidamento del servizio di tesoreria comunale, essendo lo stesso un servizio gratuito, non è dovuto il pagamento del contributo all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Il servizio di tesoreria è in via generale un servizio gratuito, connotato da una globale vantaggiosità patrimoniale del servizio per l’aggiudicatario, che tuttavia non entra nella causa del contratto, restando confinata nei motivi individuali del negozio.
Nel caso di specie, poi, né il bando di gara, né la lettera di invito, in linea con la natura del servizio, prevedevano un qualsivoglia tipo di corrispettivo.
Il capitolato speciale d’appalto, all’art. 6, definiva, infatti, il servizio gratuito salvo:
● i rimborsi delle spese sostenute per stampati quando non siano stati forniti dall’ente, delle spese postali, dei bolli e di qualsiasi altra spesa erogata durante la gestione per l’espletamento del servizio nell’anno, escluse le eventuali spese per le riscossioni di mandati a favore dell’ente presso la Sezione di Tesoreria provinciale del Tesoro (art. 6, punto 2, lett. a e b);
● il pagamento di diritti, interessi e commissioni per tutte quelle prestazioni non previste dalla convenzione (art. 6, punto 2, lett. c).
Le suindicate previsioni, cioè il riferimento al pagamento di diritti, interessi e commissioni per tutte quelle prestazioni non previste dalla convenzione hanno convinto il TAR che il contratto fosse connotato da elementi che lo configuravano, come contratto a titolo oneroso.
Il TAR, invero, non ha considerato, che il rimborso e il pagamento di diritti, interessi e commissioni per tutte le prestazioni non previste dalla convenzione non costituiscono corrispettivo del servizio di tesoreria, non sussistendo alcun rapporto sinallagmatico tra detti oneri e il servizio di tesoreria.
Queste spese attengono a rapporti estranei alla convenzione e quindi non partecipano del contenuto pattizio della convenzione stessa.
Ciò stante, essendo il servizio di tesoreria un servizio gratuito, non era dovuto il pagamento del contributo all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
L’amministrazione proprio in considerazione della gratuità del servizio non ha indicato alcun codice identificativo di gara (CIG) che è condizione necessaria per il versamento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2011 n. 5497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIGestione dei tributi: cadono i vincoli sul capitale sociale. Interessati i soggetti iscritti all'albo.
Le società partecipanti alle gare per la gestione dei tributi locali possono avvalersi del capitale sociale di altri soggetti iscritti all'albo.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 08.10.2011 n. 5496, ribaltando la decisione di primo grado.
Sul punto, il Tar Latina aveva escluso la possibilità di utilizzare l'avvalimento del capitale sociale minimo, trattandosi di requisito soggettivo e personalissimo preordinato a garantire l'affidabilità dell'impresa partecipante (sentenza 1865/2010).
L'impostazione del Tar non è stata tuttavia condivisa dal Consiglio di Stato, il quale ha precisato che l'avvalimento, istituto di derivazione comunitaria disciplinato dall'articolo 49 del Dlgs 163/2006, ha portata generale ed è finalizzato a soddisfare i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, usufruendo dei requisiti di un altro soggetto. Pertanto l'avvalimento del capitale sociale non incontra alcun limite e prevale su qualunque disposizione contraria, compresa quella che richiedeva il requisito del capitale sociale di 10 milioni di euro per l'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati a effettuare l'accertamento e la riscossione delle entrate locali.
Si tratta dell'albo ministeriale introdotto dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997, che integra un vero e proprio obbligo per gli enti locali di riservare la partecipazione alle gare solo alle imprese in possesso di questo requisito, che costituisce garanzia di affidabilità e capacità operativa assicurata da una preselezione operata a monte. Il regolamento istitutivo dell'albo –approvato con Dm Finanze 289/2000– prevede il possesso di diversi requisiti (tecnici, finanziari, morali, eccetera) tra cui il capitale sociale minimo, sul quale è più volte intervenuto il legislatore. In particolare il Dl 185/2008 ha quadruplicato l'importo precedente elevandolo a 10 milioni di euro, ma la disposizione è stata censurata e sottoposta al vaglio della Corte Ue per presunta violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità (Tar Milano 210/2010).
Per risolvere il contrasto con l'ordinamento comunitario, il Dl 40/2010 ha introdotto tre classi operative, con diverse soglie di capitale sociale minimo (uno, cinque e dieci milioni), proporzionate alla popolazione degli enti, in modo da consentire anche a operatori di minori dimensioni di poter svolgere l'attività per i piccoli comuni. Operatori che, alla luce della decisione 5496/2011 del Consiglio di Stato, potranno ora partecipare alle gare bandite dai Comuni più grandi, chiedendo in prestito ad un'altra società il requisito del capitale sociale minimo richiesto dal bando.
Restano comunque da sciogliere alcuni nodi. Andrebbe in primo luogo chiarito se l'iscrizione all'albo sia necessaria anche per svolgere attività complementari ed accessorie (inserimento dati, rilevazione superfici, bollettazione, eccetera) –come ha più volte affermato il ministero delle Finanze e in un primo momento anche il Consiglio di Stato (2792/2003)– oppure se si deve seguire l'orientamento più recente del Consiglio di Stato che ritiene obbligatoria l'abilitazione «soltanto per l'affidamento dei servizi di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi» non in caso di attività di supporto (1878/2006).
Inoltre il legislatore si è sempre limitato a intervenire sulla misura minima del capitale sociale, requisito che in realtà non garantisce l'ente locale dagli eventuali inadempimenti delle società. È necessaria pertanto una rivisitazione complessiva delle regole per l'iscrizione all'albo, revisione peraltro prevista chiaramente dall'articolo 3 del Dl 40/2010, ma rimasta sinora lettera morta (articolo Il Sole 24 Ore del 24.10.2011 - link a www.corteconti).

APPALTI: Sull'ammissibilità del ricorso all'istituto dell'avvalimento, nel caso in cui il bando richieda, quale requisito di partecipazione, un capitale sociale minimo di importo superiore a quello posseduto dalla società che intende partecipare alla gara.
L'istituto dell'avvalimento (art. 49 del d.lgs. n. 163/2006) ha portata generale, ed è finalizzato a consentire alle imprese singole, consorziate o riunite, che intendano partecipare ad una gara di poter soddisfare i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti o dell'attestazione SOA di altro soggetto (a prescindere da un'espressa disposizione del bando in tal senso), ed è applicabile, ai sensi del successivo art. 50, ai sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture.
La facoltà di avvalersi di tale istituto è stata riconosciuta ammissibile anche per integrare requisiti economico - finanziari, tecnici ovvero organizzativi per l'iscrizione agli albi professionali. Pertanto, deve ritenersi ammissibile il ricorso all'istituto dell'avvalimento, ove il bando di gara richieda, quale requisito di partecipazione, un capitale sociale minimo di importo superiore a quello posseduto dalla società che intenda partecipare alla gara.
Trattasi, infatti, di requisito economico-finanziario che, ai sensi dell'art. 49, non incontra alcun limite, in quanto l'interesse sotteso alla norma, ovvero quello relativo alla solvibilità del soggetto affidatario del servizio di riscossione, viene assicurato attraverso l'impegno dell'impresa ausiliaria di mettere a disposizione le risorse necessarie di cui il concorrente è privo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2011 n. 5496 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Può ricorrere all’avvalimento anche la società che non abbia il capitale sociale minimo richiesto dal bando di gara.
Nella controversia in commento era in discussione la tesi secondo cui l’istituto dell’avvalimento trova un limite laddove ai fini della partecipazione a una gara sia necessario il possesso di un requisito soggettivo personalissimo come quello del capitale sociale minimo, dato che esso è predisposto per garantire l’affidabilità dell’impresa partecipante.
Tale impostazione non è stata considerata condivisibile dai giudici del Consiglio di Stato che innanzi tutto, evidenziano che l’istituto dell’avvalimento –istituto di derivazione comunitaria- disciplinato dall’ordinamento italiano dall’art. 49 del d.lgv. n. 163 del 2006, ha portata generale. Esso è finalizzato a consentire alle imprese singole, consorziate o riunite, che intendono partecipare ad una gara di poter soddisfare i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto ed è applicabile, ai sensi del successivo articolo 50, ai sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture.
Ciò posto, deve ritenersi che ben sia possibile far ricorso all’istituto dell’avvalimento, ove il bando di gara richieda quale requisito di partecipazione un capitale sociale minimo di importo superiore a quello posseduto dalla società che intende partecipare alla gara. Trattasi, infatti, di requisito economico–finanziario che ai sensi dell’art. 49 non incontra alcun limite e prevale su qualunque disposizione contraria, compresa la disposizione, al tempo vigente, che richiedeva il requisito del capitale sociale di 10 milioni di euro per l’iscrizione all’albo dei soggetti privati abilitati alle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi (art. 32, comma 7, del d.l. n. 185 del 2008, convertito nella l. n. 2 del 2009).
Infatti, l’interesse sotteso alla norma, cioè quello della solvibilità del soggetto affidatario del servizio di riscossione viene assicurato attraverso l’impegno dell’impresa ausiliaria di mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente (cfr. per caso identico, Cons. Stato, V, n. 1624 del 2009).
D’altra parte l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare, non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata, ma anche verso l’amministrazione procedente a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questo sia carente; in tale ipotesi, quindi, l’impresa ausiliaria diventa titolare passivo di una obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente e tale obbligazione si perfeziona con l’aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13.05.2010, n. 2956) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2011 n. 5496 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto di partecipazione ad una gara per la distribuzione del gas naturale, in capo alle società che gestiscano servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, ovvero di una procedura non avente carattere di evidenza pubblica.
L'art. 14, c. 5, del d.lgs. n. 164/2000, recante "Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recanti norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'art. 41 della l. 17.05.1999, n. 144", commina l'esclusione, dalle gare aventi ad oggetto l'attività di distribuzione del gas naturale, in capo alle società, loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, le quali gestiscano di fatto, ovvero per disposizione di legge, atto amministrativo o contratto, servizi pubblici locali, in virtù di affidamento diretto o di una procedura non avente carattere di evidenza pubblica.
La peculiarità della procedura del project financing, sussistente nel caso di specie, nonché la libertà di forme che caratterizza la prima fase, non esclude l'applicazione, ad essa, del divieto previsto per la fase della vera e propria gara, ove si consideri la finalità di tutela della concorrenza che tale norma è preposta a garantire. Ed infatti, la definizione del quadro progettuale dell'intervento rappresenta un elemento di assoluta rilevanza, nell'ambito delle scelte economiche dei soggetti aspiranti ad ottenere la concessione, anche prescindendo dalla titolarità del diritto di prelazione in capo al promotor.
Ne consegue la necessità che, sin dalla fase di selezione del promotor, non debbano sussistere cause di incompatibilità o preclusive della partecipazione. Al fine di assicurare condizioni reali di concorrenzialità nel settore, deve escludersi la partecipazione alla procedura in questione di soggetti titolari di precedenti "affidamenti diretti", idonea di per sé ad alterare la procedura di gara pubblica. Il divieto ha portata generale e va riferito a tutti i soggetti titolari di un affidamento diretto, e lo stesso non subisce temperamenti nemmeno qualora gli affidamenti diretti siano operati a favore di società che abbiano svolto una gara per la scelta del socio.
Peraltro, esso (divieto) è correlato al fatto obiettivo della titolarità di affidamento diretto, indipendentemente da ogni considerazione sulla legittimità di esso, quindi anche nei casi di affidamenti legittimamente mantenuti in regime transitorio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.10.2011 n. 5495 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: DOSSIER - La nuova disciplina dei servizi pubblici locali alla luce del decreto-legge n. 138 del 13.08.2011 convertito, con modifiche, dalla legge n. 148 del 14.09.2011 (ANCI, XXVIII Assemblea Anci - Brindisi, 05-08.10.2011).

APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un RTI che abbia omesso di allegare alla propria offerta alcune giustificazioni preliminari, qualora ciò non risulti prescritto dal bando a pena di esclusione.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI concorrente, che abbia omesso di allegare, alla propria offerta, alcune giustificazioni preliminari, qualora ciò non sia espressamente previsto dal bando a pena di esclusione. Secondo un consolidato principio giurisprudenziale, infatti, nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, alle clausole di esclusione deve essere attribuito valore stringente, dando prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute; è invece preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la "par condicio" dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
Pertanto, dette clausole vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, in ragione della valenza delle stesse che, di per sé, costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., oltre che dal Trattato comunitario. Nel caso di specie, l'offerta risulta corredata dalle giustificazioni preliminari anche con riferimento alla progettazione esecutiva, il che non ha precluso alla stazione appaltante, la quale si è avvalsa della facoltà di valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa, di chiedere chiarimenti in merito a taluni aspetti della stessa offerta, onde verificarne la congruità.
In mancanza, dunque, di una chiara ed univoca clausola che imporrebbe alla stazione appaltante di adottare provvedimenti espulsivi per l'omessa produzione degli elementi giustificativi specificamente indicati, non può disporsi l'esclusione del concorrente, ove in concreto si appalesi la necessità di integrare le giustificazioni preventive prodotte in modo non esaustivo a supporto dell'offerta.
Peraltro, in materia di appalti pubblici, le giustificazioni preliminari, quand'anche richieste i sensi dell'art. 86, c. 5, del d.lgs. n. 163/2006, non assurgono a requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione, venendo in rilievo la mancata documentazione delle singole voci che concorrono a formare il prezzo offerto solo in via eventuale nella fase successiva a quella di verifica dell'anomalia, e se ed in quanto l'offerta ne risulti sospetta (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 07.10.2011 n. 7808 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In materia di gare d'appalto, l'obbligo di rendere la dichiarazione relativa a condanne penali previsto dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, non sussiste per le fattispecie c.d. "depenalizzate".
L'obbligo relativo alla dichiarazione di condanne penali, previsto dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, non sussiste per le fattispecie c.d. "depenalizzate", ossia per reati non più previsti come tali dall'ordinamento, e che dunque non possono in alcun modo incidere sui requisiti generali del partecipante alla gara. L'art. 38, c. 1, lett. c), laddove dispone l'esclusione dalle gare nei riguardi di coloro nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato…., presuppone, agli effetti del giudizio negativo in ordine alla moralità professionale dei concorrenti, di competenza della stazione appaltante, l'attuale permanenza della riconduzione a reato della fattispecie che deve essere valutata.
Il venir meno dell'ascrizione a reato della condotta a suo tempo sanzionata, non vincola a dichiarare le condanne riportate all'epoca della vigenza della norma penale applicata dal giudice, posto che le stesse non possono più formare oggetto della predetta valutazione in ordine alla moralità professionale dell'imprenditore. Può, pertanto, affermarsi come nessun obbligo di dichiarazione di una condanna per cui sia intervenuta la depenalizzazione poteva derivare, nel caso di specie, dalla legge di gara.
Tale indirizzo interpretativo ha trovato recente conferma anche sul piano legislativo, atteso che il D.L. n. 70/2011, nel modificare l'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, ha previsto che "l'esclusione ed il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato" (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 07.10.2011 n. 7788 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare d'appalto: esclusione e criterio formalistico.
In ordine al delicato problema dell’interpretazione delle clausole del bando di gara la giurisprudenza stabilisce ancora una volta l’illegittimità dell’esclusione quando questa sia dovuta ad un formalismo esasperato.
La sentenza 07.10.2011 n. 7785 del TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, riferendosi al nuovo articolo 46 comma 1-bis del D.Lgs. n. 163/2006 richiama infatti il principio della tassatività delle clausole di esclusione e la ratio sottesa alla norma introdotta dal D.L. 70/2011 (c.d. decreto sviluppo).
Nel caso trattato dai giudici romani, attinente ad una gara per l’affidamento del servizio di manutenzione di alcuni impianti elevatori suddiviso per lotti, il bando di gara prevedeva la dimostrazione del requisito tecnico–professionale in modo generico ovvero, attraverso la dimostrazione di aver già compiuto tale servizio in “due città”.
La stazione appaltante aveva proceduto all’esclusione della ricorrente in quanto per uno dei lotti aveva dimostrato esclusivamente di aver svolto il servizio, seppur in termine quantitativi notevolmente superiori rispetto a quanto richiesto dalla lex specialis, per la sola città di Roma.
Il seggio di gara, nel provvedere l’esclusione aveva tuttavia omesso di considerare che “… per “città” si intende comunemente un centro abitato piuttosto esteso, con sviluppo edilizio organizzato, che sul piano amministrativo, economico, politico e culturale rappresenta il punto di riferimento del territorio circostante; il termine “comune” ha, invece, una connotazione prettamente tecnica, e rappresenta la più piccola suddivisione territoriale amministrativa dello Stato.
Tanto precisato, non vi è dubbio che non sussista una piena e sicura sovrapposizione tra i due termini, come invece il seggio di gara ha ritenuto di fare, con una operazione che ha condotto all’aberrante conseguenza di espellere dalla gara una concorrente in possesso del requisito di capacità tecnica in misura di gran lunga superiore rispetto ai limiti minimi indicati nel bando, come, peraltro, successivamente ammesso dalla stessa stazione appaltante.
Ed invero, un comune, in senso tecnico, può non essere una città nella accezione di cui sopra, e, viceversa una città, ancorché giuridicamente non possa essere qualificata quale ente locale territoriale, può avere una estensione ben più consistente del primo
.”
I giudici amministrativi si premurano dunque di censurare quelle clausole che contrastano con uno dei principi fondamentali delle procedure ad evidenza pubblica, il favor partecipationis.
Il potere discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice di stabilire determinati requisiti per la partecipazione alle gare pubbliche trova infatti un limite nella funzione delle singole clausole del bando.
Tale funzione consiste “...nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.”
La stazione appaltante ha quindi il dovere di valutare i reali requisiti tecnici forniti in gara dal concorrente e connetterli con il principio della più ampia partecipazione degli operatori economici alla procedura.
Si deve comunque considerare che a seguito delle continue evoluzioni legislative il compito delle amministrazioni aggiudicatrici si dimostra spesso assai arduo ed al fine di non incorrere in evidenti errori procedimentali è necessaria una interpretazione normativa attenta e diligente (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Obbligo di comunicare l'avvenuta esclusione.
Nelle gare pubbliche di appalto, l'obbligo previsto dall'art. 79, comma 5, D.Lgs. n. 163 del 2006 di comunicare l'avvenuta esclusione, entro un termine non superiore a cinque giorni, non contiene alcuna espressa sanzione, e pertanto non può dedursi, da una omissione che non ha arrecato alcun nocumento alla parte interessata, l'esistenza di un vizio tale da rendere annullabile il provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.10.2011 n. 5491 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizio di igiene urbana: no all'affidamento diretto.
Il servizio di igiene urbana non può affidarsi mediante diretta convenzione ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 5 della legge n. 381/1991.
Così il TAR Puglia–Bari, Sez. I, nella sentenza 06.10.2011 n. 1466.
Le cooperative sociali ex art. 5, L. 381/1991 hanno la facoltà di stipulare convenzioni con le amministrazioni in deroga alla disciplina sui contratti pubblici, per quanto concerne la fornitura di beni e servizi differenti da quelli socio sanitari ed educativi.
Tutto ciò purché le citate convenzioni abbiano quale scopo quello di creare opportunità di lavoro per le categorie c.d. di persone svantaggiate (art. 4, l. 381/1991).
Il servizio di igiene urbana, però, quale servizio pubblico locale diretto al soddisfacimento dell’intera collettività, non può essere affidato tramite la citata modalità in quanto la citata norma (articolo 5, l. 381/1991) attribuisce agli enti pubblici la facoltà di derogare alla disciplina in materia, correttamente interpretata trova applicazione solamente nella ipotesi in cui l’amministrazione debba acquistare beni e servizi in proprio favore, secondo lo schema dell’appalto pubblico di servizi e forniture, e non anche affidare a terzi lo svolgimento di servizi pubblici, mediante lo strumento della concessione (link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: Il servizio di igiene urbana, qualificabile come servizio pubblico locale diretto a soddisfare i bisogni dell'intera collettività, non può essere affidato mediante convenzione diretta ai sensi dell'art. 5 della l. n. 381/1991.
Le cooperative sociali ai sensi dell'art. 5 della l. n. 381 del 1991, possono stipulare convenzioni con le Amministrazioni in deroga alla disciplina sui contratti pubblici, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le categorie di persone svantaggiate di cui all'art. 4 della stessa legge.
Tuttavia, il servizio di igiene urbana, qualificabile come servizio pubblico locale diretto a soddisfare i bisogni dell'intera collettività, non può essere affidato mediante convenzione diretta ai sensi dell'art. 5 della l. n. 381 del 1991, poiché tale norma attribuisce agli enti pubblici la facoltà di derogare alla disciplina in materia di contratti per la "fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi" e, correttamente interpretata, può trovare applicazione nel solo caso in cui l'Amministrazione debba acquistare beni e servizi in proprio favore, secondo lo schema dell'appalto pubblico di servizi i forniture, e non anche affidare a terzi lo svolgimento di servizi pubblici, mediante lo strumento della concessione (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.10.2011 n. 1466 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: A. P. Oliveri, L’audizione dell’AVCP, i bandi tipo ed il costo del lavoro. Quali giustificazioni negli appalti pubblici sul costo del personale dopo il decreto Sviluppo? (link a www.leggioggi.it).

LAVORI PUBBLICI: C. Rapicavoli, L’ammissibilità del ricorso al leasing immobiliare per la realizzazione di opere pubbliche da parte degli enti locali - Corte dei Conti - Sezioni riunite di controllo n. 49/2011 del 16.09.2011 (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: A. Vetro, Il danno erariale conseguente alla violazione delle norme comunitarie ed interne di evidenza pubblica. I contrasti giurisprudenziali della Corte dei conti sul c.d. “danno alla concorrenza (link a www.amcorteconti.it).

APPALTIChiarimenti dal Ministero sulla Stazione Unica Appaltante.
Il Ministero dell'Interno ha inviato la lettera-circolare 05.10.2011 n. 11001/119/7/22 di prot. alle Prefetture delle province italiane, invitando ad attivarsi per l'adozione delle Stazioni Uniche Appaltanti, introdotta col D.P.C.M. 30.06.2011, in attuazione dell'articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 - Piano straordinario contro le mafie (v. art. “E' arrivata la Stazione Unica Appaltante”).
Ricordiamo che la SUA (Stazione Unica Appaltante) ha il compito di seguire tutto l’iter procedurale di affidamento di lavori, forniture e servizi, collaborando con l’ente proponente ad individuare i contenuti del contratto e curando gli eventuali contenziosi insorti, con la finalità di prevenire le infiltrazioni mafiose.
La Circolare chiarisce i compiti della Stazione Unica ed evidenzia i vantaggi per le amministrazioni che la adottano. La SUA ha la funzione di curare la procedura della gara di affidamento nel suo complesso; è una struttura professionale altamente qualificata che assicura maggiore efficacia all'azione amministrativa.
L'Amministrazione ha la facoltà di aderire alla Stazione, spiega la Circolare, e ciò contribuisce a rafforzare l'economia legale e a innalzare il livello di prevenzione delle infiltrazioni criminali, ricevendo supporto dal momento dell'individuazione dei contenuti dello schema di contratto fino a quello dell'individuazione del contraente della stipula (13.10.2011 - link a www.acca.it).

APPALTIStop antimafia senza sconti. Decide il prefetto. E il Tar non entra nel merito. Per Palazzo Spada l'inderdittiva è una misura cautelare di polizia.
Stop all'appalto pubblico per l'azienda se uno dei soci frequenta un capozona della criminalità organizzata. E ciò anche quando il «colletto bianco» è incensurato e non risulta affatto indagato. L'interdittiva anti-mafia, infatti, è una misura cautelare di polizia e il giudice amministrativo cui si rivolge l'azienda che si è vista revocare l'affidamento non può entrare nel merito, come farebbe invece il collega del settore penale: il sindacato risulta invece limitato a verificare il significato che il prefetto attribuisce agli elementi di fatto individuati dalle forze dell'ordine e l'iter seguito per pervenire allo revoca dell'appalto.
È quanto emerge dalla sentenza 05.10.2011 n. 5478, emessa dalla III Sez. del Consiglio di Stato.
Operazione trasparenza.
Lo stop imposto dal rappresentante del governo all'appalto «in odore» di mafia costituisce una misura preventiva che è diversa e ha una funzione distinta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale.
L'interdittiva antimafia serve ad anticipare la soglia di autotutela amministrativa per evitare possibili ingerenze criminali nella attività dell'impresa: ciò che preme all'amministrazione, innanzitutto, è accertare l'affidabilità della impresa affidataria dei lavori.
Non contano, in questo caso, i rilievi probatori tipici del diritto penale.
Insomma: l'alt del prefetto costituisce l'esercizio di un'ampia discrezionalità e tanto basta alla revoca dell'appalto.
L'ufficio territoriale del governo effettua la sua valutazione sulla scorta di un mero quadro indiziario: assumono dunque rilievo gli elementi raccolti dalle forze dell'ordine ed essi sono sufficienti quando non è «manifestamente infondato» che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possono rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. Dopodiché per l'imprenditore risultato vicino ai clan non c'è niente da fare: l'interdittiva antimafia non può essere annullata se il provvedimento non mostra elementi che possono evidenziare un deficit di motivazione, di illogicità e di travisamento, dal momento che il giudice di merito non ha sindacato di merito in materia.
Rapporti opachi.
Il ricorso dell'azienda calabrese, nel caso risolto dal Consiglio di stato, è in parte rigettato e in parte inammissibile. Sono davvero inquietanti i rapporti di uno dei soci della compagine con alcuni boss della 'ndrangheta: le forze dell'ordine individuano rapporti professionali e anche frequentazioni private e familiari, dunque un quadro di relazioni che va oltre lo stretto necessario in un contesto delicato come il comparto dei lavori pubblici nelle aree del Mezzogiorno inquinate dalla criminalità organizzata.
E la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere i contatti rilevati dalle forze dell'ordine tra il vincitore dell'appalto e pregiudicati sospettati di essere «capibastone» delle consorterie mafiose risultano un adeguato presupposto per far scattare l'interdittiva antimafia, a patto che gli incontri non siano brevi, occasionali o addirittura casuali (articolo ItaliaOggi del 12.10.2011).

APPALTIPubblicità richiesta anche in caso di iter informali.
Anche le gare informali appaltate mediante procedure in economia (cottimo fiduciario) –dunque senza pubblicazione di un bando– sono soggette, ai fini della legittimità del procedimento, all'applicazione del principio di pubblicità dell'apertura dei plichi e delle offerte economiche; non rilevando motivazioni di tipo organizzativo dell'ente, quali l'urgenza di provvedere all'assegnazione dell'appalto o l'esiguità del personale in forza alla stazione appaltante. In tal caso, il procedimento così viziato deve essere interamente annullato, non potendosi ammettere alcuna rinnovazione, neanche parziale, dell'iter di affidamento, tenuto conto che ogni ripetizione dell'esame tecnico sarebbe condizionata dalla conoscenza ormai acquisita delle offerte.
L'orientamento.
Così ha ritenuto la V Sez. del Consiglio di Stato nella sentenza 05.10.2011 n. 5454, in relazione a una gara per servizi informatici la cui lettera d'invito agli operatori economici selezionati prevedeva che tutte le fasi, anche quelle di apertura delle offerte economiche, si sarebbero svolte in seduta riservata.
Secondo l'orientamento del Collegio, non sono ammesse deroghe al principio di pubblicità delle sedute di gara, neanche nel caso delle procedure negoziate precedute da una gara informale, caratterizzate dalle previsioni semplificate previste dall'articolo 125 del Dlgs 163/2006, che sono largamente utilizzate quando il valore dell'appalto non richiede la pubblicazione del bando di gara.
La norma in questione introduce l'iter semplificato del procedimento per appalti di valore (ora) compresi tra 40.000 e 200.000 euro, caratterizzati dalla consultazione di almeno (se possibile) cinque operatori economici nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, individuati in base a indagini di mercato o tramite appositi elenchi predisposti dalla stazione appaltante.
Il principio.
Il principio di pubblicità trova il suo fondamento nel dettato costituzionale (articolo 97) e nei principi comunitari. In questa prospettiva è quindi irrilevante, come ribadito dal Consiglio di Stato, che la commissione di gara abbia dato atto nei verbali della correttezza del procedimento di verifica e apertura delle offerte, benché sempre in seduta riservata.
D'altro canto lo stesso Codice degli appalti richiama il rispetto della pubblicità degli affidamenti tra i propri principi generali (articolo 2), applicabili a tutte le procedure di affidamento previste dal legislatore (dunque anche alle gare informali, in economia). Principi ribaditi anche nel più recente regolamento attuativo (Dpr 207/2010), che, al comma 2 dell'articolo 331, richiama l'obbligo, anche per le procedure in economia, di uniformarsi al rispetto del principio di massima trasparenza, contemperando l'efficienza dell'azione amministrativa con i principi di parità di trattamento, non discriminazione e concorrenza tra gli operatori economici.
Al comma 1 dello stesso articolo, il disposto sulla non applicazione alle procedure in economia degli obblighi di pubblicità e di comunicazione non si riferisce ai citati principi generali di trasparenza bensì al regime ordinario di pubblicazione del bando di gara previsto in ambito sovranazionale (articolo 124 del Dlgs 163/2006) (articolo Il Sole 24 Ore del 24.10.2011 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI: E' illegittimo l'operato di una stazione appaltante che abbia svolto l'intero procedimento di gara, affidato mediante il sistema del cottimo fiduciario, in seduta riservata.
La questione portata all’esame della Sezione consiste nello stabilire se sia ammissibile e legittimo che i procedimenti per l’affidamento di lavori, servizi e forniture attraverso il cottimo fiduciario si svolgano interamente in seduta riservata.
L’art. 125 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, disciplinando la fornitura di “Lavori, servizi e forniture in economia”, al comma 11 prevede espressamente che l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante, aggiungendo altresì che “Per servizi o forniture inferiori a ventimila euro, è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”.
L’espresso richiamo al rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento esclude innanzitutto che l’affidamento mediante cottimo fiduciario di lavori, servizi e forniture sia riconducibile ad una semplice attività negoziale, essendo per contro evidente la preoccupazione del legislatore di salvaguardare l’applicazione dei principi costituzionali, cui deve essere improntata in generale l’azione amministrativa (ed in particolare il procedimento di scelta del contraente dei contratti pubblici), posti a tutela non già a tutela degli interessi singolari dell’amministrazione appaltante o degli operatori economici interessati, quanto piuttosto dell’interesse pubblico generale alla legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (come valore essenziale ed imprescindibile dell’intero ordinamento e della convivenza sociale) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.10.2011 n. 5454 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Sul divieto di commistione fra requisiti di partecipazione e requisiti di valutazione delle offerte.
Il bando di gara è un atto scindibile nelle sue diverse clausole, con la conseguenza che l'illegittimità di una di esse non si estende automaticamente alle altre non dipendenti.

Costituisce principio generale regolatore delle gare pubbliche quello che vieta la commistione fra i criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta ai fini dell'aggiudicazione. Detto canone operativo, che affonda le sue radici nell'esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova in definitiva il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione.
Il bando di gara è un atto scindibile nelle sue diverse clausole, con la conseguenza che l'illegittimità di una di esse non si estende automaticamente alle altre non dipendenti e addirittura all'intero provvedimento, comportando il rinnovo dell'intera procedura. Tuttavia, a conclusioni diverse deve giungersi quante volte la clausola illegittima rivesta una tale importanza (sotto il profilo quali-quantitativo) nell'economia generale della gara, da doversi ritenere che essa rappresenti uno dei contenuti essenziali delle determinazioni manifestate attraverso l'indizione della procedura. In siffatte ipotesi, non è possibile procedere al giudizio di frazionamento della complessiva disciplina di gara, attraverso la pura e semplice avulsione della clausola illegittima (e dei suoi effetti), né è possibile valutare la disciplina di gara nel suo complesso semplicemente come se la clausola in parola non esset (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.10.2011 n. 5434 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'indicazione nelle gare di appalto dei costi relativi alla sicurezza.
Gli oneri della sicurezza, sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture vanno distinti tra oneri non soggetti a ribasso finalizzati all'eliminazione dei rischi da interferenze (adeguatamente quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri inclusi nell'offerta, ed aperti quindi al confronto concorrenziale, concernenti i costi specifici connessi con l'attività delle imprese, da indicarsi a cura delle stesse nelle offerte rispettive, con conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all'entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura.
Tutto ciò si evince dalle disposizioni dell'art. 86, c. 3-bis e dell'art. 87, c. 4, del D.Lgs. n. 163/2006, che impongono la specifica stima ed indicazione dei (e dunque di tutti i) costi relativi alla sicurezza, tanto nella fase della "predisposizione delle gare di appalto" (espressione che deve intendersi riferita alla "predisposizione" della documentazione di gara: bando, inviti e richieste di offerta), quanto nella fase della formulazione dell'offerta economica.
Pertanto, nella predisposizione della gara (e cioè dei bandi e della documentazione integrativa degli stessi), i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze devono essere specificamente indicati (ex art. 86, c. 3-bis., cit.) separatamente dall'importo dell'appalto posto a base d'asta, con preclusione di qualsivoglia facoltà di ribasso dei costi stessi (art. 86, c. 3-ter, del D.Lgs. n. 163/2006), in virtù della preclusione legale di indisponibilità di detti oneri da parte dei concorrenti, trattandosi di costi necessari, finalizzati con tutta evidenza alla massima tutela del bene costituzionalmente rilevante dell'integrità dei lavoratori (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.10.2011 n. 5421 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

settembre 2011

LAVORI PUBBLICI: Lavori per l'alta velocità e ritrovamenti archeologici. Appalto revocato? Per licenziare occorre la prova.
La sentenza si occupa del
licenziamento di alcuni lavoratori di un'impresa appaltatrice di lavori pubblici per la costruzione dell'alta velocità sulla linea ferroviaria Roma Napoli, licenziamento motivato, a seguito del ritrovamento di reperti archeologici, in relazione alla revoca dell'appalto ed all'affidamento di esso ad altra impresa.
La Corte si occupa in particolare del problema della prova, a carico del datore di lavoro, dell’impossibilità di utilizzare i lavoratori in altre mansioni compatibili e del problema se tale prova possa essere fornita mediante fatti positivi (quali l’ammissione alla procedura dell’amministrazione controllata) e fatti negativi (quali la mancanza di nuove assunzioni in qualifiche relative alle mansioni equivalenti a quelle dei lavoratori licenziati).
La decisione esclude nella specie la rilevanza dell’amministrazione controllata (successiva di alcuni mesi ai recessi) e delle mancate assunzioni (essendo stato provato che il cantiere fosse comunque aperto con alcune maestranze), ed afferma che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice -che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost.- il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile "repechage", mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.
Nel medesimo senso, Cass. Sez. L, Sentenza n. 3040 del 08/02/2011.
In precedenza, Cass. Sez. L, Sentenza n. 6559 del 18/03/2010 aveva pure affermato che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l'onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego.
La decisione in commento è interessante anche sotto altro profilo, relativo alla illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro dei dipendenti in questione, atteso che la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza della corte territoriale che nella specie aveva escluso che l’opera di scavi archeologici propedeutici alla costruzione dell’opera pubblica (non prevista espressamente nel contratto di appalto originariamente stipulato) potesse essere configurata come avente carattere straordinario ed occasionale, idonee a legittimare la stipula di contratti a termine, essendo ritenuto per converso l’inerenza di tali lavori all’appalto originario (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile, sentenza 30.09.2011 n. 20095).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia presentato la sola prima pagina del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio prescritto a pena di esclusione dal disciplinare di gara.
Ai sensi dell'art. 46 del D.Lgs. 163/2006, la stazione appaltante non può sopperire con il c.d. "potere di soccorso" alla totale mancanza di un atto prescritto dalla lex specialis di gara: difatti, i criteri esposti ai fini dell'integrazione riguardano semplici chiarimenti di un atto incompleto, mentre l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può considerarsi alla stregua di un'irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.
Al contrario, il potere di richiedere chiarimenti ed integrazioni alla ditta partecipante si applica nelle ipotesi in cui sussistono dubbi circa l'esistenza dei requisiti richiesti dal bando ed in ordine ai quali vi sia, tuttavia, un principio di prova circa il loro possesso da parte del concorrente, trattandosi di ipotesi ontologicamente distinta da quella della documentazione del tutto mancante: in tali casi, sussistendo un indizio del possesso dei requisiti richiesti, l'amministrazione non può pronunciare l'esclusione dalla procedura ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare o chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario modus procedendi, ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia presentato la sola prima pagina del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio (documento prescritto a pena di esclusione dal disciplinare di gara), in quanto l'allegazione della prima pagina del certificato camerale costituisce un valido principio di prova in ordine al possesso di tale certificazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 30.09.2011 n. 4585 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIUn codice delle leggi antimafia. Banca dati, recesso dal contratto, informazioni per 12 mesi. In Gazzetta Ufficiale il decreto 159/2011 che attua il Piano straordinario. Via dal 13 ottobre.
Istituzione della banca dati unica della documentazione antimafia, pubblicità per il procedimento in cui si applicano misure di prevenzione, ampliamento delle fattispecie da cui il prefetto desume il tentativo di infiltrazione mafiosa, obbligo di recesso dal contratto in caso di verifica antimafia interdittiva, raddoppio della validità dell'informazione antimafia che passa da 6 a 12 mesi.

Sono questi alcuni dei principali contenuti del corposo Codice delle leggi antimafia, delle misure di prevenzione e delle nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (il decreto legislativo 06.09.2011, n. 159, pubblicato sul supplemento ordinario n. 214 alla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 28.09.2011) che entrerà in vigore il 13 ottobre.
Il decreto legislativo attua le deleghe previste dagli articoli 1 e 2 della legge 13.08.2010, n. 136 (il c.d. Piano straordinario contro le mafie che ha dato vita anche alla normativa sulla tracciabilità dei flussi finanziari) e sarà seguito, anche su sollecitazione delle commissioni parlamentari che hanno esaminato il testo a luglio, da una nuova iniziativa governativa legislativa che coprirà l'intero spettro della disciplina sostanziale e processuale in materia di criminalità organizzata (intercettazioni «giudiziarie», collaboratori e testimoni di giustizia, regime carcerario previsto dall'art. 41-bis, colloqui investigativi speciali, attività di cooperazione giudiziaria).
Venendo al Codice, per quel che riguarda le misure di prevenzione, si prevedono alcune importanti novità. In primo luogo la facoltà di richiedere che il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione sia celebrato in udienza pubblica. Viene poi stabilito un limite di durata anche per il procedimento di secondo grado, prevedendo la perdita di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un anno e sei mesi dalla immissione in possesso da parte dell'amministratore giudiziario (in caso di impugnazione della decisione, entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso), con possibilità di proroga dei termini per non più di due volte in caso di indagini particolarmente complesse.
Viene introdotta la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, volta a consentire agli enti assegnatari dei beni confiscati di gestirli senza timore di doverli restituire. A seguito del definitivo decreto di confisca, la revoca sarà possibile solo in casi eccezionali (difetto originario dei presupposti, falsità delle prove); in tal caso, salvo che per i beni di particolare pregio storico-artistico, verrà restituita solo una somma di denaro equivalente al valore del bene. Viene poi dettata la disciplina dei rapporti tra la confisca di prevenzione e il sequestro penale e quella dei rapporti dei terzi con la procedura di prevenzione, a garanzia della buona fede dei terzi. In materia di certificazione antimafia, il codice semplifica ed omogeneizza una normativa resa particolarmente complessa dalla stratificazione delle norme nel tempo.
In particolare, per quel che riguarda la documentazione antimafia, essa non è richiesta per contratti di importo inferiore a 150 mila euro, così come prevede il dpr 252 del 1998; la comunicazione antimafia sarà utilizzabile per sei mesi dalla data del rilascio, anche per altri procedimenti; l'informazione antimafia sarà utilizzabile per un periodo di dodici mesi dalla data del rilascio, qualora non siano intervenuti mutamenti nell'assetto societario e gestionale dell'impresa oggetto dell'informazione.
Infine il codice istituisce la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, presso il ministero dell'interno, consultabile dalle stazioni appaltanti, dalle camere di commercio e dagli ordini professionali, che semplificherà l'attuale sistema delle procedure di rilascio della documentazione, con l'effetto di un monitoraggio costante delle imprese.
Il codice disciplina anche i poteri di accesso e di accertamento che fanno capo ai prefetti, stabilendo che possano essere esercitati nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici. Per tali accessi il prefetto si dovrà avvalere dei gruppi interforze che effettueranno le indagini nei confronti di tutti i soggetti che intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell'opera, anche con noli e forniture di beni e prestazioni di servizi, ivi compresi quelli di natura intellettuale, qualunque sia l'importo dei relativi contratti o dei subcontratti (articolo ItaliaOggi del 30.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIPiù Antimafia negli appalti. Una banca dati unica nazionale per combattere le infiltrazioni.
AI RAGGI X - Potenziato il ruolo dei prefetti nella redazione di dossier sugli aspiranti partner contrattuali della Pa.
Una banca dati unica nazionale per combattere le infiltrazioni mafiose negli appalti con la pubblica amministrazione. È questa l'arma in più che il decreto legislativo 159/2011 (pubblicato sul Supplemento ordinario alla «Gazzetta Ufficiale» 266 del 28 settembre) mette in campo in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali, di fatto una delle poche novelle nella riduzione a testo unico della normativa antimafia sul versante amministrativo (per il diritto penale servirà invece un'altra legge delega, si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
La banca dati, che dovrà essere calibrata da un serie di regolamenti ministeriali scadenziati per i prossimi sei mesi, consentirà un monitoraggio in tempo reale contando tra l'altro sul potenziamento del ruolo, anche informale, dei prefetti nella redazione di dossier sugli aspiranti partner contrattuali della Pa. L'accesso alle informazioni centralizzate sarà consentito alle stazioni appaltanti (a questo proposito viene riconosciuto normativamente il ruolo della Stazione unica), alle Camere di commercio e agli Ordini professionali, con garanzie di tracciamento di chi interrogherà il terminale.
La profilazione riguarderà i candidati a contrattare con la pubblica amministrazione, ma pure chi intende ricevere contributi o erogazioni pubbliche, anche comunitarie: rispetto al passato si amplia la platea dei soggetti radiografabili, includendo i general contractor. Tra i soggetti sottoposti alla verifica antimafia è stato ora inserito il riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese, la documentazione antimafia dei quali deve riferirsi anche alle imprese con sede all'estero, oltre al direttore tecnico e ai rappresentanti legali delle associazioni. L'informazione antimafia coinvolgerà inoltre i familiari conviventi dei soggetti che la legge sottopone alla verifica.
Resta invece immutata, nel testo unico, la soglia di esenzione della comunicazione antimafia, fissata in 150mila euro del valore economico del l'operazione da appaltare o dell'erogazione da ricevere (erano 300 milioni di lire nel Dpr 252/1998).
Il nuovo codice antimafia sdoppia i termini di validità della comunicazione antimafia rispetto alla informazione: mentre la prima continuerà a valere per sei mesi dalla data del rilascio (e scatterà automaticamente dopo la consultazione della banca dati nazionale), la comunicazione –che può riguardare anche l'attestazione di tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese– avrà efficacia per 12 mesi.
La competenza per la comunicazione antimafia resta in carico al prefetto della provincia in cui l'impresa richiedente ha sede, che diventa il prefetto dove ha sede il cantiere nei casi in cui l'azienda è basata all'estero. Non cambia, invece, la disciplina dell'autocertificazione per contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti e i provvedimenti di rinnovo di contratti, o per attività private, sottoposte a regime autorizzatorio o alla disciplina del silenzio-assenso.
Confermati infine i poteri di accesso ai cantieri del prefetto, già introdotti dal Dpr 150/2010.
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Radiografia allargata
01 | LA COMUNICAZIONE
La comunicazione antimafia è rilasciata dal prefetto della provincia in cui i soggetti richiedenti hanno sede (se sono Pa o enti pubblici o general contractor), oppure, se richiesta da persone fisiche, imprese, associazioni o consorzi, è competenza del prefetto della provincia in cui gli stessi risiedono o hanno sede.
02 | LA BANCA DATI
Prima di rilasciare il via libera antimafia, il prefetto deve consultare la neo-istituita banca dati nazionale. Se l'interrogazione è negativa, la comunicazione antimafia liberatoria è immediata, e dà atto della consultazione al data-base centralizzato. Nel caso invece emergano divieti o cause di decadenza, prima di rilasciare una comunicazione interdittiva il prefetto verifica l'aggiornamento e l'adeguatezza dei dati.
03 | AUTOCERTIFICAZIONE
I contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti, e i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, sono stipulati, autorizzati o adottati mediante l'acquisizione di relativa dichiarazione, con la quale l'interessato attesta che nei suoi confronti non sussistono cause di divieto, di decadenza o di sospensione.
04 | LA SOGLIA ESENTE
La "radiografia" antimafia non riguarda i provvedimenti della Pa, gli atti, i contratti e le erogazioni da ente pubblico il cui valore complessivo non superi i 150mila euro, soglia già prevista dal decreto legge 252 del 1998.
05 | PLATEA AMPIA
La platea dei soggetti interessati dai controlli preventivi anti-infiltrazioni mafiose esce allargata dal nuovo testo unico, estendenosi ai familiari conviventi, ai direttori tecnici di cantiere e ai revisori contabili.
A livello di composizione societaria, la profilazione interesserà i raggruppamenti temporanei di imprese anche per le imprese con sede all'estero.
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L'indagine sull'impresa si allarga a direttori di cantiere e familiari.
L'indagine amministrativa sulle potenziali infiltrazioni mafiose nelle imprese che trattano e lavorano con la Pa si allarga alla direzione di cantiere e ai revisori contabili, oltre ai familiari. L'esperienza degli ultimi anni ha portato alla luce, soprattutto attraverso le inchieste della magistratura, un'evoluzione delle modalità di "eterodirezione" dell'attività d'impresa da parte della criminalità organizzata, che non si limita più a controllare direttamente il consiglio di amministrazione o le quote sociali ma, sempre più spesso, introduce suoi propri "referenti" negli organi di controllo dell'attività d'impresa. Pertanto le cautele antimafia, una novità del testo unico, sono state estese anche al direttore tecnico e ai componenti del collegio di revisione contabile (oltre ai già previsti organi di governance della società).
La documentazione antimafia delle imprese individuali riguarda il titolare e il direttore tecnico, mentre nelle associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, oltre al direttore tecnico, riguarda il legale rappresentante delle associazioni, il legale rappresentante e gli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione delle società di capitali, anche consortili, e inoltre ognuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detiene una partecipazione superiore al 10% oppure una partecipazione inferiore al 10% e che abbia stipulato un patto parasociale "oltre soglia".
Documentazione antimafia necessaria anche per i soci o i consorziati per conto dei quali le società consortili o i consorzi operino in modo esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione. L'adempimento di "radiografia" anti–infiltrazioni mafiose, per le società di capitali, impegna anche il socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, o il socio in caso di società con socio unico.
Nei consorzi, documentazione antimafia necessaria per chi ne ha la rappresentanza, così come per gli imprenditori o società consorziate; tutti i componenti per le società semplice e in nome collettivo; gli accomandatari per le società in accomandita; per le società estere, chi le rappresenta stabilmente in Italia; per i raggruppamenti temporanei di imprese, le imprese del raggruppamento anche se con sede all'estero: per le società personali, i soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie (articolo Il Sole 24 Ore del 30.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un concorrente che abbia omesso di allegare le dichiarazioni di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, con riferimento ai progettisti indicati ai sensi dell'art. 53, c. 3, d.lgs. 163/2006.
E' illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI concorrente, che abbia omesso di allegare, alla propria offerta, le dichiarazioni sostitutive in ordine alla sussistenza delle condizioni di affidabilità morale e professionale, di cui alle lett. b) e c) dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, con riferimento ai progettisti "indicati", ai sensi dell'art. 53, c. 3, del d.lgs. n. 163/2006.
Secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, non solo i progettisti associati, ma anche quelli "indicati", se di certo non assumono il ruolo di concorrenti, nondimeno partecipano alla gara, apportando al concorrente taluni requisiti da esso non posseduti, con l'evenienza che di detti requisiti il progettista indicato può essere chiamato a dare effettiva dimostrazione ex art. 48 del medesimo decreto.
Tale necessità sussiste anche in ordine ai requisiti "generali", i quali concorrono a formare, insieme con quelli "speciali", la "legittimazione" all'appalto. In questa direzione, il possesso dei requisiti generali di partecipazione alla gara d'appalto, va verificato anche in capo alle singole imprese/professionisti, designati quali esecutori del servizio di progettazione.
Infatti, una cosa è l'individuazione del concorrente in possesso dei requisiti tecnico-organizzativi, necessari ai fini della realizzazione dell'opera, altro è l'individuazione del concorrente "moralmente affidabile"; la relativa verifica va pertanto eseguita nei confronti "di tutti i soggetti ammessi a partecipare alle gare", dunque anche in capo ai progettisti "individuati" dall'impresa esecutrice.
Diversamente opinando, risulterebbero violati sia il principio costituzionale di buon andamento, sia il principio comunitario di "precauzione", in quanto si giungerebbe all'irragionevole conclusione che le garanzie di serietà economica e moralità professionale, richieste agli imprenditori ai fini della partecipazione alle gare, vengano eluse da altri soggetti i quali, mediante il sistema della mera "indicazione", riuscirebbero di fatto ad eseguire servizi per una gara cui non potrebbero essere ammessi (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 29.09.2011 n. 1666 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La clausola del bando con cui l’Amministrazione si riserva la facoltà di non aggiudicare la gara a proprio insindacabile giudizio è da ritenere illegittima, occorrendo, per costante giurisprudenza, il rispetto dei principi di correttezza e buona fede, nonché l’obbligo di motivare tale scelta.
La clausola del bando con cui l’Amministrazione si è riservata la facoltà di non aggiudicare la gara a proprio insindacabile giudizio è da ritenere illegittima, occorrendo, per costante giurisprudenza, il rispetto dei principi di correttezza e buona fede, nonché l’obbligo di motivare tale scelta (Tar Lazio, Roma, II, n. 8975/2010; Tar Sardegna, I, n. 2167/2010; in particolare, si segnala Tar Campania, VIII, n. 555/2010, secondo cui “La partecipazione alla gara evidenzia e qualifica la posizione del concorrente che vi è ammesso, cosicché non può ragionevolmente escludersi una qualsiasi tutela a fronte degli eventuali ripensamenti dell'Amministrazione: l'interesse all'aggiudicazione (che costituisce l'obiettivo finale di ciascun concorrente) ha un suo corollario nell'interesse allo svolgimento e alla definizione della procedura, secondo le regole fissate dalla lex specialis. In tale caso, la discrezionalità dell'Amministrazione, seppure notevolmente ampia, non è dunque senza limiti né è del tutto sottratta al sindacato di legittimità”) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 29.09.2011 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAntimafia, strategia preventiva. Confische veloci e blindate - Sotto esame anche i revisori contabili.
RINVIO TECNICO - Una nuova legge delega per il riordino del diritto sostanziale con entrata in vigore entro 24 mesi.

Il nuovo codice delle misure di prevenzione mafiosa, che abroga le leggi speciali emanate sul tema dal 1956 in avanti e riordina in un unico corpo normativo il contrasto patrimoniale al "416-bis", diventa legge dello Stato. Il Decreto legislativo 159 del 06.09.2011 è stato pubblicato sul Supplemento ordinario n. 214 della Gazzetta Ufficiale n. 226 di ieri, ed entrerà in vigore tra due settimane, con esclusione per i procedimenti già in corso.
La pubblicazione di ieri esaurisce la prima parte della legge delega 136/2010 sul Codice unico antimafia –scaduta a inizio settembre– relativa al Libro II, inerente le misure patrimoniali contro organizzazioni mafiose e soggetti affiliati. Ci sarà invece una nuova delega per riordinare, entro 24 mesi, il diritto sostanziale e processuale, così come avevano chiesto ad agosto la Commissione giustizia della Camera e il Comitato per la legislazione.
Il Libro I, composto da 10 articoli sulla «Criminalità organizzata di tipo mafioso» a partire dalla norma base del 416-bis, è stato quindi congelato, perché tra l'altro non era prevista l'abrogazione delle disposizioni confluite nel codice, nonostante la delega lo prevedesse. Da questo fatto puramente tecnico sarebbero potute derivare serie incertezze in sede interpretativa.
La riorganizzazione delle misure di prevenzione offrirà comunque una migliore agibilità all'autorità giudiziaria e a quella amministrativa per l'aggressione dei patrimoni di origine mafiosa e per il controllo di personaggi in odore di criminalità organizzata.
Il Libro II è diviso in cinque titoli, dalle misure di prevenzione personali a quelle di prevenzione patrimoniali, dall'amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, fino alla tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali.
Tra le novità, la facoltà di richiedere che il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione sia celebrato in udienza pubblica e in tempi stretti: il sequestro perde efficacia se non arriva la confisca entro 18 mesi dalla immissione in possesso dell'amministratore giudiziario. Limitata, inoltre, la possibilità di revoca della confisca, che spesso blocca l'attività di reimpiego degli immobili da parte dei Comuni, che viene agganciata ai requisiti "stretti" della procedura penale, cioè al difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura.
Nuove regole anche per i rapporti dei terzi con il procedimento di prevenzione, vale a dire i diritti pendenti al momento dell'esecuzione del sequestro su un bene. Al terzo comproprietario è concesso, se in buona fede, diritto di prelazione per l'acquisto della quota confiscata al valore di mercato. Per quanto concerne i contratti preliminari di vendita, viene confermata la regola generale del diritto per il promissario acquirente di far valere il proprio credito nella procedura di verifica e pagamento dei crediti.
Stretta infine sui controlli per i soggetti che contrattano con la pubblica amministrazione, o che intendono ricevere contributi od erogazioni pubbliche, anche comunitarie, soggetti verso i quali si intensificano gli accertamenti antimafia. La criminalità organizzata, secondo la relazione, non si limita più a controllare direttamente il consiglio di amministrazione o le quote sociali ma, sempre più spesso introduce referenti all'interno degli organi di controllo dell'attività d'impresa. Per questo le cautele antimafia vengono estese anche al direttore tecnico e ai componenti del collegio di revisione contabile, oltre ai già previsti organi di governance della società.
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L'intervento
01 | PREVENZIONE MAFIA
Il Codice che è stato pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale riguarda le misure di prevenzione personali e patrimoniali oltre all'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati
02 | NUOVA DELEGA
La risistemazione in un unico codice del diritto penale sostanziale è stata invece rimessa, per motivi tecnici, a una nuova legge delega
03 | LEGGI ABROGATE
Il Codice abrogherà, dalla sua entrata in vigore, tutte le leggi in materia degli ultimi 55 anni.
Tra le altre: la legge 27.12.1956, n. 1423; la legge 31.05.1965, n. 575; il Dl 04.02.2010, n. 4, convertito in legge 31.03.2010, n. 50; gli articoli da 18 a 24 della legge 22.05.1975, n. 152; l'articolo 16 della legge 13.09.1982, n. 646; gli articoli da 2 a 11, 13 e 15 della legge 03.08.1988, n. 327 (articolo Il Sole 24 Ore del 29.09.2011).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'esercizio del diritto di riscatto da parte di un comune nei confronti di una società titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica, nel caso in cui la concessione originaria sia già scaduta.
L'art. 24 del r.d. 15.10.1925 n. 2578, secondo cui il potere di riscatto deve essere esercitato con il preavviso di un anno, si applica per le concessioni di servizi già affidati ai privati che vengono a risolversi prima della naturale scadenza contrattuale.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo l'esercizio del diritto di riscatto da parte del comune nei confronti della società titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica, senza il preavviso di un anno, in quanto l'originaria concessione trentennale era scaduta al momento dell'esercizio del riscatto e non poteva considerarsi tacitamente prorogata in base ad una apposita clausola della convenzione, poiché prima della scadenza era entrato in vigore l'art. 6 della l. 24.12.1993 n. 537, che ha introdotto il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, con la previsione -inserita in sede di successive modifiche- della nullità dei contratti stipulati in violazione del predetto divieto.
Peraltro, l'esercizio del diritto di riscatto non è subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell'indennizzo, in quanto, la mancata definizione consensuale della questione patrimoniale implica la rimessione della controversia economica ad un apposito collegio arbitrale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2011 n. 5403 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'osservanza delle forme di pubblicità prescritte per i bandi di gara è necessaria per consentire agli operatori del settore di conoscere l'avvenuta indizione delle procedure e decidere, di conseguenza, se parteciparvi o meno.
L'osservanza delle forme di pubblicità prescritte per i bandi di gara è necessaria per consentire agli operatori del settore di conoscere l'avvenuta indizione delle procedure e decidere, di conseguenza, se parteciparvi o meno, disponendo di un congruo lasso di tempo per ponderare ed eventualmente predisporre la loro offerta.
La tutela della concorrenza che il principio di pubblicità persegue si declina, dunque, nell'interesse del potenziale concorrente alla conoscibilità della gara e alla concreta possibilità di prendervi parte (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.09.2011 n. 4518 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Distribuzione gas, 18 mesi per le gare. Parere del Consiglio di stato sul dm.
Affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale: ci saranno fino a diciotto mesi per fare le gare, la stazione appaltante potrà essere il Comune più popoloso o la Provincia e la gara verterà anche sul valore di rimborso al gestore uscente.
Il Consiglio di Stato, con il parere 28.09.2011 n. 3598 sullo schema di regolamento che detta i criteri di gara e di valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, attuativo dell'art. 46-bis, comma 1, della legge n. 222 del 2007, ha sbloccato uno dei provvedimenti centrali per la liberalizzazione del pubblico servizio di attività di distribuzione del gas. A questo regolamento ne seguiranno altri due: quello sulla definizione territoriale degli ambiti minimi e quello sulla tutela dell'occupazione del personale.
Il provvedimento individua il soggetto che dovrà gestire la gara e i relativi poteri sostitutivi, stabilisce quali siano gli obblighi informativi dei gestori, il valore di rimborso ai titolari degli affidamenti e concessioni cessanti, il valore del rimborso al gestore uscente a regime, la proprietà degli impianti, gli oneri da riconoscere all'ente locale concedente e ai proprietari di impianti, i contenuti del bando di gara e del disciplinare di gara e tutte le altre norme sullo svolgimento della gara (requisiti di partecipazione, commissioni di gara, criteri di aggiudicazione).
Su questo schema, particolarmente articolato e complesso, il Consiglio di Stato aveva reso un parere interlocutorio (adunanza del 05.05.2011) con il quale era stata disposta una ulteriore istruttoria e venivano richiesti elementi al Dicastero proponente (MISE) che successivamente (04.08.2011) ha dettagliatamente risposto ad una serie di eccezioni che venivano fatte.
Con il parere la sezione consultiva dà il via libera allo schema chiedendo al Ministero, dopo avere preso atto della correttezza dei chiarimenti, ritenuti condivisibili, di precisare ancora alcuni elementi. In particolare il Consiglio di Stato invita l'amministrazione a considerare l'opportunità di prevedere l'indicazione diretta, nel regolamento, del Comune più popoloso o della Provincia a fungere da stazione appaltante nel caso in cui in un ambito territoriale non vi sia un comune capoluogo di provincia. La ragione di questa richiesta risiede nel fatto che l'intervento sostitutivo regionale potrebbe essere limitato ai casi in cui o lo stesso comune più popoloso o la maggioranza dei comuni dell'ambito non ritengano possibile che tale ente svolga convenientemente le funzioni di stazione appaltante.
Il parere chiede inoltre di ridurre il termine di 18 mesi decorsi i quali, in assenza di emanazione del bando, scatta il potere sostitutivo. Viene poi chiesto al Mise di lasciare alla stazione appaltante la valutazione sulla rilevanza delle sanzioni applicate dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici valutare se l'esclusione di un concorrente ai fini dell'esclusione di un concorrente dalla gara (articolo ItaliaOggi del 06.10.2011).

APPALTI: Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Provvedimento di esclusione - Determina una lesione attuale e concreta - Conseguenza - Onere di impugnazione immediato - Sussiste - Anche in pendenza della procedura.
Il provvedimento di esclusione dalla gara disposto nei confronti di un'impresa concorrente determina un definitivo arresto procedimentale a danno dell'interessata e, quindi, una lesione immediata e concreta del proprio interesse, che le impone di ricorrere subito contro di esso, senza attendere l'esito della gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.09.2011 n. 2314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’art. 43 della Dir. 31.03.2004 n. 2004/18/CE (art. 78 del Dlgs. 163/2006) nel disciplinare il contenuto dei verbali delle operazioni di gara non impone la contestualità tra la verbalizzazione e le operazioni verbalizzate ma attribuisce ai verbali una funzione di documentazione e informazione (a garanzia di tutti i concorrenti e della stessa stazione appaltante) che non sarebbe utile se la redazione venisse svolta a notevole distanza di tempo.
L’unico vincolo per la verbalizzazione è pertanto quello della tempestività rispetto alle operazioni verbalizzate. Una volta accertata questa condizione è irrilevante che il verbale riguardi una singola riunione della commissione tecnica o più riunioni o l’intera procedura. Purché sia tempestivo il verbale può essere cumulativo.

L’art. 43 della Dir. 31.03.2004 n. 2004/18/CE (art. 78 del Dlgs. 163/2006) nel disciplinare il contenuto dei verbali delle operazioni di gara non impone la contestualità tra la verbalizzazione e le operazioni verbalizzate ma attribuisce ai verbali una funzione di documentazione e informazione (a garanzia di tutti i concorrenti e della stessa stazione appaltante) che non sarebbe utile se la redazione venisse svolta a notevole distanza di tempo.
L’unico vincolo per la verbalizzazione è pertanto quello della tempestività rispetto alle operazioni verbalizzate. Una volta accertata questa condizione è irrilevante che il verbale riguardi una singola riunione della commissione tecnica o più riunioni o l’intera procedura. Purché sia tempestivo il verbale può essere cumulativo (v. CS Sez. V 15.03.2010 n. 1507; TAR Lazio Roma Sez. II 01.03.2011 n. 1906) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.09.2011 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La dimostrazione dell'affidabilità dei concorrenti per mezzo dell'esperienza pregressa non può trasformarsi in una rendita di posizione per i soggetti economici che abbiano avuto rapporti continuativi con le stazioni appaltanti.
Nel giudizio sull'esperienza la stazione appaltante, se non si è data regole più stringenti nella lex specialis, può certamente effettuare una ponderazione delle diverse attività praticate dai concorrenti, trascurando quelle marginali e focalizzando la propria attenzione su quelle che rivestono maggiore importanza.
Allo stesso modo può considerare irrilevante il mancato svolgimento di alcune attività se nel complesso risultino espletate quelle che costituiscono la parte più impegnativa dell'appalto da aggiudicare. Nell'interpretazione di clausole di questo tipo deve sempre essere favorita la massima partecipazione, che a sua volta è una condizione per assicurare l'effettiva competizione nel mercato, e corrispettivamente deve essere dato il minimo rilievo alle formalità non necessarie.
La dimostrazione dell'affidabilità dei concorrenti per mezzo dell'esperienza pregressa non può infatti trasformarsi in una rendita di posizione per i soggetti economici che abbiano avuto rapporti continuativi con le stazioni appaltanti o che, specialmente nei settori dove la concorrenza è minore, abbiano avuto la possibilità di occupare per più tempo le poche nicchie di mercato disponibili (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.09.2011 n. 1328 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTII gravi reati in danno dello Stato o dell’Unione Europea che incidono sulla moralità professionale e determinano l’esclusione dalle gare non sono soltanto quelli collegabili all’oggetto dell’appalto. Il concetto di moralità professionale, ripreso direttamente dall’art. 45, par. 2, lett. c), della Dir. 31.03.2004 n. 2004/18/CE, coinvolge un ambito che va oltre la stretta attività professionale del concorrente.
I gravi errori commessi nell’esercizio dell’attività professionale (e quindi a maggior ragione i reati che riguardano direttamente l’attività professionale) sono già presi in considerazione come causa autonoma di esclusione dalla lett. f) dell’art. 38, comma 1, del Dlgs. 163/2006. La moralità professionale riguarda invece l’affidabilità complessiva del concorrente sotto il profilo etico: l’amministrazione ha interesse a coltivare rapporti contrattuali esclusivamente con soggetti economici che (oltre a osservare i principi giuridici dell’ordinamento) rispettano le regole del mercato e della concorrenza.

L’aggiotaggio ex art. 2637 c.c. è un reato che richiede condotte concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. La fattispecie penale presuppone un disegno diretto a manipolare il normale funzionamento del mercato per ottenere dei vantaggi a detrimento degli altri operatori economici e della platea degli investitori. È dunque intrinseca a questo reato una componente di slealtà in ambito economico che non consente il contestuale riconoscimento del requisito della moralità professionale. Quindi, la condanna per aggiotaggio impedisce la partecipazione alle gare pubbliche.
Per quanto riguarda la corretta applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. c), del Dlgs. 163/2006, occorre precisare subito che i gravi reati in danno dello Stato o dell’Unione Europea che incidono sulla moralità professionale e determinano l’esclusione dalle gare non sono soltanto quelli collegabili all’oggetto dell’appalto. Il concetto di moralità professionale, ripreso direttamente dall’art. 45, par. 2, lett. c), della Dir. 31.03.2004 n. 2004/18/CE, coinvolge un ambito che va oltre la stretta attività professionale del concorrente.
I gravi errori commessi nell’esercizio dell’attività professionale (e quindi a maggior ragione i reati che riguardano direttamente l’attività professionale) sono già presi in considerazione come causa autonoma di esclusione dalla lett. f) dell’art. 38, comma 1, del Dlgs. 163/2006. La moralità professionale riguarda invece l’affidabilità complessiva del concorrente sotto il profilo etico: l’amministrazione ha interesse a coltivare rapporti contrattuali esclusivamente con soggetti economici che (oltre a osservare i principi giuridici dell’ordinamento) rispettano le regole del mercato e della concorrenza.
L’aggiotaggio ex art. 2637 c.c. (anche nella versione in vigore all’epoca dei fatti) è un reato che richiede condotte concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. La fattispecie penale presuppone un disegno diretto a manipolare il normale funzionamento del mercato per ottenere dei vantaggi a detrimento degli altri operatori economici e della platea degli investitori. È dunque intrinseca a questo reato una componente di slealtà in ambito economico che non consente il contestuale riconoscimento del requisito della moralità professionale.
In questa ricostruzione il valore dell’utilità conseguita attraverso l’aggiotaggio non ha un peso decisivo, in quanto la slealtà nei rapporti economici non è diversa se praticata in vicende modeste o su ampia scala. Tuttavia anche volendo introdurre un filtro quantitativo il risultato nel caso in esame non sarebbe diverso, tenendo conto che il legale rappresentante della ricorrente è stato coinvolto nella scalata alla Banca Antonveneta. Tale operazione, come evidenziato dall’Avvocatura Generale dello Stato nel parere del 19.01.2011, costituisce uno degli episodi più gravi che abbiano interessato di recente il settore bancario. Dunque, anche se svolta in posizione marginale, la partecipazione a un’iniziativa eccezionale per mezzi utilizzati e importanza dell’obiettivo deve essere senz’altro qualificata come rilevante nella storia professionale di un soggetto economico.
Da tutto questo consegue che la condanna per aggiotaggio impedisce la partecipazione alle gare pubbliche. Il punto diventa allora la durata dell’effetto interdittivo.
In proposito si può osservare che l’art. 38, comma 1, lett. c), del Dlgs. 163/2006, nell’estendere la disciplina dell’esclusione anche alle condanne degli amministratori cessati dalla carica nel triennio anteriore alla pubblicazione del bando di gara, indica in via alternativa due condizioni che escludono l’effetto interdittivo: (1) se l'impresa dimostri di aver adottato misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata; (2) se sia intervenuta la riabilitazione (art. 178 cp) o l’estinzione del reato in caso di patteggiamento (art. 445, comma 2, cpp).
Occorre verificare la possibilità della trasposizione di queste norme alla fattispecie degli amministratori in carica. L’analogia non sembra sussistere per l’ipotesi della dissociazione, in quanto il primo passo in questa direzione da parte dell’impresa sarebbe proprio la sostituzione dell’amministratore condannato. Appare invece ammissibile l’estensione della norma sulla riabilitazione e sull’estinzione del reato. La riabilitazione garantisce attraverso una completa valutazione della condotta post factum l’effettivo approdo rieducativo del reo (v. Cass. pen. Sez. I 18.06.2009 n. 31089; Cass. pen. Sez. I 29.09.2009 n. 40018) e dunque per i soggetti economici costituisce anche la dimostrazione del recupero di una condotta professionale eticamente adeguata. L’estinzione del reato ex art. 445, comma 2, cpp, essendo automatica, non offre le medesime garanzie, ma può essere presa in considerazione dalla stazione appaltante quale ragionevole termine finale del periodo di esclusione dalle gare. Mancando però una verifica giudiziale della buona condotta (che è propria della sola riabilitazione) la stazione appaltante conserva il potere di contestare l’insufficiente recupero della moralità professionale qualora ravvisi elementi di continuità con la situazione pregressa;
Nel caso in esame non risultano conseguite né la riabilitazione né l’estinzione del reato ex art. 445, comma 2, cpp. L’indulto ha semplicemente cancellato una parte della sanzione pecuniaria sostitutiva senza incidere sugli effetti penali della condanna (v. sopra al punto 2) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.09.2011 n. 1327 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 28.09.2011 n. 226, suppl. ord. n. 214, "Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13.08.2010, n. 136" (D.Lgs. 06.09.2011 n. 159).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente, per omessa indicazione dei nominativi dei rappresentanti e dei direttori tecnici cessati dalla carica nell'ultimo triennio, in violazione dell'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di indicare i nominativi degli amministratori con rappresentanza e dei direttori tecnici cessati dalla carica nell'ultimo triennio, in quanto ciò vìola l'art. 38, lett. b) e c), c. 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006.
Nel caso di specie, infatti, la dichiarazione presentata dall'amministratore della società concorrente non consente di individuare i nominativi e le funzioni svolte dai soggetti cessati dalla carica, e la stessa risulta, pertanto, indeterminata, in quanto incompleta di elementi essenziali. Né è ammissibile un'integrazione postuma ai sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, in quanto, nella fattispecie, la lex specialis di gara prescrive espressamente che tale dichiarazione sia inserita nella busta contenente la documentazione amministrativa, a pena di esclusione.
Peraltro, la disposizione di cui all'art. 38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006 pone, a carico del concorrente, l'onere di attestare il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva, con le modalità previste dal D.P.R. n. 445/2000, e non ammette altri mezzi atipici equipollenti.
D'altra parte, lo stesso comma 3 dell'art. 38 D.lgs. n. 163/2006, presuppone l'assolvimento dell'onere, da parte dell'interessato, della previa indicazione degli elementi indispensabili ai fini del reperimento delle informazioni o dei dati richiesti; analogamente, la dichiarazione sostitutiva deve necessariamente contenere gli estremi identificativi dei soggetti terzi, cui si riferisce, configurandosi altrimenti una vera e propria carenza in ordine all'oggetto della dichiarazione stessa, che non consente di individuare la portata liberatoria nei confronti dei terzi, né l'ampiezza della responsabilità del dichiarante in ordine alla veridicità dell'asserita sussistenza dei prescritti requisiti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 27.09.2011 n. 5385 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla gestione degli impianti sportivi: distinzione tra l'affidamento degli impianti aventi rilevanza economica da quelli che, viceversa, ne sono privi (fattispecie inerente la l.r. Lombardia n. 27/2006).
In attuazione dell'art. 90 della l. 289/2002 (l. finanziaria 2003) che disciplina la gestione degli impianti sportivi l'art. 1 della l. R. Lombardia n. 27/2006, distingue l'affidamento degli impianti aventi rilevanza economica da quelli che, viceversa, ne sono privi. Solo in relazione ai primi, stante la necessità di garantire "una gestione di tipo imprenditoriale", il legislatore regionale ha previsto la forma dell'affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica. Al contrario, con riferimento agli impianti sportivi senza rilevanza economica, ha ammesso la possibilità di un loro affidamento in via diretta. Dispone, infatti, la richiamata l.r. all'art. 5, c. 2, che "gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dell'incarico di gestione di impianti sportivi senza rilevanza economica ad associazioni, fondazioni, aziende speciali, anche consortili, e società a capitale interamente pubblico, da loro costituite", aggiungendo al c. 3, che "per gli impianti sportivi senza rilevanza economica, le cui caratteristiche e dimensioni consentono lo svolgimento di attività esclusivamente amatoriali e ricreative e richiedono una gestione facile e con costi esigui, è ammesso l'affidamento diretto dell'incarico di gestione agli utilizzatori degli impianti stessi".
Pertanto, nel caso di specie, poiché l'impianto risulta privo di una sostanziale rilevanza economica, in quanto per le sue caratteristiche intrinseche è produttivo di introiti del tutto esigui ed insufficienti a coprire i costi di gestione, senza l'apporto significativo di specifici contributi comunali, correttamente il Comune ha affidato la gestione dello stesso in via diretta alla Polisportiva comunale da lui appositamente costituita, ai sensi dell'art. 5, c. 2, della citata l.r. Lombardia n. 27/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.09.2011 n. 5379 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: SCHEMA DI LETTERA DI INVITO PER LA PROCEDURA NEGOZIATA (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: CAPITOLATO SPECIALE D’APPALTO - NUOVO SCHEMA PREDISPOSTO DAL COMUNE DI BRESCIA (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: Nell'ambito di una gara telematica in cui risulta già prescritta l'utilizzazione della firma digitale, è ultroneo richiedere che anche le autentiche notarili debbano avvenire mediante sottoscrizione digitale.
Il potere-dovere della stazione appaltante di chiedere un'integrazione documentale per carenze meramente formali nella documentazione.

Nell'ambito di una gara telematica in cui risulta già prescritta l'utilizzazione della firma digitale, è ultroneo richiedere che anche le autentiche notarili debbano avvenire mediante sottoscrizione digitale, senza consentire ai concorrenti di esibire una copia per immagine su supporto informatico di un atto pubblico notarile fidefacente, in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 1, c. 1, del d.lgs. n. 82/2005. Pertanto, la stazione appaltante, ove avesse avuto perplessità alla luce della documentazione fornita dal concorrente, avrebbe potuto chiedere, ex art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), la regolarizzazione dell'atto in questione, tenendo conto, peraltro, di quanto stabilito dagli artt. 1, co. 1, lett. i-ter, e 22, c. 2, del d.lgs. n. 82/2005, il quale ultimo stabilisce che "le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio".
Nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, ove la formalità richiesta non sia funzionale a garantire un apprezzabile interesse pubblico, gli oneri meramente formali affievoliscono e rilevano le dichiarazioni implicite desumibili univocamente dalla documentazione prodotta a corredo dell'offerta, con la possibilità per l'ente (in presenza di dubbi o incertezze) di richiedere ulteriori precisazioni, perché il precetto del "buon andamento" (art. 97 cost.) include anche il principio di cooperazione fra amministrazione ed amministrati. Infatti, il potere-dovere della Stazione appaltante di chiedere un'integrazione documentale (già previsto in generale dall'art. 6 della l. n. 241 del 1990), trova ormai riscontro nell'art. 46 del codice degli appalti pubblici, il quale codifica uno strumento inteso a far valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma, nell'esibizione della documentazione ai fini della procedura selettiva, onde non sacrificare l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze meramente formali nella documentazione (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 23.09.2011 n. 7527 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE PROGETTUALI - LAVORI PUBBLICIIn virtù di quanto disposto dall’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 i componenti di una Commissione giudicatrice in una gara di appalto devono essere in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, tali da poterli considerare "periti peritorum" in relazione ai concreti aspetti sui quali i medesimi devono formulare il loro giudizio, e tale capacità non può che essere desunta dal possesso di un titolo di studio adeguato e da una pregressa esperienza nel settore.
La necessità del possesso in capo ai commissari dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, anche in mancanza di una specifica previsione concernente la composizione nel dettaglio della commissione giudicatrice, costituisce un canone ispirato a criteri di logicità e ragionevolezza e riveste la natura di principio immanente nell'ordinamento generale, che risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa. Conseguentemente, è illegittima la Commissione giudicatrice composta da un ingegnere e due geometri sull’assunto che: <<Solo uno dei componenti la commissione, l’ingegnere, rivestiva la qualità di esperto nello specifico settore oggetto dell’appalto, precisando, altresì, che “i due geometri dipendenti dell’amministrazione comunale, invece, non avrebbero potuto progettare ciò su cui erano chiamati ed esprimere il proprio giudizio, non potendo essere considerati esperti nella progettazione di lavori di mitigazione del rischio idrogeologico, nel senso richiesto dall’art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, in quanto la valutazione di tale attività richiede competenze che eccedono quanto previsto dall’art. 16 del r.d. 11.02.1929, n. 274, recante il regolamento per la professione di geometra, che stabilisce proprio l’oggetto ed i limiti dell'esercizio di tale professione. In particolare tale regolamento all’art. 16, lett. q), riconosce ai geometri la possibilità di svolgere mansioni di perito comunale, ma solo per le funzioni tecniche ordinarie nei Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti, escludendo i progetti di opere pubbliche d'importanza o che implichino la risoluzione di rilevanti problemi tecnici">>.
Alla luce dell’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 e alla luce del citato regolamento
(ndr: art. 16 del r.d. 11.02.1929, n. 274) regolante i limiti all’esercizio della professione di geometra, poiché la progettazione dei lavori per la mitigazione del rischio idrogeologico costituisce un’ opera pubblica di sostanziale importanza, implicante la risoluzione di problemi tecnici di una certa complessità, due dei membri della commissione, geometri del comune, non avrebbero potuto progettare i lavori in questione e conseguentemente non avrebbero potuto essere considerati esperti nello specifico settore oggetto del contratto e idonei a poter valutare con la dovuta cognizione e preparazione i progetti presentati, perché privi del necessario titolo di studio attestante il possesso delle specifiche competenze tecniche di tipo geomorfologico, geotecniche, geologiche e idrogeologiche e conseguentemente privi dell’esperienza nel settore>>.
● Rilevato che con sentenza TAR Basilicata 17.05.2010, n. 280:
- è stato accolto il ricorso della Riunione temporanea di professionisti (R.T.P. ) Giusti, Spicciarelli, D’Amico, Palma, Di Lucchio, per l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva in favore della C & G Engineering s.r.l concernente l’affidamento dell’incarico “per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, direzione lavori e coordinamento sicurezza (d.lgs. 494/1996) in fase di progettazione e di esecuzione e direzione relativamente ai lavori di mitigazione del rischio idrogeologico in località Cornale”;
- è stato accolto il motivo di doglianza relativo al lamentato vizio nella composizione della Commissione giudicatrice, sull’assunto che in virtù di quanto disposto dall’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 i componenti di una Commissione giudicatrice in una gara di appalto devono essere in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, tali da poterli considerare "periti peritorum" in relazione ai concreti aspetti sui quali i medesimi devono formulare il loro giudizio, e tale capacità non può che essere desunta dal possesso di un titolo di studio adeguato e da una pregressa esperienza nel settore;
- è stato altresì chiarito che: <<la necessità del possesso in capo ai commissari dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, anche in mancanza di una specifica previsione concernente la composizione nel dettaglio della commissione giudicatrice, costituisce un canone ispirato a criteri di logicità e ragionevolezza e riveste la natura di principio immanente nell'ordinamento generale, che risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa (in tal senso cfr. Consiglio Stato, sez. V, 18.03.2004, n. 1408)>>;
- è stata quindi ritenuta illegittima la Commissione giudicatrice composta da un ingegnere e due geometri sull’assunto che: <<Solo uno dei componenti la commissione, l’ingegnere, rivestiva la qualità di esperto nello specifico settore oggetto dell’appalto, precisando, altresì, che “i due geometri dipendenti dell’amministrazione comunale, invece, non avrebbero potuto progettare ciò su cui erano chiamati ed esprimere il proprio giudizio, non potendo essere considerati esperti nella progettazione di lavori di mitigazione del rischio idrogeologico, nel senso richiesto dall’art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, in quanto la valutazione di tale attività richiede competenze che eccedono quanto previsto dall’art. 16 del r.d. 11.02.1929, n. 274, recante il regolamento per la professione di geometra, che stabilisce proprio l’oggetto ed i limiti dell'esercizio di tale professione. In particolare tale regolamento all’art. 16, lett. q), riconosce ai geometri la possibilità di svolgere mansioni di perito comunale, ma solo per le funzioni tecniche ordinarie nei Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti, escludendo i progetti di opere pubbliche d'importanza o che implichino la risoluzione di rilevanti problemi tecnici">>;
- è stato pertanto concluso che <<alla luce dell’art. 84, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 e alla luce del citato regolamento regolante i limiti all’esercizio della professione di geometra, poiché la progettazione dei lavori per la mitigazione del rischio idrogeologico costituisce un’ opera pubblica di sostanziale importanza, implicante la risoluzione di problemi tecnici di una certa complessità, due dei membri della commissione, geometri del comune, non avrebbero potuto progettare i lavori in questione e conseguentemente non avrebbero potuto essere considerati esperti nello specifico settore oggetto del contratto e idonei a poter valutare con la dovuta cognizione e preparazione i progetti presentati, perché privi del necessario titolo di studio attestante il possesso delle specifiche competenze tecniche di tipo geomorfologico, geotecniche, geologiche e idrogeologiche e conseguentemente privi dell’esperienza nel settore>>;
● Considerato che anche con sentenza in ottemperanza TAR Basilicata 23.03.2011, n. 221, è stato chiarito che un geometra non potesse far parte della Commissione di gara in questione e ciò era desumibile dall’affermazione che: <<le prestazioni che l’amministrazione intende far salve (progettazione preliminare e definitiva) sono frutto di una attività valutativa invalida, in quanto posta in essere da una Commissione priva della legittimazione a giudicare, poiché composta per due terzi da geometri, che non avevano, in relazione allo specifico oggetto di gara, le competenze tecniche necessarie per potere selezionare i progetti>>;
● Ritenuto, in conclusione, che:
- la formulazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, anche quando dispone che “La commissione è presieduta di norma da un dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, nominato dall’organo competente” non ha inteso privilegiare e dare priorità in senso assoluto al requisito dell'inserimento nell'organico dell'ente appaltante rispetto a quello del titolo di studio, il quale, pertanto, deve comunque essere adeguato rispetto alle prestazioni che dovranno essere valutate in sede di gara;
- tale interpretazione, contrariamente a quanto controdedotto dal Comune intimato, è corroborata dalla formulazione della disposizione in commento la quale, nel prevedere che la Commissione sia “di norma” presieduta da un dipendente della stazione appaltante (dirigente o, in mancanza, da un funzionario apicale), contempla implicitamente la possibilità che in casi eccezionali- quali quella verificatasi nella fattispecie di mancanza di professionalità adeguate nell’organico dell’ente- il Presidente sia scelto tra esperti esterni all’amministrazione;
- secondo un’interpretazione analogica per la nomina di esperti esterni con funzioni di Presidente della Commissione di gara, in caso di mancanza di professionalità adeguate tra i dirigenti o i funzionari in posizione apicale nell’ente, si applicano sempre i criteri dettati dall’art. 84, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006;
● Ritenuto, alla luce di tutto quanto sopra esposto:
- che per realizzare pienamente l’effetto conformativo della sentenza e quindi adeguare la situazione di fatto alla situazione di diritto il Comune intimato, stante la carenza in organico di adeguate professionalità, è tenuto a nominare anche il Presidente della Commissione tra professionisti esperti nella progettazione di lavori di mitigazione del rischio idrogeologico, da scegliersi tra gli appartenenti ad una delle seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo, nell’ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza;
● Considerato, in accoglimento del ricorso che:
- a norma dell’art. 114, comma 4, lett. b), del cod. proc. amm. è dichiarata la nullità della determina 31.05.2011, n. 126, nella parte in cui nomina quale componente, nella qualità di Presidente, della Commissione giudicatrice per la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento dei lavori in discorso, nuovamente un geometra nella persona del Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Episcopia;
- è assegnato all’Amministrazione resistente il termine di 30 (trenta) giorni decorrenti dalla comunicazione (o notifica) della presente sentenza per conformarsi alla statuizione contenuta nella sentenza, così come chiarito;
- può disporsi sin da ora, per il caso di ulteriore inerzia del Comune intimato, la conferma della nomina di Commissario “ad acta” nella persona del dott. Fabrizio D’Andrea, dirigente a.r. della Regione Basilicata, nato a Roma il 16.04.1940, residente in Lavello al vico 3 Leonardo da Vinci, n. 8, perché, decorsi i termini di adempimento assegnati all’Amministrazione, a semplice richiesta della parte ricorrente adotti tutti gli atti necessari a dare esecuzione, nei sensi sopraindicati, alla sentenza di cui trattasi nel termine di gg. 30 (trenta) decorrenti dalla scadenza di quelli già assegnati all’Amministrazione;
● Ritenuto, infine, che:
- l’istanza di condanna del Comune intimato al pagamento di una somma di denaro per ogni inosservanza successiva o ritardo nell’esecuzione del giudicato a norma dell’art. 114, comma 4, lett. e), è inammissibile in virtù dei principi del giusto processo di cui all’art. 2 del cod. proc. amm., in quanto non contenuta nell’atto introduttivo della presente fase di giudizio, ma formulata per la prima volta all’udienza camerale, alla quale peraltro il Comune non ha partecipato (il che non ha consentito la formazione di un pieno contraddittorio sul punto);
- non può accogliersi la domanda di condanna dell’amministrazione al pagamento di una somma di denaro ex art. 26, comma 2, cod. proc. amm., stante l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale sul “dictum” della sentenza oggetto della presente ottemperanza (TAR Basilicata, sentenza 23.09.2011 n. 479 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul potere di autocertificazioni riconosciuto al privato nelle gare di appalto.
Il potere di autocertificazione riconosciuto al privato nei casi previsti dalla legge non è svincolato da ogni controllo sulla veridicità della stessa autocertificazione da parte della P.A., la quale è tenuta a verificare la complessiva affidabilità dei concorrenti nell'aggiudicazione delle gare di appalto, anche mediante riscontro diretto dei dati del casellario giudiziario, essendo, a tal fine, il certificato richiesto da soggetti diversi dall'interessato equiparato a quello richiesto dall'interessato stesso (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 22.09.2011 n. 19364 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Rifiuto da parte della ditta interessata di stipulare il contratto di appalto al fine di ottenere condizioni contrattuali più convenienti rispetto a quelle del bando. Provvedimenti che può adottare la P.A. appaltante.
E’ legittima la determinazione con la quale la stazione appaltante:
a) ha preso atto della rinuncia all'aggiudicazione effettuata dalla ditta vincitrice di una gara di appalto;
b) ha dichiarato la sua decadenza dall'aggiudicazione;
c) ha disposto l'escussione della polizza fideiussoria e la segnalazione telematica all'Autorità di Vigilanza contratti pubblici delle generalità della ditta stessa ai fini dell'assunzione dei conseguenti provvedimenti amministrativi sanzionatori, nel caso in cui la medesima ditta, nonostante la conoscenza di tutte le circostanze e le condizioni incidenti sull'esecuzione della prestazione in gara, la consapevole e volontaria presentazione della propria domanda di partecipazione con la relativa offerta, e la prestazione della cauzione provvisoria, si sia più volte sostanzialmente rifiutata di stipulare il contratto di appalto, condizionando la stipula alla preventiva modifica delle condizioni contrattuali in senso economicamente ad essa più conveniente e/o favorevole, rispetto a quelle originariamente fissate nel bando, accettate con la domanda di partecipazione
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.09.2011 n. 1373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVa abbandonata la concezione esclusivamente "sanzionatoria" dell'incameramento della cauzione provvisoria, la quale, invece, deve essere ricostruita come garanzia della serietà e affidabilità dell'offerta che serve a dare alla stazione appaltante un ragionevole affidamento sul fatto che tutta l'attività amministrativa di scelta del contraente non sia spesa inutilmente e conduca alla stipulazione del contratto d'appalto.
La giurisprudenza amministrativa, già nella vigenza dell'articolo 30 della legge 11.02.1994 n. 109, aveva abbandonato una concezione esclusivamente "sanzionatoria" dell'incameramento della cauzione provvisoria, la quale, invece, viene ricostruita come garanzia della serietà e affidabilità dell'offerta che serve a dare alla stazione appaltante un ragionevole affidamento sul fatto che tutta l'attività amministrativa di scelta del contraente non sia spesa inutilmente e conduca alla stipulazione del contratto d'appalto (Consiglio Stato, Sez. V, 12.06.2009 n. 3746; 11.05.2009 n. 2885; 11.12.2007 n. 6362; Sez. IV, 20.07.2007 n. 4098; 30.01.2006 n. 288; Sez. V, 09.09.2005 n. 4642; 30.06.2003 n. 3866; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 24.10.2008 n. 2373; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 10.03.2010 n. 2646) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.09.2011 n. 1373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZINegli appalti di servizi non necessità la dichiarazione ex art. 38 dlgs 163/2006 da parte del direttore dei lavori, in quanto figura non obbligatoriamente prevista.
Il Collegio ritiene di dover confermare il giudizio circa la non necessità –nel caso di specie- della dichiarazione ex art. 38 dlgs 163/2006 da parte del direttore dei lavori, in quanto figura non obbligatoriamente prevista negli appalti di servizi (conseguentemente, non è illegittima la lex specialis della gara per non aver espressamente inserito l’invocata causa di esclusione) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.09.2011 n. 5321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Sulla legittimità in una gara per l'appalto di forniture della richiesta di accesso da parte del concorrente agli atti relativi all'acquisto dei medesimi prodotti effettuato dalla P.A. in economia.
In una gara per l'appalto di forniture, è legittima la richiesta di accesso da parte del concorrente agli atti relativi all'acquisto dei medesimi prodotti, effettuato dalla P.A. in economia. L'interesse alla documentazione deriva dall'essere soggetto interessato a fornire il materiale all'azienda e, quindi, a verificare le eventuali irregolarità della procedura per proporre un eventuale ricorso giurisdizionale.
Nessun rilievo ha la circostanza che si verta in materia di atti di diritto privato, e ciò in virtù di un consolidato principio, secondo cui l'accesso riguarda ogni tipologia di atto della p.a., compresi quelli regolati dalle norme privatistiche. Nel caso di specie, il concorrente, in qualità di azienda operante nel settore cui si riferisce la fornitura necessaria per la stazione appaltante, vanta un interesse a partecipare alle procedure in economia che, secondo il disposto dell'art. 125, c. 11, del d.lgs. n. 163/2006, deve essere svolta nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, qualora sussistano in tale numero soggetti idonei.
Rientrando, pertanto, la predetta società tra i soggetti idonei, la stessa vanta un interesse a verificare che i criteri di cui alla citata norma siano stati osservati; quanto detto basta per fondare un diritto all'accesso agli atti relativi alle forniture in economia. Sarà poi sufficiente presentare una nuova richiesta, per maturare il diritto ad ottenere la anche la documentazione relativa alle successive forniture in economia (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.09.2011 n. 2264 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Anche per gli esclusi accesso agli atti relativi al servizio appaltato.
Sussiste il diritto di una ditta che ha partecipato a una gara finalizzata all'aggiudicazione di un appalto di fornitura di prodotti, dalla quale e' stata esclusa e che ha impugnato gli atti della medesima gara ottenendone la sospensione in sede cautelare, di accedere agli atti relativi agli acquisti di identici prodotti, effettuati dalla P.A. in economia ex art. 125, comma 11, D.Lgs. n. 163/2006, successivamente alla suddetta sospensione cautelare.

La ricorrente, partecipante a una gara per la fornitura e relativo servizio di gestione di alcuni dispositivi farmaceutici, con precedente gravame aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione in favore di altra ditta, contestualmente chiedendone l’annullamento, previa sospensione, dello stesso.
Il menzionato provvedimento di aggiudicazione, in virtù della sussistenza di tutti i presupposti ex lege imposti, veniva sospeso dall’adito TAR.
A seguito di tale pronunciamento, l’azienda ospedaliera aveva deciso che, nelle more della decisione di merito, avrebbe provveduto a fornirsi dei dispositivi monouso con procedure in economia.
Di conseguenza, la ricorrente chiedeva di accedere a tutta la documentazione relativa agli acquisti fatti in economia per verificare l’eventuale irregolarità della procedura e promuovere un nuovo ricorso; accesso, tuttavia, che veniva negato sulla scorta della considerazione per cui per la procedura in economia si sarebbe applicato il principio di rotazione e la documentazione non era di interesse della ricorrente in quanto non inerente al ricorso presentato avverso l’aggiudicazione.
Avverso quest’ultimo provvedimento è insorta la ditta, la quale ha eccepito la violazione degli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990, del principio di trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione, nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione e illogicità manifesta; in particolare ha evidenziato come la richiesta di accedere alla documentazione relativa agli acquisti in economia era legittima anche solo sulla base della qualità di azienda operante nel settore, avendo una legittima aspirazione a essere interpellata.
Peraltro, l’azienda sanitaria aveva equivocato il tenore della richiesta poiché era stata intesa come esplorativa dei rapporti commerciali con la ditta aggiudicataria della gara sospesa, mentre invero riguardava gli acquisti effettuati con qualsiasi soggetto.
Difatti, la ricorrente ha sottolineato come l’interesse alla documentazione era derivato dall’essere soggetto interessato a fornire il materiale all’azienda e, così, diretto a verificare le eventuali irregolarità della procedura per proporre un ricorso giurisdizionale; di converso, a suo avviso, nessun rilievo aveva la circostanza che si trattasse di atti di diritto privato, stante il consolidato principio per cui l’accesso può riguardare ogni tipologia di atto della P.A., compresi gli atti di diritto privato.
Costituitasi in giudizio, l’Azienda Ospedaliera eccepiva, in via preliminare, la litispendenza esistente rispetto ad analoga istanza presentata dalla ricorrente con atto motivi aggiunti nel giudizio avverso l’aggiudicazione della gara per la fornitura dei dispositivi monouso.
Il Collegio di Milano in primis ha rigettato la predetta eccezione in rito in quanto ritenuta non fondata.
Sul punto ha evidenziato come dall’esame del ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito del gravame principale avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, non era stata rilevata l’esistenza di una richiesta di annullamento dell’impugnato provvedimento di diniego dell’accesso.
Nel merito, ha poi accolto il ricorso.
Ha sottolineato, difatti, come la società ricorrente, quale azienda operante nel settore cui si riferiva la fornitura di quella resistente, vantava un interesse a partecipare alle procedure in economia che, ai sensi dell’art. 125, comma 11, D.Lgs. n. 163/2006, doveva essere svolta nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici.
Sicché, rientrando la società tra i soggetti idonei, è apparso evidente al TAR come la ditta aveva un interesse a verificare che i criteri di cui al citato comma 11 dell’art. 125 cit. erano stati osservati: tanto, a opinione del giudicante, era sufficiente per fondare un diritto all’accesso agli atti relativi alle forniture in economia.
Di converso, ha ritenuto non pertinenti gli argomenti della stazione appaltante riferiti a precedenti giurisprudenziali tesi a dimostrare la mancanza di un interesse della ricorrente a ottenere l’accesso; ha precisato sul punto come il fatto che l’ente pubblico non dovesse motivare in modo puntuale la ragione per cui non aveva ritenuto di estendere al precedente affidatario l’invito a partecipare a procedure negoziate, non giustificava l’impugnato diniego di accesso agli atti.
Alla stregua di quanto illustrato, il G.A. lombardo ha accolto il gravame, contestualmente riconoscendo il diritto della ditta ad accedere ai documenti antecedenti la fornitura in economia, facendo comunque salvo il diritto della medesima presentare una nuova istanza di accesso per quelli adottati successivamente alla predetta fornitura (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.09.2011 n. 2264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare d'appalto e libera concorrenza.
Domanda.
Qual è la portata del principio della libera concorrenza nelle gare d'appalto pubblico?
Risposta.
Nelle gare d'appalto pubblico opera il principio della libera concorrenza. Tale principio trova applicazione, in primo luogo, nella fase della determinazione del contenuto del contratto oggetto di gara (con particolare riferimento all'individuazione delle prestazioni richieste), quindi, in caso di gara per l'affidamento di un appalto di fornitura, sussiste il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indicano prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, comma 3, lettera a), del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163).
Divieto che può essere derogato inserendo nel bando la menzione "o equivalente", che è però autorizzata solo quando le Amministrazioni non possano fornire una descrizione dell'oggetto dell'appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o formulando la "lex specialis" in termini funzionali (art. 68, comma 3, lettera b) e lettera c), del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163).
Il principio di equivalenza ha infatti la funzione di garantire e promuovere la maggior apertura concorrenziale tanto nell'ambito del singolo procedimento di affidamento (il che si collega col tradizionale principio del favor partecipationis nelle gare pubbliche), quanto nel generale mercato degli appalti pubblici ed è riconosciuto esplicitamente, sul piano legislativo, dai commi 4 e 7 dell'art. 68 del Codice dei Contratti Pubblici (20.09.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: P. Leozappa, IL DIVIETO DI RIBASSO D’ASTA SUL COSTO DEL LAVORO - Intervento al Convegno: Il decreto sviluppo è legge. Con modifiche, e quindi con problemi applicativi - organizzato da IGI in Roma il 20.09.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: G. Guidarelli, IL REGIME DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI DI IMPORTO INFERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA NEL SETTORE DELLA GESTIONE DELLE INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI, TRA CODICE DEI CONTRATTI E REGOLAMENTAZIONE INTERNA ALLA STAZIONE APPALTANTE - articolo estratto e aggiornato dalla Rivista Trimestrale degli Appalti, n. 4/2010, 1181-1223 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: G. Marchianò, L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO E LA FINANZA DI PROGETTO: UN METODO ALTERNATIVO DI ANALISI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: Se la stazione appaltante ci ripensa scatta la responsabilità precontrattuale.
Sussiste la responsabilità precontrattuale di un Comune, che abbia proceduto alla revoca di una procedura di gara a distanza di lungo tempo dalla pubblicazione del bando, e successivamente alla fase di valutazione delle offerte tecniche. L'illiceita' riferibile al comportamento complessivo dell'Amministrazione, che assume, con ingiustificato ritardo, una pur legittima determinazione di revoca della gara, violando l'affidamento dei concorrenti.
Il Comune di Apricena indiceva una gara per l'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani ed assimilati, raccolta differenziata, spazzamento stradale ed altri servizi accessori nel territorio comunale.
Successivamente, dopo ben nove mesi, quando la procedura di gara era giunta alla fase di valutazione delle offerte tecniche, il Comune, con deliberazione di Giunta, forniva al dirigente competente l'indirizzo di revocare il bando, sulla base della seguente motivazione: "... Atteso che in sede di predisposizione dell'erigendo bilancio 2008 ed a seguito di una attenta comparazione dei costi e dei relativi benefici si è ravvisata la insostenibilità dei relativi costi, tenuto anche in considerazione l'aumento di spesa per il conferimento in discarica, attualmente ancora quella di Deliceto, non sbloccandosi la situazione connessa all'individuazione e realizzazione di un nuovo sito di conferimento più vicino".
Sulla base di tale indirizzo, il dirigente revocava il bando e l'indetta gara e procedeva all'indizione di una nuova gara.
L'impresa A. srl, ammessa alla prima gara, impugna il provvedimento di revoca, lamentando di aver subito un danno, a titolo di responsabilità precontrattuale, in conseguenza del provvedimento medesimo.
In buona sostanza, l'impresa evidenzia che il Comune non si è comportato da corretto contraente, cagionando un danno, correlato alle spese sostenute per la partecipazione alla gara, alla perdita di altre occasioni contrattuali ed alla mancata qualificazione in vista della partecipazione ad altre gare del medesimo settore.
In linea generale e sintetica, l'autotutela può essere definita come la speciale capacità riconosciuta dall'ordinamento alla Pubblica Amministrazione di attuare, autoritativamente, le proprie determinazioni, dirette al perseguimento di interessi pubblici, di difendere da se stessa i propri beni, e di effettuare, soprattutto, un riesame critico della propria attività provvedimentale.
Ciò in vista dell'esigenza di assicurare il più efficace perseguimento dei pubblici interessi.
Nel settore dei pubblici contratti, per costante ed univoca giurisprudenza, ed in conformità ai presupposti ora illustrati, l'amministrazione può procedere al riesame, all'annullamento d'ufficio ed alla revoca degli atti adottati.
La giurisprudenza medesima, tuttavia, evidenzia l'assoluta necessità che i provvedimenti di autotutela contengano un'esplicita ed esaustiva motivazione, illustrante le ragioni di pubblico interesse, che stanno a fondamento dell'agire amministrativo in sede di ritiro.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II, nell'importante sentenza 07.07.2006 n. 5540, aderisce pienamente all'unanime indirizzo giurisprudenziale, ponendo, correttamente e giustamente, in evidenza i seguenti profili di motivazione:
a) la revoca deve essere preceduta dall'avvio di specifico procedimento;
b) la revoca "non può assumere la forma implicita", ma deve essere congruamente esplicitata;
c) la stazione appaltante deve puntualmente motivare la revoca;
d) la motivazione dell'atto di revoca non può desumersi per relationem dalla documentazione predisposta per la nuova procedura di gara, successivamente indetta;
e) occorre effettuare, in sede di provvedimento di revoca, la comparazione dei vari interessi in gioco, tale da giustificare il ritiro degli atti di gara.
Ora, il Tar Lazio, nella pronuncia in esame, prende in considerazione un aspetto intimamente connesso alla revoca del bando e della gara: la possibile presenza di effetti civilistici di responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante, pur in presenza di un legittimo "ripensamento" della medesima.
Primariamente, il Tar ricorda che costituisce solido principio la considerazione, secondo la quale la legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell'Amministrazione, con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza, nell'ambito del procedimento di gara medesimo.
A tal riguardo, va osservato che l'espressa previsione, contenuta nell'art. 21-quinquies, L. n. 241 del 1990, dell'obbligo di indennizzare il privato, per eventuali pregiudizi subiti in conseguenza della revoca, non fa venir meno la possibile responsabilità della stazione appaltante per violazione dell'obbligo di buona fede nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto.
Fra l'altro, non può costituire impedimento al riconoscimento della responsabilità precontrattuale della stazione appaltante la mancata impugnazione del provvedimento di revoca, purché sia provato che l'elusione delle aspettative della società ricorrente, seppure non intenzionale, è colposa e contraria ai canoni di correttezza e buona fede nella formazione del contratto.
Pertanto, secondo i giudici amministrativi pugliesi, la responsabilità precontrattuale per la revoca della gara può sempre ritenersi configurabile, allorquando il pubblico interesse, cui è istituzionalmente legato l'ente, venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà e buona fede.
In tal modo, anche in presenza di un legittimo provvedimento di revoca, può residuare e sussistere un profilo di responsabilità precontrattuale, con connesso obbligo di risarcimento del danno, in ragione dei legittimi affidamenti suscitati in favore degli operatori economici partecipanti alla gara.
Chiariti tali noti principi, il Tar procede ad affrontare la delicata questione della necessarietà o meno della presenza della colpa, ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale.
In altri termini, ai fini di tale responsabilità, occorre la sussistenza di una condotta colposa in capo alla stazione appaltante?
In merito, il Tar ricorda che la giurisprudenza comunitaria ha, di recente, escluso la necessità di accertare la componente soggettiva dell'illecito, sulla base della considerazione che le direttive comunitarie in materia di ricorsi sono contrarie ad una normativa processuale nazionale, che subordini il diritto ad ottenere il risarcimento al carattere colpevole di una data condotta posta in essere dalla stazione appaltante.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la recente sentenza 24.02.2011 n. 1193, ha recepito tale orientamento, ritenendo che non vi è alcuna necessità di accertare la componente soggettiva dell'illecito.
Tuttavia, i giudici amministrativi pugliesi ritengono di discostarsi dall'autorevole precedente, in quanto "la nuova regola della responsabilità oggettiva in materia di appalti pubblici deve trovare applicazione puntuale e rigorosa per il solo ambito indicato dal giudice comunitario, senza possibilità di effetto espansivo ad ogni fenomeno di condotta illecita posta in essere dall'Amministrazione".
Di conseguenza, occorre procedere all'analisi puntuale delle condotte poste in essere dalla stazione appaltante, in quanto appare evidente, prima facie, che l'illiceità civile è riferibile al comportamento complessivo dell'Amministrazione, che ha assunto, con ingiustificato ritardo, una pur legittima determinazione di revoca della gara, violando l'affidamento dei concorrenti.
Pertanto, venendo alla concreta fattispecie, il Tar rileva che il Comune ha adottato la deliberazione giuntale di revoca a distanza di ben nove mesi dalla pubblicazione del bando di gara.
Ora, non può non apparire evidente che il decorso di un tempo così lungo costituisce, di per sé, sintomo di negligenza e di cattiva amministrazione, dal momento che le procedure di gara devono essere gestite e poste in conclusione con ragionevole celerità, evitando inutili rallentamenti.
Ciò, anche al fine di evitare che eventi sopravvenuti possano alterare le condizioni tecnico-economiche fissate nei bandi e capitolati di gara. Inoltre, i giudici osservano che le motivazioni, poste a fondamento della revoca, riguardano aspetti di convenienza economica e di sostenibilità dei costi, che potevano, verosimilmente, già essere ben noti, facendo uso di normale diligenza.
In altri termini, il provvedimento di revoca non presenta alcun evento nuovo ed imprevedibile, non imputabile all'ente ed idoneo ad incidere realmente sulla fattibilità economica dell'affidamento. Fra l'altro, in una recente sentenza in tema di revoca dell'aggiudicazione provvisoria, il TAR Lazio-Roma (Sez. II, sentenza 19.09.2011 n. 7428) si è intrattenuto proprio sulla carenza motivazionale del provvedimento deliberativo, affermando che "in materia di contratti pubblici, dopo la pronuncia dell'aggiudicazione provvisoria, l'emanazione del provvedimento di revoca, da parte della Pubblica amministrazione, deve essere condizionata da limiti rigorosi ed assistita da maggior cautela.
Ciò, in nome dei principi di tutela dell'affidamento e della certezza del diritto nei traffici
".
I giudici amministrativi pugliesi non trascurano, affatto, l'esame della motivazione di revoca e rilevano che manca l'illustrazione del "nesso causale tra l'asserito maggior costo per il conferimento nella discarica di Deliceto e la decisione del Comune di abbandonare la gara in corso per la selezione del concessionario del servizio di igiene urbana".
Pertanto, in presenza di una chiara condotta colpevole, è indubbia la responsabilità precontrattuale del Comune, con conseguente condanna alle spese effettivamente sostenute in vista della conclusione dell'affare (danno emergente) ed alle occasioni contrattuali perse per aver confidato nell'impegno assunto (lucro cessante) (commento tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici e autotutela della pubblica amministrazione: limiti di esercizio più rigorosi.
In materia di contratti pubblici, dopo la pronuncia dell’aggiudicazione provvisoria, l’emanazione del provvedimento di revoca da parte della pubblica amministrazione deve essere condizionata da limiti più rigorosi ed assistita da maggior cautela. Ciò in nome dei principi di tutela dell’affidamento e della certezza del diritto nei traffici.
In tali termini si è espresso il TAR Lazio-Roma, Sez. II, nella sentenza 19.09.2011 n. 7428.
Il legittimo affidamento, si chiarisce, postula la necessità di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità dell’atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite da questo. Secondo consolidata giurisprudenza, può considerarsi legittimo il travolgimento di tali posizioni solo se esso è giustificato dalla necessità di assicurare il soddisfacimento di un interesse, pubblico, di carattere generale e, come tale, prevalente sulle posizioni individuali, dandone adeguato conto nella motivazione del provvedimento di rimozione, affinché ne sia consentito il controllo di legittimità in sede giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, sent. 5444/2003).
Non può, pertanto, l’amministrazione, sulla semplice scorta di una nuova valutazione di opportunità, decidere di revocare in autotutela il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, posto che la procedimentalizzazione pubblicistica delle trattative preliminari ha la funzione:
a) di vincolare via via sempre più (e sempre più specificamente) l’Amministrazione, al fine di evitare che il potere amministrativo si traduca in arbitrio (e di assicurare che la nascita dell’obbligazione a suo carico sorga in forza di regole “ad evidenza pubblica” o atte ad assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione pubblica);
b) e non già di creare un sistema nel quale solamente il contraente privato sia assoggettato ad obblighi.
E che, pertanto, ritiene il collegio, i provvedimenti con cui si chiudono le varie fasi sub-procedimentali sono costitutivi di effetti obbligatori a carico la della pubblica amministrazione, né più né meno di come opererebbero veri e propri contratti preliminari.
Nel caso di specie, viene conseguentemente dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento in conformità e coerenza con le precedenti fasi, tenuto conto dell’intervenuta aggiudicazione provvisoria e del conseguente avvenuto perfezionamento dell’obbligazione di alienare l’immobile alla sola condizione dell’esito positivo delle verifiche relative alla sussistenza, in capo all’offerente (promissario acquirente) dei requisisti previsti dal bando (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le regole contenute nella lex specialis di una gara pubblica devono considerarsi vincolanti non solo per i partecipanti, ma anche per la stessa Amministrazione appaltante, che non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, non potendo disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva la sola possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento del bando. Orbene, siffatto rigore formale risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità, e per altro verso alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa, nonché la parità di condizioni tra i concorrenti. Ne deriva che solo in presenza di una equivoca formulazione della lettera di invito o bando di gara può ammettersi una interpretazione diversa da quella letterale.
In materia di appalti pubblici, la lex specialis vincola la stazione appaltante anche laddove, successivamente, si riveli incongruamente formulata. In ordine all'interpretazione delle clausole del bando, si rileva come sia necessario dare prevalenza alle espressioni letterali contenutevi, escludendo ogni procedimento ermeneutico in funzione integrativa diretto ad evidenziare pretesi significati e ad ingenerare incertezze nell'applicazione, con la conseguenza che il significato oggettivo delle espressioni testuali adoperate deve prevalere sull'intenzione soggettiva della stazione appaltante. E', dunque, preclusa, a garanzia della certezza e dell'imparzialità dell'Amministrazione, qualsiasi diversa esegesi delle clausole in parola.
Questo Consiglio ha da tempo osservato che le regole contenute nella lex specialis di una gara vincolano non solo i concorrenti, ma anche la stessa Amministrazione, che non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, non potendo disapplicarle neppure nel caso in cui talune di esse risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva la sola possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento del bando. Il rigore formale che caratterizza la disciplina delle procedure di gara risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità, e per altro verso alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti, da ciò scaturendo la conseguenza che solo in presenza di una equivoca formulazione della lettera di invito o bando di gara può ammettersi una interpretazione diversa da quella letterale (cfr. C.d.S., V, 02.08.2010, n. 5075).
Le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara, delle quali va preclusa qualsiasi esegesi non giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato; parimenti, si devono reputare comunque preferibili, a tutela dell'affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle previsioni da chiarire, evitando che il procedimento ermeneutico conduca all'integrazione delle regole di gara palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale (C.d.S., IV, 05.10.2005, n. 5367; V, 15.04.2004, n. 2162).
Nell'interpretazione delle clausole del bando per l'aggiudicazione di un contratto della P.A. deve darsi, pertanto, prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute, escludendo ogni procedimento ermeneutico in funzione integrativa diretto ad evidenziare pretesi significati e ad ingenerare incertezze nell'applicazione (C.d.S., V, 30.08.2005, n. 4413).
Tutte le disposizioni che in qualche modo regolano i presupposti, lo svolgimento e la conclusione della gara, siano esse contenute nel bando ovvero nella lettera d'invito e nei loro allegati (capitolati, convenzioni e simili), concorrono a formarne la disciplina e ne costituiscono, nel loro insieme, la lex specialis, per cui, in caso di oscurità ed equivocità, un corretto rapporto tra Amministrazione e privato, che sia rispettoso dei principi generali del buon andamento dell'azione amministrativa e di imparzialità e di quello specifico enunciato nell'art. 1337 c.c. (dovere di buona fede delle parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto), impone che di quella disciplina sia data una lettura idonea a tutelare l'affidamento degli interessati, interpretandola per ciò che essa espressamente dice, e restando il concorrente dispensato dal ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati (C.d.S., V, 01.03.2003, n. 1142).
La formulazione della lettera di invito non può essere interpretata sulla base delle intenzioni della stazione appaltante, ma deve essere letta secondo il suo significato oggettivo (VI, 04.08.2006, n. 4764).
I canoni di interpretazione di una lettera di invito, così come delle clausole dei bandi di concorso, non sono quelli delle fonti indicate negli art. 12 ss. delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, bensì quelli desunti dagli art. 1362 ss. del codice anzidetto, attesa la natura della volontà espressa, assumibile nella nozione generale del negozio giuridico. Non trova applicazione neppure la c.d. interpretazione autentica, quale quella derivante da precisazioni postume (V, 10.01.2007, n. 37; VI, 17.12.2008, n. 6281).
In sintesi, dunque:
- la Stazione appaltante è vincolata dalla lex specialis che si è data, anche ove –per ipotesi- questa abbia a rivelarsi, remelius perpensa, incongruamente formulata;
- nell'interpretazione delle clausole del bando deve darsi prevalenza alle espressioni letterali contenutevi, escludendo ogni procedimento ermeneutico in funzione integrativa diretto ad evidenziare pretesi significati e ad ingenerare incertezze nell'applicazione, palesando significati non chiaramente desumibili dalla lettura della formulazione del bando;
- il significato oggettivo delle espressioni testuali adoperate prevale sull’intenzione soggettiva della Stazione appaltante;
- a garanzia della certezza e dell’imparzialità dell’Amministrazione, va preclusa qualsiasi diversa esegesi delle clausole del bando, che non sia giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.09.2011 n. 5282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le regole contenute nella lex specialis di gara vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa Amministrazione.
Il concorrente non può ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati della disciplina di gara.

Le regole contenute nella lex specialis di gara vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa Amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, non potendo disapplicarle neppure nel caso in cui esse risultino inopportunamente formulate, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento del bando. Il rigore formale che caratterizzante la disciplina delle procedure di gara risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità, e per altro verso alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la par condicio tra i concorrenti; pertanto, solo in presenza di un'equivoca formulazione della lettera di invito o bando di gara, può ammettersi un'interpretazione diversa da quella letterale. Nell'interpretazione delle clausole del bando per l'aggiudicazione di un contratto della P.A. deve darsi, dunque, prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute, escludendo ogni procedimento ermeneutico in funzione integrativa diretto ad evidenziare pretesi significati e ad ingenerare incertezze nell'applicazione.
Tutte le disposizioni che regolano i presupposti, lo svolgimento e la conclusione della gara, concorrono a formarne la disciplina e ne costituiscono, nel loro insieme, la lex specialis, per cui, in caso di oscurità ed equivocità, un corretto rapporto tra P.A. e privato, che sia rispettoso dei principi generali del buon andamento dell'azione amministrativa e di imparzialità, nonché del dovere di buona fede delle parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, ex art. 1337 c.c., impone che di quella disciplina sia data una lettura idonea a tutelare l'affidamento degli interessati, interpretandola per ciò che essa espressamente dice, e restando il concorrente dispensato dal ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.09.2011 n. 5282 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: È nulla la clausola che violi la disciplina legislativa sulla revisione dei prezzi di gara.
In questa pronuncia, il principale argomento addotto dalla ditta ricorrente, affidataria dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione e trasformazione di due edifici della ex struttura ospedaliera cittadina, riguardava una clausola, in sé alquanto ambigua: essa veniva intesa dall’appaltatore nel senso che il Comune si sarebbe impegnato ad assicurare una revisione dei prezzi retroattiva.
I giudici del Consiglio di Stato osservano, tuttavia, che una simile interpretazione comporterebbe la nullità della clausola per violazione della disciplina legislativa dell’istituto revisionale, regime le cui previsioni, non sono derogabili dall’autonomia privata. Gli stessi giudici rammentano, infatti, che l’art. 33 della L 28/02/1986 n. 41, dopo avere escluso la possibilità di procedere alla revisione dei prezzi per i lavori relativi ad opere pubbliche aventi durata inferiore all'anno, per quelli aventi durata superiore ammette la revisione (a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione, e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell'intera anticipazione ricevuta) quando, però, l'Amministrazione riconosca che l'importo complessivo della prestazione sia aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento “per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa”.
I giudici di Palazzo Spada, inoltre, sottolineano come un uniforme orientamento giurisprudenziale escluda in materia di revisione prezzi la derogabilità della regolamentazione legale, alla quale viene riconosciuta valenza imperativa.
Ad esempio, nella pronuncia Cass. Civ., I, 24.02.1994, n. 1876, si legge quanto segue: “L'art. 2 della L. n. 37 del 1973 dispone: "... la facoltà di revisione dei prezzi è ammessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto contrario o in deroga": vuol dire che, a decorrere almeno dalla data di entrata in vigore di questa legge, la facoltà (ora soppressa ex art. 3 d.l. 333/1992, convertito nella L. 359/1992) dell'amministrazione appaltante (o concedente) di procedere alla revisione dei prezzi non ammetteva, sotto qualsiasi profilo, deroghe pattizie, nel senso, esplicitando, che la revisione non poteva essere preventivamente esclusa o, all'opposto, resa obbligatoria (Cass. 5333/1980, Cass. 4288/1992, Cass. 4088-1985, Cass. 4099/1987), né essere regolata con modalità difformi, in tutto o in parte, dal regime legale.
Di qui la nullità (attesa la pacifica imperatività della norma sotto esame) delle pattuizioni derogative (sostituite, perciò, di diritto, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina legale), quale che ne fosse il contenuto e, quindi, anche se attinenti non all'an ma al quantum della revisione e, in particolare, alla base del relativo computo, dato che l'art. 2 cit., rinviando, senza distinzione alcuna, alle norme (tutte) che regolavano l'istituto, non consentiva di degradare a norme dispositive quelle riguardanti il modo di determinare l'importo revisionale, …
” (tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.09.2011 n. 5280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Per legittimare l'adozione dell'informativa prefettizia è sufficiente che emergano elementi indiziari che considerati nell'insieme rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento interdittivo, comporta che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza.

- L'informativa sulla sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa che, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 08.08.1994 n. 490 e dell'art. 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, preclude la stipulazione di contratti con le pubbliche amministrazioni, non presuppone l'accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell'impresa sospettata, essendo sufficiente che dalle informazioni, acquisiste tramite gli organi di polizia, si evinca un quadro indiziario sintomatico del pericolo di collegamento tra l'impresa e la criminalità organizzata. A legittimare l'adozione dell'informativa prefettizia è pertanto sufficiente che, ad esito della istruttoria, emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali.
Il parametro valutativo di tali elementi indiziari non è dunque quello della certezza, ma quello della qualificata probabilità di infiltrazione mafiosa e nel rendere le informazioni richieste dal comune ai sensi dell'art. 10, c. 7, lett. c), d.P.R. 03.06.1998 n. 252, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
- L'ampiezza dei poteri di accertamento giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento interdittivo, comporta che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, che tuttavia, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, o comunque per la colleganza, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose. In sostanza non si postula quale condizione per l'applicabilità delle disposizioni in parola, che ci si trovi al cospetto di una impresa criminale posseduta o gestita o controllata da soggetti dediti ad attività criminali, ma che vi sia la possibilità che essa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità.
Pertanto, la circostanza che, nel caso di specie, vi sia un collegamento economico legato a partecipazione societarie tra soggetti incensurati e soggetti facenti parte o comunque nell'orbita di sodalizi criminali, con le connesse frequentazioni e relazioni interpersonali, è indicatore tipico di rischio di infiltrazioni mafiose nell'impresa, rilevanti ai fini della adozione della interdittiva antimafia, potendosi desumere, secondo dati di comune esperienza, non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari della impresa, ma una effettiva possibilità o meglio un rischio che tale ingerenza sussista (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.09.2011 n. 5262 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Deve essere escluso da una gara il concorrente che abbia redatto l'offerta in modo difforme dal disciplinare di gara.
Secondo un consolidato principio giurisprudenziale, è legittima e doverosa il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia redatto l'offerta in modo difforme dal disciplinare di gara il quale, prescrivendo l'indicazione del ribasso percentuale in cifre ed in lettere, sancisca espressamente l'esclusione in caso di violazione di tale onere formale, non essendo consentito alla commissione di ammettere l'offerta difforme attraverso un'illegittima disapplicazione della lex specialis della procedura, con conseguente violazione della par condicio dei concorrenti.
Nell'ottica del favor partecipationis e del superamento di prassi eccessivamente formalistiche, la giurisprudenza ha affermato che la circostanza che un concorrente, in sede di presentazione dell'offerta, abbia indicato soltanto in cifre e non anche in lettere la percentuale di ribasso, non può costituire motivo di esclusione dalla gara, laddove l'offerta economica contenga comunque la doppia indicazione, in cifre e in lettere, di tutti i singoli prezzi unitari, sì che non possa ingenerarsi alcuna incertezza sulla consistenza dell'offerta stessa.
Ne consegue che, nel caso di specie, poiché il raggruppamento ricorrente ha del tutto omesso di indicare i prezzi in lettere, così violando la chiara previsione del disciplinare di gara, che non è suscettibile di interpretazione diversa da quella letterale, l'Amministrazione avrebbe dovuto senz'altro disporne l'esclusione (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 19.09.2011 n. 1370 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIE' legittima e doverosa l’esclusione dell’impresa che abbia redatto l’offerta in modo difforme dal disciplinare di gara che, prescrivendo l’indicazione del ribasso percentuale in cifre ed in lettere, sancisca espressamente l’esclusione in caso di violazione di tale onere formale, non essendo consentito alla commissione di gara di ammettere l’offerta difforme attraverso un’illegittima disapplicazione della lex specialis della procedura, con violazione della par condicio dei concorrenti.
Nell’ottica del favor partecipationis e del superamento di prassi eccessivamente formalistiche, la giurisprudenza ha affermato che la circostanza che un concorrente, in sede di presentazione dell’offerta, abbia indicato soltanto in cifre e non anche in lettere la percentuale di ribasso, non può costituire motivo di esclusione dalla gara, laddove l’offerta economica contenga comunque la doppia indicazione, in cifre e in lettere, di tutti i singoli prezzi unitari, sì che non possa ingenerarsi alcuna incertezza sulla consistenza dell’offerta stessa. Ma, nel caso in esame, il raggruppamento ricorrente ha del tutto omesso di indicare i prezzi in lettere, così violando la chiara previsione del disciplinare di gara, che non è suscettibile di interpretazione diversa da quella letterale, con l’effetto che l’Amministrazione avrebbe dovuto senz’altro disporne l’esclusione.

Ai sensi dell’art. 2.5 del disciplinare di gara, l’offerta economica doveva “… riportare, pena esclusione, tutte le indicazioni di prezzo, in cifre e in lettere, sulla base di quanto indicato nell’allegato G”.
Nell’allegato G il corrispettivo offerto dai concorrenti era scomposto in un analitico elenco di sottovoci di spesa unitarie, per ciascuna delle quali doveva essere formulata una specifica proposta, risolvendosi così (per la componente economica) in una vera e propria offerta per prezzi unitari.
Secondo la lex specialis di gara, dunque, l’indicazione in lettere dei prezzi unitari era elemento essenziale dell’offerta economica, tesa preservarne la chiarezza per il caso di eventuali equivocità nell’indicazione dei prezzi unitari in cifre.
Secondo un principio già affermato da questa Sezione, è legittima e doverosa l’esclusione dell’impresa che abbia redatto l’offerta in modo difforme dal disciplinare di gara che, prescrivendo l’indicazione del ribasso percentuale in cifre ed in lettere, sancisca espressamente l’esclusione in caso di violazione di tale onere formale, non essendo consentito alla commissione di gara di ammettere l’offerta difforme attraverso un’illegittima disapplicazione della lex specialis della procedura, con violazione della par condicio dei concorrenti (così TAR Puglia, Bari, sez. I, 02.04.2003 n. 1543).
Né rileva, in senso contrario, la giurisprudenza invocata in sede di replica dalla difesa di parte ricorrente (Cons. Stato, sez. V, 10.11.2003 n. 7134; Id., sez. V, 01.03.2005 n. 778), che a ben vedere è riferita a fattispecie nelle quali il bando di gara, diversamente che nella procedura qui esaminata, comminava l’esclusione in termini generici ed onnicomprensivi per tutti gli adempimenti formali relativi al confezionamento dell’offerta.
Del resto, proprio nell’ottica del favor partecipationis e del superamento di prassi eccessivamente formalistiche, la giurisprudenza ha affermato che la circostanza che un concorrente, in sede di presentazione dell’offerta, abbia indicato soltanto in cifre e non anche in lettere la percentuale di ribasso, non può costituire motivo di esclusione dalla gara, laddove l’offerta economica contenga comunque la doppia indicazione, in cifre e in lettere, di tutti i singoli prezzi unitari, sì che non possa ingenerarsi alcuna incertezza sulla consistenza dell’offerta stessa (così, in termini del tutto condivisibili, Cons. Stato, sez. VI, 15.01.2004 n. 106).
Ma, nel caso in esame, il raggruppamento ricorrente ha del tutto omesso di indicare i prezzi in lettere, così violando la chiara previsione del disciplinare di gara, che non è suscettibile di interpretazione diversa da quella letterale, con l’effetto che l’Amministrazione avrebbe dovuto senz’altro disporne l’esclusione (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 19.09.2011 n. 1370 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: M. Lombardo, La governance delle società a controllo pubblico: riflessioni a margine della nuova disciplina normativa dei servizi pubblici locali (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: F. Scura, La "nuova" disciplina dei servizi pubblici locali nella "manovra di Ferragosto" (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Linee di indirizzo per la progettazione delle opere di difesa del suolo in Regione Lombardia (Regione Lombardia, settembre 2011).

APPALTI: C. Rapicavoli, Nuove disposizioni in materia di convenzioni CONSIP e DURC (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla validità di eventuali comunicazioni a mezzo fax, da parte della stazione appaltante, al numero indicato dai concorrenti in sede di gara.
La comunicazione a mezzo fax ad un numero indicato espressamente da un concorrente in sede di gara al fine di ricevere la documentazione riguardante la procedura d'appalto, è strumento pienamente idoneo a garantire l'effettività della comunicazione stessa.
Inoltre, non è necessaria di un'esplicita previsione del bando di gara in tal senso, essendo ormai principio pacifico che trattasi di uno strumento di comunicazione ammissibile in via ordinaria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.09.2011 n. 5213 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'associazione per cooptazione, già contemplata dall'art. 23 del D.Lgs. n. 406 del 1991, consente di far partecipare all'appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 dell'art. 95 del D.P.R. n. 554 del 1999, purché l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate non superino il 20% dell'importo complessivo dei lavori.
Il ricorso alla cooptazione, essendo un istituto di carattere speciale che abilita un soggetto, privo dei prescritti requisiti di qualificazione (e, dunque, di partecipazione), alla sola esecuzione dei lavori oggetto di gara pubblica nei limiti del 20%, in deroga alla disciplina vigente in tema di qualificazione SOA, deve necessariamente scaturire da una dichiarazione espressa ed inequivoca del concorrente, onde evitare che un uso improprio consenta l'elusione della disciplina inderogabile, in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica. Ne consegue che, in assenza di una espressa ed inequivoca dichiarazione di cooptazione, deve senz'altro ritenersi sussistere un'associazione temporanea di imprese (orizzontale o verticale), anziché la cooptazione.

Correttamente il primo giudice ha premesso, in punto di diritto, come nella giurisprudenza amministrativa la cd. “associazione per cooptazione” già contemplata dall’art. 23 d.lgs. n. 406/1991 (su cui cfr. Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129 e Id., 25.07.2006, n. 4655), si caratterizzi per la possibilità di far partecipare all’appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 dell’art. 95 d.p.r. 554/1999, purché l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate non superino il 20% dell’importo complessivo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10.09.2009, n. 5161).
In particolare -mentre parte della giurisprudenza opina che la possibilità dell’impresa singola o delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 95 citato, di associare, nei modi di cui al comma 4, altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, sia insita nello stesso dettato normativo che impone alle imprese cooptate il solo obbligo della qualificazione e il solo limite percentuale delle opere (in termini, Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129)– appare senz’altro preferibile ribadire (in conformità al più recente orientamento: per tutte cfr. Cons. Stato n. 5161/2009 cit.) come tale possibilità sia, piuttosto, subordinata ad un’espressa ed inequivoca dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara, in assenza della quale è da ritenere sussistente la figura (di carattere generale) dell’associazione temporanea (orizzontale o verticale) prevista dai commi 2 e 3. E ciò sia in osservanza della par condicio fra i partecipanti alla gara (non potendosi costringere l’Amministrazione a verificare tutte le ipotesi interpretative in astratto consentite dalla normativa vigente, al fine di ricondurvi la tipologia realizzata da taluno dei concorrenti) sia in considerazione del diverso grado di impegno, responsabilità e garanzia dei partecipanti alla riunione (che vale a differenziare significativamente le due fattispecie associative in considerazione) cui si riconnette un diverso onere di dimostrazione del possesso dei requisiti di qualificazione.
La cooptazione, infatti, è un istituto di carattere speciale che abilita un soggetto, privo dei prescritti requisiti di qualificazione (e, dunque, di partecipazione), alla sola esecuzione dei lavori nei limiti del 20%, in deroga alla disciplina vigente in tema di qualificazione SOA.
Il soggetto cooptato pertanto, come esattamente rilevato dell’appellante:
- non può acquistare lo status di concorrente;
- non può acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto;
- non può rivestire la posizione di offerente, prima, e di contraente, poi;
- non può prestare garanzie, al pari di un concorrente o di un contraente;
- non può, in alcun modo, subappaltare o dichiarare di affidare a terzi una quota dei lavori, di cui non è titolare, essendo privo della prescritta SOA.
Il ricorso alla cooptazione, alla luce del carattere eccezionale e derogatorio dell’istituto, deve quindi necessariamente scaturire da una dichiarazione espressa ed inequivoca del concorrente, per evitare che un uso improprio consenta l’elusione della disciplina inderogabile, in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.
In conseguenza, in assenza di una espressa ed inequivoca dichiarazione di cooptazione, deve senz’altro ritenersi sussistere un’associazione temporanea di imprese (orizzontale o verticale), anziché la cooptazione (Cons. Stato V Sezione n. 5161/2009) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.09.2011 n. 5187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIIl leasing rischioso va trattato come il debito.
ESAME OBBLIGATORIO - Stop alle operazioni se non sono precedute da un test di convenienza sulle diverse componenti dei contratti.

Gli effetti finanziari del leasing in costruendo sono assimilabili all'indebitamento, con i conseguenti divieti per gli enti che non hanno rispettato il Patto di stabilità o superano i limiti (progressivamente in diminuzione) nel rapporto fra spese per interessi ed entrate correnti, quando i rischi riguardanti l'opera e la sua gestione ricadono sull'amministrazione.
Lo chiariscono le sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti, che nella delibera 16.09.2011 n. 49 diffusa ieri fissano una griglia rigida per l'attivazione di operazioni sempre più praticate dagli enti locali per la realizzazione di opere pubbliche e immobili. A rendere attraente il leasing è la possibilità di aprire una strada alternativa alla costruzione, in grado di evitare i vincoli del Patto di stabilità. Senza regole univoche per la contabilizzazione delle spese e per l'analisi sull'equilibrio dei conti, però, il rischio è di andare incontro a una quota crescente di operazioni finanziarie che sfuggono al controllo.
Nasce da qui l'allerta dei magistrati contabili, che imbrigliano il leasing in costruendo fissando una serie di pre-condizioni indispensabili alla sua realizzazione. In pratica, con questo strumento, l'ente ottiene dalla società di leasing il godimento di un bene per un determinato numero di anni, dietro pagamento di un canone periodico; al termine del periodo, l'ente può riscattare il bene (l'importo del riscatto è predeterminato nel contratto iniziale di leasing). A seconda delle modalità attuative, ricadono sull'ente o sul privato il rischio di costruzione (riguardante il fatto che l'opera sia effettivamente realizzata nei tempi), e quelli di gestione (il rischio di domanda, sul fatto che l'opera trovi un utilizzatore, o quello di disponibilità, sul fatto che venga concessa all'ente).
Sulla base di questa classificazione, ripresa dai criteri Eurostat, la Corte fissa una regola generale: per evitare di dover assimilare il leasing all'indebitamento, i rischi devono «pienamente sussistere in modo sostanziale e non solo formale a carico del privato». La distribuzione dei rischi dipende dalle caratteristiche del singolo contratto (per esempio dalla presenza del riscatto finale, che secondo la Corte è «particolarmente conveniente o addirittura necessario» nel leasing in costruendo). Ma la delibera fa anche di più, e sulla scorta di quanto accade per gli altri contratti finanziari (ad esempio gli swap) prevede una dettagliata analisi di convenienza economica dell'operazione come condizione preventiva indispensabile per la sua realizzazione.
Per «scongiurare eventuali elusioni dei vincoli di finanza pubblica», la Corte chiede di valutare tutte le componenti dell'operazione proprio in base ai criteri Eurostat; un'indicazione ancora più stringente dopo che la manovra estiva ha introdotto sanzioni economiche ai funzionari e agli amministratori che mettono in piedi operazioni elusive del Patto (articolo Il Sole 24 Ore del 29.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICILeasing immobiliare, occhio al debito.
Quando stipulano un contratto di leasing immobiliare (in base al quale un soggetto concede in godimento alla p.a. un bene immobile dietro pagamento di un canone periodico per un certo numero di anni) gli enti locali devono rispettare i limiti all'indebitamento. Perché il «leasing in costruendo» è un contratto che ha «un'importante componente di finanziamento» e perciò va coordinato con i vincoli del patto di stabilità.
A precisarlo sono state le Sezioni unite di controllo della Corte dei Conti con la delibera 16.09.2011 n. 49, resa nota solo ieri.
A rivolgersi alle sezioni unite è stata la Corte conti delle Marche a sua volta interpellata dal comune di Sassocorvaro (Pu). I supremi giudici amministrativi hanno sgombrato il campo da dubbi, non cedendo alla tentazione di interpretare in modo soft le norme di legge. Una tentazione in cui invece è caduto il comune marchigiano ingannato dal fatto che l'art. 3, comma 17 della legge n. 350/2003 non contempla i contratti di leasing tra le operazioni finanziarie che per gli enti locali costituiscono indebitamento ai sensi dell'art. 119 della Costituzione.
Con il leasing immobiliare, hanno chiarito invece le sezioni unite, «l'ente vincola in modo continuativo una parte delle risorse disponibili per pagare i canoni di locazione. Si tratta di un vincolo che, indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione, è assimilabile al debito».
E un'interpretazione formale, basata sul semplice tenore letterale della norma, «si porrebbe in contrasto con la ratio della stessa, non assoggettando al limite di indebitamento operazioni che sostanzialmente ne hanno la natura» (articolo ItaliaOggi del 29.09.2011).

APPALTI: Nella valutazione dei concorrenti, vietato superare i criteri del bando.
Per la valutazione delle offerte in gara, la commissione giudicatrice è tenuta a osservare i soli criteri individuati nel bando, non potendo procedere, in caso di loro inutilizzabilità, a un ulteriore esame discrezionale qualitativo dei parametri attribuendo o modificando i punteggi all'esito di valutazioni comparative tra le varie offerte.
Con la sentenza 15.09.2011 n. 5157, la VI Sez. del Consiglio di Stato ha dunque evidenziato come nel l'ambito di un appalto pubblico non è comunque consentito alla Commissione di gara –nominata dall'ente (ex articolo 84, comma 1, Dlgs 163/2006) e che ha scelto di seguire il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa– di procedere discrezionalmente a una fase di analisi comparativa non prevista nella lex specialis. E questo anche nel caso –non escludibile nel campo dell'Information technology– di uguaglianza delle offerte perché riferite allo stesso prodotto informatico.
Il fatto scaturisce dall'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione di una gara indetta per la realizzazione di un sistema DataWareHouse, in cui le uniche due imprese concorrenti avevano basato la propria offerta su identica piattaforma software.
La Commissione giudicatrice ha ritenuto di poter individuare la migliore offerta soltanto attraverso un esame delle soluzioni di dettaglio nonché delle modalità di organizzazione dei dati e della mappatura nei software di processi, affermando, comunque, che dalla comparazione non vi sarebbe stata «modifica successiva dei punteggi, ma solo espressione posticipata di giudizi». Come osservato dalla Sezione, questo ulteriore procedimento di valutazione non era espressamente previsto nel bando di gara e ha, di fatto, comportato l'esercizio da parte della commissione, di un potere discrezionale non consentito,in violazione di quanto previsto dalla lex specialis, oltre che delle regole generali indicate dall'articolo 83, del Dlgs n. 163/2006).
Peraltro, in questi casi proprio la norma in questione del Codice dei contratti pubblici consente, per la predisposizione del bando di gara, non solo di poter individuare i criteri di valutazione (comma 1), ma di precisarne, per ciascuno, la relativa ponderazione (comma 2), e qualora questo procedimento risulti inapplicabile, di poter indicare un ordine decrescente di importanza di tali parametri (comma 3); nonché di specificare, all'occorrenza, sub-criteri, sub-pesi o sub-punteggi (comma 4). Consente inoltre di tenere conto che le metodologie da utilizzare per attuare la ponderazione o per attribuire il punteggio a ciascuna offerta, devono essere conformi a quanto stabilito dal regolamento attuativo e tali da consentire di individuare un unico parametro numerico finale (comma 5).
I criteri di scelta che la Commissione avrebbe dovuto adottare, vista l'identicità del prodotto indicato nelle offerte, avrebbero dovuto pertanto riguardare la valutazione di fattori qualitativi delle stesse. Invece si è verificata una fase irrituale di valutazione discrezionalmente gestita dalla Commissione. Nel l'ipotesi poi di stallo vero e proprio, a fronte dell'impossibilità di poter effettuare una concreta attribuzione di punteggi, l'unico rimedio sarebbe stato la reiterazione della gara con individuazione più precisa e puntuale dei criteri da seguire (articolo Il Sole 24 Ore del 03.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIE' pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale il concorrente in una gara d'appalto è titolare di un vero e proprio interesse sostanziale a non subire i pregiudizi derivanti dalla segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ed dalla successiva annotazione nel casellario informatico della sua esclusione, sempre che abbia assolto l'onere di impugnare il provvedimento di esclusione da cui sia evincibile la ragione a supporto della relativa adozione.
Tale segnalazione non ha natura provvedimentale e non risultia pertanto, direttamente e immediatamente lesiva per l'impresa coinvolta; si tratta in sostanza di una comunicazione circa fatti verificatisi o accertati in relazione ad una gara (e/o in corso di essa), rispetto alla quale potranno derivare effetti pregiudizievoli per l'impresa interessata solo a seguito dell'annotazione nel Casellario informatico”, per cui “ne deriva che l'impugnazione della segnalazione all'Autorità di Vigilanza deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, non avendo tale comunicazione alcuna immediata lesività per i ricorrenti.
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La giurisprudenza tende ad escludere la necessità, per la stazione appaltante, di assumere atti ulteriori (quali la segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) rispetto alla fisiologica esclusione dell'impresa dalla gara, tutte le volte in cui emerga la “buona fede” dell’impresa stessa.
Tuttavia, secondo TAR Trentino Alto Adige Trento, 09.02.2011, n. 34 si deve trattare di casi caratterizzati dalla palmare (corsivo dell’estensore) buona fede dell'impresa, che abbia errato in ordine alla interpretazione del bando o della normativa generale ed abbia ritenuto di possedere il requisito in realtà carente o contestato.

Il Collegio osserva in rito che “è pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale il concorrente in una gara d'appalto è titolare di un vero e proprio interesse sostanziale a non subire i pregiudizi derivanti dalla segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ed dalla successiva annotazione nel casellario informatico della sua esclusione, sempre che abbia assolto l'onere di impugnare il provvedimento di esclusione da cui sia evincibile la ragione a supporto della relativa adozione” (così, da ultimo, TAR Sicilia, Catania, sez. III, 13.06.2011, n. 1460, che richiama sul punto, per tutte, TAR Lazio Roma, sez. III, 21.09.2009, n. 9039); nello stesso senso e sempre di recente si è pronunciato il TAR Campania-Napoli (sez. VIII, 09.02.2011, n. 762), il quale -richiamando a sua volta TAR Toscana, sez. I, n. 2331 del 2008- ha espressamente ritenuto che “tale segnalazione non abbia natura provvedimentale e non risulti, pertanto, direttamente e immediatamente lesiva per l'impresa coinvolta; si tratta in sostanza di una comunicazione circa fatti verificatisi o accertati in relazione ad una gara (e/o in corso di essa), rispetto alla quale potranno derivare effetti pregiudizievoli per l'impresa interessata solo a seguito dell'annotazione nel Casellario informatico”, per cui “ne deriva che l'impugnazione della segnalazione all'Autorità di Vigilanza deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, non avendo tale comunicazione alcuna immediata lesività per i ricorrenti”.
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Il Collegio rileva che la giurisprudenza (si veda ancora lo stesso precedente sopra richiamato per primo: Tar Catania, n. 1460/2011, e le altre pronunce ivi menzionate) tende ad escludere la necessità, per la stazione appaltante, di assumere atti ulteriori (quali la segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) rispetto alla fisiologica esclusione dell'impresa dalla gara, tutte le volte in cui emerga la “buona fede” dell’impresa stessa.
Tuttavia, secondo TAR Trentino Alto Adige Trento, 09.02.2011, n. 34 –richiamata nella predetta sentenza del Tar Catania– si deve trattare di casi caratterizzati dalla palmare (corsivo dell’estensore) buona fede dell'impresa, che abbia errato in ordine alla interpretazione del bando o della normativa generale ed abbia ritenuto di possedere il requisito in realtà carente o contestato (cfr., altresì, in termini: TAR Lazio, Roma, sez. II, 06.03.2009, n. 2341; TAR Piemonte, sez. I, 23.05.2009, n. 1482)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.09.2011 n. 1314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisito della moralità professionale dell’impresa. Esclusione da una gara d’appalto per mancata dichiarazione delle sentenze penali di condanna riportate.
La mancata dichiarazione nelle gare di appalto delle sentenze penali di condanna riportate costituisce una causa autonoma di esclusione dalla gara, a prescindere dal tipo di prescrizioni contenute nel bando di gara. Tale principio va confermato anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 46, comma 1-bis D.L.vo n. 163/2006 (entrato in vigore soltanto con riferimento ai bandi pubblicati dal 14.05.2011), introdotto dall’art. 4, comma 2, lett. d), D.L. n. 70/2011 conv. nella L. n. 106/2011, in quanto anche quest’ultima norma prevede la sanzione dell’esclusione dalla gara nel "caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice" dei contrati pubblici di cui al D.L.vo n. 163/2006 (1).
Ai fini della dichiarazione nelle gare di appalto circa il possesso del requisito della moralità professionale dell’impresa, va considerato che, per evitare la dichiarazione di una condanna perché estinta ex art. 445, comma 2, C.P.P (richiamato dallo stesso art. 38, comma 1, lett. c, D.L.vo n. 163/2006, come circostanza che esime dal dichiarare la condanna definitiva estinta ai sensi di tale art. 445, comma 2, C.P.P), risulta necessaria l’adozione di un apposito provvedimento dichiarativo del Giudice dell’esecuzione penale ex art. 676 C.P.P., in assenza del quale l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P non opera ipso jure e/o automaticamente (2).
A seguito della sentenza Corte Costituzionale 08.10.2010, n. 287, che ha dichiarato illegittimo l’art. 5, comma 2, lett. d), DPR n. 313/2002, limitatamente all’inciso "salvo che non sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 C.P.", deve ritenersi che non sussista alcun obbligo nelle gare di appalto di dichiarare quelle condanne relative "ai provvedimenti giudiziari di condanna per contravvenzioni, per le quali" era "stata inflitta" soltanto "la pena dell’ammenda" "trascorsi 10 anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita ovvero si è in altro modo estinta", indipendentemente dal fatto che le condanne siano state accompagnate dalla concessione dei "benefici di cui agli artt. 163 e 175 C.P.", cioè rispettivamente dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale.
Conseguentemente, non possono essere escluse dalle gare di appalti pubblici le imprese, le cui persone indicate dall’art. 38, comma 1, lett. c), D.L.vo n. 163/2006, non hanno dichiarato le sentenze penali di condanna definitiva per contravvenzioni, punite solo con la pena pecuniaria dell’ammenda, se entro 10 anni dall’estinzione della pena dell’ammenda non hanno compiuto altri reati (3).
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(1) Cfr. TAR Basilicata 13.06.2011, n. 360; 01.03.2011, n. 106; 20.06.2009, n. 387. Nella sentenza in rassegna si dà atto lealmente del fatto che esiste un diverso orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. VI sentenze 01.04.2011, n. 2018 e 04.08.2009, n. 4905), che applica ai procedimenti di evidenza pubblica, dove vige il fondamentale principio della par condicio tra i concorrenti, la teoria penalistica del cd. "falso innocuo", considerando lecite le clausole dei bandi che impongono ai concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali definitive e, conseguentemente, ha ritenuto legittimi i relativi provvedimenti di esclusione.
Al riguardo è stato evidenziato che l’art. 4, comma 2, lett. b, n. 4, D.L. n. 70/2011 conv. nella L. n. 106/2011 statuisce espressamente l’obbligo dei concorrenti di indicare "tutte le condanne riportate", specificando che i concorrenti non sono tenuti ad indicare soltanto "le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione".
(2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 49987 del 24.11.2009; Cass. Pen. Sez. IV Sent. n. 11560 del 27.02.2002; C.d.S. Sez. V Sent. n. 1331 del 20.03.2007; TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 401 dell’11.02.2009; TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 2568 del 10.10.2008; TAR Milano Sez. I Sent. n. 4062 del 15.09.2008; TAR Brescia Sent. n. 406 del 20.04.2006; TAR Toscana Sez. Sent. n. 2552 del 25.05.2005; TAR Veneto Sez. III Sent. n. 2009 del 16.05.2005.
(3) Ha precisato la sentenza in rassegnata che, dopo la citata pronuncia della Corte costituzionale, i partecipanti ad una gara di appalto pubblico non sono tenuti a dichiarare, oltre le sentenze patteggiate ex artt. 444 C.P.P., per le quali è stato ottenuto il provvedimento formale di estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P. da parte del Giudice Penale dell’Esecuzione, ed i provvedimenti giurisdizionali di riabilitazione ex art. 178 C.P., anche i provvedimenti giudiziari di condanna, che ai sensi dell’art. 5 DPR n. 313/2002 non devono essere iscritti nel Casellario Giudiziale e perciò anche le sentenze penali di condanna definitiva per contravvenzioni, punite solo con la pena pecuniaria dell’ammenda, se "se durante i 10 anni dall’estinzione della pena dell’ammenda il condannato non ha compiuto altri reati"
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Basilicata, sentenza 15.09.2011 n. 472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di gare d'appalto, in presenza di criteri o sub-criteri di valutazione generici ed imprecisi sussiste l'obbligo da parte della commissione giudicatrice di motivare i singoli punteggi assegnati ai concorrenti.
In materia di gare d'appalto, la necessità di motivazione da parte della commissione si affievolisce solo in presenza di criteri o sub-criteri di valutazione sufficientemente analitici e precisi. Qualora, questi ultimi risultino essere generici, la commissione dovrà motivare esaurientemente i singoli punteggi. Maggiore è la discrezionalità della commissione nel giudizio tecnico, più pressante è l'obbligo di esternare con precisione l'iter logico percorso.
La motivazione rappresenta lo strumento tecnico che consente il controllo sul rispetto dei principi costituzionali della parità di trattamento e par condicio dei concorrenti, nonché giurisdizionali, quali la ragionevolezza e la logicità delle scelte. Una motivazione non sufficiente o solo fittizia è da equiparare ad una non-motivazione.
I criteri motivazionali devono essere conosciuti dagli offerenti anteriormente alla presentazione dell'offerta, non essendo più possibile, in seguito alla recente abrogazione del c. 4, u.p. dell'art. 83 codice appalti, che la commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, possa fissare i parametri cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e sub criterio il punteggio prestabilito dal bando (T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 15.09.2011 n. 317 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI1. Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Fase di prequalifica - Finalità.
2. Avvalimento - Onere di documentazione nella fase di prequalifica - In presenza di clausole del bando che prevedano una semplice autodichiarazione - Non sussiste.
3. Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Avvalimento - Contratto - Libertà di forme - Sussiste - Ammissibilità di qualunque mezzo di prova idoneo.

1. La fase di prequalifica è finalizzata alla valutazione in merito alla sussistenza o meno dei requisiti tecnici e morali di accesso alla procedura e a far conoscere all'Amministrazione la disponibilità del mercato, per cui il criterio interpretativo delle indicazioni di gara deve essere indirizzato a favorire la più ampia partecipazione alla gara.
2. Non è richiesta, nella fase di prequalifica, la documentazione dei requisiti da parte delle imprese concorrenti, qualora il bando preveda una semplice dichiarazione del loro possesso. (Fattispecie in tema di dichiarazione di avvalimento ex art. 49, comma 2, lett. g), D.Lgs. n. 163/2006) (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, ord. 22.07.2008, n. 3886).
3. L'ordinamento non prevede uno schema o un tipo specifico di contratto di avvalimento tra imprese. Questo, perciò, conformemente alla lettera f), del comma 2, dell'art. 49, D.Lgs. n. 163/2006 rientra tra gli atti da presentare a cura dell'impresa concorrente ad una gara pubblica d'appalto, e può rivestire qualunque forma -anche non documentale- ed essere provato in qualunque modo idoneo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.09.2011 n. 2217 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della P.A. - Appalto di servizi - Bando - Clausola attributiva dello ius variandi alla stazione appaltante - Legittima - Condizioni - Esigenze sopravvenute.
Si deve ritenere legittima, anche negli appalti di servizi, l'apposizione di una clausola del disciplinare che permetta alla stazione appaltante di modificare l'oggetto del contratto, purché non ne venga alterata in modo assoluto la natura.
Nel contempo, per assicurare sul piano del diritto comunitario che la variazione non divenga uno strumento di elusione della libertà di concorrenza affidato all'esclusiva discrezionalità del soggetto pubblico è necessario che lo ius variandi sia impiegato per far fronte ad esigenze sopravvenute alla predisposizione del regolamento di gara (cfr., TAR Lombardia Milano, Sez. I, 14.09.2011, n. 2215) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.09.2011 n. 2214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della P.A. - Appalto - Ius variandi della stazione appaltante - Sussiste - Limitazioni.
Sulla base di un bilanciamento degli interessi in gioco deve ritenersi che:
a) alla stazione appaltante pubblica spetta lo ius variandi, purché esso sia contenuto, sulla base della legge o comunque del regolamento di gara, entro limiti quantitativi non manifestamente sproporzionati e perciò stesso contrari al diritto dell'Unione;
b) non si può escludere che, per valutare l'identità tra oggetto della gara e oggetto del contratto, a seguito di variazioni, si debba tener conto anche delle varianti in diminuzione, che a propria volta, per quanto non onerose economicamente, possano mutare il volto reale dell'affidamento alla luce del diritto dell'Unione;
c) la variazione, in conformità al diritto comune, si apprezza sul piano quantitativo, con riguardo agli effetti che essa produce sul corrispettivo pattuito;
d) in ogni caso, non sono ammesse varianti qualitative, pur contenute nei limiti di cui sopra, se si prova che esse stravolgano la natura dell'opera (cfr. art. 1661, comma 2, c.c.), ovvero operino su requisiti contrattuali introdotti nel regolamento di gara dalla stazione appaltante allo scopo di circoscrivere illegittimamente la platea dei concorrenti, e con l'animo di rinunciarvi successivamente;
e) le circostanze che giustificano lo ius variandi debbono manifestarsi successivamente alla predisposizione del regolamento di gara (cfr., TAR Lombardia Milano, Sez. I, 14.09.2011, n. 2215; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 14.09.2011, n. 2214) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.09.2011 n. 2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cessione d'azienda: le dichiarazioni ex 38, lettere b) e c), gravano anche sui titolari delle cariche dell’azienda ceduta.
Gli obblighi dichiarativi previsti dal menzionato art. 38, lettere b) e c), gravano anche sui soggetti, titolari delle relative cariche, facenti parte della compagine dell’azienda ceduta.
Viene sottolineata, invero, la portata sostanziale, e non meramente formale, della disposizione in esame, in quanto finalizzata a garantire che le stazioni appaltanti siano messe in grado di verificare la sussistenza di tutti i requisiti di moralità in capo ai partecipanti alle procedure di affidamento di appalti pubblici, così da prevenire il rischio di influenza da parte di cedenti eventualmente privi di detti requisiti (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 14.09.2011 n. 1643 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul principio dell'"equivalenza" desumbile dalla lettera dell'art. 68 del codice degli appalti (Dlgs. 163/2006).
Il principio dell'"equivalenza" si ricava dalla lettera dell'art. 68 del codice degli appalti (Dlgs. 163/2006), ove è prescritto che i documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d'oneri o i documenti complementari devono dettagliatamente indicare le specifiche tecniche richieste, senza però individuare una specifica fabbricazione o provenienza, al fine di evitare la ingiustificata restrizione della rosa dei partecipanti alla gara, con nocumento all'interesse pubblico sotteso alla più ampia partecipazione alla stessa. È previsto anche, al c. 13 che, ove sia necessario al fine della capillare descrizione di un macchinario ricorrere all'indicazione di un tipo specifico di prodotto occorre che tale indicazione sia accompagnata dall'espressione "o equivalente".
La ratio delle disposizioni richiamate contenute nell'art. 68 codice appalti è chiara. Nel rispetto del principio della più ampia partecipazione alle gare finalizzato alla ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente, si esclude espressamente, tranne ove sia giustificato dal particolare oggetto dell'appalto, la possibilità di indicare marchi o tipi specifici di produzione, a meno che il riferimento ad un prodotto non sia necessario al fine di descrivere dettagliatamente le caratteristiche che il bene offerto deve possedere. In questo caso è obbligatorio fare ricorso al concetto di equivalenza, con la conseguenza che, in caso di omissione dell'inciso, il bando risulterebbe in parte qua illegittimo.
Al riguardo "può intendersi come equivalente un prodotto che abbia caratteristiche identiche o analoghe al bene descritto in capitolato e che garantisca, almeno, le medesime prestazioni. La stazione appaltante, in presenza di offerte equivalenti, deve pertanto verificare la sussistenza dei requisiti descritti al fine di effettuare la valutazione dell'offerta" (TAR Valle d'Aosta, sentenza 14.09.2011 n. 59 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Tassatività delle clausole di esclusione.
Era prevedibile attendersi che la giurisprudenza venisse chiamata a definire i contorni del principio di tassatività delle clausole di esclusione, come noto recentemente introdotto con il decreto-legge 13.05.2011, n. 70 (c.d. decreto sviluppo).
Il TAR Veneto, con sentenza 13.09.2011 n. 1376 infatti stabilito l’illegittimità dell’esclusione di una ditta nel caso in cui abbia presentato una cauzione provvisoria di importo insufficiente rispetto a quello richiesto dalla lex specialis, ovvero una cauzione incompleta, e non già assente, visto che tale ipotesi di esclusione non è contemplata dall’art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs n. 163/2006.
A ben guardare, il principio sancito dai Giudici amministrativi, allo stato in linea con il dettato normativo recentemente innovato, probabilmente dovrà essere oggetto di conferma o di rivisitazione una volta attuato il disposto dell’art. 64, comma 4-bis, del D.lgs. 163/2006, secondo cui “I bandi sono predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli (bandi-tipo) approvati dall'Autorità, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate, con l'indicazione delle cause tassative di esclusione di cui all'articolo 46, comma 1-bis. Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo.”
In definitiva, nonostante il tenore perentorio dell’art. 75 del D.lgs. 163/2006, il quale impone che l'offerta sia corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente, i Giudici veneti hanno ritenuto che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 46, comma 1, del codice dei contratti, la violazione della predetta norma non determini l’esclusione del concorrente, ma l’obbligo della stazione appaltante di richiedere allo stesso di integrare la cauzione.
Tuttavia è verosimile ritenere che i bandi tipo, di cui all’art. 64, comma 4-bis, del D.lgs. 163/2006, una volta emanati, affronteranno la questione, facendo definitiva chiarezza sul punto (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In sede di partecipazione a gara d'appalto, la cauzione incompleta, non già assente, non comporta automaticamente l'estromissione dalla gara ma semplicemente che il partecipante sia previamente invitato ad integrare la cauzione, emendando così l’errore compiuto.
L’art. 46, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, aggiunto dall’art. 4, II comma, n. 2, lett. “d” del DL n. 70/2011, ha introdotto il principio di tassatività delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali, tra le quali non rientra la prestazione di una cauzione provvisoria di importo deficitario.
Nel caso di specie -ove peraltro la cauzione era incompleta, non già assente- l’odierna ricorrente non poteva essere automaticamente estromessa dalla gara, ma doveva essere previamente invitata ad integrare la cauzione, emendando così l’errore compiuto.
Ciò stante, va accolto il ricorso (per motivi aggiunti) dd. 21.07.2011 e, conseguentemente, annullato l’impugnato provvedimento 19.07.2011 n. 344409 di esclusione della ricorrente dal “prosieguo della gara d’appalto” (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 13.09.2011 n. 1376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ribasso dell'utile.
Domanda.
E' consentito nelle procedure di appalto il ribasso dell'utile?
Risposta.
La possibilità di ribassare la percentuale dell'utile è consentita, soprattutto in appalti pubblici di importo elevato, pur escludendosi che un'impresa possa proporre un'offerta economica sguarnita da qualsiasi previsione di utile, né è possibile fissare una quota di utile rigida al di sotto della quale la proposta dell'appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua.
Assume invece rilievo la circostanza che l'offerta si appalesi seria e cioè non animata dall'intenzione di trarre lucro dal futuro inadempimento delle obbligazioni contrattuali dovendosi ritenere ingiustificabile solo l'utile pari a zero (13.09.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: richiesta di accesso ad atti di gara da parte di un’impresa non partecipante.
Con nota del 31.08.2011, lo Stato Maggiore della Marina ha rappresentato a questa Commissione che:
- nel gennaio 2011 aveva affidato in appalto alla RTI Trenitalia spa e FS Logistica spa il servizio di trasporto “su ferrovia” di masserizie del personale delle forze armate;
- contemporaneamente, aveva affidato alla società JAS Jet Air Service spa il diverso servizio di trasporto “su gomma” di masserizie del personale delle forze armate;
- quest’ultima società aveva chiesto l’accesso a copia delle singole prestazioni (effettuate o affidate e non ancora effettuate) del servizio di spedizione/trasporto su ferrovia eseguite dalla RTI Trenitalia e FS Logistica nel corso del 2011 al fine di verificare quali fossero i criteri di affidamento dei servizi di trasporto al vettore ferroviario anziché al vettore su gomma, potendo in astratto le modalità esecutive del contratto d’appalto aggiudicato alla RTI Trenitalia comportare un grave pregiudizio in termini di riduzione di fatturato.
A fronte di tale istanza di accesso, l’amministrazione militare adduce forti dubbi sull’accoglibilità della richiesta di accesso in ragione della valutata insussistenza di profili di interesse concreto, diretto ed attuale, corrispondente a situazioni giuridicamente rilevanti e collegate ai documenti richiesti, non avendo l’istante preso parte alla procedura di gara per i servizi di trasporto su ferrovia affidati alla RTI Trenitalia e Fs Logistica.
La Commissione osserva che, di recente, il Consiglio di Stato (cfr. decisione sez. VI n. 5062 del 30.07.2010) ha affermato che le disposizioni contenute nella legge 241/1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono disposizioni derogatorie contenute nel Codice dei contratti pubblici (ove l’art. 13 del d.lgs. n 163/2006 stabilisce che <<salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto d’accesso [.] è disciplinato dalla legge 07.08.1990, n. 241>>). Partendo da questo presupposto, quindi, occorre interpretare il comma 6° dell’art. 13 -secondo cui “è comunque consentito l’accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei suoi interessi”- non come un “restringimento” dei requisiti di legittimazione all’accesso sul piano soggettivo (solo ai “concorrenti”) in quanto, anche nelle procedure ad evidenza pubblica, deve comunque sopravvivere quel diritto generalizzato all’accesso in capo a tutti coloro che dimostrino di averne un interesse reale e concreto: quindi, indipendentemente dalla loro partecipazione alla gara.
Pertanto, se la richiesta d’accesso provenga da un concorrente ad una pubblica gara, allora tale richiesta deve sicuramente essere evasa, ma ciò non significa tout court che, anche in altri casi -ovvero qualora la richiesta risulti formulata da un non-concorrente- non sussista ancora un interesse reale e concreto a prendere visione della documentazione, che l’istante deve motivatamente palesare e che la P.A. è obbligata a compiutamente verificare dovendo, in caso affermativo, concedere certamente l’accesso.
Nella specie, la Commissione rileva non soltanto che la società IAS non ha preso parte alla gara per l’affidamento dei servizi di trasporto su ferrovia, i cui atti hanno formato oggetto della citata richiesta di accesso documentale, ma che, ulteriormente, non può in capo ad essa nemmeno ravvisarsi un interesse legittimante l'accesso documentale agli atti della procedura stessa, non potendo rilevare in proposito l’interesse della JAS, aggiudicataria dei servizi di trasporto su gomma, di acquisire chiarimenti sulle modalità esecutive dell’appalto o sui criteri di selezione dei servizi su ferrovia rispetto a quelli su gomma.
Ed infatti, l'istanza ostensiva non deve costituire uno strumento surrettizio di sindacato generalizzato sull'azione amministrativa nell'ambito di una procedura concorsuale cui si è rimasti volontariamente estranei, non essendo ammissibile piegare lo strumento dell'accesso al perseguimento di una generica attività informativa ed esplorativa, attraverso l'enunciazione di un interesse meramente esplorativo
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 13.09.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

APPALTI: In caso di discordanza dei dati del modulo di offerta per l’aggiudicazione di un’opera per prezzi unitari prevale il ribasso percentuale indicato in lettere.
La giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che nel procedimento di aggiudicazione di un appalto di opere pubbliche con il sistema di offerta per prezzi unitari, ai sensi dell’articolo 90 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554, in caso di discordanza fra i dati indicati nel modulo di offerta e relativi sia al prezzo che alla percentuale di ribasso, si deve dare prevalenza al ribasso percentuale indicato in lettere (C.d.S., sez. V, 17.09.2008, n. 4445), che costituisce il dato decisivo di riferimento per la determinazione dei prezzi unitari, consentendo sia l’identificazione dell’offerta (art. 90, comma 6), sia la correzione delle eventuali discordanze (art.90, comma 79 (C.d.S., sez. V, 10.11.2003, n. 7134; 30.10.2003, n. 6767).
E’ stato anche evidenziato che le disposizioni contenute nell’articolo 90 del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 delineano un sistema volto a risolvere, nel rispetto dei fondamentali canoni di certezza e trasparenza delle operazioni di affidamento degli appalti di lavori pubblici, ogni incertezza derivante da un’offerta articolata, qual è quella per prezzi unitari per prevenire eventuali contestazioni circa l’effettiva volontà della parte privata, nell’ipotesi di discordanze tra le diverse componenti dell’offerta (C.d.S., sez. VI, 11.07.2003, n. 4145) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.09.2011 n. 5095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Esclusione di una ditta da una gara d’appalto con riferimento al fatto che la ditta interessata ha presentato i campioni della merce da fornire solo per tipologia merceologica di appartenenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha escluso da una gara di appalto di forniture un ditta che, in contrasto con quanto espressamente richiesto dal bando di gara a pena di esclusione, ha prodotto, unitamente all’offerta, i campioni della merce da fornire con esclusivo riferimento alla tipologia merceologica di appartenenza, piuttosto che un campione per ogni singolo prodotto da fornire, per ogni dimensione e colorazione; infatti, negli appalti di forniture, la presentazione di una campionatura completa è funzionale al rispetto dell'obbligo contrattuale di depositare presso la stazione appaltante i campioni degli articoli da fornire, al fine di verificare, nel corso dell'esecuzione del contratto, che la qualità di ciascun bene corrisponda all'impegno assunto dall'aggiudicatario in sede di offerta (fattispecie relativa a gara per la fornitura di servizi di lavaggio e noleggio biancheria, vestiario e fornitura kit sterili della durata triennale) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 12.09.2011 n. 924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI:  A. Avino, Quale destino per le società miste alla luce dell’art. 4 del D.L. 138/2011? (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: F. Gavioli, Gare, forme e termini per le offerte: come funziona la pubblicità legale (link a www.ipsoa.it).

APPALTI: M. Urbani, Molto rumore per nulla” - Una possibile interpretazione dell'art. 81, comma 3-bis, del codice introdotto dalla Legge 12.07.2011 n. 106 di conversione del decreto-legge 13.05.2011 n. 70.

APPALTIGare, più facile correre in gruppo. Appalti: semplificate le richieste per i raggruppamenti. Sentenza del consiglio di stato sui requisiti per le imprese in ati nei concorsi in due fasi.
Nelle procedure di appalto in due fasi non è necessaria per i raggruppamenti la corrispondenza fra requisiti, quote di partecipazione e quote di esecuzione del contratto.
Lo afferma il Consiglio di stato, Sez. V, con la sentenza 09.09.2011 n. 5073.
Nel caso di specie l'appellante chiedeva l'esclusione dalla gara dell'AtI aggiudicataria perché i requisiti richiesti dal bando erano posseduti interamente dalla capogruppo impedendo in tal modo che vi fosse una corrispondenza tra quote di qualificazione e quote di partecipazione delle singole imprese, nonché tra quote di partecipazione e quote di esecuzione del servizio. Il Consiglio di stato, partendo dall'assunto che la procedura era articolata in due fasi ha affermato che l'adempimento dei requisiti di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica riguarda solo la fase di qualificazione e non quella di offerta.
Inoltre, il Consiglio di stato afferma che per i servizi non vi sarebbe necessità di corrispondenza tra requisiti e quote anche nella fase di offerta. A sostegno di tale tesi, i giudici hanno affermato che tale corrispondenza «non è richiesta espressamente dal bando e non è neppure coerente, per quanto riguarda gli appalti di servizi, con le puntuali previsioni dell'art. 37 del codice dei contratti che al quarto comma stabilisce che nell'offerta devono essere specificate le parti (e non le quote) che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti, aggiungendo al tredicesimo comma che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni corrispondenti alla quota di partecipazione al raggruppamento».
Pertanto secondo i giudici, il principio di corrispondenza tra requisiti, quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione non può trovare applicazione per l'appalto di servizi in oggetto perché l'adempimento dei requisiti è già avvenuto in una fase distinta rispetto all'offerta (qualificazione). Inoltre viene precisato che per quanto riguarda la fase di offerta il principio di corrispondenza, già affermato in materia di lavori e sancito nell'art. 37, comma 6, del codice, non è estensibile agli appalti di servizi (articolo ItaliaOggi del 07.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Dall’omissione della stazione appaltante di un elemento obbligatorio del disciplinare di gara non consegue l’esclusione del concorrente che non abbia formulato la dichiarazione prevista dalla legge.
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Sebbene l'allegazione di un documento di identità ad una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà non costituisca un vuoto formalismo, rappresentando un fondamentale elemento della fattispecie normativa diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica, è stato tuttavia osservato che detta prescrizione, pure essenziale, di carattere formale deve essere applicata verificando se nel contesto dei singoli casi lo scopo della normativa non sia comunque raggiunto, evitando interpretazioni che in concreto possano risultare di sproporzionato e perciò inutile rigore, venendo con ciò a ledere, per converso, l'altresì rilevante principio della massima partecipazione alle procedure competitive.

Quanto alla dedotta mancata dichiarazione di insussistenza delle cause ostative di cui alla lettera m)-ter, dell’art. 38 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, deve evidenziarsi che, indipendentemente da ogni questione in ordine alla dedotta assoluta vincolatività del modello di domanda (che non prevedeva la dichiarazioni in questione e che, d’altra parte, secondo la stazione appaltante appellata, doveva essere utilizzato a pena di esclusione, costituendo un completamento della lex specialis, neppure impugnata), se è pur vero, come sostenuto dall’appellante, che qualora la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara un elemento previsto come obbligatorio dall'ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo di integrazione automatica, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla p.a., a ciò tuttavia non consegue in modo diretto ed automatico l’esclusione dalla gara del concorrente che, come nel caso di specie, non abbia formulato la dichiarazione espressamente prevista dalla legge, dovendo tenersi conto che, non solo fondamentali esigenze di certezza del diritto e tutela della par condicio dei concorrenti impediscono all'amministrazione di disattendere i precetti fissati nella normativa di gara dalla stessa formulata, ma soprattutto del principio di affidamento (formalmente elevato al rango di principio generale dell'azione amministrativa dall'art. 1, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241) che impedisce che sul cittadino possano ricadere gli errori dell'amministrazione (in termini, C.d.S., Sezione VI, 13.06.2008, n. 2959).
Di conseguenza, a tutto voler concedere, i componenti avrebbe dovuto essere invitati a integrare il requisito mancante non per loro colpa, ma per omissioni e lacune della lex specialis della gara addebitabili all’amministrazione pubblica; peraltro, come già rilevato in precedenza e come evidenziato dai primi giudici, non è stato provato dall’appellante che in capo ai componenti del R.T.I. aggiudicatario sussistessero le cause ostative indicate nella più volte ricordata lett. m-ter), dell’articolo 38 del D. Lgs. 12.04.2006, n. 163, così che anche sotto tale profilo la prospettata sanzione di esclusione che avrebbe dovuto ricollegarsi a tale omissione è da ritenersi illogica, irragionevole ed esorbitante.
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Quanto infine all’allegazione di un documento di identità scaduto alla dichiarazione resa da uno dei soggetti rilevanti (tale sig. David Selby), la Sezione osserva che, sebbene detta allegazione non costituisca un vuoto formalismo, rappresentando un fondamentale elemento della fattispecie normativa diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica (C.d.S., sez. V, 21.05.2009, n. 3165; 07.11.2007, n. 5761), è stato tuttavia osservato che detta prescrizione, pure essenziale, di carattere formale deve essere applicata verificando se nel contesto dei singoli casi lo scopo della normativa non sia comunque raggiunto, evitando interpretazioni che in concreto possano risultare di sproporzionato e perciò inutile rigore, venendo con ciò a ledere, per converso, l'altresì rilevante principio della massima partecipazione alle procedure competitive (C.d.S, sez. VI, 22.10.2010, n. 7608).
Nel caso di specie, ad avviso della Sezione, è decisivo rilevare che il documento di identità, ancorché di validità scaduta, era stato effettivamente allegato alla dichiarazione e che l’appellante neppure nel presente grado di appello ha messo in dubbio la riferibilità della dichiarazione in questione al soggetto che l’ha resa, essendo stato così raggiunto il fine stabilito dalla norma; così che, a tutto voler concedere, l’amministrazione avrebbe potuto chiedere la produzione di un documento di identità valido, ma giammai escludere dalla gara il raggruppamento per effetto di tale irregolarità (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.
È la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi: si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa, o provvedimentale, rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato.
Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, percependone il corrispettivo dall’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.
Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
Tale assunto, è stato più volte confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15.10.2009, C-196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez. III, 10.09.2009, C-206/08) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sul criterio distintivo tra concessione di servizi e appalto di servizi.
Il servizio di trasporto scolastico deve essere inquadrato nella categoria degli appalti.

Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell'attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell'appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato. La giurisprudenza della Corte di Giustizia CE ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione, mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l'operazione rappresenta un appalto di servizi.
Il servizio di trasporto scolastico deve essere inquadrato nella categoria degli appalti e non già in quella dei servizi di trasporto pubblico locale. Pertanto, nel caso di specie, legittimamente l'amministrazione comunale ha esperito una procedura di gara invece di procedere all'affidamento diretto del servizio, atteso che i presupposti normativi non le consentivano tale scelta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5068 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIAl servizio di trasporto scolastico deve essere applicata la normativa sugli appalti.
La vicenda in commento nasce dalla delibera con cui il Consiglio di un Comune veneto disponeva di vendere il ramo d’azienda “Trasporto scolastico” di proprietà di una propria controllata (100%) a un’altra società.
Con “Protocollo d’Intesa” si conveniva fra le parti che “allo spirare del succitato termine fissato per l’affidamento del servizio, il Comune procederà all’esperimento di idonea procedura di gara, garantendo alla società acquirente. il diritto di prelazione …..laddove i presupposti normativi lo consentissero, si procederà in luogo dell’esperimento della procedura di gara come sopra prevista, all’affidamento diretto del servizio alla predetta società per almeno un quinquennio (se consentito), in conformità alle disposizioni allora vigenti, fermo restando il perseguimento dei summenzionati obbiettivi e standard qualitativi”.
Alla scadenza dell’affidamento diretto del servizio di scuolabus, la società acquirente faceva presente al Comune che allo spirare del termine stabilito lo stesso avrebbe dovuto, per effetto degli obblighi negoziali, provvedere all’affidamento del servizio di trasporto scolastico direttamente alla società partecipata per almeno un quinquennio. Sennonché il Comune rigettava l’istanza ad ottemperare perché “l’attuale disciplina di cui all’art. 23-bis del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, nel testo modificato dall’art. 15 del D.L. 135/2009, non consente siffatta procedura di affidamento diretto”, e per il motivo che “detto servizio correttamente deve essere inquadrato nella categoria degli appalti e non già in quella dei servizi di trasporto pubblico locale”.
La società acquirente proponeva, pertanto, ricorso al Tar per il Veneto, che lo respingeva dando luogo all’appello in rassegna. Il Consiglio di Stato, in proposito, ha rilevato senza indugio come la questione non sia sussumibile nella categoria della concessione di servizio pubblico (diversamente da quanto ritenuto dall’appellante), ma piuttosto in quella dell’appalto.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza dello stesso Consiglio ha già avuto modo di precisare che le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr. Sez. VI 15.05.2002, n. 2634).
Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, spiegano i giudici di Palazzo Spada, percependone il corrispettivo dall’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
E tale assunto, è stato più volte confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15.10.2009, C-196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez. III, 10.09.2009, C-206/08).
A ciò aggiungasi che l’art. 23 del D.Lgs n. 163/2006 esclude l’applicabilità della normativa sugli appalti nel caso in cui oggetto della gara sia il servizio al pubblico di trasporto mediante autobus, e tale non può ragionevolmente essere inteso il servizio di trasporto scolastico.
Una cosa, infatti, è il servizio pubblico degli autobus, offerto ad un pubblico indifferenziato che vi accede liberamente mediante il semplice pagamento del biglietto, altra è il servizio di trasporto scolastico che, viceversa, è dedicato esclusivamente agli alunni degli istituti considerati e comporta, quindi, ben precise e limitate modalità di accesso (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'incameramento della cauzione provvisoria prestata da un concorrente conseguente all'inadempimento dell'obbligo assunto con la sottoscrizione del patto d'integrità.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il patto d'integrità configura un sistema di condizioni (o requisiti) la cui accettazione è presupposto necessario e condizionante la partecipazione delle imprese alla specifica gara di cui trattasi. Con la sottoscrizione del patto d'integrità, al momento della presentazione della domanda, l'impresa concorrente accetta regole del bando che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara e che prevedono, in caso di violazione di tali doveri, sanzioni di carattere patrimoniale, oltre alla conseguenza, ordinaria a tutte le procedure concorsuali, della estromissione della gara.
L'incameramento della cauzione non ha, quindi, carattere di sanzione amministrativa, come tale riservata alla legge, ma costituisce la conseguenza dell'accettazione di regole e doveri comportamentali, accompagnati dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione dalla gara, assunti su base pattizia, rinvenendosi la loro fonte nel Patto d'integrità accettato dal concorrente con la sottoscrizione. Pertanto, nel caso di specie è legittimo l'incameramento della polizza fideiussoria prestata dal concorrente, sul rilievo della sussistenza di un collegamento sostanziale tra quest'ultimo ed altra impresa partecipante alla gara, e quindi della violazione del patto di integrità debitamente accettato e sottoscritto. Infatti, il collegamento sostanziale rientra nel novero degli accordi finalizzati a limitare la concorrenza, che l'impresa aveva dichiarato insussistenti all'atto di partecipare alla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5066 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La sottoscrizione del “Patto d’integrità” può comportare l’incameramento della cauzione a favore della stazione appaltante.
Il ricorrente della controversia in rassegna aveva partecipato a una gara indetta da un Comune lombardo per i lavori di integrazione e completamento di un progetto di riqualificazione urbana.
Il bando disponeva che le concorrenti alla gara erano tenute, a pena di esclusione, a sottoscrivere ed a presentare, unitamente all’offerta, il “Patto d’integrità” per il tramite del quale si impegnavano, tra l’altro, “a non accordarsi con altri partecipanti alla gara per limitare in alcun modo la concorrenza”. Per questa ragione, il Comune, escludeva la società ricorrente, avendo rilevato elementi tali da far presumere forme di collegamento sostanziale in violazione a quanto previsto dal bando di gara e dal Patto d’integrità. Il Comune, inoltre, stante “la gravità degli indizi”, comunicava che avrebbe provveduto ad applicare l’ulteriore sanzione dell’escussione della polizza fideiussoria, in conformità al Patto d’integrità sottoscritto dai partecipanti della gara.
La ditta ricorrente, nella pronuncia in commento, appella pertanto tanto l’escussione della polizza fideiussoria, quando l’esclusione dalla gara non avendo ricevuto soddisfazione dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia. Respingendo l’appello i giudici del Consiglio di Stato ricordano che secondo l’insegnamento ormai consolidato della stessa sezione il Patto d’integrità configura un sistema di condizioni (o requisiti) la cui accettazione è presupposto necessario e condizionante la partecipazione delle imprese alla specifica gara di cui trattasi.
Con la sottoscrizione del Patto d’integrità, al momento della presentazione della domanda, l’impresa concorrente accetta regole del bando che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara e che prevedono, in caso di violazione di tali doveri, sanzioni di carattere patrimoniale, oltre alla conseguenza, ordinaria a tutte le procedure concorsuali, della estromissione della gara.
L’incameramento della cauzione non ha quindi carattere di sanzione amministrativa, come tale riservata alla legge, ma costituisce la conseguenza dell’accettazione di regole e doveri comportamentali, accompagnati dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione dalla gara, assunti su base pattizia, rinvenendosi la loro fonte nel Patto d’integrità accettato dal concorrente con la sottoscrizione. Legittimamente, pertanto, secondo i giudici di Palazzo Spada, il Comune ha escusso la polizza fideiussoria prestata dall’appellante sul rilievo (in questa sede incontestato ed ormai incontestabile) della sussistenza di un collegamento sostanziale tra quest’ultima ed altra impresa partecipante alla gara, e quindi della violazione del Patto di integrità debitamente accettato e sottoscritto dall’appellante stessa.
Diversamente ritenendo, il Patto si risolverebbe in una generica enunciazione di obblighi quasi tutti privi di qualsiasi conseguenza in caso di loro inosservanza, in palese ed insanabile contrasto con le finalità perseguite dal Patto stesso (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2011 n. 5066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti pubblici: arrivano i bandi-tipo.
Al via i bandi-tipo per gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi e la messa a punto dei costi standard per il settore della sanità. Il passaggio alla definizione concreta dei bandi-tipo per gli appalti pubblici è stato deciso ieri dal Consiglio dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici presieduta da Sergio Santoro.

Ora l'iter prevede il passaggio per l'audizione che si terrà il 29 settembre, quando saranno sentiti gli operatori del settore e i rappresentanti delle principali stazioni appaltanti che porteranno le loro osservazioni sul documento di consultazione diffuso sul sito dell'Authority (www.avcp.it). Gli aspetti di maggiore rilievo oggetto della consultazione riguarderanno la tassatività delle clausole a pena di esclusione al fine di ridurre i costi degli adempimenti amministrativi e del contenzioso; il peso del costo del lavoro nella valutazione delle offerte per garantire in ogni caso il rispetto dei minimi salariali, con particolare attenzione alla fase di esecuzione delle commesse nella quale si può sviluppare una efficace e reale azione di contrasto al lavoro nero e al lavoro sottopagato.
Scopo del lavoro dell'Autorità è quello di ridurre sensibilmente i costi finanziari e gli oneri amministrativi a carico delle stazioni appaltanti e delle imprese, generati dai meccanismi delle attuali procedure di affidamento e gestione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Per realizzare questo scopo l'Autorità ritiene necessario costruire un efficace sistema di controllo della gestione e della esecuzione dei singoli contratti, funzionale all'avvio dei cicli di spending review, in modo da ottimizzare l'impiego delle risorse finanziarie pubbliche, evidenziando quelle allocate su progetti non operativi e dando così certezze sia dei tempi di pagamento, che del finanziamento di nuovi progetti di sviluppo.
L'Autorità ha altresì in corso, in collaborazione con le altre pubbliche amministrazione interessate, le attività per l'elaborazione dei costi standard, così come prescritto per il settore della sanità dal dl 98/2011 che prevede debbano essere operativi a partire dal primo luglio 2012 (articolo ItaliaOggi del 09.09.2011).

APPALTI: Raggruppamento orizzontale e raggruppamento verticale – Nozione – Differenze – Art. 37 d.lgs. n. 163/2006.
Nel raggruppamento orizzontale, di cui all’art. 37, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, ciascuna delle imprese riunite è responsabile nei confronti dell’amministrazione committente dell’intera prestazione: in tal caso la distribuzione del lavoro per ciascuna impresa non rileva all’esterno (C.d.S., sez. V, 28.03.2007, n. 1440; 24.04.2002, n. 2208; 04.11.1999, n. 1805); nel raggruppamento verticale, invece, un’impresa, ordinariamente capace per la prestazione prevalente, si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni scorporabili (Cd.S., sez. V, 28.03.2007, n. 1440).
Mentre nel raggruppamento di tipo orizzontale, in cui tutte le imprese sono in possesso di un’identica specializzazione rispetto all’oggetto dell’appalto, la suddivisione delle prestazioni è quindi meramente quantitativa, nel raggruppamento di tipo verticale la suddivisione delle prestazioni tra le varie imprese è di carattere qualitativo; a tale distinzione corrisponde poi anche una diversa articolazione della responsabilità tra amministrazione appaltante e l’A.T.I., nel senso che mentre nell’associazione di tipo orizzontale tutti gli operatori economici sono solidalmente responsabili nei confronti dell’amministrazione appaltante per tutte le obbligazioni nascenti dal contratto di appalto, nell’associazione di tipo verticale la sola mandataria resta responsabile dell’intero appalto, mentre le mandanti sono responsabili solo per le attività scorporabili da esse prestate.
Appalti di lavori - A.T.I. mista – Nozione.
In tema di appalto di lavori, è ammessa anche la figura di A.T.I. mista, che ricorre allorquando, in presenza di un appalto complesso, le opere della categoria prevalente siano assunte, invece che dalla sola impresa capogruppo, da un’associazione orizzontale composta da essa con taluna delle imprese mandanti ovvero allorquando le opere scorporabili siano assunte in tutto o in parte orizzontalmente dalle imprese mandanti.
A.T.I. mista – Esecuzione della prestazione principale – Riserva alla sola mandataria – Individuazione della prestazione principale - Scelta discrezionale dell’amministrazione – Specifiche finalità dell’affidamento.
La pur ampia flessibilità che deve essere riconosciuta allo strumento del raggruppamento temporaneo di imprese, con particolare riferimento all’ipotesi di A.T.I. mista, non può giungere al travolgimento e alla sostanziale abrogazione della espressa norma che riserva alla sola mandataria, nel caso di appalto di forniture e servizi, l’esecuzione della prestazione principale: si tratta di una previsione che affida alla scelta discrezionale dell’amministrazione, in rapporto alle specifiche finalità che essa intende perseguire con l’affidamento all’esterno del servizio oggetto di gara, l’individuazione della prestazione principale che deve essere eseguita dalla mandataria, consentendole quindi un pregnante controllo sull’affidabilità della stessa e sulle conseguenti responsabilità per le obbligazioni derivanti dal contratto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2011 n. 5051 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Fino all’aggiudicazione l’amministrazione può disporre la revoca del bando di gara per concreti motivi di interesse pubblico che ne rendano inopportuna la prosecuzione.
Dopo aver indetto una gara per l’appalto della manutenzione ordinaria delle aree a verde pubblico e pubblicato il relativo bando sulla Gazzetta Ufficiale pervenivano ai competenti uffici del comune in causa i plichi dei soggetti interessati alla gara. Tuttavia, essendo necessario, secondo l’amministrazione comunale, ampliare il raggio di intervento il bando veniva revocato. Gli appellanti contestano pertanto la revoca dell’originaria gara per l’affidamento della manutenzione ordinaria delle aree a verde pubblico.
Giova al riguardo, secondo i giudici del Consiglio di Stato, rilevare che il primo comma dell’art. 21-quinquies della legge 07.08.1990, n. 241, al primo periodo, stabilisce che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, aggiungendo al secondo periodo che la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, continuano i giudici di Palazzo Spada, che, secondo la predetta norma, tre sono i presupposti che in via alternativa legittimano l'adozione di un provvedimento di revoca di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell'Autorità emanante ovvero da altro organo previsto dalla legge, cioè sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto e nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (C.d.S., sez. V, 18.01.2011, n. 283) e che deve essere considerato legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta in una fase non ancora definita della procedura concorsuale, ancora prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (C.d.S., sez. III, 13.04.2011, n. 2291).
Sempre in tema di procedure ad evidenza pubblica è stato evidenziato che fino a quando non sia intervenuta l’aggiudicazione, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara, puntualizzando che le ragioni tecniche nell’organizzazione del servizio attinenti le modalità di presenziamento, il riassetto societario, la volontà di provvedere in autoproduzione e non mediante esternalizzazione, la necessità di consentire attraverso tale scelta organizzativa un maggior assorbimento di personale in un quadro di attività concertate in sede sindacale mirante alla valorizzazione del personale interno, sono tutti profili attinenti al merito dell’azione amministrativa e di conseguenza insindacabili da parte del giudice, in assenza di palesi e manifesti indici di irragionevolezza (C.d.S., sez. V, 09.04.2010, n. 1997) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2011 n. 5050 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è necessario che i requisiti e mezzi di partecipazione alla gara siano già disponibili nel corso della procedura.
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Le prescrizioni contenute nella "lex specialis" della gara sono dirette ad assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché la parità di condizioni tra i concorrenti, e devono rispondere al comune canone di ragionevolezza, in stretta relazione con i richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione vanno quindi interpretate seguendo il criterio della stretta interpretazione, per non ledere il contrapposto interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura di gara.
Pertanto, di esse clausole va evitata un'applicazione meccanica che contraddica, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione può dunque considerarsi alla stregua di un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma; pertanto, alla stazione appaltante è precluso sopperire, con l'integrazione, alla totale mancanza di un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46, d.lgs. n. 163/2006, deve ritenersi consentita l'integrazione documentale riguardante semplici chiarimenti di un documento incompleto.

Una interpretazione finalistica e teleologica delle disposizioni in tema di requisiti di partecipazione alla gara, di cui è espressione anche il principio di avvalimento, porta a ritenere che, in sede di gara, possa essere fornita la dimostrazione in ordine al possesso, certo ed incondizionato, al momento della stipula del contratto e della successiva esecuzione, dei requisiti e dei mezzi all'uopo necessari.
Non è quindi necessario che i mezzi siano già disponibili all'epoca della procedura, mentre è invece necessario che nel corso della procedura si dimostri che essi saranno disponibili al momento dell'assunzione e dell'esecuzione degli impegni negoziali.
Una diversa interpretazione che preveda l'anticipazione al momento della procedura del possesso dei mezzi, non è da considerare effettuabile perché imporrebbe la dispendiosa acquisizione di dotazioni funzionali alla sola esecuzione dell'appalto prima ancora che vi sia certezza in ordine all'aggiudicazione, mentre l'interesse dell'Amministrazione a non prendere in considerazione offerte prive del crisma della necessaria serietà deve ritenersi soddisfatto dalla piena dimostrazione che detti requisiti saranno certamente disponibili al tempo all'uopo rilevante, ossia al momento dell'effettiva contrazione del vincolo negoziale (Consiglio Stato, sez. VI, 23.12.2005, n. 7376).
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Le prescrizioni contenute nella "lex specialis" della gara sono dirette ad assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché la parità di condizioni tra i concorrenti, e devono rispondere al comune canone di ragionevolezza, in stretta relazione con i richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione vanno quindi interpretate seguendo il criterio della stretta interpretazione, per non ledere il contrapposto interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura di gara.
Pertanto, di esse clausole va evitata un'applicazione meccanica che contraddica, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione può dunque considerarsi alla stregua di un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma; pertanto, alla stazione appaltante è precluso sopperire, con l'integrazione, alla totale mancanza di un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46, d.lgs. n. 163/2006, deve ritenersi consentita l'integrazione documentale riguardante semplici chiarimenti di un documento incompleto
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2011 n. 5040 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Solo l'omessa allegazione di un documento previsto a pena di esclusione è da ritenersi alla stregua di un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne è consentita l'integrazione ovvero la regolarizzazione postuma.
Le prescrizioni contenute nella "lex specialis" di gara sono dirette ad assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché la parità di condizioni tra i concorrenti, e devono rispondere al comune canone di ragionevolezza, in stretta relazione con i richiamati principi.
Le clausole previste a pena di esclusione vanno quindi interpretate seguendo il criterio della stretta interpretazione, onde non ledere l'interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura di gara. Pertanto, di esse va evitata un'applicazione meccanica che contraddica la primaria esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i canoni applicativi delle regole concernenti la contrattualistica pubblica.
Solo l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione è da ritenersi alla stregua di un'irregolarità insanabile e, quindi, non ne è consentita l'integrazione ovvero la regolarizzazione postuma. Pertanto, alla stazione appaltante è precluso sopperire, con l'integrazione, alla totale mancanza di un documento, mentre, ai sensi dell'art. 46, d.lgs. n. 163/2006, la stessa deve ritenersi consentita, se riguardante semplici chiarimenti relativi ad un atto incompleto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2011 n. 5040 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIDocumentazione da tenere in cantiere. Ecco il quadro completo.
Conservare la documentazione in cantiere rappresenta uno degli adempimenti più importanti e delicati per la gestione della sicurezza.
La documentazione risulta molto spesso cospicua: si va dai documenti a carattere generale (notifica preliminare, piani di sicurezza, piani di lavoro, tesserini di riconoscimento, etc.) fino alla documentazione specifica relativa ai macchinari e alle attrezzature (dichiarazioni CE delle attrezzature, registri di controllo, etc.).
Il Coordinamento dei CPT della Lombardia, al fine di garantire la sicurezza per i lavoratori dei cantieri edili, ha pubblicato un documento contenente il quadro sinottico della principale documentazione che deve essere tenuta in cantiere.
Il documento, chiaro e sintetico, fornisce indicazioni su tutta la documentazione con indicazioni su chi deve emetterla, chi è il destinatario e il punto normativo di riferimento, oltre alle note (08.09.2011 - link a www.acca.it).

APPALTI: P.A., senza moralità professionale niente contratti.
Il requisito della moralità professionale, richiesto per la partecipazione alle gare pubbliche di appalto, è da considerarsi mancante nell'ipotesi di commissione di un reato specifico connesso al tipo di attività che il soggetto deve svolgere.
L’Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici inseriva nel Casellario informatico una annotazione, relativa alla revoca dell’aggiudicazione disposta da parte della più importante società autostradale per false dichiarazioni nel possesso dei requisiti da parte di una ditta partecipante. L’inserimento dell’annotazione è stato successivamente comunicato alla società interessata.
Nel frattempo, altra società operante nel medesimo settore aveva indetto una gara per l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria di una determinata strada.
Nella domanda presentata, la società ricorrente comunicava la sussistenza a suo carico di un decreto penale di condanna in precedenza emesso in relazione a violazioni di norme sulla salute e sicurezza dei lavoratori, ma non la annotazione pendente nel Casellario.
La stazione appaltante, così, ne disponeva l’esclusione dalla gara sia in relazione alla mancata dichiarazione dell’annotazione, che alla mancanza dei requisiti di partecipazione, trattandosi di reato incidente sulla moralità professionale; inviava, dunque, la segnalazione dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza.
Quest’ultima, tuttavia, archiviava il procedimento relativo a un’eventuale ulteriore annotazione per false dichiarazioni, in quanto risultava che l’impresa aveva ricevuto la comunicazione dell’annotazione successivamente alla compilazione della domanda di partecipazione alla gara.
Avverso il provvedimento di esclusione della gara, l’invio della comunicazione dell’esclusione all’Autorità di Vigilanza e la prima annotazione da parte della medesima è insorta la ditta interessata, invocandone l’annullamento con contestuale domanda di risarcimento danni.
Il TAR di Roma, dichiarata l’irricevibilità per tardività del ricorso limitatamente alla prima annotazione inserita dall’Autorità di Vigilanza, nel merito ha ritenuto inammissibile l’impugnazione proposta avverso la comunicazione dell’avvenuta esclusione da parte della seconda società stradale all’Authority, atteso che il menzionato atto, avendo natura endoprocedimentale, non appariva immediatamente lesivo né autonomamente impugnabile.
Infatti, ha proseguito il Collegio capitolino, la segnalazione nel casellario informatico non aveva prodotto alcun effetto, se non quello dell’avvio del procedimento presso l’Autorità.
Di conseguenza, l’unico atto conclusivo con valenza provvedimentale era rappresentato dall’eventuale annotazione disposta dalla medesima; al contrario, la semplice segnalazione all’Autorità costituiva una mera comunicazione circa fatti verificatisi o accertati in relazione a una gara, rispetto alla quale potevano derivare effetti pregiudizievoli per l'impresa interessata solo a seguito di annotazione nel Casellario informatico (v., di recente, TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.02.2011, n. 762).
Passando a esaminare l’impugnazione proposta avverso il provvedimento di esclusione dalla gara, l’adito giudicante ha dichiarato l’infondatezza del gravame.
In proposito, il G.A. ha sottolineato come l’impugnato provvedimento di esclusione non era fondato solo sulla mancata dichiarazione dell’annotazione successivamente inserita dall’Autorità e che, quindi, non risultava ancora conosciuta al momento di presentazione della domanda.
Invero, ha proseguito, l’esclusione dalla gara era stata determinata anche sull’autonoma valutazione della sussistenza del precedente decreto penale di condanna, quale elemento ostativo alla partecipazione alla gara, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, trattandosi di reato considerato incidente sulla moralità professionale.
Tale valutazione, a opinione del Tribunale, non poteva ritenersi né in contrasto con la disposizione dell’art. 38 cit., né irragionevole, trattandosi di decreto penale per reato relativo alla violazione di norme sulla sicurezza dei lavoratori.
Difatti, ha precisato che l'art. 38, comma 1, D.Lgs. n. 163 del 2006, nel testo applicabile al momento dello svolgimento della gara, prevedeva alla lett. c) l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi dei soggetti nei cui confronti è stato emesso, oltre al resto, decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per reati gravi che incidono sulla moralità professionale.
In argomento, ha ancora richiamato un recente orientamento giurisprudenziale che, in relazione alla cd. “incidenza sulla moralità professionale”, ha evidenziato la rilevanza dell'interesse dell'Amministrazione a non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscono adeguata moralità professionale in relazione al tipo di contratto oggetto della gara (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12.04.2007, n. 1723).
A non differente conclusione il Collegio romano è pervenuto in relazione alla nozione di gravità del reato, la quale dev’essere valutata non in relazione alla considerazione penalistica del reato, ma all’interesse dell’Amministrazione al corretto adempimento delle obbligazioni oggetto del contratto.
Conseguentemente, ha ritenuto che la gravità del reato, ai sensi dell’art. 38 cit., non è esclusa dalla lieve pena edittale prevista nella fattispecie penale o dalla natura contravvenzionale del reato, ma dev’essere valutata in relazione all’incidenza del reato sulla moralità professionale (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.09.2011 n. 7143 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente, in relazione ad un decreto penale per un reato relativo alla violazione di norme sulla sicurezza dei lavoratori.
La gravità del reato, ai sensi dell'art 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, non è esclusa dalla lieve pena edittale prevista nella fattispecie penale o dalla natura contravvenzionale del reato. La gravità del reato deve essere valutata in relazione alla incidenza del reato sulla moralità professionale; il contenuto del contratto oggetto della gara assume allora importanza fondamentale al fine di apprezzare il grado di "moralità professionale" del singolo concorrente.
Pertanto, è irrilevante, rispetto a siffatta valutazione della stazione appaltante, la gravità del reato sanzionato in sede penale in relazione alla pena edittale o al fatto che si tratti di contravvenzioni. Nel caso di specie, pertanto, si deve ritenere legittima la valutazione della stazione appaltante che abbia escluso una concorrente da una gara di appalto di lavori, in relazione ad un decreto penale per un reato relativo alla violazione di norme sulla sicurezza dei lavoratori (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.09.2011 n. 7143 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa segnalazione all’Autorità è una mera comunicazione circa fatti verificatisi o accertati in relazione ad una gara, rispetto alla quale potranno derivare effetti pregiudizievoli per l'impresa interessata solo a seguito di annotazione nel Casellario informatico.
La segnalazione nel casellario informatico non produce alcun effetto, che non sia l’avvio del procedimento presso l’Autorità di Vigilanza. L’unico atto conclusivo con valenza provvedimentale è rappresentato dalla eventuale annotazione disposta dall’Autorità di Vigilanza.
La segnalazione all’Autorità è una mera comunicazione circa fatti verificatisi o accertati in relazione ad una gara, rispetto alla quale potranno derivare effetti pregiudizievoli per l'impresa interessata solo a seguito di annotazione nel Casellario informatico (cfr. di recente Tar Campania, sez. VIII, 09.02.2011, n. 762)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.09.2011 n. 7143 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl requisito della moralità professionale richiesto per la partecipazione alle gare pubbliche di appalto risulta mancante nell'ipotesi di commissione di un reato specifico connesso al tipo di attività che il soggetto deve svolgere.
La nozione di gravità del reato deve essere valutata non in relazione alla considerazione penalistica del reato, ma all’interesse dell’Amministrazione al corretto adempimento delle obbligazioni oggetto del contratto. Ne deriva che la gravità del reato, ai sensi dell’art. 38, non è esclusa dalla lieve pena edittale prevista nella fattispecie penale o dalla natura contravvenzionale del reato. La gravità del reato anche deve essere valutata in relazione alla incidenza del reato sulla moralità professionale; il contenuto del contratto oggetto della gara assume allora importanza fondamentale al fine di apprezzare il grado di "moralità professionale" del singolo concorrente. Di conseguenza, è irrilevante rispetto a tale valutazione della stazione appaltante la gravità del reato sanzionato in sede penale in relazione alla pena edittale o al fatto che si tratti di contravvenzioni.
L'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006, nel testo applicabile al momento dello svolgimento della gara, prevedeva alla lettera c) la esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi dei soggetti: “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.
La giurisprudenza ha interpretato la incidenza sulla moralità professionale, nel senso della rilevanza dell'interesse dell'Amministrazione a non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano adeguata moralità professionale in relazione al tipo di contratto oggetto della gara.
Il requisito della moralità professionale richiesto per la partecipazione alle gare pubbliche di appalto è stato considerato mancante nell'ipotesi di commissione di un reato specifico connesso al tipo di attività che il soggetto deve svolgere (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n. 1723, proprio rispetto alla condanna per violazione della normativa antinfortunistica in una gara di appalto di lavori).
Anche la nozione di gravità del reato deve essere valutata non in relazione alla considerazione penalistica del reato, ma all’interesse dell’Amministrazione al corretto adempimento delle obbligazioni oggetto del contratto.
Ne deriva che la gravità del reato, ai sensi dell’art. 38, non è esclusa dalla lieve pena edittale prevista nella fattispecie penale o dalla natura contravvenzionale del reato.
La gravità del reato anche deve essere valutata in relazione alla incidenza del reato sulla moralità professionale; il contenuto del contratto oggetto della gara assume allora importanza fondamentale al fine di apprezzare il grado di "moralità professionale" del singolo concorrente. Di conseguenza, è irrilevante rispetto a tale valutazione della stazione appaltante la gravità del reato sanzionato in sede penale in relazione alla pena edittale o al fatto che si tratti di contravvenzioni (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 04.06.2010, n. 3560 rispetto alla condanna per violazione delle norme sulla disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari rispetto alla gara per un servizio di ristorazione).
Nel caso di specie, si deve, quindi, ritenere legittima la valutazione della stazione appaltante che ha escluso la impresa ricorrente da una gara di appalto di lavori di manutenzione stradale, in relazione ad un decreto penale per un reato relativo alla violazione di norme sulla sicurezza dei lavoratori.
La norma dell’art. 38 fa salva l'applicazione dell'art. 178 del codice penale.
La giurisprudenza, anche di questa sezione, ha, dunque, considerato rilevante, sotto tale profilo, la pronuncia di riabilitazione, per escludere che una pronuncia di condanna continui ad incidere sulla moralità professionale di una impresa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 25.01.2011, n. 513; TAR Lazio Roma, sez. III, 22.05.2009, n. 5194).
Come è noto, l’orientamento giurisprudenziale ritiene, altresì, che la riabilitazione (o l'estinzione del reato per cui è stata applicata la pena su richiesta, per decorso del termine di legge) debba essere giudizialmente dichiarata, poiché il giudice dell'esecuzione è l'unico soggetto, al quale l'ordinamento conferisce la competenza a verificare che siano venuti in essere tutti i presupposti e sussistano tutte le condizioni per la relativa declaratoria (Consiglio Stato, sez. V, 20.10.2010, n. 7581)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.09.2011 n. 7143 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Partecipazione alle gare, dichiarazione dell'amministratore di fatto ok.
Devono essere inclusi nel novero dei soggetti tenuti a rendere la dichiarazione sul possesso dei requisiti generali per la partecipazione alle gare di appalto quelle persone in grado di impegnare la società verso i terzi ed i procuratori ad negotia laddove, a dispetto del nomen, l'estensione dei loro poteri conduca a qualificarli come amministratori di fatto. L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, prevede che la dichiarazione sul possesso dei requisiti generali per la partecipazione alle gare di appalto debba essere resa dagli amministratori muniti di potere di rappresentanza.

In tale dizione, a parere del Collegio, devono essere ricompresi tutti i soggetti che possiedono poteri gestionali di ampiezza tale che le conseguenze dei loro personali comportamenti possano trasmettersi in capo all’impresa partecipante alla gara.
La ratio della previsione di cui al suddetto art. 38 é quella di evitare che alle gare per l’affidamento di contratti pubblici partecipino imprese la cui gestione possa essere inquinata da comportamenti antigiuridici da parte di coloro che concorrono ad assumerne le decisioni, di talché la suddetta partecipazione metta a rischio sia il rispetto delle regole fondamentali dell’evidenza pubblica, sia la corretta esecuzione del contratto una volta affidato.
E se tale è la ratio della norma in questione, non vi è ragione di escludere dal suo ambito di applicazione quei soggetti che, pur essendo qualificati come meri procuratori dell’impresa partecipante, tuttavia possiedano poteri gestori ampi al punto di poter influire sulle decisioni aziendali.
Così opinando non viene consentita un’integrazione postuma della legge di gara come la ricorrente denuncia, ma si assume un’interpretazione della stessa secondo un canone di buona fede che vincola non solo l’amministrazione ma anche il privato, e si impone alle parti quale obbligo di lealtà. Il rispetto di tale obbligo impone di evitare le interpretazioni cavillose o meramente letterali, per privilegiare invece lo spirito delle disposizioni oggetto dell'interpretazione.
La giurisprudenza dominante afferma infatti che l’obbligo di rendere le dichiarazioni sostitutive deve essere ricollegato all'oggettiva sussistenza di poteri gestori generali e continuativi ricavabili dalla procura (C.d.S. VI, 12.10.2006 n. 6089), e che l'identificazione delle persone fisiche munite del potere di rappresentanza della società partecipante alla gara pubblica e, per questo, tenute a presentare la dichiarazione medesima va effettuata non solo in base alle qualifiche formali rivestite, ma anche alla stregua dei poteri sostanziali ad essi attribuiti.
Ne segue che devono essere inclusi nel novero dei soggetti tenuti a rendere la dichiarazione quelle persone in grado di impegnare la società verso i terzi ed i procuratori ad negotia laddove, a dispetto del nomen, l'estensione dei loro poteri conduca a qualificarli come amministratori di fatto (C.d.S. V, 20.10.2010 n. 7578).
Come correttamente dedotto nel provvedimento impugnato, nel caso di specie i procuratori della ricorrente erano muniti non solo di poteri rappresentativi, ma anche gestori, in quanto entrambi dotati della capacità di intrattenere ogni tipo di rapporto giuridico con la stazione appaltante e di sottoscrivere contratti senza che fosse necessaria né in via preventiva, né in via di ratifica, l’adesione del legale rappresentante dell’impresa medesima.
Trattasi di una situazione in cui tali soggetti sono procuratori solo nominalmente, ma in via di fatto appaiono essere i veri gestori della partecipazione dell’impresa ricorrente alle gare di appalto.
Tale situazione non poteva non essere nota all’impresa stessa che, conseguentemente, avrebbe dovuto rendere la dichiarazione anche con riferimento ai suddetti soggetti o quantomeno chiedere in proposito chiarimenti alla stazione appaltante.
Questo non è stato fatto e pertanto ritiene il Collegio che legittimamente il Comune intimato abbia disposto l’esclusione della ricorrente dalla gara.
Il Collegio non ignora che una pronuncia del Consiglio di Stato (C.d.S. V, 25.01.2011 n. 513) ha affermato principi diversi sostenendo che, poiché l’art. 38 del d.lgs. 163/2006 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza, la sua applicazione non potrebbe essere estesa ai soggetti, quali il procuratore, che amministratori non sono.
La normativa civilistica infatti riserva la gestione dell’impresa esclusivamente a questi ultimi mentre il procuratore ha solo la sua rappresentanza di diritto comune.
L’assunto è suffragato dalla considerazione che detta disposizione limita la partecipazione delle imprese alle gare di appalto e con essa la libertà di iniziativa economica, sicché assumerebbe carattere eccezionale e non sarebbe suscettibile di applicazione analogica.
È discutibile che l’art. 38 del d.lgs. 163/2006 sia norma eccezionale.
La normativa sull’evidenza pubblica pone infatti una serie di regole tendenti a garantire che le gare per l’affidamento dei pubblici contratti avvengano secondo criteri di trasparenza e parità di trattamento evitando che vi partecipino imprese le quali, a causa del comportamento dei loro amministratori, possono condizionarne negativamente lo svolgimento.
Sotto questo profilo l’art. 38 del d.lgs. 163/2006 non sembra che tenda a restringere la libertà d’impresa quanto invece a tutelarla, impedendo che la stessa possa essere incisa dal comportamento di imprese che non danno garanzie di affidabilità.
Le sue disposizioni quindi non limitano, ma anzi tutelano maggiormente la libertà economica perché garantiscono che la concorrenza, nell’ambito delle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici, avvenga secondo regole certe e nel rispetto del principio di parità di trattamento al fine della costruzione di un mercato libero, aperto, concorrenziale ed efficiente.
Non trattasi quindi di norma eccezionale e pertanto nulla osta alla sua applicazione analogica.
Peraltro nel caso di specie non vi è necessità di ricorrere al procedimento analogico poiché l’interpretazione secondo buona fede della legge di gara, a parere del Collegio, non poteva che condurre a ricomprendere nel novero dei soggetti tenuti ad autodichiarare l’assenza di condizioni ostative alla partecipazione alla procedura de qua anche coloro che, se pure non muniti formalmente della qualifica di amministratore, fossero tuttavia concretamente dotati di poteri gestionali e decisori in ordine alla politica aziendale rispetto (quantomeno) alle gare per l’affidamento di contratti pubblici.
L’assunto secondo il quale l’art. 38 del d.lgs. 163/2006 non ricomprenderebbe i procuratori muniti di potere gestorio ma non qualificati come “amministratori” non appare convincente poiché è ancorato all’analisi formale dei poteri connessi alle cariche rivestite dai soggetti che agiscono in nome e per conto dell’impresa.
Le esigenze sottese alle previsioni di cui alle norme ostative alla partecipazione alle gare di appalto, consistenti nell’evitare che le stesse vengano inquinate da imprese che non diano garanzie di correttezza, possono essere soddisfatte solo ove se ne assuma un’interpretazione sostanzialistica centrata sull’esame dei poteri concretamente dispiegabili, caso per caso, da tali soggetti.
Laddove un procuratore, in base alla procura conferitagli, possieda come nel caso di specie anche poteri gestori non può non essere tenuto a rendere la dichiarazione sostitutiva ex art. 38, d.lgs. 163/2006.
Trattasi, si ripete, di interpretazione secondo buona fede della lex specialis alla quale sono tenuti anche i soggetti privati.
Deve infine essere rilevato che la stazione appaltante non avrebbe legittimamente potuto ammettere la ricorrente alla regolarizzazione, poiché questa può essere attivata per chiedere chiarimenti o integrare dichiarazioni esistenti e giammai per supplire alla mancanza di una dichiarazione che l’impresa avrebbe dovuto produrre entro un termine perentorio (C.d.S. IV, 10.05.2007 n. 2254; TAR Piemonte I, 08.06.2010 n. 2722) (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 07.09.2011 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' perentorio il termine sul controllo dei requisiti ex art. 48, co. 2, D.Lgs. 163/2006.
La giurisprudenza è pressoché uniformemente orientata ad affermare la perentorietà del termine di cui al primo comma dell’ art. 48 D.Lgs. 163/2006. Quanto al secondo comma, parte della giurisprudenza (confortata anche dalla determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici n. 5/2009) ritiene che esso non preveda un termine perentorio entro il quale la documentazione comprovante i requisiti deve essere fornita (in tal senso si è espresso anche questo Tribunale nella sentenza della sez. II 03.07.2009 n. 1171); mentre l'opposto orientamento è stato seguito, ad esempio, da TAR Palermo, sez. III, 08.10.2009 n. 1608; TAR Lazio, sez. III, 23.07.2009 n. 7493; TAR Bari, sez. I, 14.08.2008 n. 1971.
Il Collegio, nel confronto tra le opposte tesi, ritiene più convincente quella da ultimo richiamata, sulla base delle seguenti considerazioni: l'esigenza di assicurare tempi certi e celeri vale sia durante lo svolgimento della gara, sia dopo l'aggiudicazione provvisoria e in vista della conclusione del procedimento; confligge con tale esigenza la mancanza di un termine perentorio per la presentazione della documentazione comprovante i requisiti dell’aggiudicatario; sotto il profilo letterale il richiamo del comma 2 alla "richiesta di cui al comma 1" va riferito alla richiesta "di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa" e dunque anche al termine di 10 giorni ivi indicato, pacificamente ritenuto perentorio; da ciò consegue che l'impugnata esclusione della ricorrente risulta legittimamente disposta (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 07.09.2011 n. 1380 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: L'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 esclude una valutazione discrezionale da parte della P.A., in ordine alla gravità o meno della violazione concernente gli obblighi tributari.
Ai fini della configurabilità del requisito della regolarità fiscale, va escluso ogni rilievo alla modestia dell'entità del debito definitivamente accertato non essendo previsto, da parte della stazione appaltante, alcun apprezzamento discrezionale in merito alla gravità ed all'elemento psicologico della violazione, in quanto la formulazione dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 è riferita a qualsivoglia violazione, anche di importo esiguo, senza che sia consentito all'amministrazione procedente, né al concorrente, valutarne la rilevanza e la buona o mala fede del contribuente, giacché tale valutazione è stata effettuata dal legislatore al fine di garantire l'affidabilità dell'offerta e nell'esecuzione del contratto, nonché la correttezza e serietà del concorrente.
Un'interpretazione opposta del citato art. 38 comporterebbe il conferimento alla P.A. di un potere discrezionale in ordine alla gravità dell'infrazione, anche in settori in cui è positivamente esclusa. Pertanto, anche una violazione quantitativamente non ampia degli obblighi tributari risulta sufficiente per determinare l'esclusione del concorrente (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 07.09.2011 n. 1380 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'interdittiva antimafia non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche ed indiziarie.
In materia di interdittiva antimafia prevista dall'art. 4 d.lgs. n. 490/1994, e art. 10 d.P.R. 03.06.1998 n. 252, è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa che l'interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche ed indiziarie.
Conseguentemente non occorre che sia provata l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, la mera possibilità di interferenze della criminalità rivelate da fatti sintomatici o indiziari.
Inoltre, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 06.09.2011 n. 5019 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Cause di esclusione.
La disciplina di cui all'art. 38, comma primo, lett. m-ter del Codice dei Contratti Pubblici, introdotta dall'art. 2 della legge n. 94 del 2009, introduce una nuova autonoma causa di esclusione dalle procedure di aggiudicazione, ma non fa venire meno la vigente disciplina in materia di informazioni antimafia. Ciò rilevato, pertanto, la circostanza che un determinato accadimento possa risultare, in concreto, inidoneo ad integrare la fattispecie di cui al menzionato art. 38, non impedisce affatto che esso possa essere considerato quale univoco elemento indiziario ai fini dell'adozione dell'informativa antimafia.
L'intervenuto annullamento giurisdizionale di una informativa antimafia per difetto di istruttoria e di motivazione, non preclude alla competente Amministrazione di svolgere un nuovo procedimento, che conduca ad un completo ed approfondito rinnovo della valutazione dei fatti. In tale contesto deve, pertanto, escludersi qualsiasi intento elusivo del giudicato, da parte dell'Amministrazione, in quanto certamente titolare, in seguito all'annullamento dell'originaria informativa, del potere di svolgere un nuovo procedimento valutativo, correlato alla acquisizione di ulteriori elementi istruttori.
Il rinnovo del procedimento, semmai, costituisce proprio uno degli effetti conformativi della pronuncia di annullamento, ferma restando la eventuale sindacabilità della nuova determinazione, anche alla luce dei vincoli derivanti dal giudicato (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.09.2011 n. 5014 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale della P.A..
Va accolta la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale della P.A., avanzata da una ditta concorrente ad una gara per l’affidamento di un appalto, nel caso in cui la stazione appaltante, senza alcuna preventiva comunicazione alle ditte interessate, abbia disposto la revoca in autotutela della procedura di gara, per la sopravvenuta necessità di predisporre un nuovo progetto preliminare, tendente alla ottimizzazione delle risorse pubbliche impegnate, e tale revoca -nonostante che la suddetta necessità fosse conosciuta da molto tempo prima- sia stata adottata a procedura di gara pressoché ultimata (nella specie, quando restava soltanto di dover procedere all’apertura della busta del "prezzo offerto") (1).
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(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna che, nell’ipotesi prospettata, la revoca è stata disposta quando un apprezzabile affidamento dei concorrenti si era già formato, a fronte della tardiva indicazione della necessità della revisione progettuale, con la conseguenza che, da una parte, il comportamento dell’Amministrazione deve ritenersi contrastante con il dovere di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c., che deve permeare i rapporti anche contrattuali con le parti private, e che, dall’altra, deve ritenersi emergente la responsabilità precontrattuale della P.A.
E’ stato ricordato che, secondo la giurisprudenza, nel caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara, può sussistere una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione nel caso di affidamenti suscitati nella impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi (Cons. Stato, Ad. plen., 05.09.2005, n. 6; V, 30.11.2007, n. 6137; 08.10.2008, n. 4947; 11.05.2009, n. 2882; VI, 17.12.2008, n. 6264) potendo aver confidato l’impresa sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso
(Cons. Stato, Ad. plen., n. 6 del 2005) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.09.2011 n. 5002 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: False dichiarazioni. Inserimento della relativa impresa nel casellario telematico nel caso di falso imputabile.
L’inserimento nel casellario informatico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17, comma 1, lettera m), e dell’art. 27, comma 2, lettere s) e t), del d.P.R. 25.01.2000, n. 34, non può essere disposto solo nel caso di falso non imputabile (1). L’imputabilità, tuttavia, non può ricondursi in via esclusiva al solo caso della diretta ed immediata riconducibilità all’imprenditore della falsa dichiarazione, ma ha portata più ampia, perché -per un’immanente esigenza di tutela dell’affidamento delle amministrazioni pubbliche- si debbono a questi effetti ascrivere tra i fatti sfavorevolmente imputabili anche condotte non uniformate alla diligenza esigibile nel mercato dei pubblici appalti, qual è nel caso di omissione di adeguati controlli in occasione dell’acquisto di un ramo di azienda.
Nel caso di acquisto di ramo di azienda, incombe sull’imprenditore acquirente -che da quel momento diviene attributario delle qualificazioni- l’onere della verifica della veridicità delle preesistenti attestazioni relative al plesso aziendale da lui acquisito e di cui assume, con le utilità, il rischio. Al cessionario d’azienda possono dunque non essere, a questi fini, addebitate false dichiarazioni del cedente solo in caso di comprovata impossibilità di loro conoscenza, seppur in presenza di opportune verifiche effettuate in occasione della cessione, in relazione alle dimensioni dell’impresa e al settore di attività interessato (2).
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(1) Cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 04.02.2010, n. 515 e 08.07.2010, n. 4442
Le attestazioni inerenti i lavori effettuati dalle imprese, infatti, costituiscono la base di ufficiali certificazioni sui requisiti di capacità tecnica e finanziaria, che attestano con effetti di affidamento di tutte le amministrazioni la capacità dell’imprenditore rispetto all’oggetto dei contratti pubblici, e che perciò sono necessari per partecipare alle gare indette dalle amministrazioni medesime per realizzare col mezzo di quei contratti opere e lavori pubblici.
(2) Cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. II, parere n. 1661/2005 del 25.05.2005, per il quale rimane imputabile all’acquirente la falsità non difficilmente accertabile, ad es. mediante i certificati penali e dei carichi pendenti dei gestori della cedente.
In applicazione del principio nella specie è stata ritenuta legittima l’iscrizione nel casellario giudiziale di una falsa dichiarazione resa dall’acquirente di un ramo di azienda circa la mancanza di risoluzioni contrattuali, dichiarazione smentita dal fatto che in precedenza, nei confronti dell’impresa che aveva ceduto il ramo d’azienda, una P.A. aveva avviato azione di risoluzione, in danno dell’impresa, del contratto di appalto.
E’ stato ritenuto che di tale situazione contenziosa non sembrava illogico ritenere che potesse avere avuto notizia sia l’acquirente del ramo di azienda a circa due mesi di distanza dall’avvio dell’azione di risoluzione, sia l’acquirente successiva, che dell’attestazione contestata intendeva avvalersi ai fini della qualificazione.
In tal caso la dimostrazione della non conoscenza della causa di esclusione spettava quindi all’impresa e non certo all’Autorità di Vigilanza, che aveva ravvisato ragionevoli e concordanti indizi per desumerne l’imputabilità di cui trattasi
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.09.2011 n. 4997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'onere di verificare la veridicità delle preesistenti attestazioni incombe sul cessionario d'azienda.
Con sentenza 05.09.2011 n. 4997, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha precisato che incombe sull’imprenditore, acquirente di un ramo d’azienda, l’onere della verifica della veridicità delle preesistenti attestazioni relative al plesso aziendale da lui acquisito e di cui assume, oltre alle utilità, anche il rischio.
La decisione del Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del TAR Roma, con la quale era stato annullato il provvedimento con cui l’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici aveva comunicato ad una società il suo inserimento nel casellario informatico, per accertate falsità nelle dichiarazioni rese sui requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara.
In particolare, il TAR Roma aveva motivato la sua decisione sulla circostanza che la falsa dichiarazione non fosse riconducibile direttamente alla società ricorrente, poiché la certificazione non veritiera seguiva l’acquisto di un ramo d’azienda da una società che, a sua volta, aveva acquistato la struttura aziendale, già fornita di attestazione di qualificazione, da un’altra società.
In riforma della sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato ha chiarito che l’imputabilità di una falsa dichiarazione può essere ascritta anche all’imprenditore che ha tenuto una condotta non uniformata alla diligenza esigibile nel mercato dei pubblici appalti, come nel caso in cui abbia omesso di effettuare adeguati controlli in occasione dell’acquisto di un ramo di azienda.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Dal principio generale di successione nei rapporti giuridici oggettivi dell’azienda ceduta (cfr. art. 2558 Cod. civ.) nel cui novero rientrano anche gli effetti di queste dichiarazioni circa l’affidabilità morale e professionale indistintamente valevoli verso le stazioni appaltanti pubbliche, consegue che, in caso di acquisto di ramo di azienda, incombe sull’imprenditore acquirente –che dal momento diviene attributario delle qualificazioni– l’onere della verifica della veridicità delle preesistenti attestazioni relative al plesso aziendale da lui acquisito e di cui assume, con le utilità, il rischio.
Al cessionario d’azienda possono dunque non essere, a questi fini, addebitate false dichiarazioni del cedente solo in caso di comprovata impossibilità di loro conoscenza, seppur in presenza di opportune verifiche effettuate in occasione della cessione, in relazione alle dimensioni dell’impresa e al settore di attività interessato (cfr. in senso conforme, Cons. Stato, II, parere n. 1661/2005 del 25.05.2005, per il quale rimane imputabile all’acquirente la falsità non difficilmente accertabile, ad es. mediante i certificati penali e dei carichi pendente dei gestori della cedente)
”.
In conclusione, secondo i giudici del Consiglio di Stato, l’imprenditore che acquista un ramo d’azienda deve adottare tutta la diligenza, esigibile nel mercato dei pubblici appalti, e necessaria per la tutela dell’affidamento delle amministrazioni pubbliche (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’interpretazione del bando di gara soggiace alle stesse regole dettate dal codice civile per l’interpretazione dei contratti.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’interpretazione degli atti amministrativi (ivi compreso il bando di gara) soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale (in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo), dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l’intento dell’amministrazione ed il potere che essa ha inteso esercitare in base al contenuto complessivo dell’atto e tenendo conto del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo (C.d.S., sez. V, 09.11.2010, n. 7966; 16.06.2009, n. 3880); occorre poi aggiungere, per un verso, che secondo il criterio di interpretazione di buona fede (ex art. 1366 c.c.) gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, in modo da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative (C.d.S., sez. V, 19.11.2010, n. 7260) e, per altro verso, che solo in caso di oscurità ed equivocità delle clausole del bando (e degli atti che regolano i rapporti tra cittadini e P.A.) può ammettersi una lettura idonea a tutela dell’affidamento degli interessati in buona fede, non potendo generalmente addebitarsi al cittadino un onere di ricostruzione dell’effettiva volontà dell’amministrazione attraverso complesse indagini ermeneutiche ed integrative (C.d.S., sez. V, 17.10.2008, n. 5064; 28.03.2007, n. 1141) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.09.2011 n. 4980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIBandi di gara senza pretese inutili. Negli appalti niente clausole a pena di esclusione oltre i presupposti di riferimento. Dl sviluppo. Cambia anche la valutazione delle offerte da parte dell'ente che dovrà avvenire sottraendo al ribasso i costi del lavoro.
Le stazioni appaltanti non possono inserire clausole a pena di esclusione che non rispettino i presupposti di riferimento indicati dalla normativa in materia di appalti e devono valutare le offerte sottraendo al ribasso i costi del lavoro.
In base alle novità introdotte nel Codice dei contratti pubblici dal decreto Sviluppo (Dl 70/2011) e dalla sua legge di conversione (106/2011), le amministrazioni devono impostare gli atti di gara con regole che non prevedano adempimenti inutili, tali da ostacolare gli operatori economici, mentre questi ultimi sono tenuti a formulare le loro proposte con valori che non possono andare al di sotto dei minimi salariali.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) ha aperto una consultazione su questi temi (sul sito www.avcp.it, alla voce «Consultazioni online»), che si chiuderà il 10 settembre: le imprese e le Pa possono produrre le loro osservazioni in merito.
I limiti.
Il primo profilo di attenzione è determinato dal neo-introdotto comma 1-bis dell'articolo 46, il quale stabilisce che nei bandi di gara e nelle lettere di invito possono essere inserite clausole a pena di esclusione solo se collegate a obblighi previsti da norme del Codice, del regolamento attuativo o di altre leggi, oppure se volte a garantire il corretto sviluppo delle operazioni di gara (con riferimento alla certezza della provenienza e del contenuto dell'offerta, all'integrità dei plichi, alla segretezza e alla completezza delle offerte). Le stazioni appaltanti non possono inserire altre clausole escludenti, poiché sono nulle, in quanto non sostenute da un presupposto normativo.
L'Avcp sta predisponendo i bandi-tipo (previsti dall'articolo 64, comma 4-bis del Codice), che conterranno le clausole tassative a pena di esclusione, ma nel documento di consultazione chiede la collaborazione dei soggetti pubblici e privati impegnati negli appalti per risolvere alcuni aspetti critici (come l'esclusione in caso di mancata effettuazione del sopralluogo, per il quale la normativa non prevede un obbligo specifico).
L'Autorità ha peraltro già definito alcune clausole tipo, relative a specifici obblighi previsti dal Codice, con riferimento particolare a quelle inerenti al termine di ricezione delle offerte e alla cauzione provvisoria: tali elementi possono già essere assunti dalle stazioni appaltanti per l'elaborazione dei bandi di gara in questa fase transitoria.
Nuovo criterio.
La seconda grande novità introdotta nell'articolo 81 del Codice riguarda la previsione (comma 3-bis) che le amministrazioni devono determinare l'offerta migliore al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Su questo dato normativo si sono formate due linee interpretative.
La prima, elaborata dal gruppo di lavoro degli esperti delle Regioni (www.itaca.org), sostiene che la stazione appaltante dovrebbe indicare "ex ante" nel bando di gara l'importo del costo del lavoro. Di conseguenza, l'importo complessivo posto a base di gara dovrebbe essere suddiviso in tre parti: una parte pari al costo del lavoro (tempo previsto per esecuzione del lavoro moltiplicato per i minimi salariali), una parte pari al costo della sicurezza e una parte pari al costo dei materiali, dei noli a caldo e a freddo, delle attrezzature e delle spese generali, nonché all'utile delle imprese.
Il secondo orientamento è invece quello elaborato dall'Avcp nel documento di consultazione, nel quale l'Autorità afferma che l'obiettivo della disposizione (contrastare il lavoro nero e il lavoro sottopagato) verrebbe perseguito in modo più efficace verificando il rispetto della normativa sulla manodopera, nella fase di esecuzione delle commesse (articolo Il Sole 24 Ore del 05.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Stazione unica appaltante ad adesione volontaria.
LOTTA ALLE MAFIE - L'obiettivo della centrale è salvaguardare dai possibili condizionamenti di organizzazioni criminali.

Le amministrazioni pubbliche possono aderire alla stazione unica appaltante, per salvaguardare la fase dell'affidamento dell'appalto da possibili condizionamenti di organizzazioni criminali.
Nell'ambito del piano straordinario contro le mafie (legge 136/2010) è stato emanato il Dpcm 30.06.2011 (pubblicato nella Guri del 29 agosto), che disciplina le competenze e i profili organizzativi dei particolari organismi. Le "Sua" sono configurate come centrali di committenza, riconducibili al modello generale definito dagli articoli 3 e 33 del codice dei contratti pubblici, ma con una finalizzazione che combina l'ottimizzazione delle procedure con la capacità di contrastare più efficacemente i tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti.
Le attività attribuite alla stazione unica appaltante sono focalizzate sulla gestione della procedura di gara, collaborando con l'ente che intende affidare l'appalto nell'impostazione dei documenti descrittivi (capitolato speciale, schema di contratto), definendo la procedura di gara e occupandosi in via esclusiva della redazione degli atti regolatori della gara (bando, disciplinare e lettera di invito), con piena responsabilità nella definizione dei criteri selettivi (in caso di utilizzo dell'offerta economicamente più vantaggiosa).
La gestione della gara in tutte le sue fasi (compresa la nomina della commissione giudicatrice, quando necessaria) costituisce l'attività fondamentale della particolare centrale di committenza, che deve svilupparla in tutti i suoi profili operativi: dall'assolvimento degli obblighi di pubblicità all'effettuazione dei controlli sul possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità nei confronti dei concorrenti e dell'aggiudicatario.
La collaborazione con le amministrazioni titolari dell'appalto si estende anche alla fase di stipulazione del contratto. La Sua, inoltre, ha competenza per la cura dei contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio. Su questo profilo, il riparto degli oneri connessi alla gestione del contenzioso deve essere definito nell'ambito della convenzione che regola i rapporti tra la stazione appaltante unica e le amministrazioni pubbliche aderenti. Con tale accordo devono essere definiti l'ambito di operatività del particolare organismo, i criteri dimensionali degli appalti che ne determinano l'intervento (ad esempio, per agre sopra la soglia comunitaria), le interazioni tra il responsabile del procedimento
delle amministrazioni aderenti e quello della centrale di committenza, nonché gli obblighi informativi reciproci (tra cui anche quelli relativi alle varianti in corso di esecuzione, che l'ente deve evidenziare al soggetto affidante).
L'assetto organizzativo e gestionale della Sua, con caratteristiche di notevole flessibilità, ben si coniuga con la prospettiva di una costituzione di più organismi di questo tipo in ambito regionale, proprio in virtù dell'ampia possibilità di scelta delle amministrazioni pubbliche, che possono aderirvi attribuendo la competenza allo svolgimento di singole gare o di particolari tipologie. Un comune di limitate dimensioni e con una struttura organizzativa ridotta potrebbe per esempio aderire alla stazione unica appaltante solo per le gare di maggiore complessità e importo.
Il Dpcm fa comunque salve le normative regionali che disciplinano moduli organizzativi e strumenti di raccordo tra gli enti territoriali per l'espletamento delle funzioni e delle attività riferibili alla Sua, quando hanno lo scopo di garantire l'integrazione, l'ottimizzazione e l'economicità delle stesse funzioni, attraverso formule convenzionali, associative o di avvalimento nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. A garanzia dell'efficacia dell'attività delle Sua, il Dpcm prevede la collaborazione informativa e di supporto delle prefetture - utg, mentre sul piano più operativo, gli enti possono avvalersi dei provveditorati interregionali delle opere pubbliche per le complesse e delicate attività di verifica dei progetti per lavori pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 04.09.2011).

APPALTI: Differimento dell'accesso agli atti di gara.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 01.09.2011 n. 4905 ha precisato che in un appalto pubblico l’accesso al contenuto delle valutazioni della commissione, in merito alla verifica delle anomalie, deve essere differito fino al momento dell’aggiudicazione definitiva.
Per una migliore comprensione della decisione si precisa che l’articolo 13 (Accesso agli atti e divieti di divulgazione) del d.lgs. 163/2006 nel suo comma 2 prevede, in particolare, il differimento del diritto di accesso: “…c) in relazione alle offerte, fino all'approvazione dell'aggiudicazione; c-bis) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione definitiva”.
La sentenza in commento è stata pronunciata in seguito ad un ricorso in materia di accesso presentato da una società che, non avendo positivamente superato la valutazione di congruità dell’offerta, aveva chiesto il rilascio della copia dei verbali relativi alle valutazioni effettuate dalla commissione di gara.
Questa istanza veniva differita dalla stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lett. c-bis, fino all’aggiudicazione definitiva.
Avverso questa decisione la società presentava ricorso dinanzi al TAR Sardegna, il quale accoglieva il gravame sul presupposto che il differimento contenuto nell’articolo 13 del codice dei contratti pubblici non trovasse applicazione alle offerte presentate dallo stesso ricorrente.
In seguito all’appello presentato dalla stazione appaltante, e in riforma della decisione del giudice di prime cure, il Consiglio di Stato ha chiarito come le previsioni dell’articolo 13 hanno “…un contenuto precettivo generale e non derogabile, come si deduce anche dal fatto che il cit. art 13, al co. 3, dispone che gli atti richiamati non possono essere resi "in qualsiasi altro modo noti", mentre le possibilità di deroga alle prescrizioni in esso contenute (v. co. riferimento al co. 5, lett. a) e b)) sono specificamente individuate.
Del resto, le disposizioni trovano logica giustificazione nell’esigenza che proceda alla valutazione delle offerte senza possibili turbative, che potrebbero derivare dalla conoscenza, all’esterno, delle valutazioni adottate prima della conclusione del procedimento; il differimento, poi, non comprime la tutela degli interessati, perché riguarda atti endoprocedimentali, non autonomamente impugnabili
”.
sezione ha ulteriormente sottolineato come il differimento sia del tutto in linea con le disposizioni contenute nell’articolo 79 (informazioni circa i mancati inviti, le esclusioni e le aggiudicazioni) il quale nel suo comma 5-quater fa salvi i provvedimenti di differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo 13.
In conclusione i giudici della V sezione hanno chiarito come sia legittima la decisione di una stazione appaltante che decida di differire l’accesso al contenuto delle valutazioni della commissione, in merito alla verifica delle anomalie, sino al momento dell’aggiudicazione definitiva (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPer l'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere proposti nel termine di 30 giorni; tale termine normalmente decorre dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.lgs. 12.04.2006 n. 163, salva ovviamente l'ipotesi della piena conoscenza dell'atto, acquisita con altre modalità, come d'altronde ribadito dall'art. 41 del codice: fra queste ipotesi, rientra quella in cui all'atto dell'esclusione dalla gara sia presente un rappresentante della impresa esclusa.
Alla presenza in sede di gara ben può essere equiparata la consegna di copia del provvedimento ad un soggetto che, per la qualificazione spesa, ben poteva ritenersi legittimato al ricevimento, secondo il principio generalmente affermato con riferimento al dipendente dell’impresa che abbia ricevuto la notifica o la raccomandata inviata a mezzo posta (essendo sufficiente che esista una relazione tra consegnatario e destinatario idonea a far presumere che il primo porti a conoscenza del secondo l'atto ricevuto).

Il Collegio ritiene che la comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione, effettuata a mani di una dipendente dell’impresa ricorrente e risalente all’11.10.2010, fosse idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, atteso che il contenuto della stessa deve ritenersi sufficiente a garantire la piena conoscenza dell’atto lesivo, in specie con riferimento agli specifici elementi di lesività dedotti, chiaramente conoscibili addirittura sin dalla pubblicazione del bando di gara.
E’ pur vero, infatti, che nel caso di uso di modalità di comunicazione diverse da quelle espressamente previste dall’art. 79 del d.lgs. 163/2006, non vi è presunzione di piena conoscenza del contenuto dell’atto con cui è stata disposta l’aggiudicazione, ma ciò non esclude che sia comunque possibile dimostrare che la modalità utilizzata abbia consentito la piena conoscenza, così da far decorrere, da tale momento, il termine per l’impugnazione.
In tal senso si è già espressa la giurisprudenza, con la sentenza del TAR Puglia, Bari, I, 01.03.2011, n. 359, nella quale si afferma il principio, che questo Collegio ritiene di poter condividere, secondo cui “Per l'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere proposti nel termine di trenta giorni; tale termine normalmente decorre dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.lgs. 12.04.2006 n. 163, salva ovviamente l'ipotesi della piena conoscenza dell'atto, acquisita con altre modalità, come d'altronde ribadito dall'art. 41 del codice: fra queste ipotesi, rientra quella in cui all'atto dell'esclusione dalla gara sia presente un rappresentante della impresa esclusa”.
Alla presenza in sede di gara ben può essere equiparata la consegna di copia del provvedimento ad un soggetto che, per la qualificazione spesa, ben poteva ritenersi legittimato al ricevimento, secondo il principio generalmente affermato con riferimento al dipendente dell’impresa che abbia ricevuto la notifica o la raccomandata inviata a mezzo posta (essendo sufficiente che esista una relazione tra consegnatario e destinatario idonea a far presumere che il primo porti a conoscenza del secondo l'atto ricevuto, come chiarito da Cassazione civile, sez. lav., 10.01.2007, n. 239).
Ne consegue che, nel caso di specie, deve ritenersi raggiunta la piena conoscenza del provvedimento lesivo sin dalla consegna di copia del provvedimento di aggiudicazione alla dipendente dell’impresa che ne ha sottoscritto copia per ricevuta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.09.2011 n. 1296 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl potere riconoscibile alle p.a. di sospendere, revocare e/o annullare le procedure di gara, soprattutto se ancora nella fase endoprocedimentale dell’aggiudicazione provvisoria, è sempre esercitabile.
Infatti, nei contratti d'appalto l'Amministrazione aggiudicatrice non è obbligata a stipulare il contratto con l'impresa aggiudicataria ed essa ben può rimuovere gli effetti dell'atto di aggiudicazione provvisoria e finanche di quello di aggiudicazione definitiva, purché la conseguente azione amministrativa sia condotta coi necessari crismi della legittimità. Inoltre, l'aggiudicazione provvisoria, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo della gara, è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, e determina solo la nascita di una mera aspettativa, con la conseguenza che è sempre possibile per l’Amministrazione procedere in autotutela.
In sostanza, è riconosciuto che l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto pubblico, essendo atto endoprocedimentale, determina nell'impresa che l'ha ottenuta, soltanto una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata che, viceversa, può solo derivare dall'aggiudicazione definitiva; pertanto, non può ritenersi preclusa alla stazione appaltante la possibilità di procedere alla sua revoca o annullamento allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell'Ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all'eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell'aggiudicatario provvisorio nei confronti dell'Amministrazione; tale potere, già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D. 23.05.1924 n. 827), trova il proprio fondamento nel principio generale dell'autotutela della Pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica.
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L’aggiudicazione provvisoria può ben può essere posta nel nulla purché la relativa decisione sia motivata in misura idonea alla fattispecie.
In sostanza, se l'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente vincitrice una posizione consolidata, sull'Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela incombe comunque un onere di motivazione, sia pure fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che l’hanno determinata, essendo sufficiente che sia reso palese almeno il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali essa ritiene di non procedere più all'aggiudicazione definitiva.

Il Collegio ricorda che il potere riconoscibile alle p.a. di sospendere, revocare e/o annullare le procedure di gara, soprattutto se ancora nella fase endoprocedimentale dell’aggiudicazione provvisoria, è sempre esercitabile.
Infatti, nei contratti d'appalto l'Amministrazione aggiudicatrice non è obbligata a stipulare il contratto con l'impresa aggiudicataria ed essa ben può rimuovere gli effetti dell'atto di aggiudicazione provvisoria e finanche di quello di aggiudicazione definitiva, purché la conseguente azione amministrativa sia condotta coi necessari crismi della legittimità (TAR Sicilia, Ct, Sez. I, 25.02.2011, n. 463). Inoltre, l'aggiudicazione provvisoria, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo della gara, è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, e determina solo la nascita di una mera aspettativa, con la conseguenza che è sempre possibile per l’Amministrazione procedere in autotutela (TAR Calabria, Cz, Sez. I, 16.09.2010, n. 2561; TAR Veneto, Sez. I, 14.09.2010, n. 4745).
In sostanza, è riconosciuto che l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto pubblico, essendo atto endoprocedimentale, determina nell'impresa che l'ha ottenuta, soltanto una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata che, viceversa, può solo derivare dall'aggiudicazione definitiva; pertanto, non può ritenersi preclusa alla stazione appaltante la possibilità di procedere alla sua revoca o annullamento allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell'Ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all'eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell'aggiudicatario provvisorio nei confronti dell'Amministrazione; tale potere, già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D. 23.05.1924 n. 827), trova il proprio fondamento nel principio generale dell'autotutela della Pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (TAR Campania, Na, Sez. VIII, 03.05.2010, n. 2263).
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Ebbene, se è vero, come riportato in precedenza, che è sempre consentito alla stazione appaltante procedere in autotutela durante la fase dell’aggiudicazione provvisoria -così che non è configurabile una posizione consolidata di ogni concorrente (che si ritiene potenzialmente aggiudicatario in luogo di quello provvisorio) al fine di pretendere la conclusione del procedimento secondo i suoi canoni di (corretta) aggiudicazione– è comunque principio giurisprudenziale consolidato quello secondo il quale l’aggiudicazione provvisoria può ben può essere posta nel nulla purché la relativa decisione sia motivata in misura idonea alla fattispecie (TAR Lazio, Sez. II, 30.04.2010, n. 8975).
In sostanza, se l'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente vincitrice una posizione consolidata, sull'Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela incombe comunque un onere di motivazione, sia pure fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che l’hanno determinata, essendo sufficiente che sia reso palese almeno il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali essa ritiene di non procedere più all'aggiudicazione definitiva (TAR Lombardia, Bs, Sez. II, 16.02.2011, n. 302, Cons. Stato, Sez. V, 29.12.2009 n. 8966 e Sez. IV, 31.05.2007 n. 2838; TAR Lazio, Sez. II-ter, 09.11.2009 n. 10991).
Nel caso di specie, il Collegio rileva che, pur concordando sul principio di ordine generale che consente alla stazione appaltante di poter dare luogo, nell’applicare la potestà di revocare l’aggiudicazione provvisoria, ad un provvedimento motivato in forma attenuata, si riscontra una carenza assoluta di motivazione da parte della Soprintendenza, che non ha chiarito in alcun modo, né almeno accennato, quali siano le condizioni dell’invito di gara che esigevano una migliore precisazione e per quale ragione solo alla data del 21.09.2010, dopo l’invio alla ricorrente della richiesta documentazione integrativa da parte dell’Amministrazione al fine di procedere all’aggiudicazione definitiva, sia emersa questa esigenza in relazione a motivi di interesse pubblico attuale e concreto.
Sotto tale profilo, quindi, appare fondato, in maniera assorbente rispetto al terzo motivo (per tuziorismo comunque da dichiarare infondato in quanto, come ricordato, l'aggiudicazione provvisoria della gara d'appalto ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell'ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l'appalto risulta cristallizzata soltanto con l'aggiudicazione definitiva e vantando in tal caso l'aggiudicatario provvisorio solo un'aspettativa alla conclusione del procedimento, per cui non occorre la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento d'ufficio (Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2011, n. 1446; TAR Campania, Na, Sez. I, 02.11.2010, n. 22122), quanto lamentato dalla ricorrente con i primi due motivi di ricorso in ordine alla carenza di motivazione della determinazione impugnata
(TAR Toscana, Sez. II, sentenza 01.09.2011 n. 1372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2011

APPALTI SERVIZI: Affidamento pubblici servizi - Interesse al ricorso - Sussiste anche laddove il vantaggio non sia diretto ma eventuale.
L'interesse al ricorso avverso l'affidamento ad altro concorrente di un servizio pubblico sussiste non solo nel caso in cui dall'annullamento dell'atto impugnato derivi al ricorrente un diretto e immediato vantaggio (quale, ad esempio, lo scorrimento in graduatoria e l'affidamento alla ricorrente seconda classificata), ma anche nel caso in cui il vantaggio sia successivo ed eventuale (caducazione dell'intera gara e rinnovo delle procedure di selezione ad evidenza pubblica), dovendosi dichiarare inammissibile il gravame solo laddove risulti che la parte ricorrente non potrebbe in nessun caso risultare aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso e di indizione di nuova procedura selettiva (TAR Lombardia Milano, Sez. I, 16.12.2009 n. 5357) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Onere immediata impugnazione del bando di gara - Soltanto ove sia impedita la possibilità di partecipazione alla procedura selettiva;
2. Aggiudicazione basata esclusivamente su criteri soggettivi dei candidati e non correlati all'oggetto dell'appalto - Illegittimità - Preferenze per aree geografiche di operatività dei concorrenti - illegittimità.

1. Sussiste l'onere di immediata impugnazione del bando soltanto nelle ipotesi in cui sia impedita la partecipazione formale o sostanziale alla procedura selettiva da intendersi come obiettiva impossibilità di presentare un'offerta competitiva alla gara (TAR Campania Napoli, sez. I, 14.01.2005, n. 158, C.S. Sez. IV, 26.11.2009 n. 7442).
2. E' illegittima l'aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante basata unicamente su criteri soggettivi dei candidati (controlli effettuati nel passato su una determinata area geografica, possesso di attestazioni, abilitazioni, certificazioni), senza alcuna correlazione con il concreto svolgimento dei servizi oggetto dell'appalto (Fattispecie nella quale il TAR ha altresì rilevato che i criteri soggettivi a base di gara, oltreché non pertinenti con l'oggetto dell'appalto, risultavano palesemente discriminatori, privilegiando i concorrenti che avevano già operato in Regione Lombardia e, in particolare, nella Provincia di Pavia) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2112 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara - Apertura offerte tecniche in seduta riservata - Illegittimità - Ratio.
E' illegittimo l'operato della commissione di gara, da cui discende l'illegittimità dell'intero procedimento di selezione, che procede all'apertura delle offerte tecniche in seduta privata senza la presenza dei rappresentanti delle imprese che hanno preso parte alla gara.
Come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, la ratio che sorregge il divieto di aprire la documentazione tecnica in seduta riservata è quella di assicurare la massima trasparenza della procedura selettiva in quanto i concorrenti, senza una ricognizione pubblica del contenuto documentale delle offerte, non sarebbero garantiti dal pericolo di manipolazioni successive delle offerte proprie e di quelle altrui, eventualmente dovute ad inserimenti, sottrazioni o alterazioni di documenti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 28.07.2011 n. 13) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Se la lex specialis induce in errore omissivo il concorrente, correttamente l'amministrazione deve ammettere quest'ultimo ad integrare successivamente la documentazione carente.
Nel caso di specie, risultava evidente dall’esame della modulistica allegata, che questa era carente in ordine alla dichiarazione da rendere, ai sensi dell’art. 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, relativamente ad alcune dichiarazioni prese in considerazione dall’articolo suddetto, per cui l’appellante, in presenza di un modello da seguirsi necessariamente, ma carente, ha voluto adeguarsi al modello medesimo, per non patire in concreto la comminatoria dell’esclusione dalla gara.
Il complesso degli atti predisposto dall’Amministrazione, avendo ingenerato l’equivoco, ha determinato l’errore omissivo dell’appellante; pertanto, correttamente la stessa amministrazione, prendendo atto dell’equivocità delle proprie determinazioni, ha considerato l’omissione in parola frutto della non coerenza del bando ed ha conseguentemente ammesso la stessa ricorrente ad integrare successivamente la dichiarazione carente, cosa che è stata fatta e da cui è risultata la inesistenza della sanzione.
In presenza di questa situazione, in cui la stessa amministrazione aveva determinato l’errore dell’appellante, si appalesa corretta la successiva integrazione, la quale non può ritenersi violativa del principio della “par condicio” fra i concorrenti, in quanto si è, al contrario, proprio con l’integrazione successiva, posto rimedio ad uno sbilanciamento iniziale e si è ripristinata proprio quella “par condicio” che il soggetto appellato ritiene violata, con il risultato di avere quella pluralità di candidati cui il principio di concorrenza tende nelle procedure concorsuali della pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2011 n. 4861 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Il provvedimento di esclusione dell'impresa dalla gara pubblica deve essere sottoposto ad impugnazione entro 30 giorni dall'acquisita conoscenza del medesimo, configurandosi, in caso contrario, una impugnazione tardiva.
Il provvedimento di esclusione dell'impresa dalla gara pubblica, in quanto atto della procedura, deve essere sottoposto ad impugnazione, a norma dell'art. 120, comma quinto, D.Lgs. n. 104 del 2010, entro trenta giorni dall'acquisita conoscenza del medesimo, configurandosi, in caso contrario, una impugnazione tardiva.
La tardiva impugnazione del provvedimento di esclusione dalla gara pubblica determina il consolidamento e la definitiva inoppugnabilità del medesimo, nonché, da un lato, il sopravvenuto difetto di interesse in capo all'escluso riguardo alla gara di riferimento e, dall'altro, la insussistenza di ogni obbligo dell'Amministrazione procedente in merito all'esame della domanda di autotutela formulata, in relazione alla quale deve, pertanto, ritenersi legittimo il silenzio serbato (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 30.08.2011 n. 1264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, insindacabili le valutazioni tecniche della commissione.
Nelle gare di appalto, le valutazioni tecniche espresse dalla Commissione di gara sono insindacabili in sede giurisdizionale ove non inficiate da profili di erroneità, illogicità e sviamento.

La segnalata decisione affronta la notoria tematica relativa alla censurabilità in sede giurisdizionale delle valutazioni tecniche espresse da una Commissione di valutazione in sede di celebrazione di una gara di appalto.
La ricorrente partecipava a una gara d’appalto mediante procedura aperta indetta da una civica amministrazione per l’esecuzione di alcuni lavori; il bando prevedeva l’aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83, D.Lgs 12.04.2006, n. 163, previa valutazione anche di eventuali proposte migliorative che, per espressa previsione della lex specialis, non dovevano integrare varianti o alternative progettuali, dovendosi conformare ai sub criteri fissati dal disciplinare di gara.
Poiché si classificava al secondo posto nella graduatoria finale, la deducente ha impugnato l’aggiudicazione definitiva dell’appalto in favore della controinteressata, avendo quest’ultima conseguito un maggior punteggio.
Ha formulato, oltre al resto, censure relative alle valutazioni rese dalla Commissione di gara all’offerta tecnica presentata dalla ditta aggiudicatrice, in quanto presuntivamente non conforme alle previsioni del bando, nonché l’omessa valutazione da parte del medesimo organo degli elementi migliorativi della propria offerta tecnica.
Con atto di motivi aggiunti, inoltre, la ditta interessata ha contestato che il procuratore speciale dell’aggiudicataria, avendo assunto -in virtù di apposita procura- amplissimi poteri decisionali, gestionali e di rappresentanza della società, avrebbe dovuto rendere le dichiarazioni ex art. 38, D.Lgs. n. 163/2006, pena l’esclusione dalla gara.
La controinteressata, da par sua, ha proposto ricorso incidentale con cui ha contestato l’ammissione alla gara della ricorrente principale.
Il TAR di Bari ha dapprima ritenuto il ricorso introduttivo manifestamente infondato e, pertanto, ha proceduto all’esame prioritario dello stesso, pur a fronte della proposizione del ricorso incidentale "paralizzante" (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4).
Orbene, l’adito G.A., richiamando il principio in massima, ha precisato come le valutazioni tecniche espresse dalla Commissione di gara sono insindacabili in sede giurisdizionale ove non inficiate -come nella specie- da profili di erroneità, di illogicità e di sviamento.
Tanto, sulla scorta della considerazione per cui le scelte dell’amministrazione aggiudicatrice in materia di valutazione dell’offerta tecnica sono ampiamente discrezionali e, pertanto, si sottraggono al sindacato giurisdizionale qualora non manifestamente irragionevoli, arbitrarie, contraddittorie o sproporzionate.
Siffatta impostazione, ha osservato il Collegio, è stata del resto ampiamente recepita in giurisprudenza, la quale in argomento ha precisato che: "Nell’ambito di una procedura di appalto-concorso, condotta secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione in ordine all’idoneità ed alla qualità di un progetto costituisce espressione paradigmatica di lata discrezionalità tecnica, con conseguente insindacabilità del merito di dette valutazioni ove non inficiate da profili di erroneità, di illogicità e di sviamento" (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21.01.2009, n. 282).
Di conseguenza, nella vicenda sottoposta alla sua delibazione, il giudicante ha osservato che le deficienze e gli aspetti tecnici del progetto dell’aggiudicataria su cui sono state incentrate le censure della ricorrente principale non erano supportate da idonei elementi di prova ai sensi dell’art. 64, comma 1 c.p.a., risolvendosi in mere affermazioni sull’inidoneità del progetto della controinteressata: indi, rispetto alle stesse non era configurabile un sindacato sostitutivo del Giudice amministrativo.
A non differente conclusione il G.A. barese è giunto anche per quel che attiene la censura relativa al tempo impiegato dalla Commissione (meno di un’ora e mezza) per l’esame delle offerte tecniche presentate dalle concorrenti; ha ritenuto, infatti, che l’elemento temporale, in sé considerato, non si manifesta affatto sintomatico di un’illegittimità dell’azione amministrativa (cfr. TAR Puglia, Bari, 06.04.2010, n. 1279).
Per quanto concerne le eccezioni portate dal ricorso per motivi aggiunti, i Giudici baresi le hanno rigettate, atteso che, come recentemente precisato dal Supremo Consesso amministrativo: "L’art. 38, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, nell’individuare i soggetti partecipanti a gare pubbliche e tenuti a rendere la dichiarazione di onorabilità, fa riferimento soltanto agli amministratori muniti di potere di rappresentanza, ossia a soggetti titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, con la conseguenza che una valutazione ampliativa, e quindi non ancorata a precisi criteri prestabiliti per legge circa l’ampiezza dei poteri attribuiti con la procura, finirebbe per scalfire la garanzia di certezza del diritto sotto il profilo, di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, della possibilità di partecipare ai pubblici appalti" (Cons. Stato, Sez. V, 24.03.2011, n. 1782; idem, 25.01.2011, n. 513, per cui: "I procuratori speciali della società muniti di poteri di rappresentanza non rientrano del novero dei soggetti di cui all’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità della società stessa"; e ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 12.01.2011, n. 134).
Per tal ragione, si è pure precisato che nelle gare pubbliche indette per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione, i c.d. “procuratori speciali” possono farsi rientrare fra gli amministratori muniti di potere di rappresentanza, sui quali incombe l’obbligo di dichiarazione ex art. 38 cit., solo ove titolari di poteri gestori generali e continuativi ricavabili dalla procura, e non per effetto del conferimento a essi del mero potere di rappresentanza negoziale della società, ivi compresa la facoltà di partecipare alle gare e stipulare contratti.
Sicché, nello specifico, il Tribunale amministrativo di Bari ha concluso come il procuratore speciale della controinteressata non fosse munito di poteri generali e continuativi di gestione tali da farlo assimilare a un amministratore della società, obbligato in quanto tale a rendere le dichiarazioni di cui al richiamato art. 38 e, da tanto, ne ha fatto derivare la reiezione del gravame principale e aggiuntivo (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Bari, sentenza 30.08.2011 n. 1244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 29.08.2011 n. 200 "Stazione Unica Appaltante, in attuazione dell’articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 - Piano straordinario contro le mafie" (D.P.C.M. 30.06.2011).
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Centrale regionale per gli appalti. Stazione unica territoriale per le forniture, i servizi e i lavori. In Gazzetta Ufficiale sbarca il Dpcm che individua l'organo di gestione delle committenze.
La stazione unica appaltante come centrale di committenza a livello regionale per la gestione di appalti di forniture, servizi e lavori, non sarà obbligatoria ma facoltativa; rimarrà comunque un utile strumento per il controllo, anche antimafia, degli appalti e per rendere più omogenee le procedure di gara a livello territoriale.

È quanto si desume dalla lettura del Dpcm 30.06.2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29.08.2011) che istituisce la stazione unica appaltante in attuazione dell'articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 relativo al Piano straordinario contro le mafie approvato dal Consiglio dei ministri il 28.01.2010.
Il provvedimento, sul quale si era espressa positivamente la Conferenza unificata lo scorso 25 maggio, prima della firma del decreto avvenuta il 2 luglio, è finalizzato a promuovere l'istituzione in ambito regionale, provinciale e comunale di una o più stazioni uniche appaltanti con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Va però segnalato che se il provvedimento ha la finalità di incentivare «una maggiore diffusione anche attraverso la sensibilizzazione delle amministrazioni aggiudicatrici», nei fatti tale finalità potrebbe essere vanificata dalla natura facoltativa della costituzione della Sua. Il ricorso alla stazione unica appaltante (una o più su base regionale) non rappresenterà infatti un obbligo per le amministrazioni che saranno sempre libere di scegliere se aderire o meno.
Il provvedimento riguarda lo stato, le regioni, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni e concorsi di enti pubblici, le imprese pubbliche e i soggetti che operano in virtù di un diritto speciale o di esclusiva. La Sua ha natura giuridica di centrale di committenza e, come prevede il Codice dei contratti pubblici, ha il compito di procedere all'acquisizione di forniture, lavori e servizi destinati ad altre amministrazioni e all'aggiudicazione di appalti o alla conclusione di accordi quadro.
Nei fatti deve quindi deve gestire la procedura di gara, compito che si concretizza, ad esempio, nella cura della fase di pubblicità e nell'invio delle comunicazioni agli interessati, nell'effettuazione delle verifiche in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione, nella nomina della commissione giudicatrice (in caso di aggiudicazione con offerta economicamente più vantaggiosa) e nella gestione degli eventuali contenziosi.
La Sua dovrà anche collaborare con l'ente che ha ad essa aderito per quanto attiene alla messa a punto dello schema di contratto, alla scelta della procedura di gara, alla predisposizione dei capitolati speciali e generali, alla scelta del criterio di aggiudicazione da utilizzare e alla predisposizione di tutti gli atti di gara (bando, disciplinare e lettere di invito) e del contratto. Il rapporto fra la Sua e gli enti aderenti viene regolato da una convenzione di cui il Dpcm definisce i contenuti essenziali della convenzione. In particolare dovranno essere definite le procedure interessate, ma anche l'aspetto relativo al rimborso dei costi sostenuti, la suddivisione degli oneri concernenti i contenziosi.
L'ente che ha aderito alla stazione unica sarà tenuto alla trasmissione, alla Sua e alla prefettura, dei contratti stipulati e delle varianti intervenute nel corso dell'esecuzione dei contratti.
Per rendere incisivi i controlli sugli appalti si prevede un collegamento stringente fra la competente prefettura, ove affluiranno tutte le informazioni e i dati utili alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e la Sua che dovrà mettere a disposizione della prefettura ogni dato utile concernente le imprese partecipanti alla gara. Prevista la delega del compito di verifica dei progetti e dell'esame delle varianti al Provveditorato interregionale per le opere pubbliche (articolo ItaliaOggi del 31.08.2011).

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Stazioni uniche appaltanti ''centrali'' di legalità.
Il decreto è finalizzato a promuovere l'istituzione in ambito regionale di una o più Stazioni uniche appaltanti, denominate ''SUA'', con modalità che ne incentivino una maggiore diffusione anche attraverso la sensibilizzazione delle amministrazioni aggiudicatrici, in modo da perseguire l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo al contempo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
La stazione unica appaltante (SUA) con le funzioni previste dall'articolo 33 del decreto legislativo n. 163/2006, come richiamato dall'articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136, può svolgere un ruolo essenziale per promuovere ed attuare interventi idonei a creare condizioni di sicurezza, trasparenza e legalità favorevoli al rilancio dell'economia e dell'immagine delle realtà territoriali ed al ripristino delle condizioni di libera concorrenza, anche assicurando, con un costante monitoraggio, la trasparenza e la celerità delle procedure di gara e l'ottimizzazione delle risorse e dei prezzi.
L'individuazione delle attività e dei servizi della SUA, unitamente all'indicazione degli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che vi aderiscono, mira ad agevolarne una maggiore diffusione, in modo da perseguire l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo al contempo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Sono fatte salve le normative regionali che disciplinano moduli organizzativi e strumenti di raccordo tra gli enti territoriali per l'espletamento delle funzioni e delle attività di cui al presente decreto, aventi lo scopo di garantire l'integrazione, l'ottimizzazione e l'economicità delle stesse funzioni, attraverso formule convenzionali, associative o di avvalimento nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il Governo, le regioni e le province autonome, le province e i comuni, in sede di Conferenza unificata, si scambiano annualmente, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, dati ed informazioni relativi all'attuazione del decreto, con riguardo ai rispettivi ambiti di competenza.
Ferme restando le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti previste dalla normativa vigente, le Prefetture-UTG possono chiedere alla SUA di fornire ogni dato e informazione ritenuta utile ai fini di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata. I dati e le informazioni ottenute possono essere utilizzate dal Prefetto anche ai fini dell'esercizio del potere di accesso e di accertamento nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione dei lavori pubblici (30.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).
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Stazione unica appaltante: pubblicato in Gazzetta ufficiale il DPCM.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29.08.2011 il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30.06.2011 avente ad oggetto l’istituzione delle Stazioni Uniche Appaltanti a livello regionale, in attuazione dell’articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 – Piano straordinario contro le mafie.

Si tratta di un provvedimento suddiviso in 6 articoli che stabilisce finalità, compiti e raggio d’azione della Stazione Unica Appaltante (SUA).
A livello regionale dovranno essere istituite una o più SUA con l’obiettivo di rendere più penetrante l’attività di prevenzione e contrasto ai “tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo al contempo la celerità delle procedure, l’ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.”
L’art. 2 elenca i soggetti che potranno aderire, in via facoltativa, alle SUA, ovvero: le Amministrazione dello Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, e gli altri soggetti di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, nonché le imprese pubbliche e i soggetti che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti.
Il successivo art. 3 stabilisce quale dovrà essere l’attività delle SUA. Si tratta infatti di centrali di committenza con il compito di:
a) collaborare con l'ente aderente alla corretta individuazione dei contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli enti interessati;
b) concordare con l'ente aderente la procedura di gara per la scelta del contraente;
c) collaborare nella redazione dei capitolati di cui all'articolo 5, comma 7, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, laddove l'ente aderente non sia una Amministrazione aggiudicatrice statale e non abbia adottato il capitolato generale di cui al comma 8 del medesimo articolo 5;
d) collaborare nella redazione del capitolato speciale;
e) definire, in collaborazione con l'ente aderente, il criterio di aggiudicazione ed eventuali atti aggiuntivi;
f) definire in caso di criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, i criteri di valutazione delle offerte e le loro specificazioni;
g) redigere gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di gara e la lettera di invito;
h) curare gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici e la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa;
i) nominare la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
l) curare gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio;
m) collaborare con l'ente aderente ai fini della stipulazione del contratto;
n) curare, anche di propria iniziativa, ogni ulteriore attività utile per il perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, comma 2;
o) trasmettere all'ente aderente le informazioni di cui all'articolo 6, comma 2, lettera a).
Il decreto (art. 4) stabilisce inoltre che i rapporti tra e l’ente aderente dovranno essere regolati da convenzioni che definiranno l’ambito di operatività della SUA, le modalità di rimborso dei costi da essa sostenuti, la spettanza degli eventuali oneri in ordine ai contenziosi nonché l’obbligo per l’ente aderente di comunicare alla SUA l’elenco dei contratti per i quali si prevede l’affidamento, oltre a qualsiasi altra informazione utile relativa all’esecuzione dei contratti.
Gli articoli 5 e 6 mettono invece in luce i compiti delle Prefetture, che dovranno esercitare delle forme di controllo sull’attività delle SUA, richiedendo “ogni dato e informazione ritenuta utile ai fini di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata”, e monitorando ogni passaggio della procedura di gara (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

APPALTI: G.U.U.E. 27.08.2011 n. L 222/1 "REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) N. 842/2011 DELLA COMMISSIONE del 19.08.2011 che stabilisce modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi nel settore degli appalti pubblici e che abroga il regolamento (CE) n. 1564/2005".
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Appalti, nuovi formulari per la pubblicazione in GUUE. Cambiano i modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi nel settore degli appalti pubblici.
Le direttive 89/665/CEE e 2004/18/CE stabiliscono che le forniture, i lavori e i servizi pubblici devono essere pubblicizzati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Occorre che gli avvisi di queste pubblicazioni comprendano le informazioni stabilite in tali direttive.
Le direttive 92/13/CEE e 2004/17/CE stabiliscono che gli appalti pubblici nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni devono essere pubblicizzati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Occorre che gli avvisi di queste pubblicazioni comprendano le informazioni stabilite in tali direttive.
A norma della direttiva 2009/81/CE alcuni appalti di lavori, di forniture e di servizi nel settore della difesa e della sicurezza sono pubblicizzati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Occorre che gli avvisi di questa pubblicazione comprendano le informazioni stabilite in tale direttiva.
Il regolamento (CE) n. 1564/2005 della Commissione, del 07.09.2005, che stabilisce modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi relativi a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisce i modelli di formulari di cui alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e alle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE.
Al fine di soddisfare le prescrizioni della direttiva 2009/81/CE e di garantire la piena efficacia delle direttive 89/665/CEE, 92/13/CEE, 2004/17/CE e 2004/18/CE, occorre adattare ed integrare i formulari allegati al regolamento (CE) n. 1564/2005.
Occorre inoltre aggiornare alcuni elementi dei modelli di formulari per tenere conto del progresso tecnico.
Dati il numero e la portata degli adeguamenti necessari, è opportuno sostituire il regolamento (CE) n. 1564/2005 (29.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).
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Nuovi formulari per bandi e avvisi da pubblicare in GUUE.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 27.08.2011 (L 222) il “Regolamento di esecuzione (UE) n. 842/2011 della Commissione, del 19.08.2011, che stabilisce modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi nel settore degli appalti pubblici e che abroga il regolamento (CE) n. 1564/2005”.
Nell’attesa che siano pubblicati dall’Autorità per i contratti pubblici i bandi e gli avvisi tipo a livello nazionale, europea è intervenuta prevedendo l’utilizzo per le stazioni appaltanti di bandi e formulari tipo ai fini della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale comunitaria.
Il regolamento contiene una serie di allegati, precisamente 19, aventi ad oggetto i modelli che le amministrazioni aggiudicatrici dovranno utilizzare.
Eccoli di seguito riportati:
Allegato I: formulario standard 1: Avviso di preinformazione;
Allegato II: formulario standard 2: Bando di gara;
Allegato III: formulario standard 3: Avviso relativo agli appalti aggiudicati;
Allegato IV: formulario standard 4: Avviso indicativo periodico — Settori speciali;
Allegato V: formulario standard 5: Bando di gara — Settori speciali;
Allegato VI: formulario standard 6: Avviso relativo agli appalti aggiudicati — Settori speciali;
Allegato VII: formulario standard 7: Sistema di qualificazione — Settori speciali;
Allegato VIII: formulario standard 8: Avviso sul profilo del committente;
Allegato IX: formulario standard 9: Bando di gara semplificato nell'ambito di un sistema dinamico di acquisizione;
Allegato X: formulario standard 10: Concessione di lavori pubblici;
Allegato XI: formulario standard 11: Bando di gara — Appalti aggiudicati da un concessionario che non è un'amministrazione aggiudicatrice;
Allegato XII: formulario standard 12: Bando di concorso di progettazione;
Allegato XIII: formulario standard 13: Risultati di un concorso di progettazione;
Allegato XIV: formulario standard 15: Avviso volontario per la trasparenza ex ante;
Allegato XV: formulario standard 16: Avviso di preinformazione — Difesa e sicurezza;
Allegato XVI: formulario standard 17: Bando di gara — Difesa e sicurezza;
Allegato XVII: formulario standard 18: Avviso relativo agli appalti aggiudicati — Difesa e sicurezza;
Allegato XVIII: formulario standard 19: Avviso di subappalto — Difesa e sicurezza.
A norma di quanto stabilito dall’articolo 6 del regolamento l’utilizzo dei nuovi formulari sarà obbligatorio a partire dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale europea, quindi da venerdì 16 agosto.
È stato quindi abrogato il “vecchio” regolamento n. 1564/2005 che stabiliva i modelli di formulari per la pubblicazione di bandi e avvisi a livello comunitario.
Il nuovo regolamento, rispetto al n. 1564/2005, prevede in particolare un maggior numero di formulari ed una miglior specificazione.
Si tratta quindi di un ulteriore intervento su una materia che dovrà, secondo le ultime indiscrezioni provenienti da Bruxelles, essere oggetto nei prossimi mesi di una completa rivisitazione.
Ai sensi dell’art. 6, il regolamento “entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.”  (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

APPALTI: Sul procedimento di scelta da parte della P.A. del soggetto con cui concludere un contratto di appalto.
La scelta da parte della P.A. del soggetto con cui concludere un contratto di appalto si realizza attraverso una serie procedimentale, regolata da norme pubblicistiche, preordinate all'individuazione del miglior contraente, dal punto di vista soggettivo e oggettivo, e la serie procedimentale si impernia sui postulati di trasparenza ed imparzialità che, a loro volta, si concretizzano nel principio di par condicio tra tutti i concorrenti, realizzata attraverso la previa predisposizione del bando di gara, e nel principio di concorsualità, segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni delle lex specialis, nonché nella previa predisposizione, da parte dell'Amministrazione appaltante, dei criteri di valutazione delle offerte.
Tali principi, dunque, sono preordinati a finalità pubblicistiche tali da vincolare al loro rispetto non solo la P.A., ma anche coloro che intendono partecipare alla gara: su questi ultimi incombe, infatti, l'obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profili tecnico-economico, devono avere le caratteristiche della compiutezza, della completezza, della serietà, della indipendenza e della segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui giungere all'individuazione del miglior contraente possibile (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.08.2011 n. 4809 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta.
E' principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è da valutare illegittima l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della Commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra quindi un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato, senza che rilievi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2011 n. 4806 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è da valutare illegittima l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della Commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato, senza che rilievi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti.

Osserva la Sezione che è principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è da valutare illegittima l'apertura in segreto di plichi.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della Commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra quindi un vizio del procedimento che comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara (Consiglio Stato, sez. VI, 22.04.2008, n. 1856), giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali dev'essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato (Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n. 901), senza che rilievi l'assenza di prova dell'effettiva lesione sofferta dai concorrenti (Consiglio Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3844 e 04.03.2008, n. 901) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2011 n. 4806 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sciopero del personale della ditta appaltatrice.
Domanda.
Nel caso in cui il personale della ditta appaltatrice del servizio di nettezza urbana scioperi a causa del mancato pagamento della quattordicesima, creando un grave disagio per il servizio, quali iniziative può assumere il Comune nei confronti della ditta appaltatrice per rivalersi del danno subito?
Risposta.
Nel caso di specie occorre porre l'attenzione sul comportamento tenuto dalla ditta appaltatrice del servizio di nettezza urbana, laddove non avendo provveduto al pagamento delle spettanze contrattuali del proprio personale ha provocato, indirettamente, uno sciopero e conseguenti danni alla collettività (rappresentata dall'Amministrazione Comunale).
Infatti, una volta indetto lo sciopero, si potrebbe discutere anche di eventuali responsabilità connesse con la mancata adozione di misure per limitare i danni da sciopero ma, sul punto, la Giurisprudenza non consente significative manovre di intervento (App. Milano, 09.02. 2004 e Trib. Milano, 09.03.2006).
Quindi, per poter richiedere il risarcimento del danno subito occorrerà dimostrare il nesso di causalità diretta fra il mancato pagamento della quattordicesima al personale (e la sua illegittimità) e i danni prodotti in conseguenza dell'inevitabile sciopero che ne è derivato (dimostrando anche che lo sciopero appariva come una conseguenza inevitabile di tale azione).
In base ai dati forniti riteniamo difficilmente percorribile questa strategia processuale.
Resta da valutare se sussistono invece condizioni contrattuali (Contratto di servizio) che possano consentire la definizione di un risarcimento del danno per i fatti indicati (25.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTILa verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, ma mira ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto. Pertanto, il procedimento di verifica è avulso da ogni formalismo ed è improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente; il contraddittorio deve essere effettivo; non vi sono preclusioni alla presentazione di giustificazioni, ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni, e sono ammesse quelle sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione, a garanzia di una seria esecuzione del contratto.
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Non è escluso che si possa procedere in sede di verifica di anomalia ad un limitato rimaneggiamento dei suoi elementi, purché la proposta contrattuale non venga modificata o alterata.
Non può essere fissata, ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate nelle gare di appalto, una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale e risultando in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante, quando il contratto abbia un importo elevato.

La verifica d’anomalia è disciplinata dall’art. 88 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, per il quale “la richiesta di giustificazioni è formulata per iscritto e può indicare le componenti dell'offerta ritenute anormalmente basse, ovvero, alternativamente o congiuntamente, invitare l'offerente a dare tutte le giustificazioni che ritenga utili.
All'offerente è assegnato un termine non inferiore a dieci giorni per presentare, per iscritto, le giustificazioni richieste.
La stazione appaltante, se del caso mediante una commissione costituita secondo i criteri fissati dal regolamento di cui all'articolo 5, esamina gli elementi costitutivi dell'offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite, e può chiedere per iscritto ulteriori chiarimenti, se resi necessari o utili a seguito di tale esame, assegnando un termine non inferiore a cinque giorni lavorativi.
Prima di escludere l'offerta, ritenuta eccessivamente bassa, la stazione appaltante convoca l'offerente con un anticipo non inferiore a cinque giorni lavorativi e lo invita a indicare ogni elemento che ritenga utile.
Se l'offerente non si presenta alla data di convocazione stabilita, la stazione appaltante può prescindere dalla sua audizione.
La stazione appaltante esclude l'offerta che, in base all'esame degli elementi forniti, risulta, nel suo complesso, inaffidabile.
La stazione appaltante sottopone a verifica la prima migliore offerta, se la stessa appaia anormalmente bassa, e, se la esclude, procede nella stessa maniera progressivamente nei confronti delle successive migliori offerte, fino ad individuare la migliore offerta non anomala
.”.
L’art. 88 prevede una scansione di natura dilatoria, i cui termini non possono essere inferiori a disposizione ivi previsti.
Ne consegue che nulla vieta –nel rispetto del canone di ragionevolezza, comunque conformato all’esigenza che le procedure di aggiudicazione si concludano celermente ed in tempi certi- che la stazione appaltante assegni termini superiori.
Per la pacifica giurisprudenza, la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, ma mira ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto. Pertanto, il procedimento di verifica è avulso da ogni formalismo ed è improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente; il contraddittorio deve essere effettivo; non vi sono preclusioni alla presentazione di giustificazioni, ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni, e sono ammesse quelle sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione, a garanzia di una seria esecuzione del contratto (Consiglio Stato, sez. VI, 21.05.2009, n. 3146).
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Per la pacifica giurisprudenza non è escluso che si possa procedere in sede di verifica di anomalia ad un limitato rimaneggiamento dei suoi elementi, purché la proposta contrattuale non venga modificata o alterata (Consiglio Stato, sez. VI, 07.03.2008, n. 1007; sez. VI, 26.04.2005, n. 1889; sez. V, 11.11.2004, n. 7346)
Ad avviso delle appellanti, l’incidenza del “rimaneggiamento” (55 voci di costo, che nell’offerta complessiva assumono un valore pari al 59,8% del prezzo dell’appalto) sarebbe tale da suggerire l’utilizzo del termine stravolgimento: esso non sarebbe consentito dalla legge.
In contrario senso, rileva invece il Collegio che l’art. 87, comma 1, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, nella versione antecedente alla modifica introdotta dall’articolo 4-quater, comma 1, lettera c), punto 1), del D.L. 01.07.2009, n. 78 dispone che, “Quando un'offerta appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all'offerente le giustificazioni, eventualmente necessarie in aggiunta a quelle già presentate a corredo dell'offerta, ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta medesima”.
L’utilizzo dell’inciso “in aggiunta” esclude la fondatezza delle dette censure e consente di rilevare che, purché l’utile di impresa sia indicato e risulti permanere all’esito della verifica d’anomalia, e purché non si registrino indebite “sostituzioni di voci”, il rimaneggiamento dell’offerta appare non soltanto consentito, ma addirittura fisiologico.
L’entità del rimaneggiamento deve ovviamente essere rapportato al numero delle “voci” ed all’importo complessivo dell’appalto: nel caso di specie la pluralità di voci in cui si articolava l’offerta, la complessità delle opere, e l’elevatissimo importo dei lavori (circa 360 milioni di Euro) ben consentono di ritenere che non si verta in una ipotesi di inammissibile stravolgimento dell’offerta ma, appunto, di un limitato –e per questo consentito ed ammissibile- rimaneggiamento che non ne ha alterato la sostanza.
Anche tale profilo di censura conclusivamente va respinto.
Va anche respinta (ancorché non sia stata formulata dall’appellante BPT in forma di motivo autonomo) l’affermazione contenuta nelle conclusioni dell’elaborato peritale di parte (a firma dell’Ing. ...) dell’08.03.2010, e richiamata nelle censure, secondo cui la percentuale di utile riscontrato dalla stazione appaltante non sarebbe stata “accettabile”.
Al contrario, armonicamente con le conclusioni della giurisprudenza (Consiglio Stato, sez. VI, 16.01.2009, n. 215) non può essere fissata, ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate nelle gare di appalto, una quota rigida di utile al di sotto della quale l'offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale e risultando in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante, quando il contratto abbia un importo elevato
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.08.2011 n. 4801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIP.a., niente risarcimento se c'è incertezza sulla gara. Tar Lombardia: l'impresa non risponde di dichiarazioni mendaci.
Deve essere respinta la domanda di risarcimento dei danni proposta da una p.a. nei confronti dell'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione stessa per dichiarazioni mendaci rese, nel caso in cui sussista una situazione di obiettiva incertezza circa il contenuto delle dichiarazioni da rendere in base alla lex specialis della gara.
Questo è quanto hanno precisato i giudici del TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la sentenza 24.08.2011 n. 1261.
La controversia verte intorno alla domanda risarcitoria presentata da un comune nei confronti di una ditta aggiudicataria di un appalto del servizio di ristorazione e poi esclusa ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b), dlgs 157/1995 dal momento che, contrariamente a quanto dichiarato dal procuratore speciale della società, il Tribunale di Modena aveva emesso, a suo carico, sentenza irrevocabile di applicazione della pena per violazioni in materia fiscale.
Più precisamente l'ente locale aveva proposto la domanda facendo leva su una norma del capitolato speciale d'appalto della gara secondo la quale «in caso di non veridicità delle dichiarazioni rilasciate» l'aggiudicazione verrà annullata «ed il servizio potrà essere affidato al concorrente che segue in graduatoria, fatti salvi i diritti del comune per il risarcimento di tutti i danni che potranno derivare all'amministrazione anche in successivo esperimento della gara o, comunque, per il maggior costo del servizio rispetto a quello che sarebbe stato sostenuto senza la decadenza dell'aggiudicatario».
Il comune aveva commisurato, pertanto, i danni subiti ai maggiori esborsi sostenuti per il servizio affidato alla seconda in graduatoria. La ditta aveva sostenuto, invece, la mancanza dell'elemento soggettivo richiesto dall'art. 12 dlgs n. 157/1995, poiché la sentenza di patteggiamento in cui era incorso il procuratore speciale era antecedente alla sua assunzione nella società e si riferiva a un'attività che non rilevava e per questo non era tenuto a farne menzione in sede di gara.
I giudici amministrativi respingono il ricorso. Hanno osservato, infatti, come sia la giurisprudenza comunitaria sia quella interna individuano quale «esimente» dell'amministrazione, sotto il profilo della sua responsabilità per l'attività volta, la sussistenza di una obiettiva situazione di incertezza circa le corrette determinazioni da assumere. Secondo il Collegio elementari ragioni di «parità delle parti» impongono, pertanto, di riconoscere identica e speculare «esimente» in capo al privato, quando sia l'amministrazione ad agire per pretendere il risarcimento di un danno, che ritiene provocato dalla condotta colposa del medesimo soggetto privato.
Facendo applicazione di questo principio a «parti rovesciate» nei confronti dell'impresa esclusa, è stato riconosciuto che, avendo già una precedente sentenza precisato che la pena patteggiata, la quale aveva dato luogo all'esclusione, non fosse da riferire all'impresa aggiudicataria, quantomeno il beneficio del dubbio andava accordato in merito alla mendacità della dichiarazione di non versare nella condizione di cui all'art. 12, lett. b), dlgs 157/1995: è ravvisabile, nel caso specifico, una situazione di obiettiva incertezza circa il contenuto della dichiarazione da rendere ai sensi del capitolato speciale d'appalto, tale da escludere il necessario requisito della colpa in ordine a quanto, poi, effettivamente dichiarato (articolo ItaliaOggi dell'01.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Informativa antimafia, divieto d'accesso sempre da motivare.
E' illegittimo, per difetto di motivazione e per violazione del diritto difesa, il diniego opposto dal Prefetto in merito a un'istanza ostensiva avanzata da una società privata tendente a ottenere copia di un'informativa prefettizia antimafia con cui e' stata comunicata la risoluzione di alcuni contratti di appalto.
Con apposita istanza di accesso, una società subappaltatrice ha chiesto alla competente Prefettura di prendere visione ed estrarre copia dell’informativa antimafia ex art. 10 del D.P.R. n. 252/1998, nonché di tutta la documentazione a essa connessa posta alla base della risoluzione dei contratti di appalto dalla medesima stipulati con alcune società appaltatrici e subappaltatrici.
L’istanza veniva rigettata sulla scorta delle disposizioni di cui all’art. 24 della L. n. 241/1990, al D.P.R. n. 352/1992 e al D.M. n. 415/1994.
Avverso quest’ultimo provvedimento di diniego è insorta la ditta esonerata.
Il TAR di Catanzaro, in via preliminare, ha sottolineato come la questione dedotta in giudizio concerna esclusivamente l’accessibilità degli atti istruttori posti alla base dell’informativa prefettizia sfavorevole, adottata ai sensi della vigente legislazione di contrasto e prevenzione dei fenomeni di infiltrazione malavitosa delle attività imprenditoriali, in conseguenza della quale, rispettivamente, le società appaltatrici e subappaltatrici avevano comunicato alla ricorrente la risoluzione dei contratti di appalto precedentemente stipulati.
In particolare, l’adito G.A., ravvisando l’applicabilità alla specie del D.M. 10.05.1994, n. 415 (Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi), ha evidenziato come il presupposto art. 24 della L. n. 241/1990 costituisca la fonte di rango primario di riferimento: difatti, il comma 2 della menzionata disposizione sancisce l’emanazione di uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione di tale diritto in relazione all’esigenza di salvaguardare "l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità" (lett. c); e ancora, il successivo comma 4 prevede che: "Le singole Amministrazioni hanno l’obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2".
I criteri per l’attuazione della norma testé richiamata, ha soggiunto il giudicante, sono stati stabiliti con l’art. 8 del D.P.R. n. 352/1992, il cui comma 5, lett. c) prevede che i documenti amministrativi possono essere sottratti all’accesso quando: "riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini".
Di conseguenza, l’adito G.A., alla stregua dell’illustrato quadro normativo, non ha mancato di sottolineare come in linea generale la sottrazione all’accesso, per espressa previsione del menzionato art. 8, comma 5, debba avvenire nel rispetto della norma (art. 8, comma 2) secondo cui: "I documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della legge 07.08.1990, n. 241. I documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine, le amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso".
Sicché il Collegio, in relazione ai documenti chiesti in ostensione dalla ricorrente, ha ritenuto opportuno premettere la sostanziale differenza tra l’informativa antimafia, generalmente consistente nella mera formula rituale con la quale il Prefetto, sulla base delle risultanze in suo possesso afferma la sussistenza di elementi interdittivi a carico dell'impresa -atto per sua natura pienamente ostensibile- e le risultanze istruttorie "a monte", cui ha attinto l'Autorità prefettizia per pervenire al giudizio sfavorevole formulato a carico della ditta medesima.
Orbene, in relazione a tali atti istruttori "a monte", il TAR calabrese ha chiarito come l'accesso poteva essere escluso solo per quelle parti della documentazione in possesso dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio in quanto afferente a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, oppure se e nella misura in cui avesse coinvolto, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza, ovvero, ancora, ove potevano essere addotti specifici motivi ostativi riconducibili a imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti -in corso di svolgimento- di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata (in tal senso, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 14.06.2006, n. 6985).
Nel caso di specie, il Collegio ha evidenziato come il diniego opposto alla ricorrente non fosse coerente con quanto statuito nelle norme illustrate, atteso che la motivazione del provvedimento negativo contiene uno sterile richiamo alle norme legislative e regolamentari sopra scrutinate, senza però alcuna puntualizzazione in ordine alla “idoneità del documento”, di cui è stata chiesta l’esibizione, a pregiudicare in concreto l’interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico, come espressamente previsto dall’art. 24, comma 2, lett. c), della L. n. 241 del 1990.
Di conseguenza, a opinione del G.A. di Catanzaro, la mancata ostensione dell’informativa antimafia ex art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 nonché della documentazione a essa connessa, poiché non motivata con riferimento alle concrete ragioni che impedivano la divulgazione del documento, anche, eventualmente, nelle forme "deboli" della mera visione ovvero dell’estrazione di copia con tecniche di mascheramento, ha pregiudicato il diritto di difesa della ricorrente società (art. 24 Cost.), non consentendole di contestare nel merito le ragioni effettive su cui si fondava il provvedimento lesivo che aveva dato luogo alla risoluzione dei contratti di appalto stipulati (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 24.08.2011 n. 1146 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIMANOVRA BIS/ Codice appalti per le public utility. Acquisto di beni e servizi solo attraverso gare pubbliche. Con la manovra scatta l'obbligo di creazione di appositi uffici per la gestione di tutti gli adempimenti.
Public utility obbligate a bandire gare pubbliche per l'acquisto di beni o servizi e, comunque, ad applicare per intero il codice dei contratti pubblici.
Lo prevede il decreto sulla manovra economica bis (decreto legge 138/2011), che interviene sull'intero comparto dei servizi pubblici locali. Ma vediamo di illustrare la novità, che obbligano le public utility anche a creare uffici ad hoc per gestire le gare e tutti i relativi pesanti adempimenti (dalla pubblicazione del bando al contenzioso).
Rischia di sfumare la possibilità di gestire con gli strumenti del diritto privato (e senza vincoli pubblicistici) l'acquisizione di beni e servizi. L'articolo 4, comma 15, del citato decreto prevede che le società cosiddette «in house» e le società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
Si tratta del codice dei contratti pubblici, che disciplina le varie forme di affidamento dei pubblici contratti, nel rispetto delle regole di concorrenza e pubblicità, a partire proprio dalla gara pubblica o comunque di procedure rispettose del principio della par condicio tra le imprese.
L'assoggettamento alle regole del codice dei contratti pubblica comporta l'impossibilità di ricorrere senza alcun vincolo al libero mercato. Il soggetto tenuto alla applicazione del codice dei contratti deve, infatti, muoversi all'interno delle griglie che relegano la trattativa privata a una posizione residuale.
Deve, quindi, applicare le procedure pubbliche, ristrette o negoziate, a seconda dei casi con pubblicazione dei bandi (se previsto) oppure può ricorrere alle procedure in economia o cottimo fiduciario.
L'assoggettamento alle regole del codice dei contratti significa avere personale preparato, in grado di scrivere le gare e di gestire i vari passaggi procedurali, compresi quelli relative alle fasi precontenziose e contenziose di recente modificate dal codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010).
Si tratta di passaggi procedurali in cui la società deve individuare responsabili del procedimento, seggio di gara, commissioni aggiudicatrici e deve curare tutti gli adempimenti connessi, dalle determinazioni a contrarre, alla pubblicazione dei bandi di gara (a seconda dei casi sulla gazzetta ufficiale, anche europea), alle comunicazioni e agli avvisi, ai rapporti con l'autorità di vigilanza sui contratti pubblici (dalla richiesta del cig alle segnalazioni di notizie negative sul conto delle imprese concorrenti o esecutrici). Inoltre si applicano le regole sulla tracciabilità dei pagamenti e sulla indicazione del cig sui documenti di pagamento.
Tutto ciò, in base al decreto sulla manovra-bis, è a carico che delle società cosiddette «in house» e delle società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali.
Tutte le società che gestiscono servizi pubblici locali devono applicare il codice dei contratti pubblici. E se questa disciplina non pone problemi per la società in house, che rappresentano il braccio operativo dell'ente pubblico, il quale esercita sulle stesse un controllo analogo a quello esercitato su un proprio ufficio, forti ripercussioni si avranno invece sulle società miste, in cui vi è la presenza di un socio privato. Tra l'altro, molto spesso, nella prassi ci si aspetta che la società mista possa costituire uno strumento per operare in maniera più snella, a partire dalla deroga alle regole della evidenza pubblica per l'acquisizione di beni e servizi.
La società mista che gestisce un pubblico servizio (public utility) è, invece, sotto questo profilo interamente equiparata all'ente pubblico. Di questo occorrerà darne conto, con una disposizione chiarificatrice, all'interno dei contratti di servizio tra ente e public utility; inoltre l'ente committente deve esercitare attività di vigilanza e controllo sul rispetto del codice dei contratti da parte della società mista.
Va sottolineato, comunque, che l'articolo 4, comma 15, del decreto 138/2011 fa riferimento espresso ai contratti di acquisizione di beni e servizi, mentre non si riferisce, almeno sul piano letterale, alla aggiudicazione di contratti relativi a lavori.
In conseguenza dell'articolo 4, comma 15, citato si allarga la platea dei soggetti tenuti all'applicazione del codice dei contratti pubblici.
A tale proposito si deve ricordare che il decreto 131/2011 ricomprende le società in house nell'ambito pubblico anche per un altro profilo: le società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità che saranno definite con decreto ministeriale.
Gli enti locali dovranno vigilare sull'osservanza, da parte delle società in house al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno (articolo ItaliaOggi del 20.08.2011).

LAVORI PUBBLICIPavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo privato.
Non risulta possibile eseguire la pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo privato senza procedere alla preventiva acquisizione di tali beni, atteso che l'intervento comunale si tradurrebbe -con riferimento a dette porzioni- in un'indebita spesa pubblica.
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, al Comune, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede.

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 Il Comune rappresenta che:
· negli anni 1970-1980 ha posto in opera le cordonate stradali lungo alcune strade comunali, ma non ha ancora provveduto alla pavimentazione dei marciapiedi;
· lo spazio sterrato utilizzato quale marciapiede è compreso tra le predette cordonate ed i recinti privati, alcuni dei quali, però, sono stati costruiti in arretramento rispetto al confine di proprietà;
· non risulta evidente, in loco, quale sia il limite tra proprietà pubblica e proprietà privata[1], cosicché la collettività utilizza lo spazio nella sua totalità;
· l'Amministrazione comunale intende procedere alla pavimentazione anche dei predetti spazi sterrati, al fine di renderli più decorosi, sicuri e conformi alla norme sul superamento delle barriere architettoniche.
Pur avendo già fatto ricorso, in altre circostanze, alla procedura semplificata per l'accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, prevista dall'art. 31, commi 21 e 22, della legge 23.12.1998, n. 448, il Comune chiede di conoscere se possa eseguire la pavimentazione suddetta, che insisterebbe anche su porzioni di suolo privato utilizzate da illo tempore quale viabilità pedonale pubblica, senza dover procedere alla preventiva acquisizione di tali porzioni e, conseguentemente, al frazionamento catastale, in quanto questo risulterebbe oneroso per l'Amministrazione e materialmente difficoltoso.
Al quesito si ritiene di dover fornire risposta negativa, atteso che, pur risultando necessario provvedere all'integrale pavimentazione dei marciapiedi, in relazione alle preminenti necessità di garantire la sicurezza degli utenti e di provvedere al superamento delle barriere architettoniche, l'intervento comunale non preceduto dall'acquisizione delle aree si tradurrebbe -quanto alla porzione di opera ricadente sul suolo privato- in un'indebita spesa pubblica, alla quale potrebbero far seguito ulteriori esborsi a carico del bilancio dell'Ente, anche a seguito dell'instaurazione di possibili contenziosi, sia da parte dei soggetti catastalmente titolari della proprietà, quanto dei pedoni che ritengano di vantare indennizzi per lesioni subite in tali tratti privati (ma apparentemente di proprietà pubblica).
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, all'Ente, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede.
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[1] Mentre esso risulta rilevabile dai rilievi catastali eseguiti dal Comune (19.08.2011 - link a www.regione.fvg.it).

LAVORI PUBBLICIIndennizzo ai commercianti per mancati guadagni derivanti da lavori pubblici.
E' legittima l'erogazione di un indennizzo, da parte del comune, ai commercianti che possono provare di aver subito un pregiudizio di tipo economico dal perdurare di lavori pubblici oltre il termine fissato per la loro conclusione.
L'ente è tenuto a regolamentare i criteri e le modalità di ripartizione dei vantaggi economici prima di procedere all'erogazione degli stessi.

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Il Comune ha chiesto un parere sulla legittimità della richiesta di risarcimento, da parte di alcuni esercizi commerciali, per i mancati introiti derivanti dal perdurare di lavori pubblici. Riferisce l'ente che l'amministrazione sta procedendo ad una sistemazione straordinaria di alcune delle principali vie del paese, e che, per consentire l'esecuzione dei lavori, la viabilità è stata modificata in modo da garantire l'accesso alle strade interessate dagli interventi ai soli frontisti. Precisa, infine, che per la loro complessità, i lavori hanno superato i tempi preventivati.
Si osserva in via preliminare, che ai sensi della legge regionale 09.01.2006, n. 1, art. 16, 'Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona, lo sviluppo economico e sociale e il governo del territorio comunale (...)'. Pertanto, nell'ambito della propria autonomia organizzatoria, il comune può programmare misure rivolte a singoli settori di intervento, purché riguardino la propria comunità[1].
Con riferimento alla natura degli interventi eseguiti dall'ente, si richiama un parere dell'ANCI[2] in cui emerge che: 'i cantieri gestiti dalle amministrazioni e le conseguenti limitazioni alla viabilità, se eseguite in conformità alle leggi vigenti, sono senz'altro atti leciti. (...) L'atto lecito, in quanto tale, è privo della qualificazione di antigiuridicità pertanto solo eccezionalmente l'atto lecito dannoso dà diritto ad un indennizzo, e mai ad un risarcimento del danno (ossia ad un integrale ristoro del pregiudizio arrecato).'
Nella scelta della modalità di indennizzo[3], e nella quantificazione dello stesso, il comune è libero di optare fra varie possibilità[4], ma sempre nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241[5].
Da ultimo, si richiama l'attenzione sulla possibilità, per l'amministrazione, di esercitare azione di rivalsa sull'impresa contrattualmente inadempiente per non aver concluso le opere entro il termine concordato.
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[1] Si veda il parere prot. 4809 del 26.03.2009, reperibile sul sito: www.autonomielocali.regione.fvg.it
[2] Parere del 03.11.2009, nel quale l'ANCI ritiene che ai commercianti possa essere riconosciuto un adeguato ristoro solo se non sono rispettati i termini stabiliti di conclusione dei lavori e se i commercianti sono in grado di dimostrare concretamente di aver subito un pregiudizio a causa del ritardo con cui è stata ultimata l'opera.
[3] L'articolo 39 della legge regionale 20.03.2000, n. 7, il quale trova applicazione anche per gli enti locali, secondo i rispettivi ordinamenti, stabilisce che: 'Gli incentivi alle imprese sono concessi in forma di contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato, concessione di garanzia'.
[4] A titolo esemplificativo, si segnala l'iniziativa intrapresa dal Comune di Tivoli (Roma), intervenuto a regolamentare la materia, prevedendo un contributo per commercianti e artigiani sulla base di un apposito fondo iscritto a bilancio. Il regolamento e il bando sono consultabili su internet alla pagina: www.comune.tivoli.rm.it/contributo_commercianti
[5] Recita il comma 1 dell'articolo 12 della l. 241/1990: 'La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione, da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi'
(16.08.2011 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTIContratti pubblici. Pagamenti osservati speciali. Obbligo di tracciamento per chi è tenuto ad applicare il Dlgs 163/2006. Determinante per far scattare la procedura è la qualificazione del primo committente della filiera.
Con la determinazione 4/2011 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici risultano ora completi e definiti in chiave interpretativa sia l'ambito soggettivo sia l'ambito oggettivo di applicazione della legge 136/2010 in materia di tracciabilità dei pagamenti.
La chiave di lettura fondamentale è costituita dal codice dei contratti pubblici (il decreto legislativo 163/2006): poiché la normativa antimafia –nel cui contesto è inserito l'articolo 3 della legge 136/2010– trova applicazione generalizzata ai "contratti pubblici", sono tenuti all'osservanza degli obblighi di tracciabilità tutti i soggetti sottoposti all'applicazione del codice dei contratti pubblici.
Determinante è la qualificazione del primo anello della catena della tracciabilità e cioè del primo committente della filiera: la tracciabilità va applicata se esso assume la qualità di "stazione appaltante", secondo la definizione dell'articolo 3, comma 33, del Dlgs 163. In buona sostanza, la verifica circa la necessità di applicazione delle norme sulla tracciabilità presuppone un'analisi sull'obbligo di applicazione del codice dei contratti pubblici.
Se il committente riconosce in sé la figura di "stazione appaltante", gli obblighi di tracciabilità –a partire dal codice identificativo di gara (Cig) per finire con il bonifico sul conto dedicato– si estendono a tutta la filiera delle imprese, secondo l'ampia interpretazione di essa fornita dall'Autorità dei lavori pubblici sempre con la stessa determinazione 4/2011.
Per ciò che riguarda l'ambito oggettivo di applicazione della legge 136, l'Autorità ha confermato che tutto ruota intorno al concetto di «contratto di appalto pubblico», quale definito dal comma 6 dell'articolo 3 del Dlgs 163, ovvero un contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, avente per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi come definiti dal codice stesso.
Su questa falsariga si sviluppano poi le posizioni su fattispecie singole, per le quali è utile la lettura del capitolo 4 e di taluni paragrafi del capitolo 3 della determinazione 4/2011: vengono, per esempio, esclusi dagli obblighi di tracciabilità i contratti di locazione e di compravendita di beni immobili, i contratti d'opera intellettuale e talune fattispecie di servizi sanitari, mentre vengono ricompresi i servizi bancari e alcuni servizi legali.
La disamina sull'ambito oggettivo di applicazione degli obblighi di tracciabilità deve però essere condotta in relazione al rapporto tra "stazione appaltante" e appaltatore. Infatti, una volta individuata in tale fase l'applicabilità, i contratti a valle –a prescindere dalla loro natura– sono sempre soggetti agli obblighi nella misura in cui li si collochi nella filiera delle imprese coinvolte nell'esecuzione dell'appalto pubblico.
Ad esempio, nel caso di opera pubblica ove stazione appaltante sia il comune, il rapporto professionale (qualificato come contratto d'opera intellettuale) che l'appaltatore avesse con il responsabile della sicurezza sarebbe soggetto agli obblighi di tracciabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 15.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N. 163/2006.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12.07.2011, Serie Generale, la Legge n. 106/2011, di conversione del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 13.05.2011, n. 70). Il testo della Legge, che è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione (ossia il 13.07.2011), modificando il testo del D.L. Sviluppo interviene sulle novità introdotte da quest’ultimo.
Tra le più significative vi sono quelle che hanno modificato le cause di esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici. E’ stato infatti modificato l’art. 38 del Codice degli appalti, il D.Lgs. 163/2006 che prevede le seguenti dichiarazioni:
a) dichiarazione circa i requisiti personali (antimafia, moralità professionale);
b) dichiarazione dei requisiti del punto a) per i cessati dalla carica (nell’ultimo anno e non più nel triennio);
c) dichiarazione circa i requisiti dell’impresa (fallimento, tasse, contributi, sicurezza, ecc.).
Qualora il bando riporti in allegato uno schema di tali dichiarazioni è opportuno che l’impresa li utilizzi. In mancanza si consiglia di utilizzare i seguenti schemi predisposti dagli uffici del Collegio:
1) Modello B1 - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui alle lettere b), c) e m-ter) dell’art. 38, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006;
2) Modello B1-bis per i cessati dalla carica - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui alla lettera c), comma 1, dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006;
3) Modello B2 - Dichiarazione concernente l’inesistenza di cause d’esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: Gare d'appalto aperte agli esterni. È legittimo in particolari materie integrare le commissioni con esperti.
Sempre più difficile gestire gare di appalto per lavori, servizi e forniture, anche ricorrendo agli specialisti delle stazioni uniche appaltanti varate dal Dpcm 30.06.2011. Norme e giurisprudenza si sovrappongono, come nel caso dell'individuazione del costo del personale all'interno del prezzo per l'esecuzione di un appalto.
L'offerta da preferire in sede di gara, per l'articolo 4 del decreto legge 70/2011 (legge 106/2011) va determinata al netto delle spese relative al costo del personale. Il seggio di gara, tuttavia, spesso non possiede le competenze per sindacare tale costo, ad esempio per valutarne l'anomalia che prelude al lavoro nero o dequalificato. Il costo del lavoro, infatti, non si identifica con il minimo salariale (che è inderogabile), ma è una voce connessa alla produttività.

Il tema è stato affrontato da una commissione di gara nominata da un'Azienda sanitaria locale, che ha dovuto verificare se in una gara per servizi di vigilanza un concorrente avesse formulato un'offerta bassa in modo anomalo violando i limiti posti dalle tariffe adottate dal Prefetto per la vigilanza, oppure trascurando le tabelle ministeriali sul costo del lavoro.
Nel caso specifico, la Commissione giudicatrice aveva affidato l'accertamento sull'eventuale anomalo ribasso, a un tecnico esterno: non era infatti possibile ipotizzare, all'epoca in cui la Commissione esaminatrice era stata designata, questa tipologia di problemi da risolvere (cioè il rispetto della contrattazione collettiva e del costo del lavoro delle guardie giurate da impiegare nella sorveglianza). L'inserimento di un consulente esterno nell'attività della commissione di gara è stato poi oggetto di contestazione, ma il TAR Puglia-Bari, Sez. I (sentenza 11.08.2011 n. 1209) ha condiviso il coinvolgimento di un esperto esterno, anche durante le operazioni di gara.
Osserva infatti il Tar che la stazione appaltante può legittimamente rivolgersi a un esperto al fine di valutare l'anomalia dell'offerta: ben può, quindi, un consulente del lavoro essere interpellato dalla Commissione giudicatrice anche nel corso dell'esame delle offerte, allo stesso modo in cui è stato ritenuto legittimo l'interpello di un cuoco durante una gara per servizi mensa (Cons. Stato, 7265/2010) o un esperto in materia di retribuzioni del comparto cooperative sociali (Cons. Stato, 6765/2008) in un appalto di servizi di trasporto infermi.
A un consulente si può chiedere ausilio non solo in sede di gara, ma anche in sede di successiva contestazione in giudizio, com'è avvenuto a Roma nella gara manutenzione del verde, quando un tecnico nominato dal giudice (Cons. Stato, 3807/2011) ha precisato il regime degli sgravi contributivi su cui poteva contare un concorrente, entrando nel merito non solo dell'offerta di gara, ma anche dell'organizzazione imprenditoriale e della produttività della mano d'opera.
Con la Stazione unica appaltante sarà più agevole avere commissioni qualificate, evitando non solo il ricorso a consulenti esterni, ma anche errori più banali quali la composizione di commissioni giudicatrici in numero pari (e non dispari).
Si prevedono poi ulteriori difficoltà nella corretta gestione delle gare, per la prossima entrata in vigore del Codice antimafia (approvato definitivamente il 03.08.2011 ed in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale), mentre già si segnala la prima applicazione della sanzione per lite temeraria, con raddoppio del contributo fiscale a carico del ricorrente che abbia agito in modo avventato: il TAR Puglia-Bari, Sez. I (sentenza 30.08.2011 n. 1264) ha condannato al pagamento di 8.000 euro un imprenditore che contestava l'esclusione da una gara per servizio di soccorso stradale: la somma è andata a beneficio dell'Erario, in quanto né il Comune né l'aggiudicatario si erano costituti in giudizio (articolo Il Sole 24 Ore del 04.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIIl giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.

La verifica di anomalia dell’offerta costituisce un sub-procedimento formalmente distinto (ancorché collegato) rispetto al procedimento di evidenza pubblica di individuazione della proposta migliore, e si esprime in un’indagine di contenuto tecnico-economico secondo una precisa ratio di fondo che è quella di evitare l’aggiudicazione a prezzi tali da non garantire la qualità del lavoro, fornitura o servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme (Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6495) e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (Consiglio di Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV – 20/05/2008 n. 2348).
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146).
Sotto altro punto di vista, il Collegio ha in altra causa affermato che attraverso il Piano Economico Finanziario (e per analogia mediante le giustificazioni) ciascun concorrente debba dimostrare la propria capacità di eseguire correttamente la prestazione alle condizioni economiche proposte, cosicché l’amministrazione possa ammettere alla gara le offerte che risultino, nel loro complesso, affidabili: si tratta dello strumento che avvalora la sostenibilità economica dell’operazione e che per questo non può essere considerato assolutamente intangibile ed immodificabile, ma viceversa suscettibile di specificazioni, chiarimenti, limitate integrazioni ed aggiustamenti.
Soccorrono in proposito i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di verifica dell’offerta anomala ai sensi dell’art. 88 del D.Lgs. 163/2006, che individuano nell’affidabilità complessiva dell’offerta il criterio guida della stazione appaltante per la formulazione del giudizio e che riconoscono il valore del contraddittorio e delle giustificazioni quali mezzi utili per sviluppare l’indagine con piena cognizione di causa. E’ stato sottolineato che nel corso del procedimento il concorrente può addurre qualsiasi elemento che ritenga utile per evidenziare la remuneratività dell’offerta, e in tale contesto le giustificazioni preventive non possono costituire un vincolo tale da non poter essere superate –e all’occorrenza modificate– da quelle successive (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 08/04/2004 n. 1999).
Per questo motivo la rielaborazione del Piano economico finanziario (o delle giustificazioni) in momenti posteriori non può costituire di per sé un vizio insanabile, trattandosi di fase nella quale il contraddittorio deve necessariamente svilupparsi (cfr. sentenza Sezione 26/05/2009 n. 1064 confermata in appello da Consiglio di Stato, sez. V – 10/02/2010 n. 653) (TAR Lombardia-Brescia. Sez. II, sentenza 10.08.2011 n. 1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gli atti del convegno tenutosi nel giugno 2011 a cura del Centro Studi Marangoni (link a www.centrostudimarangoni.it):
- 1^ parte; - 2^ parte; - 3^ parte.

APPALTI: In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare e non prive di margini di ragionevole incertezza. Pertanto, nel caso di specie, sulla base del dato testuale della disciplina di gara e muovendo dalla premessa che la procedura aveva ad oggetto l'affidamento del servizio di vigilanza e prevenzione armata e che il servizio di portierato costituiva solamente un'opzione eventuale, è illegittima l'esclusione dalla gara di una società per non essere iscritta alla camera di commercio per il servizio di portierato.
L'inciso racchiuso nell'art. 3 del capitolato -secondo cui i candidati avrebbero dovuto dichiarare ai sensi dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere iscritti al Registro della camera di commercio- deve infatti essere interpretato per coerenza sistematica, nella sua indubbia genericità, come riferito alla sola attività principale oggetto dell'appalto, concernente la vigilanza armata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.08.2011 n. 4665 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare.
In materia di procedure selettive, le clausole di esclusione sono di stretta interpretazione, in forza del preminente interesse alla massima partecipazione, tanto più al cospetto di previsioni non del tutto chiare e non prive di margini di ragionevole incertezza.
Pertanto, nel caso di specie, sulla base del dato testuale della disciplina di gara e muovendo dalla premessa che la procedura aveva ad oggetto l'affidamento del servizio di vigilanza e prevenzione armata e che il servizio di portierato costituiva solamente un'opzione eventuale, è illegittima l'esclusione dalla gara di una società per non essere iscritta alla camera di commercio per il servizio di portierato.
L'inciso, racchiuso nell'art. 3 del capitolato -secondo cui i candidati avrebbero dovuto dichiarare ai sensi dell'art. 39 del D.Lgs. 163/2006 di essere iscritti al Registro della camera di commercio- deve infatti essere interpretato per coerenza sistematica, nella sua indubbia genericità, come riferito alla sola attività principale oggetto dell'appalto, concernente la vigilanza armata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.08.2011 n. 4665 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla definizione di c.d. società di terzo grado e applicabilità alle medesime dell'art. 13 del D.L. n. 223 del 2006: limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle società caratterizzate da forme di partecipazione indiretta o mediata, che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono finalizzate a soddisfare esigenze strumentali delle medesime.

Il presupposto per l'eventuale applicazione del divieto contenuto nell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, anche nei confronti delle società di terza generazione o cd società di terzo grado è che la società costituita o posseduta dall'ente locale svolga servizi strumentali per lo stesso. In presenza di tale circostanza la finalità del d.l. n. 223, di evitare effetti distorsivi della libera concorrenza, si persegue non solo vietando le attività diverse da quelle classificabili come strumentali rispetto alle finalità dell'ente pubblico, ma anche vietando la partecipazione delle società strumentali ad altre società.
In effetti, l'alterazione della libera concorrenza può realizzarsi anche in via mediata, ossia fruendo dei vantaggi derivanti dall'investimento del capitale di una società strumentale in altro soggetto societario costituito con finalità neppure indirettamente strumentali, ma anzi intrinsecamente imprenditoriali. Tale principio si evince in particolare dalla decisione n. 326 del 2008 della Corte costituzionale, che ha ritenuto il divieto imposto alle società strumentali di detenere partecipazioni in altre società volto ad evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, attività loro precluse.
Divieto, peraltro, che la Corte ha ritenuto non esteso alla detenzione di qualsiasi partecipazione o alla adesione a qualsiasi ente, bensì circoscritto alla detenzione di partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse.
---------------
Sono applicabili alle società controllate da società strumentali e costituite con capitale di queste gli stessi limiti che valgono per le società controllanti, ove si tratti di attività inerenti a settori precluse a queste ultime. Infatti, l'utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia pure indirettamente, l'elusione del divieto di svolgere attività diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a contrario la previsione dello scorporo di attività non più consentite alle società strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del "Decreto Bersani", dovendosi tale disposizione intendere nell'unico senso compatibile con il divieto imposto alle società strumentali di partecipare ad enti, sancito dal comma 1 del medesimo articolo e cioè come volta a costituire un nuovo soggetto societario, destinato a concorrere in pubbliche gare per lo svolgimento di un servizio di interesse generale, che non comporti l'intervento finanziario dell'ente strumentale.
Tale interpretazione trova del resto conferma nella circostanza che l'obbligo di cessione a terzi delle società e delle partecipazioni vietate, abrogato dalla l. finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l. 27.12.2006, n. 296), è stato poi ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l. 24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la previsione di un termine di adempimento più volte prorogato, da ultimo con l'art. 71, co. 1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69 (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 04.08.2011 n. 17 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla definizione di c.d. società di terzo grado e applicabilità alle medesime dell'art. 13 del D.L. n. 223 del 2006: limiti.
Le c.d. società di terzo grado sono quelle società caratterizzate da forme di partecipazione indiretta o mediata, che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono finalizzate a soddisfare esigenze strumentali delle medesime.

- Il presupposto per l'eventuale applicazione del divieto contenuto nell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, anche nei confronti delle società di terza generazione o cd società di terzo grado è che la società costituita o posseduta dall'ente locale svolga servizi strumentali per lo stesso.
In presenza di tale circostanza la finalità del d.l. n. 223, di evitare effetti distorsivi della libera concorrenza, si persegue non solo vietando le attività diverse da quelle classificabili come strumentali rispetto alle finalità dell'ente pubblico, ma anche vietando la partecipazione delle società strumentali ad altre società. In effetti, l'alterazione della libera concorrenza può realizzarsi anche in via mediata, ossia fruendo dei vantaggi derivanti dall'investimento del capitale di una società strumentale in altro soggetto societario costituito con finalità neppure indirettamente strumentali, ma anzi intrinsecamente imprenditoriali.
Tale principio si evince in particolare dalla decisione n. 326 del 2008 della Corte costituzionale, che ha ritenuto il divieto imposto alle società strumentali di detenere partecipazioni in altre società volto ad evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, attività loro precluse. Divieto, peraltro, che la Corte ha ritenuto non esteso alla detenzione di qualsiasi partecipazione o alla adesione a qualsiasi ente, bensì circoscritto alla detenzione di partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse.
- Sono applicabili alle società controllate da società strumentali e costituite con capitale di queste gli stessi limiti che valgono per le società controllanti, ove si tratti di attività inerenti a settori precluse a queste ultime. Infatti, l'utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia pure indirettamente, l'elusione del divieto di svolgere attività diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una posizione di mercato avvantaggiata.
Né può costituire valido argomento a contrario la previsione dello scorporo di attività non più consentite alle società strumentali di cui al c. 3 dell'art. 13 del "Decreto Bersani", dovendosi tale disposizione intendere nell'unico senso compatibile con il divieto imposto alle società strumentali di partecipare ad enti, sancito dal comma 1 del medesimo articolo e cioè come volta a costituire un nuovo soggetto societario, destinato a concorrere in pubbliche gare per lo svolgimento di un servizio di interesse generale, che non comporti l'intervento finanziario dell'ente strumentale.
Tale interpretazione trova del resto conferma nella circostanza che l'obbligo di cessione a terzi delle società e delle partecipazioni vietate, abrogato dalla l. finanziaria 2007 (art. 1, c. 720, l. 27.12.2006, n. 296), è stato poi ripristinato dalla l. finanziaria 2008 (l. 24.12.2007, n. 244, art. 3, c. 29), con la previsione di un termine di adempimento più volte prorogato, da ultimo con l'art. 71, co. 1, lett. e) della l. 18.06.2009, n. 69 (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 04.08.2011 n. 17 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Via libera al codice. Un ddl su intercettazioni e collaboratori. Antimafia, da settembre si cambia. Certificazione lunga, più poteri ai prefetti, banca dati doc.
Ampliato il termine di validità (da 6 a 12 mesi) della durata della certificazione antimafia liberatoria per le imprese che lavorano nel circuito dell'economia legale. Ai prefetti la possibilità di desumere il «tentativo di infiltrazione mafiosa» da sentenze di condanna anche non definitive per reati «strumentali» che valutate «unitamente a concreti elementi» facciano ritenere che l'attività d'impresa possa essere oggetto del condizionamento mafioso, anche indiretto. Costituzione di una banca dati nazionale che raccoglie la documentazione contro le organizzazioni criminali.
Il codice delle leggi antimafia, delle misure di prevenzione e delle nuove norme in materia di documentazione antimafia, presentato dal ministro dell'interno Roberto Maroni e varato ieri dal consiglio dei ministri è articolato in quattro libri ed entrerà in vigore definitivamente il prossimo 7 settembre, come annunciato dal neo-guardasigilli Nitto Palma.
Il codice, si legge in un comunicato del Viminale, punta a «razionalizzazione, semplificazione e coordinamento» della normativa antimafia vigente necessaria con le numerose leggi speciali entrate in vigore negli anni. Sono stati infatti accolti i desiderata del parlamento, con il recepimento di 11 delle 21 modifiche avanzate nei pareri delle commissioni parlamentari e dal comitato di coordinamento. Accolta anche la richiesta di stralcio dei primi dieci articoli per i quali, sempre a settembre, sarà varato un disegno di legge.
Tenuto conto che i pareri resi dagli organi parlamentari (Comitato per la legislazione e Commissioni giustizia della camera e del senato) hanno evidenziato, si legge in un comunicato di palazzo Chigi, la volontà di «innovare l'ordinamento in maniera maggiormente significativa», il Consiglio ha deciso di avviare una nuova iniziativa legislativa che copra l'intero spettro della disciplina sostanziale e processuale in materia di criminalità organizzata: dalle intercettazioni «giudiziarie», alla disciplina sui collaboratori e testimoni di giustizia, dal regime carcerario previsto dall'art. 41-bis, ai colloqui investigativi speciali e alle attività di cooperazione giudiziaria con altri stati nel settore della confisca.
Per questo motivo, anche in considerazione dei limiti materiali della legge delega e la prossima scadenza del termine per il suo esercizio (settembre 2011), il Consiglio ha deciso di stralciare le norme contenute nel libro I del nuovo Codice e di approntare un nuovo disegno di legge.
Cinque libri e 131 articoli, il nuovo codice riordina una legislazione frastagliata, prodotto di anni di sentenze e provvedimenti che hanno fatto giurisprudenza. Il codice, così come uscito dal Cdm, si muove lungo tre direttrici: cattura dei latitanti, carcere duro e aggressione ai patrimoni criminali. Preoccupazione aveva suscitato il passaggio (articolo 1 della legge delega 136/2010) in cui si fa riferimento alla durata del sequestro: 18 mesi in tutto se non interviene la confisca del bene sottratto alla mafia. Nel nuovo codice, tuttavia, è prevista la possibilità di prorogare il sequestro di sei mesi e per non più di due volte, in caso di indagini complesse.
Altre novità contenute nel testo varato dal Consiglio dei ministri riguardano il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione -il soggetto potrà richiedere che si proceda in pubblica udienza- e soprattutto la disciplina, completamente innovativa, di cinque aspetti della misura di prevenzione patrimoniale: revoca della confisca, rapporti tra sequestro di prevenzione e sequestro penale, tutela dei terzi, rapporti con le procedure concorsuali, effetti fiscali del sequestro.
La revoca della confisca sarà possibile solo in casi eccezionali come la falsità delle prove o il difetto originario dei presupposti. In tale caso sarà restituita, a eccezione degli immobili di particolare pregio artistico o storico, solo una somma di denaro equivalente al valore del bene. Per regolare i rapporti tra sequestro di prevenzione e sequestro penale, il codice prevede che, qualora lo stesso bene sia colpito da entrambi i provvedimenti, l'amministrazione e la gestione del bene devono seguire le norme sulla prevenzione come la nomina di un amministratore giudiziario, relazione periodica ecc.
L'amministratore giudiziario diventa «sostituto d'imposta» ovvero paga provvisoriamente le imposte relative ai beni sequestrati. Alla fine della procedura, se i beni vengono restituiti, l'amministratore recupera quanto versato. Al fine di tutelare creditori terzi è previsto che dal bene sequestrato sia preventivamente estratta la parte spettante al creditore. Ovviamente, sempre che il credito non sia frutto di attività illecita (articolo ItaliaOggi del 04.08.2011).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L'elemento fiduciario nei rapporti con la stazione appaltante.
L’esclusione di una impresa da una procedura ad evidenza pubblica per grave negligenza o malafede è illegittima qualora la p.a. abbia provveduto a confermare la fiducia nei confronti dell’impresa rinnovando o prorogando l’affidamento di diversi contratti.

Tale principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 03.08.011 n. 4629, nell’ambito di una gara d’appalto per l’affidamento di servizi cimiteriali.
Nel caso di specie la ricorrente era stata esclusa per grave negligenza nell’esecuzione di un precedente rapporto con l’amministrazione pubblica (violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. 1634/2006) e per irregolarità contributive (violazione dell’art. 38, comma 1, lett. e), del d.lgs. 163/2006).
In primo grado il Tar aveva confermato la legittimità del provvedimento della stazione appaltante.
In sede di Consiglio di Stato è stata, invece, messa in luce la reale posizione dell’impresa ricorrente, che per ragioni non dipendenti dal proprio operato era stata costretta a ritardare l’esecuzione di un servizio pubblico affidatole.
Successivamente, tuttavia, la stessa amministrazione aveva proceduto a rinnovare all’impresa l’affidamento di diversi servizi, dimostrando così l’affidabilità della stessa.
I giudici di Palazzo Spada hanno infatti sostenuto che: “La proroga e l’affidamento di contratti all’impresa appellante da parte del Comune nel periodo giugno–dicembre 2010 (relativi alla manutenzione di verde pubblico e di rotatoria nonché di servizio spargisale), senza alcun riferimento a pregresse inadempienze, sono chiari indizi dello sviamento e della contradditorietà di cui è affetto l’atto di esclusione dalla gara per cui è causa per grave negligenza o malafede nello svolgimento di prestazioni affidate all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico, nell’interesse pubblico a non stipulare nuovi contratti con l’impresa resasi responsabile di grave negligenza, trova un evidente limite nel caso in cui la stessa amministrazione operi una valutazione favorevole sul piano tecnico–morale dell’impresa rinnovandole fiducia attraverso la proroga o l’affidamento di diversi contratti (Cons. St. Sez. VI, 28.07.2010, n. 5029)
.”
L’atto di esclusione è pertanto illegittimo se non dimostra in maniera adeguata l’inaffidabilità dell’impresa.
I giudici di appello si sono inoltre soffermati su un ulteriore motivo di esclusione, prontamente impugnato dall’impresa ricorrente: la violazione dell’art. 38, comma 1, lett. e), del d.lgs. 163/2006.
Il provvedimento di esclusione si basava infatti anche su un presunta irregolarità contributiva, non sussistente nel caso di specie poiché fondata su un “contenzioso amministrativo in corso” per il pagamento di oneri contributivi.
Da un’attenta lettura dell’art. 38, comma 1, lett. e), si rileva pertanto che l’esclusione può essere disposta soltanto nel caso in cui le imprese “…si siano rese responsabili di violazioni gravi e definitivamente accertate...”.
L’interpretazione della legge, in questo caso l’art. 38, non è opera semplice e di intuitiva applicazione ma deve necessariamente essere oggetto di un’attenta analisi ed un adeguato approfondimento così da evitare applicazioni fuorvianti del volere del legislatore (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAi fini della rilevanza sul piano del venir meno dell’affidabilità dell’impresa, della gravità della negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va fornita un’adeguata prova ed il provvedimento deve essere motivato adeguatamente.
- Con riferimento ad un contenzioso amministrativo in corso per il pagamento di oneri contributivi, occorre osservare che la chiara prescrizione recata dall’art. 38, comma 1, lett. e), nel senso di escludere dalla partecipazione solo le imprese che si siano rese responsabili di violazioni gravi e definitivamente accertate, porta ad escludere che la pendenza di un contenzioso possa essere considerata di per sé indice di inaffidabilità, essendo possibile un esito favorevole della lite, eventualità che fa prevalere il principio della più ampia partecipazione.
---------------
- Le norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione e la mancanza di una norma con effetto preclusivo che preveda, in caso di cessione d’azienda anteriore alla partecipazione alla gara –cui è assimilabile l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di dichiarazione dei requisiti soggettivi della cedente, conduce ad escludere la sanzione espulsiva nei confronti dell’impresa cessionaria o affittuaria che non abbia reso la dichiarazione sulla cedente.
La nomina della Commissione di valutazione da parte del Vice Segretario Generale del Comune deve considerarsi legittima, potendo egli esercitare, in caso di impedimento da parte del titolare della funzione, i poteri connessi alla posizione vicaria, nell’interesse al buon andamento dell’amministrazione.

La proroga e l’affidamento di contratti all’impresa appellante da parte del Comune nel periodo giugno–dicembre 2010 (relativi alla manutenzione di verde pubblico e di rotatoria nonché di servizio spargisale), senza alcun riferimento a pregresse inadempienze, sono chiari indizi dello sviamento e della contraddittorietà di cui è affetto l’atto di esclusione dalla gara per cui è causa per grave negligenza o malafede nello svolgimento di prestazioni affidate all’impresa.
Invero, la necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico, nell’interesse pubblico a non stipulare nuovi contratti con l’impresa resasi responsabile di grave negligenza, trova un evidente limite nel caso in cui la stessa amministrazione operi una valutazione favorevole sul piano tecnico-morale dell’impresa, rinnovandole fiducia attraverso la proroga o l’affidamento di diversi contratti (Cons. St. Sez. VI, 28.07.2010, n. 5029).
Peraltro, il motivo d’appello è fondato anche sotto il profilo della errata valutazione da parte del primo giudice in ordine alla mancata confutazione da parte dell’interessata di ogni responsabilità o negligenza nell’esecuzione del contratto evocato.
Risulta, infatti, agli atti che a seguito della contestazione da parte del Comune della negligenza dimostrata in un’operazione di sepoltura, l’impresa, con nota 02.01.2009, aveva giustificato il proprio comportamento in ragione del notevole ritardo con cui era stata ricevuta la salma e di eventi a sé non imputabili.
La disposta esclusione appare, pertanto, in contrasto anche con il principio per cui, ai fini della rilevanza sul piano del venir meno dell’affidabilità dell’impresa, della gravità della negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va fornita un’adeguata prova ed il provvedimento deve essere motivato adeguatamente (Cons. St. Sez. V, 22.02.2011, n. 1107; 21.01.2011, n. 409).
Nella specie, entrambi gli elementi (prova della negligenza ed adeguata motivazione) risultano carenti.
Quanto al secondo motivo di esclusione, riferito ad un contenzioso amministrativo in corso per il pagamento di oneri contributivi, occorre osservare che la chiara prescrizione recata dall’art. 38, comma 1, lett. e), nel senso di escludere dalla partecipazione solo le imprese che si siano rese responsabili di violazioni gravi e definitivamente accertate, porta ad escludere che la pendenza di un contenzioso possa essere considerata di per sé indice di inaffidabilità, essendo possibile un esito favorevole della lite, eventualità che fa prevalere il principio della più ampia partecipazione (Cons. St. Sez. V, 21.04.2009, n. 2399).
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L
e norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione e la mancanza di una norma con effetto preclusivo che preveda, in caso di cessione d’azienda anteriore alla partecipazione alla gara –cui è assimilabile l’affitto di ramo d’azienda-, un obbligo di dichiarazione dei requisiti soggettivi della cedente, conduce ad escludere la sanzione espulsiva nei confronti dell’impresa cessionaria o affittuaria che non abbia reso la dichiarazione sulla cedente (Cons. St. Sez. V, 15.11.2010, n. 8044; 21.05.2010, n. 3213);
La nomina della Commissione di valutazione da parte del Vice Segretario Generale del Comune deve considerarsi legittima, potendo egli esercitare, in caso di impedimento da parte del titolare della funzione, i poteri connessi alla posizione vicaria, nell’interesse al buon andamento dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.08.2011 n. 4629 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIStangata per chi perde al Tar. Lite temeraria? Negli appalti si paga da 8 mila a 20 mila. Il consiglio dei ministri esamina oggi la riforma del processo amministrativo (dlgs 104/2010).
Stangata per chi perde al Tar e al Consiglio di stato. Anche così il ministero dell'economia fa cassa.
La bozza di decreto legislativo correttivo del Codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010) oggi al vaglio del consiglio dei ministri obbliga, infatti, il giudice a condannare chi ha intentato una lite temeraria a pagare allo stato una sanzione di importo non inferiore al doppio del contributo unificato e non superiore nel massimo al quintuplo.
Si tratta di cifre pesanti: per esempio una soccombenza in un ricorso su appalti può costare da almeno 8 mila euro fino a 20 mila euro.
Il pugno duro deriva dalla proposta riscrittura del secondo comma dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo, dedicato alle spese di giudizio.
Nella versione attuale in caso di lite temeraria il giudice può (non «deve») condannare d'ufficio (quindi anche senza richiesta di parte) chi perde al pagamento a favore di chi vince di una somma di denaro equitativamente determinata (senza minimi e massimi).
La lite è giudicata temeraria quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati.
La modifica del decreto correttivo lascia intatta la definizione della lite temeraria. Sul punto non si può non sottolineare come sia molto forte la discrezionalità del giudice, che ha campo libero per valutare se una ragione è manifesta oppure no. Meno alea si registra, invece, per il presupposto del consolidamento di orientamenti giurisprudenziali, che si ritiene deve realizzarsi a livello di Consiglio di stato.
Il resto della disposizione viene, invece, rivoluzionato. Innanzi tutto la condanna al risarcimento diventa obbligatoria: la nuova versione testualmente dispone che «il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria»; viene abbandonato l'espressione incentrata sull'uso dell'ausiliare «potere» («può condannare»); così si vincola il giudice a condannare chi con temerarietà ha iniziato un giudizio o ha resistito con altrettanta temerarietà in giudizio. La norma vale tra l'altro anche per la pubblica amministrazione soccombente, che farà bene a esercitare l'autotutela quando l'atto impugnato non è difendibile.
In secondo luogo il beneficiario delle somme non è più l'altra parte e cioè quella che ha vinto in giudizio; il beneficiario è lo stato. È evidente che da un risarcimento alla parte vincitrice si passa a una sanzione per chi perde.
Infine si passa dalla valutazione equitativa del giudice, quale criterio per la determinazione dell'importo del risarcimento, a una misura predeterminata dalla legge con un minimo e un massimo, come è usuale che sia per le sanzioni.
L'ammontare del risarcimento deve essere non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio.
Le cifre sono considerevoli e si aggiungono alle spese di soccombenza (e cioè il rimborso delle spese legali sostenute da chi ha vinto).
Passiamo in rassegna le diverse possibilità.
Per i ricorsi in materia di accesso ai documenti amministrativi, contro il silenzio della pa, in materia di cittadinanza e residenza, soggiorno e ingresso in Italia e per quelli di esecuzione e ottemperanza la lite temeraria può costare da 600 a 1.500 euro. Per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato la sanzione va da 3 mila euro a 7 mila e cinquecento euro. Per i ricorsi in materia di appalti si va da 8 mila a 20 mila euro.
Infine per tutti gli altri ricorso il minimo è 1.200 euro e il massimo è 3 mila euro.

Peraltro se si dovesse considerare l'importo del contributo unificato aumentato della metà (sanzione prevista nel caso in cui il difensore non indichi in atto l'indirizzo di posta elettronica certificata e il numero di fax) le cifre lieviterebbero ancora.
Tra l'altro sull'indicazione dei recapiti la bozza di correttivo, modificando l'articolo 136 del codice, consente agli avvocati di indicare nel ricorso e nel primo atto difensivo un indirizzo di posta elettronica certificata e un numero fax, che possono essere anche diversi dagli indirizzi del domiciliatario: quindi il dominus può indicare la propria pec o i proprio fax anche se si elegge domicilio presso un avvocato di altra sede (articolo ItaliaOggi del 03.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIOEPV e criteri di valutazione della lex specialis.
Domanda.
Quando la Commissione giudicatrice di un appalto pubblico che prevede il criterio dell'aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa può integrare i criteri di valutazione della lex specialis?
Risposta.
Ai fini dell'attribuzione del punteggio, non contrasta con il diritto comunitario, l'integrazione dei criteri di valutazione a condizione che:
a) non siano modificati i criteri di valutazione stabiliti dalla lex specialis di gara;
b) non sia influenzata la preparazione delle offerte a cagione della previsione di elementi, che, se fossero stati noti al momento della formulazione delle offerte, avrebbero potuto indurre i partecipanti al procedimento di evidenza pubblica ad una diversa articolazione delle offerte;
c) non siano introdotte discriminazioni a danno dei concorrenti (02.08.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

APPALTIIn caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'esclusione di un concorrente da una gara per l'aggiudicazione di pubblici appalti, l'operare congiunto dei principi di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione e del principio di conservazione dell'atto amministrativo fa sì che la rinnovazione della gara conseguente alla riammissione del concorrente illegittimamente escluso debba retroagire in modo diverso a seconda del criterio previsto per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia effettuata in base a criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente rinnovare la fase di valutazione delle offerte; nel caso, invece, di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali, con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa sarebbe necessario rinnovare l'intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte.

Il Collegio non ignora la ricorrente giurisprudenza secondo cui, in caso di annullamento in sede giurisdizionale dell'esclusione di un concorrente da una gara per l'aggiudicazione di pubblici appalti, l'operare congiunto dei principi di segretezza delle offerte nei procedimenti di aggiudicazione e del principio di conservazione dell'atto amministrativo fa sì che la rinnovazione della gara conseguente alla riammissione del concorrente illegittimamente escluso debba retroagire in modo diverso a seconda del criterio previsto per l'aggiudicazione.
Nel caso in cui l'aggiudicazione sia effettuata in base a criteri oggettivi e vincolati, è sufficiente rinnovare la fase di valutazione delle offerte; nel caso, invece, di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali, con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa sarebbe necessario rinnovare l'intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte (Consiglio Stato, Sez. V, 20.10.2005, n. 5892 e 21.01.2002, n. 340).
Come si legge nella sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.01.2011, n. 462, che il Collegio ritiene di poter condividere nelle sue conclusioni, però, in altre occasioni il giudice di appello ha ammesso la possibilità di rinnovazione parziale dei giudizi anche a buste aperte, osservando che il principio di segretezza dell'offerta economica non costituisce un valore assoluto, ma un valore che richiede pur sempre di essere posto in relazione e coordinato con gli altri beni tutelati dall'ordinamento giuridico, tenendo conto, congiuntamente, del principio di conservazione degli atti giuridici e del canone di buona amministrazione ed in primo luogo del principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, oltre che dei criteri di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa che verrebbero frustrati da un rinnovo integrale delle operazioni di gara, comportante un aggravio procedimentale per la dilatazione dei tempi per addivenire all'aggiudicazione (C.d.S., sez. IV, 30.06.2004, n. 4834; C.d.S., sez. VI, 01.10.2004, n. 6457; C.d.S., sez. VI, 24.02.2005, n. 683) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.08.2011 n. 1235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: DPCM sulle stazioni uniche appaltanti: nuova vita per le centrali committenti?
Il decreto è diretto a promuovere l'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti, con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse ed il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Tuttavia, occorre prendere atto che la facoltatività dell'adesione alle SUA, elemento non contrastato in ragione delle delicate questioni istituzionali e costituzionali connesse, può dar luogo ad un rilevante disincentivo, in presenza dei ben noti fenomeni di "campanilismo gestionale" delle stazioni appaltanti. Occorre, invero, tener ben presente che il ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una o più, su base regionale) non rappresenterà un obbligo per le Pubbliche amministrazioni, ma una facoltà.
Certamente, la L. n. 136 del 2010, recante il "Piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia", viene ricordata, soprattutto, per l'introduzione dell'innovativo istituto della tracciabilità dei flussi finanziari, di cui agli artt. 3 e 6.
Invero, oltre tale importante e discusso istituto, oggetto di nuovi interventi normativi e di continue precisazioni da parte dell'Autorità di Vigilanza, la L. n. 136 del 2010, contiene altri importanti interventi:
- le deleghe al Governo, per riformare la normativa e la documentazione antimafia;
- il nuovo sistema di controllo degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali e di identificazione degli addetti:
- l'introduzione del nuovo reato di "turbata libertà del procedimento di scelta del contraente" (art. 353-bis codice penale).
Fra questi, anche l'istituzione, in ambito regionale, di una Stazione Unica Appaltante, al fine di garantire trasparenza, regolarità ed economicità nella gestione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, oltre che per prevenire, in tal modo, le infiltrazioni di natura malavitosa.
L'art. 13 prevede, poi, l'emanazione, entro sei mesi, di un DPCM, diretto a stabilire quali enti, organismi e società potranno aderire alla SUA, quali saranno le attività ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell'art. 33 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006).
La SUA, come anche chiarito dal comma 2, lettera b), del predetto art. 13, ha natura giuridica di centrale di committenza e cura, per conto degli enti aderenti, l'aggiudicazione dei contratti pubblici in ambito regionale, provinciale e comunale.
Le centrali di committenza nascono per un chiaro fine: porre in essere un processo di razionalizzazione della spesa, intesa come attività volta a "spendere meglio", in modo da assicurare un corretto rapporto tra risorse da impiegare rispetto ai risultati da perseguire (efficienza), e soprattutto tra risorse impiegate e risultati infine raggiunti (efficienza).
Razionalizzare per spendere meno.
E' questa l'unica possibilità che residua, dopo il non più possibile ulteriore innalzamento del livello della pressione fiscale, se si vuole evitare che ulteriori tagli delle spese incidano sui servizi resi ai cittadini.
Se non si vogliono ridurre ulteriormente i servizi, bisogna, allora, utilizzare al meglio le risorse disponibili.
Uno dei campi in cui lo spazio di manovra in tal senso è enorme è quello degli acquisti di beni e servizi.
Ebbene, è proprio in tale prospettiva che si inserisce l'istituto delle centrali di committenza e quello della programmazione degli acquisti, strumenti coordinati di razionalizzazione della spesa pubblica.
Dunque, in tale scenario, nacque, verso la fine degli anni 2000, la CONSIP S.p.A. (Concessionaria Servizi Informatici Pubblici), organismo a struttura societaria, interamente posseduto dal Ministero dell'Economia, con il compito di stipulare convenzioni, in base alle quali le imprese fornitrici si impegnano ad accettare ordinativi di fornitura fino alla concorrenza di un quantitativo di beni o di servizi predeterminato.
La fonte normativa originaria è costituita dall'art. 26, L. 23.12.1999, n. 488 (Finanziaria 2000), la quale delineò un sistema in cui, tramite procedure ad evidenza pubblica, vengono scelte imprese per la fornitura di beni e servizi alle Pubbliche amministrazioni ad uguali condizioni.
Viene, quindi, previsto che le singole Amministrazioni, sulla base delle convenzioni stipulate dal Ministero dell'Economia per il tramite della CONSIP sua concessionaria, possono emettere ordinativi di forniture di beni e servizi, perfezionando così la procedura di ogni singolo acquisto.
In origine, l'obbligo di aderire alle convenzioni stipulate dalla Consip era previsto solo per le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, mentre le altre Pubbliche amministrazioni, pur avendo una mera facoltà di adesione, avevano l'obbligo di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo delle convenzioni stesse nel caso di acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.
Con l'art. 24, L. n. 289 del 2002 (legge finanziaria per l'anno 2003), fu introdotto l'obbligo generalizzato di adesione per tutte le Pubbliche amministrazioni e fu prevista la nullità dei contratti stipulati in violazione del divieto.
Successivamente, il Legislatore è tornato nuovamente sulla questione della facoltatività-obbligatorietà, con l'art. 3, comma 166, L. n. 350 del 2003 (Finanziaria 2004), con il quale si eliminò ogni tipo di obbligo di adesione e Consip divenne, di conseguenza, uno strumento facoltativo di raffronto tra prezzi.
Tuttavia, va osservato che la declassazione dell'istituto contrastava con quel processo, che si andava sempre più consolidando e che era teso alla centralizzazione degli acquisti.
Solo pochi mesi dopo, la facoltatività di aderire alle convenzioni, appena reintrodotta, fu quindi nuovamente mitigata con il D.L. n. 168 del 2004, convertito nella L. n. 191 del 2004, con il quale fu mantenuta come facoltativa la possibilità di adesione, ma fu introdotto l'obbligo, in caso acquisto di autonomo di beni comparabili, di raffrontare i prezzi con quelli previsti dalle convenzioni Consip e di utilizzare questi ultimi come base d'asta al ribasso.
La nuova politica di razionalizzazione degli acquisti ha condotto, poi, all'introduzione, da parte delle leggi finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni, di nuovi strumenti di centralizzazione delle procedure di gara, che operano a livello locale.
Precisamente:
a) a livello comunale, attraverso le aggregazioni di enti locali per gli acquisti di beni e servizi (L. n. 266 del 2005, commi 158-160);
b) a livello provinciale, attraverso l'art. 33 del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che le amministrazioni pubbliche possano affidare il compito di stazione appaltante alla Provincia, sulla base di apposito disciplinare, con rimborso delle spese e degli oneri sostenuti, al fine di alleggerire i piccoli Comuni dall'onere di effettuare le gare;
c) a livello regionale, attraverso le Centrali regionali di committenza.
L'art. 1, commi 455-457 della legge finanziaria 2007, ha introdotto la possibilità per le Regioni, anche unitamente ad altre Regioni, di costituire centrali di committenza, con il compito di stipulare convenzioni per acquisto di beni e servizi, in favore di amministrazioni locali, ASL e tutte le altre amministrazioni con sede nel territorio.
L'art. 13, L. n. 136 del 2010, nel chiaro intento di rivitalizzare le centrali di committenza, ha previsto l'espressa emanazione di un DPCM, avente il primario compito di disciplinare i seguenti aspetti delle SUA:
- gli enti, gli organismi e le società che possono aderire alla SUA;
- le attività ed i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell'art. 33 del Codice dei contratti pubblici;
- gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che aderiscono alla SUA;
- le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti, ferme restando le disposizioni vigenti in materia.
Dunque, con l'emanazione del DPCM del 30.06.2011, firmato dal Presidente del consiglio dei ministri e dai ministri Maroni, Alfano, Romani, Matteoli, Sacconi, Fitto e Brunetta, può finalmente "nascere" la stazione unica appaltante, su base regionale, cui potranno fare riferimento le Amministrazioni statali, le Regioni e gli Enti locali, come centrale di committenza per l'affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi. L'ente interessato ad avvalersi della SUA dovrà stipulare una convenzione per disciplinare la collaborazione.
Per quanto concerne le finalità generali, appare chiaro che il decreto è diretto a promuovere l'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti, con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse ed il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Le Pubbliche amministrazioni interessate sono numerose:
a) Amministrazioni dello Stato;
b) Regioni;
c) Enti pubblici territoriali;
d) Enti pubblici non economici;
e) Organismi di diritto pubblico;
f) Associazioni, Unioni e Consorzi, comunque denominati, costituiti dai soggetti precedenti;
g) altri soggetti pubblici, previsti dall'art. 32 del Codice dei contratti pubblici;
h) Imprese pubbliche e soggetti operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi.
Tutti questi soggetti pubblici potranno agire nel rispetto delle prescrizioni, di cui al comma 3, dell'art. 33, del Codice e, precisamente:
- divieto di affidare a soggetti pubblici o privati l'espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici:
- possibilità, per le amministrazioni aggiudicatrici, di affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, sulla base di apposito disciplinare che prevede altresì il rimborso dei costi sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a centrali di committenza.
Occorre, invero, tener ben presente che il ricorso alla Stazione Unica Appaltante (una o più, su base regionale) non rappresenterà un obbligo per le Pubbliche amministrazioni, ma una facoltà.
Nello svolgimento della funzione di centrale di committenza, che, in base al Codice dei contratti pubblici,si esplica nell'acquisizione di forniture, lavori e servizi destinati ad altre amministrazioni e nell'aggiudicazione di appalti o nella conclusione di accordi quadro, la SUA ha il compito primario di "gestire la procedura di gara".
In tal senso, i poteri della SUA sono alquanto penetranti e comprendono:
- la collaborazione, con l'ente pubblico aderente, per l'individuazione del contenuto dello schema del contratto, cioè l'oggetto dell'appalto;
- l'individuazione concordata della precisa procedura di scelta del contraente, compreso il criterio di aggiudicazione;
- la redazione di tutti gli atti di gara;
- la nomina della commissione di gara.
La SUA dovrà, inoltre, prendersi carico dello svolgimento della procedura di gara, curando anche la fase di pubblicità e le comunicazioni agli interessati, oltre a effettuare anche le verifiche in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione.
Sempre alla SUA spetta il compito di curare gli eventuali contenziosi ed, infine, collaborare con l'ente aderente per la stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali della convenzione, facendo particolare riferimento all'ambito di applicazione della medesima (cioè la o le procedure interessate), ai profili attinenti il rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla suddivisione degli oneri relativi ai contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da parte dell'ente aderente alla SUA ed alla Prefettura, dei contratti stipulati e delle varianti intervenute nel corso dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di monitoraggio e di controllo sugli appalti, il DPCM prevede uno stretto collegamento fra le Prefetture, soggetto cui dovranno affluire tutte le informazioni ed i dati utili alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e la SUA, alla quale le Prefetture medesime metteranno a disposizione le informazioni sulle imprese partecipanti alla gara.
La Pubblica amministrazione aderente alla SUA potrà, ancora, delegare la verifica dei progetti e l'esame delle varianti al provveditorato interregionale per le opere pubbliche.
Come è ben facile arguire, si è in presenza di un provvedimento corposo ed articolato, che costituisce, senza dubbio, un ulteriore tentativo di rivitalizzare le centrali di committenza.
Tuttavia, occorre prendere atto che la facoltatività dell'adesione alle SUA, elemento non contrastato in ragione delle delicate questioni istituzionali e costituzionali connesse, può dar luogo ad un rilevante disincentivo, in presenza dei ben noti fenomeni di "campanilismo gestionale" delle stazioni appaltanti (01.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 01.08.2011 n. 177 "Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni" (D.Lgs. 07.07.2011 n. 121).
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Registro di carico e scarico rifiuti - Esclusione dall'obbligo di tenuta.
Col D.Lgs. 121/2011 è stata ripristinata l'esclusione dall'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico per le Imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo.
Le imprese di costruzione che trasportano i propri rifiuti non pericolosi dovranno pertanto compilare soltanto il formulario di identificazione dei rifiuti (FIR) non essendo obbligate né all'iscrizione a Sistri, né alla tenuta del registro di carico e scarico degli stessi.
L'esclusione dall'obbligo di tenuta del registro dovrà essere riportata nell'apposito spazio del FIR riservato alle annotazioni indicando: "Esclusione dall'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico - artt. 190 e 188, del DLgs. n. 152/2006".

APPALTI: G.U. 01.08.2011 n. 177 "Pubblicazione nei siti informatici di atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o di bilanci, adottato ai sensi dell’articolo 32 della legge 18.06.2009, n. 69" (D.P.C.M. 26.04.2011).
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Bandi di gara e bilanci della PA: tutto online, tutto in chiaro.
Il decreto stabilisce le modalità di pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni e degli enti pubblici, ovvero di loro associazioni, degli atti e dei provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i quali è prevista la pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Pubblicazione gare.
Il decreto stabilisce, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30.06.2003, n. 196 e successive modificazioni, le modalità di pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni e degli enti pubblici, ovvero di loro associazioni, degli atti e dei provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica, nonché dei bilanci per i quali è prevista la pubblicazione sulla stampa quotidiana.
Per le procedure ad evidenza pubblica, il sito informatico è rappresentato dal profilo di committente e le amministrazioni e gli enti pubblici, ovvero le loro associazioni, sono rappresentate dalle amministrazioni aggiudicatrici.
Le amministrazioni aggiudicatrici pubblicano i bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sul profilo di committente in una apposita sezione dedicata, denominata «Bandi di gara», direttamente raggiungibile dalla home-page, dotata di caratteristiche di indirizzabilità e di ergonomicità tali da consentire un'immediata e agevole consultazione.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara sono pubblicati in base alla tipologia degli stessi, distinta per bandi di lavori, per bandi di servizi e per bandi di forniture, cui sono collegati i relativi avvisi di aggiudicazione.
I bandi e gli avvisi di gara sono pubblicati nei termini previsti dal Codice dei contratti per ciascuna tipologia di procedura di affidamento e restano consultabili, con le modalità previste dall'art. 3, fino alla data di scadenza del bando o dell'avviso. Gli esiti di gara sono pubblicati nei termini previsti dal Codice dei contratti e restano consultabili fino a tutto il centottantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione dell'esito.
I bandi ed avvisi di gara scaduti confluiscono automaticamente in un'apposita sezione dedicata, denominata «Bandi di gara scaduti», e restano consultabili fino a tutto il centottantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del relativo esito di gara.
I bandi, gli avvisi e gli esiti di gara, successivamente alla scadenza del termine sono consultabili secondo le modalità stabilite da ciascuna amministrazione aggiudicatrice e rese note sul profilo del committente.
Ogni bando, avviso ed esito di gara contiene gli elementi e le informazioni indicati dal Codice dei contratti, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione europea, ed è indicizzato con i campi informativi delle Tabelle di cui all'Allegato 2.
Bilanci.
Gli Enti pubblicano i propri bilanci in un'apposita sezione del proprio sito informatico denominata «Bilanci», direttamente raggiungibile dalla home-page e dotata di caratteristiche di indirizzabilità e di ergonomicità tali da consentire un'immediata e agevole consultazione.
I soggetti pubblicano i propri bilanci utilizzando i modelli stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 15.02.1989, n. 90, di attuazione dell'art. 6 della legge 25.02.1987, n. 67.
I bilanci sono consultabili in ordine cronologico, senza alcuna limitazione temporale.
I soggetti tenuti all'applicazione del presente decreto registrano l'indirizzo web del sito informatico nell'Indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 57-bis del CAD e ne garantiscono i relativi aggiornamenti (02.08.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

luglio 2011

APPALTIAppalti «semplificati» sempre da motivare.
LA CHIAMATA - Necessario coinvolgere almeno cinque concorrenti per gare fino a 500mila euro e dieci per soggetti nella soglia superiore.

Gli appalti di lavori pubblici sino a un milione di euro possono essere aggiudicati con procedura negoziata, a seguito di una gara informale.
Il decreto Sviluppo (Dl 70/2011, convertito dalla legge 106/2011) ha completamente ridefinito la disciplina contenuta nell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici, aumentando il valore massimo (nella normativa previgente attestato a 500mila euro) ed eliminando la precedente distinzione tra il percorso semplificato (legato al semplice dato di valore) entro i 100mila euro e quello fondato su un minimo confronto di mercato per la fascia di valore superiore.
Le motivazioni.
Le stazioni appaltanti devono motivare il ricorso alla particolare procedura, che costituisce comunque deroga rispetto alle procedure ordinarie (aperte e ristrette), evidenziando le ragioni nella determinazione a contrarre, come evidenziato dalla giurisprudenza e dall'Avcp (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici) nella determinazione 2/2011.
Queste motivazioni dovranno essere riconducibili a situazioni specifiche e determinanti l'urgenza della realizzazione, comunque diverse da quelle che possono consentire l'utilizzo delle più limitate fattispecie comprese nei commi 2 e 5 dell'articolo 57 del Codice.
La selezione.
La nuova disposizione assume come riferimento per la selezione il format della gara informale preceduta da una verifica di mercato per l'individuazione degli operatori economici, con esplicito rinvio all'articolo 57, comma 6, dello stesso Dlgs 163/2006, stabilendo contestualmente il necessario rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario.
Le amministrazioni devono coinvolgere nel particolare confronto concorrenziale almeno cinque soggetti qualificati per l'affidamento di appalti di valore sino a 500mila euro e almeno dieci per l'aggiudicazione di quelli con valore compreso tra 500mila e 1 milione di euro.
Le amministrazioni possono scegliere le modalità della prequalificazione, ricorrendo all'indagine di mercato (da pubblicizzare adeguatamente quando l'importo dell'appalto sia molto significativo) oppure avvalendosi di elenchi aperti, da costituire e gestire nel rispetto delle indicazioni dell'Avcp prodotte nella determinazione 2/2011 (che permettono il superamento dei limiti posti dall'articolo 40, comma 5 del Codice).
L'indagine di mercato.
La selezione del numero minimo di operatori qualificati da ricondurre alla gara tra tutti quelli in possesso dei requisiti potrà avvenire mediante sorteggio o mediante l'applicazione di criteri reputazionali, che dovranno in ogni caso essere resi noti dall'amministrazione.
La gara informale permette alle stazioni appaltanti di ottimizzare alcuni passaggi (tempistica ridotta per le offerte, fase della verifica delle offerte incongrue, eccetera) che ne riducono i tempi di svolgimento, ma il suo svolgimento deve tener conto delle previsioni contenute nel codice per le procedure negoziate senza bando, come il termine minimo di dieci giorni per la presentazione delle offerte (articolo 122, comma 6, lettera d) e i contenuti essenziali della lettera di invito (articolo 64 e allegato IXA).
La gara informale è comunque una procedura derogatoria rispetto ai percorsi selettivi di massima evidenza pubblica. Quindi la stazione appaltante deve applicare il principio di rotazione, che vieta per un certo periodo di tempo il coinvolgimento in successive procedure simili o in economia dell'operatore economico aggiudicatario.
La pubblicità.
La nuova formulazione del comma 7 dell'articolo 122 del Codice comporta anche l'effettuazione di adeguata pubblicizzazione dell'avvenuto affidamento.
Questa si concretizza, per gli appalti sino a 500mila euro, mediante la pubblicazione di avviso sull'albo pretorio, sul sito internet dell'amministrazione, su quello dell'osservatorio e su quello del ministero delle Infrastrutture, mentre per gli appalti sino a 1 milione di euro è prevista la pubblicazione (oltre che sui tre siti internet) anche sulla «Gazzetta Ufficiale» e, per estratto, su un quotidiano nazionale e su uno locale.
L'esecuzione dell'appalto.
Sul piano dell'esecuzione dell'appalto la norma prevede una regola che ne impedisce la frammentazione, stabilendo che per i lavori appartenenti alla categoria prevalente l'appaltatore non possa affidarne la realizzazione in subappalto o con subcontratti per una quota superiore al 20% del valore della stessa (mentre per le opere specialistiche vale la norma particolare contenuta nell'articolo 37, comma 11 del Codice).
Questo limite deve essere evidenziato chiaramente nella lettere di invito, affinché gli operatori economici non producano offerte con indicazione di subappalti quantitativamente superiori, che determinerebbero l'esclusione dalla gara delle stesse.
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CODICE APPALTI
Le nuove regole per la procedura negoziata per gli appalti di lavori pubblici permettono alle amministrazioni pubbliche (enti locali in particolare) di semplificare i percorsi di affidamento per un'ampia serie di opere pubbliche. La norma offre nuove opportunità agli operatori economici con qualificazioni più basse.
I nuovi riferimenti di valore per la procedura negoziata sino a un milione di euro erano già utilizzabili dal 14.05.2011 (data di entrata in vigore del Dl Sviluppo). I limiti al subappalto e ai subcontratti per la categoria prevalente si applicano alle procedure indette dopo il 13.07.2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione)
La procedura negoziata con gara informale può essere utilizzata per gli appalti di lavori pubblici (di qualsiasi tipo) con valore sino a un milione di euro. Per l'affidamento di appalti sino a 500mila euro è possibile coinvolgere nella selezione solo cinque operatori economici, mentre nella fascia superiore devono esserne coinvolti almeno dieci
La norma non prevede disposizioni attuative
La gara informale per l'affidamento dell'appalto di lavori sino a un milione di euro deve essere svolta nel rispetto del modulo definito dall'articolo 57, comma 6 del Codice e delle disposizioni (tempistica minima offerte, contenuti essenziali lettera d'invito) correlate. La disposizione comporta l'applicazione all'aggiudicatario del principio di rotazione
 (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTI FORNITURE E SERVIZILa correzione dei regolamenti amplia l'affidamento diretto.
Le stazioni appaltanti possono affidare direttamente servizi e forniture di beni sino al limite di 40mila euro.
L'articolo 4 del decreto Sviluppo ha infatti modificato i limiti di valore per le acquisizioni in economia mediante aggiudicazione diretta a un operatore economico, previsti dal comma 11 dell'articolo 125 del Codice dei contratti pubblici e precedentemente attestati a 20mila euro.
L'innovazione normativa determina l'omogeneizzazione della soglia di riferimento per beni e servizi con quella per i lavori, innestandosi nel quadro di riferimento. Le amministrazioni che hanno regolamenti per la disciplina dei contratti o delle procedure in economia che prevedono espressamente la vecchia soglia devono modificarli, se intendono utilizzare il nuovo limite dei 40mila euro, poiché più volte la giurisprudenza ha affermato che un valore inferiore stabilito dal regolamento dell'ente rispetto a quello del riferimento legislativo costituisce norma di autolimitazione, che deve essere rispettata.
L'affidamento diretto di beni e servizi entro i 40mila euro può comunque essere utilizzato dalle stazioni appaltanti solo quando queste abbiano determinato, mediante norma regolamentare o atto amministrativo generale, le tipologie di beni e servizi acquisibili in economia (e i relativi valori massimi di acquisto), come richiesto dall'articolo 125 del Codice (comma 10) e come evidenziato in termini di rafforzamento dall'articolo 330 del Dpr 207/2010.
Per rendere più agevole per le amministrazioni la gestione degli affidamenti per acquisti di valore limitato, lo stesso decreto Sviluppo, al comma 14-bis dell'articolo 4, prevede che per i contratti di valore inferiore ai 20mila euro la regolarità contributiva sia accertata mediante autocertificazione presentata dall'affidatario.
La nuova soglia per gli affidamenti diretti non vale tuttavia per i servizi di ingegneria e architettura, poiché il comma 10 dell'articolo 267 del Dpr 207/2010, che regola l'applicazione delle procedure in economia a queste particolari attività, ha mantenuto il limite dei 20mila euro. A togliere ogni dubbio residuo su questa scelta è intervenuta, proprio con la legge 106/2011, una modifica alla norma che ha soppresso nella stessa disposizione del regolamento, nel riferimento al comma 11 dell'articolo 125 del Codice, il rinvio al secondo periodo (che è proprio quello dell'affidamento diretto), non lasciando alcun margine interpretativo contrario.
Ha il valore di norma di integrazione e di specificazione anche quella introdotta nel comma 2 dell'articolo 92 del regolamento attuativo del Codice, inerente la distribuzione dei requisiti nell'ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese. La nuova disposizione evidenzia come, nell'ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria debba in ogni caso assumere, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara (comportando correlativamente la realizzazione dei lavori nella percentuale corrispondente alle quote di partecipazione).
Tra gli altri interventi correttivi e integrativi al Dpr 207/2010 assumono rilievo le modifiche ad alcuni commi dell'articolo 357, che determinano l'allungamento a un anno dall'entrata in vigore del regolamento attuativo del periodo transitorio sia per la sostituzione dei valori delle attestazioni Soa rilasciate in base alla precedente normativa (comma 12), sia per l'adeguamento dei certificati di esecuzione lavori emessi in questa fase (commi 14 e 15), sia ancora per l'utilizzo dei riferimenti delle vecchie attestazioni e per la gestione delle nuove in relazione alla predisposizione degli atti di gara da parte delle stazioni appaltanti (commi 16 e 17) (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTIUn freno alle modifiche contrattuali.
IL TETTO - Il limite del 20 per cento per le contestazioni dell'appaltatore si applica alle gare indette dopo il 14.07.2011 - IL SUBENTRO - In caso di fallimento o di risoluzione causata da gravi inadempienze l'appaltante può scegliere il secondo in classifica.

I profili critici relativi all'esecuzione del contratto di appalto sono sottoposti a limiti più rigorosi, dei quali devono tener conto sia la stazione appaltante sia gli operatori economici appaltatori.
L'articolo 4 della legge 106/2011 ha introdotto nel Codice dei contratti pubblici una serie di norme che contengono il dimensionamento di alcuni tipi di varianti in corso di esecuzione, specificano ulteriormente il meccanismo della compensazione nei prezzi, e pongono uno sbarramento netto all'apposizione di riserve.
La prima modifica significativa è nella previsione inserita all'articolo 132, comma 3 del Codice, dove si stabilisce che l'importo in aumento delle varianti migliorative non possa superare il 5 per cento del valore originario del contratto, e debba trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera al netto del 50 per cento dei ribassi d'asta conseguiti.
La novità è operativa dall'entrata in vigore, il 13.07.2011, della legge 106/2011.
La riduzione dei parametri quantitativi di riferimento per le situazioni eccezionali relative al contratto torna anche le modifiche introdotte all'articolo 133 del Codice, con la revisione della disciplina della compensazione (commi 4 e 5).
Il meccanismo può essere attivato quando il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato con decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nell'anno di presentazione dell'offerta.
In tal caso la compensazione può aver luogo, in aumento o in diminuzione, ma solo per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento (con dimezzamento rispetto alla quantificazione indicata originariamente dalla norma) e nel limite delle risorse accantonate per imprevisti. La compensazione è determinata applicando la metà della percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno solare precedente al decreto.
Questa norma risulterà tuttavia applicabile solo dopo l'entrata in vigore del Dm di rilevazione delle percentuali di scostamento per il 2011 (che dovrà essere adottato entro il 31.03.2012) e ai lavori eseguiti e contabilizzati a decorrere dall'01.01.2011. I limiti di maggiore impatto in relazione agli sviluppi operativi dell'appalto sono tuttavia rinvenibili nella complessiva rimodulazione dell'articolo 240-bis del Codice dei contratti, che prevede la disciplina delle riserve.
L'innovazione stabilisce che l'importo complessivo delle riserve (iscrivibili dall'appaltatore in caso di problematiche imputabili alla stazione appaltante) non può in ogni caso essere superiore al 20 per cento dell'importo contrattuale.
Questo limite è inderogabile, e responsabilizza sia gli operatori economici sia le stazioni appaltanti, analogamente a quanto previsto dal nuovo comma 1-bis dello stesso articolo 240-bis, per il quale non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che, ai sensi dell'articolo 112 del regolamento, sono stati oggetto di verifica.
Da questo quadro consegue che l'esecuzione dell'appalto non ha più margini di incertezza, e non lascia più appigli per la regolazione impropria di aspetti problematici mediante le riserve. Il nuovo meccanismo responsabilizza i progettisti, i verificatori e il responsabile del procedimento, chiamato a validare (articolo 55 del Dpr 207/2010) la verifica degli elaborati progettuali.
Queste disposizioni si applicano peraltro ai contratti le cui gare siano state indette (con bando o con lettera di invito) successivamente alla data di entrata in vigore (14.05.2011) del Dl 70/2011.
Il maggior rigore prefigurato per l'esecuzione degli appalti e la sussistenza di un ampio quadro di norme di legge che prevedono cause determinanti la risoluzione del contratto rendono molto più probabili situazioni nelle quali le stazioni appaltanti saranno chiamate a risolvere il rapporto con l'operatore economico esecutore sulla base del percorso delineato dall'articolo 136 del codice («risoluzione per grave inadempimento»).
In tali casi, o quando l'appaltatore fallisce, le amministrazioni hanno tuttavia ora la possibilità di ricorrere al soggetto classificato come secondo nella graduatoria della gara, poiché l'articolo 140 del Dlgs 163/2006 è stato modificato, eliminando la regola che in precedenza imponeva la previsione di questa facoltà nel bando.
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I limiti e i vincoli
01|LIMITI PER VARIANTI
Le varianti in corso di esecuzione, migliorative rispetto all'appalto, sono possibili nel limite del 5% dell'importo del contratto, e possono essere finanziare solo con il 50% del ribasso d'asta.
02|LIMITI PER COMPENSAZIONI
Le compensazioni per le variazioni dei prezzi dei materiali sono possibili solo per la metà della percentuale eccedente il valore di scostamento che sarà rilevato con decreto ministeriale il cui termine di adozione è fissato per il 31.03.2012.
03|LIMITI PER RISERVE
Le riserve (cioè le osservazioni che l'appaltatore fa alla stazione appaltante rispetto a problemi rilevati nella gestione dell'appalto) possono essere apposte solo entro il limite del 20% del valore del contratto.
Non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali sottoposti alla verifica ai fini della validazione del progetto, effettuata dai verificatori nominati dalla stazione appaltante.
04|SCORRIMENTO DELLA GRADUATORIA DELLA GARA
Quando l'appalto si è risolto per fallimento dell'appaltatore o per altre cause di risoluzione, la stazione appaltante può ricorrere al secondo classificato nella graduatoria della gara per affidargli la prosecuzione dell'opera, senza necessità di doverlo prevedere nel bando.
05|IL COSTO DEL PERSONALE

Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con valori non inferiori alla spesa sostenuta dalle imprese concorrenti per il personale e per la sicurezza sul lavoro. Il decreto legge Sviluppo stabilisce che l'offerta migliore è determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva e delle misure imposte dalle norme sulla sicurezza del lavoro.

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CODICE APPALTI
Le novità in materia di varianti, prezzi e riserve riguardano la regolazione dei rapporti tra stazioni appaltanti e appaltatori.
Le innovazioni sulle varianti sono operative, come quelle sulle riserve, che si applicano però agli appalti indetti dopo il 14.05.2011. Quelle sulla compensazione dei prezzi dei materiali si applicheranno dopo il Dm di rilevazione degli scostamenti.
I limiti per le varianti migliorative e per la compensazione delle variazioni di prezzo sono ridotti del 50%. Per le riserve è stabilito un limite complessivo del 20% del valore del contratto.
Per poter essere applicate, le novità in materia di compensazione dei prezzi dei materiali richiedono un decreto ministeriale di rilevazione.
I profili operativi su varianti, compensazione e riserve sono contenute nel Dpr 207/2010
(articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTISicurezza e personale senza chance di ribassi.
Gli appalti vanno aggiudicati a offerte con valori non inferiori alla spesa sostenuta dalle imprese concorrenti per il personale e per la sicurezza sul lavoro.

La legge 106/2011 ha introdotto nell'articolo 81 del Codice una nuova disposizione che sottrae questi costi al ribasso rispetto alla base d'asta.
Il comma 3-bis stabilisce che l'offerta migliore è determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva. e delle misure imposte dalle norme sulla sicurezza del lavoro. Per applicare la regola, ogni stazione appaltante deve far emergere nella progettazione dell'appalto il modello organizzativo di riferimento per la base d'asta.
Negli appalti di lavori, l'operazione è sintetizzabile con l'indicazione del numero degli operatori impiegato per ogni giornata, basandosi sui dati di capitolato speciale e Psc. Nei servizi e forniture l'assetto operativo è desumibile dalla descrizione dei processi nel capitolato speciale e dalla loro quantificazione in termini di monte ore e risorse umane qualificate. Si arriva così alla spesa di personale, basata sui minimi salariali stabiliti dal Ccnl.
Sui costi per la sicurezza, bisogna detrarre gli oneri per tutti gli obblighi in materia, organizzativi (medico competente, eccetera), formativi (decreto legislativo 81/2008) e funzionali (dispositivi di protezione individuale, eccetera).
In pratica, occorre individuare un valore che costituisce la proiezione dei costi sostenuti per gli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro dall'impresa concorrente, con determinazione di una quota standard.
Negli appalti di lavori pubblici ci si riferisce al calcolo dei costi della sicurezza "interni".
Negli appalti di servizi e beni bisogna fare riferimento a prezziari specifici e sviluppando indagini di mercato, che consentano l'elaborazione di valori standard. Anche questi elementi vanno evidenziati in rapporto alla base d'asta come inderogabili (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici locali - Partecipazione alla gara in ATI - Corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione al raggruppamento - Non è prevista dalla legge.
Il canone normativo di corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione all'ATI e tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, sancito nell'art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 in materia di lavori, non è estendibile agli appalti di servizi (per i quali il nostro ordinamento non contempla un rigido sistema normativo di qualificazione dei soggetti esecutori) in cui è riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici una più ampia discrezionalità nell'individuazione dei requisiti di capacità tecnica e nella correlazione di questi con l'istituto del raggruppamento d'imprese.
Ed infatti, l'art. 37 comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 si limita a stabilire che le ATI devono specificare le parti del servizio che saranno eseguite da ciascun singolo operatore, mentre il successivo art. 42 nulla dispone in merito al rapporto tra requisiti di capacità tecnica e quota di partecipazione all'associazione temporanea (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.07.2011 n. 2037 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICorrettezza contributiva e fiscale: irrilevante l'adempimento tardivo dell'obbligazione tributaria.
La correttezza contributiva e fiscale è richiesta all’impresa partecipante alla selezione per l’aggiudicazione dell’appalto come requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, con la conseguenza che, ai fini della valida partecipazione alla selezione, l’impresa deve essere in regola con tali obblighi fin dalla presentazione della domanda, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione tributaria.
Quanto alla questione relativa all’esiguità della pretesa fiscale, osserva il CGA, l’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nella versione predecente alle modifiche introdotte dal Decreto Sviluppo- non richiedeva il requisito della gravità in relazione alla irregolarità di cui alla lettera g) in materia di pagamento di imposte e tasse. Sotto la vigenza di quella norma era, quindi, da ritenere rilevante ogni violazione, anche di importo esiguo (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 28.07.2011 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Al momento del riconoscimento di un debito fuori bilancio, il Consiglio deve prendere atto, anzitutto, che l'obbligazione si riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per poi dichiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla prestazione in termini di arricchimento per l'ente. L’accertamento della sussistenza dei predetti elementi attiene alla dimostrazione dell'effettiva utilità che l'ente ha tratto dalla prestazione altrui, in termini di misurazione dell'utilità ricavata dalla prestazione di beni o servizi eseguita dal terzo creditore.
Il legislatore ha correttamente indicato il requisito dell’“utilità” della prestazione, che deve essere accertata e dimostrata, “senza che si possa rinvenire nella legislazione una precisa nozione della fattispecie”, demandando alla delibera consiliare di riconoscimento l’individuazione delle singole fattispecie e dei requisiti delle spese in questione, in un ottica di efficienza, efficacia e buona amministrazione.
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Con riferimento, poi, alla possibilità che il riconoscimento di debito possa comprendere anche ulteriori elementi come l’“utile d’impresa” deve richiamarsi l’orientamento secondo cui
l’utile d’impresa, in quanto rappresentativo della componente economica della controprestazione integrante il guadagno del privato, non può in alcun modo costituire, come tale, un arricchimento per l’Ente.
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Il Sindaco del comune di Bellaria Igea-Marina (RN), per il tramite del Consiglio delle Autonomie Locali, ha inoltrato a questa Sezione, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n. 131, richiesta di parere riguardante l’interpretazione dell’articolo 194, comma 1, lett. e), del TUEL con riferimento ai requisiti dell’“utilità e arricchimento dell’Ente”, che devono essere accertati e dimostrati, con riferimento alla possibilità di attivare la procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio per passività pregresse, emerse nel corso dell’anno 2010, ma riferibili ad annualità precedenti.
In particolare l’Ente chiede se il concetto di utilità debba essere connotato dal carattere dell’indispensabilità, necessità e urgenza e se nella determinazione del quantum dell’arricchimento debba essere decurtato il 15% costituito dall’utile d’impresa.
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Nel merito, si osserva che l'art. 194 del T.U.E.L. (d.lgs. 167/2000) consente, infatti, la riconoscibilità della legittimità di un debito fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi "nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza".
Al momento del riconoscimento, il Consiglio deve prendere atto, anzitutto, che l'obbligazione si riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per poi dichiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla prestazione in termini di arricchimento per l'ente. L’accertamento della sussistenza dei predetti elementi attiene alla dimostrazione dell'effettiva utilità che l'ente ha tratto dalla prestazione altrui, in termini di misurazione dell'utilità ricavata dalla prestazione di beni o servizi eseguita dal terzo creditore.
Sull’argomento deve, altresì, richiamarsi il principio contabile n. 2, punto 98, Ministero dell’Interno - Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti locali .
Tanto premesso, occorre precisare che
il legislatore ha correttamente indicato il requisito dell’“utilità” della prestazione, che deve essere accertata e dimostrata, “senza che si possa rinvenire nella legislazione una precisa nozione della fattispecie”, demandando alla delibera consiliare di riconoscimento l’individuazione delle singole fattispecie e dei requisiti delle spese in questione, in un ottica di efficienza, efficacia e buona amministrazione.
Da tale orientamento, condiviso anche da altre Sezioni regionali di questa Corte (cfr. deliberazione 67/2007/Par. e 173/2009/Par. della Sezione di Controllo per la Calabria; deliberazione 10/2008/Par. della Sezione di Controllo per la Campania) il Collegio ritiene non sussistano sopravvenute argomentazioni giuridiche per discostarsene.
Con riferimento, poi, alla possibilità che il riconoscimento di debito possa comprendere anche ulteriori elementi come l’“utile d’impresa” deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte (Corte dei conti, Trentino Alto Adige, sezione giurisdizionale, 02.07.2008 n. 34) secondo cui
l’utile d’impresa, in quanto rappresentativo della componente economica della controprestazione integrante il guadagno del privato, non può in alcun modo costituire, come tale, un arricchimento per l’Ente (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 28.07.2011 n. 32).
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[1]L'arricchimento non deve essere inteso necessariamente come accrescimento patrimoniale, potendo questo consistere anche in un risparmio di spesa (Cassazione Civile, Sezione I, 12.07.1996, n. 6332). Esso va stabilito con riferimento a criteri oggettivi (ad es. la congruità dei prezzi andrà valutata sulla base delle indicazioni e delle rilevazioni del mercato o dei prezzari e tariffe approvati da enti pubblici a ciò deputati, o dagli ordini professionali).
[2] Principio contabile n. 2, punto 98: Il riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio ascrivibili alla lettera (e) dell’art. 194 del TUEL comporta l’accertamento della sussistenza non solo dell’elemento dell’utilità pubblica, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza, ma anche quello dell’arricchimento senza giusta causa.
Ai fini del riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio ascrivibili alla lettera e) dell’art. 194 del TUEL la sussistenza dell’utilità conseguita va valutata in relazione alla realizzazione dei vantaggi economici corrispondenti agli interessi istituzionali dell’ente. Sono, comunque, da qualificarsi utili e vantaggiose le spese specificatamente previste per legge.
L'arricchimento corrisponde alla diminuzione patrimoniale sofferta senza giusta causa dal soggetto privato e terzo che va indennizzato nei limiti dell'arricchimento ottenuto dall'ente.
[3] Principio contabile n. 2, punto 90: L’elaborazione dottrinale e le pronunce giurisprudenziali conducono a considerare il debito fuori bilancio quale obbligazione pecuniaria riferibile all’ente, assunta in violazione delle norme di contabilità pubblica che riguardano la fase della spesa ed in particolare di quelle che disciplinano l’assunzione di impegni di spesa.

APPALTIAppalti a trasparenza piena. Le buste delle offerte vanno aperte in seduta pubblica.
LA MOTIVAZIONE - Se non è prevista la pubblicità le parti non sono garantite da eventuali manipolazioni dei documenti.

La commissione giudicatrice deve aprire le buste delle offerte tecniche in seduta pubblica, per assicurare il rispetto del principio di pubblicità anche in questa fase della gara con l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria ha sancito con la sentenza 28.07.2011 n. 13 la pubblicizzazione dell'apertura dei plichi contenenti i documenti illustrativi della parte tecnico-qualitativa delle offerte, ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali sul tema e di fatto integrando le previsioni del codice dei contratti e del Dpr 207/2010.
Gli orientamenti definiti nel tempo dalla giurisprudenza amministrativa hanno da un lato ritenuto l'obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riferibile solo alle fasi di apertura dei plichi dei documenti amministrativi e delle offerte economiche, mentre dall'altro hanno precisato che nelle gare di appalto devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità di tutti i plichi contenenti l'offerta, compresi quelli con la parte tecnico-qualitativa.
La decisione n. 13/2011 evidenzia come la mera constatazione dell'integrità delle buste soddisfi solo parzialmente le esigenze di trasparenza e pubblicità, in quanto non consente ai concorrenti presenti di rendersi conto della presenza nelle buste dei documenti recanti le offerte tecniche, così come avviene per i documenti amministrativi e per le offerte economiche.
Il Consiglio di Stato rileva che in tal modo i concorrenti non sono garantiti dal pericolo di manipolazioni successive delle offerte, con inserimenti, sottrazioni o alterazioni di documenti.
La garanzia di pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell'eventuale anomalia dell'offerta, è rafforzata dalle previsioni del regolamento di attuazione del codice degli appalti, nel quale viene prevista invece la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale. Tuttavia il Dpr 207/2010 non disciplina espressamente il passaggio dell'apertura delle buste delle offerte tecniche.
La decisione dell'adunanza plenaria colma questa lacuna, sancendo che la verifica dell'integrità di questi plichi è destinata a garantire che il materiale documentale da gestire nella procedura di gara sia completo. La pubblicità di questo passaggio tutela sia la parità di trattamento dei concorrenti, che possono effettuare riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti avendo così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, sia l'interesse pubblico alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa inoltre che la verifica dei documenti contenuti nella busta dell'offerta tecnica consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione di ufficializzare l'acquisizione della documentazione di cui si compone l'offerta tecnica.
La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, proceda ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta (articolo Il Sole 24 Ore del 02.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sull'applicabilità del principio della pubblicità delle operazioni di gara alle operazioni di apertura delle offerte tecniche nelle gare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
La "verifica della integrità dei plichi" non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.
La suddetta regola costituisce corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti e, come tale, merita di essere confermata e ribadita con specifico riferimento all'apertura della busta dell'offerta tecnica. Tale operazione, infatti, come per la documentazione amministrativa e per l'offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell'esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
La verifica dei documenti contenuti nella busta dell'offerta tecnica deve consistere in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione, che ad essa riconosce la giurisprudenza, di ufficializzare la acquisizione della documentazione di cui si compone l'offerta tecnica. L'operazione non deve andare al di là del mero riscontro degli atti prodotti dall'impresa concorrente, restando esclusa ogni facoltà degli interessati presenti di prenderne visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 28.07.2011 n. 13 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Onde stabilire la necessità o meno di rendere pubbliche le operazioni compiute in determinate fasi di un procedimento amministrativo finalizzato alla scelta di un contraente, occorre distinguere il momento inderogabile, costituito dall'apertura dei plichi contenenti le offerte, che è operazione preliminare, rispetto alla diversa operazione costituita dalla valutazione delle offerte stesse che, invece, a certe condizioni, può svolgersi senza la presenza delle parti.
- Il regolamento di attuazione del codice degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207), confermando nella sostanza la disciplina già dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta orientato a garantire la pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell’eventuale anomalia dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale. Nel senso che si debba comunque svolgere in pubblico la verifica della integrità di tutti i plichi contenenti l’offerta presentata, con esplicita menzione anche di quello riguardante l’offerta tecnica, si è pronunciata anche la giurisprudenza successiva.
- La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di approfondire la tematica delle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, affermando che la “verifica della integrità dei plichi” non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato. L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola affermata dalla giurisprudenza appena richiamata costituisca corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno sopra ricordati in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti e, come tale, meriti di essere confermata e ribadita con specifico riferimento all’apertura della busta dell’offerta tecnica. Tale operazione, infatti, come per la documentazione amministrativa e per l’offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
- La verifica dei documenti contenuti nella busta consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione, che ad essa riconosce la giurisprudenza, di ufficializzare la acquisizione della documentazione di cui si compone l’offerta tecnica. L’operazione non deve andare al di là del mero riscontro degli atti prodotti dall’impresa concorrente, restando esclusa ogni facoltà degli interessati presenti di prenderne visione del contenuto. La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta. Così circoscritte le formalità da compiere, la verifica della documentazione non incorre nella denunciata violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006

Il quesito non concerne la fase di valutazione del pregio tecnico dell’offerta, essendo pacifico che tale operazione debba svolgersi in seduta riservata.
L’indirizzo frequentemente seguito dalle Sezioni giurisdizionali, nel senso –come ricordato dall’ordinanza di rimessione- del riconoscimento di un preciso obbligo di svolgimento in seduta pubblica, a pena di illegittimità della procedura, delle operazioni di apertura delle sole buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica, è certamente sorretto da puntuali previsioni normative di pubblicità (artt. 64, comma 5, 67, comma 5, 91, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999, applicabile alla fattispecie ratione temporis, e ora d.P.R. n. 207 del 2010, artt. 117, 119, comma 6, 120, comma 2), che non si rinvengono con riguardo all’apertura della busta dell’offerta tecnica.
I dati normativi citati, imponendo la valutazione dell’offerta tecnica in seduta riservata, senza dettare alcun precetto in ordine all’apertura del plico, sembrano accreditare l’avviso che tale operazione, diversamente da quanto ritenuto e disposto per la busta della documentazione amministrativa e quella dell’offerta economica, non debba necessariamente svolgersi in seduta pubblica e sia tacitamente rinviata al momento della valutazione di merito in separata sede.
Occorre tuttavia verificare se tale conclusione sia compatibile con un riscontro di ordine sistematico condotto alla stregua dei principi che reggono l’affidamento degli appalti pubblici, ed in particolare quello di pubblicità.
Il principio di pubblicità delle gare per i contratti pubblici è radicato in canoni di diritto comunitario e interno costantemente applicati dalla giurisprudenza amministrativa.
In proposito è agevole il richiamo, oltre che all’art. 97 della Costituzione, alle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, da cui è scaturito il Codice italiano dei contratti pubblici, le quali agli articoli, rispettivamente, 10 e 2, stabiliscono, con espressione di portata ineludibile: “Le amministrazioni aggiudicatrici …agiscono con trasparenza”.
La pubblicità delle sedute è la principale manifestazione della trasparenza amministrativa …”, –afferma una decisione della Sezione remittente (16.06.2005 n. 3166), poi confermata dal d.lgs. n. 163 del 2006, che, nel recepire le Direttive ricordate, all’art. 2, comma 1, specifica il precetto comunitario imponendo che l’aggiudicazione degli appalti pubblici avvenga nel rispetto del principio, oltre che di trasparenza, di “pubblicità con le modalità indicate dal presente codice”. E se è vero che il d.lgs. n. 163 non enuncia direttamente alcuna regola specifica in materia di svolgimento delle sedute di gara, per un verso, al comma 3 dello stesso art. 2 rende applicabili le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 “per tutto quanto non espressamente previsto nel presente codice”; per altro verso, rimette al regolamento la disciplina delle modalità con le quali devono operare le commissioni che procedono alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 84).
Sul richiamo alla trasparenza nella disciplina del procedimento amministrativo non è il caso di indugiare.
Quanto alla normativa regolamentare, l’attenta analisi che ne ha condotto la giurisprudenza, sia con riguardo all’art. 89 del R.D. 23.05.1924 n. 827 che al d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di appalti di lavori pubblici (sez. V, 09.10.2002 n. 5421, 16.06.2005 n. 3166; 11.05.2007 n. 2355), pur rilevando l’insufficienza dei dati normativi disponibili, è pervenuta alla conclusione, confortata anche dall’orientamento della giurisdizione contabile (Corte dei conti, sez. contr. St., 09.12.1999, n. 108), secondo cui, onde stabilire la necessità o meno di rendere pubbliche le operazioni compiute in determinate fasi di un procedimento amministrativo finalizzato alla scelta di un contraente, occorre distinguere il momento inderogabile, costituito dall'apertura dei plichi contenenti le offerte, che è operazione preliminare, rispetto alla diversa operazione costituita dalla valutazione delle offerte stesse che, invece, a certe condizioni, può svolgersi senza la presenza delle parti.
Il regolamento di attuazione del codice degli appalti (d.P.R. 05.10.2010 n. 207), confermando nella sostanza la disciplina già dettata dal d.P.R. n. 554 del 1999, risulta orientato a garantire la pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell’eventuale anomalia dell’offerta (art. 121), e prevede la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnico-discrezionale.
Nel senso che si debba comunque svolgere in pubblico la verifica della integrità di tutti i plichi contenenti l’offerta presentata, con esplicita menzione anche di quello riguardante l’offerta tecnica, si è pronunciata anche la giurisprudenza successiva (Cons. Stato, sez. V, 23.12.2010, n. 8155; 28.10.2008 n. 5386; sez. VI, 22.04.2008 n. 1856).
Ciò premesso, e con specifico riguardo al quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, va sottolineato che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di approfondire la tematica delle operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, affermando che la “verifica della integrità dei plichi” non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato (Cons. Stato, sez. V, 17.09.2010, n. 6939; 10.11.2010, n. 8006; 04.03.2008, n. 901; sez. VI, 22.04.2008, n. 1856; sez. V, 03.12.2008, n. 5943; sez. IV, 11.10.2007, n. 5354; sez. V, 18.03.2004, n. 1427).
L’Adunanza Plenaria ritiene che la regola affermata dalla giurisprudenza appena richiamata costituisca corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno sopra ricordati in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti e, come tale, meriti di essere confermata e ribadita con specifico riferimento all’apertura della busta dell’offerta tecnica. Tale operazione, infatti, come per la documentazione amministrativa e per l’offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
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Con riferimento specifico alla paventata ostensione di documenti al pubblico presente, in pretesa violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006, va precisato che la verifica dei documenti contenuti nella busta consiste in un semplice controllo preliminare degli atti inviati, che non può eccedere la funzione, che ad essa riconosce la giurisprudenza, di ufficializzare la acquisizione della documentazione di cui si compone l’offerta tecnica. L’operazione non deve andare al di là del mero riscontro degli atti prodotti dall’impresa concorrente, restando esclusa ogni facoltà degli interessati presenti di prenderne visione del contenuto.
La garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta.
Così circoscritte le formalità da compiere, la verifica della documentazione non incorre nella denunciata violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006
(Consiglio di Stato, ad. plenaria, sentenza 28.07.2011 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: T. Servetto e R. Maccia, Gara di appalto e cause di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 163/2006 (link a www.diritto.it).

APPALTI: L. Bellagamba, Le perle nella determinazione 07.07.2011, n. 4, dell’Autorità: «Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13.08.2010, n. 136» (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: L. Bellagamba, L’aggiudicazione definitiva, la sua efficacia e la verifica della regolarità contributiva, dopo l’entrata in vigore del regolamento (link a www.linobellagamba.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La Manovra correttiva 2011 - DL n. 98 del 06.07.2011, convertito dalla Legge n. 111 del 15.07.2011 - Misure economico-finanziarie di interesse per il settore delle costruzioni (ANCE, 18.07.2011).

APPALTI: S. Giacchetti, Codice degli appalti pubblici: la “dichiarazione giurata” ovvero l’arte di complicarsi inutilmente la vita (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISull'obbligo ovvero sulla facoltà di procedere alla valutazione dell'offerta anomala.
Ai sensi dell’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, “Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara”.
Ai sensi del successivo co. 3 dello stesso articolo, “In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”.
Risulta evidente che, mentre il richiamato art. 86, comma 2, impone un obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia da quella stessa previsione individuati, il successivo comma 3 si limita a facoltizzare la stazione appaltante a procedere alla suddetta verifica sempre che l’offerta, pur in assenza delle condizioni indicate dal comma precedente, appaia, in base ad elementi specifici, anormalmente bassa.
In sostanza la citata disciplina distingue tra obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia individuati dalla legge e facoltà riservata all'Amministrazione di ipotizzare autonomamente, "in base ad elementi specifici", casi di anomalia diversi da quelli prestabiliti (in termini, ex multis, Cons. Stato Sez. V, 08.09.2008, n. 4270).
L’art. 86, co. 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, si pone in linea con quella giurisprudenza comunitaria secondo cui il sistema legislativo italiano -che àncora l'attivazione del procedimento di verifica di anomalia ad un calcolo matematico automatico, imponendo alle stazioni appaltanti di sottoporre a verifica tutte le offerte che eguagliano o superano la soglia di anomalia- è legittimo solo a condizione che sia fatto salvo il potere delle stazioni appaltanti di sottoporre a verifica anche offerte che, pur collocandosi al di sotto della soglia di anomalia, appaiano ciò non di meno sospette (C. giust. CE 27.11.2001, CC-285-286/99).
La citata disposizione, quindi, è volta a chiarire che, anche al di fuori dei casi contemplati dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante non può essere precluso di attendere alla verifica di congruità dell’offerta.
Si tratta di previsione facoltizzante, volta a riconoscere la sussistenza del potere della stazione appaltante, anche al di là dei casi di anomalia legislativamente predeterminati.
Il legislatore, anzi, nel riconoscere tale facoltà, ha inteso evitare arbitrii delle stazioni appaltanti, laddove, anche per ragioni di economia dei mezzi giuridici, dispone che, perché si possa attivare la verifica di anomalia facoltativa, occorre che vi sia un fumus, un sospetto di anomalia, sulla base di “elementi specifici”.
E’ quanto induce a ritenere che debba essere motivata la decisione di attendere alla verifica nonostante non ricorrano le condizioni indicate dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, non anche quella di non procedere in tal senso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.07.2011 n. 4489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Modulistica allegata al bando - Difformità rispetto alle prescrizioni della lex specialis di gara - Principio del favor partecipationis.
La circostanza che il concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla stazione appaltante, nella modulistica pubblicata insieme al bando, non può andare a suo danno, se detta modulistica si rivela in parte non esattamente conforme alle prescrizioni della lex specialis di gara, dovendo prevalere in tal caso, a fronte di un’obiettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dalla stazione appaltante, il principio del favor partecipationis e quello di tutela del legittimo affidamento (in questo senso, di recente: TAR Toscana, sez. I, 21.06.2010 n. 2006; TAR Puglia, Bari, sez. I, 08.06.2011 n. 842) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 27.07.2011 n. 1170 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI: INQUINAMENTO - Approvazione di nuovo tracciato stradale - Incremento dell’inquinamento acustico e atmosferico - Singoli incisi - Legittimazione a ricorrere - Criterio della vicinitas - Diritto alla salute.
In tema di approvazione del tracciato di una nuova strada destinata a creare un significativo incremento del traffico veicolare potenzialmente idoneo ad incidere in senso pregiudizievole sui terreni agricoli immediatamente limitrofi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849), sussiste, anche sulla base del criterio della "vicinitas", la legittimazione ad agire dei singoli a tutela di interessi incisi da atti e comportamenti dell'amministrazione che li ledono direttamente e personalmente (nella fattispecie i ricorrenti lamentavano il concreto pregiudizio che il consistente incremento del traffico sulle vie in prossimità delle quali risiedono causerebbe alla loro salute, alla loro incolumità ed in generale alle loro condizioni di vita).
Appare inoltre evidente l’incidenza delle misure in contestazione con primari diritti dei medesimi, anche di ordine costituzionale, quali quello alla salute, e la conseguente sussistenza di legittimazione ed interesse a ricorrere.
INQUINAMENTO - Modifiche alla viabilità - Incremento di traffico - Studi e verifiche istruttorie.
Le modifiche alla viabilità comportanti incremento di traffico e, dunque, di emissioni inquinanti e rumorose ed influenti, per tali motivi, sulla salute, sull’incolumità e sui comportamenti di vita dei soggetti incisi devono essere precedute da studi specifici o da altre verifiche istruttorie che diano conto della concreta situazione e delle ragioni di interesse pubblico per le quali solo la soluzione poi adottata, e non altre alternative, sarebbe stata quella rispondente alle esigenze da soddisfare, pur comportando le conseguenze deleterie alla stessa connesse (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.07.2011 n. 1982 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Le disposizioni che derogano alla regola della procedura di evidenza pubblica, in quanto eccezionali rispetto ai principi che informano la materia, sono di stretta interpretazione.
E' illegittimo l'affidamento diretto da parte di un comune a Poste Italiane s.p.a. della gestione del servizio di elaborazione informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada.

Le disposizioni che derogano alla regola della procedura di evidenza pubblica, in quanto eccezionali rispetto ai principi che informano la materia, sono di stretta interpretazione. Ne deriva la necessità di una valutazione rigorosa e puntuale circa la ricorrenza dei presupposti che giustificano la sottrazione dell'affidamento alla regola del confronto competitivo.
L'art. 19, c. 2, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, sottrae alle disposizioni in materia di appalti pubblici i soli affidamenti disposti in base ad un diritto esclusivo di cui l'aggiudicatario dispone. Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'affidamento diretto da parte di un comune a Poste Italiane s.p.a. della gestione del servizio di elaborazione informatica e di notificazione dei verbali relativi alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada, in quanto l'attività attribuita senza procedere alla gara (fornitura di software e hardware e l'acquisizione da parte di Poste Italiane, nel caso di notificazioni non andate a buon fine, di informazioni anagrafiche presso i Comuni di residenza sui destinatari dei verbali e la ristampa dei verbali per la rinotifica oltre alle attività connesse ai ruoli), va ben oltre i diritti esclusivi vantati dalla società in quanto concessionaria del servizio di recapito universale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4452 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZINo all'affidamento diretto senza eccezioni: anche se si tratta di Poste Italiane.
Il Comune che intende affidare all'esterno il servizio di elaborazione informatica e di gestione e spedizione delle multe stradali deve attivare almeno un confronto concorrenziale. E questa formalità non può essere trascurata nemmeno in caso di affidamento del servizio a Poste Italiane.
Lo ha evidenziato il Consiglio di stato, Sez. V, con la sentenza 25.07.2011 n. 4452.
Un comune della provincia di Napoli ha affidato senza alcuna verifica il servizio di gestione delle multe stradali a Poste Italiane spa. Contro questa determinazione il precedente fornitore del servizio ha avanzato con successo ricorso al Tar.
E pure il Consiglio di stato ha confermato la decisione del tribunale amministrativo.
Il comune negli atti convenzionali sottoposti all'attenzione del collegio ha evidenziato la necessità di liberare personale di polizia da attività amministrativa affidando a terzi non solo il servizio di notifica ma anche attività complementari e propedeutiche all'ufficio contravvenzioni.
In pratica oggetto dell'affidamento sarebbe la fornitura di hardware e software ad hoc con l'attività di data entry, notifiche, pagamenti e rendicontazione elettronica dell'intero procedimento.
Tali essendo le coordinate fattuali della vicenda, specifica il collegio, "la sezione reputa che l'affidamento diretto, derogatorio rispetto ai principi dell'ordinamento comunitario e nazionale, che impongono alle amministrazioni pubbliche il ricorso a procedure di evidenza pubbliche informate a logiche concorrenziali, non trovi fondamento nelle norme richiamate dall'appellante, ossia l'art. 19, comma 2, e l'art. 57, comma 5, lett. a) del codice dei contratti pubblici".
Le deroghe alla regola delle procedure di evidenza pubblica, prosegue la sentenza, sono di stretta interpretazione.
Anche se Poste Italiane è concessionaria del servizio postale universale, questi diritti esclusivi coprono "tuttavia, solo una parte del complesso dei servizi affidati dal comune di Casoria a Poste Italiane.
Esorbitano, infatti, dal raggio di azione di tali diritti esclusivi i servizio, pure oggetto dell'affidamento, relativi alla fornitura di software e hardware e delle attività di archiviazione ed alla parte della gestione completa delle notifiche che comprende attività che si collocano in un momento sia logicamente che cronologicamente anteriore a quello in cui l'invio postale è preso in consegna dal fornitore del servizio.
In particolare esulano dal fuoco della predetta riserva di legge l'acquisizione da parte di Poste Italiane, nel caso di notificazioni non andate a buon fine, di informazioni anagrafiche presso i comuni di residenza sui destinatari dei verbali e la ristampa dei verbali per la rinotifica tramite il servizio postale o tramite il messo comunale del comune di residenza, nonché le attività connesse ai ruoli che pure sono dedotte in convenzione
".
In pratica l'affidamento diretto del servizio completo di gestione delle multe stradali a Poste Italiane, senza alcuna valutazione concorrenziale, non trova fondamento nella normativa nazionale (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Si evita il ricorso all’evidenza pubblica solo in riferimento ai servizi coperti dal diritto di esclusiva dell'aggiudicatario.
Il Codice dei Contratti Pubblici non si applica agli aggiudicatori che sono titolari di un diritto esclusivo solo ove l’oggetto del rapporto consista nel contenuto dell’esclusiva. Così, se ha senso sottrarre Poste Italiane (in quanto titolare di un diritto esclusivo sulle notifiche degli atti in virtù del fatto di essere concessionaria del servizio postale universale ai sensi dell’art. 23, comma 2, del dlgs 22.07.1999 n. 261 e del dm 17.04.2000) dall’applicazione del Codice e quindi dal principio dell’evidenza pubblica in relazione alla notificazione degli atti, non ha senso escludere l’applicazione dei principi comunitari in riferimento alla fornitura di software e hardware, alla archiviazione e alla gestione completa delle notifiche (ivi compresa quindi la stampa dei verbali su bollettino premarcato e imbustamento, dell’atto) attività che si collocano cronologicamente e logicamente in un momento anteriore a quello in cui l’invio postale è preso in consegna dal fornitore del servizio.
Sulla base di questa osservazione, escludendo l’applicazione dell’articolo 19 del Codice dei Contratti pubblici, i giudici di Palazzo Spada hanno posto nel nulla l’affidamento diretto, posto in essere da un comune a Poste Italiane, dei servizi aggiuntivi a quelli di notifica degli atti. D’altro canto non vale a mantenere l’impianto dell’affidamento diretto, il riferimento all’art. 57, comma 5, lett. a), del D.Lgs. 163/2006.
La norma invocata, inserita nel corpo dell’articolo che disciplina i casi di affidamento mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara, dispone quanto segue: “Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita: a) per i lavori o i servizi complementari, non compresi nel progetto iniziale né nel contratto iniziale, che, a seguito di una circostanza imprevista, sono divenuti necessari all'esecuzione dell'opera o del servizio oggetto del progetto o del contratto iniziale, purché aggiudicati all'operatore economico che presta tale servizio o esegue tale opera, nel rispetto delle seguenti condizioni: a.1) tali lavori o servizi complementari non possono essere separati, sotto il profilo tecnico o economico, dal contratto iniziale, senza recare gravi inconvenienti alla stazione appaltante, ovvero pur essendo separabili dall'esecuzione del contratto iniziale, sono strettamente necessari al suo perfezionamento; a.2) il valore complessivo stimato dei contratti aggiudicati per lavori o servizi complementari non supera il cinquanta per cento dell'importo del contratto iniziale”.
Come si evince dalla norma, viene richiesto il concorso di entrambi le condizioni. Di tale ultima combinazione non risulta alcuna giustificazione dagli atti della procedura né dalla delibera o determina a contrarre e ciò anche in violazione dell’art. 57, comma 1, del Codice dei Contratti Pubblici che impone alla stazione appaltante di dare conto, in tale sede, delle ragioni che giustificano il ricorso alla procedura negoziata (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'incompatibilità del Commissario di gara determina l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In materia di appalti pubblici la situazione di incompatibilità di un commissario di gara rende illegittima l’attività svolta dalla commissione, ivi compresi i provvedimenti di aggiudicazione provvisoria e definitiva che di conseguenza devono considerarsi irrimediabilmente viziati e devono essere annullati.

Con questo principio il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 25.07.2011 n. 4450 ha accolto il ricorso presentato da una società avverso il provvedimento di aggiudicazione del servizio di distribuzione del gas naturale in un comune della Lombardia.
La ricorrente, seconda aggiudicataria, aveva impugnato il provvedimento contestando in particolare come fra i componenti della commissione di gara fosse presente un ingegnere, in qualità di consulente, che si trovava in una macroscopica situazione di incompatibilità, avendo provveduto alla preparazione degli atti di gara, alla perizia del valore degli impianti e all’analisi economico-patrimoniale del servizio.
Il Consiglio di Stato adito, accogliendo questa censura, ha preliminarmente chiarito come le disposizioni contenute nell’articolo 84, 4° comma (Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa), del d.lgs. 163/2006 secondo il quale “I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”, si applicano a tutte le gare di appalto di lavori, servizi e forniture in quanto espressione dei principi di imparzialità e buona amministrazione predicati dall’articolo 97 della Costituzione.
In applicazione di tale norma è stato precisato che l’ingegnere “…versava quindi in una situazione di incompatibilità e non poteva essere membro della commissione di gara: come tale i relativi atti di costituzione e la successiva attività da essa svolta, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione provvisoria e definitiva, devono considerarsi irrimediabilmente viziati e devono essere annullati (così C.d.S., sez. VI, 29.12.2010, n. 9577, secondo cui "Ai sensi dell'art. 84, d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile anche nei settori speciali in quanto richiamato espressamente dall'art. 206, d.lgs. n. 163 del 2006, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, va nominata una Commissione di gara, e in tale Commissione i componenti diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta (comma 4). È chiaro che l'incompatibilità, mirando a garantire l'imparzialità dei commissari di gara, si riferisce a soggetti che abbiano svolto incarichi relativi al medesimo appalto, ad es. incarichi di progettazione, di verifica della progettazione, incarichi di predisposizione della legge di gara, e simili. L'incompatibilità non può estendersi a qualsivoglia funzionario dipendente dalla stazione appaltante, che svolge incarichi amministrativi o tecnici che non sono relativi allo specifico appalto")”.
In conclusione i giudici della V sezione hanno sottolineato come questa situazione di incompatibilità ha viziato irrimediabilmente tutto il procedimento di aggiudicazione poiché l’attività svolta dal componente della commissione andava oltre le funzioni del mero consulente la cui caratteristica è quella di fornire un’attività occasionale di supporto tecnico ab externo (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le eventuali incongruità contenute nell’offerta e nel piano economico-finanziario non sono di per sé idonee a riverberarsi sull’offerta presentata dall’aggiudicataria.
Le eventuali incongruità contenute nell’offerta e nel piano economico-finanziario non sono di per sé idonee a riverberarsi sull’offerta presentata dall’aggiudicataria, giacché il piano economico–finanziario, essendo ontologicamente diverso dall’offerta, ben può contenere indicazioni, specificazioni, chiarimenti, limitati integrazioni ed aggiustamenti, valutabili dall’amministrazioni ai fini del giudizio complessivo di validità ed affidabilità dell’offerta, senza che ciò possa in alcun modo far ritenere stravolta l’offerta originaria presentata; deve anche aggiungersi che la giurisprudenza ha anche precisato che “laddove l’amministrazione consideri congrua l’offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell’anomalia non occorre che la relativa documentazione sia fondata su una articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, essendo sufficiente anche una motivazione per relationem…” (C.d.S., sez. IV, 30.10.2009, n. 6708), tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando invece ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIRIFIUTI - AVVALIMENTO DEL REQUISITO DELL’ISCRIZIONE ALL’ALBO NAZIONALE DEI GESTORI - FINALITÀ.
Oggetto del contratto di avvalimento non può essere solo la qualificazione (tecnico-professionale), ma anche un complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa.
Pertanto il contratto di avvalimento, in forza del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto, non può avere un contenuto assolutamente generico e indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione" di avvalimento, sia il "contratto" stipulato con l'impresa ausiliaria non può tradursi in incombenze meramente formali, ma deve sostanziarsi nell'impegno concreto a mettere a disposizione diretta della partecipante le risorse necessarie a corredo del requisito tecnico richiesto, la cui effettiva disponibilità consente la partecipazione dell'impresa alla gara.
La specificazione dei requisiti, contenuta nella dichiarazione di avvalimento, non può essere resa, come nel caso di specie, per il tramite di un generico rinvio a tutti i requisiti “economico finanziari e tecnico organizzativi necessari per la partecipazione alla gara”, ma deve indicare, in maniera dettagliata, i singoli requisiti (fatturato globale, fatturato specifico, risorse organizzative ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò al fine di consentire un efficace controllo incrociato sul possesso dei requisiti nei confronti sia della ditta concorrente sia di quella ausiliaria.
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Il rimedio della regolarizzazione postuma degli atti prodotti dai partecipanti alla gara è attivabile, per giurisprudenza costante, solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta, risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano invece puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis.
La finalità dell'istituto dell’avvalimento é chiaramente quella di consentire la massima partecipazione alle gare ad evidenza pubblica, permettendo alle imprese non in possesso dei requisiti tecnici, di sommare, unicamente per la gara in espletamento, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese.
Deve peraltro dubitarsi della possibilità di sopperire, mediante avvalimento, alla mancanza di un requisito soggettivo, quale l’iscrizione in un albo.
Sul piano letterale, l’articolo 49 del codice dei contratti pubblici, nel disciplinare l’istituto dell’avvalimento, non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento, che assume una portata generale.
D’altra parte, è fuori discussione che, nell’ottica dell’ordinamento comunitario, l’avvalimento miri ad incentivare la concorrenza, nell’interesse delle imprese, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti: pertanto, deve essere evitata ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito di operatività della nuova disciplina.
In questa prospettiva, non persuade l’indirizzo interpretativo che ha affermato l’esistenza di un divieto assoluto e inderogabile di ricorrere all’avvalimento, per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”, dovendosi piuttosto procedere di volta in volta a verificare la compatibilità dell’istituto in esame con la finalità proprie del requisito soggettivo prescritto dalla legge come condizione ineludibile per l’esercizio dell’attività.
In ogni caso, anche a voler ammettere l’astratta operatività dell’avvalimento, non può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell’impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività.
In questo contesto, è onere della concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare” il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti).
Oggetto del contratto di avvalimento non può pertanto essere solo la qualificazione (tecnico-professionale), ma anche un complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa (TAR Veneto Venezia, sez. I, 06.11.2008, n. 3451, Autorità Vigilanza sui Contratti Pubblici, parere n. 155 del 20.12.2007).
Pertanto il contratto di avvalimento, in forza del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto, non può avere un contenuto assolutamente generico e indefinito.
La necessità di produrre sia la "dichiarazione" di avvalimento, sia il "contratto" stipulato con l'impresa ausiliaria non può tradursi in incombenze meramente formali, ma deve sostanziarsi nell'impegno concreto a mettere a disposizione diretta della partecipante le risorse necessarie a corredo del requisito tecnico richiesto, la cui effettiva disponibilità consente la partecipazione dell'impresa alla gara.
Nella fattispecie, il contratto di avvalimento prevede unicamente un generico impegno a fornire i mezzi, le risorse, l’iscrizione, nonché le competenze tecniche ed esperienze, senza alcuna indicazione reale e concreta in ordine alla tipologia di risorse (macchinari, strutture organizzative, uomini, strumenti) effettivamente messi a disposizione dell’ausiliata.
Il ricorso all’avvalimento deve essere coerente con la ratio, sottesa alla normativa in tema di controllo sul possesso dei requisiti di partecipazione (art. 48 del codice dei contratti), della agevole verificazione, da parte della stazione appaltante, di quanto dichiarato in sede di gara, soprattutto quando i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico ed organizzativo risultino distribuiti tra impresa concorrente ed impresa ausiliaria.
Ne discende che la specificazione dei requisiti, contenuta nella dichiarazione di avvalimento, non può essere resa, come nel caso di specie, per il tramite di un generico rinvio a tutti i requisiti “economico finanziari e tecnico organizzativi necessari per la partecipazione alla gara”, ma deve indicare, in maniera dettagliata, i singoli requisiti (fatturato globale, fatturato specifico, risorse organizzative ed umane) di cui l’impresa ausiliata intende avvalersi; ciò al fine di consentire un efficace controllo incrociato sul possesso dei requisiti nei confronti sia della ditta concorrente sia di quella ausiliaria (cfr. in tal senso TAR Napoli, I, n. 2148 del 2009 e TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008 n. 430).
A conforto della bontà della opzione ermeneutica esposta soccorre il dettato dell’articolo 88 del Regolamento di attuazione (d.P.R. n. 207 del 2010), il quale impone che il contratto di avvalimento riporti “in modo compiuto, esplicito ed esauriente: a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico; b) durata; c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento”.
Al contrario non emerge, in alcun modo, che il contratto prodotto in sede di gara stabilisca anche un chiaro impegno dell’impresa ausiliaria di fornire strutture, personale qualificato, tecniche operative, mezzi collegati alla qualità soggettiva “concessa”. Né può ritenersi che tale impegno comprenda, implicitamente, anche quello relativo alla concreta “cessione” dei mezzi organizzativi correlati al conseguimento della certificazione (cfr. C.d.S., Sez. III, n. 2344 del 2011).
Detto obbligo esecutivo, poi, non deriva nemmeno dall’assunzione di responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante.
Né, infine, può sostenersi che l’incompletezza della dichiarazione di avvalimento avrebbe potuto essere sanata mediante l’acquisizione di chiarimenti integrativi ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006.
Il rimedio della regolarizzazione postuma degli atti prodotti dai partecipanti alla gara è attivabile, per giurisprudenza costante, solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta (come nella presente fattispecie), risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano invece puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (cfr. TAR Sicilia Catania, Sez. III, 17.05.2007 n. 846; TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006 n. 390 e TAR Calabria Catanzaro, Sez. II, 07.02.2006 n. 127).
Pertanto, la dichiarazione di avvalimento prodotta dalla ricorrente, attesa la sua portata generica e non individualizzante, non poteva essere ritenuta conforme all’art. 49 cit. e alle prescrizioni della lex specialis, rendendo così doverosa per la stazione appaltante l’adozione del provvedimento di esclusione, in diretta applicazione dell’apposita clausola contemplata all’art. 6, punto 8, del bando.
La rilevata insufficienza della dichiarazione di avvalimento in questione è idonea di per sé a supportare l’intero impianto motivazionale del provvedimento di esclusione. Ciò rende ininfluenti le rimanenti doglianze della ricorrente dirette a contestare altri profili, che rimangono assorbiti.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’aggiudicazione gravata e la declaratoria di inefficacia del contratto in via retroattiva, non avendo le parti offerto elementi idonei a giustificare la soluzione contraria (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 25.07.2011 n. 3976 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 25.07.2011 n. 171 "Trasmissione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - settori ordinari e speciali - uniformazione delle soglie minime di importo" (AVCP, comunicato del Presidente del 15.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 30 del 25.07.2011, "Indirizzi per l’uso e la manomissione del sottosuolo" (decreto D.G. 19.07.2011 n. 6630).

APPALTI:  Aggiudicazione provvisoria e successiva negazione in via di autotutela.
Domanda.
La stazione appaltante, dopo la provvisoria aggiudicazione di un appalto pubblico, può in via di autotutela negare liberamente l'aggiudicazione?
Risposta.
Poiché in materia di appalti pubblici, l'aggiudicazione provvisoria è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente aggiudicataria una posizione consolidata di vantaggio, l'Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela rispetto all'aggiudicazione provvisoria ha l'onere di motivazione fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali si ritiene di non procedere all'aggiudicazione (25.07.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Inammissibile il ricorso avverso il bando in caso di mancata partecipazione alla gara.
La mancata partecipazione alla gara rende indifferenziata e non qualificata la pretesa della ricorrente all’aggiudicazione, come affermato dalla dec. del Consiglio di Stato Ad. Plen. n. 4/20111 (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 22.07.2011 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittima la clausola di un bando per l'affidamento del servizio di refezione scolastica, che impone ai partecipanti l'effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale o di allestirlo esclusivamente in una data area.
L'autorizzazione sanitaria per la gestione di un centro cottura deve risultare necessariamente intestata direttamente al soggetto che svolge il servizio.

In caso di appalto del servizio di refezione scolastica, il richiedere l'effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale alla data di presentazione della domanda, senza consentire all'impresa di organizzarsi all'esito della vittoriosa partecipazione, equivarrebbe a riservare la gara stessa alla sole imprese che già operano nel territorio, in palese violazione delle disposizioni comunitarie e che, peraltro, è illegittima per irragionevolezza e contrasto con i principi comunitari di massima tutela della concorrenza tra imprese, il bando per l'affidamento del servizio di refezione scolastica, che impone ai partecipanti di allestire un centro per la cottura e la preparazione dei pasti esclusivamente in una data area, tutte le volte in cui tale prescrizione non sia utile ai fini della individuazione del miglior contraente e non sia giustificabile con addotte finalità di controllo dell'attività di confezionamento, dal momento che contrasta con i principi di economicità e di risparmio su scala aziendale, in quanto si determina un indubbio favoritismo per i pochi (o unici) soggetti che già sono presenti in quel preciso ambito territoriale, dovendo considerarsi sufficiente, per le specifiche finalità dell'amministrazione, solo una clausola che stabilisca i tempi massimi di trasporto dei pasti e la possibilità, da parte dell'Amministrazione, di verificare il loro rispetto.
L'autorizzazione sanitaria per la gestione di un centro cottura deve risultare necessariamente intestata direttamente al soggetto che svolge il servizio, poiché la responsabilità del titolare dell'autorizzazione sanitaria (che viene rilasciata intuitu personae e sulla base dei requisiti del solo soggetto richiedente) è personale e l'Amministrazione non può consentire che tale autorizzazione sia intestata a soggetti terzi (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 22.07.2011 n. 476 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Servizio di refezione scolastica - Richiesta di effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale (o in una data area) alla data di presentazione della domanda - Illegittimità.
In caso di appalto del servizio di refezione scolastica, il richiedere l’effettiva disponibilità di un centro di cottura nel territorio comunale alla data di presentazione della domanda, senza consentire all’impresa di organizzarsi all’esito della vittoriosa partecipazione, equivarrebbe a riservare la gara stessa alla sole imprese che già operano nel territorio, in palese violazione delle disposizioni comunitarie (cfr. da ultimo, TAR Sicilia, sede Palermo, sez. III, 24.09.2010, n. 10824, e TAR Abruzzo, sede L’Aquila, 11.02.2010, n. 88); analogamente, è illegittima per irragionevolezza e contrasto con i principi comunitari di massima tutela della concorrenza tra imprese, il bando per l’affidamento del servizio di refezione scolastica, che impone ai partecipanti di allestire un centro per la cottura e la preparazione dei pasti esclusivamente in una data area, tutte le volte in cui tale prescrizione non sia utile ai fini della individuazione del miglior contraente e non sia giustificabile con addotte finalità di controllo dell’attività di confezionamento, dal momento che contrasta con i principi di economicità e di risparmio su scala aziendale, in quanto si determina un indubbio favoritismo per i pochi (o unici) soggetti che già sono presenti in quel preciso ambito territoriale, dovendo considerarsi sufficiente, per le specifiche finalità dell’amministrazione, solo una clausola che stabilisca i tempi massimi di trasporto dei pasti e la possibilità, da parte dell’Amministrazione, di verificare il loro rispetto (Cons. St. sez. V, 22.06.2010, n. 3887, e TAR Puglia, sede Bari, sez. I, 03.11.2009, n. 2602) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 22.07.2011 n. 476 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Cantieri temporanei e mobili. Lavori in corso, senza segnalazione rischio responsabilità penale.
La segnalazione di lavori in corso di esecuzione e l'interdizione al pubblico dell'accesso alla zona dagli stessi interessata, non richiedendo alcuna autorizzazione, comporta la responsabilità penale per la violazione dell'art. 673 c.p. nel caso in cui un cantiere non sia delimitato in alcun modo con apposizione di reti o paletti, ciò in quanto l'omessa collocazione di segnali atti ad impedire pericoli alle persone in transito (o comunque l'adozione di idonee cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus all'incolumità pubblica) costituisce preciso obbligo spettante a coloro che abbiano la gestione dei lavori nel cantiere.
Interessante pronuncia della Corte di Cassazione sul tema della responsabilità penale per il reato previsto dall'art. 673 c.p. applicato alla normativa antinfortunistica. Il caso, come si vedrà, alquanto banale, riguardava il danneggiamento di un veicolo in sosta provocato dalla mancata apposizione della cartellonistica di sicurezza in un cantiere ove erano in corso lavori di manutenzione straordinaria in un centro commerciale.
La Corte, nel disattendere le doglianze difensive, ritiene invece responsabili coloro cui spettava la gestione del cantiere medesimo per i danni cagionati al veicolo in sosta, affermando l'importante principio di diritto secondo cui l'omessa collocazione di segnali atti ad impedire pericoli alle persone in transito (o comunque l'adozione di idonee cautele volte a scongiurare qualsiasi vulnus all'incolumità pubblica) costituisce preciso obbligo spettante a coloro che abbiano la gestione dei lavori nel cantiere.
Il caso.
Il caso La vicenda processuale, come già evidenziato, vedeva imputati il legale rappresentante di una s.r.l., impresa esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria in corso di svolgimento in un centro commerciale, unitamente al direttore dei suddetti lavori, ritenuti colpevoli della violazione dell'art. 673 c.p. ad essi contestato per avere, nelle rispettive qualità, omesso di collocare «segnali e/o ripari prescritti dalla legge e dall'Autorità per impedire pericoli alle persone in luogo di pubblico transito» e segnatamente di aver omesso di collocare segnaletica atta a delimitare l'area in cui svolgevano lavori con mezzi pesanti (sollevatore idraulico), che si ribaltava danneggiando un veicolo in sosta.
La responsabilità dei due imputati, in particolare, veniva fondata in sede di merito valorizzando in particolare le dichiarazioni rese da alcuni agenti della polizia municipale che, accorsi sul posto nell'immediatezza del fatto, avevano riferito che il cantiere di lavoro non era delimitato in alcun modo, da ciò desumendosi che i due imputati avevano omesso di collocare segnali o ripari (reti, paletti), atti a delimitare e comunque a segnalare, in orizzontale e in verticale, l'area interessata da una possibile caduta accidentale del mezzo meccanico impiegato (sollevatore), evento ritenuto prevedibile e prevenibile.
In particolare il Tribunale aveva escluso che gli imputati potessero utilmente invocare la buona fede in ragione della supposta inerzia dell'autorità amministrativa, ritenendo «ovvio che un'attività pericolosa come quella di sollevare bancali di guaine isolanti o mattonelle del peso anche di cinque o sei quintali richiedesse attenzioni particolari e misure di salvaguardia e di interdizione rigorose nei confronti di chiunque si trovasse a passare, tenuto conto che si trattava di operazioni temporalmente circoscritte (della durata complessiva di 20-30 minuti) e che dunque si risolvevano in tempo accettabile».
Il ricorso.
Resistevano alla condanna ambedue gli imputati. Per quanto di interesse in questa sede, il direttore dei lavori sosteneva, tenuto conto anche di quanto risultante dalle deposizioni di alcuni operai presenti in cantiere, che erano state adottate le dovute precauzioni, consistite nella collocazione di un nastro rosso e bianco lungo tutto il perimetro della superficie interessata alle operazioni di fissaggio di una guaina impermeabile sul tetto del centro commerciale, nastro che, essendosi rotto a seguito della caduta del mezzo meccanico, come riferito dai predetti testi, era stato immediatamente rimosso dopo il sinistro, per non intralciare le operazioni di soccorso dell'operaio che manovrava il sollevatore idraulico, rimasto bloccato al posto di comando.
Senza contare che, come pure riferito dall'imputato e dai summenzionati testi, il responsabile dei lavori aveva incaricato alcuni dipendenti dell'impresa di adoperarsi affinché nessun passante si avvicinasse o sostasse nell'area interessata alle operazioni di fissaggio e sollevamento del materiale utilizzato per l'esecuzione dei lavori, specificandosi nel ricorso, tra l'altro, che lo stesso direttore dei lavori aveva invitato anche il proprietario del veicolo poi danneggiato dal ribaltamento del sollevatore, a spostarlo, ricevendo un rifiuto a ragione del motivo che lo stesso sarebbe rimasto in sosta solo un attimo.
Soprattutto, però, la difesa del direttore dei lavori sosteneva che lo scopo perseguito dalla norma incriminatrice (art. 673 c.p.), imponendo l'adozione di segnalazioni e ripari, è quello di evitare un pericolo alle persone, sicché, posto che nel caso di specie, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, erano stati adottati accorgimenti più che adeguati allo scopo, in quanto perfettamente idonei alla tutela del bene protetto (delimitazione del cantiere con un nastro rosso e bianco; presenza di dipendenti incaricati di impedire l'accesso ai passanti nell'area delimitata, non transennarle con delimitazioni fisse), l'evento accaduto non poteva assolutamente venire addebitato ad una condotta omissiva degli imputati, tanto più che lo stesso doveva ritenersi cagionato, come precisato dall'imputato, da un imprevisto ed imprevedibile «malfunzionamento» del macchinario di sollevamento, posto che il principale tipo di rischio staticamente connesso alla utilizzazione di tale mezzo meccanico è quello della caduta verticale del carico e non certo quello del ribaltamento del mezzo meccanico, specie ove si consideri che a fronte di una portata massima di venti quintali il carico sollevato il giorno del sinistro non superava i cinque o sei quintali.
In ordine al ricorso proposto dal titolare dell'impresa esecutrice dei lavori, in particolare, veniva sottolineata la non configurabilità a carico dell'esecutore del lavori, ma semmai a carico del committente, di un obbligo di osservanza delle prescrizioni in materia di sicurezza.
La decisione della Cassazione.
I giudici di legittimità, nel ritenere infondati i motivi di impugnazione, hanno rigettato ambedue i ricorsi proposti nell'interesse degli imputati. Come di consueto, è utile un inquadramento normativo della questione. Nella specie è stato contestato agli imputati il reato contravvenzionale previsto dall'art. 673 c.p., norma inserita nel Libro 3°, sez. II, del codice penale, dedicata alle contravvenzioni concernenti l'incolumità pubblica e, più specificamente, di quelle concernenti l'incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni.
L'art. 673 c.p, in particolare, prevede -sotto la rubrica Omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari- due diverse condotte, sanzionate penalmente con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda: 1) quella di chiunque omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge o dall'autorità per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito, ovvero rimuove i segnali o i ripari suddetti, o spegne i fanali collocati come segnali; 2) quella di chi rimuove apparecchi o segnali diversi da quelli indicati nella disposizione precedente e destinati a un servizio pubblico o di pubblica necessità, ovvero spegne i fanali della pubblica illuminazione.
In merito ai profili di ricorso, in particolare, osservano gli Ermellini, quanto al profilo dell'esistenza di una posizione di garanzia tale da giustificare l'esistenza della responsabilità penale sotto il profilo causale, che indubbiamente la stessa grava sul legale rappresentante dell'impresa esecutrice dei lavori ed utilizzatrice del mezzo meccanico ribaltatosi, non rilevando la circostanza che questi non fosse il committente dei lavori.
Sul punto, evidenziano correttamente i giudici di Piazza Cavour, non osta all'affermazione della responsabilità penale dell'esecutore quella giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro in un cantiere edile (Cass. pen., sez. 3, 21.02.2007, n. 7209, imp. B., in Ced Cass. 235882), secondo cui il committente (dei lavori) rimane il soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, non escludendosi affatto, nell'eventualità -pacificamente verificatasi nel caso in esame- di nomina di un responsabile dei lavori -inteso come soggetto incaricato dell'esecuzione dei lavori- la sussistenza della responsabilità penale di quest'ultimo.
Quanto, poi, al secondo profilo inerente lo scopo della norma violata, sottolineano i giudici come fosse pacifico che il cantiere non risultasse delimitato in alcun modo con apposizione di reti o paletti: orbene, precisa la Corte, la segnalazione dei lavori e l'interdizione al pubblico dell'accesso alla zona interessata non richiedeva alcuna autorizzazione, e comunque -ove la si fosse ritenuta necessaria- l'asserita inerzia nel suo rilascio da parte delle autorità preposte non valeva in ogni caso ad escludere la responsabilità degli imputati.
Trattasi di principio, quest'ultimo, assolutamente condivisibile, che trova un suo specifico precedente in una remota decisione (Cass. pen., Sez. 1, 14.01.1998, n. 425, imp. C., in Ced. Cass. 209436) secondo cui rientra nella nozione di "riparo", prevista dall'art. 673 c.p., l'esecuzione di tutte quelle opere atte ad impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito: ne consegue che deve ritenersi sussistente il reato in questione ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate dall'Autorità non esegua le suddette opere nei termini stabiliti o, in mancanza, in un termine ragionevole.
Né la responsabilità può ritenersi esclusa nel caso che le opere da eseguire siano soggette ad eventuali provvedimenti di autorizzazione da parte dell'Autorità, atteso che è compito del soggetto, destinatario dell'ordine, di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli di natura burocratica che si frappongano alla rapida esecuzione delle opere.
Il principio, si noti, è stato recentemente ribadito da altra recentissima decisione (Cass. pen., Sez. 1, n. 5098 dell'11.02.2011, imp. V., in Ced Cass. 249798) che ha ritenuto sussistente il reato in questione ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate dall'Autorità sulla sicurezza delle strade non esegua le opere necessarie allo scopo nei termini stabiliti, anche qualora tali opere siano soggette a provvedimenti autorizzativi di terzi, essendo compito del soggetto preposto di adoperarsi sollecitamente per rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongano all'attuazione dell'adempimento (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 21.07.2011 n. 29156 - link a http://olympus.uniurb.it).

APPALTI: Casi in cui è ammessa la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando.
La procedura negoziata, senza previa pubblicazione del bando di gara, è ammessa nei soli e limitati casi individuati dal legislatore all’art. 57 del D.Lgs. n. 163 del 2006, trattandosi di procedura che, derogando all’ordinario obbligo dell’Amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale, riveste carattere di eccezionalità e richiede un particolare rigore nella individuazione ed apprezzamento dei presupposti che possono legittimarne il ricorso (cfr., ex multis, Corte giustizia CE, 13.01.2005, n. 84) di cui, peraltro, deve essere data adeguata motivazione nella deliberazione o determinazione a contrarre (art. 57, comma 1), in modo da scongiurare ogni possibilità che l’amministrazione utilizzi situazioni genericamente affermate, come un "commodus discessus" dall'obbligo di esperire una pubblica procedura di selezione che è la sola con carattere di oggettività e trasparenza (Cfr. TAR Lazio-Roma, Sez. I, 18.02.2009, n. 1656).
Illegittimamente la stazione appaltante, al fine di affidare un appalto di forniture, fa ricorso, per ragioni di natura tecnica e di unicità del prodotto da acquisire, all’istituto della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, ex art. 57 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) nel caso in cui, da un parte, abbia erroneamente ritenuto che i prodotti oggetto della fornitura fossero infungibili, e, dall’altra, abbia dato contezza dei motivi di carattere tecnico per cui ha ritenuto di poter trattare e affidare l’appalto unicamente ad una determinata società solo successivamente all’affidamento, e, in particolare, soltanto nell’avviso volontario per la trasparenza, pubblicato nella G.U.C.E. (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 21.07.2011 n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Costo del personale e sicurezza nella selezione delle offerte negli appalti - Prime indicazioni elaborate dal Gruppo di lavoro interregionale sui contratti presso ITACA.
La legge 106/2011 di conversione del DL 70/2011 (decreto sviluppo), entrata in vigore lo scorso 13 luglio, ha introdotto un importante novità nel criterio di scelta dell’offerta migliore che sicuramente avrà importanti ricadute su tutto il sistema di aggiudicazione e selezione degli appalti regolato dal codice dei contratti.
In particolare la nuova norma, volta a migliorare le condizioni di lavoro e in genere a sostenere l’importante settore degli appalti, introduce il comma 3-bis all’art. 81 del d.lgs. 163/2006: “L’offerta migliore è altresì determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più significative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
La norma impone di salvaguardare comunque e sempre il valore della manodopera quale costo non negoziabile, e pertanto da sottrarre al mercato e alla concorrenza, in analogia con quanto previsto già per gli oneri di sicurezza.
Il Gruppo di lavoro interregionale “Codice contratti” operante presso ITACA e coordinato da Regione Piemonte, ha adottato nell’incontro tenuto lo scorso 14 luglio, un documento recante “PRIME INDICAZIONI PER L’APPLICAZIONE DELLE MODIFICAZIONI INTRODOTTE ALL’ART. 81 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI DALLA LEGGE 12.07.2011, N. 106, DI CONVERSIONE DEL DL 70/2011”.
Il documento, che sarà trasmesso alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per le opportune valutazioni, vuole essere un primo contributo a supporto delle stazioni appaltanti che si trovano ad applicare una norma che indubbiamente impatta su tutte le procedure di gara, settori e per qualunque importo e che avrà rilevanti sviluppi anche nelle fase di gestione del contratto (tratto dal sito www.itaca.org).
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Il costo del lavoro non è negoziabile! Le modifiche introdotte dalla “Legge Sviluppo” e le prime indicazioni operative.
La Legge 106/2011 (Legge di conversione del Decreto Sviluppo) ha introdotto una importante novità nel criterio di scelta dell’offerta che avrà ripercussioni su tutto il sistema di aggiudicazione degli appalti.
In particolare la nuova norma introduce il comma 3-bis all’art. 81 del Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006): “L’offerta migliore è determinata al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più significative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
La norma, quindi, impone di salvaguardare sempre e comunque il valore della manodopera quale costo non negoziabile, così come già previsto per i costi della sicurezza.
Il Gruppo di lavoro interregionale “Codice contratti” operante presso ITACA e coordinato da Regione Piemonte, ha adottato nell’incontro tenuto lo scorso 14 luglio, un documento recante “Prime indicazioni per l’applicazione delle modificazioni introdotte all’art. 81 del Codice dei Contratti pubblici dalla Legge 12.07.2011, n. 106, di conversione del DL 70/2011”.
Il documento, che sarà trasmesso alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per le opportune valutazioni, vuole essere una guida in grado di fornire indicazioni operative sui Lavori pubblici, alla luce delle nuove disposizioni normative (21.07.2011 - commento tratto da www.acca.it).

APPALTI SERVIZI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 29 del 21.07.2011, "Indirizzi in materia di affidamento dei servizi e convenzioni tra enti pubblici e cooperative sociali in attuazione della d.g.r. n. 1353/2011" (deliberazione G.R. 13.07.2011 n. 6459).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta.
L’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42 e 48 d.lgs. 267 del 2000, salvo che l’approvazione del progetto comporti una variante allo strumento urbanistico, nel qual caso la competenza appartiene al Consiglio (Cons. Stato, VI, 27.07.2010, n. 4890) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla possibilità di modificare la composizione di un RTI concorrente in una gara d'appalto prima della fase di presentazione dell'offerta.
In materia di composizione dei raggruppamenti temporanei e di loro modificazione la norma di riferimento è l'art. 37, c. 9, del D.Lgs. n. 163/2006 che dispone: "… Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta".
Se il divieto di modificazioni è correlato all'assunzione dell'impegno che consegue alla presentazione dell'offerta è logico ritenere che l'ordinamento non esclude la possibilità di modificazioni prima che l'offerta sia presentata, anche se la procedura è già stata avviata (ed è il caso della procedura ristretta, che contempla una previa fase di qualificazione).
Nella fase precedente la formulazione dell'offerta, d'altra parte, il concorrente non assume nessun impegno particolare: non quello alla partecipazione (che dipende dalle valutazioni della stazione appaltante), né quello di presentare un'offerta in caso di invito (che il concorrente resta libero di accogliere o meno) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1254 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La clausola di un bando che, preveda requisiti soggettivi di ammissione tali da precludere in modo sicuro l'utile partecipazione di determinate categorie di soggetti è direttamente lesiva e deve, pertanto, essere immediatamente impugnata.
Nel caso in cui la clausola della "lex specialis" preveda requisiti soggettivi di ammissione tali da precludere in modo sicuro l'utile partecipazione di determinate categorie di soggetti, com'è il caso dell'impossibilità di far ricorso all'istituto dell'avvalimento, deve essere immediatamente impugnata dall'impresa che risulti priva di siffatti requisiti, in quanto il bando è immediatamente lesivo; soltanto nell'ipotesi in cui la predetta clausola presenti, invece, un profilo di ambiguità, nel senso di non rendere immediatamente percepibile l'effetto preclusivo della partecipazione per le imprese prive di un determinato requisito soggettivo, il bando non assume carattere immediatamente lesivo e, pertanto, deve essere impugnato unitamente all'atto con il quale l'impresa è stata esclusa dalla gara, in applicazione proprio della clausola suscettibile di diverse interpretazioni (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 19.07.2011 n. 6478 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'istituto della revisione dei prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa: finalità e termine di prescrizione.
La natura dell'istituto della revisione dei prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa disciplinata dall'art. 115 del Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) ha una duplice funzione: da un lato di tutela dell'esigenza dell'Amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto; dall'altro di tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l'arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.
La disciplina dettata in materia di revisione prezzi negli appalti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa, di cui all'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, ha carattere imperativo ed un'eventuale clausola contrattuale difforme rispetto alla disciplina normativamente prevista, deve ritenersi nulla. La legge non ha, invece, provveduto a stabilire espressamente un periodo massimo oltre il quale non sia possibile richiedere di procedere alla revisione del prezzo. Considerata la natura indisponibile del diritto in questione, nonché la mancanza di un espresso termine normativo entro il quale il diritto possa essere fatto valere, la richiesta può essere effettuata entro il termine di prescrizione quinquennale dettato dall'art. 2948, n. 4) c.c..
Pertanto, nel caso di specie, la relativa richiesta della società di revisione dei prezzi non poteva essere respinta in quanto non era decorso il suddetto termine di prescrizione e conseguentemente le deve essere riconosciuto il diritto al pagamento degli importi dovuti a titolo di revisione prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.07.2011 n. 4362 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Sulla caduta massi è responsabile l'Anas... ma entro quali limiti?
Spetta all'ANAS impedire la caduta massi anche se non è tenuta a sigillare l'intera scarpata sottostante.
E' quanto ha stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 18.07.2011 n. 15720, con la quale si afferma che, se la frana ha avuto origine da un luogo diverso da quello in custodia dell'ANAS, l'evento deve considerarsi imprevedibile.
Il caso vedeva un automobilista essere travolto da grossi massi mentre era alla guida del proprio mezzo. In particolare, il materiale roccioso era franato da terreni di proprietà di terzi, a monte, per qualche centinaio di metri rispetto alla strada statale. Tra la strada e i suddetti terreni, sempre a monte, correva una linea ferroviaria con il relativo muro di contenimento, innalzato dalle ferrovie, rispetto all'originario muro, dopo la precedente caduta di massi i quali, provenienti dai terreni dei terzi suddetti, avevano spostato i binari e danneggiato il muro di contenimento.
Secondo l'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, richiamato dagli ermellini, la responsabilità ex art. 2051 c.c. sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato -con effetto liberatorio totale o parziale- anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno.
In relazione alle strade aperte al pubblico transito si ritiene che la disciplina di cui all'art. 2051 c.c. sia applicabile in riferimento alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo configurabile il caso fortuito in relazione a quelle situazioni provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere.
Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa, occorre, secondo il giudice nomofilattico, aver riguardo, per quanto concerne pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l'evento di danno e che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato.
Nel caso di specie la Terza Sezione ha ritenuto imprevedibile la frana di maggiore consistenza, che ha determinato l'alterazione dello stato della cosa in custodia, sebbene abbia riconosciuto che negli anni precedenti si erano verificate frane, proprio provenienti dai terreni a monte, che la stessa ANAS, negli anni precedenti, aveva predisposto opere per far fronte allo stesso problema e che nella zona intermedia a monte, di spettanza delle Ferrovie, erano già state predisposte delle opere.
Tali circostanze, concludono gli ermellini, avrebbero dovuto condurre ad interrogarsi sul se l'alterazione della cosa per via della frana fosse, piuttosto, prevedibile e se da parte dell'ANAS erano state poste in essere le idonee misure di sicurezza sulla strada (link a www.altalex.com).

LAVORI PUBBLICI: L'Anas paga i danni se il terreno privato frana.
L’Anas deve pagare i danni all’automobilista investito da una frana anche se questa proviene dal terreno di un privato.
La Corte di Cassazione, Sez. III civile, con la sentenza 18.07.2011 n. 15720 inchioda l’azienda alle sue responsabilità escludendo la possibilità di scaricare su terzi l’obbligo di segnalare rischi o porre in sicurezza le aree in prossimità delle strade statali.
La prevedibilità dell’evento.
Gli ermellini hanno così ribaltato i verdetti con cui sia del Tribunale sia della Corte d’Appello di merito avevano negato il diritto del ricorrente a ottenere un indennizzo dall’Anas per i danni causati alla sua automobile dal cedimento di un terreno a monte della strada che stava percorrendo.
Secondo i giudici di merito, infatti, la responsabilità prevista dall’articolo 2051 del codice civile si applica alle situazioni di pericolo che si possono verificare sulle strade pubbliche o aperte al pubblico ma va esclusa, quando l’evento è imprevedibile o perché causato dallo stesso utente o perché dovuto a un’alterazione “repentina dello stato della cosa”, come avvenuto, secondo la Corte d’Appello di Milano, nel caso analizzato.
Per i giudici di secondo grado l’Anas, infatti, non poteva ipotizzare né evitare una frana che proveniva da un terreno di proprietà di terzi e non aveva di conseguenza alcun obbligo né di segnalare un pericolo non individuabile né di mettere in atto interventi di salvaguardia.
Non è d’accordo la Cassazione, che rinvia la causa alla Corte d’Appello invitandola a tenere nella debita considerazione soprattutto due circostanze che proverebbero la prevedibilità dell’evento. Negli anni precedenti quel tratto stradale era già stato interessato da sfaldamenti di piccola entità, comunque tali da indurre le Ferrovie dello stato a mettere in sicurezza i binari a ridosso della zona. Crolli presi in considerazione, come risultava da una relazione tecnica, anche dalla stessa Anas, che aveva predisposto delle opere, per fronteggiare lo stesso problema (commento tratto e link a www.diritto24.ilsole24ore.com).

APPALTIIl termine di 10 gg., entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza (ndr: escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all’Autorità di Vigilanza) sono automatiche e non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità ovvero allorché, comprovando un oggettivo impedimento a rispettare il termine, ne abbia tempestivamente chiesto la proroga.
Premesso che:
- la società ricorrente ha partecipato alla gara indetta dal Comune di Zibido San Giacomo per l’aggiudicazione dei lavori relativi alla realizzazione della pista ciclabile, venendone esclusa all’esito delle indagini a campione, con escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all’Autorità di Vigilanza, per la mancata produzione della documentazione richiesta entro il termine perentorio di 10 giorni (30.07.2009) e tardivamente inviata dopo tre giorni (03.08.2009) a causa della asserita mancata ricezione del fax;
...
Considerato che:
- l’art. 48 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, al primo comma, prescrive che “Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6, comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”;
- con la determinazione n. 5 del 21.05.2009 l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, in merito alla natura del termine di dieci giorni entro cui i concorrenti sorteggiati devono documentare i requisiti richiesti nel bando ed oggetto di autodichiarazione, ha ribadito quanto già precisato dall’Autorità nel precedente atto di regolazione n. 15 del 2000 con riguardo all’art. 10 della legge n. 109/1994 (“Il termine di dieci giorni è perentorio e improrogabile, nel senso che il suo obiettivo decorso senza che il sorteggiato abbia fatto pervenire alla stazione appaltante la necessaria documentazione implica l'automatico effetto dell'esclusione dalla gara, dell'incameramento della cauzione provvisoria e della segnalazione alla stessa Autorità per i provvedimenti di competenza. Né assume rilievo l'effettivo possesso dei requisiti da parte dell'operatore economico ovvero la documentazione degli stessi successivamente al decorso dei dieci giorni assegnati, dal momento che, per come è formulata la norma, rileva, al fine della produzione degli effetti sanzionatori, il solo dato, obiettivo e formale, dell'inadempimento nel termine prescritto”);
- questo Consiglio in più occasioni ha avuto modo di statuire che il suddetto termine di dieci giorni, entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza sono automatiche e non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità ovvero allorché, comprovando un oggettivo impedimento a rispettare il termine, ne abbia tempestivamente chiesto la proroga (sez. V: 13.12.2010 n. 8739 e 01.10.2010 n. 7263; sez. VI, 15.06.2009 n. 3804) (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 18.07.2011 n. 2852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZICorte dei conti Lombardia. A volte riportare i servizi all'interno è più conveniente.
Messo in discussione il dogma della riduzione della spesa di personale. A fronte della possibilità di reinternalizzare un servizio, con conseguente oggettivo risparmio in termini di costi, si può giustificare un aumento della spesa per i dipendenti?

Il problema è stato posto dal comune di Porto Mantovano alla Corte dei conti Lombardia, la quale, pur cavalcando una soluzione favorevole all'ente locale, rimette la questione alle Sezioni Riunite.
Il presupposto viene identificato in una situazione considerata ottimale dal punto di vista della gestione del personale, cioè un rapporto fra spesa di personale e spesa corrente che si aggira attorno al 22% e un rapporto fra dipendenti e residenti pari a 1 ogni 400 circa.
Dati alla mano, il Comune dimostra che riportare all'interno un'attività, prima esternalizzata, comporta maggiori costi a livello di personale, ma l'incremento viene assorbito da minori oneri in termini di uscite per servizi, con una differenza di gran lunga a favore del comune. La Corte lombarda osserva come le disposizioni sulla riduzione della spesa di personale non rappresentano mere indicazioni, ma devono essere considerate veri e propri vincoli, che si inseriscono in quel coordinamento della finanza pubblica, previsto dal l'articolo 119 della Costituzione.
D'altro canto, però, i giudici contabili non si nascondono che i principi di economicità e di efficacia non rappresentano solo criteri che devono guidare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, ma devono essere considerati elementi che caratterizzano la legittimità del l'azione amministrativa, di cui l'autorità giudiziaria può ben chiederne conto. Si colloca, quindi, in quell'alveo del buon andamento tutelato dall'articolo 97 della Costituzione.
Già in altra occasione, le Sezioni riunite hanno sottolineato che sulla spesa di personale è necessaria un'analisi molto più dettagliata per arrivare a una quantificazione più precisa. Il coordinamento delle diverse esigenze tutelate dalla stessa Costituzione diventa sempre più complesso se si considera anche il principio dell'autonomia organizzativa degli enti territoriali previsto dal l'articolo 114.
In altri termini, la Corte si chiede se l'efficienza, l'efficacia e l'economicità non costituiscano un confine invalicabile anche per le esigenze di finanza pubblica, che si reggono sui tagli alla spesa storica. Le argomentazioni risultano estremamente convincenti, anche se la Corte non ha affondato il colpo, in quanto una crepa del sistema potrebbe aprire il campo a comportamenti elusivi che possono realmente mettere in crisi i delicati equilibri dei conti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 18.07.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI E FORNITURE: G.U. 18.07.2011 n. 165 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIAppalto di manodopera, la Cassazione chiarisce.
L'argomento relativo all'appalto illegale di manodopera nell'ambito della contrattazione privata è sempre di attualità.
Interessante si presenta sul tema la lettura della sentenza 15.07.2011 n. 15615 della Cassazione.
In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro l'esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto e, sotto questo profilo, può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno essere rispettate dall'appaltatore, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto.
Tanto richiamato, ferma la ratio legis che sottende la disciplina di cui al dlgs n. 276/2003 e l'autonomia e la specificità degli istituti ivi previsti rispetto alle disposizioni previgenti abrogate dal medesimo dlgs e alle disposizioni del codice civile, l'interprete può, tutt'ora, rinvenire nei principi sopra richiamati alcuni parametri significativi al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso il quale si intenda eludere le disposizioni che disciplinano il mercato del lavoro.
Nella fattispecie in esame, la Corte di appello di Torino aveva accolto il ricorso in appello proposto da un lavoratore che aveva domandato l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro in capo alla committente ai sensi dell'art. 29, comma 3-bis, del dlgs n. 276/2003, nell'ambito di un contratto di appalto, avente ad oggetto servizi informatici, che prevedeva lo svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti della società appaltatrice presso la struttura della committente, con mezzi materiali propri della committente e in gruppi di lavoro formati anche dai dipendenti della società committente.
La sentenza della Corte ha poi confermato la sentenza d'appello (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011).

APPALTINelle gare d'appalto è necessario presentare la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale dell’impresa, intendono assumere come destinatari di tale obbligo tutti i soggetti-persone fisiche titolari dei poteri di rappresentanza o che tali poteri hanno avuto nel triennio precedente (ed ora nell’anno precedente).
Anche per gli amministratori di società fuse per incorporazione in una società (incorporante) partecipante ad una gara debba essere presentata la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
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Le associazioni temporanee di impresa (anche costituende) devono indicare, a pena di esclusione, anche nelle gare per l'appalto di pubblici servizi (o di forniture) le quote di partecipazione delle singole imprese associate e le parti del servizio (o delle forniture) che ogni singola impresa dovrà eseguire.
Ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo il quale "i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento"), deve sussistere una perfetta simmetria (anche) tra la quota di servizi e la quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e che la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata, a pena di inammissibilità dell'offerta, dai componenti del raggruppamento all’atto di partecipazione alla gara. Infatti con tale disposizione, che è valida anche per gli appalti di servizi, il legislatore ha inteso evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione (e di qualificazione) non corrisponda un identico impegno in sede di esecuzione dei lavori.
Deve innanzitutto ricordarsi che l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, prevede l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei soggetti nei cui confronti sono state emesse sentenze di condanna per reati gravi che incidono sulla moralità professionale e che, nelle società a responsabilità limitata e per azioni, ricoprono la carica di amministratore con poteri di rappresentanza o di direttore tecnico.
L’esclusione e il divieto, secondo quanto stabilito dalla disposizione all’epoca in vigore, operano poi anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara (mentre ora l’esclusione e il divieto operano nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel solo anno antecedente la data di pubblicazione del bando, per effetto della modifica disposta con il comma 2 dell’art. 4, del D.L. 13.05.2011, n. 70, con i limiti previsti dal comma 3 dello stesso articolo).
Il comma 2 dell’articolo 38 precisa, poi, che il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva resa con le modalità stabilite dal DPR 28.12.2000, n. 445.
Le indicate disposizioni, pertanto, nel prevedere la necessaria presentazione della dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale dell’impresa, intendono assumere come destinatari tutti i soggetti-persone fisiche titolari dei poteri di rappresentanza della stessa o che tali poteri hanno avuto nel triennio precedente (ed ora nell’anno precedente).
Ciò precisato, in generale, occorre ora affrontare la questione, rilevante nel caso di specie, riguardante l’inclusione, fra i soggetti per i quali la dichiarazione deve essere presentata, anche degli amministratori di società incorporate nel triennio la data di pubblicazione del bando (ed ora nell’anno precedente).
Ritiene questo Collegio che la sentenza appellata, sul punto, debba essere condivisa dovendosi ritenere che anche per gli amministratori di società fuse per incorporazione in una società (incorporante) partecipante ad una gara debba essere presentata la dichiarazione attestante il requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006.
Infatti la fusione tra società, nella ipotesi di fusione impropria o per incorporazione, non comporta, anche a seguito della riforma del diritto societario (d.lgs. 17.01.2003 n. 6), la completa estinzione della società incorporata ma determina l'integrazione della stessa nella società incorporante con una evoluzione della forma giuridica del soggetto incorporato che conserva comunque una propria riconoscibilità pur in un nuovo assetto organizzativo nel quale si determina una riunificazione soggettiva delle compagini sociali ed una riunificazione oggettiva dei patrimoni.
E, in ogni caso, si determina una prosecuzione nella società incorporante di tutti in rapporti attivi e passivi della società incorporata. Infatti il primo comma dell’art 2504-bis del c.c., prevede che “La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Si deve pertanto ritenere che l’obbligo previsto dall'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, operi anche con riferimento ai titolari di poteri di rappresentanza delle imprese incorporate per fusione.
Diversamente, come correttamente affermato nella appellata sentenza, la mera e formale confluenza di un'azienda priva di requisiti di moralità, ma ampiamente dotata degli altri requisiti di partecipazione, in un'azienda non dotata dei requisiti di partecipazione ma dotata dei requisiti di moralità, consentirebbe alla prima di continuare agevolmente a concorrere alle procedure di appalto, con la conseguente facile elusione delle disposizioni poste a garanzia della moralità professionale dei partecipanti alle gare pubbliche dall'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
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Questa Sezione, in linea con la giurisprudenza più recente (Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2010, n. 744), ha peraltro ritenuto, con diverse pronunce, che le associazioni temporanee di impresa (anche costituende) devono indicare, a pena di esclusione, anche nelle gare per l'appalto di pubblici servizi (o di forniture) le quote di partecipazione delle singole imprese associate e le parti del servizio (o delle forniture) che ogni singola impresa dovrà eseguire (Consiglio di Stato, sez. III n. 2132 del 06.04.2011 cit.; n. 2804 e n. 2805 dell’11.05.2011).
In tali pronunce, dalle quali non v’è ragione di discostarsi, si è affermato che, ai sensi dell'art. 37, comma 13, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo il quale "i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento"), deve sussistere una perfetta simmetria (anche) tra la quota di servizi e la quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e che la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata, a pena di inammissibilità dell'offerta, dai componenti del raggruppamento all’atto di partecipazione alla gara. Infatti con tale disposizione, che è valida anche per gli appalti di servizi, il legislatore ha inteso evitare che alla spendita dei requisiti di partecipazione (e di qualificazione) non corrisponda un identico impegno in sede di esecuzione dei lavori.
Si è infatti giustamente osservato che il comma 13 dell’articolo 37 statuisce, in generale (e senza distinguere fra appalti di lavori ed appalti di servizi e forniture), che “I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento”.
La chiarezza del tenore letterale della disposizione impone di considerare vincolanti, per le imprese riunite, gli obblighi di specificazione delle parti delle prestazioni che saranno poi eseguite da ciascuna di esse nonché le quote di partecipazione al RTI e tale obbligo deve ritenersi espressione di un principio di carattere generale che prescinde dall'assoggettamento (o meno) della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura del raggruppamento (verticale o orizzontale) o alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie).
Si è anche chiarito che la necessità di indicare nell'offerta le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese risponde a diverse esigenze di pubblico interesse:
a) consentire la conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, di chi (fra i diversi partecipanti all’ATI) è il soggetto che si è impegnato effettivamente ad eseguire il servizio in ogni sua parte;
b) agevolare la verifica, da parte della commissione di gara e poi del responsabile del procedimento, delle competenza tecniche degli esecutori per ogni parte del servizio;
c) rendere effettiva la composizione del raggruppamento e rispondente a reali esigenze di unire capacità tecniche e finanziarie integrative e complementari;
d) rendere possibile una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto;
e) non consentire la partecipazione di imprese non qualificate che potrebbero aggirare (anche solo per parte del servizio) le norme di ammissione stabilite dal bando;
f) non consentire, ai fini della valutazione tecnica delle offerte, la partecipazione di un raggruppamento composto da imprese con una presenza meramente fittizia.
Si è quindi chiarito che l’obbligo di specificazione delle quote di partecipazione trova (ovviamente) applicazione anche per le ATI costituende che sono tenute anch'esse ad indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le quote di partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.07.2011 n. 4323 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisiti di partecipazione alla gara. Limiti del potere della stazione appaltante di introdurne ulteriori e maggiormente selettivi rispetto a quelli stabiliti dalle norme.
Il potere discrezionale dell'amministrazione appaltante di determinare le regole della gara e, in specie, di introdurre requisiti di partecipazione alla gara, oggettivi e/o soggettivi -ulteriori e maggiormente selettivi rispetto a quelli stabiliti dalle norme- incontra il limite del rispetto del principio di proporzionalità e di ragionevolezza; in tal modo i requisiti non devono restringere indebitamente l’accesso alla procedura e devono essere giustificati da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell'appalto (1).
E’ illegittima, per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, la clausola di un bando di gara per l’affidamento dell’appalto del servizio di mensa scolastica che, ai fini della partecipazione alla gara stessa, richieda, a pena di esclusione, il requisito del possesso di un pregresso fatturato nello specifico settore oggetto della gara (ristorazione scolastica) nove volte superiore a quello oggetto di gara; tale requisito, infatti, è eccessivo ed ingiustificato, per la mancata correlazione con l’interesse pubblico specifico ad una particolare qualificazione delle imprese partecipanti.
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(1) Cfr. TAR Sardegna, sez. I, 12.10.2010 n. 2293.
Ha osservato la sentenza in rassegna, che la peculiarità del servizio, e la giusta aspirazione ad elevati standard di qualità ed efficienza, non giustifica né la previsione di un livello di fatturato del tutto sproporzionato, né la sua limitazione allo specifico settore di gara (ristorazione scolastica), quando è noto che i medesimi requisiti di esperienza e professionalità possono essere maturati in settori del tutto affini o comunque sovrapponibili, come ad es. la ristorazione collettiva socio-sanitaria
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.07.2011 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pendenze con l'Agenzia delle Entrate ed esclusione dal contratto d'appalto.
Domanda.
Si chiede se deve essere pronunciato o meno il provvedimento di esclusione dalla stipula di un contratto di appalto nei confronti di una ditta che alla data di presentazione dell'offerta di gara risultava già avere pendenze con l'Agenzia delle Entrate.
Risposta.
L'oggetto del quesito riguarda la possibilità o meno di esclusione dalla stipula di un contratto di appalto nei confronti di una ditta che risulta avere pendenze con l'Agenzia delle Entrate. In tema di requisiti soggettivi per la partecipazione a gare di appalto, la ratio dell'art. 38, comma 1, lettera g), D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, il quale stabilisce l'esclusione dei "soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti", risponde all'esigenza di garantire l'Amministrazione relativamente alla solvibilità e solidità finanziaria del soggetto con il quale contrae.
In relazione alla rilevata ratio appare necessario che sia di volta in volta in concreto indagata la vicenda relativa all'assolvimento degli obblighi di pagamento di imposte e tasse per accertarne la rilevanza, mirando la necessaria verifica ad appurare non già la sussistenza di una mera singola violazione, ma la globale regolarità sul piano tributario di ciascuna impresa partecipante alla gara quale eventuale futura contraente con la P.A., capace di accreditare la solvibilità delle imprese; singole, isolate omissioni di modesto contenuto, incapaci in quanto tali di reagire su tale globale situazione finanziaria, non possono giustificare la grave conseguenza dell'esclusione da una pubblica gara, tra l'altro di facoltativa applicazione nei singoli ordinamenti nazionali.
Inoltre non può essere considerata irregolare la posizione dell'impresa partecipante a gara pubblica qualora sia ancora pendente il termine di 60 giorni per l'impugnazione (o per l'adempimento) ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, non sia passata ancora in giudicato la pronuncia giurisdizionale (TAR Veneto Sez. I, 27.01.2011 n. 115; Cons. Stato Sez. V, 20.04.2010, n. 2213) (15.07.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

LAVORI PUBBLICILa relazione geologica non può essere sostituita da una qualsiasi, indeterminata valutazione di idoneità da parte del progettista (professionista diverso dal geologo), in quanto la disciplina relativa ai lavori pubblici impone chiaramente alla stazione appaltante l'acquisizione della detta relazione geologica ai fini della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva.
E' stato, anche di recente, affermato (cfr. Cons. St., sez. VI, 23.09.2009, n. 5666) che la relazione geologica non può essere sostituita da una qualsiasi, indeterminata valutazione di idoneità da parte del progettista (professionista diverso dal geologo), in quanto la disciplina relativa ai lavori pubblici impone chiaramente alla stazione appaltante l'acquisizione della detta relazione geologica ai fini della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva.
Ed invero, ai sensi del D.P.R. n. 554/1999 (in particolare degli artt. 35 e 37 –applicabili ratione temporis alla gara in argomento), è prevista l'acquisizione obbligatoria agli atti progettuali della relazione geologica, obbligatorietà che emerge, altresì, da ulteriori fonti normative (legge n. 64 del 02.02.1974 e D.M. 11.03.1988) nel caso in cui l’area sia classificata, come nella specie, “zona sismica di secondo livello” (TAR Lazio-Roma, Sez. II-Ter, sentenza 14.07.2011 n. 6324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contrasto tra bando di gara e lettera di invito.
In tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera di invito.
Questo è il principio espresso con la sentenza 14.07.2011 n. 4278 dai giudici della VI sezione del Consiglio di Stato in accoglimento di un ricorso presentato da una società che era stata esclusa da una gara sulla base delle disposizioni contenute nella lettera di invito.
La lettera d’invito, impugnata insieme al provvedimento di esclusione, prevedeva che i partecipanti dovessero avere la disponibilità dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’appalto esclusivamente per proprietà o avvalimento.
La società ricorrente riteneva illegittima questa richiesta in quanto più restrittiva rispetto ai requisiti di ammissione previsti dal bando nel quale, ad eccezione dei mezzi necessari per una particolare tipologia di trasporto, tutti gli altri lavori potevano essere eseguiti anche con mezzi che erano nella disponibilità dei partecipanti tramite noleggio.
La VI sezione, accogliendo la tesi della ricorrente, ha sottolineato come la disposizione in oggetto si riferisse solo ad una particolare tipologia di trasporto e che non poteva essere genericamente estesa a tutti gli altri mezzi necessari per la realizzazione dell’appalto.
Ed infatti “Osserva, in conclusione, il Collegio che la lettera di invito contiene una disciplina dei requisiti di ammissione alla procedura più restrittiva di quella prevista dal bando, o meglio dalle sue norme integrative.[…] Trova quindi applicazione il principio, affermato da Cons. Stato, V, 29.03.2004, n. 1660, secondo cui in tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A., 18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II, 07.03.2001, n. 149/2001)”.
In conclusione secondo il Consiglio di Stato, e in conformità con l’orientamento espresso in precedenza dalla stessa giurisprudenza amministrativa, il bando di gara prevale sulle diverse e contrastanti disposizioni contenute nella lettera di invito (tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, motivata sulla base della lettera d'invito, contenente una disciplina più restrittiva rispetto alla normativa di gara.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI, sulla base della disciplina contenuta nella lettera d'invito, più restrittiva rispetto alla normativa di gara, prevista nel bando.
Nel caso di specie, la lettera di invito impone la disponibilità in proprietà od in avvalimento di tutti i mezzi necessari per l'esecuzione del contratto, in quanto espressamente elenca le lavorazioni per le quali i medesimi sono necessari. Il suddetto enunciato è contrario alle disposizioni della normativa di gara, contenute nelle norme integrative al bando e nel capitolato speciale prestazionale.
Trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui, in tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d'invito (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.07.2011 n. 4278 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d'invito.
Osserva il Collegio che la lettera di invito contiene una disciplina dei requisiti di ammissione alla procedura più restrittiva di quella prevista dal bando, o meglio dalle sue norme integrative.
Deve essere poi osservato che la stazione appaltante non propone alcuna giustificazione del suddetto contrasto.
Torva quindi applicazione il principio, affermato da Cons. Stato, V, 29.03.2004, n. 1660, secondo cui in tema di gare pubbliche, nel caso di contrasto tra il bando e la lettera di invito, prevale il primo, quale lex specialis della selezione concorsuale, non modificabile mediante lettera d'invito (nello stesso senso C.G.A., 18.05.2005, n. 349, Cons. Stato, II, 07.03.2001, n. 149/2001) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.07.2011 n. 4278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le spese contrattuali gravano sull’affidatario. La terminologia, anche generica di contraente, utilizzata nel r.d. del 1924 non è dirimente nel senso di ritenere che esse possano essere pretese solo dopo la stipulazione del contratto; anzi, la natura stesse di tali spese (imposte, bolli, ecc.) ne implica una contestualità/anteriorità con la stipulazione. D’altro canto l’art. 139 del d.p.r. 207/2010 chiarisce che le spese di contratto sono a carico dell’"affidatario”.
La vigente normativa preclude la stipulazione del contratto in ipotesi di mancanza attuale di correntezza contributiva, sicché la stazione appaltante correttamente ha preso atto dell’impossibilità di stipulare il contratto, unitamente alla circostanza correttamente già contestata, revocando l’affidamento con determinazione per tale profilo vincolata.

E’ pacifico che le spese contrattuali gravino sull’affidatario. La terminologia, anche generica di contraente, utilizzata nel r.d. del 1924 non è dirimente nel senso di ritenere che esse possano essere pretese solo dopo la stipulazione del contratto; anzi la natura stesse di tali spese (imposte, bolli, ecc.) ne implica una contestualità/anteriorità con la stipulazione. D’altro canto l’art. 139 del d.p.r. 207/2010 chiarisce che le spese di contratto sono a carico dell’"affidatario” (in tal caso quindi espressamente utilizzando una qualificazione che esclude l’intervenuta stipulazione del contratto).
La ricorrente deduce di avere eccepito in compensazione crediti derivanti dall’anticipata esecuzione dei lavori. Poiché per altro la stessa ricorrente dichiara che trattavasi di crediti che sarebbero emersi da un sal non ancora emesso, come eccepito dall’amministrazione, il credito eccepito in compensazione non era né liquido né esigibile sicché alcun onere dell’amministrazione vi era di considerarlo.
Né pare corretta la censura di “sproporzione” poiché rilevante è non tanto l’importo in contestazione quanto l’ostacolo che la condotta della ricorrente ha ingiustificatamente frapposto alla stipulazione del contratto; inoltre, a contrario, proprio l’indisponibilità a versare una somma non rilevante e comunque presupposta per la stipulazione del contratto poneva la vicenda contrattuale in inevitabile fase di stallo e risultava sintomatica di non solvibilità dell’impresa.
A ciò si aggiunga che, nelle more del procedimento di revoca, è emersa una inadempienza contributiva della ricorrente (per altro la seconda, essendone emersa una prima, poi sanata, a ridosso dell’aggiudicazione).
Sul punto occorre precisare che trova applicazione non solo l’art. 38 co. 2 lett. i), come sostenuto in ricorso, bensì l’art. 38 co. 3, quanto al rapporto tra correntezza contributiva e stipulazione del contratto; detto comma oltre alla verifica delle dichiarazioni rese in sede di partecipazione, tra cui quella di cui all’art. 38 lett. i), ai fini di una eventuale esclusione, per quanto in specifico riguarda l’”affidatario” e quindi la stipulazione del contratto, rinvia all’art. 2 del d.l. n. 210/2002 il quale recita: “Le imprese che risultano affidatarie di un appalto pubblico sono tenute a presentare alla stazione appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva a pena di revoca dell'affidamento”.
Si ritiene pertanto che la vigente normativa precluda la stipulazione del contratto in ipotesi di mancanza attuale di correntezza contributiva, sicché la stazione appaltante correttamente ha preso atto dell’impossibilità di stipulare il contratto, unitamente alla circostanza correttamente già contestata, revocando l’affidamento con determinazione per tale profilo vincolata.
Il regolamento del codice appalti prevede poi la verifica di gravità, con riscontro di almeno due durc negativi, nei confronti dell’appaltatore già firmatario del contratto; analoga previsione non è richiamata per quanto concerne le irregolarità riscontrate al momento della stipulazione del contratto (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.07.2011 n. 783 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICILa strada cede? Paga il comune.
Se il trattore resta drammaticamente coinvolto nel cedimento strutturale di una strada comunale spetta all'amministrazione ristorare economicamente gli eredi della vittima.

Lo ha evidenziato la Corte di cassazione, sez. III civ., con la sentenza 13.07.2011 n. 15384.
Un operatore che stava percorrendo una strada siciliana con il trattore è rimasto vittima di un grave incidente derivante dal ribaltamento del mezzo per cedimento della strada. A seguito della richiesta di risarcimento dei danni il tribunale ha rigettato la domanda ma la Corte d'appello ha ribaltato l'esito della vertenza condannando il comune al pagamento. La Cassazione ha confermato questa determinazione nonostante l'assoluzione in sede penale dei tecnici comunali.
L'incidente, specifica il collegio, è stato determinato dalla banchina cedevole ovvero dall'impossibilità per il conducente di accorgersi del rischio. Del resto è pacifico, prosegue la sentenza, che lo sfortunato conducente «circolava su strada rettilinea e pianeggiante, non procedeva a lavorazioni su terreni scoscesi o con notevole pendenza, per cui non aveva nessun obbligo di azionare il dispositivo di sicurezza» (articolo ItaliaOggi del 01.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTILa responsabilità precontrattuale della PA può prescindere dalla legittimità del suo operato.
Al fine del riconoscimento della responsabilità precontrattuale non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, bensì della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto.

Sulla base di questo principio il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 12.07.2011 n. 4196 ha riconosciuto la responsabilità precontrattuale per il comportamento tenuto da un Comune e dalla regione Toscana che dopo aver aggiudicato un appalto per la realizzazione di un termovalorizzatore hanno poi successivamente adottato atti e provvedimenti tali da rendere definitivamente impossibile la realizzazione dell’impianto.
In particolare, successivamente all’aggiudicazione dell’appalto, sull’area di realizzazione dell’impianto venivano posti una serie di vincoli ambientali, paesaggistico e archeologici che di fatto determinavano l’impossibilità della sua realizzazione.
Avverso tali provvedimenti la società aggiudicataria proponeva ricorso chiedendone l’annullamento e il risarcimento dei danni.
In seguito al giudizio di primo grado svolto dinanzi il TAR Toscana e nel quale erano state rigettate le richieste della ricorrente, veniva proposto appello al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato adito, pur riconoscendo la legittimità dei comportamenti delle Pubbliche amministrazioni che avevano determinato la revoca dell’appalto, ha sottolineato come “…ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della p.a., non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, bensì della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’articolo 1337 c.c.[…] Se ciò è vero, ne risulta confermata la configurabilità di cui all’art. 1337 cod. civ. anche nell’ipotesi in cui la mancata stipula del contratto sia dipesa da fattori non imputabili all’amministrazione (ad es., il factum principis ovvero il radicale mutamento della situazione di fatto sottesa alla vicenda di causa – Cons. Stato, sent. 1763 del 2006 cit.), laddove –tuttavia– l’amministrazione si sia comunque resa colpevole di un contegno non compatibile con il generale obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto sostanziale”.
In conformità a tale principio i giudici della VI sezione hanno riconosciuto la responsabilità del Comune e della Regione Toscana, per aver ritardato l’adozione di alcuni provvedimenti di loro competenza nonostante fossero già a conoscenza della sopravvenuta impossibilità di realizzazione dell’opera.
In merito al quantum del danno risarcibile è stato precisato come generalmente in materia di responsabilità precontrattuale sono risarcibili le spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto, nonché il ristoro della perdite, se adeguatamente provate, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti.
Tale criterio tuttavia è stato soggetto ad alcuni temperamenti da parte dei giudici della VI sezione in quanto, pur trattandosi di comportamento contrario a buona fede in senso soggettivo tenuto dall’amministrazione nel corso della fase precontrattuale, la mancata stipula del contratto “…non costituisca un effetto di tale comportamento, bensì l’effetto di fattori ulteriori autonomamente idonei, sotto il profilo causale, a determinare l’impossibilità di stipulare il contratto”.
Sulla base di queste considerazioni il Consiglio di Stato ha formulato il criterio in base al quale le amministrazioni condannate dovranno determinare la somma di denaro da proporre alla società appellante.
In conclusione con la sentenza in commento è stata valorizzata anche nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione la necessità del rispetto del principio di correttezza e buona fede il quale impone alle parti del rapporto il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Revisione prezzi va al Tar. Competente anche per quantificarne l'entità. Il Consiglio di stato ribalta la tesi del Tribunale amministrativo del Lazio.
Il giudice amministrativo è competente a decidere se vi sia diritto alla revisione prezzi e a quantificarne l'entità.
È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza 12.07.2011 n. 4165 che prende in considerazione alcuni profili di competenza in materia di controversie relative alla revisione prezzi (o, per meglio dire, di adeguamento dei prezzi contrattuali).
La controversia, riguardante un appalto di lavori realizzati in un cimitero, era stata già decisa dal Tar del Lazio che aveva escluso la possibilità che il giudice amministrativo potesse esprimersi, oltre che sul riconoscimento del diritto alla revisione prezzi (l'«an»), anche sul «quantum» della stessa. Per il Tar del Lazio: «L'eventuale controversia relativa alla determinazione dei criteri liquidatori e alla loro applicazione non può che essere ricompresa nella cognizione del giudice ordinario, involgendo in sostanza, le norme del contratto d'appalto che regolano il diritto alla revisione dei prezzi».
La sentenza di secondo grado, invece, ha ribaltato la tesi del Tar prendendo le mosse dal quanto dispone il Codice dei contratti pubblici afferma che, per effetto di quanto disposto prima dall'art. 244 del dlgs n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) e poi dall'art. 133, comma 1, lett. e), punto 2 del codice del processo amministrativo, l'ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ha ora una portata ampia e generale. Il Consiglio di stato ha ritenuto quindi che debba ritenersi superato il tradizionale orientamento interpretativo (fatto proprio dal Tar per il Lazio), secondo cui al giudice amministrativo spettavano le sole controversie in materia di «an» della pretesa alla revisione del prezzo, mentre competevano al giudice ordinario le questioni inerenti alla quantificazione del compenso.
Il Consiglio di stato ha affermato quindi, con fare tranchant, che «si deve quindi ritenere che, ai sensi delle citate disposizioni, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur (in termini: Cassazione civile, ss.uu. n. 13892 del 15.06.2009; n. 9152 del 17.04.2009; Consiglio di stato, sez. VI, n. 1247 del 03.03.2010; Consiglio stato, sez. V, n. 935 del 17.02.2010)». Parrebbe quasi che il Consiglio di stato voglia imputare al giudice di primo grado la mancata conoscenza della norma del processo amministrativo.
In ogni caso va ricordato, peraltro, che nella concreta determinazione del «quantum debeatur», è intervenuta la recente approvazione del cosiddetto «decreto sviluppo» che ha corretto la disposizione del Codice dei contratti pubblici, prevedendo che, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10% rispetto al prezzo rilevato dal ministero delle infrastrutture nell'anno di presentazione dell'offerta, la compensazione, in aumento o in diminuzione, si applica per la metà (e non più per l'intero) della percentuale eccedente il 10% (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Valutazione delle offerte da parte della commissione di una gara pubblica - Attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica – Presupposti.
Circa le modalità attraverso le quali le valutazioni svolte dalle Commissioni aggiudicatrici devono essere estrinsecate nei verbali di gara, la giurisprudenza ha chiarito che occorre che tali scelte siano motivate in forma intellegibile, sia per ovvie ragioni di trasparenza dell'azione dell'amministrazione (e per consentire così la comprensione delle scelte operate), sia per permettere alla stessa amministrazione di poter procedere all'aggiudicazione della gara e poi (eventualmente) al giudice amministrativo di poter effettuare il controllo di legittimità richiesto. Si è però anche chiarito che quanto più ampia e dettagliata è la griglia di valutazione, tanto più la motivazione, per i singoli aspetti presi in considerazione, può essere succinta fino a potersi esprimere con un giudizio molto sintetico o anche con un voto solo numerico (Consiglio di Stato, sez. V, n. 8410 del 03.12.2010).
Ne consegue che nella fase di valutazione delle offerte da parte della commissione di una gara pubblica, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è consentita quando il numero delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro i quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia sufficientemente analitico da delimitare il giudizio della commissione nell'ambito di un minimo e di un massimo, rendendo così evidente l'iter logico seguito nel valutare i singoli progetti sotto il profilo tecnico, in applicazione di puntuali criteri predeterminati, essendo altrimenti necessaria una puntuale motivazione del punteggio attribuito (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1583 dell'11.03.2011) (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.07.2011 n. 4163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara - Errore materiale nell'indicazione di un dato numerico - Soccorso istruttorio ai sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 - Necessità - Esclusione dalla gara - Illegittimità.
In ossequio al principio del favor partecipationis contenuto nell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (di portata ancora maggiore nella formulazione risultante all'esito delle modifiche apportante dal D.L. n. 70/2011) laddove la commissione di gara verifichi l'esistenza di un errore materiale o di altra irregolarità sanabile essa non può comminare l'esclusione dalla gara ma ha l'onere di richiedere chiarimenti in ordine al contenuto di un documento.
Ciò al fine di evitare che il numero dei concorrenti possa restringersi per carenze documentali di ordine formale e di orientare l'azione amministrativa sulla concreta verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo ai concorrenti (Fattispecie nella quale il ricorrente era stato illegittimamente escluso dalla procedura selettiva per essere incorso in un errore materiale nell'indicazione dell'ammontare del fatturato annuo dovuto all'errata apposizione di una virgola) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.07.2011 n. 1878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U. 12.07.2011 n. 160 "Testo del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, coordinato con la legge di conversione 12.07.2011, n. 106, recante: «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia.».
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N.B.: le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U. e cioè dal 13.07.2011.
Per comodità, si veda e si legga a confronto il testo del Decreto Sviluppo prima e dopo la conversione (link a www.leggioggi.it).

APPALTI: P. Corciulo, L'avvalimento (11.07.2011 - link a http://doc.sspal.it).

LAVORI PUBBLICI: P. Corciulo, Il sistema di qualificazione (11.07.2011 - link a http://doc.sspal.it).

APPALTI: P. Corciulo, Il subappalto (11.07.2011 - link a http://doc.sspal.it).

APPALTI SERVIZI: V. Avaltroni, L’assetto della disciplina del S.I.I. (Servizio Idrico Integrato) dopo il referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011 - note d’approfondimento (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Guida pratica per i contratti pubblici di servizi e forniture (a cura del Dipartimento per le Politiche di Gestione e di Sviluppo delle Risorse Umane):
- Vol. 3° - Il contratto ed il contenzioso.
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I primi due volumi sono stati qui pubblicati lo scorso 17.01.2011 e precisamente:
- Vol. 2° - L’evidenza pubblica;
- Vol. 1° - Il mercato degli appalti (N.B.: la stesura del volume è precedente all’approvazione del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti da parte del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il testo pertanto sarà aggiornato a cura degli autori nelle parti interessate dalle disposizioni di dettaglio contenute nel Regolamento).

APPALTIE' inammissibile l'impugnazione del bando da parte dell'impresa non partecipante.
Secondo un condiviso orientamento giurisprudenziale, è inammissibile l'impugnazione del bando da parte dell'impresa non partecipante, la quale deduca che la formulazione dello stesso è stata fatta in modo tale non da precludere assolutamente, ma soltanto da rendere non remunerativa, la partecipazione alla gara stessa (in tal senso TAR Lombardia Milano, I, 05.12.2008, n. 5755) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,  sentenza 08.07.2011 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bando di gara - Presentazione delle offerte - Plico e buste sigillati e controfirmati sui lembi di chiusura - Finalità della previsione - Nozione di “lembo di chiusura”.
La previsione del bando di gara, che impone la presentazione da parte dei concorrenti di plico e buste sigillati e controfirmati sui lembi di chiusura, risponde alla ratio di garantire la genuinità e paternità della domanda di partecipazione e della documentazione a questa allegata, la quale può essere assicurata solo se la sigillatura sia tale da impedire che il plico possa essere aperto senza che ne resti traccia visibile e possa essere anche solo teoricamente manomesso (vedi Consiglio di Stato, IV, 10.03.2011, n. 1553).
Tale previsione va, però, interpretata in maniera non formalistica al fine di garantire la massima partecipazione alla gara e la concorrenza tra gli operatori del settore.
Si è, pertanto, condivisibilmente ritenuto che per "lembo di chiusura" di una busta deve intendersi quello costituente l'imboccatura della stessa soggetto ad operazione di chiusura a sé stante, sicché è sufficiente che l'adempimento formale imposto al concorrente venga limitato ai lembi della busta chiusi dall’utilizzatore, con esclusione di quelli preincollati dal fabbricante (in tal senso Consiglio di Stato, VI, 04.06.2007, n. 2946 e 20.04.2006, n. 2200) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 1315 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTICONTRIBUTO DI GARA.
"L'unica prescrizione imposta dalla legge, ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità, attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito. Deve, conseguentemente, ritenersi illegittima la clausola del disciplinare di gara che impone, a pena di esclusione, l'osservanza di specifiche modalità del versamento anzidetto, così attribuendo rilievo a condotte non espressamente previste dalla legge e oltretutto violando il generale principio del favor partecipationis" (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 591).
In relazione alle concrete modalità di versamento dell'illustrato contributo di gara, è intervenuta, alla fine dello scorso anno, un'interessante pronuncia (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 16.12.2010 n. 6770). I giudici amministrativi toscani, in tale occasione, hanno posto in collegamento le modalità di corresponsione con il ben noto principio di proporzionalità ed hanno, significativamente, affermato che non appare conforme al medesimo "la clausola del bando di gara, prescrivente l'esclusione dell'impresa, che non osservi le previste modalità di corresponsione del contributo di gara. Infatti, la sanzione dell'espulsione dalla gara appare eccessiva e non proporzionata rispetto all'obiettivo di garantire il pagamento del dovuto contributo, dal momento che il pagamento medesimo è stato effettuato con tempestività, seppur con mezzo irregolare in quanto diverso da quelli contemplati".
In altri termini, è stato ben chiarito che le modalità di pagamento non possono che afferire ad elementi del tutto formali ed estranei alla finalità dell'istituto del contributo di gara.
Di conseguenza, tali concrete modalità devono essere attentamente verificate, ai fini della loro congruità e ragionevolezza, attraverso il filtro del principio di proporzionalità, il quale impone di tener conto dei seguenti due elementi di valutazione:
a) adeguamento del potere al fine da raggiungere;
b) realizzazione del fine con il minor pregiudizio degli interessi coinvolti.
In altri termini, occorre verificare se:
- la decisione amministrativa risulta funzionale rispetto alle finalità perseguite dalla Pubblica amministrazione e, quindi, adeguata rispetto alla funzione;
- se la medesima non risulti, ad ogni modo, eccessiva nella misura, cioè spropositata rispetto al perseguimento dell'interesse pubblico primario e tale da sacrificare "troppo" ed in modo ingiustificato gli altri interessi coinvolti nella procedura amministrativa.
La pronuncia in esame perviene ai medesimi approdi ermeneutici, raggiunti dal Tar Toscana, attraverso una diversa impostazione, che trae forza e linfa argomentativa dal primato dell'effettività.
Il Tar Bologna, primariamente, evidenzia che anche il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), al comma 12°, dell'articolo 8, conferma, seppur indirettamente, che il contributo di gara costituisce l'esclusivo strumento di finanziamento, per garantire l'attuazione dei suoi compiti istituzionali, stante l'espresso divieto di porre nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Chiarita l'assoluta importanza, anche in sede meta-giuridica, del contributo, il Tar Bologna riconsidera il già illustrato articolo 1, comma 67, della legge n. 266/2005, ove, in modo inequivoco, si stabilisce che il contributo medesimo costituisce una condizione di ammissibilità dell'offerta, nell'ambito delle procedure di gara.
Ma, è ciò rappresenta la fondamentale domanda, cos'è che realmente costituisce "condizione di ammissibilità"? L'intervenuto pagamento, comunque e tempestivamente effettuato od il pagamento effettuato mediante determinate modalità?
E' questo il "cuore" centrale del problema, che, da qualche anno, la giurisprudenza sta affrontando. Si è detto prima che il Tar Toscana ha affrontato e risolta le indicate questioni, facendo un corretto e condivisibile utilizzo del principio di proporzionalità.
Il Tar Bologna, nella sentenza in esame, si dimostra "maggiormente diretto", nel senso che perviene ai punti nodali della questione, senza alcuna intermediazione. Ad avviso dei giudici amministrativi bolognesi, "l'unica prescrizione imposta dalla legge ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito".
Gli importanti esiti ermeneutici, ricompresi in tale statuizione, possono essere così riassunti:
a) la normativa di settore impone solo l'effettivo versamento del contributo di gara;
b) le concrete modalità di corresponsione sono irrilevanti.
La conseguenza logica di tale impostazione è ovvia: ciò che è importante è che il contributo sia stato effettivamente corrisposto ed in modo tempestivo, cioè entro il termine di presentazione delle offerte. Se l'operatore economico comprova tale effettivo e tempestivo pagamento, non può, in alcun modo, procedersi all'esclusione, in quanto sono irrilevanti le modalità di pagamento, seppur previste (in modo irragionevolmente sbagliato) come "esclusive" in sede di disciplinare di gara.
Sulla base di tali condivisibili argomentazioni, il Tar Bologna qualifica come illegittima la clausola del disciplinare di gara, che impone, a pena di esclusione, l'osservanza di specifiche modalità del versamento anzidetto, in quanto attribuisce "rilievo a condotte non espressamente previste dalla legge e oltretutto violando il generale principio del favor partecipationis" (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Tassa sulle gare, versamento senza esclusioni.
L'unica prescrizione imposta dalla legge ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito.
Con la sentenza che si presenta, il giudice amministrativo si pronuncia in ordine alla disciplina, in sede di bando di gara, delle modalità di versamento della cosiddetta "tassa sulle gare", ovvero il contributo dovuto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ex art. 1, comma 67, L. 23.12.2005, n. 266.
Invero, tale contributo è dovuto per la partecipazione agli appalti pubblici, e va versato secondo le modalità, nell'ammontare e nei termini indicati dalla stessa Autorithy, con apposita delibera e relative istruzioni operative.
In particolare, va fatto osservare che le sopra richiamate modalità sono fissate in un atto di normazione secondaria (la suddetta deliberazione).
I soggetti vigilati, infatti, nell'adempiere all'onere di effettuare il versamento delle contribuzioni, debbono attenersi alle istruzioni operative pubblicate sul sito dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Inoltre, esse sono generalmente ribadite nel bando di gara predisposto dalla stazione appaltante.
E' jus receptum che il versamento della predetta tassa è condizione d'ammissibilità alla procedura di selezione del contraente, e che la mancata/insufficiente effettuazione del citato versamento costituisce ope legis legittima causa d'estromissione dalla gara d'appalto.
Infatti, il dibattito giurisprudenziale si è più di recente orientato sui vizi relativi alle modalità del versamento per opera dei partecipanti, piuttosto che alla relativa disciplina da parte della stazione appaltante.
S'inserisce in tale dibattito la sentenza 08.07.2011 n. 591, pronunciata dal TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, nella quale si afferma che il versamento della tassa sulle gare effettuato con modalità diverse da quelle impartite nel bando di gara può rappresentare una mera irregolarità, ma non una violazione di gravità tale da esigere un'apposita norma di esclusione del concorrente dalla procedura concorsuale.
Secondo il giudice emiliano, infatti, l'unica prescrizione imposta dalla legge ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito e, conseguentemente, deve ritenersi illegittima la clausola del disciplinare di gara che impone, a pena d'esclusione, l'osservanza di specifiche modalità del versamento anzidetto, così attribuendo rilievo a condotte non espressamente previste dalla legge e oltretutto violando il generale principio del favor partecipationis.
In altri termini: è illegittima la clausola di un bando che disponga l'esclusione da una gara d'appalto per versamento del contributo all'AVCP effettuato con modalità differenti rispetto a quelle richieste dalla lex specialis.
Dalla statuizione deriva l'inefficacia ex tunc del contratto stipulato con la ditta risultata aggiudicataria dell'appalto, stante l'annullamento degli atti presupposti e conseguenti allo svolgimento della gara medesima, con obbligo di riammissione del ricorrente alla selezione, prima ingiustamente pretermesso, per il riesercizio, da parte dell'Amministrazione, dell'attività tecnico-valutativa concernente le offerte presentate e la conseguente nuova aggiudicazione (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E’ consentito effettuare la richiesta di documentazione dei requisiti da parte dei concorrenti sia prima che dopo l’apertura delle buste.
E' sicuramente illegittimo il “modus procedendi” della commissione giudicatrice di un pubblico concorso che, dopo aver aperto le buste contenenti le domande di partecipazione, recanti l'indicazione dei nominativi e dei titoli in possesso dei partecipanti, proceda alla determinazione dei criteri di valutazione dei titoli da essi posseduti, atteso che la semplice apertura delle buste dà luogo alla conoscenza potenziale del contenuto e, quindi, all'oggettiva ed astratta possibilità che possa essere influenzata la fissazione dei criteri, con violazione della “par condicio”.

Osserva la Sezione che è sicuramente illegittimo il “modus procedendi” della commissione giudicatrice di un pubblico concorso che, dopo aver aperto le buste contenenti le domande di partecipazione, recanti l'indicazione dei nominativi e dei titoli in possesso dei partecipanti, proceda alla determinazione dei criteri di valutazione dei titoli da essi posseduti, atteso che la semplice apertura delle buste dà luogo alla conoscenza potenziale del contenuto e, quindi, all'oggettiva ed astratta possibilità che possa essere influenzata la fissazione dei criteri, con violazione della “par condicio”.
Eguale rigore non può, tuttavia, adottarsi in relazione alla fattispecie per cui è causa, atteso che la possibilità (a seguito della conoscenza della entità delle offerte, in pendenza del procedimento di verifica dei requisiti) di influenzare e determinare le sorti dell'aggiudicazione dell'appalto in dipendenza della risposta fornita o meno alla richiesta di documentazione dei requisiti da parte dei concorrenti sorteggiati appare astratta e niente affatto oggettiva.
Peraltro l’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 prevede, al comma 1, che le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Al comma 2, prevede che la richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati.
E’ quindi consentito, in base a dette disposizioni, effettuare detta richiesta sia prima che dopo l’apertura delle buste, il che esclude che il legislatore abbia voluto, con la disposizione in esame, impedire che possano essere influenzate e determinate le sorti dell'aggiudicazione dell'appalto in dipendenza della risposta fornita alla richiesta di documentazione.
Aggiungasi che deve concordarsi con il Giudice di prime cure che non è stato comunque provato che l’inversione de qua abbia compromesso la trasparenza e l’imparzialità della procedura, avendo formulato al riguardo l’appellante solo mere ipotesi ed avendo avanzato solo il “sospetto” che la conoscenza dei ribassi abbia potuto condizionare il seggio di gara, influenzandone le determinazioni in merito all’ammissione o all’esclusione delle imprese sorteggiate per la verifica.
Peraltro la stazione appaltante era tenuta a verificare secondo un criterio oggettivo i requisiti effettivamente posseduti dai partecipanti, sorteggiati ai fini del controllo, il che impediva apprezzamenti discrezionale circa il possesso degli stessi, che difficilmente avrebbero potuto essere falsati da essi partecipanti al surrettizio fine di falsare gli esiti della gara.
In ogni caso, la stazione appaltante ha asserito al riguardo che la verifica dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa era avvenuta mediante acquisizione dei dati del casellario delle imprese istituito presso l’Autorità di Vigilanza dei Lavori Pubblici con l’accertamento della sussistenza di eventuali annotazioni a carico delle imprese interessate ostative alla permanenza in gara, e che solo dopo tale verifica aveva proceduto all’apertura delle offerte economiche
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.07.2011 n. 4053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'art. 38, d.lgs. n. 163/2006 indica una differenza tra la regolarità contributiva richiesta al partecipante alla gara ai sensi del comma 1, lettera i), di detto articolo, e la regolarità contributiva richiesta all'aggiudicatario al fine della stipula del contratto.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta norma, può essere escluso solo in presenza di gravi violazioni, definitivamente accertate, sicché le violazioni non gravi, o ancora non definitive, non sono causa di esclusione.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta norma, può essere escluso solo in presenza di gravi violazioni, definitivamente accertate, sicché le violazioni non gravi, o ancora non definitive, non sono causa di esclusione. Invece, al fine della stipula del contratto, l'affidatario deve presentare la certificazione di regolarità contributiva ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 210/2002.
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La disposizione di cui all'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, deve essere interpretata nel senso che il concorrente, in presenza di un bando di gara che richieda genericamente una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui alla citata lett. i), possa essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l'eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato, e cioè non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, autonomamente dalle risultanze del D.U.R.C., mediante accertamenti ulteriori.

Osserva il Collegio che l'art. 38, d.lgs. n. 163/2006, come correttamente dedotto con l’atto di appello, indica una differenza tra la regolarità contributiva richiesta al partecipante alla gara ai sensi del comma 1, lettera i), di detto articolo, e la regolarità contributiva richiesta all'aggiudicatario al fine della stipula del contratto.
Infatti, il concorrente, ai sensi di detta norma, può essere escluso solo in presenza di gravi violazioni, definitivamente accertate, sicché le violazioni non gravi, o ancora non definitive, non sono causa di esclusione.
Invece, al fine della stipula del contratto, l'affidatario deve presentare la certificazione di regolarità contributiva ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 210/2002 (ex art. 38, co. 3, d.lgs. n. 163/2006, che prevede che “resta fermo, per l'affidatario, l'obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del decreto-legge 25.09.2002, n. 210, convertito dalla legge 22.11.2002, n. 266 e di cui all'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14.08.1996, n. 494 e successive modificazioni e integrazioni”); detto art. 2 del d.l. n. 210/2002, a sua volta, prevede il rilascio del D.U.R.C., che attesta contemporaneamente la regolarità contributiva quanto agli obblighi nei confronti dell'I.N.P.S., dell'I.N.A.I.L. e delle Casse edili.
La disposizione di cui all'art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, deve essere interpretata nel senso che il concorrente, in presenza di un bando di gara che richieda genericamente una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui alla citata lett. i), possa essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l'eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato, e cioè non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, autonomamente dalle risultanze del D.U.R.C., mediante accertamenti ulteriori (Consiglio Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 83).
Nel caso che occupa, tuttavia, la lettera di invito, sullo specifico punto non impugnata, prevedeva che la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere alla verifica d’ufficio, ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione “ai sensi dell’art. 38, comma 3, D.Lgs. 163/2006” nei confronti dei soggetti sorteggiati, cioè sulla base della certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, del d.l. n. 210/2002.
Non è quindi applicabile alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale per il quale l'art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 163 del 2006) deve essere interpretato nel senso che il principio dell'autonomia del procedimento di rilascio del D.U.R.C. impone che la stazione appaltante, pur dovendo basarsi sulle certificazioni risultanti da quest'ultimo documento (prendendole come un dato di fatto inoppugnabile), debba altresì valutare, innanzi tutto, se sussistono procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, o condoni, ed in secondo luogo se la violazione riportata nel DURC, in relazione all'appalto o fornitura in questione o alla consistenza economica della ditta concorrente o ad altre circostanze, risulti o no "grave” (Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6907).
Sulla base della clausola della lettera di invito, legittimamente, nel caso che occupa, la stazione appaltante ha fatto riferimento alle risultanze dei certificati di regolarità contributiva in questione, senza procedere ad ulteriori indagini.
Aggiungasi che, alla stregua di quanto chiarito con il d.m. 24.10.2007 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in attuazione dell'art. 1, co. 1176, l. n. 296/2006, si può affermare che il D.U.R.C. attesta solo le irregolarità contributive “definitivamente accertate”, e solo quelle che superano una “soglia di gravità”, fissata autonomamente dal citato d.m., con la conseguenza che la declaratoria di non regolarità contributiva è grave indizio, ai fini dell'art. 38, co. 1, lett. i), codice appalti, che sia stata commessa una violazione grave e definitivamente accertata.
La censura in esame non può quindi essere positivamente valutata, considerato altresì sia che al c.d. “principio sostanzialistico” non è possibile ricorrere quando una disposizione della "lex specialis", non impugnata, preveda espressamente una clausola di esclusione particolare rispetto alla normativa generale e sia che non risulta violato l’art. 29 della Direttiva del Consiglio 18.06.1992 92/50/CEE, richiamato dalla sentenza della Corte di Giustizia CE n. C-226/04 del 2006, perché (anche se il legislatore nazionale non ha previsto) la regolarizzazione successiva dell’inadempimento, tuttavia la stazione appaltante si è conformata a principi di trasparenza e par condicio, definendo in anticipo, con la clausola della “lex specialis” suddetta, le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione della gara de qua (
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.07.2011 n. 4053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sebbene la legge non qualifichi come perentorio il termine per la produzione della documentazione richiesta a comprova dei requisiti ai sensi dell'art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, l'orientamento prevalente ritiene che il termine in questione avrebbe natura perentoria perché, pur non essendo qualificato tale dalla lettera della norma, la perentorietà sarebbe insita nella automaticità della comminatoria prevista per la sua inosservanza.
Osserva il Collegio che, sebbene la legge non qualifichi come perentorio il termine per la produzione della documentazione richiesta a comprova dei requisiti ai sensi dell'art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, l'orientamento prevalente ritiene che il termine in questione avrebbe natura perentoria perché, pur non essendo qualificato tale dalla lettera della norma, la perentorietà sarebbe insita nella automaticità della comminatoria prevista per la sua inosservanza.
In conformità al principio generale per il quale il termine è perentorio solo ove sia espressamente qualificato come tale, o non sia stata apposta la specifica indicazione delle relative conseguenze, il seguente, comma 2, del citato art. 48, prevede, a differenza di quanto stabilito per il controllo a campione previsto dal comma 1 dello stesso articolo, un termine di natura ordinatoria per la presentazione dei documenti comprovanti il possesso dei requisiti di capacità economica-finanziaria e tecnico-organizzativa da parte dell'aggiudicatario provvisorio.
Identiche considerazioni vanno effettuate con riguardo al termine di dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, previsto dal comma 2 del ridetto art. 48 per l’inoltro della richiesta di prova del possesso dei requisiti anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati (
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.07.2011 n. 4053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Ai sensi dell'art. 24, c. 4, del D.Lgs. n. 93/2011, fino al 28.06.2011, sono legittime le gare bandite dai comuni per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale.
L'art. 24, c. 4, del D.Lgs. n. 93/2011, stabilisce che nel caso in cui gli enti locali, alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (28.06.2011), abbiano pubblicato bandi di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale e non siano pervenuti all'aggiudicazione dell'impresa vincitrice, possono procedere all'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale secondo le procedure applicabili alla data di indizione della relativa gara, senza dover attendere la determinazione degli ambiti, come invece richiesto dal D.M. del 19.01.2011.
Fatto salvo ciò, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (29.06.2011) le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all'art. 46-bis, c. 2, del d.l. 01.10.2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla l. 29.11.2007, n. 222 (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, ordinanza 07.07.2011 n. 1104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare d'appalto, per impugnare l'esclusione solo motivi specifici. Valida la valutazione sintetica della commissione.
Non e' sufficiente dedurre genericamente il difetto di motivazione del provvedimento di esclusione da una procedura di gara qualora la commissione non si sia limitata ad attribuire un mero punteggio numerico, ma abbia -sia pure sinteticamente- evidenziato per ogni offerta e per ciascuno dei criteri di valutazione, i punti di forza e quelli di debolezza.
L’oggetto della decisione in esame concerne l’impugnazione del provvedimento di esclusione di una ditta da una procedura di gara per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione presso le strutture dell’Azienda sanitaria unica regionale, nonché del relativo bando di gara.
Nello specifico, con il provvedimento impugnato l’A.S.U.R. aveva disposto l’esclusione della società ricorrente dalla fase di valutazione delle offerte economiche in quanto la stessa non aveva conseguito il punteggio tecnico minimo richiesto dal bando.
Di conseguenza, la predetta ditta ha gravato il menzionato provvedimento, eccependo, oltre al resto, che la lex specialis, pur indicando i criteri e sub-criteri di valutazione, non specificava i criteri motivazionali a cui la commissione si sarebbe dovuta attenere, così impedendo la verifica dei percorsi argomentativi con cui aveva assegnato i punteggi.
Tanto, a opinione della ricorrente, in violazione dell’obbligo di motivazione di cui agli artt. 79 e 83 del D.Lgs. n. 163/2006.
Con gravame aggiuntivo, la deducente, alla luce dell’avvenuta conoscenza dei verbali di gara, ha contestato il difetto di motivazione degli stessi provvedimenti, nonché l’illegittima introduzione da parte della commissione di un criterio di valutazione non previsto dal bando (e questo con specifico riferimento all’assegnazione del punteggio per la voce “numero dei dipendenti e monte ore annuo di servizio”).
Il Collegio di Ancona, in relazione alle censure afferenti il merito delle valutazioni compiute dalla commissione, ha ritenuto infondate tutte le obiezioni sollevate dalla deducente.
Sul punto, ha dapprima rigettato il motivo con cui si era lamentato che la commissione avesse introdotto un nuovo criterio di valutazione non previsto dal bando in relazione al “Numero dei dipendenti e monte ore annuo di servizio” e che non aveva comunque motivato congruamente il punteggio assegnato alla ricorrente.
Al riguardo, hanno precisato i Giudici marchigiani, tenuto conto della denominazione letterale del criterio, un parziale accoglimento del ricorso sarebbe stato “inverosimile”, poiché del tutto logico è apparso il criterio secondo cui, a fronte di un maggior numero di addetti e di ore annue, l’offerta doveva essere premiata in termini di punteggio.
Inoltre, per quel che concerne gli altri punteggi, l’adito TAR ha evidenziato come, a livello generale, non apparisse sufficiente, ai fini dell’accoglimento del ricorso, dedurre genericamente il difetto di motivazione, tanto più laddove la commissione non si era limitata ad attribuire il punteggio numerico, ma, sia pure sinteticamente, aveva evidenziato per ogni offerta e per ciascuno dei criteri di valutazione, i punti di forza e quelli di debolezza.
E infatti, ha precisato che, nella vicenda sottoposta al suo vaglio, la commissione, dopo aver evidenziato i punti di forza del progetto tecnico presentato dalla ricorrente, ha altresì sottolineato come le carenze dello stesso avevano determinato l’assegnazione di un punteggio tecnico inferiore a quello minimo richiesto dal bando di gara.
Da siffatta analisi, ha soggiunto il Collegio, le censure circa un presunto difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati non meritavano accoglimento in quanto non si poteva ritenere che la commissione avesse operato in modo superficiale o che non avesse dato conto delle ragioni per le quali aveva assegnato alle varie parti delle offerte certi punteggi anziché altri.
Invero, ha concluso il G.A. di Ancona, la ricorrente, al fine di mettere in dubbio l’operato della commissione, avrebbe dovuto procedere alla verifica dei singoli punteggi assegnati ai vari progetti tecnici presentati, nonché dei criteri di valutazione previsti dal bando e, qualora avesse riscontrato anomalie, avrebbe dovuto dedurre censure specifiche, in modo da indurre il Tribunale ad annullare gli atti di gara o, quantomeno, a disporre una consulenza tecnica per chiarire i punti controversi.
Diversamente, l’impugnazione in questione ha assunto un mero carattere “esplorativo”, in quanto, agli effetti finali, è stato chiesto al giudice di sostituire proprie valutazioni a quelle dell’organo a ciò preposto, le quali, oltre tutto, presentavano un margine di opinabilità soggettiva non sindacabile in sede giudiziaria.
Sotto tali profili, il ricorso è stato respinto, con conseguente declaratoria di legittimità degli atti impugnati e compensazione delle spese legali in ragione della complessità della questione esaminata (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Marche, sentenza 07.07.2011 n. 576 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici – Gara – Divieto di frazionamento dei requisiti per i RTI – Ricorso all’istituto dell’avvalimento - Provvedimento di esclusione – Illegittimità – Sussiste.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa per aver fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento, motivato su una disposizione del bando di gara che prescriveva il divieto di frazionamento dei requisiti per i raggruppamenti temporanei di imprese.
Il provvedimento di esclusione comminato dall'amministrazione procedente è irragionevole, in quanto la concorrente non si è presentata alla gara in raggruppamento con altre imprese, bensì singolarmente (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 06.07.2011 n. 5958 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Centrale di committenza - Scelta di un'Amministrazione di aderirvi - Facoltatività - Specifica motivazione dell'interesse pubblico - Non sussiste.
L'applicazione della fattispecie contrattuale della "Centrale di committenza" è giuridicamente qualificabile come contratto normativo e non postula un obbligo di adesione, con l'effetto che la decisione di aderire alla convenzione, resta pur sempre una scelta con l'unica differenza che non richiede da parte della amministrazione che se ne avvale una specifica motivazione dell'interesse pubblico che la sottende, in quanto l'individuazione del miglior contraente è avvenuta a monte nel rispetto dei principi comunitari (TAR Campania Napoli, sez. I, 04.11.2010, n. 22688).
In altri termini è l'ente che, nell'ambito della sua autonomia e nell'esercizio di un'attività non imposta ma consentita dalla legge, assume la decisione di avvalersi o di non avvalersi della convenzione con altri enti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.10.2010, n. 7261) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1819 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara pubblica - Aggiudicazione tramite procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando - Art. 57 del D.lgs. 163/2006 - Tassatività delle ipotesi di applicazione della procedura - Violazione - Caducazione di tutti gli atti di gara - Necessità di indire nuova gara ad evidenza pubblica.
E' principio consolidato che la procedura disciplinata dall'art. 57 del D.Lgs. 163/2006 abbia portata derogatoria rispetto alla regola secondo cui la procedura di evidenza pubblica costituisce un indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle amministrazioni (ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 28.01.2011, n. 642).
Ne discende che l'utilizzo di tale modulo procedurale, al di fuori delle ipotesi ivi tassativamente previste, vizia in radice gli atti posti in essere dall'Amministrazione che se ne avvalga, che vanno, pertanto, annullati con conseguente caducazione degli atti a valle eventualmente adottati in spregio all'ordinanza sospensiva, con conseguente obbligo per la stazione appaltante di provvedere ex novo mediante indizione di procedura ad evidenza pubblica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1814 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, per il mancato rispetto di semplici irregolarità formali, agevolmente percepibili come tali.
Secondo un consolidato principio giurisprudenziale, il mancato rispetto delle formalità richieste dal bando di gara, ancorché a pena di esclusione, deve essere interpretato alla luce del comune canone di ragionevolezza, ed in ossequio all'esigenza di assicurare la massima partecipazione alla gara, non legittima l'esclusione del concorrente ogniqualvolta questi sia incorso, come nel caso di specie, in una semplice irregolarità formale, immediatamente percepibile come tale ed insuscettibile di compromettere il regolare corso della procedura, avuto riguardo agli interessi pubblici presidiati dalla previsione invocata dalla stazione appaltante.
Nel caso di specie, l'impresa esclusa, contrariamente alle disposizioni del bando di gara, aveva contrassegnato i plichi contenenti la documentazione amministrativa, mediante la medesima numerazione. La corretta identificazione delle buste non investe elementi sostanziali dell'offerta, ma ha la funzione di permetterne l'apertura nel corretto ordine; né detta funzione può dirsi pregiudicata dall'erronea numerazione dei plichi, grazie alla corretta indicazione del contenuto riportata sui plichi stessi.
Peraltro, in siffatta ipotesi, l'amministrazione procedente avrebbe dovuto richiedere chiarimenti alle imprese interessate, esercitando quella facoltà, di carattere generale, che si collega proprio all'esigenza di evitare che la massima partecipazione alle gare sia compromessa da carenze meramente formali (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.07.2011 n. 1155 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: 1. Escussione cauzione provvisoria in tutti i casi di mancata conferma dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione.
2. Sull'obbligo di intestazione della cauzione provvisoria, in caso di RTI, in capo a mandanti e mandatarie.

1. Nell'appalto dei lavori pubblici, l'escussione della cauzione provvisoria ai sensi dell'art. 10 L. 11.02.1994 n. 109, il cui scopo è liquidare in via forfetaria il danno subito dalla Stazione appaltante per omessa stipulazione del contratto per fatto imputabile all'aggiudicatario provvisorio, riguarda non solo l'assenza della capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa di questi, ma anche tutti i casi in cui abbia prodotto dichiarazioni non confermate dal successivo riscontro della relativa documentazione o abbia effettuato false dichiarazioni (Cons. Stato, Sez. V, 29.12.2009, n. 8908; Sez. IV, 07.06.2005, n. 2933).
2. Nel caso di partecipazione di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese ad una gara d'appalto, la polizza fideiussoria, mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria, deve essere intestata non solo alla società capogruppo ma anche alle mandanti che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, ciò al fine di evitare il configurarsi di una carenza di garanzia per la Stazione appaltante con riferimento a quei casi in cui l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata ma dalle mandanti (TAR Valle d’Aosta, 14.01.2010, n. 6; TAR Sicilia, Ct, Sez. III, 26.10.2009, n. 1744) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.07.2011 n. 1146 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di costituenda associazione temporanea d'imprese (ATI), la cauzione provvisoria deve essere intestata a tutte le imprese associate.
In tema di contratti pubblici, vige la regola per cui, nel caso di costituenda associazione temporanea d'imprese, la cauzione provvisoria deve essere intestata a tutte le associate, che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, diversamente configurandosi una carenza di garanzia per la stazione appaltante quante volte l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle mandanti; pertanto, il fidejussore deve richiamare la natura collettiva della partecipazione alla gara di più imprese, identificandole singolarmente e contestualmente e deve dichiarare di garantire con la cauzione provvisoria non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara, obbligo prettamente solidale nell'ipotesi di partecipazione in r.t.i. e presentazione di un'unica offerta a tale centro di imputazione riconducibile.
Proprio la natura di garanzia per la stazione appaltante e la funzione aggiuntiva di risarcimento "forfetario" del maggior danno pretendibile nei confronti dell'impresa escussa non solo comportano che la responsabilità delle false dichiarazioni è ascrivibile all'intera compagine associanda sotto il profilo della garanzia prestata e della relativa escussione ma anche che non è possibile compensare il maggior danno eventualmente subito dalla stazione appaltante dall'aggiudicazione ad un'offerta potenzialmente più onerosa, come pure lamentato dalla ricorrente (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 06.07.2011 n. 1146 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Cause di esclusione ex art. 38 d.lgs n. 163/2006 - Bando - Generica richiesta di dichiarazione di insussistenza - Valutazione di gravità compiuta dal concorrente - Cause di esclusione formali e sostanziali.
Laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta <<falsa>> (Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244; Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n. 945,).
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1021 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIREGOLARIZZAZIONE DOCUMENTALE.
"L'articolo 46 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) ed il relativo dovere di soccorso alle imprese non è invocabile, quando la procedura di gara è prevenuta alla fase di valutazione dell'offerta. Invero, il perimetro applicativo del citato articolo resta circoscritto e contenuto alla fase della prequalificazione, atteso che la norma dispone che la stazione appaltante invita i concorrenti a chiarire il contenuto di dichiarazioni o documenti presentati in sede di offerta ed è doverosamente delimitato temporalmente e confinato alla fase nella quale l'Amministrazione deve ammettere alla gare le imprese. Viceversa, la norma non può trovare applicazione per interpretare, chiarire, completare dati afferenti alla successiva fase dell'offerta in senso proprio, pena la violazione della par condicio" (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 739).
Quando il Tar parla della "prequalificazione" intende riferirsi alla fase, preliminare all'apertura del plico contenente l'offerta, in cui si effettua l'esame della completezza e della validità delle previste autodichiarazioni e presentazioni di documenti. Allora, solo in tale fase, ad avviso dei giudici piemontesi, è possibile "completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati".
Nella successiva fase, cioè quella dell'apertura e della valutazione dell'offerta, la regolarizzazione non è più possibile. Orbene, anche alla luce delle precedenti sentenze riportate, occorre prendere atto che si è in presenza di un orientamento, confermato anche dalla pronuncia in esame, diretto ad operare una diversa restrizione del potere di regolarizzazione. Non più solo chiarificazione di documenti già presentati e divieto di integrazione, ma limitazione della portata prescrittiva dell'intera disposizione normativa alla sola fase della "prequalificazione", cioè quella antecedente all'apertura del plico contenente l'offerta.
Invero, deve osservarsi che il 1° comma dell'articolo 46 del Codice fa riferimento al "contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati". Ora, dal momento che anche l'offerta sembra costituire una "dichiarazione", per cui potrebbe agevolmente rientrare nell'alveo precettivo della norma in esame, l'orientamento giurisprudenziale indicato opera una significativa esegesi della disposizione, che sembra travalicare l'elemento puramente letterale (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il dovere di soccorso ex art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti) non è esercitabile in sede di offerta pena l'alterazione della par condicio.
Il DUVRI (documento valutazione rischi) presuppone che l'amministrazione abbia valutato l'esistenza di interferenze tecniche con scelta discrezionale.

L'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti) ed il relativo dovere di soccorso alle imprese non è invocabile, quando la procedura di gara è prevenuta alla fase di valutazione dell'offerta.
Invero, il perimetro applicativo del citato art. 46 resta circoscritto e contenuto alla fase della prequalificazione, atteso che la norma dispone che la stazione appaltante invita i concorrenti a chiarire il contenuto di dichiarazioni o documenti presentati in sede di offerta ed è doverosamente delimitato temporalmente e confinato alla fase nella quale l'Amministrazione deve ammettere alla gare le imprese.
Viceversa la norma non può trovare applicazione per interpretare, chiarire completare dati afferenti alla successiva fase dell'offerta in senso proprio, pena la violazione della par condicio.
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Il DUVRI presuppone che la stazione appaltante abbia previamente valutato l'esistenza di interferenze tecniche correlate all'espletamento del servizio, rientrando pertanto nella sua discrezionalità tecnica predisporre il Documento già in fase di redazione del contratto d'appalto ovvero rinviarne l'elaborazione una volta prescelto l'aggiudicatario (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 739 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Le indicazioni fornite dalla stazione appaltante nella modulistica "ufficiale", difformi rispetto alle prescrizioni della lex specialis, non possono pregiudicare la partecipazione alla gara del concorrente.
La circostanza che un concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla medesima stazione appaltante nella modulistica "ufficiale" non può andare in danno del medesimo, se detta modulistica risulta poi non esattamente conforme alle prescrizioni della "lex specialis” di gara; deve prevalere in tal caso, a fronte di una obiettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dalla stazione appaltante e della buona fede che va riconosciuta al concorrente, il principio del “favor partecipationis”.
La carenza riscontrata non poteva pertanto comportare l'esclusione dalla procedura concorsuale del concorrente interessato (la stazione appaltante,  semmai, avrebbe potuto invitare il concorrente stesso ad integrare la documentazione carente, ferma restando, in caso di aggiudicazione, la verifica dell’effettivo possesso anche dei requisiti di cui si tratta).
Nel caso che occupa la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di cui all’art. 28 del d.P.R. n. 34/2000 era espressamente richiesta dal disciplinare di gara, alla voce riguardante "Modalità di presentazione e criteri di ammissibilità delle offerte", con riguardo ai documenti che dovevano essere contenuti nella busta "A", a pena di esclusione, con specifico riferimento alla ipotesi che il concorrente non fosse in possesso dell'attestato SOA.
Il modello di dichiarazione sostitutiva predisposto dalla stazione appaltante, allegato al disciplinare, e poi effettivamente utilizzato dalle società di cui trattasi, non conteneva invero alcun riferimento alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti ex art. 28 del citato d.P.R. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.07.2011 n. 4029 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTIAppalti, unica regia. Ecco la stazione su base regionale. Firmato il decreto. E le p.a. locali sosterranno i costi.
Al via la stazione unica appaltante, su base regionale, cui potranno fare riferimento le amministrazioni statali, le regioni e gli enti locali come centrale di committenza per l'affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi; alla stazione unica appaltante (SUA) gli enti rimborseranno i costi sostenuti e il rapporto fra l'ente e la SUA sarà definito da apposita convenzione.
È quanto prevede il dpcm firmato dal presidente del consiglio dei ministri e dai ministri Maroni, Alfano, Romani, Matteoli, Sacconi, Fitto e Brunetta sulla stazione unica appaltante previsto dall'art. 13 della legge 13.08.2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie approvato dal consiglio dei ministri il 28.01.2010).
Il decreto è finalizzato a promuovere l'istituzione in ambito regionale di una o più stazioni uniche appaltanti con l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Il ricorso alla stazione unica appaltante (una o più su base regionale) non rappresenterà un obbligo per le amministrazioni ma una facoltà; potranno aderire alla SUA lo stato, le regioni, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni e concorsi di enti pubblici, le imprese pubbliche e i soggetti che operano in virtù di un diritto speciale o di esclusiva.
Nello svolgimento della funzione di centrale di committenza (che in base al Codice dei contratti pubblici si esplica nell'acquisizione di forniture, lavori e servizi destinati ad altre amministrazioni e nell'aggiudicazione di appalti o nella conclusione di accordi quadro) rientra in generale l'attività di «gestione della procedura di gara», ma anche la collaborazione con l'ente che ha aderito alla SUA per la messa a punto dello schema di contratto, la scelta della procedura di gara, la predisposizione dei capitolati speciali e generali, l'applicazione dei criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, quale criterio di aggiudicazione utilizzare e per predisporre tutti gli atti di gara (bando, disciplinare e lettere di invito).
La SUA dovrà inoltre prendersi carico dello svolgimento della procedura di gara, curando anche la fase di pubblicità e le comunicazioni agli interessati, oltre a effettuare anche le verifiche in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione; sempre alla SUA spetta il compito di nominare la commissione giudicatrice (in caso di aggiudicazione con offerta economicamente più vantaggiosa), curare gli eventuali contenziosi e infine collaborare con l'ente per la stipula del contratto.
Il decreto definisce i contenuti essenziali della convenzione facendo particolare riferimento, all'ambito di applicazione della convenzione (cioè la o le procedure interessate), ai profili attinenti il rimborso dei costi sostenuti della SUA, alla suddivisione degli oneri relativi ai contenziosi, all'obbligo di trasmissione, da parte dell'ente aderente, alla SUA e alla prefettura, dei contratti stipulati e delle varianti intervenute nel corso dell'esecuzione dei contratti.
Per quel che riguarda le forme di monitoraggio e di controllo sugli appalti il dpcm prevede un serrato collegamento fra prefetture, soggetto cui dovranno affluire tutte le informazioni e i dati utili alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e SUA, alla quale le prefetture metteranno a disposizione le informazioni sulle imprese partecipanti alla gara.
Chi aderisce alla SUA potrà invece delegare la verifica dei progetti e l'esame delle varianti al provveditorato interregionale per le opere pubbliche. L'ente interessato ad avvalersi della SUA dovrà stipulare una convenzione per disciplinare la collaborazione (articolo ItaliaOggi del 05.07.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Ricorsi appalti, contributo unificato doppio.
Ritocco all'aumento del contributo unificato per i ricorsi sugli appalti: è (solo) raddoppiato. Per tutte le controversie, a prescindere dal valore.
Questa la versione della manovra Tremonti nel testo inviato al Quirinale, che non contiene la novella alla legge Pinto sull'indennizzo per processi troppo lunghi e neppure la sospensione dei processi agli irreperibili. Anche se spunta una sospensione d'ufficio delle sentenze civili esecutive, dietro pagamento di cauzione.
Sul contributo unificato il testo della manovra, nell'ultima versione, prevede che per i ricorsi sugli appalti (articolo 119, comma 1, lettere a) e b) del codice del processo amministrativo, dlgs 104/2010), il contributo dovuto è di 4 mila euro. Si tratta del raddoppio rispetto all'importo attualmente dovuto, pari a 2 mila euro. Insomma un incremento deciso, anche se di importo più basso rispetto a una versione antecedente del decreto-legge.
Scorrendo i testi precedenti si trovava, infatti, un incremento progressivo per fasce di valore: si prevedeva il contributo dovuto di 3 mila euro per le controversie è pari o inferiore ad euro 200 mila; di euro 4 mila per quelle di importo compreso tra 200 mila euro e un milione; di euro 5 mila per le controversie di valore superiore a un milione.
Peraltro il risultato finale non dovrebbe pesare sulla finanza pubblica, considerato che l'aumento a 4 mila euro si applica anche alle controversie per cui si prevedeva solo un aumento a 3 mila euro.
Il risultato peserà di certo sulle spalle di chi vuole difendersi in giudizio; anche le pubbliche amministrazioni dovranno fare molta attenzione al contenzioso. Una eventuale soccombenza comporterà un potenziale rimborso di somme molto alte: anche il solo rimborso del contributo unificato può raggiungere cifre salate: si pensi al rimborso del contributo pagato per il ricorso e per un successivo atto di motivi aggiunti e la restituzione tocca già 8 mila euro.
La manovra contiene, infine, due novità per il codice di procedura civile e, in particolare, per il regime della sospensione delle sentenze esecutive nella pendenza di giudizi di impugnazione. Con una aggiunta all'articolo 283 del codice di procedura civile si prevede che la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte che ne fa istanza presta idonea cauzione.
Allo stesso modo all'articolo 373 si prevede che la sospensione della sentenza impugnata in cassazione è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro dietro idonea cauzione (articolo ItaliaOggi del 05.07.2011).

APPALTI: Nella materia delle procedure di evidenza pubblica, la nozione di "offerta condizionata" non coincide con la figura civilistica della "condizione" intesa come evento futuro ed incerto da cui si fa dipendere l'efficacia del negozio, ma ricorre quando l'offerente subordina il proprio impegno contrattuale a che la controparte accetti una controproposta concernente un patto aggiuntivo o modificativo rispetto allo schema proposto dalla stazione appaltante; di conseguenza essa è inammissibile, atteso che le regole dell'evidenza pubblica esigono la perfetta conformità tra il regolamento contrattuale predisposto dalla stazione appaltante e l'offerta presentata dal candidato. In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa partecipante può dirsi condizionata e, quindi, inammissibile, quando il concorrente subordina la sua adesione al contratto a condizioni estranee all'oggetto del procedimento ovvero ad elementi non previsti nelle norme di gara o di capitolato.
Recenti pronunce giurisprudenziali hanno chiarito che, nella materia delle procedure di evidenza pubblica, la nozione di "offerta condizionata" non coincide con la figura civilistica della "condizione" intesa come evento futuro ed incerto da cui si fa dipendere l'efficacia del negozio, ma ricorre quando l'offerente subordina il proprio impegno contrattuale a che la controparte accetti una controproposta concernente un patto aggiuntivo o modificativo rispetto allo schema proposto dalla stazione appaltante; di conseguenza essa è inammissibile, atteso che le regole dell'evidenza pubblica esigono la perfetta conformità tra il regolamento contrattuale predisposto dalla stazione appaltante e l'offerta presentata dal candidato (TAR Umbria Perugia, sez. I, 11.06.2010, n. 369).
In sostanza, dunque, l'offerta dell'impresa partecipante può dirsi condizionata e, quindi, inammissibile, quando il concorrente subordina la sua adesione al contratto a condizioni estranee all'oggetto del procedimento ovvero ad elementi non previsti nelle norme di gara o di capitolato (TAR Umbria Perugia, sez. I, 13.04.2010, n. 239)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 04.07.2011 n. 5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La cauzione provvisoria deve essere riportata all’istituto della caparra cofirmataria: la sua ratio consiste infatti nell’garantire la serietà e affidabilità dell'offerta ovvero nel fornire una garanzia per la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario.
Le stazioni appaltanti non sono libere di decidere di non avvalersi della cauzione provvisoria, richiedendo ad esempio solo la cauzione definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n. 163/2006 ovvero consentendo comunque la partecipazione anche delle imprese che non l’abbiano prestata. Pertanto, anche nel caso in cui il bando non contempli la sanzione dell’esclusione per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, l’offerta che non sia corredata dalla cauzione provvisoria deve ugualmente essere dichiarata inammissibile, essendo la cauzione provvisoria un elemento essenziale dell’offerta.
La regolarizzazione documentale (in sede di gara) può riguardare solo gli aspetti non essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione provvisoria costituisce un elemento essenziale dell'offerta e, pertanto, non può esserne richiesta la regolarizzazione dopo che siano scaduti i termini per la presentazione di essa. La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione è ammissibile, nel rispetto della par condicio tra i concorrenti, solo per l'integrazione e la regolarizzazione della documentazione di gara che sia già stata prodotta.

L’art. 75 del codice dei contratti prevede al comma 1 come obbligatoria la prestazione della cauzione provvisoria, che deve corredare l’offerta. Essa, pari al 2% del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, può avere la forma di cauzione o di fideiussione. L’art. 75, comma 8, prevede inoltre che l’offerta debba essere inoltre corredata, a pena di esclusione, dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, qualora l’offerente risultasse aggiudicatario.
Rileva in primo luogo il collegio che la cauzione provvisoria, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa e confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, deve essere riportata all’istituto della caparra cofirmataria: la sua ratio consiste infatti nell’garantire la serietà e affidabilità dell'offerta (cfr. Cassazione civile, sez. un., 04.02.2009, n. 2634 e TAR Lazio Roma, sez. I, 19.03.2010, n. 4321), ovvero nel fornire una garanzia per la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario (TAR Lazio Roma, sez. III, 15.01.2010, n. 280).
Si tratta di un istituto di rilevante importanza in quanto è posto a presidio dell’interesse della amministrazione a non essere coinvolta in contrattazioni non serie.
La norma, data la sua centralità nel sistema disegnato dal codice dei contratti, non può essere derogata dal bando poiché altrimenti verrebbe ad essere vanificato il controllo sulla sussistenza dei requisiti dei partecipanti alla gara ai sensi dell’art. 48, che prevede come sanzione appunto l’incameramento della cauzione provvisoria e l’amministrazione inoltre verrebbe ad essere privata della possibilità di rivalersi immediatamente su di una somma già disponibile per il caso di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario (salva la possibilità di agire per l’ulteriore danno).
Va inoltre rilevato che l’art. 75 è costruito come norma imperativa, in quanto la possibilità per le amministrazioni procedenti di disporre –nel bando- diversamente da quanto in essa previsto è limitata alla sola questione della durata della garanzia (art. 75, comma 5). Per il resto, lo stesso art. 75 disciplina in modo completo e dettagliato ogni aspetto della prestazione della cauzione.
Sulla base di tali argomentazioni deve affermarsi –come peraltro già rilevato in giurisprudenza– che le stazioni appaltanti non siano libere di decidere di non avvalersi della cauzione provvisoria, richiedendo ad esempio solo la cauzione definitiva, di cui all’art. 113 d.lgs. n. 163/2006 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3746) ovvero consentendo comunque la partecipazione anche delle imprese che non l’abbiano prestata. Pertanto, anche nel caso in cui il bando non contempli la sanzione dell’esclusione per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, l’offerta che non sia corredata dalla cauzione provvisoria deve ugualmente essere dichiarata inammissibile, essendo la cauzione provvisoria un elemento essenziale dell’offerta (Cons. di Stato sez. IV, n. 7380 del 15.11.2004).
Nel caso in esame, peraltro, al punto 7 del bando, la stazione appaltante aveva espressamente richiamato l’art. 75 del codice dei contratti. Risulta pertanto irrilevante la circostanza che non fosse espressamente prevista anche la sanzione dell’inammissibilità per la mancata prestazione della cauzione provvisoria, giacché –come si è visto– l’art. 75 deve essere letto nel senso di imporre l’esclusione di una impresa che non abbia prestato la dovuta cauzione provvisoria.
Tanto chiarito, appare evidente come non fosse possibile ricorrere alla regolarizzazione di cui all’art. 46 del codice dei contratti.
Infatti, la regolarizzazione può –secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale– riguardare solo gli aspetti non essenziali dell’offerta. Invece, la cauzione provvisoria costituisce –come si è visto- un elemento essenziale dell'offerta e, pertanto non può esserne richiesta la regolarizzazione dopo che siano scaduti i termini per la presentazione di essa (cfr. in termini TAR Campania Salerno, sez. I, 17.01.02008, n. 55, Cons. di Stato sez. V, n. 1495 del 13.03.2002, TAR Veneto n. 1145 del 21.04.2004; TAR Veneto n. 1325 del 13.04.2002 e in un caso di difformità della cauzione provvisoria prestata rispetto alle prescrizioni del bando, TAR Lazio Roma, sez. III, 04.08.2006, n. 6915).
La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la regolarizzazione è ammissibile, nel rispetto della par condicio tra i concorrenti, solo per l'integrazione e la regolarizzazione della documentazione di gara che sia già stata prodotta (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 14.02.2006, n. 1066 che non ha consentito, dopo lo spirare del prescritto termine, la sostituzione della polizza fideiussoria costituente cauzione).
Nemmeno può valorizzarsi, infine, ad avviso del collegio, quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la sussistenza di un affidamento incolpevole da parte della controinteressata a fronte di clausole ambigue del bando giustifica il ricorso alla regolarizzazione, nel rispetto del favor partecipationis (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. III, 16.12.2008, n. 2355)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 04.07.2011 n. 5827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: Art. 7 D.L. n. 70/2011 - c.d. Decreto sviluppo - prime indicazioni operative (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 04.07.2011 n. 16/2011).

APPALTI: F. Gavioli, Regolamento appalti, una check list per le offerte anomale (link a www.ipsoa.it).

APPALTISUBAPPALTO.
Nelle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici, la dichiarazione resa dalla ditta appaltante all'atto della presentazione dell'offerta, secondo cui la stessa si riserva di subappaltare alcuni lavori in caso di aggiudicazione, costituisce un presupposto essenziale, non ai fini della partecipazione alla gara, ma in vista della successiva autorizzazione della stazione appaltante.
In ogni caso, l'indicazione delle imprese subappaltatrici deve essere effettuata in sede di deposito del contratto presso la stazione appaltante, e non in corso di esecuzione del contratto (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 01.07.2011 n. 5806 - tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'ammissione ad una gara di un concorrente che abbia dichiarato di voler ricorrere al subappalto, senza tuttavia indicare il subappaltatore, né i requisiti di partecipazione da quest'ultimo posseduti.
Ai sensi dell'art. 118 del d.lgs. n. 163/2006, le dichiarazioni relative al subappalto possono essere rese in fase esecutiva, ma solo qualora l'appaltatore abbia i requisiti per eseguire in proprio l'opera senza ricorrere al subappalto.
Infatti, in mancanza del possesso dei requisiti da parte dell'appaltatore, il ricorso al subappalto si configura alla stregua di un avvalimento, con conseguente obbligo delle dichiarazioni al momento dell'offerta, così come previsto dall'art. 49 del d.lgs. n. 163/2006.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo il provvedimento di ammissione ad una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, essendo privo dei requisiti necessari per partecipare alla procedura, abbia dichiarato di voler ricorrere al subappalto, senza tuttavia indicare il subappaltatore, né i requisiti di partecipazione da quest'ultimo posseduti (TAR Lazio-Sez. III, sentenza 01.07.2011 n. 5806 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Subappalto e dichiarazioni obbligatorie.
Il concorrente, qualora sprovvisto dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, ha l’obbligo di indicare espressamente il soggetto subappaltatore ed il possesso dei requisiti da quest’ultimo posseduti.

Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez. III, con la sentenza 01.07.2011 n. 5806, nell’ambito di una gara per l’affidamento dei lavori di manutenzione di edifici universitari.
Nel caso in esame l’aggiudicatario aveva proposto ricorso incidentale nei confronti di una delle concorrenti che a sua volta aveva impugnato dinanzi ai Giudici di primo grado l’avvenuta aggiudicazione.
Oggetto del ricorso incidentale era in particolare l’illegittimità dell’ammissione alla gara perché nella domanda di partecipazione non sarebbero stati indicati i subappaltatori oltre al fatto che il ricorrente principale sarebbe stato sprovvisto dei requisiti per assumere direttamente le opere per cui aveva dichiarato il subappalto.
I Giudici di prime cure ritengono fondata la domanda proposta dall’aggiudicatario sull’assunto che “L'affidamento in subappalto o in cottimo è sottoposto alle seguenti condizioni:
1) che i concorrenti all'atto dell'offerta o l'affidatario, nel caso di varianti in corso di esecuzione, all'atto dell'affidamento, abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo;
2) che l'affidatario provveda al deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle relative prestazioni;
3) che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l'affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui all'articolo 38;
4) che non sussista, nei confronti dell'affidatario del subappalto o del cottimo, alcuno dei divieti previsti dall'articolo 10 della legge 31.05.1965, n. 575, e successive modificazioni
.”
Su quale debba essere l’esatta interpretazione dell’art. 118 del D.Lgs. 163/2006, la giurisprudenza ha più volte sostenuto che la mancata o incompleta dichiarazione non incide sulla partecipazione ma esclusivamente sulla possibilità di ricorrere al subappalto (Consiglio di Stato n. 3969/2009; Consiglio di Stato 9577/2010).
Questa interpretazione presuppone tuttavia che l’appaltatore possegga i requisiti per eventualmente eseguire l’opera, viceversa si correrebbe il rischio che possa realizzare l’opera un soggetto sprovvisto dei requisiti necessari, “con inutilità di tutto il sistema di qualificazione dei lavori pubblici.”
In conclusione, tali considerazioni derivano dal prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale in caso di mancanza dei requisiti da parte dell’appaltatore il ricorso al subappalto è sostanzialmente un avvalimento, con la conseguente applicazione del regime delle dichiarazioni previste dall’art. 49 del Codice dei contratti (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti e presentazione delle offerte, al bando chi non rispetta il bando!
La presentazione delle offerte nei bandi di gara pubblici deve essere effettuata secondo le indicazioni richieste dal bando di gara; la ditta partecipante rischia di essere estromessa dalla gara qualora presenti le offerte con caratteristiche non previste dal bando.
La questione.
I giudici amministrativi hanno affrontato un caso molto particolare che però ci è utile per comprendere l’argomento oggetto del presente commento: come la presentazione delle offerte nei bandi di gara devono essere pedissequamente osservate dai partecipanti all’appalto.
Il caso preso in esame dai giudici amministrativi riguarda l’impugnazione, da parte di una società, della comunicazione di esclusione dalla gara per l'affidamento della fornitura di sistemi, infrastrutture tecnologiche e servizi per l'archivio digitale e cartaceo di una provincia pugliese; il motivo dell’esclusione è che il plico dell'offerta tecnica non contiene il CD con i files su PDF come espressamente previsto a pena d’esclusione dal disciplinare di gara.
Il disciplinare di gara, infatti, prevede espressamente che “ai fini di una più agevole consultazione, dovrà essere consegnata a pena di esclusione una copia dell'offerta tecnica in formato elettronico PDF memorizzato su supporto non modificabile (es. CD.R o DVD.R) includendo gli eventuali allegati”.
La procedura semplificata.
Per la risoluzione del caso è stata attuata la procedura semplificata di cui all’articolo 60 del nuovo codice del processo amministrativo. Il Codice del processo amministrativo approvato con il decreto legislativo 02.07.2010, n. 104, conferma la cd. definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, ovvero la possibilità che il collegio definisca direttamente la causa in sede di decisione della domanda cautelare.
E si ha salvezza del diritto di ciascuna delle parti di chiedere termini per proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di giurisdizione o di competenza. In tal caso, ove necessario, il collegio dispone l’integrazione del contraddittorio e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.
La mancanza di questa previsione era innanzi avvertita quale problematica, in quanto la decisione di definire il giudizio nel merito da parte del giudice, non permetteva alla parte di lamentare ulteriori profili dell’atto, tramite ricorso incidentale o proposizione di motivi aggiunti.
La decisione dei giudici amministrativi.
I giudici amministrativi della Puglia ritengono che il ricorso presentato dalla ditta avverso l’esclusione dalla partecipazione alla gara sia da respingere .
Le clausole del bando sono chiare e inequivoche nel stabilire l'esclusione dalla gara nell'ipotesi di mancata produzione del CD, per cui non vi è spazio per una qualsiasi interpretazione di tipo teleologico in relazione al “principio del favor partecipationis”.
La richiesta di produrre il CD, inserita nella lex specialis, non è neppure incongrua, illogica o sproporzionata: si tratta del deposito di supporti informatici di facile e corrente utilizzo (soprattutto per una società che si occupa proprio di elaborazione dati), che appare funzionale allo scopo evidenziato nel capitolato (di rendere la procedura di gara celere e sicura, concretizzando così una delle direttive ispiratrici della disciplina, sia sostanziale sia processuale, degli appalti pubblici), senza comportare alcun aggravio significativo a carico della concorrente.
Il TAR della Puglia respinge il ricorso e condanna la società esclusa dal bando di gara al pagamento nei confronti della provincia pugliese dell’importo di euro 5.000,00 maggiorate di CPI e IVA (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 01.07.2011 n. 1007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, per omessa allegazione di un CD, contenente i files dell'offerta in formato pdf, nel caso in cui ciò sia prescritto dal bando.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di una ditta concorrente, che abbia omesso di allegare il CD contenente i files dell'offerta in formato pdf, in quanto, nel caso di specie, la clausola del bando è chiara ed inequivoca nel comminare l'esclusione dalla gara, nell'ipotesi di mancata adempimento della suddetta previsione, pertanto non vi è spazio per una qualsiasi interpretazione di tipo teleologico in relazione al principio del favor partecipationis.
Peraltro, la richiesta di produrre il CD, inserita nella lex specialis, non risulta illogica né sproporzionata, in quanto trattasi del deposito di supporti informatici di facile e corrente utilizzo, soprattutto per una società che si occupa proprio di elaborazione dati, e che appare funzionale allo scopo di rendere la procedura di gara celere e sicura, concretizzando, in tal modo, una delle direttive ispiratrici della disciplina sostanziale e processuale in materia di appalti pubblici, senza comportare alcun aggravio a carico della concorrente (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 01.07.2011 n. 1007 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

giugno 2011

APPALTISul potere rappresentativo del procuratore stabile dell'impresa e sull'individuazione dei soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni ex articolo 38.
1. In assenza di un' espressa comminatoria di esclusione, il potere rappresentativo del procuratore stabile dell'impresa risultante dal certificato camerale, non deve essere dimostrato attraverso la produzione della procura, richiesta solo in caso di procuratore occasionale.
2. I procuratori della società non sono tenuti a rendere le dichiarazioni di cui all'articolo 38 del d.lgs. n. 163/2006.
3. L'articolo 84 del d.lgs. 163/2006 non si applica agli appalti di servizi di cui all'Allegato II B (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2011 n. 3926 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Raggruppamenti temporanei di imprese, fidejussione per tutte.
Nel caso di partecipazione di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese ad una gara di appalto, la polizza fideiussoria, mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria, deve essere intestata non solo alla società capogruppo, ma anche alle mandanti.

La doglianza chiama in causa l'art. 75 d.lgs. n. 163/2006 ed il punto 5, paragrafo VI, del disciplinare, in tema di cauzione provvisoria.
In giurisprudenza si è da tempo affermato il principio per cui, nel caso di partecipazione di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese ad una gara di appalto, la polizza fideiussoria, mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria, deve essere intestata non solo alla società capogruppo, ma anche alle mandanti.
Ciò al fine di evitare il configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante con riferimento a quei casi in cui l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma appunto dalle mandanti (Cons. Stato, Ad.Pl.. n. 8/2005; VI, 23.07.2009, n. 4648).
La stessa giurisprudenza ha precisato, peraltro, che il fidejussore, per assicurare in modo pieno l'operatività della garanzia di fronte ai possibili inadempimenti da "coprire" con la cauzione provvisoria, deve richiamare la natura collettiva della partecipazione alla gara di più imprese, identificandole singolarmente e contestualmente, e deve dichiarare di garantire con la cauzione provvisoria non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara, pena l'esclusione dal procedimento (Consiglio Stato Ad. Pl., 04.10.2005, n. 8).
Da tale clausola si desume, invero: che il Consorzio ha stipulato la scrittura fideiussoria nella propria specifica qualità di capogruppo mandataria, in procinto di presentare offerta in gara per l'affidamento dell'appalto in discussione; di riflesso, che la garanzia prestata, che riguarda il "pagamento delle somme dovute dal contraente per il mancato adempimento degli obblighi ed oneri inerenti alla partecipazione alla gara", attiene a tutti gli obblighi discendenti dalla partecipazione del raggruppamento alla gara, e quindi non solo a quelli che gravano il predetto Consorzio in proprio, ma anche a quelli che gli si riversano quale mandatario, onde la stessa garanzia è destinata ad operare per tutte le somme che nella detta qualità possano essere pretese nei confronti del medesimo Consorzio.
Rientrano, dunque, nella portata della garanzia anche le inadempienze ascrivibili a fatti -non della capogruppo ma- di una delle imprese mandanti, di cui la mandataria dovrebbe pur sempre rispondere, per il vincolo di solidarietà che discende dalla presentazione dell'offerta congiunta, anche ai sensi dell'art. 6 del disciplinare di gara.
E questo è esattamente quanto richiesto dalla giurisprudenza dominante e dalla normativa di gara, la quale ultima, con la prescrizione per cui "la cauzione dovrà prestarsi a nome di tutte le imprese facenti parte del raggruppamento... non ancora costituito", esigeva proprio -e semplicemente- che la garanzia coprisse anche i fatti imputabili alle imprese mandanti (cfr. C.d.S., V, 21.04.2009, n. 2400).
Solo per completezza si ricorda, quindi, che nella sentenza n. 8/2005 dell'Adunanza Plenaria si è ritenuta decisiva, per pervenire al risultato dell'inidoneità della garanzia, la circostanza che nella polizza fideiussoria del caso non si facesse riferimento (contrariamente a quanto occorso nella presente vicenda) al fatto che l'impresa cui la polizza era intestata aveva partecipato all'incanto in qualità di mandataria di una costituenda ATI (nel senso dell'essenzialità di tale puntualizzazione ai fini della completezza della garanzia v. anche C.d.S., V, 28.05.2010, n. 3401).
La conclusione della regolarità della cauzione provvisoria presentata dall'attuale appellata trova ulteriore fondamento in ciò, che "la non necessità della sottoscrizione da parte dei soggetti che concorrono alla gara ai fini del perfezionamento di un contratto che può soggiacere al procedimento semplificato di formazione di cui all'art. 1333 c.c., non toglie che l'intervento della sottoscrizione... sia comunque apprezzabile, congiuntamente a tutti gli ulteriori elementi sopra specificati, al fine di individuare i soggetti beneficiari della polizza e, quindi, la perimetrazione del rischio garantito" (C.d.S., V, 07.04.2011 n. 2169) (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2011 n. 3924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La motivazione di "non gravità" del reato è implicita nell'ammissione alla gara.
Il codice degli appalti non richiede l’esplicitazione del giudizio di ammissione di un concorrente per quanto riguarda i precedenti penali che non incidono sull’affidabilità professionale dell’impresa.
E’ questo il principio che è stato espresso con la sentenza 30.06.2011 n. 3924 dalla V sezione del Consiglio di Stato.
Il ricorso aveva origine con l’impugnazione degli atti relativi all’aggiudicazione della procedura aperta per l’affidamento della gestione integrata del patrimonio immobiliare e dei servizi per il funzionamento delle scuole d’infanzia. In particolare il ricorrente contestava come la stazione appaltante non avesse espresso alcun giudizio di affidabilità morale e professionale, relativamente ad una serie di condanne penali dichiarate dal legale rappresentante della società controinteressata, nonostante che tale giudizio fosse richiesto dal disciplinare di gara.
Il Consiglio di Stato, in conformità con la decisione del 1° grado, ha precisato come l’esigenza di un giudizio espresso di ammissione di un concorrente potrebbe al più essere imposto per quanto riguarda i precedenti penali che obiettivamente si presentino, prima facie, riconducibili ai “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità” e che incidono sulla morale professionale; al contrario un giudizio espresso non è richiesto per tutti gli altri casi in cui i precedenti penali dichiarati non manifestino alcuna incidenza sull’affidabilità professionale dell’impresa.
In particolare è stato chiarito come “A conferma della legittimità dell’azione amministrativa si osserva che, né la disciplina speciale di gara, né il Codice degli appalti, prescrivono che il giudizio favorevole all’ammissione di un concorrente debba essere necessariamente esplicitato e formalizzato. La giurisprudenza di questo Consiglio è infatti nel senso che la Stazione appaltante, che non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ad esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa, mentre è la valutazione di gravità, semmai, che richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale (C.d.S., III, 11.03.2011, n. 1583). La stazione appaltante deve invero motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (C.d.S. VI, 24.06.2010, n. 4019)”.
In conclusione secondo i giudici del Consiglio di Stato la stazione appaltante non è tenuta ad esplicitare le ragioni in base alle quali ammette un concorrente alla gara ritenendo che i precedenti penali dichiarati non siano incisivi sulla moralità professionale dell’impresa (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La necessità di una formalizzazione del giudizio di ammissione va esclusa in tutti i casi in cui si manifesti subito la non incidenza delle condotte emerse sull'affidabilità professionale dell'impresa.
Nel caso di partecipazione di un RTI ad una gara di appalto, la polizza fideiussoria deve essere intestata non solo alla società capogruppo, ma anche alle mandanti.

Il Codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006) non prevede che il giudizio favorevole all'ammissione di un'impresa ad una gara d'appalto debba essere necessariamente formalizzato.
Pertanto, nel caso di specie, la stazione appaltante qualora non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa, mentre è la valutazione di gravità che richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale. La stazione appaltante deve invero motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è contestazione.
Pertanto, se può ammettersi che un'esigenza di motivazione espressa si imponga al cospetto di precedenti penali che obiettivamente si presentino, prima facie, riconducibili all'area dei "reati gravi in danno dello Stato o della Comunità" ed incidenti sulla morale professionale, sì da esigere una specifica valutazione amministrativa al riguardo, la necessità di una formalizzazione del giudizio di ammissione va invece esclusa in tutti i casi, in cui si manifesti subito la non incidenza delle condotte emerse sull'affidabilità professionale dell'impresa.
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In giurisprudenza si è da tempo affermato il principio secondo cui, nel caso di partecipazione di un RTI ad una gara di appalto, la polizza fideiussoria, mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria, deve essere intestata non solo alla società capogruppo, ma anche alle mandanti. Ciò al fine di evitare il configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante, con riferimento a quei casi in cui l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, bensì dalle mandanti.
Peraltro, il fideiussore, al fine di assicurare l'operatività della garanzia di fronte ai possibili inadempimenti da "coprire" con la cauzione provvisoria, deve richiamare la natura collettiva della partecipazione alla gara di più imprese, identificandole singolarmente e contestualmente, e deve dichiarare di garantire, mediante la cauzione provvisoria, non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara, pena l'esclusione dal procedimento.
Rientrano, dunque, nella portata della garanzia, anche le inadempienze ascrivibili a fatti di una delle imprese mandanti, di cui la mandataria dovrebbe pur sempre rispondere, in virtù del vincolo di solidarietà che discende dalla presentazione dell'offerta congiunta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2011 n. 3924 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Commissione giudicatrice - Variazione della consistenza numerica dell’organo successiva all’apertura delle buste - Illegittimità.
E’ illegittima l’integrazione della Commissione giudicatrice avvenuta in un momento successivo a quello dell’apertura delle buste delle offerte tecniche.
Va precisato, al riguardo, che la giurisprudenza amministrativa ha escluso l’immanenza nell’ordinamento di un principio di immodificabilità delle commissioni di gara, ammettendo che i loro membri possano essere sostituiti quando ciò sia reso necessario da esigenze di rapidità e continuità dell’azione amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 03.12.2010, n. 8400).
Viceversa, deve ritenersi preclusa la variazione della consistenza numerica dell’organo, intervenuta in un momento in cui i membri originari dello stesso avevano già potuto prendere conoscenza dei contenuti delle offerte tecniche presentate dai concorrenti.
Evidenti esigenze di trasparenza e di rispetto della parità di trattamento dei concorrenti (nonché di garanzia di continuità delle operazioni valutative) impongono di individuare in tale momento il limite invalicabile oltre il quale non può essere variata la consistenza numerica della Commissione.
Commissione di gara - Sedute - Principi di concentrazione e continuità.
Le finalità di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione amministrativa impongono che le sedute delle commissioni di gara si ispirino al principio di concentrazione e continuità, tendendo a concentrare, ove possibile, l’esame delle offerte tecniche ed economiche in una sola seduta o, comunque, evitando soluzioni di continuità che favoriscano possibili influenze esterne idonee a minare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione (Cons. Stato, sez. V, 23.11.2010, n. 8155).
Comunicazione di aggiudicazione definitiva - Omissione - Conseguenze.
L’omissione della comunicazione di aggiudicazione definitiva non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione medesima, ma solo sulla decorrenza del termine per l’impugnazione (cfr., fra le ultime, T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 11.03.2011, n. 1441) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.06.2011 n. 711 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Come calcolare i costi della sicurezza e della manodopera.
La Regione Umbria ha pubblicato le Linee Guida per il calcolo dei costi e gli oneri per la sicurezza e del costo presunto della manodopera.
Le somme indicate devono essere congrue relativamente al lavoro da affidare e non possono essere soggette a ribasso d’asta.
Nel documento sono riportati:
- Linee guida per il calcolo dei costi e degli oneri della sicurezza e per la determinazione del costo presunto della manodopera nell'affidamento dei lavori pubblici;
- Esempio di calcolo per l’attuazione delle linee guida;
- Schema delle somme componenti un quadro economico su cui non effettuare il ribasso ai sensi dell’art. 23 della L.R. n. 23/2010;
- Contabilità dei costi e degli oneri nei subappalti;
- Tabella delle categorie di cui al D.P.R. 554/1999 e D.P.R 207/2010;
- Elenco degli oneri della sicurezza;
- Elenco costi minimi della manodopera da non assoggettare a ribasso d’asta (30.06.2011 - link a www.acca.it).

APPALTIIl termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione decorre dalla comunicazione anche nel caso in cui l'Amministrazione abbia omesso di indicare nella stessa i vantaggi dell'offerta vincitrice.
Qualora l'appalto sia stato aggiudicato con il criterio del prezzo più basso, il termine per impugnare l'aggiudicazione decorre dalla comunicazione anche nel caso in cui tale comunicazione risulti priva degli elementi indicati all’art. 79, comma 2°, del D. Lgs. n. 163/2006 (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 29.06.2011 n. 1244 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: È possibile discostarsi, in sede di giustificazione dell’anomalia, dalle tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera solo sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa.
La Sezione reputa che le censure svolte dall’appellante non scalfiscano la ragione di anomalia data dal ridotto tasso di assenteismo utilizzato per la formulazione dell’offerta, ragione che, nell’economia del provvedimento gravato in prime cure, risulta idonea a sorreggere, in via autonoma, il giudizio finale negativo evidenziando l’inaffidabilità complessiva dell’offerta.
Va osservato, in punto di fatto, che la stazione appaltante ha riscontrato l’eccessivo scostamento del “costo orario medio del lavoro” posto a base dell’offerta rispetto al corrispondente parametro delle apposite tabelle ministeriali, e ciò in quanto la misura del tasso di assenteismo del personale era stato indicato dalla ditta nel 3,4% a fronte del ben più alto 6,5% (per assenze dovute a malattia, infortuni e maternità) risultante dai valori tabellari. Secondo l’Amministrazione, in particolare, ai fini della determinazione delle “ore annue mediamente lavorate”, la mera produzione di un dato riepilogativo delle assenze del personale nel triennio 2006/2008 avrebbe rappresentato uno strumento in sé inidoneo a superare il vincolo, ancorché non inderogabile, derivante dalle tabelle ministeriali.
La Sezione, a confutazione dei motivi di appello all’uopo formulati, deve rimarcare che se è vero che le tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera espongono dati non inderogabili, si deve altresì convenire che le medesime assolvono ad una funzione di parametro di riferimento dal quale è possibile discostarsi, in sede di giustificazione dell’anomalia, solo sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa. E tanto specie se si considera che il dato delle “ore annue mediamente lavorate” dal personale coinvolge eventi (malattie, infortuni, maternità) che non rientrano nella disponibilità dell’impresa e che quindi, per definizione, necessitano di stima di carattere prudenziale.
Nel caso di specie detto onere probatorio non risulta assolto in modo adeguato.
Infatti, la semplice produzione dei modelli di pagamento INPS relativi ai dati dell’ultimo triennio non è idonea ad assolvere a detta funzione dimostrativa in quanto, per un verso, reca dati aziendali indistinti e disaggregati che non tengono nel debito conto del personale specifico da adibire all’appalto, per altro verso non introduce dati significativi in relazione all’esecuzione di un contratto per il quale, ai sensi del contratto collettivo di settore, è prevista l’assunzione del personale in servizio presso la società precedentemente deputata all’espletamento del servizio. L’inadeguatezza di detta documentazione risulta ancor più significativa in rapporto alla rilevante misura dello scostamento, che avrebbe richiesto una dimostrazione particolarmente rigorosa.
Si deve, in definitiva, convenire che il giudizio individuale sull’inaffidabilità dell’offerta in ragione del non giustificato scostamento del tasso di assenteismo dalla tabella ministeriale non meritevole di costituisce espressione di discrezionalità valutazione tecnica che non appare inficiata da profili di illogicità e sviamento suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale. Non risulta apprezzabile neanche la comparazione con l’offerta dell’aggiudicataria, posto che le giustificazioni delle offerte vanno apprezzate in relazione alle posizioni ed alle prospettazioni individuali delle singole imprese (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2011 n. 3865 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVa esclusa la possibilità generalizzata di modifica, in sede di giustificazioni, delle voci di costo, cambiandole ad libitum, essendo solo consentito di procedere ad una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate, oppure ad un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
L’assunto fatto proprio dal Giudice di prime cure, che le voci di costo non sono modificabili senza alcuna motivazione, va quindi inteso nel senso che esse non sono modificabili al solo scopo di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo.
Il procedimento di verifica di anomalia può essere avulso da ogni formalismo inutile e può essere improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente, senza preclusioni alla modifica di giustificazioni di singole voci di costo fornite prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione, e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto.

La giurisprudenza esclude la esistenza della possibilità generalizzata di modifica, in sede di giustificazioni, delle voci di costo, cambiandole ad libitum (Cons. St., sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; Cons. St., sez. VI, 19.05.2000 n. 2908), essendo solo consentito di procedere ad una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate, oppure ad un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
L’assunto fatto proprio dal Giudice di prime cure, che le voci di costo non sono modificabili senza alcuna motivazione, va quindi inteso nel senso che esse non sono modificabili al solo scopo di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n. 3759).
Nel caso che occupa l’A.T.I. appellante non ha posto in essere gli aggiustamenti (dello stesso tipo di quelli sopra indicati) che possono ritenersi consentiti, ma ha modificato, come da quadro sinottico depositato nel giudizio di primo grado dalla ... s.p.a., i prezzi unitari proprio allo scopo di assicurarsi che il prezzo complessivo rimanesse immutato, con violazione del principio di par condicio tra concorrenti e privazione di ogni rilievo dei prezzi unitari (Consiglio Stato, Sez. IV, 11.04.2006, n. 2021).
In conclusione, il procedimento di verifica di anomalia può essere avulso da ogni formalismo inutile e può essere improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente, senza preclusioni alla modifica di giustificazioni di singole voci di costo fornite prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione, e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto (Consiglio Stato, sez. VI, 21.05.2009, n. 3146).
Ciò non può, tuttavia, ritenersi che sia avvenuto nel caso che occupa, in cui tutti i prezzi unitari sono stati modificati ed è stata effettuata una tardiva trasmigrazione dei costi da una voce all'altra, il che ha dimostrato che l’offerta non era nel complesso affidabile (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2011 n. 3864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Consorzi - Requisiti di natura tecnica singolarmente posseduti dalle imprese consorziate - Cumulo - Requisiti generali di partecipazione - Ordine pubblico e moralità - Singole imprese - Possesso e documentazione.
Con riferimento alle aggregazioni consortili cui l’ordinamento riconosce la qualità di soggetti con propria abilitazione a concorrere per l’affidamento di commesse pubbliche, sono le singole imprese consorziate, dotate di autonoma personalità e di distinta organizzazione di impresa, i soggetti chiamati ad assumere in concreto le opere o i servizi oggetto dell’appalto, onde, se è in astratto ammissibile cumulare i requisiti di natura tecnica singolarmente posseduti dalle imprese consorziate, tale principio non implica affatto che i requisiti generali di partecipazione, relativi alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell’ordine pubblico, anche economico, e della moralità, possano ritenersi accertati con esclusivo riferimento al consorzio e non debbano invece essere posseduti e documentati dalle singole imprese designate quali esecutrici del servizio o dell’opera. (Cons. Stato, Sez. V, 30.01.2002 n. 507; Cons. St., sez. IV, 07.04.2008 n. 1485; Cons. St., sez. VI, 24.11.2009 n. 7380; Cons. Stato, Sez. VI, 15.06.2010 n. 3759).
Modello GAP - Mancata specifica previsione nel bando di gara - Sanzione dell’esclusione - Inapplicabilità - Ragioni.
Nel caso in cui la disciplina di gara per l’affidamento di un appalto nulla disponga circa la produzione del modello GAP, nessuna sanzione, tanto meno di esclusione dalla gara, può essere disposta a carico dell’impresa concorrente che abbia fatto legittimo affidamento sul tenore del bando e del disciplinare di gara e ad essi si sia attenuta, anche perché il modello GAP non rappresenta un requisito aggiuntivo per la partecipazione alle gare, vincolante immediatamente sia le stazioni appaltanti che i concorrenti in sede di espletamento delle procedure selettive, e risponde piuttosto a finalità di polizia, onde la sua compilazione costituisce adempimento di un obbligo che, pur sorgendo per l’ente appaltante e per il privato in occasione della indizione della gara di appalto, non attiene al contenuto della gara, rimanendo estraneo al rapporto che sorge da questa (v. TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 11.03.2010 n. 2807) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 28.06.2011 n. 216 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: La giurisdizione del giudice amministrativo in materia di appalti pubblici è limitata alle controversie concernenti la fase pubblicistica di scelta del contraente e non comprende le vicende successive alla stipulazione del contratto.
Sulle questioni relative alla fase di esecuzione dei contratti pubblici (vicenda alla quale non sfugge l'esecuzione dell'oggetto di una concessione con riferimento ai rapporti tra il concessionario ed un sub-appaltatore, come nel caso di specie), la giurisprudenza è stata sempre chiarissima e ferma nell'affermare che la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di appalti pubblici è limitata alle controversie concernenti la fase pubblicistica di scelta del contraente e non comprende le vicende successive alla stipulazione del contratto, afferendo queste ultime alla fase paritetica di esecuzione che è riservata al giudice ordinario.
Infatti, per pacifica opinione giurisprudenziale, le disposizioni recanti devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici riguardano il solo segmento pubblicistico dell'appalto, inclusi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti, e non anche la fase concernente l'esecuzione del rapporto, ove resta operante la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, come giudice dei diritti, al quale spetta verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 27.06.2011 n. 5662 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La dichiarazione sostitutiva di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, inerente a circostanze relative a terzi, deve essere resa solo nella misura in cui fatti ed atti dichiarati rientrino nella conoscenza diretta del dichiarante.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, relativamente alle dichiarazioni sostitutive rese in ordine a stati, qualità personali e fatti relativi a terzi, va interpretata in relazione ai principi generali in tema di dichiarazioni rese alla P.A. Proprio perché il soggetto può rendere la dichiarazione afferente al terzo solo relativamente a quanto rientri nella propria diretta conoscenza, ne consegue che, in presenza di una norma che richiede la predetta dichiarazione, quest'ultima deve essere resa se nel senso di attestare solo ciò che è a conoscenza del dichiarante, ben potendo l'amministrazione procedere alle opportune verifiche, in ordine alla sussistenza dei requisiti in capo a tali soggetti.
Pertanto, la dichiarazione in ordine alle ragioni che hanno reso impossibile o gravosa la produzione della dichiarazione "diretta" da parte dei soggetti interessati, appare del tutto superflua, né la mancanza di tale dichiarazione può comportare l'esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.06.2011 n. 3862 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gli appalti devono essere aggiudicati mediante procedure ad evidenza pubblica, principio rispetto al quale l’affidamento diretto costituisce deroga ed eccezione che, ove anche prevista, è solo consentita e non certamente imposta, con la conseguenza che ove la P.A. appaltante, pur in presenza di una possibilità di deroga, opti invece per la gara ad evidenza pubblica, la relativa scelta appare comunque ineccepibile.
Influenzata dall’erroneo convincimento di aver titolo all’affidamento dei lavori alle stesse condizioni di quelli espletati in precedenza, sempre in forza dell’assunto che non sarebbe superato il limite del sesto quinto, e cioè sulla base di un ribasso del 13%, appare altresì la doglianza con la quale si contesta la pretesa della P.A. ad un ulteriore ribasso dell’8%, per un totale del 21%.
Ineccepibilmente infatti la P.A., nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali di scelta, ha posto come condizione l’ulteriore ribasso, e non vale neppure affermare, trattandosi di una inammissibile ingerenza in questioni di merito a detta P.A. soltanto spettanti, che l’affidamento dei lavori in questione all’impresa appellante avrebbe rappresentato la scelta più conveniente, tenuto conto che la somma risparmiata con il ribasso aggiuntivo preteso sarebbe stata in gran parte assorbita dalle spese relative alle due perizie e alla nuova progettazione esecutiva ora disposta.
E ciò senza tener conto che alla conclusione negativa alla quale ora ci si oppone la P.A. era pervenuta anche in forza dell’art. 25 L. 11.02.1994 n. 109, nel testo all’epoca vigente di cui all’art. 8-ter L. 02.06.1995 n. 216, che non prevede, tra le varianti previste, la tipologia della variante in questione: a prescindere da ogni dubbio se tale disposizione potesse o meno formalmente considerarsi in vigore, ne risulta infatti evidente la ratio legis che mira ad evitare, a tutela sia del pubblico interesse che della concorrenza, ogni possibile elusione del principio generale in base al quale gli appalti devono essere aggiudicati mediante procedure ad evidenza pubblica, principio rispetto al quale l’affidamento diretto costituisce deroga ed eccezione: deroghe ed eccezioni che, ove anche previste, sono solo consentite e non certamente imposte, con la conseguenza che ove l’amministrazione appaltante, pur in presenza in ipotesi di una possibilità di deroga, opti invece per la gara ad evidenza pubblica, la relativa scelta appare comunque ineccepibile
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.06.2001 n. 3508 - link a www.dirittoeschemi.it).

APPALTILa clausola escludente della lex specialis deve essere immediatamente impugnata a pena di irricevibilità del ricorso.
Secondo i noti princìpi sanciti dalla decisione n. 1/2003 dell’A.P. del Consiglio di Stato, ribaditi –dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo- dalla sentenza n. 4/2011 della stessa A.P., quando venga contestata una clausola del bando “escludente”, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione, sorge in capo alla parte un onere di immediata impugnazione della clausola medesima (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 27.06.2011 n. 1222 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Mancata presentazione del contratto di avvalimento: legittima esclusione da gara.
La mancata produzione del contratto di avvalimento, nell’ambito della documentazione amministrativa da presentare in sede di gara, legittima la stazione appaltante alla esclusione del concorrente inadempiente.
E’ questo il principio stabilito dal TAR Toscana, Sez. I, con sentenza 27.06.2011 n. 1110.
Nel caso di specie il ricorrente aveva partecipato, in costituendo raggruppamento di imprese, alla gara indetta per l’affidamento dell’incarico di redazione del Regolamento urbanistico e di costruzione del SIT a supporto dell’atto di governo. In assenza di produzione del contratto di avvalimento, il ricorrente è stato escluso dalla gara. Conseguentemente viene contestata l’esclusione dalla gara, facendo riferimento all’istituto dell’avvalimento in ambito comunitario.
In particolare, il ricorrente sostiene che tale istituto è funzionale a garantire la massima partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche e, pertanto, la stazione appaltante avrebbe dovuto chiedere chiarimenti in luogo di escludere il concorrente sulla base della mancata produzione del contratto di avvalimento.
Al contrario, osservano i giudici del TAR Toscana, l’articolo 49 del Codice degli appalti stabilisce che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento il concorrente deve produrre una serie di documenti tra cui “una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente” (cfr. lett. d]) nonché “in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto” (cfr. lett. f]).
Nel caso affrontato è di tutta evidenza che la stazione appaltante nel disciplinare di gara ha richiesto, oltre alla dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria, anche il contratto in originale o in copia autenticata. Altrettanto chiaro è che la parte ricorrente non ha prodotto copia del contratto, giacché si sostiene che lo stesso è stato concluso in forma verbale e non era quindi possibile produrne una copia cartacea. Si sostiene altresì che comunque la stazione appaltante avrebbe dovuto ritenere sufficiente la dichiarazione prodotta dalla ditta ausiliaria.
Richiamando, la giurisprudenza più recente il TAR ha evidenziato la estrema importanza della cognizione in sede di gara di tale contratto anche al fine di poter esaminare in concreto le pattuizioni stabilite tra le parti e poter quindi appurare se dalle stesse emerga una concreta cessione di mezzi e risorse tra ausiliaria e concorrente, tale da dare concretezza all’istituto dell’avvalimento stesso (Cons. Stato, sez. III, 18.04.2011, n. 2344).
La necessaria produzione in giudizio del contratto di avvalimento appare quindi tutt’altro che eccessiva o irrazionale e comporta che gli accordi tra le parti in tale materia dovranno senz’altro rivestire una forma scritta, tale da poter essere prodotti nella documentazione di gara. Deve quindi evidenziarsi che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la semplice dichiarazione di impegno della ausiliaria a fornire al concorrente quanto necessario per l’esecuzione del contratto non può dirsi sostituiva e assorbente rispetto alla produzione del vero e proprio contratto di avvalimento, giacché soltanto quest’ultimo contiene le specifiche pattuizioni tra impresa ausiliaria e concorrente e consente quindi la verifica della serietà degli impegni assunti dall’ausiliaria anche in termini di messa a disposizione di mezzi e risorse a favore dell’impresa che partecipa alla gara.
Sulla base di queste valutazioni, il TAR Toscana ha respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 2000 (link a www.altalex.com).

APPALTI: Il concorrente che intenda far ricorso all'istituto dell'avvalimento deve produrre in sede di gara il relativo contratto.
In caso di ricorso all'istituto dell'avvalimento, ai sensi dell'art. 49, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, il concorrente deve produrre una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria, con cui quest'ultima si obbliga verso il primo e nei confronti della stazione appaltante a mettere a disposizione le risorse necessarie di cui è difetta il concorrente, nonché in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto.
La cognizione in sede di gara di tale contratto è importante per poter esaminare in concreto le pattuizioni stabilite tra le parti, ed appurare se, dalle stesse, emerga una concreta cessione di mezzi e risorse tra ausiliaria e concorrente. La necessaria produzione in giudizio del contratto di avvalimento è quindi ragionevole, e comporta che gli accordi tra le parti in tale materia dovranno senz'altro rivestire una forma scritta, tale da poter essere prodotti nella documentazione di gara.
Inoltre, la necessità che l'utilizzo dell'avvalimento sia accompagnato dalla produzione in atti del relativo contratto, non è in contrasto con la normativa europea in materia, trattandosi di un onere probatorio che può essere facilmente assolto e che riveste, peraltro, una chiara funzione di certezza delle relazioni giuridiche (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.06.2011 n. 1110 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara a carico del cui progettista siano risultate delle condanne penali non dichiarate.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa, a carico del cui progettista siano risultate, a seguito della verifica del possesso dei requisiti di partecipazione e dall'esame del relativo certificato del casellario giudiziale, annotazioni di cui l'incaricato del progetto non aveva dichiarato l'esistenza.
Anche a prescindere da ogni considerazione circa natura e gravità dei reati per i quali il professionista era stato condannato, in ogni caso è la stessa dichiarazione non veritiera che, ai sensi della normativa di gara, imponeva l'esclusione (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 24.06.2011 n. 5651 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIINTERPRETAZIONE CLAUSOLE BANDO DI GARA.
In tema di interpretazione delle clausole di un bando di gara, è evidente che un corretto rapporto tra amministrazione e privato, rispettoso dei principi generali di buon andamento dell'azione amministrativa, di imparzialità e di correttezza, impone che il bando contenga regole chiare, in modo da evitare equivoci ed ambigue interpretazioni.
Tuttavia, a chi partecipa ad una gara, in quanto operatore del settore e, quindi, soggetto qualificato, si richiede una lettura complessiva e globale delle regole della medesima, in modo da poter pervenire ad una interpretazione sistematica di tutte le clausole (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 24.06.2011 n. 3387 - tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla ratio del divieto di all'art. 13 del D.L. 223/2006 (decreto Bersani) e sull'interpretazione della locuzione "oggetto esclusivo".
Sul periodo transitorio per la cessazione degli affidamenti diretti e divieto di partecipazione alle gare.

L'art. 13 del D.L. 223/2006, convertito in l. 248/2006 (c.d. decreto Bersani) trova fondamento nel fatto che l'U.E. ha reiteratamente previsto la necessità che gli Stati membri provvedano alla regolamentazione dell'accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi di proprietà o partecipati da Enti pubblici (IV considerando della Direttiva 2004/18/CE).
Lo scopo del divieto di cui al citato art. 13 è quello di evitare le distorsioni alla concorrenza provocate dalle Società che fruiscono dei vantaggi connessi all'affidamento senza gara: esse potrebbero partecipare alle procedure comparative sfruttando le posizioni privilegiate acquisite senza il previo confronto concorrenziale.
Se dunque la ratio è quella di tutelare i principi di concorrenza e di trasparenza nonché quello di libertà di iniziativa economica -che risulterebbero turbati dalla presenza (diretta o indiretta) della mano pubblica la quale provoca un'elusione del rischio d'impresa- devono considerarsi partecipate da amministrazioni pubbliche regionali o locali anche le Società partecipate da Società intermedie controllate da dette amministrazioni: il divieto previsto dall'art. 13, in altri termini, deve ritenersi applicabile ad un'impresa partecipata da un'altra impresa, che a sua volta è controllata da amministrazioni pubbliche locali.
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La locuzione "oggetto esclusivo" contemplata all'art. 13 del D.L. 223/2006, va riferita al rapporto con l'Ente territoriale di riferimento in senso rafforzativo del legame con lo stesso, che non consente proiezioni "extra ambito": diversamente opinando si perviene ad un'interpretazione sostanzialmente abrogatrice della disposizione, in quanto è sufficiente contemplare nello Statuto un oggetto sociale plurimo -peraltro consueto nell'odierna realtà delle Società partecipate- per scongiurare la sua applicazione, in contrasto con la ratio già diffusamente descritta.
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La data del 31/12/2010, per la cessazione degli affidamenti diretti sancisce la definitiva scadenza del periodo transitorio, oltre la quale nessuna deroga all'apertura alla concorrenza può essere consentita. Il temperamento costituito dalla possibilità di partecipare alle "prime gare" ha esaurito la sua funzione con la conclusione della fase transitoria e non può più essere ritenuto ammissibile, in quanto estenderebbe ulteriormente nel tempo un beneficio già garantito agli affidatari diretti per 8 anni.
Il sistema delineato con la stratificazione normativa (art. 113 del D.Lgs. 267/2000, c. 15-bis e art. 23-bis del D.L. 112/2008), ha infatti garantito a sufficienza i soggetti beneficiari di affidamenti diretti, legittimando il prolungamento o comunque il mantenimento dell'efficacia dei contratti in corso fino al 31/12/2010, pur in costanza del sacrificio della logica aspirazione degli operatori del settore al rispetto del principio comunitario della parità di trattamento, attraverso l'assegnazione dei servizi pubblici mediante un confronto comparativo aperto a tutte le imprese interessate (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 24.06.2011 n. 939 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: G.U. 24.06.2011 n. 145 "Determinazione, per il periodo 01.01.2011-31.12.2011, della misura del tasso d’interesse di mora da applicare ai sensi dell’articolo 30 del capitolato generale di appalto dei lavori pubblici" (D.M. 27.05.2011).
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Appalti, tasso di mora 2011 al 4,08 per cento.
Rispetto al 2010, il tasso si abbassa ancora di 0,20 punti percentuali. Dal 2009 ad oggi il saggio è passato dal 6,64 per cento all'attuale 4,08 per cento.
Ai sensi dell'art. 133, comma 1, del decreto legislativo del 12.04.2006, n. 163, la misura del tasso di interesse di mora da applicare ai sensi dell'art. 30 del capitolato generale di appalto dei lavori pubblici, approvato con decreto del Ministero dei lavori pubblici del 19.04.2000, n. 145, e' fissata per il periodo 01.01.2011-31.12.2011 al 4,08 per cento.

APPALTI SERVIZIRiscossione, gare con più requisiti.
I bandi di gara per l'affidamento dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali possono prevedere ulteriori requisiti di partecipazione, oltre all'iscrizione nell'albo ministeriale previsto dall'articolo 53 del Dlgs 446/1997 e dal Dm 289/2000.
È quanto emerge dalla sentenza 23.06.2011 n. 3809 del Consiglio di Stato, Sez. V, che ha ritenuto legittimo il bando pubblicato dal Comune di Lecce nella parte in cui chiedeva che le società partecipanti avessero svolto nell'ultimo quinquennio lo stesso servizio oggetto di gara in almeno un comune con popolazione pari o superiore a 90mila abitanti.
In primo grado il Tar Lecce aveva evidenziato che l'iscrizione nell'albo dei concessionari costituiva presunzione di idoneità alla gestione del servizio, e quindi la previsione di ulteriori requisiti restringeva il numero dei partecipanti alla gara e comprimeva i principi di proporzionalità, libera concorrenza e non discriminazione. Di qui l'annullamento del bando, considerato peraltro che il Comune non aveva dimostrato la sussistenza di situazioni particolari, tali da rendere necessario un restringimento delle condizioni partecipative.
Il Consiglio di Stato ha respinto queste censure, sostenendo che l'iscrizione nell'albo costituisce un'astratta presunzione del possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economico-finanziaria, non potendo escludersi il potere dell'amministrazione di fissare ulteriori requisiti, tenuto conto dell'oggetto del contratto (tributi da gestire e popolazione residente) e al fine di rendere il servizio più efficiente ed efficace.
In realtà la questione delle clausole restrittive si trascina da una decina d'anni, cioè da quando è operativo l'albo nazionale di cui al Dm 289/2000, al quale risultano iscritte un centinaio di società (comprese quelle del gruppo Equitalia). Inizialmente alcune pronunce (tra cui Tar Lecce 2499/2004 e Tar Milano 2676/2004) hanno escluso la possibilità di richiedere il possesso di requisiti ulteriori rispetto all'iscrizione all'albo.
Si è poi sviluppato un orientamento favorevole alla richiesta di requisiti aggiuntivi (Tar Bologna 100/2004, Tar Bari 995/2005, Tar L'Aquila 454/2005), confermato dal Consiglio di Stato prima con la sentenza 5318/2005 e poi con la pronuncia 7247/2009, che ha ritenuto legittima la richiesta di aver gestito nell'ultimo quinquennio servizi uguali in comuni oltre i 50mila abitanti.
Alcuni Tar sono comunque rimasti fermi sulle loro posizioni. Ora, tuttavia, deve prevalere la linea possibilista del Consiglio di Stato. Ma ad alcune condizioni. Si deve trattare di clausole non arbitrarie o sproporzionate rispetto all'oggetto e al valore del contratto, tali da non limitare –oltre lo stretto indispensabile– la platea dei concorrenti, evitando di precostituire situazioni di privilegio (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: I bandi di gara d'appalto per gli affidamenti dei servizi pubblici, possono prevedere requisiti di capacità più rigorosi di quelli indicati dalla legge, purché non discriminanti rispetto alle regole proprie del settore.
I bandi di gara, quali atti generali, si sottraggono all'obbligo di motivazione.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, i bandi di gara d'appalto per gli affidamenti dei servizi pubblici, possono prevedere requisiti di capacità più rigorosi di quelli indicati dalla legge, purché non discriminanti rispetto alle regole proprie del settore, rientrando nel potere discrezionale della P.A. la fissazione di requisiti di partecipazione superiori a quelli previsti dalla legge, e di conseguenza, può pretendere l'attestazione di requisiti di capacità tecnica, diversi ed ulteriori dalla semplice iscrizione in albi od elenchi.
L'esercizio di tale potere discrezionale costituisce attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost., sostanziandosi nell'apprestamento degli strumenti e misure più adeguati, efficienti ed efficaci, al fine di un corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, in relazione all'oggetto dell'appalto da affidare, laddove le previsioni contenute nelle relative disposizioni normative di settore sono volte a stabilire una semplice presunzione di possesso dei requisiti minimi e, pertanto, ben possono essere derogati dall'amministrazione.
Di conseguenza le scelte così operate dalla P.A. sono ampiamente discrezionali, e si sottraggono, pertanto, al sindacato del G.A..
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I bandi di gara, quali atti generali, si sottraggono all'obbligo di motivazione, così che il sindacato sulla scelta di fissare requisiti ulteriori e più rigorosi di quelli previsti dalla legge, riguarda il corretto esercizio del potere amministrativo sotto il profilo della ragionevolezza e non arbitrarietà, in relazione all'oggetto del contratto e all'interesse pubblico perseguito.
La clausola contestata, nel caso di specie, è diretta all'accertamento in concreto del requisito di capacità tecnica, al fine del corretto espletamento del delicato servizio di accertamento e riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicità.
D'altra parte, l'iscrizione nell'Albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento e riscossione dei tributi degli enti locali, costituisce una presunzione del possesso dei requisiti di capacità tecnica ed economico-finanziaria, non potendo tuttavia escludersi, in mancanza di un'apposita norma in tal senso, il potere dell'amministrazione di fissare ulteriori requisiti, tenuto conto dell'effettivo oggetto del contratto, al fine di rendere il servizio quanto più efficiente ed efficace possibile (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2011 n. 3809 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla necessità di una compiuta verbalizzazione delle cautele da osservare ai fini della conservazione dei plichi contenenti le offerte.
La commissione deve adottare le cautele idonee a garantire la segretezza degli atti di gara e a prevenire rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e dando atto a verbale della integrità dei plichi.
In particolare, dal verbale deve risultare il nominativo di colui cui siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le conseguenti responsabilità, ovvero -con chiarezza e univocità- deve risultare l'ufficio cui sono consegnati e all'interno del quale essi vanno conservati (con individuazione immediata del suo responsabile): in qualsiasi momento, ogni autorità giurisdizionale o amministrativa (a seconda dei casi e delle relative funzioni, anche di vigilanza) dalla lettura dei verbali di consegna deve poter agevolmente accertare quali siano stati i passaggi dei plichi, ove essi siano stati collocati nel corso del tempo, chi abbia posto mano su di essi e ogni altra circostanza attinente alla loro integrità e conservazione.
Poiché le cautele sono idonee solo se assicurano la conservazione dei plichi in luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e con individuazione di un soggetto o ufficio responsabile dell'inaccessibilità del luogo a terzi, anche se non occorrono 'formule sacramentali' la verbalizzazione è legittima se, oltre a indicare le cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto i plichi sono integri (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.06.2011 n. 3803 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn merito alla necessità di una compiuta verbalizzazione delle cautele da osservare ai fini della conservazione dei plichi contenenti le offerte, la commissione deve adottare le cautele idonee a garantire la segretezza degli atti di gara e a prevenire rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e dando atto a verbale della integrità dei plichi.
Dal verbale deve risultare il nominativo di colui cui siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le conseguenti responsabilità, ovvero –con chiarezza e univocità– deve risultare l’ufficio cui sono consegnati e all’interno del quale essi vanno conservati (con individuazione immediata del suo responsabile).
L'integrità dei plichi contenenti le offerte delle imprese partecipanti è, al contempo, la condizione di segretezza delle stesse e la garanzia del pieno dispiegarsi del principio della par condicio di tutti i concorrenti, per l’effettivo rispetto dei principi enunciati dall'art. 97 Cost., di buon andamento e di imparzialità cui deve conformarsi l'azione amministrativa.
La verbalizzazione è legittima se, oltre a indicare le cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto i plichi sono integri.

La Sezione -sulla questione relativa alla necessità di una compiuta verbalizzazione delle cautele da osservare ai fini della conservazione dei plichi contenenti le offerte- ritiene di aderire all’indirizzo secondo cui la commissione deve adottare le cautele idonee a garantire la segretezza degli atti di gara e a prevenire rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e dando atto a verbale della integrità dei plichi (Cons. Stato, sez. V, 12.12.2009 n. 7804; Cons. Stato, sez. V, 03.02.2000 n. 661).
Più nel dettaglio, dal verbale deve risultare il nominativo di colui cui siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le conseguenti responsabilità, ovvero –con chiarezza e univocità– deve risultare l’ufficio cui sono consegnati e all’interno del quale essi vanno conservati (con individuazione immediata del suo responsabile): in qualsiasi momento, ogni autorità giurisdizionale o amministrativa (a seconda dei casi e delle relative funzioni, anche di vigilanza) dalla lettura dei verbali di consegna deve poter agevolmente accertare quali siano stati i passaggi dei plichi, ove essi siano stati collocati nel corso del tempo, chi abbia posto mano su di essi e ogni altra circostanza attinente alla loro integrità e conservazione.
Si tratta di una regola che, pur in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, è agevolmente desumibile da basilari criteri di legalità e trasparenza, nonché dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l'individuazione del contraente cui assegnare l'appalto: non v’è dubbio, infatti, che l'integrità dei plichi contenenti le offerte delle imprese partecipanti è al contempo la condizione di segretezza delle stesse e la garanzia del pieno dispiegarsi del principio della par condicio di tutti i concorrenti, per l’effettivo rispetto dei principi enunciati dall'art. 97 Cost., di buon andamento e di imparzialità cui deve conformarsi l'azione amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 20.03.2008, n. 1219; Cons. Stato, sez. V, 28.03.2008, n. 1296; Cons. Stato, sez. V, 06.03.2006, n. 1068, Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2002, n. 1612).
Poiché le cautele sono idonee solo se assicurano la conservazione dei plichi in luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e con individuazione di un soggetto o ufficio responsabile dell’inaccessibilità del luogo a terzi, anche se non occorrono ‘formule sacramentali’, la verbalizzazione è legittima se, oltre a indicare le cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto i plichi sono integri (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.06.2011 n. 3803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Legittima l'esclusione dalla gara di un'impresa il cui progettista abbia omesso di presentare il casellario giudiziale e il certificato dei carichi pendenti, in violazione di quanto richiesto a pena di esclusione dal bando.
Le prescrizioni contenute nella lex specialis hanno portata vincolante e l'Amministrazione è tenuta a darvi precisa ed incondizionata esecuzione, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell'inadempimento e l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva o ancora sulla congruità della sanzione contemplata dalla disciplina di gara, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando, cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 16.03.2010, n. 1513) (massima tratta e link a www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 23.06.2011 n. 1838).

APPALTI: Partecipazione ad una gara pubblica - Verifica dei requisiti ex art. 38 del D.lgs. 163/2006 - Dichiarazione di pendenza di un procedimento per l'applicazione di una delle misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965 - Soggetti tenuti alla dichiarazione - Amministratori con rappresentanza e Direttore tecnico - Ampliamento dei soggetti tenuti alla dichiarazione - Possibilità - Verifica delle funzioni sostanziali di tali soggetti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 163/2006, individua i soggetti tenuti a rilasciare la prescritta dichiarazione (sull'eventuale pendenza di un procedimento per l'applicazione di una delle misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965) negli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o nel direttore tecnico.
Parte della giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, n. 375/2009), ispirata dalla ratio sottesa alla norma di verificare l'affidabilità, complessivamente considerata, dell'operatore economico che andrà a stipulare il contratto di appalto con la stazione appaltante, individuando coloro che effettivamente sono in grado di manifestare all'esterno al volontà dell'azienda, ha ricercato, in via interpretativa, di ampliare l'ambito di applicazione della disposizione includendo nel novero dei dichiaranti anche soggetti che, pur non ricoprendo le specifiche cariche indicate, siano, tuttavia, titolari di ampi poteri decisionali tali da consentire di determinare gli indirizzi di gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato orientamento occorrerebbe quindi "avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata" (Cons. Stato, Sez. VI n. 523/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.06.2011 n. 1687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - URBANISTICAEdilizia residenziale pubblica - Gara per l'assegnazione delle aree - Offerta - Mancanza di una firma su un elaborato grafico - Può configurarsi come mera irregolarità - Condizioni.
La mancanza di una firma su un elaborato grafico ben può ritenersi una irregolarità, tale da non costituire causa di esclusione, anche quando il disciplinare di gara prescriva che gli elaborati progettuali debbano essere sottoscritti in ogni loro pagina, dai legali rappresentanti dell'impresa e dai professionisti abilitati, nel caso in cui la pagina risulta ininfluente per la valutazione dell'intero elaborato e la mancanza della firma non consenta la sostituzione della pagina (cfr. TAR Trento, sent. n. 60/2009) (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.06.2011 n. 1665 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - VARI: A. Marco, La vessatorietà delle clausole nel contratto di assicurazione. Cenni normativi e giurisprudenziali (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla distinzione tra appalto di servizi e concessione di servizi pubblici.
Mentre negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore svolge la sua attività in favore di una p.a., la quale utilizza le relative prestazioni ai fini dell'eventuale erogazione del servizio pubblico a vantaggio della collettività, nella concessione di pubblico servizio il concessionario sostituisce la p.a. nell'erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo.
L'appalto di servizi concerne dunque prestazioni rese in favore dell'Amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l'Amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio.
Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sull'individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell'attività svolta; normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell'appalto di servizi spetta all'Amministrazione l'onere di compensare l'attività svolta dal privato (TAR Lombardia- Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1622 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIInformative prefettizie.
Il TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. I, nella sentenza 21.06.2011 n. 518, ha affermato che: "Diversamente dall'informativa prefettizia tipica, che ha carattere interdittivo di ulteriori rapporti negoziali con le amministrazioni appaltanti, la c.d. informativa atipica non ha carattere di per sé interdittivo, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la Pubblica amministrazione".
Primariamente, i giudici amministrativi reggini evidenziano la diversità dell'informativa atipica, per quanto concerne gli effetti: mentre l'informativa tipica ha carattere interdittivo, nel senso che impedisce di diritto l'instaurazione di rapporti negoziali con l'impresa, attraverso il divieto di stipula del contratto, l'informativa atipica non presenta tale carattere, ma consente solo (e non è poco!) l'esercizio dei poteri discrezionali di intervento sui provvedimenti amministrativi posti in essere, sulla base, appunto, delle informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun obbligo legale interdittivo, ma solo l'obbligo di valutare attentamente le notizie acquisite, al fine di decidere se il soggetto interessato presenta l'idoneità morale necessaria per iniziare o proseguire le prestazioni contrattuali. Proprio per tale sua caratteristica di non costituire un "legale impedimento", l'informativa atipica non necessita di un grado di comprovazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso. Infatti, osserva il Tar, si fonda su elementi, anche indiziari, (che la stazione appaltante non ha né il potere né l'onere di verificarne la portata o i presupposti) ottenuti con l'ausilio di particolari indagini, che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che l'informativa atipica consente alla stazione appaltante di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto contrattuale in corso, che potrà essere sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato "un margine assai ristretto di valutazione discrezionale, mentre il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso della scelta della prosecuzione del rapporto per inderogabili ed indeclinabili necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile" (Tar Campania, sez. Napoli I, n. 16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che il potere di indagine e di sindacato del giudice amministrativo è abbastanza limitato: "Le informative atipiche , in quanto atti meramente partecipativi di circostanze di fatto, non determinano un divieto legale a contrarre e non comportano, necessariamente ed inevitabilmente, l'adozione di provvedimenti pregiudizievoli per il privato, l'assunzione dei quali è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante; in questi casi, il sindacato del giudice amministrativo non può entrare nel merito restando circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità il significato attribuito agli elementi di fatto e l'iter procedimentale seguito per pervenire a determinate conclusioni" (Tar Campania, sez. Salerno I, n. 11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche, la giurisprudenza si è, poi, interrogata anche sulla "compatibilità comunitaria" dell'istituto, pervenendo ad una positiva risposta, fondata sulla considerazione che le cause di esclusione dagli appalti, previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall'ordinamento interno non sono esaustive e tassative, potendo i Legislatori nazionali prevederne ulteriori, a salvaguardia di interessi pubblici generali, diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene infondato il ricorso per tre precise ragioni. In primo luogo, si fa osservare che l'impresa ricorrente non ha impugnato né censurato il contenuto dell'informativa atipica, che il Comune ha assunto a necessario ed esclusivo presupposto motivazionale del provvedimento di revoca. In secondo luogo, si rileva che il ricorrente non ha evocato in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria, che tale provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente l'apparato motivazionale del ricorso, in quanto il medesimo si limita a contestare la circostanza della carenza di requisiti di ordine generale, senza avvedersi che, in realtà, l'Amministrazione si è uniformata al contenuto dell'informativa, rispetto alla quale non sono dedotte censure, rimanendo incontestati due puntuali ed inequivoci fatti: a) la sottoposizione del ricorrente ad indagini per i gravi reati contestatigli, aventi immediata e diretta incidenza sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla capacità a contrarre con la Pubblica amministrazione; b) la rilevanza di tali circostanze in ordine all'efficacia propria delle informative antimafia atipiche (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le peculiarità delle informative prefettizie.
Sinora, in tema di informative antimafia, si è fatto riferimento alle sole informative "tipiche" o "interdittive", che impediscono il sorgere o il continuare del rapporto contrattuale. Accanto a queste, si sono diffuse le cosiddette informative "supplementari" o "atipiche", sostenute dalla prassi amministrativa e dall'elaborazione giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa, sostenuta da una giurisprudenza molto attenta alle ragioni di prevenzione da infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche un terzo tipo di informativa prefettizia, denominata, appunto, "informativa supplementare atipica", la quale trova un fondamento normativo, invero debole ...
LA VICENDA E LE INFORMATIVE ANTIMAFIA
Il Comune di San Lorenzo indiceva una gara per il conferimento dell'appalto dei lavori di riqualificazione dell'acquedotto in località Tavoliere.
La gara veniva vinta dall'impresa individuale M.P. Prima di procedere alla stipula del contratto, il Comune disponeva la revoca dell'aggiudicazione definitiva, sulla base di un'informativa prefettizia atipica, ove venivano comunicate ed illustrate vicende di rilevanza penali, interessanti il titolare dell'impresa.
Precisamente, nell'informativa si evidenziava che l'imprenditore risultava indagato per gravi reati, quali l'associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti di turbativa d'asta ed altri, turbata libertà degli incanti e falsificazione di valori di bollo.
A fronte di tale provvedimento, il Comune ha ritenuto che l'imprenditore fosse privo dei requisiti di ordine generale, di cui all'art. 38 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006), necessari per procedere alla stipula del contratto di appalto. Avverso il provvedimento comunale di revoca dell'aggiudicazione definitiva propone ricorso l'impresa vincitrice della gara.
La categoria delle informazioni prefettizie, disciplinata dagli artt. 10 e 11, D.P.R. n. 252 del 1998, si presenta indubbiamente variegata.
La normativa obbliga le stazioni appaltanti ad acquisire tali informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti di o i subcontratti, le cessioni o i cottimi di valore superiore, attualmente, ad € 154.937,07.
Infatti, ove emergano elementi relativi a "tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate", le amministrazioni non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o, comunque, consentire concessioni ed erogazioni. La prima tipologia di informazione prefettizia è contemplata dalle lettere a) e b), del comma 7, dell'art. 10, D.P.R. n. 252 del 1998. Si tratta di atti meramente ricognitivi di provvedimenti giudiziari di applicazione di misure cautelari o di sottoposizione a giudizio o di adozione di sentenze di condanna o di applicazione (o anche di mera proposta) di misure interdittive. La natura ricognitiva di tale informativa prefettizia si desume, con estrema chiarezza, dalla presenza di provvedimenti giudiziari, dei quali il Prefetto si limita a dare notizia alla stazione appaltante richiedente.
Più delicata appare, invece, la seconda tipologia di informativa prefettizia, contemplata dalla lettera c) del medesimo comma 7, dell'art. 10, da leggere in combinato con l'art. 4, comma 4, D.Lgs. n. 490 del 1994. Si tratta, precisamente, di accertamenti autonomi, posti in essere dalla Prefettura, sulla base di attività di indagine effettuata dagli organi inquirenti. Tale categoria, infatti, consente ai Prefetti di accertare, con efficacia impeditiva per la stipulazione di contratti, l'esistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, fattispecie quantomai insidiosa sotto il profilo dell'esatta individuazione dei relativi confini. La giurisprudenza configura tale provvedimento come una misura cautelare di tipo preventivo, che prescinde dal concreto accertamento penale di reati eventualmente commessi. Precisamente, secondo un orientamento pressoché unanime, tali informative non devono assurgere al rango di prova dell'intervenuta infiltrazione, essendo ciò un quid pluris non richiesto dalla normativa, ma devono fondarsi su fatti e vicende aventi valore sintomatico ed indiziario, sufficiente a dare contezza dell'esistenza di elementi, dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza mafiosa.
Il citato potere prefettizio, di accertamento e di valutazione, si inquadra in un sistema di cautele, diretto ad individuare quei soggetti che, pur non essendo formalmente interdetti, presentano non di meno delle "controindicazioni", derivanti dalla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, diretti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese coinvolte in pubblici appalti.
Pertanto, solo il Prefetto è legittimato a compiere apprezzamenti sull'esistenza di elementi, sintomatici e rivelatori dell'influenza esercitata dalle organizzazioni criminali sull'operatore economico, che aspiri a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
Ragione e giustificazione di tale competenza esclusiva deve essere ricercata nella tipicità della materia in questione, la quale richiede un'anticipazione della soglia di difesa sociale e, dunque, una tutela più che avanzata nel campo del contrasto della criminalità organizzata.
A tal proposito, la giurisprudenza ben evidenzia che, in tale settore, si prescinde dalle classiche soglie di rilevanza probatorie, tipiche del diritto penale, per cercare di cogliere l'affidabilità dell'impresa affidataria dei lavori, complessivamente intesa.
Sinora, in tema di informative antimafia, si è fatto riferimento alle sole informative "tipiche" o "interdittive", che impediscono il sorgere o il continuare del rapporto contrattuale.
Accanto a queste, si sono diffuse le cosiddette informative "supplementari" o "atipiche", sostenute dalla prassi amministrativa e dall'elaborazione giurisprudenziale.
Precisamente, la prassi amministrativa, sostenuta da una giurisprudenza molto attenta alle ragioni di prevenzione da infiltrazioni di tipo mafioso, conosce anche un terzo tipo di informativa prefettizia, denominata, appunto, "informativa supplementare atipica", la quale trova un fondamento normativo, invero debole, nell'art. 10, comma 9, D.P.R. n. 252 del 1998, che, a sua volta, richiama l'art. 1-septies, D.L. 06.09.1982, n. 629, convertito nella L. 12.10.1982, n. 726 .
La debolezza del fondamento risiede, innanzitutto, nel fatto che la norma richiamata concerne i poteri dell'ex Alto commissario per la lotta alla mafia e si limita a disciplinare la possibilità che vengano comunicati alle autorità (competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni o concessioni) elementi di fatto o altre indicazioni, utili alla valutazione dei requisiti soggettivi del richiedente.
Inoltre, il citato comma 9 stabilisce che tale rinvio non opera, quanto alle informazioni prefettizie antimafia, "salvo che gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge".
Nella concreta prassi amministrativa, si attribuisce, abitualmente, rilevanza anche a questo ulteriore tipo di informativa prefettizia, la quale presenta profili di similitudine con quella disciplinata dall'art. 10, comma 7, lett. c), in considerazione della loro comune natura non ricognitiva di provvedimenti giudiziari.
Al riguardo, la giurisprudenza da tempo segnala che tale informativa, cosiddetta supplementare atipica ha il suo fondamento nel principio generale di collaborazione tra pubbliche amministrazioni ed è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l'attuazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante.
Infatti, tale informativa, in virtù della sua natura esclusivamente indiziaria, conferisce alla stazione appaltante il potere, delicato ma ristretto nel suo contenuto, di effettuare una propria valutazione, che può trascurare l'importanza degli elementi ostativi notiziati, solo in ragione di una motivazione puntuale e "forte".
L'ANALISI DEL TAR REGGIO CALABRIA
Il Tar Reggio Calabria respinge il ricorso sulla base di un'articolata analisi dell'informativa prefettizia atipica.
Primariamente, i giudici amministrativi reggini evidenziano la diversità dell'informativa atipica, per quanto concerne gli effetti: mentre l'informativa tipica ha carattere interdittivo, nel senso che impedisce di diritto l'instaurazione di rapporti negoziali con l'impresa, attraverso il divieto di stipula del contratto, l'informativa atipica non presenta tale carattere, ma consente solo (e non è poco!) l'esercizio dei poteri discrezionali di intervento sui provvedimenti amministrativi posti in essere, sulla base, appunto, delle informazioni assunte.
Con l'informativa atipica non scatta alcun obbligo legale interdittivo, ma solo l'obbligo di valutare attentamente le notizie acquisite, al fine di decidere se il soggetto interessato presenta l'idoneità morale necessaria per iniziare o proseguire le prestazioni contrattuali. Proprio per tale sua caratteristica di non costituire un "legale impedimento", l'informativa atipica non necessita di un grado di comprovazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso.
Infatti, osserva il Tar, si fonda su elementi, anche indiziari, (che la stazione appaltante non ha né il potere né l'onere di verificarne la portata o i presupposti) ottenuti con l'ausilio di particolari indagini, che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
E' stato osservato, in giurisprudenza, che l'informativa atipica consente alla stazione appaltante di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto contrattuale in corso, che potrà essere sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato "un margine assai ristretto di valutazione discrezionale, mentre il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso della scelta della prosecuzione del rapporto per inderogabili ed indeclinabili necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile" (TAR Campania, Sez. Napoli I, n. 16618/2010).
Fra l'altro, non deve essere dimenticato che il potere di indagine e di sindacato del giudice amministrativo è abbastanza limitato:
"Le informative atipiche, in quanto atti meramente partecipativi di circostanze di fatto, non determinano un divieto legale a contrarre e non comportano, necessariamente ed inevitabilmente, l'adozione di provvedimenti pregiudizievoli per il privato, l'assunzione dei quali è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante; in questi casi, il sindacato del giudice amministrativo non può entrare nel merito restando circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità il significato attribuito agli elementi di fatto e l'iter procedimentale seguito per pervenire a determinate conclusioni" (TAR Campania, Sez. Salerno I, n. 11842/2010).
Proprio in ragioni di tali caratteristiche, la giurisprudenza si è, poi, interrogata anche sulla "compatibilità comunitaria" dell'istituto, pervenendo ad una positiva risposta, fondata sulla considerazione che le cause di esclusione dagli appalti, previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall'ordinamento interno non sono esaustive e tassative, potendo i Legislatori nazionali prevederne ulteriori, a salvaguardia di interessi pubblici generali, diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Alla luce delle considerazioni sin qui espresse, il Tar Reggio Calabria ritiene infondato il ricorso per tre precise ragioni.
In primo luogo, si fa osservare che l'impresa ricorrente non ha impugnato né censurato il contenuto dell'informativa atipica, che il Comune ha assunto a necessario ed esclusivo presupposto motivazionale del provvedimento di revoca. In secondo luogo, si rileva che il ricorrente non ha evocato in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria, che tale provvedimento ha emanato.
Inoltre, appare decisamente carente l'apparato motivazionale del ricorso, in quanto il medesimo si limita a contestare la circostanza della carenza di requisiti di ordine generale, senza avvedersi che, in realtà, l'Amministrazione si è uniformata al contenuto dell'informativa, rispetto alla quale non sono dedotte censure, rimanendo incontestati due puntuali ed inequivoci fatti: a) la sottoposizione del ricorrente ad indagini per i gravi reati contestatigli, aventi immediata e diretta incidenza sull'affidamento di appalti e, quindi, sulla capacità a contrarre con la Pubblica amministrazione; b) la rilevanza di tali circostanze in ordine all'efficacia propria delle informative antimafia atipiche (tratto da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 21.06.2011 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul carattere non interdittivo dell'informativa antimafia c.d. "atipica".
La c.d. informativa "atipica", diversamente dalla quella tipica, non ha natura di per sé interdittiva, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l'avvio od il prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del concorrente di assumere la posizione di contraente con la P.A. Pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni malavitose, e si basa su elementi, anche indiziari, ottenuti con l'ausilio di particolari indagini che possono risalire anche ad eventi datati.
L'informativa atipica consente alla stazione appaltante, che non ha il potere né l'onere di verificare la portata ed i presupposti dell'informativa antimafia, di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto, che risulterà sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato un margine ristretto di valutazione discrezionale; diversamente, il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso in cui si opti per la prosecuzione del rapporto per necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 21.06.2011 n. 518 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Decreto Sviluppo, il Senato darà ora il via definitivo al D.L. 70/2011 con le modifiche apportate dalla Camera (n. 2791 AS).
Approda al Senato per il voto definitivo, probabilmente senza modifiche (non c’è più il tempo), il Decreto Sviluppo.
Il disegno di legge di conversione, trasmesso ieri dalla Camera (era il 4357 AC), ha preso il numero 2791 AS.
Di seguito:
1- Il testo coordinato del D.L. 70/2011, dopo le modifiche apportate dalla Camera dei Deputati col voto di fiducia del 21.06.2011 (link a www.leggioggi.it).

APPALTI: A. P. Mazzuccato, L’attestazione di intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva negli appalti pubblici  (link a www.altalex.com).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Misure urgenti per l’economia: Governo ottiene la fiducia.
Nella seduta odierna (21.06.2011) la Camera con 317 voti a favore e 293 contro ha votato la fiducia posta dal Governo sull'approvazione, senza subemendamenti ed articoli aggiuntivi, del suo emendamento Dis. 1.1 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 13.05.2011 n. 70 concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357-A) (il cosiddetto "decreto sviluppo").

APPALTI: Procedura negoziata.
Domanda.
In che termini opera la procedura negoziata?
Risposta.
L'art. 56 del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, rubricato "Procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara", stabilisce al comma 1, lettera a), che le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti pubblici mediante procedura negoziata, previa pubblicazione di un bando di gara, "quando, in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta o di un dialogo competitivo, tutte le offerte presentate sono irregolari o inammissibili, in ordine a quanto disposto dal presente codice in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte", aggiungendo, per un verso, che "nella procedura negoziata non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto" e, per altro verso, che "le stazioni appaltanti possono omettere la pubblicazione del bando di gara se invitano alla procedura negoziata tutti i concorrenti in possesso dei requisiti di cui agli articoli da 34 a 45 che, nella procedura precedente, hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima".
Tale norma in esame ribadisce la regola generale secondo cui l'aggiudicazione di un contratto pubblico deve avvenire attraverso l'espletamento delle procedure ristrette aperte e di quelle ristrette, ai sensi degli artt. 54 e 55 del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, ponendosi rispetto a tale regola generale come deroga, atteso che, secondo quanto stabilito dall'art. 3, comma 40, del citato D.Lgs., le procedure negoziate sono caratterizzate dal fatto che le stazioni appaltanti consultano direttamente gli operatori economici da loro prescelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell'appalto (art. 3, comma 40).
Esse costituiscono quindi lo strumento, espressamente previsto dal Legislatore, per assicurare nel campo dei contratti pubblici l'attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento fissati dall'art. 97, attraverso il contemperamento degli opposti principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, posti a garanzia della più ampia partecipazione possibile degli operatori economici, con quelli di economicità, efficacia e tempestività propri dell'azione amministrativa (così come indicati dall'art. 2, comma 1, del Codice dei Contratti Pubblici), allorquando sia rimasta senza esito una precedente procedura aperta o ristretta o un dialogo competitivo per la irregolarità o la inammissibilità delle offerte presentate.
Pur dovendo ammettersi l'esistenza di un evidente collegamento tra la procedura aperta o ristretta o il dialogo competitivo, infruttuosi, e la successiva procedura negoziata, nel senso tra l'altro che il ricorso a quest'ultima postula proprio l'effettivo infruttuoso svolgimento di una delle prime, occorre tuttavia precisare che le due procedure sono e restano assolutamente autonome e distinte tra di loro, come si desume agevolmente dal fatto che esse siano disciplinate da separati bandi, di tal che per effetto di detto collegamento non si configura una fattispecie unitaria a formazione progressiva (21.06.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Sulle condizioni che devono sussistere affinché una società capogruppo possa essere chiamata a rispondere di responsabilità amministrativa, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.
Una società capogruppo può essere chiamata a rispondere, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, per il reato commesso nell'ambito dell'attività di altra società del gruppo, purché nella sua consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della holding perseguendo anche l'interesse di quest'ultima (Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza 20.06.2011 n. 24583 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La partecipazione di un RTI alla procedura indetta per l'affidamento di appalti pubblici è subordinata alla condizione che, la mandataria e le altre imprese associate, siano in possesso dei requisiti di qualificazione per la rispettiva quota.
In base a quanto disposto dall'art. 37, c. 13, d.lg. n. 163 del 2006, deve ritenersi sussistente un principio di "stretta consequenzialità" fra quota di partecipazione della singola impresa al raggruppamento temporaneo, percentuale di esecuzione dei lavori in appalto e qualificazione dell'impresa.
Pertanto, la partecipazione alla procedura indetta per l'affidamento della realizzazione di opere pubbliche delle associazioni temporanee è comunque subordinata alla condizione che la mandataria e le altre imprese associate siano in possesso dei requisiti di qualificazione per la rispettiva quota percentuale. Proprio al fine di impedire la verificazione di situazioni distorsive degli ordinati assetti concorrenziali, si palesa, infatti, imprescindibile l'esigenza di non trasformare la riunione di imprese in uno strumento elusivo delle regole impositive di un livello minimo di capacità per la partecipazione agli appalti.
Conseguentemente, nel caso di specie, l'impresa doveva essere esclusa dalla gara in quanto sprovvista della qualificazione necessaria richiesta per la partecipazione, a norma degli artt. 37 e dell'art. 40 del d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.06.2011 n. 3698 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla scelta normativa di non estendere l'art. 12 del DPR n. 252/1998 anche agli appalti di servizi.
La scelta normativa di non estendere l'art. 12 del DPR 252/1998 anche agli appalti di servizi, pur se opinabile, non risulta irragionevole alla luce delle più cospicue garanzie ratione temporis predisposte in tema di appalti di lavori (si pensi all'albo costruttori e, quindi, all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ed al sistema di qualificazione SOA), idonee a garantire un controllo sull'affidabilità delle imprese operanti in questo settore, più penetrante rispetto al campo degli appalti di servizi e di forniture.
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L'art. 10, c. 2, del D.p.r. 252/1998, laddove dispone il divieto il divieto per le Amministrazioni destinatarie di informazioni di infiltrazioni mafiose di: "stipulare, approvare o autorizzare i contratti o i subcontratti, autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni o le erogazioni", persegue un'esigenza di tutela dell'ordine pubblico, al fine di anticipare la soglia di difesa sociale nel campo della lotta alla criminalità organizzata, rispetto alla quale l'art. 12 del medesimo D.p.r. 252/1998 si pone quale eccezione ad una manipolazione analogica.
Il citato art. 12 del D.p.r. 252/1998, ponendosi come eccezione, si riferisce espressamente ai lavori pubblici e non anche agli appalti di servizi, tuttavia l'appalto in oggetto, trattandosi di una concessione di costruzione e gestione, si qualifica sia come appalto di lavori che di servizi pertanto, va esclusa un'applicazione in via analogica del precetto anzidetto, nonché dell'art. 37, c. 19, del Codice dei Contratti, che fa riferimento al subentro di un diverso mandante nella fase di esecuzione del contratto e non in quella dell'affidamento, nella quale un'intervenuta interdittiva antimafia impedisce al concorrente la possibilità di aggiudicarsi l'appalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.06.2011 n. 3697 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una procedura d'appalto per mancata sottoscrizione da parte del legale rappresentante della dichiarazione relativa agli specifici requisiti di partecipazione.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di una ditta che abbia reso la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di partecipazione, priva della sottoscrizione del legale rappresentante.
L'avviso pubblico indetto dalla stazione appaltante, nel prevedere, tra i requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura, un determinato fatturato e la realizzazione, nel triennio precedente, di almeno due servizi analoghi, dispone che il possesso dei requisiti prescritti sia attestato, a pena di esclusione, mediante autocertificazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 dal legale rappresentante dell'impresa; le autocertificazioni di cui al predetto decreto necessitano, per la loro giuridica esistenza ed efficacia, della sottoscrizione del soggetto dichiarante, che costituisce fondamentale elemento della fattispecie normativa diretta a comprovare l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica, per cui l'avviso pubblico ed il conseguente provvedimento di esclusione si palesano immuni da vizi.
Peraltro, a nulla rileva la considerazione secondo cui ci si troverebbe in una fase embrionale della gara, giacché questo non esonera gli aspiranti dalla richiesta dimostrazione dei requisiti posseduti (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 20.06.2011 n. 3261 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Gara - Esclusione illegittima - Risarcimento del danno patrimoniale - Presupposti - Onere della prova - An e quantum del lucro cessante (danno subìto) - Necessità - Sussiste - Casistica e criteri.
In presenza di una domanda di risarcimento del danno patrimoniale, è onere della parte che la propone provare dettagliatamente e con rigore non il solo an del danno ma anche il quantum dello stesso, offrendo gli idonei mezzi di prova e riversando in causa i documenti da cui il Giudice possa trarre elementi: il ricorso alla CTU, ovvero l'indicazione di criteri risarcitori, da parte del Giudice all'Amministrazione, presuppongono entrambi che sia stata raggiunta la prova e che debba procedersi esclusivamente a fini liquidatori (Nella specie, il TAR ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dall'impresa ricorrente illegittimamente esclusa dalla gara, in quanto la stessa avrebbe dovuto allegare ogni elemento utile ai fini della determinazione, secondo criteri di verosimiglianza, del costo derivante dall'assunzione della fornitura, poiché solo in tal modo esso avrebbe potuto essere comparato all'offerta, al fine di dedurne il margine effettivo di profitto, e conseguentemente il lucro cessante) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.06.2011 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' illegittima la previsione del bando di gara che prevede, a pena di esclusione, la produzione per due volte, in due buste diverse, del medesimo documento (copia del capitolato tecnico, timbrato e firmato).
La legge lascia alla stazione appaltante un ampio margine discrezionale per conformare il procedimento concorsuale alle proprie esigenze, disciplinando nella maniera più opportuna i requisiti e gli adempimenti posti a carico dei concorrenti che aspirano a partecipare alla gara.
Tali determinazioni, se non risultano in contrasto con norme particolari di rango superiore, non sono censurabili nel merito, fatto salvo il sindacato di legittimità quando si manifesti una palese irragionevolezza o ingiustizia o incongruità delle disposizioni di gara (cfr. Cons. St., sez. V, 22/09/2009, n. 5653).
Nella specie è fondata la censura dedotta dalla società ricorrente, sotto questi profili, contro la clausola che prevede, a pena di esclusione, la produzione per due volte, in due buste diverse, del medesimo documento (copia del capitolato tecnico, timbrato e firmato).
Infatti non vi è alcuna ragionevole giustificazione di questo onere, posto a carico dei concorrenti, che peraltro si pone in contrasto con i principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa e con i principi di adeguatezza, proporzionalità e non aggravamento delle procedure concorsuali (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 20.06.2011 n. 3259 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui requisiti che devono sussistere affinché un consorzio possa essere qualificato "stabile" ai sensi dell'art. 36, c. 1, d.lgs. n. 163/2006.
Un consorzio per essere ritenuto "stabile" ai sensi dell'art. 36, c. 1, d.lgs. n. 163/2006, deve: a) possedere almeno tre consorziati; b) consorziare imprese che abbiano deciso (attraverso una determinazione assunta dai propri organi deliberativi) di operare congiuntamente nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni; c) avere una autonoma struttura imprenditoriale tale per cui esso può essere in grado di eseguire direttamente i contratti pubblici allo stesso aggiudicati.
In breve, il consorzio stabile è un'impresa costituita da altre imprese il cui fine è quello di operare nel settore dei contratti pubblici in modo strutturale e duraturo e non congiunturale e transitorio. L'elemento centrale che connota la stabilità del consorzio va quindi ravvisato in quello teleologico, ossia nello "scopo di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per almeno cinque anni", conseguendo l'affidamento in proprio di contratti pubblici e dandovi esecuzione in maniera altrettanto diretta ovvero per il tramite dell'attività dei consorziati (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 17.06.2011 n. 1104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Un consorzio può essere definito "stabile" solo se caratterizzato dall'esistenza di una struttura stabile e duratura il cui fine sia quello di operare nel settore dei contratti pubblici.
Il consorzio, per essere ritenuto “stabile” deve:
a) possedere almeno tre consorziati;
b) consorziare imprese che abbiano deciso (attraverso una determinazione assunta dai propri organi deliberativi) di operare congiuntamente nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni;
c) avere una autonoma struttura imprenditoriale tale per cui esso può essere in grado di eseguire direttamente i contratti pubblici allo stesso aggiudicati (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 17.06.2011 n. 1104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un'ATI concorrente da una gara per mancata produzione dei certificati relativi alla regolare esecuzione di analoghi servizi nel precedente triennio.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006 prevede che, nell'ipotesi in cui si verta in materia di servizi e forniture prestati, come nel caso di specie, a favore di amministrazioni od enti pubblici, la capacità tecnica può essere dimostrata unicamente mediante certificati rilasciati e vistati dalle stesse amministrazioni, non ammettendosi alcun documento sostitutivo.
Ne consegue che, è legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'ATI, che abbia omesso di presentare i certificati relativi alla corretta esecuzione di analoghi servizi nel precedente triennio e che abbia, peraltro, prodotto fatture in alternativa alle suddette certificazioni. Peraltro il potere della stazione appaltante di richiedere una integrazione documentale ai sensi dell'art. 46 d.lgs. n. 163/2006 è ammesso unicamente al fine di fornire chiarimenti con riferimento a documenti già presentati, ovvero allo scopo di completare la documentazione esibita, non già per sopperire alla totale mancanza di un documento che andava depositato entro un termine perentorio a pena di esclusione.
Né può affermarsi che le fatture abbiano identico valore della certificazione di regolare esecuzione richiesta dal disciplinare di gara, al fine della dimostrazione della capacità tecnica. Appare pertanto arbitraria la scelta di depositare, in alternativa, le fatture in quanto dalla stessa considerate atti equipollenti (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 17.06.2011 n. 920 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La tesi secondo cui dopo 30 giorni dall’aggiudicazione provvisoria, in assenza di un provvedimento espresso, si determinerebbe l’aggiudicazione definitiva per implicito, pur sostenuta da un’isolata pronuncia giurisprudenziale, appare peraltro poco condivisibile anche alla stregua di quanto disposto dall’art. 11 dello stesso codice dei contratti pubblici, che, proprio nel disciplinare le fasi delle procedure di affidamento, sancisce, al quinto comma, che «la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva».
La norma distingue dunque nettamente l’aggiudicazione provvisoria (con l’appendice dell’approvazione) da quella definitiva, in conformità del costante insegnamento, alla stregua del quale la seconda si pone in rapporto di autonomia con la prima, tanto che viene ritenuto evento del tutto fisiologico quello per cui ad un’aggiudicazione provvisoria può non fare seguito quella definitiva, inidoneo di per sé ad ingenerare qualsiasi affidamento meritevole di tutela.
Ne consegue che la mancata approvazione espressa dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi e nei termini dell’art. 12, comma 1, del codice dei contratti pubblici comporta come effetto solamente quello dell’approvazione automatica della stessa aggiudicazione provvisoria, senza produrre un “salto procedimentale”, con perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva.
In altri termini, il meccanismo del “silenzio assenso” prefigurato dall’art. 12, comma 1, riguarda solo l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, mentre l’aggiudicazione definitiva richiede una manifestazione di volontà espressa dell’Amministrazione, implicante, da parte dell’organo amministrativo dotato di competenza esterna, il rinnovato esame delle valutazioni già compiute dall’organo tecnico in sede di selezione della migliore offerta.
Anche a fronte di un’approvazione tacita dell’aggiudicazione provvisoria la Stazione appaltante conserva il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione definitiva; e si tratta di un provvedimento adottato da Autorità diversa (da quella che ha disposto l’aggiudicazione provvisoria), nell’esercizio di un potere e sulla base di presupposti non assimilabili a quelli relativi all’aggiudicazione provvisoria.
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Il diniego di aggiudicazione definitiva, intervenuto dopo più di un anno dall’aggiudicazione provvisoria, non viola di per sé i principi di buona amministrazione.
Come evidenziato dalla giurisprudenza formatasi sull’art. 2 della legge n. 241 del 1990, il mancato rispetto del termine finale del procedimento non determina di per sé l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio, o, meglio, ordinatorio (pur con taluni profili comminatori, evincibili ad esempio nell’ultimo comma del predetto art. 2) per la definizione del procedimento.
Peraltro, occorre precisare che il codice dei contratti pubblici non enuclea uno specifico termine per l’aggiudicazione definitiva (l’art. 12, come visto, riguardando l’aggiudicazione provvisoria). Il fondamento di razionalità dell’omessa previsione di un termine per l’aggiudicazione definitiva va verosimilmente rinvenuto nella non prevedibilità a priori degli adempimenti necessari, pur non potendosi tale termine verosimilmente disancorare dal tempo di efficacia dell’offerta, che è quella indicata dal bando, ovvero di 180 giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione, prendendo a riferimento l’ultima richiesta e l’ultimo adempimento.
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La definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta consacrata solamente con l’aggiudicazione definitiva; può anzi dirsi che le fasi procedimentali di passaggio fra l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva sono preordinate proprio alla verificazione della prima. Ciò viene sovente tradotto nell’affermazione secondo cui l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili ed interinali, e l’aggiudicazione definitiva non costituisce atto meramente confermativo della prima.
Spetta all’aggiudicazione definitiva, in quanto epilogo del procedimento di gara, procedere al controllo ed alla verifica di regolarità delle operazioni di gara.
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L’aggiudicazione provvisoria di un contratto con l’Amministrazione non genera alcun affidamento qualificato e risulta esposta a revisioni che possono anche condurre al suo annullamento, che non trova ostacoli insuperabili, salvo l’obbligo di motivazione. L’aggiudicazione provvisoria fa sorgere, in capo all’aggiudicatario provvisorio, solamente un’aspettativa alla conclusione del procedimento.
L’attualità e la specificità dell’interesse pubblico che sorregge il potere di autotutela devono essere calibrate in funzione della fase procedimentale in cui lo stesso interviene, ed, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento; è, dunque, anche diverso l’onere motivazionale richiesto dalla giurisprudenza per procedere all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva od addirittura la stipula del contratto, ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia giunto completamente a termine.
A prescindere dal fatto che, in astratto, la revoca priva di indennizzo non sarebbe illegittima, salva la possibilità di azionare la pretesa patrimoniale, occorre comunque considerare che l’indennizzo spetta sempre che la revoca (legittima) incida su di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, od anche istantanea, ma comunque definitivo, ed in quanto tale idoneo ad esprimere la propria effettualità. Tale non è il caso dell’aggiudicazione provvisoria, la quale è, come più volte ripetuto, atto endoprocedimentale, con effetti ancora instabili e del tutto interinali; ciò comporta che, quand’anche al provvedimento gravato di diniego dell’aggiudicazione definitiva volesse attribuirsi una portata revocatoria, non sarebbe dovuto l’indennizzo.
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L’aggiudicazione provvisoria è inidonea ad ingenerare un qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista un’illegittimità nell’operato dell’Amministrazione.
Se l’aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, è inidonea ad ingenerare un qualunque affidamento tutelabile, bene si comprende come il ritardo, ove per ipotesi configurabile, nell’adozione del diniego del provvedimento di aggiudicazione definitiva difficilmente può produrre un danno ingiusto, e dunque risarcibile.

Occorre preliminarmente enucleare l’esatta natura giuridica del provvedimento impugnato, formalmente recante il diniego di approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, precedentemente disposta in favore della società ricorrente, ma che, ad avviso di quest’ultima, deve essere inteso come annullamento di un’aggiudicazione definitiva tacitamente formatasi.
Dall’art. 12, comma 1, del codice dei contratti pubblici, si evince che l’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, ed, in mancanza, entro trenta giorni; il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti e documenti, ed inizia nuovamente a decorrere allorché tali chiarimenti o documenti pervengano all’organo richiedente; decorso il termine, l’aggiudicazione si intende approvata.
Anche se la disposizione da ultimo indicata non specifica chiaramente quale aggiudicazione debba intendersi approvata con l’inutile decorso del termine entro il quale va esercitato il potere di controllo, non può comunque trascurarsi di considerare che il comma entro cui la disposizione è inserita concerne l’aggiudicazione provvisoria.
Va altresì aggiunto che l’art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006, nel disciplinare i “controlli sugli atti delle procedure di affidamento”, ha riguardo all’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria e poi del contratto (per il quale è prevista anche un’ulteriore fase di controllo dell’approvazione), e non si occupa mai dell’aggiudicazione definitiva.
La tesi secondo cui dopo trenta giorni dall’aggiudicazione provvisoria, in assenza di un provvedimento espresso, si determinerebbe l’aggiudicazione definitiva per implicito, pur sostenuta da un’isolata pronuncia giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 04.05.2010, n. 2554), appare peraltro poco condivisibile anche alla stregua di quanto disposto dall’art. 11 dello stesso codice dei contratti pubblici, che, proprio nel disciplinare le fasi delle procedure di affidamento, sancisce, al quinto comma, che «la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva».
La norma distingue dunque nettamente l’aggiudicazione provvisoria (con l’appendice dell’approvazione) da quella definitiva, in conformità del costante insegnamento, alla stregua del quale la seconda si pone in rapporto di autonomia con la prima, tanto che viene ritenuto evento del tutto fisiologico quello per cui ad un’aggiudicazione provvisoria può non fare seguito quella definitiva, inidoneo di per sé ad ingenerare qualsiasi affidamento meritevole di tutela (tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 27.07.2010, n. 4902; Sez. VI, 06.04.2010, n. 1907; Sez. V, 15.02.2010, n. 808).
Ne consegue che la mancata approvazione espressa dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi e nei termini dell’art. 12, comma 1, del codice dei contratti pubblici comporta come effetto solamente quello dell’approvazione automatica della stessa aggiudicazione provvisoria (Cons. Stato, Sez. V, 12.07.2010, n. 4483; Sez. V, 07.05.2008, n. 2089), senza produrre un “salto procedimentale”, con perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva.
In altri termini, il meccanismo del “silenzio assenso” prefigurato dall’art. 12, comma 1, riguarda solo l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, mentre l’aggiudicazione definitiva richiede una manifestazione di volontà espressa dell’Amministrazione, implicante, da parte dell’organo amministrativo dotato di competenza esterna, il rinnovato esame delle valutazioni già compiute dall’organo tecnico in sede di selezione della migliore offerta.
Resta da aggiungere come anche a fronte di un’approvazione tacita dell’aggiudicazione provvisoria la Stazione appaltante conserva il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione definitiva; e si tratta di un provvedimento adottato da Autorità diversa (da quella che ha disposto l’aggiudicazione provvisoria), nell’esercizio di un potere e sulla base di presupposti non assimilabili a quelli relativi all’aggiudicazione provvisoria (così, da ultimo, TAR Lazio, Sez. I, 28.02.2011, n. 1809).
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Con riguardo alla violazione del principio di buon andamento e dei canoni di efficacia ed efficienza, compendiati nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, è indubbio che sia passato un termine piuttosto ampio tra l’aggiudicazione provvisoria, risalente al 25.11.2009, ed il diniego di aggiudicazione definitiva, intervenuto il 25.01.2011, ma, ragionando in astratto, come evidenziato dalla giurisprudenza formatasi sull’art. 2 della legge n. 241 del 1990, il mancato rispetto del termine finale del procedimento non determina di per sé l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio, o, meglio, ordinatorio (pur con taluni profili comminatori, evincibili ad esempio nell’ultimo comma del predetto art. 2) per la definizione del procedimento (tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 01.12.2010, n. 8371; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 27.12.2010, n. 28062).
Occorre peraltro precisare che il codice dei contratti pubblici non enuclea uno specifico termine per l’aggiudicazione definitiva (l’art. 12, come visto, riguardando l’aggiudicazione provvisoria); ciò trova conferma indiretta nel fatto che il successivo art. 79, comma 5, prevede la comunicazione ex officio dell’aggiudicazione definitiva, e tale disposizione è particolarmente significativa perché la comunicazione individua il dies a quo per la proposizione del ricorso giurisdizionale (cfr. art. 120, comma 5, del cod. proc. amm.), e da tale comunicazione decorre pure il termine di sospensione sostanziale (di 35 giorni) per la stipulazione del contratto (art. 11, comma 10, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Il fondamento di razionalità dell’omessa previsione di un termine per l’aggiudicazione definitiva va verosimilmente rinvenuto nella non prevedibilità a priori degli adempimenti necessari, pur non potendosi tale termine verosimilmente disancorare dal tempo di efficacia dell’offerta, che è quella indicata dal bando, ovvero di centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione (cfr. art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Se così è, prendendo a riferimento l’ultima richiesta e l’ultimo adempimento del settembre 2010, il termine non risulta ancora spirato al momento dell’adozione del provvedimento gravato.
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Quanto all’asserita violazione dei principi di trasparenza ed imparzialità, nella prospettiva che spetti solamente alla Commissione giudicatrice, nel rispetto della sequenza procedimentale che impone di esaminare l’offerta tecnica prima di quella economica, valutare se l’offerta della ricorrente costituisse un’ammissibile “proposta tecnica migliorativa ed integrativa”, ovvero si traducesse in una non consentita difformità dal bando di gara, si tratta di doglianza sostanzialmente infondata, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta consacrata solamente con l’aggiudicazione definitiva (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2011, n. 1446); può anzi dirsi che le fasi procedimentali di passaggio fra l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva sono preordinate proprio alla verificazione della prima (così Cons. Stato, Sez. V, 27.04.2011, n. 2479). Ciò viene sovente tradotto nell’affermazione secondo cui l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili ed interinali, e l’aggiudicazione definitiva non costituisce atto meramente confermativo della prima.
Spetta all’aggiudicazione definitiva, in quanto epilogo del procedimento di gara, procedere al controllo ed alla verifica di regolarità delle operazioni di gara (TAR Veneto, Sez. I, 04.08.2010, n. 3447).
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L’aggiudicazione provvisoria di un contratto con l’Amministrazione non genera alcun affidamento qualificato e risulta esposta a revisioni che possono anche condurre al suo annullamento, che non trova ostacoli insuperabili, salvo l’obbligo di motivazione (Cons. Stato, Sez. V, 27.04.2011, n. 2479). L’aggiudicazione provvisoria fa sorgere, in capo all’aggiudicatario provvisorio, solamente un’aspettativa alla conclusione del procedimento.
L’attualità e la specificità dell’interesse pubblico che sorregge il potere di autotutela devono essere calibrate in funzione della fase procedimentale in cui lo stesso interviene, ed, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento; è, dunque, anche diverso l’onere motivazionale richiesto dalla giurisprudenza per procedere all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva od addirittura la stipula del contratto, ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia giunto completamente a termine.
Nel caso di specie il provvedimento è adeguatamente motivato, in proporzione al livello di affidamento ingenerato dall’aggiudicazione provvisoria, che è atto intermedio del procedimento di gara, e non richiede quindi un’approfondita comparazione tra l’interesse pubblico e l’interesse privato.
Come già esposto, in corso di procedura è più ampio e libero lo spazio di riesame da parte dell’Amministrazione, non essendovi ancora titolari di posizioni consolidate (così anche TAR Sardegna, Sez. I, 11.11.2010, n. 2582).
A questo riguardo, occorre precisare che tanto l’art. 21-nonies, quanto l’art. 21-quinquies hanno riguardo, essenzialmente, al provvedimento “definitivo”, e solo marginalmente agli atti intermedi; ciò lo si evidenzia anche con riferimento all’assunto di parte ricorrente, secondo cui si verterebbe al cospetto di una revoca, mancante però del prescritto indennizzo.
In realtà, ad avviso del Collegio, a prescindere dal fatto che, in astratto, la revoca priva di indennizzo non sarebbe illegittima, salva la possibilità di azionare la pretesa patrimoniale, occorre comunque considerare che l’indennizzo spetta sempre che la revoca (legittima) incida su di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, od anche istantanea, ma comunque definitivo, ed in quanto tale idoneo ad esprimere la propria effettualità (Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n. 1554; TAR Sardegna, Sez. I, 11.11.2010, n. 2582; Sez. I, 12.06.2009, n. 976).
Tale non è il caso dell’aggiudicazione provvisoria, la quale è, come più volte ripetuto, atto endoprocedimentale, con effetti ancora instabili e del tutto interinali; ciò comporta che, quand’anche al provvedimento gravato di diniego dell’aggiudicazione definitiva volesse attribuirsi una portata revocatoria, non sarebbe dovuto l’indennizzo.
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Viene anche in rilievo, seppure con qualche specificità, il problema, ancora irrisolto, della natura giuridica del danno da ritardo, se cioè lo stesso sia configurabile per il fatto del mero superamento del termine finale del procedimento (c.d. danno da mero ritardo), o si richieda un quid pluris, come ritenuto, in passato, da Cons. Stato, Ad. Plen., 15.09.2005, n. 7, e cioè il sopraggiungere di un provvedimento di accoglimento dell’istanza, vale a dire satisfattivo dell’interesse pretensivo azionato in giudizio.
Peraltro, nella fattispecie in esame, anche a voler ritenere che il tempo sia di per sé un bene della vita per il soggetto privato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28.02.2011, n. 1271), non può trascurarsi di considerare che l’aggiudicazione provvisoria è inidonea ad ingenerare un qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista un’illegittimità nell’operato dell’Amministrazione (così Cons. Stato, Sez. VI, 27.07.2010, n. 4902; Sez. VI, 06.04.2010, n. 1907; Sez. V, 15.02.2010, n. 808).
Se l’aggiudicazione provvisoria, naturalmente temporanea, è inidonea ad ingenerare un qualunque affidamento tutelabile, bene si comprende come il ritardo, ove per ipotesi configurabile, nell’adozione del diniego del provvedimento di aggiudicazione definitiva difficilmente può produrre un danno ingiusto, e dunque risarcibile (TAR Umbria, sentenza 16.06.2011 n. 172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIServizi, affidamenti diretti fino a 40.000 euro. Certificazioni da inviare alla banca dati contratti pubblici in 30 giorni.
Affidamenti diretti di servizi e forniture possibili fino a 40.000 euro; certificazioni delle prestazioni volte da trasmettere alla Banca dati dei contratti pubblici entro 30 giorni, affidamento in subappalto dei lavori della categoria prevalente fino al 20% in caso di trattativa privata; procedure ristretta con scelta degli offerenti anche per servizi e forniture, possibilità per i contraenti generali di utilizzare i requisiti anche per i lavori subappaltati e affidati a terzi, esclusione della disciplina sull'accordo bonario per i contratti affidati a contraente generale, trattativa privata per gli appalti nel settore dei beni culturali fino a un milione di euro. Confermati il divieto di riserve su progetti validati e il limite del 20% alle varianti.
Sono questi alcuni dei principali effetti derivanti dall'esame e dell'approvazione, in commissione bilancio e finanze
della Camera, degli emendamenti relativi all'articolo 4 del disegno di legge di conversione del decreto legge 70/2011 (il cosiddetto decreto per lo sviluppo), che contiene diverse modifiche al Codice degli appalti pubblici.
Fra le novità approvate in commissione si segnala la modifica all'articolo 62 del Codice che ammette la possibilità di utilizzare la cosiddetta «forcella» nelle procedure ristrette in caso di appalti di servizi e forniture (il cosiddetto passaggio dalla «long list» alla «short list» con una predeterminazione del numero dei soggetti da invitare a presentare offerta), possibilità al momento prevista solo per i lavori.
E' stato poi approvato un emendamento della Lega Nord che porta da 20.000 a 40.000 euro il limite per procedere ad affidamenti diretti di incarichi di servizi e forniture da parte del Responsabile del procedimento (non è stato invece approvato l'innalzamento della soglia dei 100.000 euro —fino a 193.000 euro— per le trattative private con bando relative agli incarichi di progettazione).
Nell'emendamento del relatore approvato in commissione sono contenute anche alcune modifiche relative alla disciplina del contraente generale: l'inapplicabilità dell'articolo 240 (accordo bonario) e la possibilità, per i contraenti generali, di utilizzare i lavori subappaltati o affidati a terzi per la qualificazione SOA Viene inoltre previsto il limite del 20% per i subappalti dei lavori della categoria prevalente in caso di affidamento dell'appalto a trattativa privata (con o senza bando).
Passa a un milione (da 500.000 euro) il limite per gli affidamenti a trattativa privata nel settore dei beni culturali, che nel decreto legge era stato portato a un milione e mezzo (articolo ItaliaOggi del 16.06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti, niente ribassi sul costo del lavoro. Approvato un emendamento dei democratici che blocca gli «sconti» anche per la sicurezza.
Il costo del lavoro non può più essere oggetto di ribassi in tutti gli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.
A sorpresa, con un emendamento al decreto sviluppo presentato da Cesare Damiano (Pd) e approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera gli appalti perdono una delle voci di costo finora manovrabili in fase di offerta.
L'emendamento prevede che l'offerta migliore deve essere individuata dalla stazione appaltante «al netto delle ... (articolo Il Sole 24 Ore del 16.06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIProcedura Negoziata: definizioni, domande e risposte. Estratto del Convegno sul nuovo Regolamento dei Contratti pubblici.
La procedura negoziata consente alle Stazioni Appaltanti di consultare gli operatori economici da loro scelti e negoziare con uno o più di essi le condizioni dell'appalto.
Essa può essere “previa pubblicazione di bando” o “senza previa comunicazione di bando”.
Ricordiamo brevemente che:
la procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara è applicabile:
-
quando tutte le offerte presentate sono irregolari ovvero inammissibili, in ordine a quanto disposto dal presente codice in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte;
- nel caso di appalti per lavori realizzati unicamente a scopo di ricerca, sperimentazione.
la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è applicabile:
- nel caso in cui non sia stata presentata nessuna offerta, o nessuna offerta appropriata, o nessuna candidatura;
- se il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato il per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi;
- in casi di estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti.
Il Decreto Sviluppo (Decreto Legge 13.05.2011, n. 70) ha innalzato i limiti di importo per l'affidamento degli appalto mediante procedura negoziata (fino alla soglia comunitaria), con l'obbligo di invitare almeno 5 operatori per importi inferiori a 500.000 euro e almeno 10 operatori per importi maggiori di 500.000 euro.
La redazione di BibLus-net propone ai propri lettori un estratto in formato audio-video del seminario di aggiornamento e studio riguardante il nuovo “REGOLAMENTO DI ESECUZIONE ED ATTUAZIONE DEI CONTRATTI PUBBLICI”, organizzato dall'Ordine degli Ingegneri di Avellino il 16.05.2011, che riporta la relazione del dott. Ugo MONTELLA (Vice Procuratore Generale presso la Corte dei Conti) con domande e risposte sulla Procedura Negoziata.
In particolare,
vengono analizzati gli artt. 56, 57 e 122 del D.Lgs 163/2006 e le modifiche apportate dal D.P.R. 207/2010 e dal Decreto Sviluppo e vengono fornite le risposte ai quesiti dei partecipanti (news del 16.06.2011 - link a www.acca.it).

APPALTIClausole di tracciabilità: dal 17.06.2011 adeguamento automatico di tutti i contratti.
Come previsto dalla Legge n. 127/2010, dal 17.06.2011 tutti i contratti stipulati prima del 10 settembre 2010, non adeguati volontariamente, saranno automaticamente integrati con le clausole di tracciabilità previste Legge n. 136/2010.
In particolare, per questi contratti, le varie stazioni appaltanti dovranno chiedere (entro venerdì) il CIG (Codice Identificativo di Gara) e dovranno effettuare i pagamenti tramite bonifico bancario o postale o altri strumenti tracciabili.
L'AVCP consiglia alle stazioni appaltanti di inviare una comunicazione agli operatori economici per evidenziare l'adeguamento automatico del contratto e comunicare il CIG, dove non fosse già previsto.
Per approfondire la problematica relativa ad adempimenti e procedure si rinviano i lettori all'articolo sulla Tracciabilità dei flussi finanziari.
In allegato si riportano le diverse Determinazioni dell'AVCP (news del 16.06.2011 - link a www.acca.it).

APPALTI: Sussiste l'obbligo di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, anche in capo ai soggetti dotati di un ruolo decisionale all'interno della società, al di là della qualificazione formale dei poteri loro attribuiti.
L'art. 38, lett. b), c) e m-ter, del d.lgs. n. 163/2006, va interpretato alla luce del più sostanziale indirizzo orientamento attento all' effettività del rapporto amministrativo, nonché all'affidabilità di chi in esso agisce nell'interesse e per conto del concorrente, secondo cui, la dichiarazione relativa all'insussistenza di cause di esclusione deve essere resa anche dai procuratori speciali, al di là della loro qualifica formale, in virtù dei poteri ad essi in concreto conferiti. Ciò in quanto, la ratio legis è di escludere, dalla partecipazione alla gara, le società in cui abbiano commesso gravi reati i soggetti dotati di un ruolo decisionale e gestionale significativo.
Il fondamento della disposizione consiste infatti nell'assicurare preventivamente la piena affidabilità morale dell'impresa che ambisce all'esecuzione dell'opera pubblica: affidabilità che, ridotta al rango soggettivo in ragione della personalità della responsabilità penale, va garantita e dichiarata anche per quanti, in concreto, risultino svolgere una reale funzione di amministrazione dell'impresa ed esercitarne i tipici poteri di gestione; a maggior ragione quando, come nel caso di specie, tali soggetti si mostrino capaci di reali poteri gestori nei confronti dell'amministrazione pubblica; diversamente, la ratio legis verrebbe elusa e dunque vanificata.
A tal fine, peraltro, rileva anche considerare l'attribuzione del potere di partecipare a pubblici appalti e formulare le relative offerte, come avvenuto nella fattispecie in esame (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2011 n. 3655 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Alcuni elementi dell'informativa antimafia non valsi ad accertare la sussistenza di un reato possono essere suscettibili di diversa valutazione in sede amministrativa.
I termini della discrezionalità attribuita all’Amministrazione in ordine al rilascio di informative antimafie sono stati precisati da orientamento, invero pacifico, di questa Sezione, del quale è espressione, ad esempio, la decisione 14.04.2009, n. 2276, con la quale è stato affermato che l'informativa antimafia, emessa ai sensi dell'art. 10, comma 7, lett. c), d.P.R. 252/1998, prescinde completamente da ogni provvedimento penale a carico degli appartenenti all'impresa (sia pure di carattere preventivo o anche assolutorio), e si giustifica considerando il pericolo dell'infiltrazione mafiosa, che non deve essere immaginifico né immaginario, ma neppure provato, purché sia fondato su elementi presuntivi e indiziari, la cui valutazione è rimessa alla lata discrezionalità del prefetto, sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità.
Pur se non è accettabile, in presenza di elementi indiziari evanescenti, che venga enfatizzato il rischio di infiltrazione mafiosa al fine di emettere una informativa antimafia, non è altrettanto accettabile che lo stesso rischio venga sottovalutato perché, in sede penale, non sono stati accertati elementi sufficienti per affermare la responsabilità penale.
Pertanto, l'informativa antimafia non risponde a finalità di accertamento di responsabilità, ma ha carattere accentuatamente preventivo-cautelare, con la conseguenza che elementi, che, in sede penale, non sono valsi ad accertare la sussistenza di un reato, possono ben essere suscettibili di diversa valutazione in sede amministrativa, al fine di fondare un giudizio di possibilità che l'attività considerata possa subire condizionamenti da soggetti legati alla criminalità organizzata.
Deve dunque concludersi nel senso che il prefetto, nel rendere le informazioni antimafia richieste ai sensi dell'art. 10, comma 7, lett. c), d.P.R. n. 252 del 1998, non deve basarsi necessariamente su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, per cui il sindacato del giudice amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l'iter seguito per pervenire a certe conclusioni, anche perché le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.06.2011 n. 3647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sul diritto di riscatto degli impianti di pubblica illuminazione da parte del comune nel caso di scadenza del precedente rapporto di concessione.
Non è possibile procedere contestualmente all'esercizio del riscatto e alla indizione di una gara.

L'art. 24 del r.d. 15.10.1925 n. 2578, secondo cui il potere di riscatto deve essere esercitato con il preavviso di un anno, trova applicazione per le concessioni di servizi già affidati ai privati che vengono a risolversi prima della naturale scadenza contrattuale. Nel caso di specie, l'originaria concessione trentennale degli impianti di pubblica illuminazione, affidata all'appellante senza gara, era scaduta al momento dell'esercizio del riscatto e non poteva considerarsi tacitamente prorogata in base ad una apposita clausola della convenzione, in quanto prima della scadenza era entrato in vigore l'art. 6 della l. 24.12.1993 n. 537, che ha introdotto il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, con la previsione -inserita in sede di successive modifiche- della nullità dei contratti stipulati in violazione del predetto divieto. Pertanto, a seguito dell'entrata in vigore della citata disposizione non possono sopravvivere le clausole di rinnovo tacito di contratti o convenzioni, potendo al massimo porsi la questione della possibilità di procedere -in base a clausole espresse- al rinnovo con provvedimento esplicito.
L'esercizio del riscatto non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell'indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire in fatto il riscatto non accordandosi con l'amministrazione.
Il riscatto e l'effettiva consegna degli impianti non può che precedere il successivo affidamento del servizio essendo tecnicamente difficile, se non impossibile, immaginare l'indizione di una gara contestualmente al provvedimento di riscatto, senza avere certezze sui tempi di esecuzione del provvedimento, sulla consistenza dei beni e, quindi, su elementi in base ai quali vanno redatti gli atti della gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.06.2011 n. 3607 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In capo agli enti locali permane la facoltà di riscattare la proprietà degli impianti di illuminazione pubblica.
La pronuncia in commento si conforma a quella del Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, che aveva respinto in primo grado un ricorso contro gli atti con cui un comune aveva esercitato il riscatto degli impianti di pubblica illuminazione, in precedenza gestiti dalla società ricorrente.
L’oggetto del giudizio era costituito dalla contestazione da parte di quest’ultima, titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica situati nel comune appellato, degli atti con cui lo stesso comune aveva deciso di esercitare il riscatto degli impianti ai sensi del R.D. n. 2578/1925 e del d.P.R. n. 902/1986. Il giudice di primo grado ha ritenuto vigente la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15.10.1925 n. 1568 ed al d.P.R.. n. 902/1986 mentre la società contestava tali statuizioni e sosteneva che la citata normativa avente ad oggetto l’esercizio del riscatto sarebbe stata implicitamente abrogata.
Sul punto i giudici del consiglio di Stato rilevano che, come correttamente rilevato dal Tar, la facoltà di riscatto non è stata abrogata dalla normativa sopravvenuta, ma è tuttora riconosciuta dall’ordinamento al fine di garantire al Comune la possibilità di individuare, attraverso una gara pubblica, il soggetto migliore cui affidare la gestione del servizio mediante concessione.
La finalità del riscatto non è, quindi, unicamente quella di consentire ai comuni l’assunzione diretta dei servizi, ma anche, e oggi soprattutto se non esclusivamente, quella di garantire la disponibilità degli impianti in modo da individuare la migliore modalità di gestione attraverso l’indizione di una pubblica gara, specie per affidamenti disposti oltre trenta anni fa senza alcuna procedura di evidenza pubblica.
In sede cautelare, gli stessi giudici avevano già rilevato che la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15.10.1925, n. 1568 ed al D.L. n. 902/1986 non risulta implicitamente abrogata per effetto della sopravvenuta disciplina poi recepita dal T.U. n. 267/2000 nella misura in cui mira all’assicurazione, in capo agli enti locali, della proprietà degli impianti costituente presupposto indefettibile per l’indizione della procedura per l’affidamento del servizio pubblico ovvero per la relativa assunzione in house, (Consiglio di Stato, V, ord. 12.12.2008 n. 6639, in cui è stato affermato anche che la giurisprudenza in senso contrario riguardante il diverso settore del gas, non è analogicamente estensibile alla fattispecie qui in esame).
Segnalano, inoltre, i giudici d’appello che pur se riguardante il diverso settore del gas, anche la giurisprudenza costituzionale conferma che il riscatto è uno strumento finalizzato alla riorganizzazione del servizio in vista di un assetto più confacente alle esigenze della collettività (Corte Cost., 14.05.2008 n. 132).
In definitiva, deve ritenersi che permane, in capo agli enti locali, la facoltà di riscattare la proprietà degli impianti di illuminazione pubblica ai sensi della citata normativa (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.06.2011 n. 3606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Prime osservazioni sull’affidamento dei servizi pubblici locali e sulla tariffa del servizio idrico integrato in esito al referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011 (ANCI, nota interpretativa 14.06.2011).

APPALTI: Sussiste l'obbligo, in capo alla cessionaria di un ramo d'azienda, di presentare le dichiarazioni di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, anche in relazione agli amministratori dell'impresa cedente cessati dalla carica.
Sussiste l'obbligo in capo alla cessionaria di un ramo d'azienda, di presentare le dichiarazioni di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, anche in relazione agli amministratori dell'impresa cedente cessati dalla carica, in quanto, se da un lato appare evidente la ratio dell'art. 38, lett. c), volta a premiare attività imprenditoriali rispettose della legalità, d'altra parte, risulta ipotesi probabile l'elusione dei divieti di partecipazione alle pubbliche gare, perseguita mediante mirate operazioni di scorporo portate a termine, con l'accordo di assetti proprietari compiacenti, al fine di consentire nell'ambito della compagine societaria cessionaria, la partecipazione alle gare pubbliche da parte di complessi aziendali che, diversamente, sarebbero rimasti nella disponibilità di imprese cedenti che non erano in possesso dei requisiti di moralità prescritti dal summenzionato art. 38 (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.06.2011 n. 3580 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici è legittimata a proporre appello.
Il Collegio ritiene che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici sia legittimata a proporre appello avverso la sentenza del Tar che abbia annullato la segnalazione della stazione appaltante circa i provvedimenti di esclusione di un’impresa da una gara pubblica.
Tale segnalazione, invero, pur provenendo da una diversa Amministrazione (il soggetto che bandisce la gara) è, comunque, un atto strumentale e necessario per l’esercizio, da parte dell’Autorità di vigilanza, di una sua specifica competenza provvedimentale, quella, appunto, di procedere alla relativa iscrizione nel Casellario informatico.
Tra la segnalazione della stazione appaltante e la successiva iscrizione nel Casellario ad opera dell’Autorità vi è, certamente, un rapporto di presupposizione, con la conseguenza che l’annullamento del provvedimento presupposto (l’atto di segnalazione) va ad incidere inevitabilmente sulla validità del provvedimento presupponente (l’iscrizione).
Il nesso di presupposizione che avvince questi due provvedimenti radica in capo all’Autorità di vigilanza una posizione differenziata e giuridicamente rilevante, togliendo ogni dubbio in ordine all’esistenza di una sua legittimazione processuale che le consente di difendere in giudizio, anche mediante la proposizione di un autonomo appello, il provvedimento di segnalazione adottato dalla stazione appaltante.
Dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento di segnalazione deriva, infatti, un ostacolo giuridico all’esercizio del potere di iscrizione nel Casellario informatico. E l’Autorità, che di tale potere di iscrizione è titolare, ha senz’altro un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di quell’ostacolo, al fine di poter curare l’interesse pubblico, particolare e concreto, in vista del quale la legge le attribuisce il potere di iscrizione.
Né si può obiettare che in questo modo il processo amministrativo diventi uno strumento a tutela di un astratto interesse alla legittimità dell’azione amministrativa.
Nel caso di specie, infatti, l’Autorità di vigilanza non agisce a tutela di un astratto interesse pubblico. Al contrario, essa si fa portatrice di un interesse che certamente è pubblico, ma che, a livello processuale, si traduce in un interesse “personale” e “concreto”.
Si tratta, infatti, dell’interesse al corretto esercizio del potere amministrativo specificamente attribuito all’Autorità di vigilanza per la cura di un interesse pubblico particolare e concreto: quello di assicurare, tramite l’aggiornamento del Casellario informatico, la conoscibilità delle notizie che possono incidere corretta conduzione delle procedure di affidamento dei contrati pubblici.
Sotto questo profilo, è evidente la differenza che esiste tra la legittimazione e l’interesse del privato ricorrente e quella del soggetto pubblico titolare del potere. Mentre il primo, eccettuate le ipotesi tassative di azione popolare, può agire in giudizio solo a tutela di interessi “privati”, la Pubblica Amministrazione agisce, anche in tramite gli strumenti processuali, a tutela di interessi pubblici, che non sono però astratti interessi alla legalità, ma quegli interessi pubblici particolari e concreti che essa, di volta in volta, è chiamata a perseguire, ed in vista dei quali l’ordinamento le attribuisce il potere amministrativo.
Ne discende che l’Amministrazione, quando ritiene che quegli interessi pubblici particolari siano ostacolati o compromessi, può senz’altro intraprendere le opportune iniziative giurisdizionali ritenute opportune o necessarie alla loro difesa. Può ad esempio costituirsi in giudizio per difendere la legittimità di atti che essa stesso ha adottato (ed è questa l’ipotesi normale, in cui è in contestazione proprio il provvedimento emanato al fine di soddisfare l’interesse pubblico); ma può anche intraprendere iniziative giurisdizionali per difendere la legittimità di provvedimenti adottati da altri soggetti pubblici, nei casi in cui l’annullamento di tali provvedimenti possa avere l’effetto di impedire l’esercizio del potere di cui è titolare. In entrambi i casi, la legittimazione e l’interesse all’iniziativa giurisdizionale derivano dalla necessità di curare, anche nel processo, l’interesse pubblico particolare alla cui cura quella Pubblica Amministrazione è preposta.
Nel caso di specie è evidente che l’annullamento giurisdizionale della segnalazione della stazione appaltante incide sul potere dell’Autorità appellante, impedendone ab origine l’esercizio. Annullando la segnalazione di un provvedimento di esclusione legittimamente adottato, il Tar, infatti, accerta, ex ante, che non vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di iscrizione da parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la quale, quindi, è il soggetto maggiormente inciso da tale decisione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.06.2011 n. 3567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Istituto dell’avvalimento e limiti alla garanzia della libertà di concorrenza.
La finalità dell’avvalimento non è "quella di arricchire la capacità (tecnica o economica che sia) del concorrente, ma quella di consentire a soggetti che ne siano privi di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti”, se e in quanto da questi integralmente e autonomamente posseduti, in coerenza con la normativa comunitaria sugli appalti pubblici che è volta in ogni sua parte a far sì che la massima concorrenza sia anche condizione per la più efficiente e sicura esecuzione degli appalti.

Nelle Direttive CE in materia di appalti pubblici n. 18 (articoli 47 e 48) e n. 17 (articolo 54), del 2004, l’istituto dell’avvalimento è previsto con formulazione sostanzialmente identica per la quale “Un operatore economico può, se del caso, e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dai suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti.” (art. 47, comma 2, della direttiva n. 18 citata); alla luce di questa previsione è corretto affermare che l'istituto, in quanto così ampiamente definito (altresì nell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006), ha “portata generale nel diritto comunitario, al fine di garantire il principio di libertà di concorrenza” (Cons. Stato, Sez. V, 19.03.2009, n. 1624), poiché, se ciascun soggetto può avvalersi dei requisiti di altri, viene così posto in grado di concorrere il più vasto numero di soggetti, non essendo perciò consentite limitazioni nell’applicazione dell’istituto che possano inficiare tale scopo.
La massima concorrenza deve però dispiegarsi entro il limite (e al fine) della garanzia per la stazione appaltante di ricevere la migliore prestazione, che non è a sua volta assicurata se nessuno dei soggetti concorrenti possiede i requisiti preventivamente identificati in relazione all’oggetto e agli importi di gara, essendo questi richiesti come presupposto della capacità del partecipante di formulare una offerta congrua e valutabile e di fornire quindi, se aggiudicatario, la migliore prestazione; non si comprenderebbe, altrimenti, la ratio della preordinazione di un sistema di requisiti di qualificazione per categorie di lavori e classifica (per importi nel loro ambito) se nessuno dei concorrenti o dei soggetti ausiliari fosse poi, in concreto, vincolato a possederli, non potendo in tal caso il candidato/offerente “dimostrare alla amministrazione che disporrà dei mezzi necessari” a provare le capacità richieste per l’esecuzione dell’appalto.
La finalità dell’avvalimento non è perciò “quella di arricchire la capacità (tecnica o economica che sia) del concorrente, ma quella di consentire a soggetti che ne siano privi di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti” (Cons. Stato: Sez. V, 17.03.2009, n. 1589; Sez. IV, 20.11.2008, n. 5742), se e in quanto da questi integralmente e autonomamente posseduti (cfr. anche Cons. Stato, Sez. V, 23.02.2010, n. 1054), in coerenza con la normativa comunitaria sugli appalti pubblici che è volta in ogni sua parte a far sì che la massima concorrenza sia anche condizione per la più efficiente e sicura esecuzione degli appalti.
Non contrasta con tale conclusione la normativa di cui al vigente art. 49, comma 6, per il quale “Per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria.”.
Non può essere accolta, infatti, una interpretazione per cui il divieto di utilizzo frazionato dei requisiti varrebbe soltanto nel caso dell’avvalimento di più imprese ausiliarie (ai sensi della seconda parte del comma) e non anche in quello di una sola impresa ausiliaria (di cui alla prima parte), essendo evidente che il legislatore si è occupato di vietare espressamente l’utilizzo frazionato per la fattispecie in cui tale utilizzo è in concreto ipotizzabile, proprio in ragione della pluralità delle imprese ausiliarie, e non per quella in cui ci si avvalga di una sola impresa ausiliaria, non essendo altrimenti giustificato un divieto posto soltanto per un caso e non per l’altro.
Ciò è confermato dalla intervenuta abrogazione del comma 7 del medesimo art. 49, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2008, in cui era anche previsto “che l’avvalimento possa integrare un preesistente requisito tecnico o economico già posseduto dall’impresa avvalente in misura o percentuale indicata nel bando stesso”, nonché dall’osservazione che la somma delle classifiche risulta espressamente prevista soltanto per i consorzi stabili (art. 36, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Tale ricostruzione non contrasta con quanto indicato dalla citata nota C(2008)0108 della Commissione europea, relativa a limitazioni all’avvalimento riscontrate nel testo previgente dei commi 6 e 7 dell’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006, cui sono seguite le modifiche disposte con il d.lgs. n. 152 del 2008 (essenzialmente restringendo ai lavori, nel comma 6, la previsione dell’avvalimento di una sola impresa ausiliaria, e abrogando il comma 7 che recava la possibilità del bando di gara di limitare l’avvalimento per tipo di requisiti e di prevedere la loro integrazione); per effetto delle modifiche intervenute la normativa di cui all’art. 49 non risulta infatti prevedere, come sopra visto, la possibilità dell’integrazione dei requisiti parziali né è interpretabile in tal senso.
In tale quadro si deve concludere che non vi è ragione per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE, trattandosi di un caso in cui la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con evidenza tale da non dare adito a nessun ragionevole dubbio interpretativo sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Cons. Stato Sez. VI, 09.02.2011, n. 896); scopo della normativa comunitaria è infatti chiaramente quello far concorrere alle gare anche i soggetti che non hanno i requisiti se li ha l’impresa ausiliaria ma non quello di consentire che chi non ha i requisiti possa comunque presentare offerte, così impegnandosi ad eseguire prestazioni per cui non ha i presupposti, poiché, in questo caso, non sarebbero contestualmente assicurate la libera concorrenza e l’uso efficiente delle risorse pubbliche, ciò che costituisce, invece, la finalità ultima della stessa normativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.06.2011 n. 3565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’esclusione dalla gara d’appalto radica l’interesse ad agire.
L’esclusione è idonea di per sé a radicare l’interesse al ricorso, indipendentemente dall’esito della gara stessa e dalla circostanza che in caso di ammissione l’imprenditore comunque non sarebbe risultato aggiudicatario, e dunque dalla prova che l’esito della gara sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole; l’interesse al ricorso in tema di procedure di gara, infatti, è un interesse strumentale a rimettere in discussione il rapporto, provocando la rinnovazione della gara con il vantaggio per l’interessato di parteciparvi.
L’esclusione lede l’interesse dell’imprenditore a vedersi valutare la propria offerta, indipendentemente dall’esito della gara, di talché l’interesse a ricorrere contro l’esclusione è configurabile ex se e non occorre che sia dimostrato che l’esito della gara sarebbe sicuramente o probabilmente favorevole, anche perché siffatta dimostrazione implicherebbe, da un lato, una disvelazione di dati relativi ad un’offerta ancora segreta e, dall’altro lato, l’anticipazione da parte del giudice di verifiche caratterizzate da un significativo tasso di discrezionalità tecnica, riservate alla stazione appaltante.

Secondo consolidata giurisprudenza, l’esclusione è idonea di per sé a radicare l’interesse al ricorso, indipendentemente dall’esito della gara stessa e dalla circostanza che in caso di ammissione l’imprenditore comunque non sarebbe risultato aggiudicatario, e dunque dalla prova che l’esito della gara sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole; l’interesse al ricorso in tema di procedure di gara, infatti, è un interesse strumentale a rimettere in discussione il rapporto, provocando la rinnovazione della gara con il vantaggio per l’interessato di parteciparvi [Cons. giust. sic., 22.04.2002 n. 203; Cons. St., sez. VI, 28.04.1998 n. 576; Cons. St., sez. VI, 17.06.1998 n. 972].
Si è anche ritenuto che l’esclusione lede l’interesse dell’imprenditore a vedersi valutare la propria offerta, indipendentemente dall’esito della gara, di talché l’interesse a ricorrere contro l’esclusione è configurabile ex se e non occorre che sia dimostrato che l’esito della gara sarebbe sicuramente o probabilmente favorevole, anche perché siffatta dimostrazione implicherebbe, da un lato, una disvelazione di dati relativi ad un’offerta ancora segreta e, dall’altro lato, l’anticipazione da parte del giudice di verifiche caratterizzate da un significativo tasso di discrezionalità tecnica, riservate alla stazione appaltante [Cons. St., sez. VI, 28.04.1998 n. 576].
Tale orientamento trova la sua giustificazione nella circostanza che quando viene disposta l’esclusione, normalmente non sono ancora note le offerte degli altri concorrenti, sicché è impossibile per il ricorrente escluso provare che in caso di ammissione avrebbe vinto la gara.
Tale soluzione incontra un temperamento solo nel caso in cui il sistema di gara sia quello del prezzo più basso, e al momento dell’impugnazione dell’esclusione o successivamente siano noti i ribassi offerti, sicché può evincersi con certezza se il ricorrente escluso, in caso di ammissione, avrebbe o no vinto.
Diverso discorso va fatto per il caso di sistema di gara con metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui il concorrente escluso non è oggettivamente in grado di dimostrare che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria, atteso che l’esito della gara dipende dalla valutazione delle offerte tecniche da parte della Commissione, e l’offerta dell’escluso non è stata, per definizione, valutata.
Pertanto, in siffatta evenienza, è inesigibile da parte del ricorrente la prova che avrebbe vinto la gara.
E’ quanto si verifica nel caso di specie, in cui il metodo di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il ricorrente di primo grado non era tenuto a dimostrare che avrebbe vinto la gara, se ammesso, perché la sua offerta non è stata mai valutata dalla Commissione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.06.2011 n. 3555 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInformativa antimafia: la stazione appaltante non è tenuta a comunicare l'avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione.
L'amministrazione è esonerata dall'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241, relativamente all'informativa antimafia ed al successivo provvedimento di revoca un'aggiudicazione rilasciata, atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza (in termini C. Stato sent. n. 1148 del 02/09/2009, ove è richiamata copiosa giurisprudenza e precisamente Consiglio Stato, sez. VI, 07.11.2006, n. 6555; conf. anche Cons. Stato, sez. IV, 11.02.1999, n. 150; sez. V 28.02.2006, n. 851) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 13.06.2011 n. 1470 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Informativa antimafia: può legittimamente fondarsi su fatti e vicende aventi valore meramente sintomatico ed indiziario.
Il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
L’informativa prefettizia pertanto può legittimamente fondarsi su fatti e vicende aventi valore meramente sintomatico ed indiziario, data la peculiare finalità rivestita di prevenire infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale, anche a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di reati specifici (TAR Lazio sez. 1^ di Roma, sent. n. 6487/2008).
Al fine però di evitare il travalicamento in uno “stato di polizia” e di salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono ritenersi sufficienti semplici sospetti o mere congetture prive di riscontro fattuale, in assenza di individuati elementi di fatto obiettivamente sintomatici di concrete connessioni con la criminalità. La valutazione rimessa all’autorità prefettizia nella esternazione della richiesta informativa antimafia costituisce espressione di discrezionalità tecnica, che esclude la possibilità per il giudice di esplicare un sindacato pieno e assoluto, ma non impedisce di formulare un giudizio di logica e di congruità delle informazioni assunte o alle deduzioni che sono state tratte (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 13.06.2011 n. 1469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINessuna segnalazione all'Authority nel caso di buona fede dell'impresa che abbia ritenuto di possedere il requisito in realtà carente.
Nel caso di buona fede dell'impresa che abbia ritenuto di possedere il requisito in realtà carente o contestato, non ha senso irrogare sanzioni che vadano oltre la fisiologica esclusione dell'impresa dalla gara, quali la segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (TAR Trentino Alto Adige Trento, 09.02.2011, n. 34): nel caso specifico, era evidente l’assenza di condotte contrarie alla buona fede concorsuale e/o fraudolente, non essendovi state dichiarazioni mendaci nell'ambito della verifica dei requisiti, di guisa che non avrebbero comunque potuto essere adottate le contestate sanzioni (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 13.06.2011 n. 1460 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'art. 90 del d.lgs. 163/2006 consente lo svolgimento della progettazione di opere pubbliche mediante affidamento delle stesse ad una società in house della stazione appaltante.
L'art. 90, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006 prevede che, se non affidate a professionisti, le attività relative alla progettazione di opere pubbliche e quelle relative alla direzione lavori, devono essere espletate dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti, oppure dagli uffici consortili di progettazione e direzione dei lavori o dagli organismi di altre pubbliche amministrazioni di cui le singole stazioni appaltanti possono avvalersi per legge.
Nel concetto di stazione appaltante, va ricompresa anche l'eventuale società in house, poiché quest'ultima non si configura quale soggetto esterno all'amministrazione medesima ma, analogamente ai suoi uffici interni, ne rappresenta una parte integrante, sia pure giuridicamente separata.
La forma societaria è uno strumento che l'Amministrazione ha scelto per l'espletamento delle proprie attività in materia di realizzazione di opere pubbliche, ritenendo che possano più agevolmente essere portate a compimento mediante strumenti civilistici; ma sulla società medesima il Comune esercita un controllo penetrante, il quale esclude che essa possa operare autonomamente.
Le attività di progettazione svolte rientrano, pertanto, nell'ambito di previsione dell'art. 90, c. 1, lett. a), d.lgs. 163/2006, in quanto l'ufficio tecnico della società opera unicamente a favore dell'affidante e sotto il suo diretto controllo, e ciò esclude che nella fattispecie si sia realizzato un affidamento esterno da parte della stazione appaltante in spregio alle norme codicistiche, tanto più che la società di cui si discute è a sua volta è tenuta ad affidare tramite gara la progettazione delle stesse (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.06.2011 n. 1041 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, per incompletezza della dichiarazione relativa all'insussistenza di cause di esclusione ai sensi dell'art. 38, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti).
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia reso una dichiarazione incompleta, in ordine alle cause di esclusione previste dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, riguardanti tutti i soggetti tenuti per legge ad assolvere a tale obbligo.
Nel caso di specie, l'ATI concorrente ha omesso di rendere la suddetta dichiarazione con riferimento al Presidente del C.d.A. In ordine alle dichiarazioni relative ai requisiti di partecipazione alle pubbliche gare ex art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, la giurisprudenza amministrativa non appare univoca, propendendo talora, per una tesi "sostanzialistica", secondo cui l'esclusione dalla gara può avvenire non tanto per la mancata allegazione della attestazione sull'esistenza di condanne penali per i soggetti indicati, quanto in caso di effettiva esistenza di tali condanne; talaltra, la giurisprudenza privilegia il dato formale della omessa allegazione della dichiarazione.
Peraltro, anche secondo quella giurisprudenza che ha recepito il concetto, di derivazione penalistica, del cd. "falso innocuo", l'omessa dichiarazione in ordine all'esistenza di condanne penali non integra, di per sé, causa di esclusione, salvo espressa previsione del bando, in tal senso. Nel caso di specie, la mancata presentazione di una delle dichiarazioni richieste era sanzionata dal bando con l'esclusione del concorrente (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.06.2011 n. 1026 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Il recapito dell’offerta è a rischio dell’impresa.  Il principio di massima partecipazione alle gare pubbliche deve essere contemperato con quello relativo alla par condicio dei partecipanti, che richiede il rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge di gara a pena di esclusione.
Per cui, è legittima l'esclusione dell'offerta pervenuta alle ore 12,06 (anziché le ore 12,00) all'ufficio protocollo comunale.

E’ noto il principio per cui il recapito dell’offerta è a rischio dell’impresa (Tar Latina, 11.07.2005 n. 588). Nella fattispecie, il disciplinare chiariva che l’offerta doveva giungere all’Ufficio Protocollo del Comune entro le ore 12. La ricorrente non è in grado di fornire alcuna prova che il plico sia giunto presso l’Ufficio entro le ore 12, in quanto la firma sulla ricevuta di consegna non appartiene ad alcun impiegato del Comune, come certificato dal Comune stesso e non contestato efficacemente dalla ricorrente.
A questo punto, poco importa se sia corretta o meno la ricostruzione resa del Comune medesimo, la quale sostiene come il plico sia stato lasciato sul tavolo di un impiegato ipovedente (comunque già dopo le 12) e immediatamente consegnato, alle 12.06, all’Ufficio Protocollo, senza che alcuna firma fosse posta sulla ricevuta di consegna.
La circostanza che la firma apposta sulla ricevuta non solo non appartenga ad un impiegato addetto al ricevimento dei plichi, ma addirittura ad alcun impiegato del Comune, rende le affermazioni della ricorrente sull’orario di ricevimento del plico prive di qualsiasi prova e rende superflua l’istanza di disconoscimento della firma depositata dal Comune. Ciò, in particolare, considerando che il disciplinare stabilisce come il plico dovesse essere recapitato, a pena di esclusione, presso l’Ufficio Protocollo del Comune all’ora indicata.
Conseguentemente:
- il disciplinare è chiaro nello stabilire che il plico dovesse essere consegnato a un ufficio determinato, a pena di esclusione.
- non vi è, in ogni caso, alcuna prova che un altro ufficio del Comune abbia preso in carico il plico in precedenza, dato che il cognome sulla ricevuta del corriere non appartiene ad alcun impiegato del Comune e la ricorrente non è stata in grado di contestare tale circostanza.
- la circostanza che l’offerta sia giunta all’Ufficio Protocollo alle 12.06 e non prima è indicata chiaramente negli impugnati provvedimenti che non vengono contestati efficacemente dalla ricorrente, che si è assunta il rischio della consegna tramite corriere nell’ultimo giorno utile previsto dal disciplinare. L’unica cosa provata è che alle 11.56 un tale Zanoti ha firmato, in luogo imprecisato la ricevuta di consegna. Tale attestazione non è sufficiente a superare le chiare previsioni dell’art. 8 del disciplinare di gara.
Le censure contro i provvedimenti impugnati debbono quindi essere respinte, considerato che la ricorrente non è in grado di provare la consegna tempestiva della offerta (della quale si era assunta il rischio) e che il principio di massima partecipazione alle gare pubbliche deve essere contemperato con quello relativo alla par condicio dei partecipanti, che richiede il rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge di gara a pena di esclusione (CdS sez. V 13.01.2005 n. 82) (TAR Marche, sentenza 13.06.2011 n. 484 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non va esclusa dalla gara l'impresa il cui legale rappresentante non ha presentato, in uno all'offerta economica, copia del documento di identità, qualora il disciplinare di gara abbia operato una chiara diversificazione tra le due sottoscrizioni (quella relativa alla domanda di partecipazione e quella relativa all'offerta economica), imponendo la produzione della copia del documento di identità del sottoscrittore solo per la domanda di partecipazione, senza richiederla anche per l'offerta economica.
La giurisprudenza, condivisa dal Collegio, pur chiarendo che è del tutto legittima la clausola della legge di gara che imponga l’allegazione della copia fotostatica di un documento di identità all’offerta, ha chiarito come non vada esclusa dalla gara l'impresa il cui legale rappresentante non ha presentato, in uno all'offerta economica, copia del documento di identità, qualora il disciplinare di gara abbia operato una chiara diversificazione tra le due sottoscrizioni (quella relativa alla domanda di partecipazione e quella relativa all'offerta economica), imponendo la produzione della copia del documento di identità del sottoscrittore solo per la domanda di partecipazione, senza richiederla anche per l'offerta economica (Tar Sicilia Palermo 10.03.2010 n. 2648) (TAR Marche, sentenza 13.06.2011 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le clausole di tracciabilità entrano in tutti i contratti. Integrazione automatica da venerdì prossimo.
A partire da venerdì 17.06.2011, data di scadenza del periodo transitorio, i contratti sorti prima del 07.09.2010, che non siano stati adeguati volontariamente dalle parti, sono automaticamente integrati (secondo l'articolo 1374 del Codice civile) con le clausole di tracciabilità previste dall'articolo 3, commi 8 e 9, della legge 136/2010 e diventano soggetti ai relativi obblighi; ciò a condizione, ovviamente, che essi siano ancora produttivi di effetti.
Per questi contratti, le oltre 28mila stazioni appaltanti dovranno chiedere, entro il termine del periodo transitorio, il Cig (numero identificativo di gara). I pagamenti andranno effettuati tramite bonifico bancario o postale o altro strumento tracciabile, transitare su conti correnti dedicati, riportare il Cig e, ove necessario, il Cup (codice unico di progetto). Il meccanismo dell'inserzione automatica pone fine all'incertezza che aveva accompagnato la versione iniziale della normativa, semplificando gli oneri per le stazioni appaltanti e per gli operatori privati. Conseguentemente, le stazioni appaltanti sono sollevate anche dall'obbligo di controllare l'inserimento delle clausole nei contratti della filiera.
L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici consiglia alle stazioni appaltanti di inviare una comunicazione agli operatori economici per evidenziare l'adeguamento automatico del contratto e comunicare il Cig, ove non fosse già previsto (determinazione 10/2010).
Intanto per gli operatori restano alcuni dubbi, per esempio sul pagamento delle utenze dalla stazione appaltante, sull'estensione degli obblighi di tracciabilità alle operazioni dove la controparte è la banca tesoriere, sull'applicazione della tracciabilità ai contratti di swap. Fra le difficoltà spunta anche quella legata alla tassazione dei contratti sopra i 40mila euro, i cui importi vanno pagati quadrimestralmente con bollettino Mav. Nel primo anno di applicazione le stazioni appaltanti devono trovare la copertura finanziaria degli oneri straordinari conseguenti alla regolarizzazione dei vecchi contratti sottoscritti prima del 07.09.2010.
L'appesantimento dei nuovi obblighi emerge anche dal comunicato sull'impennata delle richieste telefoniche all'Autorità (da circa 7mila a 60mila contatti mensili) e sull'incremento dell'attività, per cui da novembre 2010 ad aprile 2011 sono stati assegnati circa 1,5 milioni di Cig ai soli fini della tracciabilità. L'Autorità ha già disciplinato procedure semplificate per l'acquisizione del Cig e la possibilità di effettuare un unico adempimento per un dato intervallo temporale con i carnet di Cig.
Queste semplificazioni si applicano ai contratti di lavori fino a 40mila euro e ai contratti di servizi e forniture sotto i 20mila euro (affidati ai sensi dell'articolo 125 del codice dei contratti o mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando) nonché ai contratti esclusi in tutto o in parte dall'applicazione del codice (articolo Il Sole 24 Ore del 13.06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: G. Guzzo, L’assetto della disciplina SPL di rilevanza economica all’indomani del risultato del referendum abrogativo del 12 e 13.06.2011: riflessioni minime (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L. Bellagamba, La tracciabilità dei flussi finanziari nelle concessioni di lavori pubblici e di servizi, dopo la legge di conversione del D.L. 187/2010: il perseverare dell’Autorità nell’errore di fondo (det. 10/2010) (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Quadro delle competenze in ordine agli atti per la definizione del percorso di affidamento di un servizio pubblico locale (29.05.2011 - tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Quadro delle competenze in ordine agli atti per la definizione del percorso di affidamento di un servizio pubblico locale (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L. Manassero, Il Servizio Idrico Integrato -e gli altri Servizi Pubblici Locali- ed il Referendum 2011: alle soglie di una (contro) rivoluzione? (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamento senza gara - Proroga dei contratti affidati con gara - Equiparazione - Limiti entro cui è consentita la proroga.
All’affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui ad un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati. Una volta che il contratto scada e si proceda a una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, o oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare d un affidamento senza gara. (Consiglio Stato , sez. VI, 16.02.2010, n. 850).
RIFIUTI - Servizio di raccolta e trasporto rifiuti - Richiesta di proroga - Affidataria - Rifiuto - Ordinanza contingibile e urgente diretta ad assicurare la continuità del servizio - Affidamento per effetto di provvedimento extra ordinem - Non costituisce impedimento alla partecipazione ad altre gare.
In tema di servizio raccolta e trasporto rifiuti, allorché in prossimità della scadenza della proroga il Comune contatti la società attuale affidataria del servizio al fine di acquisire la disponibilità ad un'ulteriore proroga del servizio, alle medesime condizioni economiche e tecniche in atto, nelle more della predisposizione degli atti e degli adempimenti necessari per l'affidamento mediante pubblica gara del nuovo servizio, e l'affidataria declini la proposta di ulteriore proroga, alla luce del disposto di cui all'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, onde evitare il pregiudizio derivante dall'impedimento alla partecipazione ad altre gare, è legittima l'ordinanza contingibile ed urgente assunta dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, d.lg. n. 267 del 2000, al fine di assicurare comunque la continuità del servizio di gestione dei rifiuti urbani, tenuto conto della qualità di servizio essenziale, non suscettibile di subire interruzioni; in tal caso l'avvenuto affidamento del servizio alla società per effetto di un provvedimento extra ordinem, assunto sulla base di presupposti di diritto del tutto diversi da quelli in base ai quali in via ordinaria si procede mediante proroga dell'affidamento in corso, non è assimilabile a tale ultima ipotesi e quindi non può costituire per la società istante impedimento per l'eventuale partecipazione ad altre gare (cfr. TAR Veneto, sez. I, 09.07.2010 n. 2906).
Divieto ex art. 23-bis della L. n. 133/2008 - Società private - Applicabilità.
Il divieto previsto all’art. 23-bis, comma 9, L. n. 133/2008 non prevede alcuna delimitazione soggettiva e si presta ad essere applicata in termini generali, a tutela del principio concorrenziale fra gli operatori del mercato pubblici e privati.
Non può pertanto condividersi la tesi secondo cui la norma sarebbe riferibile esclusivamente alle società in house providing e non anche alle imprese private (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.06.2011 n. 556 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIQuando il contratto scada e si proceda a una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine essa è da equiparare ad un affidamento senza gara.
All’affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui ad un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati. Una volta che il contratto scada e si proceda a una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, o oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare d un affidamento senza gara (Consiglio Stato, sez. VI, 16.02.2010, n. 850).
Diverso sarebbe stato se lo svolgimento del servizio fosse stato svolto in forza di provvedimento autoritativo (ordinanza contingibile ed urgente, per il periodo strettamente necessario all'espletamento della gara a regime), in quanto "in tema di servizio raccolta e trasporto rifiuti, allorché in prossimità della scadenza della proroga il Comune contatti la società attuale affidataria del servizio al fine di acquisire la disponibilità ad un'ulteriore proroga del servizio (nella specie: per altri sei mesi), alle medesime condizioni economiche e tecniche in atto, nelle more della predisposizione degli atti e degli adempimenti necessari per l'affidamento mediante pubblica gara del nuovo servizio, e l'affidataria declini la proposta di ulteriore proroga, alla luce del disposto di cui all'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, onde evitare il pregiudizio derivante (attese le interpretazioni giurisprudenziali rese sul punto) dall'impedimento alla partecipazione ad altre gare, è legittima l'ordinanza contingibile ed urgente assunta dal Sindaco ai sensi dell'art. 50, d.lgs. n. 267 del 2000, al fine di assicurare comunque la continuità del servizio di gestione dei rifiuti urbani, tenuto conto della qualità di servizio essenziale, non suscettibile di subire interruzioni; in tal caso l'avvenuto affidamento del servizio alla società per effetto di un provvedimento extra ordinem, assunto sulla base di presupposti di diritto del tutto diversi da quelli in base ai quali in via ordinaria si procede mediante proroga dell'affidamento in corso, non è assimilabile a tale ultima ipotesi e quindi non può costituire per la società istante impedimento per l'eventuale partecipazione ad altre gare” (cfr. TAR Veneto, sez. I, 09.07.2010 n. 2906) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.06.2011 n. 556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'operato di una Commissione di gara, che abbia introdotto nuovi e diversi parametri di valutazione, in contrasto con il dettato normativo di cui all'art. 83, c. 4, del d.lgs. n. 163/2006.
E' illegittimo l'operato di una Commissione di gara che, in ordine all'attribuzione dei punteggi indicati nel bando, abbia introdotto, pur qualificandoli come criteri motivazionali, nuovi e diversi parametri di valutazione, con relativi elementi ponderali, in quanto ciò costituisce violazione dell'art. 83, come novellato dal d.lgs. n. 152/2008, il quale, in ossequio ai principi di trasparenza imposti dalla sovraordinata normativa comunitaria, ha abrogato la disposizione che assegnava alla Commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, la fissazione, in via generale, dei criteri motivazionali cui attenersi, in sede di attribuzione a ciascun criterio e subcriterio di valutazione dei punteggi tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando.
In altri termini, il legislatore, con la previsione dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n. 163/2006 come novellato dal predetto decreto, ha effettuato una scelta finalizzata a ridurre gli apprezzamenti soggettivi della commissione giudicatrice, garantendo l'imparzialità delle valutazioni a tutela della "par condicio" tra i concorrenti, i quali sono messi in condizione di formulare un'offerta che consenta di concorrere effettivamente alla aggiudicazione del contratto in gara.
La gestione dei servizi oggetto del contratto, va determinata e resa nota ai potenziali concorrenti, già al momento della produzione delle loro offerte, e ciò al fine di evitare il pericolo che la Commissione possa orientare, a proprio piacimento ed a posteriori, l'attribuzione di un punteggio determinante e, quindi, l'esito della gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.06.2011 n. 1035 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'omessa menzione di condanne penali non gravi, ovvero di violazioni contributive non gravi o non definitivamente accertate, non integra un'ipotesi di falsa dichiarazione e, quindi, causa di esclusione.
L'omessa menzione di condanne penali non gravi, ovvero di violazioni contributive non gravi o non definitivamente accertate, non integra, di per sé, un'ipotesi di falsa dichiarazione e, quindi, causa di esclusione, atteso che, nel caso in esame, il bando di gara non impone ai partecipanti di manifestare qualsivoglia condanna e violazione contributiva, ma solo quelli connotati dal requisito di gravità.
Pertanto, si configura illegittimo un eventuale provvedimento di esclusione, basato sul solo fatto dell'omissione formale. Il giudizio sul connotato, di gravità richiesto dall'art. art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, impone una concreta valutazione da parte dell'amministrazione procedente, rivolta alla verifica dell'effettiva incidenza della condanna penale sul vincolo fiduciario da instaurare; pertanto, non è sufficiente un semplice richiamo al tipo di reato ed alla sua attinenza alla materia dell'appalto.
Peraltro, nella fattispecie in esame, non sussiste alcuna violazione contributiva definitivamente accertata, al momento della presentazione della domanda, essendo stati esibiti d.u.r.c. successivi alla stessa, attestanti la regolarità contributiva, e non appalesandosi il superamento delle "soglie" di gravità, in ordine alla rilevanza delle violazioni contributive, indicate nel D.M. 25/10/2007 (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 10.06.2011 n. 889 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Bando di gara - Carattere immediatamente escludente di determinate clausole - Impugnazione immediata - Legittima - Onere per l'impresa di proporre una previa domanda di partecipazione alla gara - Non sussiste - Condizioni.
L'operatore che si veda precludere la partecipazione alla gara, in forza di clausole del bando che ne determinerebbero la certa esclusione, è legittimato a proporre immediato ricorso, senza che sussista l'onere di proporre una previa domanda di partecipazione alla procedura.
Tale principio trova, tuttavia, applicazione a condizione che risulti pacifica la natura assolutamente escludente delle clausole impugnate giacché, in caso contrario, deve trovare applicazione la regola generale, secondo cui la legittimazione al ricorso si radica in forma qualificata in capo alle sole imprese che abbiano deciso di partecipare alla gara. (Cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.06.2011 n. 1493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il bando di gara non può imporre al concorrente che la polizza fideiussoria da esso prodotta riporti espressamente l’impegno di versare l’importo della cauzione ad un soggetto individuato della stazione appaltante.
Le disposizioni di riferimento non prevedono che possa essere inserita, nel bando e/o nel disciplinare di gara, una clausola che preveda, in caso di escussione della polizza a prima richiesta, l’importo del fideiussore a versare l’importo della cauzione nei confronti di un soggetto ben individuato.
Una corretta interpretazione di tali norme induce a ritenere, anche alla stregua dei principi comunitari di trasparenza e massima partecipazione alle procedure volte all’affidamento di commesse pubbliche, che l’esclusione dalla selezione possa essere legittimamente prevista dall’Amministrazione appaltante nella lex specialis soltanto quando ricorrano motivi specifici e ben esplicitati (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 09.06.2011 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stazione appaltante ha il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una gara più gravosi rispetto a quelli previsti dalla legge.
Secondo un consolidato principio giurisprudenziale, la stazione appaltante ha il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche più gravosi rispetto a quelli previsti dalla legge, in relazione alle peculiari caratteristiche oggettive ed all'importanza del servizio da affidare.
Detto potere costituisce attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, e può tradursi anche in una richiesta relativa alla dimostrazione del possesso di adeguata capacità economico-finanziaria, correlata allo specifico importo dell'appalto, nonché alla sua durata, ed è ampiamente discrezionale; pertanto, in tali casi, il sindacato del G.A. deve limitarsi alle ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 09.06.2011 n. 859 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Stazione appaltante - Fissazione di requisiti più gravosi di quelli previsti dalla legge - Principi di imparzialità e buon andamento - Discrezionalità.
La stazione appaltante ha il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche più gravosi di quelli previsti dalla legge, in relazione alle peculiari caratteristiche oggettive ed all’importanza del servizio da affidare.
Detto potere, che costituisce precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, può tradursi anche nella richiesta di dimostrazione del possesso di adeguata capacità economico-finanziaria, correlata allo specifico importo dell’appalto ed alla sua durata, ed è ampiamente discrezionale, sicché il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alle ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305; deliberazione A.V.C.P. n. 61 del 27.02.2007) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 09.06.2011 n. 859 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Gare: certificazione di qualità solo parziale, niente cauzione ridotta.
Al fine di poter accedere al beneficio della dimidiazione della cauzione provvisoria ex art. 75, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006, è necessario che sussista una più o meno perfetta corrispondenza tra le lavorazioni certificate e quelle da eseguire.
Viene impugnata l’aggiudicazione di una gara d’appalto per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un complesso edilizio provinciale da parte della ditta seconda in graduatoria; la controinteressata spiega ricorso incidentale, assumendo, oltre al resto, l’inammissibilità del ricorso principale in quanto la ricorrente (principale) avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura in quanto aveva presentato per la partecipazione alla gara una cauzione provvisoria illegittimamente dimidiata nel suo importo.
Il Tribunale amministrativo di Bolzano stabilisce di esaminare prioritariamente il ricorso incidentale proposto dall’A.T.I. controinteressata, come tale preordinato a paralizzare la possibilità di accoglimento del ricorso principale e delle censure con esso dedotte.
Tra l’altro il deducente incidentale lamenta la violazione dell’art. 75, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006 avendo la ricorrente principale presentato una cauzione provvisoria dimidiata senza essere in possesso dei requisiti richiesti dalla norma citata.
Il motivo viene condiviso dal Collegio.
Ha infatti rilevato il T.R.G.A. che la facoltà di presentare la cauzione provvisoria in un importo ridotto del cinquanta per cento, come previsto dal comma 7 della norma suindicata, costituisce un beneficio a favore di imprese che offrono garanzie di maggiore affidabilità, in quanto sono in possesso di una capacità certificata nell’esecuzione dell’opera oggetto dell’appalto.
La seconda in graduatoria, a tal fine, ha presentato il certificato di attestazione del sistema di qualità rilasciato da una società specializzata, con il quale viene certificato che il: “… sistema di gestione per la qualità implementato dall’organizzazione è conforme alla norma UNI EN ISO 9011:2008 e alle prescrizioni del documento Sincert RT per le attività: progettazione, installazione e manutenzione di impianti termotecnica”.
Orbene, ha statuito il Collegio tirolese che, se è vero che in astratto la certificazione è conforme all’art. 75, comma 7 del D.Lgs. n. 163 cit., la stessa tuttavia è limitata agli impianti termici, che, a norma del disciplinare di gara costituisce soltanto il 22,14 % dell’importo d’opera.
Logica e buon senso, a suo avviso, suggeriscono che dev’esservi –al fine di poter accedere al beneficio della dimidiazione della cauzione– una più o meno perfetta corrispondenza tra le lavorazioni certificate e quelle da eseguire.
Questa tesi, ha soggiunto il G.A. altoatesino, è stata seguita anche dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici (pareri n. 155 e 156 del 09.09.2010) laddove viene puntualizzato che: “nel caso in cui la certificazione identifica espressamente talune tipologie di lavorazioni, la predetta certificazione attesta la capacità organizzativa ed operativa dell’impresa limitatamente alle lavorazioni indicate, per tutte le altre, invece, l’impresa risulta priva della certificazione di qualità”.
Tesi, peraltro, costantemente seguita dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, si veda TAR Liguria, Sez. II, 24.06.2010, n. 5260).
Poiché secondo il disciplinare di gara la garanzia per la cauzione provvisoria (per un importo di Euro 104.430,80, pari al 2% dell’importo complessivo dei lavori) doveva essere inserita nella busta A relativa alla “documentazione amministrativa” a pena di esclusione, la presentazione di una cauzione per un importo ridotto rispetto a quello prescritto, equivale alla mancata presentazione di tale garanzia e, quindi, ha concluso il T.R.G.A. di Bolzano, a una fattispecie alla quale avrebbe dovuto necessariamente seguire l’esclusione dell’offerta dalla gara della ricorrente principale (commento tratto da www.ipsoa.it - TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 09.06.2011 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' da escludere l’obbligo di ripubblicazione in Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle prescrizioni del bando, restringendo tale obbligo alle sole clausole significative che avrebbero potuto alterare la platea dei concorrenti.
E’ infatti assolutamente ragionevole e condivisibile quella giurisprudenza che esclude l’obbligo di ripubblicazione in Gazzetta di ogni e qualsiasi modifica delle prescrizioni del bando, restringendo tale obbligo alle sole clausole significative che avrebbero potuto alterare la platea dei concorrenti (cfr TAR Sardegna sez. I n. 564/2004) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 08.06.2011 n. 5113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa commissione di gara presieduta dal Dirigente responsabile del settore Urbanistica del Comune e composta dal Vice-dirigente dell’Ufficio tecnico e da una impiegata amministrativa dello stesso Ufficio risulta avere le professionalità adeguate alle valutazioni tecniche che sono state chiamate ad effettuare, svolgendo i suddetti componenti della Commissione attività proprie dello specifico settore cui si riferiva l'oggetto del contratto, dal momento che l’avviso pubblico riguardava un avviso di selezione per l’affidamento dell’incarico professionale per la redazione del Piano degli interventi relativo al Piano di assetto del Territorio.
Osserva al riguardo il Collegio che l’art. 84, comma 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 163/2006 stabilisce che “2. La commissione, nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto.
3. La commissione è presieduta da un dirigente della stazione appaltante, nominato dall'organo competente.
4. I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.
5. Coloro che nel biennio precedente hanno rivestito cariche di pubblico amministratore non possono essere nominati commissari relativamente a contratti affidati dalle amministrazioni presso le quali hanno prestato servizio.
6. Sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi
.”
Il seguente comma 8 stabilisce che i commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari delle stazioni appaltanti e che solo in caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento essi sono scelti con un criterio di rotazione tra professionisti e professori universitari di ruolo.
Il TAR ha accolto il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio nell’assunto che la composizione della Commissione giudicatrice, con specifico riguardo alle competenze tecniche dei componenti, non risultava conforme alle sopra citate disposizioni, tenuto conto della peculiarità delle valutazioni tecniche da effettuare per la scelta della migliore offerta.
La Commissione di cui trattasi era presieduta dal Dirigente responsabile del settore Urbanistica del Comune e composta dal Vice-dirigente dell’Ufficio tecnico e da una impiegata amministrativa dello stesso Ufficio.
Dette professionalità appaiono al Collegio adeguate alle valutazioni tecniche che sono state chiamate ad effettuare, svolgendo i suddetti componenti della Commissione attività proprie dello specifico settore cui si riferiva l'oggetto del contratto, dal momento che l’avviso pubblico riguardava un avviso di selezione per l’affidamento dell’incarico professionale per la redazione del Piano degli interventi relativo al Piano di assetto del Territorio adottato dal Comune di Cerea (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.06.2011 n. 3479 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRestyling appalti via. I collaudi sono affidabili a terzi solo cori gara.
Al via il performance bond nei lavori oltre 75 milioni, nuovi e maggiori oneri per la verifica dei progetti, affidabile anche a professionisti e società se non svolta all'interno della stazione appaltante; i collaudi saranno affidabili a terzi solo con gara, più qualità nei livelli progettuali e negli studi di fattibilità, nuove classifiche di qualificazione per piccoli lavori, limiti ai ribassi nelle gare di progettazione, sanzioni per imprese e Soa per certificati falsi.
Sono questi alcuni dei punti innovativi del dpr 05.10.2010, n. 207 che entra in vigore oggi e che sostituirà molti regolamenti fino a oggi vigenti (dal dpr 554/1999, il regolamento della legge Merloni, al dpr 34/2000 sulla qualificazione delle imprese di costruzioni).
Fra le norme di maggiore impatto, applicabili a tutti i bandi pubblicati a partire da oggi, si segnalano quelle sulla verifica dei progetti dove peraltro si apre un nuovo mercato per professionisti e società di ingegneria e di professionisti, che potranno già da domani verificare progetti fino a 20 milioni di importo di lavori, nel rispetto di una serie di limiti di incompatibilità e separatezza dell'attività progettuale rispetto a quella di verifica. Il regolamento definisce nel dettaglio il contenuto dell'attività di verifica che, diversamente da oggi, dovrà essere contestuale allo svolgimento della progettazione.
Diverse modifiche sono previste anche per il responsabile del procedimento che potrà svolgere le funzioni di progettista e di direttore dei lavori negli interventi ... (articolo ItaliaOggi del 08.
06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIVerifiche differenziate in base agli importi.
Ai nastri di partenza del regolamento appalti non ci saranno alcune norme che (ricadendo nel regime transitorio dell'articolo 357 del Dpr 207/2010) diverranno concretamente applicabili solo fra qualche tempo.
Attesa prolungata, innanzitutto, per le strutture che potranno compiere la verifica della progettazione, nel caso in cui la stazione appaltante decida di provvedere in proprio, senza rivolgersi al mercato privato specializzato. Per i lavori di importo superiore a 20 milioni di euro, infatti, l'articolo 47 del regolamento ha stabilito che il soggetto abilitato alla verifica sia rappresentato dall'unità tecnica della stazione appaltante accreditata, in base alla norma europea Uni Cei En Iso/Iec, quale organismo di ispezione di tipo B.
Trattandosi, dunque, di un soggetto accreditato come organismo di ispezione, prima che la disposizione diventi operativa, bisognerà attendere la pubblicazione di un decreto delle Infrastrutture, che dovrà essere adottato entro sei mesi da oggi e che conterrà la disciplina delle modalità e delle procedure di accreditamento per tali tipi di organismi. Tuttavia, fino a 180 giorni dopo la pubblicazione del decreto, sarà possibile per le stazioni appaltanti validare i progetti oltre i 20 milioni, tramite gli uffici tecnici.
Per i progetti al di sotto dei 20 milioni di euro, l'attività di verifica potrà essere svolta, oltre che dalla medesima unità tecnica accreditata, anche dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti, dotate di un sistema interno di controllo di qualità. Anche in questo caso, in attesa dell'adeguamento delle amministrazioni, la norma transitoria ha stabilito che, per altri 3 anni (fino al 07.06.2014), gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti potranno essere esentati dal possesso del sistema di controllo interno e provvedere, di conseguenza, alla relativa attività di verifica.
Al regolamento era legata la possibilità di ottenere l'attestato "Soa" per l'accesso ai lavori pubblici mediante avvalimento, ovvero con il prestito dei requisiti necessari da parte di un'altra impresa. Ma, l'articolo 357 ha rinviato di 180 giorni (ulteriormente prorogati di altri 180 dal decreto legge 70/2011) la predisposizione di bandi, avvisi, nonché di inviti a presentare offerte, nell'ambito dei quali sarà possibile richiedere la qualificazione Soa ottenuta con il prestito dei requisiti di un'altra impresa legata al concorrente da rapporti societari.
Le norme transitorie fanno slittare di un anno anche la garanzia globale di esecuzione, il nuovo sistema di garanzie che diverrà obbligatorio per gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori di ammontare a base d'asta superiore a 75 milioni di euro, per gli affidamenti a contraente generale e, facoltativo anche per i soli lavori oltre i 100 milioni di euro.
Dunque, il nuovo soggetto garante (assicurazioni soprattutto) farà la sua comparsa solamente nei contratti i cui bandi o avvisi di indizione della gara saranno pubblicati a partire dall'08.06.2012.
C'è ancora tempo, dunque, per cercare un soggetto che assuma non solo l'obbligo di pagare alla stazione appaltante quanto dovuto dall'appaltatore a titolo di cauzione definitiva, ma che si accolli anche l'obbligo di far subentrare un sostituto nella esecuzione o nel completamento dei lavori, qualora dovesse verificarsi una risoluzione contrattuale per reati accertati, per decadenza dell'attestazione di qualificazione o, ancora, per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo (articolo Il Sole 24 Ore del 08.
06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIProgetti senza massimo ribasso. Oltre al prezzo vantaggioso si terrà conto di qualità e tempi di esecuzione.
Appalti. In vigore da oggi –dopo 6 mesi di attesa– il regolamento sulle procedure per lavori pubblici, servizi e forniture.

Da oggi nuova scossa agli appalti. Entra, infatti, in vigore il regolamento degli appalti. Si conclude così la lunga vacatio legis di 6 mesi che ha sospeso finora il Dpr 207/2010 di attuazione del codice degli appalti.
Solo due norme infatti –quelle con le sanzioni per le imprese e le società di qualificazione– erano entrate in vigore il 25.12.2010, 15 giorni dopo la pubblicazione del decreto. Tutto il resto –ovvero le procedure per programmare, bandire ed eseguire i contratti di appalto pubblici– era rinviato all'8 giugno.
Questa sospensione dovrebbe aver consentito alle amministrazioni e ai fornitori della Pa di prendere confidenza con tutte le nuove procedure. Che hanno un impatto non solo sui lavori pubblici, ma anche sui contratti di servizi (con il debutto del finanziamento privato e delle forniture e con la nuova figura del direttore dell'esecuzione).
Il regolamento non comporta un cambiamento radicale nella gestione dell'appalto, ma contiene disposizioni e procedure che incidono sulla quotidianità degli operatori.
L'impatto più forte è per le gare di progettazione di opere pubbliche. Il regolamento prova a sperimentare la cancellazione del massimo ribasso. Per acquisire un progetto l'unico sistema di scelta sarà quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nel quale il prezzo proposto dal progettista è solo uno degli elementi di giudizio, accanto a qualità e tempi di esecuzione. Una particolare formula di aggiudicazione, poi, (contenuta nell'allegato M) penalizza ancora di più i ribassi elevati nella classifica finale. Con queste modifiche i progettisti hanno ottenuto una disciplina derogatoria: le direttive comunitarie prevedono la piena equivalenza dei criteri di aggiudicazione del massimo ribasso e dell'offerta più vantaggiosa. Così, ingegneri e architetti tentano di combattere il fenomeno dei maxi ribassi che nella progettazione hanno raggiunto punte anche del 70% dopo l'abolizione della tariffe minime.
Scatta da oggi l'obbligo di validare tutti i progetti, nei tre stadi di sviluppo, dal preliminare all'esecutivo. Con questo controllo terzo, affidato a organismi indipendenti (comprese le strutture ad hoc delle amministrazioni o per le piccole opere gli studi dei progettisti) si vogliono correggere in corsa gli errori di progettazione per portare in gara un progetto "senza sorprese".
In questa chiave va letta anche la norma del Dl sviluppo che ha escluso la possibilità per l'appaltatore di prevedere riserve sui progetti già validati. Con l'arrivo del regolamento cambiano anche i bandi di gara. Per i lavori pubblici, ad esempio, aumentano le categorie di lavori in cui può essere scomposta un'opera e per le Pmi arrivano due nuove fasce sui bandi: la III (da 1,033 a 1,5 milioni) e la IV–bis (da 2,5 a 3,5 milioni). Con l'ingresso nel regolamento degli appalti di forniture e servizi (in attuazione del codice appalti che già li aveva unificati) molti istituti propri finora dei lavori vengono estesi anche a questi altri due tipi di contratti.
È il caso della nuova figura obbligatoria del direttore di esecuzione, che solo per contratti sotto i 500mila euro coincide con il responsabile del procedimento. Il regolamento detta poi disposizioni uniformi su tutta la fase di esecuzione di questi contratti, dalla contabilità alle varianti, dalla sospensione delle prestazioni al certificato di ultimazione. Come la sperimentazione sul project financing esteso anche a servizi e forniture. Banchi o le lavagne con il marchio dello sponsor diventano una possibilità reale (articolo Il Sole 24 Ore del 08.
06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: L’escluso dalla gara di appalto non ha titolo per impugnare il bando.
In capo a chi sia stato escluso da una gara con atto non impugnato, non sussiste un interesse al ricorso avverso gli atti della medesima selezione, neppure nella declinazione mediata dell’interesse strumentale alla rinnovazione della intera gara.

Ritiene il Collegio che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, in capo a chi sia stato escluso da una gara con atto non impugnato, non sussiste un interesse al ricorso avverso gli atti della medesima selezione, neppure nella declinazione mediata dell’interesse strumentale alla rinnovazione della intera gara.
Tali conclusioni sono conformi, oltre che alla prevalente giurisprudenza amministrativa di epoca più risalente, con la recente sentenza dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 07.04.2011, n. 4 che ha ribadito l’orientamento per cui l’esclusione da una gara d’appalto pone l’ escluso in posizione di fatto non diversa dal non partecipante, perché non fa sorgere il titolo su cui si fonda la legittimazione al ricorso.
Non può essere pertanto condivisa la prospettazione della società appellante, secondo cui attraverso la impugnazione del solo bando la stessa ha titolo per far valere soltanto il suo interesse strumentale alla ripetizione delle operazioni di gara (cioè indipendentemente dal possesso di un idoneo titolo partecipativo). Una posizione legittimante all’impugnazione del bando può sussistere solo in capo a chi abbia titolo a partecipare alla gara.
L’eccezione a questa regola riguarda i requisiti richiesti dalla clausola del bando su cui si appunta l’impugnazione; ma non si configura in capo a chi, come l’odierna appellante, pretenderebbe travolgere l’intera gara per pretesa illegittimità del bando, tralasciando di esser stata definitivamente esclusa dalla gara per difetto di requisiti partecipativi diversi da quelli sui quali si appunta l’impugnazione della lex specialis, ovvero per omissioni nella domanda di partecipazione.
In tali casi è evidente il difetto di legittimazione al ricorso del soggetto escluso (che non contesti la propria esclusione), se si considera il dato di base che il processo amministrativo non è un astratto strumento di ripristino della legalità violata indipendentemente da una posizione che configuri un concreto ed effettivo titolo per agire in giustizia.
Nemmeno rileva che l’odierna società appellante, prevedendo di restare esclusa dalla gara a causa della carenza del requisito di capacità tecnica, abbia prodotto la domanda di partecipazione con riconosciuta superficialità (donde le carenze documentali a base della sua esclusione). A rilevare in senso ostativo è il dato oggettivo della carenza di titolo partecipativo in capo alla ricorrente, a causa della sua esclusione dalla gara per fatti e circostanze rimaste inoppugnate, data la mancata proposizione di specifico gravame (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.06.2011 n. 3422 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISussistenza dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera d’invito.
Le clausole del bando o della lettera di invito che onerano l'interessato ad una immediata impugnazione sono quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, in riferimento sia a requisiti soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta.

In merito alla sussistenza dell'onere di immediata impugnazione del bando o della lettera d'invito, il Collegio non può che richiamare l'ormai consolidata giurisprudenza, maturata a partire dalla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2003, per la quale, ricollegandosi l'onere di impugnazione ad una lesione immediata, diretta ed attuale e non solo potenziale dell'atto, esso sussiste solo allorquando il bando contenga clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione.
Di conseguenza, le clausole del bando o della lettera di invito che onerano l'interessato ad una immediata impugnazione sono quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, in riferimento sia a requisiti soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.06.2011 n. 3413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIConcessioni di servizi.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 06.06.2011 n. 3377 ha affermato che: "Le concessioni di servizi, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti, non per il titolo provvedimentale dell'attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell'appalto, ma per l'assenza di un corrispettivo, a carico dell'amministrazione, e per la conseguente traslazione dell'alea inerente la prestazione a carico del soggetto privato".
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, principia la sua analisi dalla nozione codicistica di concessione di servizi, ponendo in evidenza che anche le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 definiscono la concessione di servizi come "un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo". Dunque, il prezzo, nella concessione di servizi è solo un elemento secondario ed eventuale, in quanto il tratto caratteristico è rappresentato dal diritto di gestire il servizio, da cui si traggono le primarie fonti di remunerazione.
In altri termini, nella concessione, il prezzo assume importanza per la sua assenza, nel senso che la mancanza, assoluta o tendenziale, di un prezzo, cioè di un corrispettivo, che dall'amministrazione viene erogato in favore dell'operatore economico contraddistingue la natura del rapporto. Inoltre, la concessione si distingue dall'appalto, allorquando l'operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente, mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto. Non esplica grande rilevo il titolo provvedimentale dell'attività, né il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, né la natura autoritativa o provvedimentale della concessione rispetto alla natura contrattuale dell'appalto.
Ciò che è fondamentale, ai fini della sussistenza di una concessione di servizi, è il fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato. Pertanto, ad avviso dei giudici amministrativi di appello, si avrà concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione.
Tale assunto, è stato più volte confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi, allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15.10.2009, C – 196/08). Viceversa, in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, si è in presenza di un appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez. III, 10.09.2009, C – 206/08).
Sulla base di tali argomentazioni, il CdS ritiene che non vi è alcun dubbio che la gara per l'affidamento del servizio di tesoreria rientri nello schema della concessione di servizi. Infatti, l'assenza tendenziale del corrispettivo non implica che il concessionario non può trarre alcuna utilità economicamente apprezzabile dallo svolgimento del servizio, ma solo che il prezzo deve risultare assente quale primario elemento di connotazione (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIL’affidamento del servizio di tesoreria non impone la prestazione della cauzione definitiva.
In questa pronuncia decisa dalla quinta sezione del Consiglio di Stato il ricorrente contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ritiene che l’affidamento del servizio di tesoreria abbia natura di concessione e non di appalto e, di conseguenza, afferma l’insussistenza dell’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui all’art. 75 del D.Lgs 163/2006.
I giudici d’appello, rigettando questa tesi, spiegano che il 2° comma dell’art. 30 del D.Lgs n. 163/2006, nel definire la concessione di servizi, precisa che la stessa si caratterizza per il fatto che “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, pur potendo, essere previsto anche un prezzo “qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico–finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare”.
Non diversamente, le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 definiscono la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”. Alla stregua di quanto sopra, poi, ricordano i giudici di Palazzo Spada, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto modo di precisare che le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa o provvedi mentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr. Sez. VI 15.05.2002, n. 2634).
Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
E tale assunto, è stato più volte confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15.10.2009, C–196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez. III, 10.09.2009, C–206/08).
Premesso ciò, non c’è dubbio la gara in commento, secondo i giudici di Palazzo Spada, rientri tra quelle in cui “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, e, per ciò solo, tra le concessioni di servizi, ai sensi dell’art. 30, 2° comma, del D.Lgs 163/2006: infatti, la normativa citata “non significa che il concessionario non può trarre alcuna utilità economicamente apprezzabile dallo svolgimento del servizio (se così fosse, ben difficilmente si troverebbero concorrenti per le gare di tesoreria) ma solo che la gara non deve prevedere un prezzo che remuneri il servizio, a carico della Stazione Appaltante; in altre parole, la concessione di servizi prevede il trasferimento in capo al concessionario della responsabilità della gestione, da intendersi come assunzione del rischio, che dipende direttamente dai proventi che il concessionario può trarre dalla utilizzazione economica de l servizio”.
In questo senso, del resto, si è espressa anche la Corte di Cassazione, con la decisione n. 8113/1909, ove viene precisato che “come reiteratamente affermato da queste Sezioni Unite (sentenze n. 13453/1991, n. 874/1999, n. 9648/2001) il contratto di tesoreria … va qualificato in termini di rapporto concessorio, e non di appalto di servizi … avendo ad oggetto la gestione del servizio di tesoreria comunale implicante, ai sensi del T.U. della Legge Comunale e Provinciale, approvato con R.D. 03.03.1934, n. 383, art. 325, il conferimento di funzioni pubblicistiche quali il maneggio del denaro pubblico e il controllo sulla regolarità dei mandati e prospetti di pagamento, nonché sul rispetto dei limiti degli stanziamenti in bilancio”.
L’affidamento del servizio di tesoreria, pertanto, concludono gli stessi giudici, si sostanzia in una concessione di servizi che, in linea di principio, resta assoggettato alla disciplina del Codice degli Appalti solo nei limiti specificati dall’art. 30 che, per quanto qui interessa, non pone di certo l’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui al successivo art. 75 (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.06.2011 n. 3377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Appalto o concessione di servizi, una questione di rischi.
Il Consiglio di Stato torna nuovamente a chiarire quale sia la differenza esistente tra la concessione e l'appalto di servizi; i giudici amministrativi nell'analizzare una questione prospettata a seguito di un ricorso delineano il quadro di differenziazione che si ritiene utile portare, con il presente commento, all'attenzione dei soggetti che si trovano ad applicare con quotidianità, le disposizioni contenute nel D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. (cd. Codice degli Appalti pubblici).
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 06.06.2011 n. 3377, torna nuovamente a chiarire, in materia di appalti pubblici, quale sia la differenza esistente tra la concessione e l’appalto di servizi; i giudici amministrativi nell’analizzare una questione prospettata a seguito di un ricorso delineano il quadro di differenziazione che si ritiene utile portare, con il presente commento, all’attenzione dei soggetti che si trovano ad applicare con quotidianità, le disposizioni contenute nel D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. (cd. Codice degli Appalti pubblici).
La questione.
La vicenda trae origine a seguito del fatto che un ente locale autorizzava con delibera l’avvio della procedura di gara per l’affidamento del servizio di tesoreria, per il periodo 01.01.2010-31.12.2014; alla gara partecipavano due importanti banche.
A seguito della valutazione dell’offerta presentata, seguendo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’ente locale affidava il servizio di tesoreria in via provvisoria ad una delle due banche.
La banca che non si era aggiudicata il servizio ricorreva al TAR che però respingeva il ricorso.
Avverso la decisione dei giudici amministrativi di primo grado la banca ricorreva al Consiglio di Stato.
L’analisi dei Giudici del Consiglio di Stato.
Per i giudici di Palazzo Spada l’appello della banca è da ritenersi infondato. Tra i diversi gravami proposti dalla banca ricorrente , quello che riveste particolare rilevanza è la differenziazione rilevata in merito all’istituto della concessione e dell’appalto di servizi negli appalti pubblici. In particolare la banca ricorrente censura la sentenza del TAR impugnata, laddove ha ritenuto che l’affidamento del servizio di tesoreria abbia natura di concessione e non di appalto, ed ha di conseguenza affermato l’insussistenza dell’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui all’art. 75 del D. Lgs 163/2006.
Tale affermazione per il Consiglio di Stato non può essere condivisa.
Il comma 2°, dell’art. 30 del D. Lgs n. 163/2006 e s.m.i., nel definire la concessione di servizi, precisa che la stessa si caratterizza per il fatto che “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, pur potendo, essere previsto anche un prezzo “qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico–finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare”.
Le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 definiscono la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.
Anche l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato.
Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Per i giudici di Palazzo Spada si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
Nel caso in esame è evidente che la gara oggetto del ricorso rientra tra quelle in cui “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, e per ciò solo, tra le concessioni di servizi, ai sensi dell’art. 30, comma 2°, del D.Lgs 163/2006.
Conclusioni.
Per i giudici del Consiglio di Stato l’affidamento del servizio di tesoreria si sostanzia in una concessione di servizi che, in linea di principio, resta assoggettato alla disciplina del Codice degli Appalti solo nei limiti specificati dall’art. 30 che, per quanto qui interessa, non pone di certo l’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui al successivo art. 75 del citato D.Lgs. 163/2006 (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento del servizio di tesoreria si sostanzia in una concessione di servizi che, in linea di principio, resta assoggettato alla disciplina del Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 163/2006) solo nei limiti specificati dall'art. 30 del medesimo decreto.
Si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione, mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l'operazione rappresenta un appalto di servizi.
Nel caso di specie, dunque, la gara rientra tra quelle in cui "la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio", e, per ciò solo, tra le concessioni di servizi, ai sensi dell'art. 30, 2° c., del D.Lgs 163/2006. Infatti, la richiamata normativa "non significa che il concessionario non può trarre alcuna utilità economicamente apprezzabile dallo svolgimento del servizio (se così fosse, ben difficilmente si troverebbero concorrenti per le gare di tesoreria) ma solo che la gara non deve prevedere un prezzo che remuneri il servizio, a carico della Stazione Appaltante; in altre parole, la concessione di servizi prevede il trasferimento in capo al concessionario della responsabilità della gestione, da intendersi come assunzione del rischio, che dipende direttamente dai proventi che il concessionario può trarre dalla utilizzazione economica del servizio".
Pertanto, l'affidamento del servizio di tesoreria si sostanzia in una concessione di servizi che, in linea di principio, resta assoggettato alla disciplina del Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 163/2006) solo nei limiti specificati dall'art. 30 che, per quanto qui interessa, non pone di certo l'obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui all'art. 75 del citato D. Lgs n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.06.2011 n. 3377 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZILa gara per la tesoreria non è soggetta al «Codice».
La gara per l'affidamento del servizio di tesoreria di un ente locale non è soggetta alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006) e quindi non sussiste l'obbligo per l'aggiudicatario di prestare la cauzione definitiva.

È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 06.06.2011 n. 3377, chiarendo che il contratto di tesoreria rientra fra le concessioni di servizi ed evidenziando che la modalità di remunerazione costituisce il tratto distintivo dell'appalto. Così, si avrà concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione.
Peraltro, la giurisprudenza interna ha più volte posto l'accento sulla tipologia del rapporto, configurando l'appalto in caso di prestazioni rese in favore dell'amministrazione (rapporto bilaterale), diversamente dalla concessione di servizi che instaura un rapporto tra ente, concessionario e utenti (rapporto trilaterale).
La conclusione cui perviene il Consiglio di Stato si pone senz'altro in linea con la più recente giurisprudenza comunitaria: con la sentenza del 10.03.2011 la Corte di giustizia Ue ha infatti affermato che nella concessione la remunerazione non è garantita dall'amministrazione aggiudicatrice, bensì dagli importi riscossi presso gli utenti del servizio.
Il contratto di tesoreria va quindi qualificato in termini di rapporto concessorio e non di appalto di servizio, come più volte affermato dalla Cassazione con le pronunce 8113/2009, 9648/2001 e 874/1999. Si tratta in sostanza del medesimo rapporto che si configura nel caso di accertamento e riscossione delle entrate locali (Consiglio di Stato, 5566/2010, 4510/2010 e 236/2006). La procedura di gara è pertanto assoggettata al Dlgs 163/2006 solo nei limiti indicati dall'articolo 30, che esclude l'applicabilità del Codice dei contratti alle concessioni di servizi, ma impone comunque il rispetto dei principi generali, prevedendo una gara informale a cui invitare almeno cinque concorrenti e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Occorre quindi rispettare i "principi" desumibili dalla normativa sugli appalti, individuati di volta in volta dalla giurisprudenza. Infatti, alcune disposizioni del Dlgs 163/2006, in quanto espressione di principi generali, sono state ritenute applicabili anche alle concessioni: tra queste, l'articolo 83 sulla definizione dei criteri di valutazione delle offerte (Tar Toscana 1710/2008). Altre norme del Dlgs 163/2006 sono state invece ritenute inapplicabili alle concessioni: tra esse, gli articoli 86 e seguenti sull'anomalia dell'offerta (Consiglio di Stato, 1784/2011 e 513/2011) (articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTIAutenticazione della firma digitale nella gara di appalto.
Come ha correttamente rilevato il Tar, dalla legge di gara, e segnatamente dal punto 8 del disciplinare, che elenca le cause di esclusione, si evince che è causa di esclusione l’ipotesi di “cauzione provvisoria non presentata con le modalità di cui all’articolo 2 punto 5 del presente disciplinare, ed in particolare non autenticata con firma digitale da Notaio o da Pubblico Ufficiale”.
Ora, se è vero, in astratto, che nel caso di specie la cauzione recava firma digitale autenticata, è anche vero che, in concreto, l’autenticazione della firma digitale non è pervenuta alla stazione appaltante entro il termine perentorio per la presentazione della domanda di partecipazione e dell’offerta.
Ai fini della gara, rileva pertanto che agli atti di gara vi era una firma digitale non autenticata, che integra la citata causa di esclusione, restando irrilevante il fatto storico che la firma era stata autenticata e l’autentica non trasmessa
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINon è consentita la produzione, dopo la scadenza dei termini fissati dal bando, di documenti essenziali, richiesti a pena di esclusione: la stazione appaltante non può formulare una richiesta di integrazione documentale, qualora si tratti di documenti univocamente previsti dal bando o dalla lettera d’invito a pena di esclusione.
Ai sensi dell’art. 46, codice appalti, la stazione appaltante invita i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni.
La norma contempla il c.d. potere di soccorso della stazione appaltante, che si articola in una duplice possibilità che può essere accordata ai concorrenti:
- il completamento della documentazione;
- il chiarimento in ordine al contenuto della documentazione già presentata.
La norma è considerata di stretta interpretazione quanto all’ambito dell’integrazione documentale, in quanto, pur essendo essa ispirata al principio della massima partecipazione, tale principio va coordinato con quello di par condicio tra i concorrenti e con le esigenze di celerità dell’azione amministrativa.
Pertanto non è consentita la produzione, dopo la scadenza dei termini fissati dal bando, di documenti essenziali, richiesti a pena di esclusione: la stazione appaltante non può formulare una richiesta di integrazione documentale, qualora si tratti di documenti univocamente previsti dal bando o dalla lettera d’invito a pena di esclusione [Cons. St., sez. III, 19.04.2011 n. 2387; Cons. St., sez. V, 02.08.2010 n. 5084; Cons. St., sez. V, 16.07.2007 n. 4027; Cons. St., sez. IV, 10.05.2007 n. 2254; Cons. St., sez. V, 30.05.2006 n. 3280]
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAvuto riguardo allo scopo dell’autenticazione della firma, ad avviso del Collegio è proporzionato richiedere, in una gara di appalto, la piena prova della provenienza della cauzione da parte del sottoscrittore, e dunque l’autenticazione della firma, perché la cauzione è azionabile a prima richiesta da parte della stazione appaltante, sicché questa ha interesse a non vedersi opporre il disconoscimento della sottoscrizione.
La previsione del requisito dell’autentica della sottoscrizione della cauzione, da parte della lex specialis di gara, non viola, pertanto, il principio di proporzionalità recato dall’art. 74, co. 5, codice appalti.
Questo Consesso si è già pronunciato nei medesimi termini in analoga vicenda, relativa a prescrizione del bando di gara di pubblico appalto che prevedeva l’autentica notarile della sottoscrizione della fideiussione, statuendo che costituisce interesse pubblico l’esatta individuazione del soggetto che presta la garanzia a corredo dell’offerta; sul piano dei rapporti di diritto privato, solo l’autenticazione della sottoscrizione della fideiussione prestata garantisce pienamente l’amministrazione perché determina la piena prova in ordine alla provenienza da chi l’ha sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e 2703 c.c., impedendo il successivo disconoscimento della stessa.
La clausola del disciplinare che richieda l’autentica della sottoscrizione del soggetto rilasciante la polizza fideiussoria non può in alcun modo ritenersi un mero aggravamento procedimentale ma deve ritenersi legittima perché finalizzata alla tutela dell'interesse pubblico alla certezza sulla provenienza della garanzia.

Con il terzo motivo di appello si ribadisce la censura di illegittimità del bando e del capitolato, che prevedono un requisito, l’autentica di firma, non previsto dall’art. 75 codice appalti, così aggravando il procedimento in modo irragionevole. L’autentica sarebbe irragionevolmente prescritta solo per la polizza assicurativa e non anche per la fideiussione rilasciata da banca o altro intermediario finanziario autorizzato.
Il mezzo è infondato.
Giova anzitutto rilevare che dalla lettura del bando e del capitolato si evince con chiarezza che l’autenticazione della firma digitale è richiesto per qualsivoglia tipo di cauzione provvisoria, sia essa fideiussione bancaria o polizza assicurativa.
Non vi è pertanto la lamentata irragionevole disparità di trattamento tra i diversi tipi di cauzione.
Quanto poi al dedotto contrasto della legge di gara con l’art. 75 codice appalti, lo stesso, ad avviso del Collegio, non sussiste.
E’ vero che l’art. 75, codice appalti, non prescrive, formalmente, l’autenticazione della sottoscrizione apposta alla cauzione.
Ma, a ben vedere, l’art. 75 nemmeno si occupa della sottoscrizione della cauzione.
E’ evidente che la disciplina trova necessario completamento nella disciplina apprestata dall’ordinamento in ordine alla sottoscrizione di atti e dichiarazioni diretti ad una pubblica amministrazione.
Ai sensi dell’art. 38, co. 2 e 3, d.P.R. n. 445/2000, nel testo vigente ratione temporis: “2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica sono valide:
a) se sottoscritte mediante la firma digitale, basata su di un certificato qualificato, rilasciato da un certificatore accreditato, e generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura;
b) ovvero quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi.
3. Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo. Le istanze e la copia fotostatica del documento di identità possono essere inviate per via telematica; nei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, detta facoltà è consentita nei limiti stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 15, comma 2 della legge 15.03.1997, n. 59 (oggi art. 25, d.lgs. n. 82/2005)
”.
Mentre il co. 2 si occupa di istanze e dichiarazioni inviate per via telematica, il co. 2 si occupa di istanze e dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre alla p.a. nelle gare di appalto.
Nel caso di specie, la dichiarazione del garante, non è né una istanza, né una dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Va ascritta al genus delle “dichiarazioni” che sono valide, se inviate per via telematica, se sottoscritte mediante firma digitale (art. 38, co. 2, d.P.R. n. 445/2000, nel testo vigente ratione temporis, nonché, attualmente, art. 65, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 82/2005).
Non si richiede, invece, anche che la firma digitale sia autenticata.
L’autenticazione della firma digitale era invece prescritta per le istanze dirette alla p.a. per via telematica nei pubblici appalti, e dunque per la domanda di partecipazione e per l’offerta, come si desume dall’art. 38, co. 3, d.P.R. n. 445/2000, che rinvia al regolamento di cui all’art. 15, co. 2, l. n. 59/1997, regolamento oggi sostituito, in parte qua, dall’art. 25, d.lgs. n. 82/2005.
Tuttavia, rispetto all’art. 38, d.P.R. n. 445/2000, il codice appalti si pone come legge successiva e specifica, e tale codice:
a) quanto alle offerte trasmesse per via telematica, richiede soltanto la firma digitale, non anche la firma digitale autenticata (art. 77, co. 6, lett. b), codice appalti);
b) quanto alle cauzioni, non si occupa di sottoscrizione e sua autenticazione.
D’altro canto, il d.lgs. n. 82/2005, nell’occuparsi di firma elettronica, firma digitale, firma elettronica autenticata, ne indica le caratteristiche tecniche, ma non anche i presupposti di utilizzo.
Si deve allora pervenire ad una prima conclusione, ed è che in base alle norme primarie, per le istanze e dichiarazioni rese nelle gare di appalto, è sufficiente la firma digitale, non occorrendo anche la firma digitale autenticata.
Si pone allora l’ulteriore questione se la prescrizione imposta autonomamente dal bando, rispetto alla legge, della firma digitale autenticata, sia o meno legittima alla luce del principio di proporzionalità.
Sulla scorta della normativa applicabile al caso di specie ratione temporis, svoltosi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 70/2011 che ha introdotto il principio di tassatività normativa delle cause di esclusione dalle gare di appalto (art. 4, co. 1, lett. n), d.l. n. 70/2011 e art. 46, co. 1-bis, codice appalti, come novellato dall’art. 4, co. 2, d.l. n. 70/2011), si deve ritenere che le cause di esclusione dalle gare di appalto non sono collegabili solo all’inosservanza di prescrizioni direttamente previste dalla legge o dal regolamento.
Infatti l’art. 74, co. 5, codice appalti, dispone che le stazioni appaltanti, oltre agli elementi essenziali di cui all’art. 74, co. 2, richiedono anche gli altri elementi e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta.
Si tratta allora di stabilire se la prescrizione dell’autenticazione sia o meno proporzionata.
Lo scopo dell’autenticazione della firma digitale è di conferire alla sottoscrizione digitale della scrittura privata il valore giuridico di sottoscrizione legalmente considerata come riconosciuta, valore giuridico che per legge è attribuito alla sottoscrizione autenticata (artt. 2702 e 2703 c.c.).
Tanto, al fine della piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi ha sottoscritto la scrittura privata, piena prova che si ha se colui contro cui è prodotta la scrittura privata ne riconosce la sottoscrizione o se la sottoscrizione è legalmente considerata come riconosciuta (art. 2702 c.c.).
E, invero, ai sensi dell’art. 25, co. 1, d.lgs. n. 82/2005, si ha per riconosciuta, ai sensi dell'articolo 2703 del codice civile, la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firma avanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L’autenticazione della sottoscrizione attribuisce certezza alla provenienza della dichiarazione e ne impedisce il disconoscimento da parte del suo autore.
Avuto riguardo allo scopo dell’autenticazione della firma, ad avviso del Collegio è proporzionato richiedere, in una gara di appalto, la piena prova della provenienza della cauzione da parte del sottoscrittore, e dunque l’autenticazione della firma, perché la cauzione è azionabile a prima richiesta da parte della stazione appaltante, sicché questa ha interesse a non vedersi opporre il disconoscimento della sottoscrizione.
La previsione del requisito dell’autentica della sottoscrizione della cauzione, da parte della lex specialis di gara, non viola, pertanto, il principio di proporzionalità recato dall’art. 74, co. 5, codice appalti.
Questo Consesso si è già pronunciato nei medesimi termini in analoga vicenda, relativa a prescrizione del bando di gara di pubblico appalto che prevedeva l’autentica notarile della sottoscrizione della fideiussione, statuendo che costituisce interesse pubblico l’esatta individuazione del soggetto che presta la garanzia a corredo dell’offerta; sul piano dei rapporti di diritto privato, solo l’autenticazione della sottoscrizione della fideiussione prestata garantisce pienamente l’amministrazione perché determina la piena prova in ordine alla provenienza da chi l’ha sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e 2703 c.c., impedendo il successivo disconoscimento della stessa [Cons. St., sez. III, 19.04.2011 n. 2387].
Sempre secondo l’appena citato precedente, la clausola del disciplinare che richieda l’autentica della sottoscrizione del soggetto rilasciante la polizza fideiussoria non può in alcun modo ritenersi un mero aggravamento procedimentale ma deve ritenersi legittima perché finalizzata alla tutela dell'interesse pubblico alla certezza sulla provenienza della garanzia
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'annotazione nel casellario informatico tenuto dall'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici.
Nel nostro ordinamento, l'aver reso false dichiarazioni alla stazione appaltante su circostanze rilevanti ai fini della assegnazione dell'appalto assurge a causa autonoma di non ammissione alle gare per l'affidamento dei contratti pubblici (art. 38, c. 1, lett. h, del D.Lgs. 163/2006), a prescindere da ogni accertamento sul profilo psicologico del dichiarante.
La disposizione richiamata pone l'accento, come d'altra parte l'art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000 ai fini della iscrizione nel casellario informatico (analoga scelta si rinviene nell'art. 8 del nuovo regolamento esecutivo del Codice dei contratti pubblici, approvato con d.P.R. n.207 del 2010), sul carattere rilevante, per la partecipazione alle gare, dei requisiti o delle condizioni oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto, la valutazione cui è tenuta l'AVCP ai fini della iscrizione della notizia nel casellario informatico è quella della pertinenza della notizia segnalata dalle stazioni appaltanti con condizioni o requisiti rilevanti ai fini partecipativi, ad evitare che possa formare oggetto di iscrizione anche il cosiddetto falso innocuo, cioè la falsa dichiarazione su fatti e circostanze irrilevanti ai fini della assegnazione della gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3361 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTINel nostro ordinamento, l’aver reso false dichiarazioni alla stazione appaltante su circostanze rilevanti ai fini della assegnazione dell’appalto assurge a causa autonoma di non ammissione alle gare per l’affidamento dei contratti pubblici (art. 38, comma 1, lett. h), a prescindere da ogni accertamento sul profilo psicologico del dichiarante.
La disposizione richiamata pone l’accento, come d’altra parte l’art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000 ai fini della iscrizione nel casellario informatico (analoga scelta si rinviene nell’art. 8 del nuovo regolamento esecutivo del Codice dei contratti pubblici, approvato con d.P.R. n. 207 del 2010), sul carattere rilevante, per la partecipazione alle gare, dei requisiti o delle condizioni oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto la valutazione cui è tenuta l’AVCP ai fini della iscrizione della notizia nel casellario informatico è quella della pertinenza della notizia segnalata dalle stazioni appaltanti con condizioni o requisiti rilevanti ai fini partecipativi, ad evitare che possa formare oggetto di iscrizione anche il cosiddetto falso innocuo, cioè la falsa dichiarazione su fatti e circostanze irrilevanti ai fini della assegnazione della gara.

Nel nostro ordinamento, l’aver reso false dichiarazioni alla stazione appaltante su circostanze rilevanti ai fini della assegnazione dell’appalto assurge a causa autonoma di non ammissione alle gare per l’affidamento dei contratti pubblici (art. 38, comma 1, lett. h), a prescindere da ogni accertamento sul profilo psicologico del dichiarante.
La disposizione richiamata pone l’accento, come d’altra parte l’art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000 ai fini della iscrizione nel casellario informatico (analoga scelta si rinviene nell’art. 8 del nuovo regolamento esecutivo del Codice dei contratti pubblici, approvato con d.P.R. n. 207 del 2010), sul carattere rilevante, per la partecipazione alle gare, dei requisiti o delle condizioni oggetto della falsa dichiarazione.
Pertanto la valutazione cui è tenuta l’AVCP ai fini della iscrizione della notizia nel casellario informatico è quella della pertinenza della notizia segnalata dalle stazioni appaltanti con condizioni o requisiti rilevanti ai fini partecipativi, ad evitare che possa formare oggetto di iscrizione anche il cosiddetto falso innocuo, cioè la falsa dichiarazione su fatti e circostanze irrilevanti ai fini della assegnazione della gara.
Nel caso di specie tuttavia non può dubitarsi della rilevanza della notizia oggetto di segnalazione da parte della stazione appaltante (Multiservizi spa) alla odierna Autorità appellante e, per conseguenza, della doverosa annotazione nel casellario informatico ad opera di quest’ultima; la falsa dichiarazione negativa resa dall’odierno appellato riguardava infatti una circostanza (l’aver riportato una condanna penale) di per sé rilevante (ai sensi del citato art. 27 d.P.R. n. 34 del 2000, oggi art. 8 del d.P.R. n. 207 del 2010) ai fini della annotazione nel casellario, a prescindere dalla natura non ostativa della condanna in concreto riportata dall’odierno appellato (desumibile dalla mancata ricomprensione del titolo di reato oggetto della sentenza di condanna nelle categorie individuate dall’art. 38, comma 1°, lett. c)).
Ed invero, la falsa dichiarazione afferiva ad una condanna penale subita dal concorrente proprio nell’esercizio dell’attività professionale, di tal che la falsa dichiarazione ha impedito alla stazione appaltante di apprezzare il medesimo fatto di reato accertato nella sede penale alla stregua di fatto incidente, oltre che sulla moralità professionale del candidato, anche sulla sua stessa professionalità: atteso che, ai sensi del medesimo art. 38, comma 1, lett. f), l’aver commesso un grave errore professionale costituisce causa autonoma di non ammissione alle gare pubbliche.
Non par dubbio pertanto che si trattava di un fatto (potenzialmente) incidente sulla professionalità del candidato, come tale destinato a rientrare nella valutazione relativa al possesso dei requisiti generali, da parte del concorrente. Ora, riconosciuta la sicura rilevanza della notizia ai fini della partecipazione alle gare, correttamente la AVCP, destinataria della segnalazione della falsità nella dichiarazione e della conseguente revoca della aggiudicazione in danno dell’odierno appellato, ha fatto luogo alla annotazione della notizia nel casellario informatico.
Né appare pertinente, nel caso di specie, il richiamo operato dal Tar alla delibera della Autorità n. 1 del 2008 laddove, nel tracciare le modalità operative delle annotazioni nel casellario informatico, viene precisato che l’AVCP procede alla puntuale e completa annotazione dei relativi contenuti nel casellario informatico, “salvo il caso che consti l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque l’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante”.
Si è già detto, infatti, che nella fattispecie in esame è conclamata sia la falsità della dichiarazione resa dal concorrente sia l’oggettività della condanna penale, di tal che non è certo questo il caso in cui potrebbe parlarsi di “inconferenza della notizia” ovvero di “inesistenza in punto di fatto dei suoi presupposti”. Quanto poi alla previsione, contenuta nella nuova delibera AVCP n. 1 del 2010, riguardo alla necessità di un autonomo apprezzamento da parte della Autorità circa la rilevanza della notizia segnalata, il Collegio ritiene che nessun elemento acquisito agli atti del giudizio possa condurre a ritenere che l’Autorità nella specie non abbia compiuto tale autonoma valutazione del fatto prima di addivenire alla condivisibile determinazione di annotare la notizia nel casellario informatico.
Da ultimo non rileva, come sostiene il Tar, che sia probabilmente mancato il dolo o la colpa nel dichiarante, ovvero che la falsa dichiarazione sia da attribuire a dimenticanza o a disguido; a parte la dubbia sostenibilità nella specie di una tale ricostruzione ( la dimenticanza si collega generalmente a fattispecie omissive pure, essendo al contrario di più difficile configurazione in quelle omissive mediante commissione), si è già detto che nel nostro ordinamento le false dichiarazioni in sede di gara, purché afferenti a requisiti o condizioni rilevanti, producono ex se l’effetto decadenziale sulla intervenuta aggiudicazione, nonché la obbligatoria segnalazione da parte della stazione appaltante alla AVCP per la annotazione della notizia nel casellario informatico.
Né potrebbe dubitarsi della compatibilità comunitaria di una tale opzione normativa nazionale, focalizzata sulla rilevanza oggettiva della dichiarazione falsa (e quindi con esclusione del solo falso innocuo), e non piuttosto sullo stato psicologico del dichiarante (cfr., sul punto, la ordinanza cautelare di questa Sezione del 15.09.2010 n. 4261), in rapporto alla diversa scelta del legislatore comunitario (art. 45, secondo comma, lett. g) della direttiva CE 2004/18), ove la possibilità che un operatore economico sia escluso dalla partecipazione all’appalto è correlata al fatto che egli si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della stessa direttiva.
Vero è che, sembra di poter concludere, nella prospettiva comunitaria, le false dichiarazioni del concorrente producono un effetto espulsivo alla ricorrenza di un duplice presupposto: a) che ricadano su circostanze rilevanti ai fini della partecipazione alla gara; b) che sia predicabile un rimprovero al dichiarante, nel senso che la dichiarazione falsa deve essergli ascritta quantomeno a titolo di colpa grave.
Osserva tuttavia il Collegio che la scelta del legislatore nazionale di richiedere soltanto, quale requisito per la (non) ammissione alle gare pubbliche e per la iscrizione nel casellario di chi vi sia incorso, la rilevanza oggettiva della dichiarazione falsa, non appare incompatibile con il diritto comunitario, trattandosi in sostanza della legittima adozione di una frontiera più avanzata di tutela dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle gare pubbliche.
Inoltre, si tratta di scelta giustificata dall’esigenza di assicurare la speditezza dei procedimenti selettivi finalizzati ad individuare i contraenti pubblici, che sarebbe seriamente compromessa ove dovessero svolgersi non facili indagini in ordine all’elemento psicologico del soggetto che abbia dichiarato il falso in ordine a circostanze rilevanti ai fini di gara; oltre che di evitare che possa alimentarsi un contenzioso indotto dalle incertezze e dai dubbi interpretativi che potrebbero insorgere in ordine a tale questione.
Di qui la ragionevolezza della scelta legislativa nazionale di ancorare alla sola rilevanza oggettiva del falso gli effetti espulsivi e interdittivi dei partecipanti alle gare pubbliche, coerente con un sistema in cui il principio della leale collaborazione tra cittadini e pubblica amministrazione non deve spingersi fino al punto di onerare le stazioni appaltanti di defatiganti indagini sul profilo soggettivo di chi abbia dichiarato il falso al fine di stabilirne, caso per caso, il regime sanzionatorio,con ricadute negative anche sulla par condicio competitorum.
Da ultimo va osservato che a conclusioni non diverse, in ordine alla piena legittimità della annotazione, conduce l’esame dei motivi di primo grado (rimasti assorbiti nella impugnata decisione) riguardanti la pretesa violazione del principio di partecipazione procedimentale oltre che della completezza della istruttoria. Ed invero, a fronte della conclamata sussistenza di una condanna penale per un fatto incidente sulla professionalità del concorrente, per un verso non può dirsi sussistere l’ipotizzato difetto di istruttoria e, per altro verso, deve altresì ritenersi (nell’ottica della proficuità della partecipazione procedimentale desumibile dall’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990) che il coinvolgimento dell’appellato nel procedimento teso alla annotazione della notizia nel casellario informatico non avrebbe potuto sortire risultati diversi da quelli in concreto raggiunti – i.e., la iscrizione della notizia-, vieppiù in considerazione della già rilevata ininfluenza dello stato psicologico del dichiarante ( e ciò anche ad ammettere, a tutto concedere, che possa ritenersi esente da grave colpa il professionista che, in una gara funzionale al conferimento di un incarico di progettazione, dichiara falsamente di non essere incorso in condanne penali, laddove la condanna penale invece sussisteva ed afferiva proprio all’esercizio della professione) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3361 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La violazione degli obblighi di pubblicazione e comunicazione relativi al risultato della procedura di aggiudicazione, non determina l'illegittimità delle pregresse fasi procedimentali di scelta del contraente.
La violazione degli obblighi di pubblicazione e comunicazione dell'avviso riguardante il risultato della procedura di aggiudicazione, secondo quanto stabilito dall'art. 65 del d.lgs. n. 163/2006, non determina l'illegittimità delle pregresse fasi procedimentali di scelta del contraente e non coinvolge, quindi, le situazioni soggettive di un'impresa ricorrente agli effetti di un diverso esito della gara, ciò in base al principio che eventuali vizi della fase di comunicazione e di integrazione dell'efficacia del provvedimento non esplicano effetto invalidante del contenuto del provvedimento medesimo.
Ciò in quanto, in materia di appalti per la fornitura del servizio di contenuti per televideo, come nel caso di specie, resta esclusa l'applicazione delle norme dettate dal codice degli appalti, salvo il rispetto, secondo quanto stabilito dall'art. 27 del d.lgs. n. 163/2006, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità, nonché dell' obbligo di invito ad almeno cinque concorrenti.
Pertanto, la procedura di affidamento non deve essere pedissequamente conformata alle fasi procedimentali quali stabilite e cadenzate dall'art. 11 del medesimo decreto e, segnatamente, alla distinzione sul piano formale ivi prevista fra le fasi di aggiudicazione provvisoria e di aggiudicazione definitiva (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3357 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La revisione prezzi si applica anche all’appalto di manutenzione di immobili.
La questione della applicabilità alla fattispecie in oggetto, riguardante un appalto di manutenzione di immobili, dell’istituto della revisione dei prezzi è stata di recente affrontata (e risolta in senso affermativo) dalla Sezione in una vicenda del tutto analoga a quella qui oggetto di esame (cfr. Cons. St., VI, 21.09.2010 n. 7001) in cui era parte proprio l’odierno istituto appellante.
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dalla decisione assunta in tale vicenda, in cui ha condivisibilmente concluso per l’applicabilità, anche al tipo di appalto per cui è giudizio (avente, in fatto, durata ultrannuale) dell’istituto revisionale, nei limiti previsti dall’art. 33 della l. 28.02.1986, n. 41 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.06.2011 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Decreto Legge 13.05.2011, n. 70 - Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia - Analisi e commenti (06.06.2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Criteri dettagliati per beni e servizi.
Le gare di appalto per l'acquisto di beni e servizi vanno impostate con un quadro dettagliato dei criteri e con la specificazione delle modalità di attribuzione dei punteggi, mentre per le prestazioni eseguite è d'obbligo la verifica. Il Dpr 207/2010 introduce nella normativa per la selezione dei fornitori e dei prestatori di servizi importanti novità.
Ogni appalto deve essere progettato (articolo 279); quindi le amministrazioni, prima dell'avvio delle procedure selettive, devono definire la relazione di contesto, il quadro economico, il Duvri, il capitolato prestazionale e lo schema di contratto. Il progetto deve essere formalizzato con l'approvazione. La sua struttura molto flessibile permette peraltro di differenziarne i contenuti descrittivi a seconda della tipologia di affidamento e della complessità dell'appalto.
Le stazioni appaltanti sono tenute a specificare nel bando (e nel disciplinare di gara) i criteri di valutazione, i relativi sub-criteri, i pesi ponderali, ma anche le modalità di attribuzione dei punteggi (articolo 283, comma 2). Per regolare questo delicatissimo aspetto, le amministrazioni devono fare riferimento all'allegato P del Dpr 207/2010.
Nell'impostazione di bandi e disciplinari di gara le stazioni appaltanti devono inserire le regole derivanti dalle norme del regolamento attuativo sulla specificazione delle attività principali e di quelle complementari comprese nell'appalto, nonché sulla distribuzione dei requisiti (e delle relative quote di attività) tra i soggetti partecipanti in raggruppamento temporaneo (articolo 275, collegato all'articolo 37, comma 4 del codice).
L'incidenza del regolamento attuativo nella gestione delle procedure selettive per appalti di beni e servizi si rileva anche nella disciplina innovativa (articolo 283) di alcune operazioni di gara e del percorso per la verifica delle offerte anomale (con rinvio all'articolo 121), destinato a concludersi con una seduta pubblica di proclamazione dei risultati e dell'aggiudicazione provvisoria.
Una vera rivoluzione riguarda invece la fase di esecuzione dell'appalto, per la quale il Dpr 207/2010 prevede (per la prima volta nell'ordinamento della contrattualistica pubblica) una disciplina specifica che ha molti punti in comune con quella dei lavori pubblici. Sotto il profilo organizzativo, le amministrazioni devono formalizzare i ruoli del responsabile del procedimento (articoli 272-273) e del direttore dell'esecuzione (articolo 300), da nominare specificamente (anche se per appalti entro i 500mila euro possono coincidere). Sul piano procedurale, l'aspetto più rilevante è la regolamentazione delle varianti (articolo 311), in base alla quale le stazioni appaltanti potranno chiedere adeguamenti quantitativi al contratto solo per circostanze determinate: viene pertanto meno la possibilità di usare "liberamente" il cosiddetto quinto d'obbligo.
Lo sviluppo delle prestazioni deve essere verificato secondo lo schema dei protocolli delineati dal regolamento (articoli 312-325). Le amministrazioni devono pertanto definire i ruoli, nonché organizzare le verifiche e la loro formalizzazione, tenendo conto che sono finalizzate alla produzione dei certificati e delle attestazioni di conformità (articolo Il Sole 24 Ore del 06.
06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Progettazione lavori: il regolamento impone il restyling. Cambiamenti rilevanti anche sulla verifica per la validazione.
Le stazioni appaltanti devono riorganizzare le attività relative alla progettazione dei lavori pubblici, nonché adeguare bandi e capitolati al regolamento attuativo del codice dei contratti, per tutti gli appalti che avvieranno a partire da mercoledì 08.06.2011.
L'entrata in vigore del Dpr 207/2010 ha molte implicazioni nella gestione operativa del ciclo realizzativo delle opere pubbliche. Le novità con maggiore impatto procedurale e organizzativo sono rilevabili dalle disposizioni del regolamento che disciplinano la fase della progettazione (articoli 14-43) e della verifica ai fini della validazione (articoli 44-59).
Il percorso prevede ora la necessaria redazione dello studio di fattibilità come passaggio-chiave per la definizione delle scelte da programmare. Il progetto preliminare e quello definitivo sono molto più articolati e specifici rispetto al quadro precedentemente regolato dal Dpr 554/1999, quindi le stazioni appaltanti devono verificare l'adeguatezza delle competenze delle risorse umane interne per una redazione ottimale.
Il maggiore dettaglio del progetto preliminare rende necessaria una particolare attenzione anche da parte degli amministratori locali, in quanto richiede la definizione di scelte (confluenti nella programmazione) non più facilmente adattabili nelle successive fasi.
Il Dpr 207/2010 prevede un'altra grande novità riferita a questa fase: ogni livello di progettazione dev'essere sottoposto a verifica ai fini della validazione.
Le attività di controllo dei profili sostanziali e documentali dei progetti devono essere realizzate per quelli elaborati sia da tecnici della stazione appaltante sia da professionisti esterni. Le amministrazioni, perciò, devono definire soluzioni organizzative che permettano di svolgere le verifiche mediante gli uffici tecnici e, per lavori di minor rilievo, per mezzo dei responsabili di procedimento, considerando anche che il soggetto verificatore non può svolgere l'attività di progettista.
Sul piano procedurale le disposizioni (in particolare l'articolo 55) evidenziano l'importanza della validazione, che deve essere tradotta in un provvedimento specifico del Rup.
La terza grande novità è determinata dalla disciplina specifica per gli appalti integrati, contenuta principalmente negli articoli 168 e 169, nonché in un'ampia serie di disposizioni, illustrative dei contenuti ulteriori che devono avere i progetti quando la gara comporti l'affidamento della progettazione e dell'esecuzione dell'appalto. In relazione all'affidamento degli appalti, nella predisposizione dei bandi le amministrazioni devono tener conto dell'innovato quadro delle categorie generali e specialistiche, delle precisazioni in ordine alle lavorazioni prevalenti, scorporabili e subappaltabili (articolo 109), nonché dell'inserimento di due classifiche intermedie. Particolare attenzione dovrà essere posta al regime transitorio (regolato dall'articolo 357 del regolamento attuativo), in base al quale le vecchie attestazioni Soa scadono per molte categorie al loro termine naturale, mentre per altre l'adeguamento è sviluppato entro un periodo ulteriore di un anno dall'entrata in vigore del Dpr 207/2010 (scadenza allungata dal Dl 70/2010).
Rispetto al passato, le stazioni appaltanti potranno utilizzare per l'affidamento dei lavori di manutenzione (oltre alle procedure ordinarie) gli accordi quadro e partire da progetti definitivi (articolo 105), mentre non potranno più ricorrere ai contratti aperti.
Tra le principali novità è rilevabile la precisazione delle disposizioni sulla polizza di assicurazione per danni di esecuzione (la cosiddetta "car"), per le quali ora il bando di gara deve prevedere che l'importo della somma assicurata corrisponda a quello del contratto oppure, dandone specifica motivazione, che lo superi.
Norme più chiare sono rilevabili anche in relazione alle varianti (articoli 161-163) e alle sospensioni (articoli 158-160), per le quali risulta chiaro che, quando siano legittime (determinate dal direttore lavori per cause di forza maggiore o dal Rup per motivi di interesse pubblico), non comportano il versamento di alcun indennizzo all'appaltatore (situazione che si verifica, invece, quando la sospensione non sia giustificata e, pertanto, illegittima).
Molte disposizioni replicano quelle del Dpr 554/1999 e del Dm 145/2000, ma è comunque necessario che le stazioni appaltanti adeguino bandi, capitolati e schemi di contratto in uso (articolo Il Sole 24 Ore del 06.
06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIIl potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali.
La stazione appaltante, pertanto, non può poi derogare, in sede di gara, al puntuale accertamento preliminare di tali requisiti, prodromici alla stessa competizione concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto più ove, come nel caso di specie, tali requisiti siano richiesti a pena di esclusione.
Il provvedimento di espulsione da una gara d'appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del bando che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la p.a., la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella "lex specialis" relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione.

E’ principio pacifico che il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali.
Tale funzione consiste nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.
La stazione appaltante, pertanto, non può poi derogare, in sede di gara, al puntuale accertamento preliminare di tali requisiti, prodromici alla stessa competizione concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto più ove, come nel caso di specie, tali requisiti siano richiesti a pena di esclusione.
E’ pure principio pacifico che il provvedimento di espulsione da una gara d'appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del bando che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la p.a., la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella "lex specialis" relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione.
Il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure di gara risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità e, per altro verso, alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la parità di condizioni tra i ricorrenti.
Dunque, i formalismi richiesti espressamente e tassativamente dalle prescrizioni di gara costituiscono lo strumento tipico con il quale si rende trasparente la discrezionalità amministrativa e si pongono tutti i concorrenti sullo stesso piano partecipativo, richiedendo loro un eguale impegno di diligenza, attenzione e rispetto verso le clausole dei bandi e dei capitolati (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 01.06.2011 n. 4984 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2011

APPALTI: Decreto Legge 13.05.2011 n. 70 - Le importanti novità per il settore dei lavori pubblici (ANCE, nota maggio 2011).

APPALTINelle procedure per l’aggiudicazione degli appalti pubblici sussiste sempre in capo all’amministrazione appaltante un margine di discrezionalità tecnica che può investire le componenti dell’offerta nella loro serietà e congruità, in relazione allo specifico oggetto della gara ed alle modalità di esecuzione del contratto, e che consente, quindi, di disporre quelle offerte che presentino aspetti di inattendibilità.
La validità della costituzione di un’A.T.I. deve essere giudicata con esclusivo riferimento al momento della formulazione dell’offerta, dovendo ritenere legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, singolarmente invitate, anche quando la loro costituzione in ATI sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione.
L’obbligo di dichiarare l’assenza del c.d. pregiudizi penali può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell’impresa anche avuto riguardo ai terzi (direttori tecnici o altri soggetti comunque muniti di poteri di rappresentanza anche se cessati nel triennio antecedente), nel presupposto che anche in questo caso operino le previsioni di responsabilità penale ed il potere di verifica da parte della stazione appaltante.

Come precisato dalla giurisprudenza, nelle procedure per l’aggiudicazione degli appalti pubblici sussiste sempre in capo all’amministrazione appaltante, a prescindere da una regola puntualmente fissata da disposizioni di legge, di regolamento e rinvenibili nella stessa lex spcialis, un margine di discrezionalità tecnica che può investire le componenti dell’offerta nella loro serietà e congruità, in relazione allo specifico oggetto della gara ed alle modalità di esecuzione del contratto, e che consente, quindi, di disporre quelle offerte che presentino aspetti di inattendibilità (C.d.S., sez. V, 18.09.2009, n. 5597; 21.04.2009, n. 2402).
Come precisato dalla giurisprudenza, la validità della costituzione di un’A.T.I. deve essere giudicata con esclusivo riferimento al momento della formulazione dell’offerta, dovendo ritenere legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, singolarmente invitate, anche quando la loro costituzione in ATI sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione (C.d.S., sez. V, 18.09.2003, n. 5309); più recentemente tale indirizzo è stato confermato, precisandosi che non sussiste alcun divieto in tal senso, emergendo per contro un preciso indirizzo legislativo volto a favorire il fenomeno del raggruppamento e ad individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura da cui decorre il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti, divieto che non opera per la fase di prequalificazione (C.d.S., sez. VI, 20.02.2008, n. 588).
Come puntualizzato recentemente dalla giurisprudenza (C.d.S., sez. V, 15.10.2010, n. 7524; 19.11.2009, n. 7244), l’obbligo di dichiarare l’assenza del c.d. pregiudizi penali può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell’impresa anche avuto riguardo ai terzi (direttori tecnici o altri soggetti comunque muniti di poteri di rappresentanza anche se cessati nel triennio antecedente), nel presupposto che anche in questo caso operino le previsioni di responsabilità penale ed il potere di verifica da parte della stazione appaltante
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.05.2011 n. 3256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: La gestione del servizio di parcheggio su un'area pubblica costituisce attività di pubblico servizio e sull'obbligo di attivare una procedura competitiva per la scelta del concessionario.
La gestione del servizio di parcheggio su un'area pubblica riguardando l'utilizzo di un bene pubblico, anche qualora non comporti il trasferimento di poteri autoritativi, costituisce attività di pubblico servizio assunto dalla P.A., e svolta direttamente dalla stessa o da altro soggetto ad essa collegato, in favore della collettività indistinta. Anche volendo accedere alla tesi secondo cui il rapporto, nel caso di specie, consista in una concessione di beni pubblici, l'ente locale è tenuto a dare corso ad una procedura competitiva per la scelta del concessionario.
La mancanza di una procedura competitiva circa l'assegnazione di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico, introduce una barriera all'ingresso al mercato, determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principi comunitari di concorrenza e libertà di stabilimento (Corte costituzionale sent. n. 180/2010).
Peraltro, anche a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'indifferenza comunitaria alla qualificazione nominale delle fattispecie, consente di sottoporre ai principi sull'evidenza pubblica l'affidamento di concessioni su beni pubblici, senza che a ciò osti la deduzione relativa all'occasionale partecipazione del privato all'esercizio dei pubblici poteri.
Una volta assodato l'obbligo all'attivazione di una procedura competitiva, indifferentemente rivolta all'affidamento di un appalto ovvero di una concessione di servizio o di bene pubblico, l'impresa di settore riveste una posizione soggettiva qualificata, rispetto al quivis de populo, tale da consentirle di insorgere avverso il provvedimento di affidamento diretto onde contestarne la validità (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.05.2011 n. 3250 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIMigliore tutela della concorrenza - Necessita - Ulteriori cause di esclusione - Legittimità.
Il ricorso per l'annullamento della determinazione del Segretario Generale del Servizio Economato, Appalti e Contratti della C.C.I.A.A. di Milano, con la quale è stato aggiudicato alla società SDA Express Courier s.p.a. l'appalto del servizio di corriere per il ritiro e la consegna della corrispondenza e di documentazione varia per il triennio 2004/2006 a favore della stessa Camera di Commercio e della sua Azienda speciale Ced Camera è stato respinto.
La Corte di Giustizia CE, sez. IV, con la sentenza 19.05.2009 C-538/07, pronunciandosi sul quesito pregiudiziale posto nella presente controversia, ha ritenuto che l'art. 29, primo comma, dir. 92/50/CEE non osta alla previsione di ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, ma ha giudicato incompatibile con il diritto comunitario (e segnatamente con la citata direttiva 92/50/CEE) la disciplina nazionale che vieta in assoluto la partecipazione alla medesima gara di appalto di imprese che sono tra loro in una situazione di collegamento societario ma non si può impedire, a priori, una disciplina nazionale delle cause di esclusione dalle gare di appalto più severa di quella comunitaria, la quale prevede le cause di esclusione come facoltative.
Pertanto, non è di per sé illegittima la disciplina italiana, che prevede cause di esclusione obbligatorie ulteriori rispetto a quelle codificate nel catalogo comunitario. Tuttavia la maggiore severità della disciplina nazionale, da un lato deve trovare giustificazione nell'esigenza di una migliore tutela della concorrenza, della trasparenza e della par condicio, dall'altro incontra un limite nel principio di proporzionalità (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 31.05.2011 n. 1392 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalti - Bando - Sub criteri - Indicazione - Ratio - Riduzione del margine di discrezionalità della Commissione giudicatrice.
La ratio dell'art. 83, comma 4, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 -nello stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di valutazione prescelto, può prevedere, ove necessario, sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi- è rinvenibile nell'esigenza di ridurre gli apprezzamenti soggettivi della Commissione giudicatrice, garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni a tutela della par condicio tra i concorrenti, i quali sono tutti messi in condizione di formulare consapevolmente un'offerta sulla base di elementi che, conosciuti per tempo, possono orientare le loro decisioni nella presentazione delle offerte (Cfr., Cons. Stato, sez. III, 22.03.2011, n. 1749; Cons. Stato, sez. V, 01.10.2010, n. 7256) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.05.2011 n. 1386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sopravvenuta scadenza del termine di validità dell'offerta a seguito dell'eccessivo prolungamento delle operazioni di gara: conseguenze.
La sopravvenuta scadenza del termine di validità dell'offerta a seguito dell'eccessivo prolungamento delle operazioni di gara determina, in capo all'aggiudicatario, la scelta di disimpegnarsi da ogni vincolo negoziale, senza incorrere in alcuna sanzione, ovvero di "confermare" -anche tacitamente- l'offerta stessa, accettando la stipula contrattuale.
Non sussiste invece alcun obbligo, per la stazione appaltante, di rivalutare l'offerta scaduta mediante rinegoziazioni, in contesti caratterizzati dal formalismo dell'evidenza pubblica e dalla conseguente cristallizzazione degli esiti della gara ultimata. In altre parole, l'aggiudicatario che non intenda confermare la propria offerta, ormai scaduta, ha facoltà di esercitare il diritto di "recesso" dalla fase di stipula, senza tuttavia che la stazione appaltante sia tenuta ad aprire un procedimento di rinegoziazione o di adeguamento. Né l'aggiudicatario uscente può vantare interessi qualificati sulle modalità con cui l'amministrazione fa fronte al reperimento di un nuovo contraente, trattandosi di profili deliberativi attinenti ad una procedura volontariamente abbandonata.
Va quindi confutato l'assunto secondo cui, la mancata stipula contrattuale, assurgerebbe ad una illegittima misura sanzionatoria ad opera della stazione appaltante. Pertanto, nel caso di specie, la revoca dell'aggiudicazione provvisoria si atteggia a passaggio necessario, da una parte per formalizzare l'uscita dalla gara del soggetto recedente, e dall'altra per predisporre procedure alternative, in vista di un altro contraente disposto a mantenere l'offerta a suo tempo formulata (TAR Abruzzo-L'Aquila, Sez. I, sentenza 31.05.2011 n. 299 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'interpretazione della disposizione di cui all'art. 23-bis, c. 9, ultimo periodo, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla l. n. 133 del 2008, nel testo successivamente riformato dal d.l. n. 135/2009, convertito dalla l. n. 166/2009.
L'ultimo periodo del c. 9, dell'art. 23-bis, del d.l. 25.06.2008, n. 112, convertito dalla l. 06.08.2008, n. 133, nel testo successivamente riformato dal d.l. 25.09.2009, n. 135, convertito dalla l. 20.11.2009, n. 166, tempera il divieto contenuto nel medesimo c. 9 con una disposizione derogatoria, di diritto transitorio, consentendo ai soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali di concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.
Il problema ermeneutico è rappresentato principalmente dal significato attribuibile all'espressione "prima gara successiva alla cessazione del servizio"; se cioè essa rilevi sul piano soggettivo (riguardando l'impresa-concorrente), ovvero oggettivo (riguardando la prima gara indetta dalla stazione appaltante dopo l'introduzione dell'art. 23-bis).
Si ritiene che la norma designi, come parametro di rilevanza ermeneutica, quello dell'impresa affidataria. La ratio della disposizione sembra verosimilmente quella di evitare che le società che hanno fornito servizi ad un'amministrazione ed hanno acquisito esperienza "sul territorio" siano automaticamente estromesse dalle gare per l'affidamento concorrenziale di quei servizi, e non già quella di elargire a tutti gli affidatari diretti una moratoria generalizzata.
In altri termini, posto che, a regime, tali imprese non possono godere, in virtù dei principi comunitari in materia di tutela della concorrenza, della possibilità di ottenere affidamenti diretti e di partecipare a gare in libero mercato, si è ritenuto che l'esclusione di tali soggetti dalle gare indette dalle amministrazioni per i servizi da essi già forniti, avrebbe creato un'improvvisa soluzione di continuità, foriera di disparità di trattamento alla rovescia, con la cancellazione ex abrupto degli investimenti effettuati specialmente nell'ambito territoriale di riferimento.
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Non compatibile con il principio di parità concorrenziale la tesi secondo cui dovrebbe ritenersi consentita la partecipazione alle prime gare, bandite da qualsivoglia Comune sul territorio, da parte di tutti gli affidatari diretti, in quanto tale soluzione non farebbe altro che protrarre nel tempo la loro condizione di privilegio, senza produrre alcun vantaggio nella prospettiva della concorrenza per il mercato, obiettivo della norma in esame.
Diversa è la situazione del precedente gestore, anche affidatario diretto, cui in via transitoria si consente di partecipare per salvaguardare il patrimonio gestionale acquisito; ed infatti la volontà della norma, in qualche misura compromissoria, è quella di superare gli affidamenti diretti, e non già di eliminare le imprese affidatarie dirette.
Tale sembra essere l'interpretazione proporzionata e ragionevole, ed anche costituzionalmente orientata, dell'ultimo periodo del c. 9, dell'art. 23-bis, del d.l. 25.06.2008, n. 112, inserita nel contesto di una disposizione che persegue il dichiarato scopo di tutelare la concorrenza, evitando dunque che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali, costituendo inevitabili fattori di distorsione della stessa (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 31.05.2011 n. 152 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIP.a., solo accordi tra simili. Collaborazioni legittime se l'oggetto è comune. Risoluzione del Parlamento Ue sui nuovi sviluppi in materia di appalti.
Collaborazioni pubblico-pubblico soltanto per servizi pubblici comuni alle autorità locali coinvolte e senza alcuna presenza di privati. Concessioni di servizi affidabili a terzi anche in presenza di un rischio di gestione limitato. Non è necessaria una disciplina comunitaria delle concessioni di servizi pubblici; nelle società miste obbligo di scelta del socio privato in gara e immutabilità dell'oggetto sociale o del compito affidato alla società.
Sono questi alcuni dei punti sui quali si sofferma la Risoluzione del Parlamento europeo del 18.05.2010 sui nuovi sviluppi in materia di appalti pubblici (2009/2175(INI)) (pubblicata sulla GUUE del 31.05.2011 n. C 161 E).
Per quel che concerne i profili relativi alla cooperazione pubblico-pubblico, il parlamento preliminarmente ricorda che le amministrazioni non hanno l'obbligo di ricorrere ad una determinata forma giuridica per svolgere in comune determinate attività, ma per non essere soggette all'applicazione delle direttive europee queste collaborazioni devono rispondere ad alcuni precisi criteri.
In primo luogo «lo scopo del partenariato deve essere l'esecuzione di un compito di servizio pubblico spettante ad entrambe le autorità locali in questione», in secondo luogo le attività «devono essere svolte esclusivamente dalle autorità pubbliche in questione, cioè senza la partecipazione di privati o imprese private»; infine l'attività deve essere finalizzata a soddisfare esigenze proprie delle autorità coinvolte nell'accordo. Il parlamento precisa anche che questi tre criteri non si applicano soltanto alle autorità locali, ma a tutte le amministrazioni aggiudicatrici pubbliche.
Per quel che concerne le concessioni di servizi il parlamento europeo afferma che lo strumento della concessione appare efficace e legittimo, «anche se il rischio associato alla gestione è limitato ma comunque integralmente trasferito al concessionario». In via generale il Parlamento, rispondendo espressamente alla Commissione europea, boccia l'ipotesi di un atto giuridico ad hoc per le concessioni di servizi (ad esempio una direttiva), «non necessario fintantoché non sia mirato a un chiaro miglioramento del funzionamento del mercato interno».
Sul Ppp (partenariato pubblico privato) il parlamento con la sua risoluzione evidenzia che sia la Commissione (comunicazione del 05.02.2008), che la Corte di giustizia (sent. 15.10.2009, C-196/08), hanno chiarito che per l'aggiudicazione di appalti o per l'affidamento di determinati compiti a partenariati pubblico-privato di nuova costituzione (caso classico quello della spa mista) non è necessaria una duplice procedura di gara concorrenziale. La risoluzione elenca le condizioni che consentono l'affidamento di una concessione senza gara concorrenziale a una società mista pubblico-privato costituita specificamente a tale scopo (cosiddetta, società di scopo).
In primo luogo occorre esperire una gara per la scelta del socio privato che garantisce una selezione trasparente, con la pubblicazione anticipata del contratto previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e amministrativi e delle caratteristiche dell'offerta in considerazione dello specifico servizio da fornire. In secondo luogo è necessario che la società mista mantenga lo stesso oggetto sociale durante l'intera durata della concessione; con la conseguenza che qualsiasi modifica sostanziale dell'oggetto sociale o del compito affidato fa scattare l'obbligo di indire una nuova procedura di gara concorrenziale (articolo ItaliaOggi del 03.06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Il danno da perdita di chance non è liquidabile in via equitativa.
Il danno da perdita di chance, come chiarito dalla giurisprudenza, consiste in un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità; pertanto si configura come danno attuale e risarcibile, sempreché ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, sicché alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., infatti diretta a fronteggiare l’impossibilità di provare non l’esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare.
In altri termini, la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene, e che dunque il danneggiato ha l’onere di fornire (cfr. Cons. St., Sez. IV, 27.11.2010 n. 8253).    (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 30.05.2011 n. 3243 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stazione appaltante ha l’obbligo di comunicare l’aggiudicazione.
La sentenza impugnata merita conferma laddove ha respinto l’eccezione, argomentando dalla mancata comunicazione dell’aggiudicazione, che costituisce preciso obbligo della stazione appaltante secondo quanto dispone l’art. 79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006. Tale norme impone all’amministrazione procedente di comunicare l'aggiudicazione, “tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, nonché a coloro la cui offerta sia stata esclusa, se hanno proposto impugnazione avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare detta impugnazione”.
Pertanto, come è stato già stabilito (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 11.11.2008, n. 5624), essendo puntualmente disciplinata la fase di comunicazione dell'atto di aggiudicazione, la legale conoscenza dello stesso non può ricondursi a forme diverse di partecipazione dell'esito del concorso, né può esserne valorizzata la conoscenza comunque conseguita dall’interessato, al fine di calcolare la tempestività dell’impugnazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.05.2011 n. 3222 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici i reati commessi in passato dal partecipante e dichiarati estinti dalla competente Autorità giudiziaria sono ininfluenti in sede di valutazione della sua moralità professionale e non devono essere dichiarati.
Analogo principio va affermato in relazione ai reati oggetto di depenalizzazione, essendo assorbente la circostanza che si tratta di vicende la cui rilevanza penale è stata esclusa ora per allora (in base al principio del favor rei) da altrettanti provvedimenti legislativi: il che, appunto, esclude in radice che tali vicende possano essere validamente considerate ai fini di un'esclusione, la quale, viceversa, postula l'attuale ascrivibilità al concorrente di condotte tuttora penalmente rilevanti.

La presente controversia attiene all’obbligo o meno del concorrente ad una gara d’appalto -ove la lex specialis richiedeva di attestare le condanne penali riportate, ivi comprese quelle oggetto di non menzione- di dichiarare anche le condanne subite per reati formalmente estinti e per reati depenalizzati.
Nel caso di specie, in esito alle verifiche effettuate dalla stazione appaltante, era emersa la mancata dichiarazione, da parte del legale rappresentante della società ricorrente, di due sentenze di condanna riguardanti, rispettivamente, il legale rappresentante stesso (...) e un direttore tecnico (...) cessato nel triennio precedente, di cui la prima per un reato (falsità ideologica in atto pubblico) dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445, II comma cpp con ordinanza 06.06.2008 del GIP di Padova, ed il secondo (violazione al TU delle norme sulla circolazione stradale) oggetto di depenalizzazione.
Come risulta dal costante orientamento giurisprudenziale, nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti pubblici i reati commessi in passato dal partecipante e dichiarati estinti dalla competente Autorità giudiziaria sono ininfluenti in sede di valutazione della sua moralità professionale e non devono essere dichiarati (cfr., per tutte, CdS, V, 19.11.2009 n. 7257).
Analogo principio va affermato in relazione ai reati oggetto di depenalizzazione, essendo assorbente la circostanza che si tratta di vicende la cui rilevanza penale è stata esclusa ora per allora (in base al principio del favor rei) da altrettanti provvedimenti legislativi: il che, appunto, esclude in radice che tali vicende possano essere validamente considerate ai fini di un'esclusione, la quale, viceversa, postula l'attuale ascrivibilità al concorrente di condotte tuttora penalmente rilevanti (cfr. per tutte, CdS, V, 23.07.2009 n. 4594; TAR Veneto, I, 18.09.2009 n. 2415);
Peraltro, la lex specialis di gara imponeva di dichiarare soltanto le sentenze di condanna all’epoca efficaci, comprese quelle per le quali il soggetto aveva beneficiato della non menzione: non, dunque, anche quelle –in disparte, comunque, l’irragionevolezza di una siffatta prescrizione- divenute prive di effetti in quanto il sotteso reato era stato oggetto di riabilitazione, di estinzione o di depenalizzazione (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 30.05.2011 n. 917 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Modifiche al codice dei contratti e al regolamento n. 207/2010 - D.L. 13.05.2011 n. 70 - Semestre Europeo - recante prime disposizioni urgenti per l'economia - TESTO A FRONTE (fonte ISAC - Istituto Studi Appalti e Concessioni).

APPALTI: NUOVI MODELLI DI DICHIARAZIONI DA UTILIZZARE NELLE GARE PUBBLICHE PER I REQUISITI DI ORDINE GENERALE - ART. 38 DEL D. LGS. N. 163/2006 (link a www.ancebrecia.it).

APPALTI: Commissione di gara - Valutazione delle offerte - Attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica - Condizioni.
Con riferimento alle gare d’appalto, nella fase di valutazione delle offerte da parte di una commissione di gara, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica è consentita quando il numero delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro le quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia talmente analitica da delimitare il giudizio delle commissioni nell'ambito di un minimo ed un massimo di portata tale da rendere di per sé evidente l'iter logico seguito nel valutare i singoli progetti sotto il profilo tecnico in applicazione di puntuali criteri predeterminati, essendo altrimenti necessaria una puntuale motivazione del punteggio attribuito (CdS sez. V 03.12.2010 n. 8410) (TAR Marche, sentenza 28.05.2011 n. 430 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Nomina dei commissari di gara esterni alla P.A..
La nomina di un soggetto esterno alla stazione appaltante quale componente della commissione di una gara pubblica deve avvenire nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 84 del D.lgs. 163/2006.

La sentenza 27.05.2011 n. 4810 del TAR Roma-Roma, Sez. II-ter, ha infatti stabilito che nel caso in cui una pubblica amministrazione decida di nominare un soggetto esterno quale componente di una commissione di gara, tale nomina non può prescindere dalle previsioni dell’art. 84, comma 8, del D.lgs. 163/2006, secondo il quale la scelta del commissario esterno deve essere effettuata nell’ambito di un elenco formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali.
Nel caso di specie, relativo all’affidamento del servizio di trasporto scolastico di un comune laziale era stato impugnato l’atto di nomina di un commissario esterno, un avvocato, esperto in appalti pubblici.
La nomina di questo commissario era infatti avvenuta prescindendo dalle disposizioni del codice.
I giudici di Palazzo Spada, stabiliscono sul punto che “L'art. 84 del codice dei contratti pubblici prevede, infatti, al comma 8, che, nel caso in cui la stazione appaltante ricorra a professionisti esterni, la scelta debba essere effettuata nell'ambito di un elenco formato sulla base di rose di candidati fornite agli ordini professionali. Tale precetto non è stato osservato nel caso in esame, risultando in atti che la scelta, come professionista esterno, (…), nella qualità di esperto in appalti, è stata effettuata senza la preventiva richiesta all’Ordine degli avvocati di una rosa di candidati e la conseguente formazione di un apposito elenco al quale attingere.”
Su quale debba essere l’esatta interpretazione delle disposizioni in esame, i giudici stabiliscono in particolare che: “…..tali disposizioni, recanti norme sulle funzioni, sulla composizione e sulla modalità di nomina dei componenti della Commissione giudicatrice incaricata di esprimersi nell'ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, pur disciplinando aspetti della procedura di scelta del contraente, sono preordinate a fini diversi rispetto a quelli di garanzia della concorrenzialità, in quanto gli aspetti connessi alla composizione della Commissione giudicatrice e alle modalità di scelta dei suoi componenti attengono all'organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei necessari requisiti, da parte della imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara.
In generale è tuttavia necessario affermare che le norme del codice dei contratti e tutte quelle disposizioni che impongono il rispetto dei principi della trasparenza, della concorrenzialità e del necessario accesso al libero mercato, rappresentano il recepimento di principi riconosciuti e affermati in sede comunitaria, rispetto ai quali l’ordinamento italiano, in un ottica di adeguamento agli altri ordinamenti europei, non può prescindere (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso in cui una Regione non abbia adottato una normativa regionale in materia di appalti che preveda una diversa composizione della commissione di gara, si applicano le previsioni contenute nell'art. 84 del D.lgs. n. 163/2006.
L'art. 84, c. 8, del d.lgs. n. 163/2006, prevede che nel caso in cui la stazione appaltante ricorra a professionisti esterni, la scelta debba essere effettuata nell'ambito di un elenco formato sulla base di rose di candidati fornite agli ordini professionali.
Nel caso di specie, tale precetto non è stato osservato, risultando in atti che la scelta, come professionista esterno, dell'avvocato, nella qualità di esperto in appalti, è stata effettuata senza la preventiva richiesta all'Ordine degli avvocati di una rosa di candidati e la conseguente formazione di un apposito elenco al quale attingere.
Peraltro, tale modalità di selezione non risulta smentita dal contenuto della sentenza della Corte costituzionale, 23.11.2007, n. 401, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 2, 3, 8 e 9, dell'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, "nella parte in cui, per i contratti inerenti a settori di competenza regionale, non prevedono che dette disposizioni abbiano carattere suppletivo e cedevole".
Non risulta, nel caso di specie, che la Regione abbia adottato una normativa regionale in materia di appalti pubblici e, pertanto, fino all'adozione di una legge regionale che preveda una diversa composizione della commissione di gara, devono continuare ad osservarsi le previsioni contenute nell'art. 84 del D.lgs. n. 163 del 2006, come sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 401 del 2007 (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 27.05.2011 n. 4810 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza", senza estendere l'obbligo ai procuratori, che amministratori non sono.
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una gara pubblica di rendere le prescritte dichiarazioni può essere legittimamente assolto dal suo rappresentante legale anche avuto riguardo ai terzi, inclusi altri amministratori muniti di poteri di rappresentanza.

Questa Sezione ha chiarito che l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza", senza estendere l'obbligo ai procuratori, che amministratori non sono (Consiglio Stato, sez. V, 25.01.2011, n. 513).
L'obbligo per l'impresa partecipante ad una gara pubblica di rendere le prescritte dichiarazioni può essere legittimamente assolto dal suo rappresentante legale anche avuto riguardo ai terzi, inclusi altri amministratori muniti di poteri di rappresentanza (Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7244) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.05.2011 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Per impugnare l’esclusione da una procedura concorsuale basta la notifica del ricorso alla stazione appaltante.
Nelle gare di appalto pubblico, invero, il ricorso avverso il provvedimento di esclusione non deve essere notificato ad alcun controinteressato, salvo che lo stesso non sia intervenuto quando la gara si era già conclusa, nel qual caso il gravame deve essere notificato all'impresa aggiudicataria (C.g.a., 29.01.2007 n. 7; Cons. Stato, sez. V, 28.05.2005 n. 5200); per l'ammissibilità del ricorso è sufficiente, sempre che si tratti di provvedimento di esclusione adottato prima dell'aggiudicazione, che il ricorso sia stato notificato alla stazione appaltante, non sussistendo alcun onere per l'impresa esclusa di seguire gli sviluppi del procedimento al quale è ormai estranea ed impugnare gli atti conseguenti, ricercando i controinteressati successivi, salva la facoltà per questi ultimi di proporre l'opposizione di terzo.
Infatti, nelle procedure ad evidenza pubblica, la posizione di controinteressato, ossia del titolare di un interesse qualificato alla conservazione dell'atto, emerge esclusivamente al momento dell'aggiudicazione, con la conseguenza che l'esclusione dalla gara che sia stata pronunciata in un momento anteriore vulnera soltanto l'interesse di colui che sia stato estromesso dalla gara, ma non incide sotto alcun profilo neppure potenziale su quello degli altri partecipanti alla gara.
Da quanto detto consegue che il ricorso contro l'esclusione da una procedura concorsuale è rettamente introdotto con la notifica alla sola stazione appaltante, mentre solo quando la gara si sia già conclusa il ricorso deve essere notificato all'impresa aggiudicataria al fine di consentirle la difesa della posizione di futura contraente dell'Amministrazione che ha indetto la pubblica gara.
Pertanto, nel caso di specie, non sono configurabili i presupposti affinché l’aggiudicatario provvisorio debba essere già considerato quale controinteressato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.05.2011 n. 3193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le dichiarazioni relative all'insussistenza di sentenze di condanna passate in giudicato, per reati che incidano sull'affidabilità dei concorrenti, non implicano l'insussistenza di provvedimenti di condanna di cui all'art. 45, par. 1, dir. CE 2004/18.
Secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, in materia di gare d'appalto, le dichiarazioni, rese dai concorrenti, di insussistenza a proprio carico di sentenze di condanna passate in giudicato, per reati che incidano sull'affidabilità morale e professionale delle imprese stesse, non implicano anche l'insussistenza di provvedimenti di condanna per uno o più reati di partecipazione ad un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, par. 1, dir. CE 2004/18.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, distingue infatti due categorie di reati: quelli di cui al predetto art. 45, e quelli definiti dalla stessa norma senza individuare precise fattispecie criminose come "reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale". Le rispettive condanne comportano conseguenze diverse, in quanto le prime costituiscono causa automatica di esclusione, laddove le seconde, invece, lasciano alla stazione appaltante un ampio margine di apprezzamento sia sulla incidenza del reato sulla moralità professionale, sia in ordine all'offensività per lo Stato o per la Comunità, sia sulla gravità del fatto.
Non è peraltro consentito, nel caso di specie, ricorrere all'integrazione documentale, ciò in quanto, trattandosi di dichiarazione mancante, l'amministrazione non vanta spazi di apprezzamento discrezionale (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 27.05.2011 n. 1325 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L’impugnazione delle clausole del bando è ammissibile solo se l'impresa interessata ha partecipato alla gara.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi sulla scorta della decisione della Adunanza Plenaria n. 1 del 29.01.2003, l’impugnazione immediata delle clausole del bando è ammissibile solo in presenza di due inderogabili condizioni concorrenti: che l'impresa interessata abbia presentato una rituale domanda di partecipazione alla gara; che le clausole contestate definiscono in modo puntuale i requisiti soggettivi e/o oggettivi di partecipazione, impedendo, in modo assoluto, la partecipazione a determinati soggetti (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 27.05.2011 n. 1003 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una procedura d'appalto, per mancato adempimento dell'onere di comprovare il possesso dei requisiti richiesti ai fini della partecipazione alla gara secondo le modalità previste dal bando.
Il rimedio dell'integrazione documentale non può sopperire alla mancata produzione di documentazione richiesta a pena di esclusione dalla gara.

E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara d'appalto, adottato da un'amministrazione nei confronti di un concorrente che non abbia adempiuto all'onere di comprovare il possesso dei requisiti richiesti ai fini della partecipazione alla procedura, secondo le modalità previste dal bando.
L'art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, prevede, infatti, che le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste contenenti le offerte richiedono alle imprese partecipanti, di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dal bando di gara, presentando la documentazione all'uopo indicata.
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Nei rapporti con la P.A., è necessario distinguere due fasi: quella iniziale, che legittima l'uso della dichiarazione sostitutiva di atto notorio contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara, e quella, successiva, in cui l'attestazione relativa al possesso dei suddetti requisiti deve essere compiuta per mezzo della documentazione pubblica certificativa di qualità, e non si ammette una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Diversamente, verrebbe vanificata la ratio che giustifica il ricorso alla verifica a campione, divenendo essa un inutile duplicato della fase iniziale di presentazione dell'offerta.
Pertanto, in fase di controllo, la stazione appaltante ha facoltà di pretendere un onere aggiuntivo di documentazione. In altri termini, la regola della mancanza di validità delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà tende ad evitare che l'impresa possa depositare, in sede di verifica a campione, la medesima documentazione resa in sede di presentazione dell'offerta. Pertanto, è legittima la richiesta di deposito dei documenti, in originale od in copie conformi.
Né potrebbe invocarsi, la violazione del cd. dovere di soccorso da parte della stazione appaltante, e ciò perché, ai sensi dell'art. 46 D.L.vo n. 163/2006 e a tutela della par condicio nelle gare pubbliche, il rimedio dell'integrazione documentale non può essere utilizzato per supplire all'inosservanza di adempimenti procedimentali o all'omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 27.05.2011 n. 497 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' legittima l'escussione della garanzia fideiussoria presentata da un concorrente, per mancato possesso anche dei requisiti di ordine generale previsti dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo l'operato di una stazione appaltante che, a seguito dell'accertata carenza dei requisiti di ordine generale di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, in capo ad un concorrente, abbia provveduto all'escussione della garanzia fideiussoria da questi prestata a corredo della propria offerta.
La triplice sanzione della esclusione dalla gara, segnalazione all'Autorità di Vigilanza ed incameramento della cauzione provvisoria, è contemplata dall'art. 48 del medesimo d.lgs. n. 163/2006, solo con riferimento all'accertata mancanza di requisiti d'ordine speciale, vale a dire quelli relativi alla capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. Tuttavia, l'incameramento della cauzione è applicabile anche in ipotesi di accertata carenza di requisiti d'ordine generale, di cui al citato art. 38, come nel caso di specie.
Secondo un recente e consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 75, c. 6, del d.lgs. n. 163/2006, l'incameramento della cauzione discende come possibile sanzione per ogni circostanza che impedisca l'eventuale sottoscrizione del contratto, che sia imputabile all'affidatario, e ciò vale per l'accertata carenza tanto di requisiti speciali, quanto di quelli d'ordine generale.
Un trattamento diversificato porterebbe a dubitare della legittimità costituzionale della normativa, per violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost. Pertanto, la menzione del potere, in capo alla stazione appaltante, di escutere la cauzione provvisoria ai sensi dell'art. 48 d.lgs. n. 163/2006, ha carattere descrittivo di una potestà sussistente anche nell'ipotesi in cui si accerti il mancato possesso di requisiti generali di partecipazione (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 26.05.2011 n. 936 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Bando di gara. La rettifica va pubblicizzata con le stesse forme con cui è stata data pubblicità al bando.
Ogni rettifica del contenuto del bando di gara, dove tale concetto va esteso anche agli atti allegati, “è priva di efficacia nei confronti delle imprese partecipanti alla gara ove non sia portata a conoscenza delle stesse nelle medesime forme attraverso le quali è stata data pubblicità al bando”. Tale statuizione è espressione del principio di reciproca correttezza che deve improntare i rapporti tra stazione appaltante ed imprese partecipanti alla selezione, correttezza idonea a fondare l’affidamento del privato.
La possibilità che, conseguentemente, le modifiche alla disciplina di gara possano avere forme di pubblicità attenuata, sebbene non possa escludersi a priori, deve però essere guardata con disfavore e comunque giustificata da esigenze cogenti che siano idonee a giustificare, in astratto ma anche in concreto, i detti principi che improntano la disciplina delle procedure ad evidenza pubblica.
Nel caso in specie, deve quindi ritenersi non condivisibile l’ipotesi che la semplice divulgazione di una modifica del disciplinare sul sito internet della stazione appaltante possa costituire forma fattualmente e giuridicamente idonea di conoscenza.
Infatti, in primo luogo, proprio in relazione all’evolversi della fattispecie si è data prova che il meccanismo divulgativo predisposto si è dimostrato fallace, adottando un sistema di comunicazione che non è stato idoneo a permettere l’effettiva conoscenza dell’intervenuta modificazione.
E, in secondo luogo, perché si è trattato di un sistema che, in concreto, ha gravato le imprese partecipanti di un onere di diligenza ulteriore, del quale è arduo individuare la fonte normativa, potendosi richiedere alle imprese un onere collaborativo solo nei limiti degli strumenti di legge, salvo voler trasformare il bando di gara da strumento di autovincolo della stazione appaltante in semplice atto introduttivo di una procedura, che diventerebbe così suscettibile di ulteriori modifiche anche in assenza di ulteriore controllo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 3139 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La semplice pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante non è sufficiente a rendere edotti i concorrenti in ordine ad eventuali modifiche della disciplina di gara.
In materia di appalti pubblici, non è sufficiente comunicare eventuali modifiche al disciplinare di gara, attraverso la semplice pubblicazione delle stesse sul sito internet della stazione appaltante, in quanto detto sistema, sebbene animato da ragioni di riduzione degli oneri amministrativi e di celerità dell'azione, non appare rispettoso dei principi di trasparenza e corretta partecipazione alle procedure di gara.
In via generale, ogni rettifica riguardante il contenuto di un bando di gara, è priva di efficacia nei confronti delle imprese concorrenti, ove non sia portata a conoscenza delle stesse nelle medesime forme attraverso le quali è stata data pubblicità al bando.
Tale statuizione è espressione del principio di reciproca correttezza, che deve improntare i rapporti tra stazione appaltante ed imprese partecipanti alla selezione, correttezza idonea a fondare l'affidamento del privato. La possibilità che le modifiche alla disciplina di gara presentino forme di pubblicità attenuata, deve essere giustificata da esigenze cogenti.
Nel caso in specie, non è pertanto condivisibile l'ipotesi secondo cui, la semplice divulgazione di una modifica del disciplinare sul sito internet della stazione appaltante, possa costituire forma fattualmente e giuridicamente idonea di conoscenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 3139 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Occupazione appropriativa. Requisiti per l’indennizzo e risarcimento dei danni.
In linea generale, il danno spettante al proprietario ai sensi dell’art. 2043 c.c., per illegittima occupazione di un fondo implica:
a. l’azione restitutoria del bene o in alternativa, l’azione risarcitoria per equivalente conseguente alla perdita definitiva del terreno, in modo da ristorare integralmente il bene perduto. Questa è la fattispecie disciplinata dal comma 1 dell'art. 55 del Testo unico delle espropriazioni –n. 327/2001 e s.m.i.– nella quale in base ai principi esattamente ricordati dall’appellante il ristoro va commisurato al valore venale per la perdita dei proprietari del diritto sul bene dominicale quale che ne sia la natura (agricola o edificatoria);
b. un’azione risarcitoria per il mancato utilizzo del bene per tutto il periodo dell’illegittima occupazione, la quale è in sostanza diretta ad indennizzare i proprietari della perdita dei frutti del loro terreno, naturali e civili, conseguenti, ai sensi dell’art. 1148 c.c. a causa dell’illegittima occupazione.
Entrambe costituiscono la restaurazione sotto due profili, dell'ordine giuridico violato, la prima in sostanza concerne il capitale perduto e, quindi, al valore di mercato del suolo illegittimamente acquisito alla mano pubblica, mentre la seconda concerne i proventi dello stesso o comunque il pagamento di un’indennità equitativamente fissata per il periodo di occupazione illegittima.
Nel caso di specie, posto che nel caso la Società ricorrente ha implicitamente rinunciato alla restituzione, l’azione sub a. è stata azionata innanzi alla competente Corte di Appello di Bari, che ha disposto CTU al fine di determinare il valore venale del bene ai sensi dell’art. 55, 1° co, del T.U. n. 327/2001.
In tale ambito dunque è evidente che la pretesa di applicarlo anche alla restaurazione dei danni derivanti dalla perdita del bene in conseguenza dell’occupazione illegittima si risolverebbe, sotto il profilo processuale in un “bis in idem” del medesimo giudizio azionato in sede ordinaria, e sotto quello sostanziale in un indebito arricchimento, perché la perdita di un unico cespite capitale sarebbe sostanzialmente indennizzato due volte.
In tale scia per la determinazione del risarcimento dei restanti danni da occupazione illegittima, si deve fare riferimento ai canoni comuni operanti in tema di risarcimento del danno (arg. ex Cassazione civile, sez. I, 11.02.2008, n. 3189) ed avendo come riferimento il valore venale dell’immobile.
Al proprietario, per il risarcimento del danno per l'utilizzazione illegittima del suolo per tutto il periodo, il risarcimento ex art. 2043 ben può essere determinato, in via equitativa, in misura pari agli interessi legali annualmente calcolati in relazione al valore venale del bene (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 3137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, che abbia omesso di controfirmare ogni pagina del capitolato speciale, pur avendo dichiarato di accettarne le clausole.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di controfirmare il capitolato speciale in ogni sua pagina, come richiesto dal bando, pur avendo presentato una dichiarazione contenente l'accettazione delle clausole del capitolato stesso, ciò in quanto, la dichiarazione di accettazione ha mera natura complementare, e non sostitutiva, rispetto alla necessità di produrre il capitolato controfirmato in ogni pagina; detta ultima prescrizione non costituisce un mero aggravio formale, ma assume un contenuto sostanziale, in quanto tale adempimento, alla stregua di un vero e proprio atto negoziale, ha lo scopo di garantire la stazione appaltante, in ordine alla piena accettazione di tutte le clausole (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2011 n. 3132 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Revoca di una gara in base ad una nuova valutazione interesse pubblico.
E' legittima la revoca di una gara di appalto adottata allorché la procedura concorsuale non era ancora conclusa, che era stata indetta in base a un bando che legittimava l’Amministrazione appaltante a revocare la gara in qualsiasi fase, senza che i concorrenti avessero nulla a pretendere, motivata con riferimento ad un atto di indirizzo finalizzato a dare preferenza a quelle scelte tecniche idonee a comportare un minor dispendio di risorse; infatti, anche prescindendo dalla clausola appena citata, l’esercizio del potere di revoca, in tal caso, non è legato alla sola sopravvenienza di nuovi elementi, ma anche ad una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi) (massima tratta da ww.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2011 n. 3131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Giustizia amministrativa - Organismo di diritto pubblico - Procedure di vendita di beni patrimoniali - Disciplina di evidenza pubblica - Applicabilità - Giurisdizione - Spetta al Giudice amministrativo.
2. Pubblica amministrazione - Contratti della p.a. - Dichiarazione ex art. 38 D.lgs. 163/2006 - Omesso inserimento nel plico dell'offerta - Costituisce mera irregolarità sanabile - Condizioni.

1. Una volta qualificato il soggetto appaltante quale organismo di diritto pubblico, ne consegue l'assoggettamento alla disciplina dell'evidenza pubblica non solo in materia di appalti, ma anche nel diverso caso di contratti attivi volti alla vendita di un proprio bene patrimoniale, con conseguente attrazione delle relative controversie alla giurisdizione amministrativa (Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 19.05.2008, n. 2280).
2. L'omesso inserimento della dichiarazione ex art. 38, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 nel plico dell'offerta, qualora risulti pacifica l'inesistenza di elementi preclusivi alla partecipazione, integra una mera irregolarità formale, sanabile ai sensi dell'art. 46 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di anomalia - Discrezionalità della p.a. - Sussiste - Giudizio - Sindacabilità - Limiti.
2. Contratti della p.a. - Gara - Giudizio di anomalia dell'offerta - Giustificazioni della p.a. - Devono essere rese nel corso del procedimento di verifica - Giustificazioni formulate in sede processuale - Inammissibilità.

1. L'ampia discrezionalità delle valutazioni compiute dalla pubblica amministrazione nell'esercizio dei poteri di verifica di anomalia di un'offerta, non è assoluta potendo le stesse essere sindacate in sede giurisdizionale laddove emergano elementi distonici tali da indurre a ritenere che il potere valutativo attribuito sia stato esercitato in contrasto con i canoni di logicità, congruità, proporzionalità e ragionevolezza. (Cfr., Cons. Stato, sez. V, 22.09.2009, n. 5642; id., sez. IV, 11.04.2007 n. 1658; id., sez. V, 20.09.2005 n. 4856; id., sez. VI, 07.09.2006 n. 5191).
2. Le giustificazioni delle offerte anomale devono essere proposte nell'ambito del procedimento amministrativo di verifica e non possono essere articolate, per la prima volta, nel corso del giudizio di impugnazione. (Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4494) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1320 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Responsabilità civile (extracontrattuale) della p.a. - Danno da attività provvedimentale illegittima - Elemento soggettivo - Accertamento - Onere probatorio del privato - Ricorso a presunzioni semplici - Ammissibile - Possibilità per la p.a. di dimostrare l'assenza di colpa per errore scusabile - Sussiste - Presupposti.
Il particolare modo di atteggiarsi dell'elemento psicologico, qualora il soggetto agente sia una pubblica amministrazione, non richiede al privato danneggiato l'assolvimento di particolari oneri probatori, potendosi, in ultima analisi, risolvere nel richiamo o nell'applicazione di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 cod. civ..
Residua, tuttavia, all'Amministrazione la possibilità di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto (Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2008, n. 2751) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIContratti della p.a. - Appalto di servizi - Utilizzabilità da parte dell'aggiudicatario di personale costituito in via esclusiva da prestatori d'opera professionale - Limitazioni.
Deve escludersi la possibilità che l'affidatario di un appalto pubblico di servizi si avvalga, in via pressoché esclusiva, di personale rappresentato da prestatori d'opera professionale, laddove si tratti di eseguire prestazioni continuative, predeterminate e ripetitive: attività che, nella sostanza, rappresentano un aspetto dell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, destinataria delle sue energie lavorative (Cfr., TAR Lazio Roma, sez. III, 01.07.2010, n. 22058) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  1. Contratti della p.a. - Appalto - "Taglio delle ali" - Art. 86, comma 1, D.lgs. 163/2006 - Individuazione della soglia di anomalia - Esclusione automatica delle offerte oltre soglia - Inammissibilità - Vaglio di congruità ai fini dell'aggiudicazione - Necessità.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara - Clausola comminante l'esclusione in ragione della mancata presentazione delle giustificazione preventive dell'anomalia dell'offerta - Illegittimità - Ragioni.

1. Salva diversa previsione contenuta nel bando di gara, il c.d. "taglio delle ali", previsto dall'art. 86, comma 1, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha la finalità, unitamente ad altri elementi, di individuare esclusivamente la soglia di anomalia delle offerte e non di escludere automaticamente dalla gara le imprese che abbiano presentato offerte ricadenti nel c.d. "taglio"; ne consegue che le offerte che si situano oltre la fissata soglia di anomalia devono essere assoggettate al vaglio di congruità ai fini dell'aggiudicazione (Cfr., TAR Lazio Latina, sez. I, 10.11.2010, n. 1872; TAR Puglia Lecce, sez. III, 10.06.2009, n. 1460).
2. Deve ritenersi illegittima, in quanto vessatoria, la clausola di un bando di gara che imponga a pena di esclusione la presentazione in via preventiva delle giustificazioni dell'eventuale anomalia dell'offerta presentata, in quanto tali giustificazioni, ove non ritenute sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta, debbono necessariamente essere integrate su richiesta della stazione appaltante.
In altri termini, le giustificazioni preventive non possono assurgere a requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione (Cfr., TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 11.05.2009, n. 332) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Contratti della p.a - Procedura di affidamento del servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti - Non costituisce servizio pubblico locale - Conseguenze - Art. 23-bis D.L. 112/2008 - Inapplicabilità.
Il servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti prodotti dall'impianto di depurazione delle acque reflue, non è qualificabile quale servizio pubblico locale, e conseguentemente, non è soggetto alla disciplina dettata dall'art. 23-bis, del D.L. n. 112/2008 costituendo, invece, attività rimessa alle libere dinamiche di mercato.
L'ambito di operatività del citato art. 23-bis riguarda, infatti, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell'intento di garantire, da una parte, la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e, dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti, sicché non trova applicazione laddove il servizio dedotto in contratto non sia qualificabile come servizio pubblico locale (Fattispecie relativa ad una procedura aperta per l'affidamento del servizio di prelievo, trasporto e smaltimento finale con recupero in agricoltura dei fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue urbane) (Cfr., Cons. Stato, sez. V, 01.04.2011, n. 6033 che riforma TAR Lombardia Milano, 16.06.2010, n. 1845) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il "servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti prodotti dall'impianto di depurazione delle acque reflue", non è qualificabile quale servizio pubblico locale.
Il "servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti prodotti dall'impianto di depurazione delle acque reflue", non è qualificabile quale servizio pubblico locale, e conseguentemente, non è soggetto alla disciplina dettata dall'art. 23-bis D.L. n. 112/2008, costituendo invece attività rimessa alle libere dinamiche di mercato.
L'ambito di operatività del citato art. 23-bis riguarda, infatti, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell'intento di garantire, da una parte, la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e, dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti, sicché non trova applicazione laddove il servizio dedotto in contratto non sia qualificabile come servizio pubblico locale (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1306 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Modello GAP - Mancata produzione - Causa di esclusione anche in assenza di espressa clausola della lex specialis - Art. 1, c. 5, d.l. n. 629/1982.
La mancata produzione del modello GAP è causa di esclusione anche in assenza di espressa clausola della lex specialis di gara; l'obbligo di produzione è infatti imposto dalla norma imperativa di cui all'articolo 1, comma 5, del d.l. n. 629/1982 (in tal senso, si vedano, fra altre: Tar Palermo, III, sentenza n. 1173 del 23.04.2007; Tar Catania, IV, sentenza n. 1 del 07.01.2010, confermata dal Cga con ordinanza cautelare n. 212 del 16.03.2010; ancora Tar Catania, IV, sentenza 28.10.2010, n. 4249; Idem, sentenza n. 4624 del 07.12.2010, ed ivi ulteriori citazioni di precedenti giurisprudenziali) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 25.05.2011 n. 1279 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Project financing: l’ingessatura rimossa dal “decreto sviluppo (link a www.linobellagamba.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Le innovazioni recate dal “decreto sviluppo” alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria (leasing in costruendo): il problema di una scelta corretta “a monte (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: R. Caponigro, Valutazione delle offerte e verifica delle anomalie (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Graziano, Note minime in tema di inefficacia del contratto d’appalto nel Codice del processo amministrativo (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L. Bellagamba, DURC ED EFFICACIA DELLA DEFINITIVA AGGIUDICAZIONE - La previsione di cui all’art. 6, comma 3, lett. b), del regolamento attuativo del codice e l’ordinamento degli enti locali (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: Poteri ampi al Prefetto nell'accertamento dell'infiltrazione mafiosa.
Contratti della pubblica amministrazione – Informative antimafia di cui all’art. 10 del d.p.r. 252/1998 – Ampi poteri di accertamento del Prefetto – Conseguenze in relazione al contenuto delle informative.
Nel rendere le informazioni antimafia di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto, visti gli ampi poteri di accertamento di cui dispone, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
Il caso.
Un’impresa edile aveva partecipato, in qualità di mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, ad una gara per l’appalto di lavori pubblici indetta dalla Provincia di Reggio Calabra e tale raggruppamento era risultato aggiudicatario della procedura.
Tuttavia, nelle more della stipulazione del relativo contratto, la stazione appaltante aveva comunicato al RTI un’informativa antimafia, emanata dalla Prefettura di Reggio Calabria ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. 03.06.1998 n. 252. Da questa nota si evinceva -tra l’altro– che dalle verifiche disposte dal Prefetto erano emersi elementi concernenti tentativi d’infiltrazione mafiosa in ordine alla posizione della mandante del raggruppamento. Conseguentemente, al fine di consentire al RTI il prosieguo della partecipazione alla procedura di selezione, la stazione appaltante aveva intimato alla società capogruppo del raggruppamento di estromettere dalla sua compagine l’impresa mandante o, comunque, di sostituirla.
Il titolare della ditta interessata dall’informativa prefettizia presentava ricorso dinanzi al TAR Calabria, impugnando –sotto vari profili– tanto gli atti della Prefettura quanto quelli adottati dalla stazione appaltante. In particolare, veniva denunciata la violazione dell’art. 10 comma 2 del d.p.r. n. 252/1998 sul rilievo che nel caso di specie non sussistevano circostanze concrete dalle quali emergeva il tentativo di infiltrazione mafiosa in quanto il Prefetto aveva fondato il pericolo di infiltrazione su meri elementi di fatto e circostanze prive di rilievo.
Con sentenza n. 202/2007, il TAR Calabria respingeva il ricorso evidenziando che la normativa sulle informative antimafia privilegia una concezione della pericolosità in senso oggettivo, la quale prescinde quindi dalla individuazione di responsabilità personali. In quest’ottica, pertanto, le informative prefettizie di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998 non devono provare l’intervenuta infiltrazione, essendo invece sufficiente che dimostrino la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza. In altri termini, è sufficiente che l’informativa sia supportata da elementi sintomatici o da mere presunzioni, in grado di far emergere elementi di “pericolosità presunta”.
La decisione.
Con la sentenza 23.05.2011 n. 3104, il Consiglio di Stato, Sez. III, ha rigettato il ricorso in appello, confermando la validità delle statuizioni rese dal TAR Calabria.
Al riguardo, il giudice amministrativo ha affermato che nel rendere le informative di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 252/1998, il Prefetto effettua una valutazione basata su quadro di indizi sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti pubblici.
In altri termini, l’ampiezza dei poteri di accertamento consente al Prefetto di ravvisare l’emergere di tentativi di infiltrazione mafiosa anche in fatti di per sé privi dell'assoluta certezza (es. condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), ma che comunque risultano idonei a fondare, nel loro complesso, un giudizio di possibilità che l'attività d’impresa agevoli anche indirettamente le attività criminali o ne sia in qualche modo condizionata. Ciò in quanto –sottolinea il Consiglio di Stato- la ratio sottesa all’informativa in questione è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel contrasto alla criminalità organizzata nell’ambito degli appalti pubblici.
Alla luce di tali criteri, il Consiglio di Stato ha rilevato la correttezza della sentenza impugnata, avendo quest’ultima correttamente chiarito come il Prefetto abbia dedotto la situazione di pericolo di infiltrazione mafiosa da un complesso unitario di elementi gravi, precisi e concordanti (tra cui anche vicende penalmente rilevanti).
Ed infatti, nel caso di specie l’inferenza della pericolosità muove dalla circostanza che una serie di fatti, indubbiamente non isolati, concorrono reiteratamente ad integrare un pericolo contro il quale risulta doveroso l’approntamento della tutela anticipata cui è preordinata l’informativa prefettizia (commento tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel rendere le informazioni antimafia il Prefetto, che ha ampi poteri di accertamento, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi.
Ai fini della corretta applicazione dell'art. 10 del DPR 252/1998, è jus receptum che le situazioni relative ai tentativi d'infiltrazione mafiosa vanno desunte o da provvedimenti che dispongano una misura cautelare o il giudizio, o che rechino una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648-bis e 648-ter, c.p. o dall'art. 51, c. 3-bis, c.p.p., oppure dagli accertamenti disposti dal Prefetto nell'esercizio di autonomi poteri o su richiesta di altri Prefetti.
Pertanto, nel rendere le informazioni antimafia, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma effettua la propria valutazione sulla scorta di uno sufficientemente chiaro, preciso e non arbitrario quadro di indizi, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni.
L'ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa all'informativa, consente al Prefetto di ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa anche (o non solo) in fatti in sé privi dell'assoluta certezza (p.es., condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ecc.), seppur tali da fondare, nel loro complesso coordinato, un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa, anche in maniera indiretta, agevoli le attività criminali o ne sia in varia guisa condizionata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 23.05.2011 n. 3104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTINelle gare pubbliche le regole stabilite dalla lex specialis vincolano rigidamente anche l’amministrazione, che è tenuta ad applicarle senza alcun margine di discrezionalità a garanzia della par condicio dei concorrenti, con la conseguenza che le clausole di un bando di gara devono essere necessariamente interpretate, nel rispetto dei principi fissati dagli artt. 1362 e ss. c.c., dando prevalenza alle espressioni letterali e restando preclusa qualsiasi forma di interpretazione analogica o estensiva, eventualmente finalizzata a consentire la più ampia partecipazione possibile, opzione che può ammettersi solo in presenza di clausole equivoche o di imperfetta formulazione.
La Sezione osserva che la questione controversa consiste nello stabilire l’esatta interpretazione del contenuto della autodichiarazione di cui al predetto punto 5 del disciplinare di gara ed in particolare se per “forniture” effettuate negli ultimi tre anni deve intendersi la fornitura specifica di filobus, come ha sostanzialmente ritenuto l’amministrazione, ovvero se si riferisca a forniture in generali, comunque attinenti i mezzi di trasporto urbano, come sostanzialmente sostiene l’appellante.
Ai fini del corretto svolgimento dell’operazione ermeneutica deve innanzitutto tenersi conto del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui nelle gare pubbliche le regole stabilite dalla lex specialis vincolano rigidamente anche l’amministrazione, che è tenuta ad applicarle senza alcun margine di discrezionalità a garanzia della par condicio dei concorrenti (ex multis, C.d.S., sez. V, 02.08.2010, n. 5075; 29.01.2009, n. 498), con la conseguenza che le clausole di un bando di gara devono essere necessariamente interpretate, nel rispetto dei principi fissati dagli artt. 1362 e ss. c.c. (notoriamente applicabili anche agli atti amministrativi), dando prevalenza alle espressioni letterali e restando preclusa qualsiasi forma di interpretazione analogica o estensiva, eventualmente finalizzata a consentire la più ampia partecipazione possibile, opzione che può ammettersi solo in presenza di clausole equivoche o di imperfetta formulazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZISono legittime le determinazioni delle amministrazioni appaltanti che, allo scopo di ottenere la dimostrazione della capacità economica, finanziaria e dei tecnica dei partecipanti, limitano l’ammissione ai soli concorrenti che abbiano svolto servizi identici a quelli dell’appalto nei tre anni precedenti.
La giurisprudenza di questo consesso ha più volte ribadito la legittimità delle determinazioni delle amministrazioni appaltanti che, allo scopo di ottenere la dimostrazione della capacità economica, finanziaria e dei tecnica dei partecipanti, limitano l’ammissione ai soli concorrenti che abbiano svolto servizi identici a quelli dell’appalto nei tre anni precedenti (C.d.S., sez. V, 29.03.2006, n. 1599; 15.02.2001, n. 919; 06.08.2001, n. 4237, sia pur riferite alle disposizioni di cui agli artt. 13 e 14 del d.lgs. 17.03.1995, n. 157) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all’esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali.
La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende (almeno astrattamente) ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all’esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali.
Da ciò la considerazione per la quale il Collegio condivide il presupposto indicato dal Tribunale amministrativo regionale in ordine al fatto che, al di là di una specifica normativa che ricomprenda anche le concessioni di servizi nell’ambito della regolamentazione degli appalti, l’art. 30 del decreto legislativo n. 163 del 2006, pur derogando, relativamente alle concessioni di servizi, alle altre disposizioni del medesimo provvedimento, non tocchi di quel medesimo provvedimento quelli che possono individuarsi come principi generali di un giusto procedimento, e tra essi vi è, per le ragioni prima esplicitate, quello della nomina della commissione dopo che è scaduto il termine per la presentazione delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Si applica anche alle di concessione di servizi la regola secondo cui la nomina della commissione di gara deve avere luogo dopo la scadenza del temine per la presentazione delle offerte.
La regola per cui la nomina della commissione giudicatrice deve avere luogo dopo che è spirato il termine per la presentazione delle offerte tende (almeno astrattamente) ad evitare che vi possano essere, con la preventiva conoscenza dei nominativi dei commissari, inaccettabili contatti e collusioni dei candidati con gli stessi commissari, per cui la medesima regola assurge a preventiva salvaguardia della regolarità del procedimento e non può essere considerata come una privativa degli appalti, non essendovi alcuna differenza in ordine all'esame delle offerte con la concessione; anzi, la concessione di servizi, per la maggiore informalità del suo procedimento, presenta, se si vuole, aspetti ancora più evidenti di mancanza di garanzie procedimentali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3086 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce, di per sé, motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata un'alterazione della documentazione.
Il rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela dell’integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto, e sarebbe quindi sufficiente che la documentazione di gara sia stata sottoposta a rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, non può essere seguito quando in concreto non sia stato fornito alcun principio di prova della eventuale manomissione dei plichi o quanto meno di un concreto pericolo di manomissione.

La Sezione ritiene di dover ribadire le proprie recenti enunciazioni (decisione 22.02.2011, n. 1094) secondo le quali:
- la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce, di per sé, motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata un'alterazione della documentazione (cfr. sezione IV, 05.10.2005, n. 5360; sez. V, 20.09.2001, n. 4973; 10.05.2005, n. 2342; 25.07.2006, n. 4657);
- il rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela dell’integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto, e sarebbe quindi sufficiente che la documentazione di gara sia stata sottoposta a rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara (Consiglio Stato, Sezione V, 06.03.2006, n. 1068 e 21.05.2010, n. 3203), non può essere seguito quando in concreto non sia stato fornito alcun principio di prova della eventuale manomissione dei plichi o quanto meno di un concreto pericolo di manomissione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTII principi di pubblicità e trasparenza delle sedute della commissione di gara non sono assoluti, ma, appunto, derogabili dalla lex specialis, la quale, ove trattisi di gara svolta con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ben può –e, anzi, deve- prevedere la valutazione in seduta riservata dell'offerta tecnica, e, per esigenze di economicità della procedura, può altresì prevedere (anche per implicito) che tanto sia effettuato previa apertura delle relative buste nel corso della stessa seduta.
L'obbligo inderogabile di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riguarda infatti esclusivamente la fase dell'apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica dei partecipanti, e non anche la fase di apertura e valutazione delle offerte tecniche.

La giurisprudenza ammette che il principio di pubblicità della gara possa essere derogato allorché si debba procedere, da parte della commissione, ad una specifica valutazione tecnica delle offerte, specie quando si debba aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (cfr. Sez. IV, 05.04.2003, n. 1787; Sez. V, 30.05.1997, n. 576 e 27.02.2001, n. 1067).
I principi di pubblicità e trasparenza delle sedute della commissione di gara non sono difatti assoluti, ma, appunto, derogabili dalla lex specialis, la quale, ove trattisi di gara svolta con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ben può –e, anzi, deve- prevedere la valutazione in seduta riservata dell'offerta tecnica, e, per esigenze di economicità della procedura, può altresì prevedere (anche per implicito) che tanto sia effettuato previa apertura delle relative buste nel corso della stessa seduta.
L'obbligo inderogabile di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riguarda infatti esclusivamente la fase dell'apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica dei partecipanti, e non anche la fase di apertura e valutazione delle offerte tecniche (si vedano, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010, n. 7470; 14.10.2009, n. 6311; 11.05.2007 n. 2355; cfr. anche 13.07.2010, n. 4520)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Tutti i soggetti che a qualunque titolo concorrano a pubblici appalti devono non solo essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge ma anche dichiararlo.
L’art. 49, co. 2, lett. c), del codice dei contratti pubblici, onera l’impresa che concorre ad una gara di appalto di allegare una <<dichiarazione sottoscritta da parte dell’impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’art. 38>>.
La chiarezza della norma e la sua ratio, inducono la sezione a non discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui tutti i soggetti che a qualunque titolo concorrono a pubblici appalti (in veste di affidatari, sub affidatari, consorziati, componenti di a.t.i., ausiliari in sede di avvalimento), devono non solo essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 38 cit., ma anche dichiararlo, assumendosi le relative responsabilità (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n. 3759; ad. plen., 15.04.2010, n. 2155, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La richiesta di regolarizzazione documentale non può essere formulata dalla stazione appaltante se vale ad integrare documenti che in base a previsioni univoche del bando o della lettera di invito avrebbero dovuto essere prodotte a pena di esclusione.
La richiesta di regolarizzazione non può essere formulata dalla stazione appaltante se vale ad integrare documenti che in base a previsioni univoche del bando o della lettera di invito avrebbero dovuto essere prodotte a pena di esclusione; che è quanto accaduto nel caso di specie dove non si può configurare alcun margine di ambiguità che renda ammissibile la richiesta di integrazione intesa come riflesso della responsabilità dell’amministrazione e non come ingiustificato strumento diretto a promuovere indistintamente una più ampia partecipazione alle gare in una logica collaborativa fra l’amministrazione e le imprese interessate che appare travalicare i limiti imposti dall’antagonista principio di formalità vigente in materia di procedimenti concorsuali.
Oltretutto in tal modo si finirebbe per addivenire ad una inammissibile disapplicazione di provvedimenti autoritativi, al di fuori di qualsiasi previsione normativa espressa, da parte della p.a. prima e del giudice amministrativo poi .
A diverse conclusioni non si giunge pur volendo considerare, per assurdo, inesistente, ovvero di portata ambigua ed incompleta, la clausola della lex specialis (si ribadisce mai impugnata dalla ditta), che comminava l’esclusione per il caso di omessa dichiarazione.
Anche in questo caso, infatti, l’amministrazione non ha l’obbligo inderogabile di invitare i concorrenti a regolarizzare la documentazione esibita, ma ha soltanto la facoltà, nell’ambito dei propri poteri discrezionali, di rivolgere detto invito se ritenuto confacente con l’irregolarità riscontrata, con i tempi del procedimento e nel rispetto del principio della parità di trattamento.
Sotto tale angolazione si è affermato che:
a) il mancato esercizio di tale facoltà è insindacabile da parte del giudice amministrativo, salvo il limite della abnormità;
b) il suo esercizio in concreto non può determinare una alterazione della par condicio delle imprese, attraverso una modifica dell’offerta incidente su elementi o formalità essenziali della stessa;
c) può riguardare solamente documenti già presentati ma non dichiarazioni o documentazioni omesse, trovando altresì un limite temporale nel termine perentorio individuato dal bando per la presentazione delle offerte e del relativo corredo documentale
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: L’approvazione di un progetto di opera pubblica equivale ex lege a dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1, solo allorquando l’opera stessa sia conforme alle previsioni del vigente strumento urbanistico, con la conseguenza che laddove tale conformità difetta il progetto stesso deve essere approvato in variante al piano regolatore, ai sensi del comma 5, del citato articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1, dal competente consiglio comunale.
L’approvazione di un progetto di opera pubblica equivale ex lege a dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1, solo allorquando l’opera stessa sia conforme alle previsioni del vigente strumento urbanistico, con la conseguenza che laddove tale conformità difetta il progetto stesso deve essere approvato in variante al piano regolatore, ai sensi del comma 5, del citato articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1, dal competente consiglio comunale (C.d.S., sez. IV, 16.03.2010, n. 1540; 17.12.2003, n. 8264).
Poiché nel caso di specie difettava proprio la conformità urbanistica del progetto da realizzare la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, quest’ultima è divenuta efficace, e dunque capace di svolgere tutti i suoi effetti propri, solo con l’effettiva approvazione della variante urbanistica (adottata con la delibera consiliare n. 52 del 27.10.1993 ed approvata dalla Regione Lombardia con la delibera di giunta n. V/54150 del 21.06.2004).
Pertanto non sussiste il dedotto vizio di violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241: infatti, la necessità che l’approvazione di progetti di opere pubbliche equivalente a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori, ai sensi dell’articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1, sia preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (tra le più recenti, C.d.S., sez. IV, 08.06.2007, n. 2999; 22.03.2005, n. 1236) si ricollega alla immediata efficacia della dichiarazione stessa che consegue solo alla conformità urbanistica del progetto di opera pubblica approvato, laddove le garanzie partecipative risultano pienamente assicurate, come nel caso di specie, con l’adempimento delle formalità previste per il procedimento di approvazione della variante urbanistica (deposito della delibera di adozione della variante nella segreteria comunale, adeguata pubblicità del deposito stesso nel B.U.R.L., possibilità di proporre osservazioni e opposizioni al progetto di variante urbanistica), allorquando il progetto approvato comporta una variante al piano regolatore (con conseguente approvazione del progetto ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 03.01.1978, n. 1)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2011 n. 3075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La commissione giudicatrice di una gara di appalto si esaurisce solo con l’aggiudicazione.
La specifica funzione di cui è investita la commissione giudicatrice di una gara di appalto si esaurisce solo allorquando il competente organo della stazione appaltante fa proprio, approvandolo, il lavoro della commissione stessa, procedendo quindi all’aggiudicazione della gara o comunque alla conclusione del procedimento.
Di conseguenza, fino alla trasmissione degli atti all’organo competente alla loro approvazione la commissione può, ed anzi deve, correggere gli eventuali errori nei quali sia incorsa, così dando attuazione al principio di legalità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 20.05.2011 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRequisiti di ordine fiscale.
Il TAR Puglia-Lecce, Sez. III, nella sentenza 20.05.2011 n. 883, ha affermato che: "Alla luce della nuova normativa, introdotta dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006), emerge che la violazione fiscale provoca l'esclusione dalla gara allorquando sia "definitivamente accertata", vale a dire sia divenuta incontestabile per decisione giurisdizionale o per intervenuta inoppugnabilità. Solo allora, infatti, l'inadempimento tributario è indicativo del mancato rispetto degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse".
Il requisito della "regolarità fiscale" è stato interessato da un'importante modificazione, introdotta dal recente decreto legge n. 79/2011 ("decreto sviluppo) e confermata anche in sede di conversione in legge. Precisamente, il decreto sviluppo ha introdotto le seguenti modificazioni:
1) le violazioni in materia fiscale, ai fini dell'esclusione, devono essere gravi. E' stato aggiunto, quindi, l'aggettivo "grave" al testo della disposizione normativa;
2) il 2° comma del novellato articolo 38 stabilisce che si intendono gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. 29.09.1973, n. 602. Attualmente, l'importo è pari ad € 10.000,00.
Nella recentissima sentenza del Tar Sardegna, sez. I, n. 519 del 26.05.2011, è stato già richiamato ed applicato il decreto sviluppo in tema di violazioni fiscali. Precisamente, il tribunale amministrativo ha evidenziato che la ratio della disposizione in esame è chiara e risponde all'esigenza di garantire l'amministrazione relativamente alla solvibilità e solidità finanziaria del soggetto con il quale contrarre e che tale norma è direttamente attuativa dell'articolo 45 della direttiva 2004/18, la quale è palesemente diretta ad appurare la sussistenza dei presupposti di generale solvibilità dell'eventuale futuro contraente della Pubblica amministrazione.
Secondo il Tar, dalla lettura delle due disposizioni normative (europea e nazionale) e della giurisprudenza correlata, si desume il principio che il giudizio, in ordine rispetto degli obblighi relativi al pagamento delle imposte, debba strutturarsi con un concreto accertamento della globale regolarità, sul piano tributario, dell'impresa partecipante alla gara e non, piuttosto, sul mero riscontro della sussistenza di singole e isolate omissioni.
Per sostenere la bontà di tale assunto, il Tar segnala che: "significativo, in materia, è l'orientamento del legislatore "correttivo" (de jure condendo), che recepisce proprio l'esigenza e l'orientamento di restringere le ipotesi di esclusione per la lettera "g" alle sole ipotesi "gravi" (cfr. art. 4, punto 1.5 del D.L. n. 70 del 13.05.2011 "Semestre Europeo, prime disposizioni urgenti per l'economia). In definitiva anche la valutazione dei requisiti di cui all'art. 38, lett. "g" (anteriormente alla modifica, poi intervenuta) deve essere comunque svolta alla stregua del canone della "ragionevolezza", tenendo presenti le finalità a cui la norma è preordinata.
Laddove si riscontrino delle situazioni di non grave consistenza, ovvero delle situazioni da cui emerga l'intento non elusivo delle regole (in tal senso deve essere interpretata la volontà di effettuare il pagamento dei tributi a fronte della concessa rateizzazione), spetta alla stazione appaltante un giudizio sulla meritevolezza del soggetto aspirante contraente. Ed il giudizio non può essere limitato al mero riscontro della sussistenza di pendenze tributarie contenute nei certificati". In merito a tale recentissima modificazione, occorre ricordare che, anche prima, si assisteva ad un dibattito, avente ad oggetto proprio la necessità che la stazione appaltante ponga in essere un'indagine volta ad accertare e valutare l'entità della violazione fiscale.
Infatti, accanto ad una giurisprudenza maggioritaria, che sosteneva, a fronte del tenore letterale della norma, l'insussistenza di tale potere (Il legislatore ha imposto, all'art. 38, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito di partecipazione alle pubbliche gare d'appalto, l'assenza di qualsivoglia pendenza fiscale; tanto a prescindere dall'entità del debito e da ogni valutazione di gravità dell'inadempienza, ciò a differenza del parallelo requisito dell'assenza di pregiudizi penali per i quali la legge utilizza il termine gravi reati
" (Tar Piemonte, sez. I, n. 3129/2010; CdS, sez. V, n. 6325/2009), si era sviluppato un diverso indirizzo.
Precisamente, si affermava che "La presenza di violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana, non integra una fattispecie di esclusione automatica dell'impresa concorrente che le ha commesse, a prescindere dalla loro valutazione in concreto" (Tar Lombardia, sez. Brescia II, n. 2305/2010). Il contrasto, quindi, è stato risolto nel segno dell'attribuzione alla stazione appaltante di un potere valutativo, attraverso l'aggiunta "gravi", eliminando ogni ipotesi di esclusione automatica (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della revoca di aggiudicazione di una gara d'appalto, ad un concorrente che abbia commesso violazioni relative agli obblighi fiscali di cui all'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, in quanto non definitivamente accertate.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, i soggetti che abbiano commesso violazioni dei doveri relativi al pagamento di imposte e di tasse, definitivamente accertati, sono esclusi dalla partecipazione alle gare di appalto.
Secondo la circolare n. 34/E del 25.05.2007, emanata dall'Agenzia delle Entrate, che ha fornito gli indirizzi operativi ai propri uffici locali in merito alle modalità di attestazione della regolarità fiscale delle imprese partecipanti a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, alla luce della nuova normativa introdotta dal d.lgs. 163/2006, emerge che la violazione fiscale provoca l'esclusione dalla gara allorquando sia "definitivamente accertata", vale a dire sia divenuta incontestabile per decisione giurisdizionale o per intervenuta inoppugnabilità; solo allora, infatti, l'inadempimento tributario è indicativo del mancato rispetto degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la determinazione con la quale il comune ha disposto la revoca dell'aggiudicazione nei confronti di un consorzio, motivata dall'affermata esistenza, a carico del consorzio medesimo, di una causa ostativa ex art. 38, c. 1, lett. g), d.lgs. 163/2006, in quanto le violazioni agli obblighi fiscali non potevano reputarsi "definitivamente accertate" (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.05.2011 n. 883 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 d.lgs. 163/06: distinzione tra un bando che richieda una dichiarazione generica ed un bando più preciso che specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne o tutte le violazioni.
Qualora il bando di gara richieda genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell'art. 38, del d.lgs. n. 163/06, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell'omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta falsa.
Diversamente, nel caso in cui il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui al citato art. 38, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive, la dichiarazione del concorrente deve avere un contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall'art. 38 codice, all'evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell'illecito, al fine dell'esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 20.05.2011 n. 752 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Le gare scordano i disabili. Appalti, addio al certificato di ottemperanza. Il decreto sviluppo ha eliminato il documento rilasciato dalle province.
Addio al certificato di ottemperanza alla normativa sui disabili per le gare d'appalto. L'articolo 4, comma 2, lettera b), del decreto-legge 70/2011 (il cosiddetto decreto sviluppo) ha modificato l'articolo 38, comma 1, lettera l), del dlgs 163/2006, decretando la scomparsa della certificazione del rispetto della legge 68/1999, di competenza dei servizi per l'impiego operanti presso le amministrazioni provinciali.
La precedente formulazione della lettera l) dell'articolo 38 prevedeva l'esclusione dalla partecipazione agli appalti e, comunque, il divieto di essere affidatari delle procedure o di stipulare i contratti conseguenti, nei confronti degli operatori economici che non presentassero «la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12.03.1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2».
Pertanto, nel precedente sistema, gli appaltatori potevano presentare in fase di gara la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà in merito al rispetto della normativa sulle assunzioni di disabili, ma le amministrazioni appaltanti, ai fini dell'attribuzione di efficacia all'aggiudicazione provvisoria, dovevano acquisire dalle amministrazioni provinciali il certificato di ottemperanza.
Il nuovo testo della lettera l) dell'articolo 38 prevede, invece, adesso l'esclusione e il divieto di stipulare contratti per gli operatori economici «che non sono in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili di cui alla legge 12.03.1999, n. 68».
Non si parla più, come si nota, di presentazione di certificazione.
La differenza è sottile, ma sostanziale. Gli appaltatori continueranno a presentare dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante il rispetto della legge 69/1999, in applicazione delle norme contenute nel dpr 445/2000, ma la loro dichiarazione diviene definitivamente sostitutiva di ogni certificato: dunque, né le amministrazioni appaltanti potranno più chiedere i certificati di ottemperanza, né le amministrazioni provinciali saranno tenute a emetterli.
Ai fini, allora, dei controlli della veridicità delle dichiarazioni rilasciate dagli appaltatori in fase di gara relativamente al rispetto della legge 68/1999 si applica il comma 3 dell'articolo 38 del codice dei contratti: dunque, le amministrazioni appaltanti non potranno chiedere più il certificato di ottemperanza, ma potranno esercitare l'accertamento d'ufficio alle banche dati delle amministrazioni provinciali, ai sensi dell'articolo 43 del dpr 445/2000.
In conseguenza di ciò le amministrazioni provinciali potranno mettere a disposizione delle amministrazioni appaltanti l'accesso telematico alle banche dati relative alle aziende obbligate alla legge 68/1999. Oppure, in mancanza di software che permettano l'accesso online, sarà sufficiente che l'amministrazione appaltante richieda non l'emanazione del certificato di ottemperanza, ma la verifica della veridicità di quanto dichiarato dall'appaltatore.
Le amministrazioni provinciali, dunque, non dovranno certificare nulla, ma confermare o meno quanto dichiarato dall'appaltatore, entro 30 giorni dalla richiesta dell'amministrazione appaltante (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un RTI consortile, la cui impresa designata all'esecuzione dei lavori risulti carente dei requisiti generali inerenti alla regolarità contributiva, previsti dall'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI consortile, la cui impresa designata all'esecuzione dei lavori risulti inottemperante in ordine alla regolarità contributiva, prescritta dall'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, quale requisito di ordine generale, necessario ai fini della partecipazione alla procedura.
Nonostante il consorzio presenti struttura ed identità autonome rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali di cui al citato art. 38, va verificato anche in capo alle imprese consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, ai sensi dell'art. 35 del medesimo decreto. Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio, i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall'art. 38 devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate.
Inoltre, ai fini dell'aggiudicazione della gara, non rileva la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale, come avvenuto nel caso di specie, in quanto l'impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi prescritti fin dalla presentazione dell'offerta, e conservare tale stato per tutta la durata della procedura e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo, pena la vanificazione della par condicio dei concorrenti. L'opposta interpretazione incentiverebbe le imprese alla violazione di legge, con l'effetto vantaggioso di poter scegliere se procedere o meno alla regolarizzazione, in funzione dell'utile risultato dell'aggiudicazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2011 n. 2786 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti rilevanti per l’ammissione ad una gara d’appalto, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara.
La riabilitazione (combinato disposto dagli artt. 683 cpp e 178 cp) e l'estinzione del reato (combinato disposto dagli artt. 676 cpp e 151 seg. cp) per decorso del termine di legge devono essere giudizialmente dichiarate, giacché il giudice di sorveglianza nel primo caso ed il giudice dell'esecuzione nel secondo caso sono gli unici soggetti al quale l'ordinamento conferisce la competenza a verificare che siano venuti in essere tutti i presupposti e sussistano tutte le condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, in mancanza, la dichiarazione di assenze di condanne penali equivale a dichiarazione mendace e giustifica l'esclusione dalla gara del concorrente che l'abbia resa.

Considerato:
- che il punto 17, II comma, del disciplinare di gara richiedeva all’impresa ausiliaria, in caso di avvalimento ai sensi dell’art. 49 del DLgs n. 163/2006, la “dichiarazione attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’art. 38 del DLgs 163/2006…”, dichiarazione da rendersi “con le modalità previste per il concorrente” (cfr. il disciplinare, pagg. 11);
- che, giusta il punto 6, I comma, n. 8, del disciplinare, il concorrente doveva attestare l’insussistenza delle cause di esclusione dalla partecipazione alla gare d’appalto di cui all’art. 38, comma 1, del DLgs n. 163/2006 indicando comunque tutte le eventuali sentenze definitive, anche quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione, decreti penali di condanna e sentenze di applicazione della pena su richiesta…;
- che in sede di controllo, ai sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000, delle dichiarazioni sostitutive rese dai concorrenti veniva acquisito, fra l’altro, il certificato del casellario giudiziale relativo al sig. ... (legale rappresentante della ditta ..., della quale la ricorrente si è avvalsa ai fini della partecipazione alla gara), da cui risultava una sentenza ex art. 444 cpp irrevocabile e non estinta, pronuncia giudiziale di condanna, questa, che l’interessato aveva omesso di dichiarare;
- che la necessità, anche per il rappresentante dell’impresa ausiliaria, di dichiarare tutte le sentenza di condanna, ivi comprese quelle patteggiate (con la sola eccezione di quelle estinte e di quelle per le quali era intervenuta la riabilitazione), derivava inequivocabilmente dal chiaro tenore del disciplinare di gara, il quale stabiliva che le dichiarazioni attestanti il possesso dei requisiti di cui all’art. 38 del codice dei contratti dovevano “essere rese con le modalità previste per il concorrente” e, dunque, nei termini imposti a quest’ultimo dal punto 17, II comma del disciplinare di gara:
- che il Collegio, in punto di diritto, aderendo ad un consolidato e prevalente orientamento giurisprudenziale -che afferma che l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti rilevanti per l’ammissione ad una gara d’appalto, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara (cfr., da ultimo, CdS, VI, 06.04.2010 n. 1909; V, 02.02.2010, n. 428; TAR Veneto, I, 24.01.2011 n. 75)-, non può esimersi dall’osservare che la circostanza che il rappresentante legale della ditta ... abbia oggettivamente omesso di dichiarare i propri precedenti penali ha senza dubbio integrato la violazione della lex specialis di gara (è appena il caso di osservare che quest’ultima richiedeva qualcosa di più della mera indicazione dei “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale” pretesa dall’art. 38, I comma, lett. “c” del DLgs n. 163/2006, in quanto imponeva di specificare, a pena di esclusione –sanzione, questa, prevista dal citato art. 38, I comma, espressamente richiamato dalla lex specialis-, tutte le pregresse vicende giudiziarie dei soggetti interessati, demandando così alla stazione appaltante ogni valutazione in ordine alla gravità del reato e alla sua incidenza sulla moralità professionale), comportando legittimamente l’esclusione della ditta ricorrente da parte della stazione appaltante, anche avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000 n. 445, secondo cui “il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera” (e che giustifica pienamente, sul piano normativo, la richiamata prescrizione contenuta nel disciplinare);
- che l’art. 75, I comma, del D.P.R. citato, del tutto chiaro nella formula letterale, prescinde, infatti, per la sua applicazione dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi sul dato oggettivo della "non veridicità", apprezzato ex ante e rispetto al quale è, pertanto, irrilevante il complesso delle giustificazioni poi addotte dal dichiarante;
- che, peraltro, è appena il caso di evidenziare che la riabilitazione (combinato disposto dagli artt. 683 cpp e 178 cp) e l'estinzione del reato (combinato disposto dagli artt. 676 cpp e 151 seg. cp) per decorso del termine di legge devono essere giudizialmente dichiarate, giacché il giudice di sorveglianza nel primo caso ed il giudice dell'esecuzione nel secondo caso sono gli unici soggetti al quale l'ordinamento conferisce la competenza a verificare che siano venuti in essere tutti i presupposti e sussistano tutte le condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, in mancanza, la dichiarazione di assenze di condanne penali equivale a dichiarazione mendace e giustifica l'esclusione dalla gara del concorrente che l'abbia resa (cfr., da ultimo, CdS, V, 20.10.2010 n. 7581);
- che è affatto irrilevante in causa –diversamente ne rimarrebbe leso il principio della par condicio- la circostanza che la dichiarazione di estinzione del reato sia intervenuta successivamente alla dichiarazione resa in sede di gara e, comunque, alla scadenza del termine per la proposizione della domanda di partecipazione alla gara;
- che non può richiamarsi la buona fede del ricorrente e la scusabilità dell’errore in relazione alla circostanza che il certificato del casellario giudiziale non riportava alcunché a carico dei soggetti interessati: è noto, infatti, che i certificati del casellario rilasciati ai privati sono incompleti, potendosi comunque effettuare presso il competente Ufficio una visura ai sensi dell’art. 33 del DPR n. 313/2002, da cui emerge il quadro completo della propria situazione penale ... (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 19.05.2011 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che annette all’iscrizione delle strade nell’elenco di quelle vicinali un effetto meramente dichiarativo e non costitutivo, è altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto, consolidatasi per un lungo tempo, che palesi in modo univoco l’impossibilità da parte della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene sottolineare- con specifico riguardo a quanto ne occupa, non deve essere imputabile all’esecuzione di opere abusive realizzate dal privato avente interesse contrario all’utilizzazione pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri oggettivi risulta che la strada per cui si discute va annoverata fra quelle vicinali: in primo luogo, detta strada fa parte della rete viaria che dalla strada comunale via Mareschino conduce in località Fratin, funzionale al transito di mezzi agricoli per il trasporto di legnami e generi vari (cfr., dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), né, ad ulteriore testimonianza della permanenza attuale e concreta dell’interesse pubblico all’utilizzazione di essa da parte della collettività, va passato sotto silenzio il fatto che la strada in questione, inclusa negli itinerari del CAI, è altresì funzionale alla pratica turistico-alpina; in secondo luogo, la preclusione all’attuale utilizzo pubblico scaturisce non già da fattori naturali, sedimentatisi nel tempo, bensì esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti ricorrente: quali la duplice apposizione di congegni preordinati a precludere l’accesso sia a monte che a valle della strada e la pavimentazione di parte del suolo di transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata dal potere pubblicistico di cui all’art. 14 l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente esercitato dal Comune resistente (ex multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003 n. 23).
Infine la natura vincolata del potere esercitato dal Comune, in ragione degli interessi in gioco, depone nel senso che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato anche qualora fosse stato preceduto dal contraddittorio con il ricorrente, sollecitato a mezzo della comunicazione d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di appalti pubblici, è insufficiente ed inadeguata la motivazione inerente alla classifica delle concorrenti, elaborata dalla commissione di gara alla stregua di un punteggio numerico globale per ciascuna impresa.
In materia di gare d'appalto, il ricorso a giudizi espressi in numeri è sufficiente a motivare le scelte della commissione solo laddove nella lex specialis vi sia una previsione sufficientemente analitica in ordine alla divisione delle offerte in sottovoci ancorate a parametri di valutazione, tra un minimo ed un massimo, tali da rendere comprensibile le ragioni di scelta, le quali vanno differentemente esplicitate. Pertanto, la motivazione, ancorché in forma numerica, deve estendersi ai sub elementi dell'offerta, così come definiti dal bando o dalla commissione.
Pertanto, nel caso di specie, poiché la valutazione delle offerte tecniche è stata rappresentata da punteggi numerici complessivi attribuiti a ciascun progetto in gara senza l'estensione valutativa di cui si è detto, ovvero non essendo stata espressa, l'intera gara risulta viziata da lacune negli aspetti motivi delle scelte operate (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.05.2011 n. 4302 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIl provvedimento di revoca dell'aggiudicazione –e a maggior ragione quello di revoca dell’intera gara- richiede l'avviso di avvio del procedimento, ogni qualvolta le risultanze della procedura siano state approvate e la relazione fra le parti sia entrata già nella fase paritetica dell'esecuzione delle prestazioni, senza che, in tal caso, sia neppure applicabile il disposto dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.
La revoca della gara costituisce un'eccezione alla regola, in ragione di superiori e sopravvenute esigenze di interesse pubblico, e non può considerarsi legittima se il mutamento di avviso ha luogo a causa di una non meditata previa definizione dell'oggetto del contratto. In ogni caso, la revoca della gara –specialmente dopo la stipula del contratto– abbisogna di puntuale ed accurata motivazione sulla sopravvenuta diversa valutazione dell’interesse pubblico che ne aveva consigliato l’indizione.

Il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione –e a maggior ragione quello di revoca dell’intera gara- richiede l'avviso di avvio del procedimento, ogni qualvolta, come si è verificato nell’ipotesi in esame, le risultanze della procedura siano state approvate e la relazione fra le parti sia entrata già nella fase paritetica dell'esecuzione delle prestazioni, senza che, in tal caso, sia neppure applicabile il disposto dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990 (C.S., V, 23.10.2007, n. 5591; TAR Veneto, I, 15.10.2007, n. 3260; C.G.A., 31.03.2006, n. 129; TAR Lazio, III, 01.09.2004, n. 8180).
La previa definizione dell'oggetto della gara è un preciso dovere delle stazioni appaltanti, volto a garantire anche la posizione dei partecipanti. La revoca costituisce un'eccezione alla regola, in ragione di superiori e sopravvenute esigenze di interesse pubblico, e non può considerarsi legittima se il mutamento di avviso ha luogo a causa di una non meditata previa definizione dell'oggetto del contratto (C.S., V, 11.05.2009, n. 2882). In ogni caso, la revoca della gara –specialmente dopo la stipula del contratto– abbisogna di puntuale ed accurata motivazione sulla sopravvenuta diversa valutazione dell’interesse pubblico che ne aveva consigliato l’indizione (TAR Campania, Napoli, I, 04.11.2010, n. 22688) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 18.05.2011 n. 435 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La fissazione dei criteri idonei all'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), rientra nella discrezionalità della stazione appaltante.
La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e impingendo nel merito dell'azione amministrativa,è sottratta al sindacato di legittimità del G.A., salvo il caso in cui, in relazione a natura, oggetto e caratteristiche del contratto, non risulti manifestamente illogica, arbitraria, ovvero palesemente viziata da travisamento di fatto.
Nel caso di appalto integrato, come quello di specie, la stessa ampia possibilità di presentare varianti al progetto da parte dei candidati, comporta necessariamente un ampio margine di discrezionalità in capo alla Commissione, in quanto il bando e la lettera di invito non possono disciplinare totalmente le varianti che saranno presentate dai vari concorrenti.
Inoltre, anche la fissazione di sotto criteri da parte del bando, rientra nella discrezionalità tecnica della stazione appaltante. Non sussiste, infatti, alcun obbligo in capo alla stazione appaltante di fissazione di sub-criteri, atteso il disposto dell'art. 83 c. 4, del d.lgs. n. 163/06, il quale non prevede necessariamente l'esercizio di alcun obbligatorio esercizio di tale facoltà, alla quale può ricorrersi solo "ove necessario" (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 17.05.2011 n. 4251 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: PUBBLICITÀ E TRASPARENZA DELLE OPERAZIONI DI GARA: LA SEZIONE QUINTA RIMETTE LA QUESTIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA.
A breve distanza di tempo, la questione relativa alla pubblicità delle sedute di gara nelle procedure ad evidenza pubblica torna d’attualità, per effetto della pronuncia da parte della Sez. V del Consiglio di Stato dell’ordinanza 17.05.2011 n. 2987, qui segnalata.
Un’impresa che aveva partecipato ad una procedura per l’affidamento di un appalto relativo ad impianti di preselezione e bio-stabilizzazione a servizio del sistema di smaltimento di rifiuti solidi urbani aveva impugnato gli atti del procedimento prospettando, fra l’altro, la violazione degli obblighi generali di trasparenza che gravano sull’Amministrazione, derivante dall’omessa pubblicità della seduta in cui la Commissione aveva proceduto all’apertura delle buste contenenti gli elementi costitutivi dell’offerta tecnica, al fine di verificarne la completezza della documentazione.
Il TAR Sardegna–Cagliari, Sez. I, con sentenza n. 2299 del 2010 accoglieva tale censura affermando che il criterio della pubblicità delle sedute, nel corso delle quali la Commissione procede ai necessari adempimenti preordinati alla verifica della regolarità della documentazione richiesta dal lex specialis, è indefettibile, in quanto espressione, sia pure indiretta, del principio d’imparzialità di rilevanza costituzionale, posto a presidio degli interessi, sia pubblici, sia privati, alla possibilità di verificare la correttezza dell’attività amministrativa ad evidenza pubblica.
In questa prospettiva, il TAR riteneva che l’obbligo di pubblicità delle sedute di gara si dovesse estendere anche alla fase di valutazione delle offerte tecniche, limitatamente alla fase di apertura delle buste, con la conseguenza che il mancato rispetto di tale norma principio aveva inevitabilmente inficiato la legittimità della procedura.
Negli appelli promossi avverso tale sentenza, le parti soccombenti in primo grado contestavano la correttezza della motivazione resa sul punto richiamando i precedenti giurisprudenziali, anche del Consiglio di Stato, secondo il quale non sarebbe necessaria (e, anzi sarebbe preclusa) la possibilità di procedere in seduta pubblica all’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica.
La Sezione Quinta, nell’ordinanza di rimessione oggetto di segnalazione ricostruisce sinteticamente i due diversi indirizzi invalsi in materia, rilevando come sussiste un primo orientamento, più radicale, in virtù del quale l’obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara riguarderebbe esclusivamente la fase dell’apertura dei plichi contenenti la documentazione e l’offerta economica dei partecipanti e non anche la fase di apertura e valutazione delle offerte tecniche (cfr. Sezione V, 13.10.2010 n. 7470; 16.08.2010 n. 5722; 13.07.2010 n. 4520; 14.10.2009 n. 6311; 04.03.2008 n. 901; 100.01.2007 n. 45; Sez. IV, 05.04.2003 n. 1787).
Nell’ordinanza di rimessione si richiama anche il secondo indirizzo giurisprudenziale, minoritario, a tenore del quale l’obbligo di pubblicità deve intendersi esteso anche agli adempimenti relativi alla verifica dell’integrità dei plichi contenenti l’offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa sia che si tratti di documentazione in materia di offerta tecnica (cfr. Sezione V, 23.11.2010 n. 8155; 28.10.2008 n. 5386; Sezione VI, 22.04.2008 n. 1856; Sezione IV, 18.10.2007 n. 5217).
La Sezione rimettente non sembra propendere per uno dei due orientamenti in particolare, preoccupandosi piuttosto di mettere in evidenza i limiti connessi ad entrambi gli indirizzi appena richiamati.
Ed invero, quanto al primo orientamento, tendente a restringere la portata applicativa dell’obbligo di pubblicità delle sedute, osserva il Consiglio di Stato come “la necessità che la fase di valutazione delle offerte tecniche si svolga in seduta riservata non implica affatto che anche la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, attività materiale logicamente distinta ed in pratica agevolmente separabile da quella –necessariamente riservata– di valutazione, si svolga in seduta riservata, e quindi in deroga ai princìpi di trasparenza e di pubblicità”. Conseguentemente, la Sezione conclude sul punto non ravvisando “ragioni ostative a che le commissioni di gara procedano all’apertura delle buste in seduta pubblica, per poi procedere in seduta riservata alla valutazione delle relative offerte tecniche”.
Con riferimento al secondo orientamento, volto a dilatare l’obbligo di pubblicità delle sedute di gara, le perplessità manifestate attengono piuttosto alla constatazione che, di regola, “la mera constatazione dell’integrità delle buste, infatti, non soddisfa che in modo parziale le esigenze di trasparenza e pubblicità: essa non consente, infatti, ai concorrenti presenti di prendere contezza dei documenti recanti le offerte tecniche, così come avviene per i documenti amministrativi e per le offerte economiche”. In altri termini, un’indagine relativa al solo dato esteriore della busta contenente l’offerta tecnica, non accompagnata da una “ricognizione pubblica del contenuto documentale delle offerte”, non costituirebbe sufficiente ed adeguata garanzia rispetto al “pericolo di manipolazioni successive delle offerte proprie e di quelle altrui, eventualmente dovute ad inserimenti, sottrazioni o alterazioni di documenti”.
E’ interessante notare, peraltro, come la Sezione Quinta abbia espressamente respinto l’argomento difensivo contrario alla tesi dell’estensione dell’obbligo di pubblicità delle sedute, fondato sul dettato dell’art. 13, co. 2, lett. c) e co. 3, del d.lgs. n. 163 del 2006. Come noto tali disposizioni prevedono il differimento del diritto d’accesso agli atti delle procedure di gara concernenti anche i verbali della gara.
A tal proposito, il Collegio ha affermato come tale differimento debba intendersi come riferito alle sole ipotesi di “accesso esoprocedimentale (art. 22, legge n. 241/1990)”, ossia proposto da soggetto che non abbia partecipato alla gara, e non anche in quelle di ”accesso endoprocedimentale (art. 10, legge n. 241/1990, e s.m.i.)”, ossia proposto su istanza di altro operatore economico partecipante alla procedura (commento tratto da www.amministrazioneincammino.luiss.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Danno curriculare - Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma -comunque- economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il “danno curriculare”, il quale consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato “pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Danno curriculare - Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità.
Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma -comunque- economicamente valutabile, poiché di per sé accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto ritenersi risarcibile il “danno curriculare”, il quale consiste nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio “curriculum” professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 09.06.2008 n. 2751).
Tale pregiudizio, a prescindere dalla carenza di prove offerte dalla ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa subite, fuoriesce -altresì- dagli ambiti meramente probabilistici della valutazione delle chances e si pone in termini obiettivi per il fatto stesso dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato “pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla risarcibilità del danno curriculare derivante da illegittimi provvedimenti di esclusione da appalti pubblici.
La partecipazione ad un appalto pubblico, nonché la fase di esecuzione dello stesso, rappresentano per l'impresa concorrente un vantaggio economicamente valutabile, in quanto accresce la capacità di competere sul mercato e, dunque, la chance di ottenere l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il danno c.d. "curriculare", il quale consiste nel pregiudizio subito dall'impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione di un appalto dal quale si sia stati esclusi a causa del comportamento illegittimo dell'amministrazione.
Tale pregiudizio, peraltro, prescinde dalla carenza di prove offerte dal concorrente in ordine alle perdite economiche da esso patite, ponendosi in termini obiettivi per il fatto stesso dell'intervenuta esclusione dal mercato "pubblico", ed è quindi necessariamente valutabile dal giudice in termini equitativi, ai sensi dell'art. 1226 c.c.. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2011 n. 2955 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Nella licitazione privata l’individuazione in capo alle imprese partecipanti dei requisiti sostanziali richiesti dalla lettera di invito deve essere riferita al momento dell’aggiudicazione dell’appalto.
Nella licitazione privata la prequalificazione ha natura di autonoma fase sub procedimentale funzionalmente diretta ad una prima selezione dei soggetti da invitare sicché l’individuazione in capo alle imprese partecipanti dei requisiti sostanziali richiesti dalla lettera di invito non può essere anticipata alla preliminare fase della preselezione, ma deve essere riferita al momento della vera e propria individuazione del contraente, ossia al momento dell’aggiudicazione dell’appalto (cfr. sul punto, per tutte, Cons. Stato, sez. V, 10.12.1999, n. 811).
In ordine all’assunto di parte ricorrente che la stazione appaltante avrebbe dovuto richiedere l’integrazione della documentazione e delle dichiarazioni presentate in ordine al possesso dei requisiti, va considerato che l’integrazione non è utilizzabile in caso di totale assenza della dichiarazione del pregiudizio penale (cfr. Cons. Stato, V, 12.12.1997, n. 1185).
Peraltro, trattasi di requisito richiesto dalla legge in materia di appalti, prima ancora che dalla lex di gara a pena di esclusione e completamente omesso, rispetto al quale, come precisato dal giudice di prime cure, l’esercizio del c.d. potere di soccorso dell’amministrazione incontra l’invalicabile limite della par condicio, per definizione prevalente sul favor partecipationis invocato dal Consorzio ricorrente
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.05.2011 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINonostante l’art. 41 d.lgs. n. 163/2006 consenta alla P.A. appaltante di inserire nel bando di gara la richiesta della prova della capacità economica e finanziaria mediante una dichiarazione che riguardi sia il fatturato globale, sia il fatturato del settore oggetto dell’appalto, solamente la dichiarazione del primo dato è indispensabile per la legittimità del bando, nell’ambito della scelta discrezionale dei documenti più opportuni al fine di dimostrare il requisito in esame, mentre la richiesta del secondo dato è rimessa alla discrezionalità della P.A..
La più recente giurisprudenza ha chiarito che, nonostante l’art. 41 d.lgs. n. 163/2006 consenta alla P.A. appaltante di inserire nel bando di gara la richiesta della prova della capacità economica e finanziaria mediante una dichiarazione che riguardi sia il fatturato globale, sia il fatturato del settore oggetto dell’appalto, solamente la dichiarazione del primo dato è indispensabile per la legittimità del bando, nell’ambito della scelta discrezionale dei documenti più opportuni al fine di dimostrare il requisito in esame, mentre la richiesta del secondo dato è rimessa alla discrezionalità della P.A. (C.d.S., Sez. V, 23.02.2010, n. 1040).
Più specificamente, la giurisprudenza ora citata, cui il Collegio ritiene di aderire, ha evidenziato che i documenti ritenuti idonei dal Legislatore, ai sensi dell’art, 41, comma 1, cit., a dar prova della capacità economica e finanziaria delle imprese concorrenti, sono di tre tipi: le idonee dichiarazioni bancarie, finalizzate ad attestare l’affidabilità dell’impresa con riferimento al credito; i bilanci o gli estratti di bilanci dell’impresa, finalizzati a dimostrare la situazione (interna) contabile e finanziaria dell'impresa e, così, le sue effettiva capacità imprenditoriali; la dichiarazione riguardante il fatturato globale e l’importo relativo ai servizi e forniture oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre anni, il cui scopo è, piuttosto, quello di dimostrare le concrete capacità operative dell’impresa concorrente.
Poiché tali autonome categorie di documenti, malgrado l’ora vista diversità di contenuto e funzioni, sono state giudicate dal Legislatore tutte ugualmente idonee, anche isolatamente prese, a dimostrare la capacità economica e finanziaria di un’impresa concorrente, tanto che spetta alla P.A. appaltante, nella sua discrezionalità, di scegliere tra uno o più dei documenti stessi, la giurisprudenza in parola ha concluso che non occorre che la dichiarazione ex art. 41, comma 1, lett. c), debba indicare sia il fatturato globale dell’impresa, sia l’importo relativo ai servizi o forniture oggetto di gara, realizzati negli ultimi tre anni, bastando, per la legittimità del bando, che la P.A. pretenda la dichiarazione di uno solo di tali dati.
Ed anzi, la direttiva n. 18/2004/CE prevede (art. 47) che la capacità economica e finanziaria dell’operatore economico possa essere provata tramite una serie di elementi, tra i quali “una dichiarazione concernente il fatturato globale e, se del caso, il fatturato del settore di attività oggetto dell’appalto, al massimo per gli ultimi tre esercizi disponibili….”: donde la conclusione che solamente la dichiarazione del primo dato, concernente il fatturato globale, è indispensabile, mentre, come già detto, l’imposizione della dichiarazione concernente (anche) il secondo dato, sul fatturato specifico, è rimessa alla scelta discrezionale della P.A., il cui concreto esercizio sfugge al sindacato di legittimità quando non risulti essere manifestamente illogica, arbitraria, irragionevole, irrazionale (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 1040/2010, cit.) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 16.06.2011 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Solo le violazioni «gravi» escludono il concorrente.
I CRITERI - L'infedeltà fiscale diventa rilevante quando supera i 10mila euro Semplificate le dichiarazioni sull'assunzione di disabili.
Anche bandi e disciplinari di gara vanno adeguati alle nuove norme del Dl sviluppo, che modificano molti elementi dei requisiti di ordine generale.
Il Dl (articolo 4, comma 3) stabilisce che le modifiche all'articolo 38 del codice appalti si applicano alle gare indette dopo la sua entrata in vigore. Le amministrazioni sono quindi chiamate a reimpostare le parti degli atti di gara che disciplinano la resa delle dichiarazioni sull'assenza di cause ostative a contrattare, in quanto l'utilizzo di format non attualizzati potrebbe determinare comportamenti diversi da parte dei concorrenti e, pertanto, mettere a rischio la gara.
Il Dl sviluppo, anzitutto, amplia e chiarisce il novero dei soggetti per i quali vanno rese le dichiarazioni sull'insussistenza di misure di prevenzione e di condanne penali: ad esempio, queste devono essere prodotte nelle Snc per tutti i soci e nelle società di capitali per il socio unico. Il periodo di riferimento per i soggetti cessati dalle cariche non è più di tre anni, ma di uno, comunque antecedente alla data di pubblicazione del bando.
Sulla situazione penale, in base al nuovo articolo 38, comma 2, il concorrente non è tenuto a indicare nella dichiarazione le condanne quando il reato è stato depenalizzato o se è intervenuta la riabilitazione, quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna oppure la condanna è stata revocata.
Le stazioni appaltanti devono reimpostare le dichiarazioni dei requisiti relative alle violazioni di norme sulla sicurezza sul lavoro (la norma ora non prevede più la limitazione a quelle inserite del casellario informatico) e di quelle relative agli obblighi tributari, per le quali è ora previsto che siano gravi. Il comma 2 individua le soglie di gravità per le violazioni di obblighi di sicurezza sul lavoro, contributivi e previdenziali (riferendole a norme vigenti), ma soprattutto determina l'indicatore di gravità per le violazioni di obblighi tributari e fiscali, stabilendolo nel valore superiore ai 10mila euro.
I concorrenti devono evidenziare in modo più preciso la sussistenza dell'iscrizione nel casellario informatico per aver reso false dichiarazioni in sede di gara o per l'ottenimento della Soa, e non più ad attestare genericamente il comportamento virtuoso.
Il nuovo comma 1-ter precisa anche i compiti della stazione appaltante, che deve segnalare all'autorità se ritiene che le dichiarazioni false siano state rese con dolo o colpa grave, valutando la rilevanza o la gravità della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione.
Le amministrazioni devono correggere anche le indicazioni dei disciplinari relative alle dichiarazioni sul rispetto delle norme in materia di assunzioni obbligatorie dei disabili (semplificata in questi termini) e sull'eventuale mancata denuncia di estorsioni.
Le stazioni appaltanti devono evidenziare agli operatori economici anche il nuovo sistema di dichiarazioni alternative in merito alla partecipazione alla gara con società con cui si trovino in condizioni di controllo (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: La trattativa privata va motivata. Vanno dimostrati i presupposti che giustificano l'iter semplificato.
Le pubbliche amministrazioni possono affidare appalti di lavori entro il valore di un milione di euro con procedura negoziata, ma devono assicurare un minimo confronto concorrenziale con la gara informale.
Il Dl Sviluppo riformula l'articolo 122 del Dlgs 163/2006, razionalizza la disciplina della procedura negoziata ed elimina la norma che prevedeva un tetto massimo a 100mila euro, ma non indicava regole selettive.
I lavori fino a un milione di euro possono quindi essere affidati dal responsabile del procedimento tramite procedura negoziata, ma rispettando alcuni dei principi dell'ordinamento Ue (trasparenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità) e dovendo effettuare una gara informale fra un numero minimo di operatori economici. Anche nel nuovo quadro, comunque, la procedura negoziata è considerata una fattispecie eccezionale, che si integra con le altre ipotesi previste dall'articolo 57 del codice. Le stazioni appaltanti devono quindi dimostrare l'esistenza di adeguati presupposti per poter utilizzare il percorso semplificato (ad esempio l'urgenza derivante dall'esigenza di avviare il cantiere entro termini prefissati per non perdere finanziamenti comunitari).
Il modulo operativo che la stazione appaltante deve seguire per la selezione è espressamente stabilito nel format disciplinato dall'articolo 57, comma 6 dello stesso codice dei contratti. La stazione appaltante deve quindi prima di tutto procedere all'individuazione degli operatori economici da invitare alla gara ufficiosa, mediante indagine di mercato. L'Avcp ha evidenziato (documento istruttorio del dicembre 2010) che questa fase deve avere un'adeguata pubblicità, e che la concreta individuazione dei soggetti da invitare al confronto possa essere effettuata mediante l'applicazione di criteri reputazionali o mediante sorteggio.
La stessa autorità ha anche ammesso la formazione di elenchi di operatori economici, dai quali estrapolare i soggetti da invitare: per essere compatibili con il divieto previsto dall'articolo 40, comma 5, del codice, gli elenchi devono essere configurati come "aperti" e non devono determinare la condizione esclusiva per l'ammissione alle gare informali.
Secondo la nuova regola, il responsabile del procedimento deve rivolgere l'invito ad almeno cinque soggetti quando l'importo dell'appalto è inferiore a 500mila euro, e ad almeno dieci quando il valore è tra 500mila e un milione di euro.
Nello svolgimento delle gare il rispetto dei principi dell'ordinamento Ue richiede che alcune fasi abbiano adeguata trasparenza: l'apertura delle offerte dovrà pertanto avvenire in seduta pubblica. La tempistica per la presentazione delle offerte è individuata dallo stesso articolo 122 del codice (comma 6, lettera d) in 10 giorni dall'invio della lettera di invito, salvo che non vi siano ragioni di urgenza (che andranno evidenziate).
Nell'area tra 500mila e un milione di euro, quando utilizzano come criterio di valutazione quello del prezzo più basso, le Pa possono esplicitare nella lettera di invito che si opererà l'esclusione automatica delle offerte anormalmente basse (in base all'articolo 122, comma 9), a condizione comunque che pervengano almeno dieci offerte.
L'applicazione della gara informale definita dall'articolo 57, comma 6, del codice comporta anche l'applicazione del principio di rotazione (richiamato nella norma), per cui le stazioni appaltanti non possono affidare lavori ulteriori all'aggiudicatario della gara informale per un certo periodo (che va dichiarato), e non lo possono invitare alle procedure selettive ufficiose.
La nuova norma introduce anche obblighi di pubblicità dell'aggiudicazione, che va resa nota con pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, sul sito del ministero delle infrastrutture (www.serviziobandipubblici.it) e sul sito dell'osservatorio regionale (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Da cancellare le clausole non sostenute da leggi.
I LIMITI - Le richieste possono riguardare adempimenti necessari a garantire la completezza e la segretezza delle offerte.

I bandi e i disciplinari di gara non possono contenere clausole di esclusione dei concorrenti che non siano fondate su obblighi normativi o su adempimenti che garantiscano i principi di completezza e di segretezza delle offerte.
Il Dl sviluppo introduce nel l'articolo 46 del codice appalti una nuova disposizione (comma 1-bis) che stabilisce la tassatività dei casi in cui la violazione delle regole di una procedura selettiva possono determinare l'esclusione del concorrente.
La norma stabilisce anzitutto che la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Dlgs 163/2006, dal Dpr 207/2010 e da altre disposizioni di legge vigenti.
Nell'ambito del codice dei contratti pubblici sono facilmente individuabili varie disposizioni che esplicitano l'esclusione in caso di mancato rispetto dell'adempimento, come ad esempio in caso di partecipazione alla stessa gara del consorzio e del consorziato (articolo 37, comma 7), oppure in caso di mancato impegno del fideiussore nella garanzia provvisoria a rilasciare garanzia definitiva (articolo 75, comma 8).
Le cause di esclusione esplicite sono rilevabili anche in altre fonti, come all'articolo 1, comma 67, della legge 266/2005, in base al quale l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici all'Avcp è condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di appalti; quindi il mancato pagamento del contributo costituisce causa di esclusione dalla gara.
Le stazioni appaltanti possono prevedere clausole di esclusione anche in relazione ad adempimenti relativi alla presentazione delle offerte, quando vi sia incertezza assoluta sul contenuto (ad esempio se un plico non fa riferimento alla gara) o sulla provenienza dell'offerta (come quando mancano i riferimenti del mittente), ma anche quando l'offerta non sia stata sottoscritta o manchino altri elementi essenziali (che devono essere esplicitamente indicati).
Le clausole di esclusione possono essere correlate a obblighi o condizioni richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici. In tal senso possono essere riferite all'integrità dei plichi contenenti le offerte o le domande di partecipazione, ma anche alla loro chiusura, quando il mancato rispetto della previsione possa far ritenere, secondo circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Al di fuori di questi presupposti, i bandi, i disciplinari di gara e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Pertanto non potrà essere più prevista l'esclusione in caso di mancato sopralluogo, così come non potrà aversi esclusione in caso di mancato raggiungimento dell'eventuale soglia di sbarramento qualitativo, riportata alla parte tecnico-qualitativa delle offerte.
Qualora l'amministrazione intendesse comunque prevedere clausole di esclusione correlate a obblighi non previsti normativamente o non tutelanti integrità e segretezza dei plichi, deve tener conto che l'articolo 46, comma 1-bis, del codice ne prevede la nullità (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Domande e risposte sui contratti pubblici. Una interessante pubblicazione del Ministero delle Infrastrutture.
"...è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento?”
“...è obbligatoria o facoltativa la vidimazione del registro di contabilità di cui all'art. 183, DPR 554/1999?”
“...cosa si intende per stazione appaltante di ambito statale e/o di interesse nazionale o sovra regionale?”
“... qualora si ricorra alla procedura negoziata, è obbligatoria la fase di preselezione (sul tipo delle procedure ristrette) o è possibile richiedere direttamente ai concorrenti di presentare l'offerta?”
(...)

A queste domande (e non solo) risposte chiare e precise dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha pubblicato un utile documento che si prefigge lo scopo di fornire risposte ai quesiti più frequenti in materia di contratti pubblici.
Il volume contiene una selezione dei quesiti pubblicati dal Servizio di Supporto Giuridico con le relative risposte e pareri di interesse generale resi alle stazioni appaltanti per la corretta applicazione della normativa nazionale e regionale in materia di appalti pubblici.
Esso rappresenta un utile strumento di consultazione per tutti gli operatori del settore.
Le principali sezioni di cui si compone il documento con domande e relative risposte sono:
- Affidamenti in economia - Anomalia dell'offerta - Appalti integrati - Associazioni temporanee di impresa - Criteri di aggiudicazione - DURC - DUVRI - Esecuzione del contratto - Prezzo - Procedura negoziata - Procedure di aggiudicazione - Progettazione - Risoluzione del contratto - Sicurezza - Subappalto - Altro (link a www.acca.it).

APPALTI: R. Codebò, Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Appalti, la linea di confine tra offerta tecnica e offerta economica (link a www.ipsoa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: F. Ballardin, Contratti pubblici: l’ammissibilità del rinnovo nei contratti della P.A. (link a www.altalex.com).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In merito al cosiddetto "decreto sviluppo" (D.L. 13.05.2011 n. 70) si legga anche l'interessante relazione di accompagnamento al decreto-legge per la relativa conversione in legge al fine di poter comprendere appieno la ratio dell'articolato.

APPALTI SERVIZI: Servizi di pulizia degli edifici - Direttive 17/2004 e 18/2004 - Assoggettabilità alla disciplina dettata per i settori speciali - Parametro oggettivo - Pulizia di proprietà immobiliari ed edifici costituenti parte integrante delle reti di produzione, distribuzione e trasporto.
I servizi di pulizia degli edifici e di gestione delle proprietà immobiliari sono previsti negli allegati sia della direttiva europea n. 17/2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, sia della n. 18/2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
Ne deriva che l’assoggettabilità dell’affidamento del servizio di pulizia alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità della pulizia all’attività speciale.
In altri termini, la pulizia rientra nella normativa dei settori speciali quando è funzionale a detta attività, il che si verifica qualora si tratti di proprietà immobiliari ed edifici che costituiscano parte integrante delle reti di produzione, distribuzione e trasporto indicate negli articoli 208 e ss. del d.lgs. n. 163 del 2006 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.05.2011 n. 2919 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE: Aggiudicazione in favore di una ditta che ha offerto attrezzature non corrispondenti alla descrizione degli allegati tecnici del capitolato, ma che assicurino comunque le prestazioni richieste.
Nel caso in cui il bando di una gara di appalto per l’aggiudicazione di forniture preveda espressamente che, in sede di scrutinio delle offerte tecniche da parte della commissione di gara, "saranno comunque prese in considerazione ed opportunamente valutate proposte di prodotti in grado di garantire le medesime prestazioni delle apparecchiature specificate negli allegati al presente capitolo", è legittima l’aggiudicazione in favore di una ditta che ha offerto attrezzature che, pur non essendo corrispondenti alla descrizione degli allegati tecnici del capitolato, siano comunque idonee ad assicurare alla stazione appaltante le medesime prestazioni dei prodotti specificamente richiesti dalla lex specialis; in tal caso, infatti, il criterio utilizzato dalla P.A. è quello delle equivalenza delle prestazioni tra i diversi prodotti, con la conseguenza che, in sostanza, la stazione appaltante, pur indicando negli allegati del capitolato una certa tipologia di apparecchiature, non si è preclusa la possibilità di ottenere e valutare proposte di prodotti ulteriori, egualmente idonei ad assicurare alla amministrazione le prestazioni richieste (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella specie, se non fosse stata apposta nel bando la riserva secondo cui alla commissione di gara era riconosciuta la possibilità di prendere in considerazione e valutare opportunamente proposte di prodotti in grado di garantire le medesime prestazioni delle apparecchiature specificate nella lex specialis, la gara per cui si controverte non avrebbe potuto che essere aggiudicata alla odierna appellante, ma ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’art. 68, co. 2, del codice degli appalti, a mente del quale le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazioni di ostacoli ingiustificati alla libera concorrenza.
Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sottolineato che nei casi in cui le specifiche tecniche risultino tutte incentrate su un prodotto già confezionato dalle imprese produttrici, il riferimento tecnico deve essere necessariamente temperato attraverso il riferimento al concetto di equivalenza (Cons. Stato, V, 24.07.2007 n. 4138; VI 19.09.2007 n. 4884). Infatti non possono essere introdotte specifiche tecniche che menzionino prodotti di una fabbricazione o di una provenienza determinata e procedimenti particolari aventi l’effetto di favorire o eliminare talune imprese in assenza del temperamento con criterio di equivalenza
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.05.2011 n. 2905 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Bando per appalti di forniture. Legittimità dell’aggiudicazione in favore di una ditta che ha offerto attrezzature non corrispondenti alla descrizione degli allegati tecnici del capitolato, nel caso in cui assicurino alla P.A. le prestazioni richieste.
Nel caso in cui il bando di una gara di appalto per l’aggiudicazione di forniture preveda espressamente che, in sede di scrutinio delle offerte tecniche da parte della commissione di gara, "saranno comunque prese in considerazione ed opportunamente valutate proposte di prodotti in grado di garantire le medesime prestazioni delle apparecchiature specificate negli allegati al presente capitolo", è legittima l’aggiudicazione in favore di una ditta che ha offerto attrezzature che, pur non essendo corrispondenti alla descrizione degli allegati tecnici del capitolato, siano comunque idonee ad assicurare alla stazione appaltante le medesime prestazioni dei prodotti specificamente richiesti dalla lex specialis; in tal caso, infatti, il criterio utilizzato dalla P.A. è quello dell’equivalenza delle prestazioni tra i diversi prodotti, con la conseguenza che, in sostanza, la stazione appaltante, pur indicando negli allegati del capitolato una certa tipologia di apparecchiature, non si è preclusa la possibilità di ottenere e valutare proposte di prodotti ulteriori, egualmente idonei ad assicurare alla amministrazione le prestazioni richieste (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella specie, se non fosse stata apposta nel bando la riserva secondo cui alla commissione di gara era riconosciuta la possibilità di prendere in considerazione e valutare opportunamente proposte di prodotti in grado di garantire le medesime prestazioni delle apparecchiature specificate nella lex specialis, la gara per cui si controverte non avrebbe potuto che essere aggiudicata alla odierna appellante, ma ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’art. 68, co. 2, del codice degli appalti, a mente del quale le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazioni di ostacoli ingiustificati alla libera concorrenza.
Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sottolineato che nei casi in cui le specifiche tecniche risultino tutte incentrate su un prodotto già confezionato dalle imprese produttrici, il riferimento tecnico deve essere necessariamente temperato attraverso il riferimento al concetto di equivalenza (Cons. Stato, V, 24.07.2007 n. 4138; VI 19.09.2007 n. 4884).
Infatti non possono essere introdotte specifiche tecniche che menzionino prodotti di una fabbricazione o di una provenienza determinata e procedimenti particolari aventi l’effetto di favorire o eliminare talune imprese in assenza del temperamento con criterio di equivalenza
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.05.2011 n. 2905 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIOfferte anomale, no alla congruità de relato.
Nel caso in esame, dopo una lunga analisi, i giudici amministrativi affermano che i sospetti di anomalia sono avallati dalla mancata indicazione dei costi per la formazione retribuita al personale e per i 25 operatori "jolly" utilizzati; per i primi, in particolare, il Tribunale si richiama alla relazione dell'esperto incaricato dall'amministrazione. Fuorviante è il richiamo della ricorrente all'offerta economica e ai costi del precedente appalto (alla stessa aggiudicato) poiché da un lato il Comune ha correttamente rilevato la maturazione di scatti di anzianità e l'incidenza (allora non prevista) del costo del pasto.
E' certamente di rilevante interesse la recente sentenza 13.05.2011 n. 693 del TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sulla ratio del procedimento di verifica della congruità dell'offerta anomale.
La vicenda nasce a seguito di un ricorso presentato da una ditta partecipante ad una procedura aperta indetta da un ente locale lombardo per l'aggiudicazione del servizio di assistenza e di integrazione scolastica degli alunni disabili nelle scuole e nei centri estivi per il periodo 01/09/2010-31/08/2014. Il sistema di aggiudicazione previsto era quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, mentre l'importo contrattuale stimato era di quasi € 8.000,00.
Dopo l'aggiudicazione provvisoria disposta a favore della ricorrente (una Associazione Temporanea di Impresa) , con nota dell'agosto 2010 la stazione appaltante attivava la procedura di verifica dell'anomalia. L'ATI aggiudicataria esibiva il prospetto di scomposizione del prezzo offerto, che dava conto di un costo sostenuto per il personale suddiviso per categoria.
Erano, altresì, indicati i costi per la sicurezza e la formazione, gli altri costi e i costi generali. Dopo un nutrito scambio di corrispondenza e un incontro in contraddittorio, l'amministrazione adottava l'atto impugnato, che si fonda sull'inverosimiglianza dell'utilizzo di contratti a tempo determinato per un rapporto di durata quadriennale e sul mancato riscontro economico.
Cenni sulle offerta anomale.
Una delle patologie piuttosto frequenti nel sistema degli appalti di opere pubbliche consiste nell'anomalia delle offerte. Il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso, dovuto in particolare modo all'eccessiva rigidità e all'assenza di discrezionalità in capo all'amministrazione presenta in molti casi il rischio dell'anomalia dell'offerta.
Tale situazione si verifica sovente in seguito al fatto che la ditta cerca ad ogni costo di aggiudicarsi l'appalto arrivando spesso, a formulare offerte, che in maniera piuttosto evidente, non coprono neppure i costi. E' definita quindi offerta anomala "quell'offerta che, pur soddisfacendo l'esigenza di aggiudicare l'appalto al prezzo più basso possibile, tuttavia, proprio a causa dell'eccessivo ribasso non è in grado di assicurare da parte del soggetto aggiudicatario il corretto e integrale soddisfacimento delle prestazioni contrattuali prefissate, con conseguenti danni all'interesse pubblico alla migliore e più celere esecuzione dell'appalto".
Questo fenomeno trova le sue radici soprattutto nella carenza normativa contenuta nella legge quadro dei lavori pubblici (legge 11.02.1994, n. 109), vuoto normativo che in parte il legislatore ha tentato di colmare con la legge di conversione n. 216 del 02.06.1995, del decreto legge n. 101/1995, meglio conosciuta come Merloni-bis. Il nuovo codice sugli appalti, di cui al D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. con riferimento al problema delle offerte anomale interviene cercando di definirne i criteri di individuazione.
In particolare l'articolo 87 del nuovo testo sugli appalti individua, a titolo esemplificativo, le possibili giustificazioni, al riguardo, che possono essere:
- l'economia del procedimento di costruzione, del processo di fabbricazione, del metodo di prestazione del servizio;
- le soluzioni tecniche adottate;
- le eccessivi condizioni di favore che la società offerente dispone per eseguire i lavori, per fornire i prodotti o per prestare i servizi;
- l'originalità del progetto, dei lavori, dei servizi offerti;
- il rispetto delle norme vigenti in tema di sicurezza e condizioni di lavoro;
- l'eventualità che l'offerente ottenga un aiuto di Stato;
- il costo del lavoro.
Inoltre proprio con riferimento a quest'ultimo punto il nuovo codice dispone che non sono ammesse, sempre con riferimento alle offerte anomale, giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi.
La norma contenuta nell'articolo 87, relativo ai criteri di verifica dell'offerta anormalmente bassa, non appare chiara per quanto attiene, i costi della sicurezza e i minimi salariali. Su questi due aspetti il legislatore avrebbe dovuto fare uno sforzo maggiore per portare chiarezza su un tema così scottante, come quello del rispetto in tema di sicurezza e condizioni di lavoro e i minimi salariali, e la relativa relazione con i criteri di verifica delle offerte anomale. In pratica sarebbe stato più opportuno indicare, per esempio, anche con delle percentuali o dei rapporti , l'incidenza che questi due elementi potrebbero avere con le offerte anomale.
La sentenza dei giudici amministrativi.
I giudici amministrativi del TAR Lombardo sostengono che la verifica di anomalia dell'offerta costituisce un sub-procedimento formalmente distinto (ancorché collegato) rispetto al procedimento di evidenza pubblica di individuazione della proposta migliore, e si esprime in un'indagine di contenuto tecnico-economico secondo una precisa ratio di fondo che è quella di evitare l'aggiudicazione a prezzi tali da non garantire la qualità del lavoro, fornitura o servizio oggetto di affidamento.
La giurisprudenza prevalente ha ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
I giudici amministrativi affermano che nella specifica materia delle offerte anomale si è peraltro affermato un indirizzo giurisprudenziale che, dalle originarie e consolidate posizioni di chiusura ad un'indagine penetrante sullo svolgimento del sub-procedimento di verifica, con contestuale affermazione dell'insindacabilità di quest'ultimo, salvi i casi di manifesta illogicità o di travisamento dei fatti, è progressivamente giunto ad ammettere il controllo della correttezza del criterio valutativo adottato e del relativo procedimento applicativo, oltre che l'esame della coerenza e dell'uniformità del parametro prescelto.
Nel caso in esame, dopo una lunga analisi, i giudici amministrativi affermano che i sospetti di anomalia sono avallati dalla mancata indicazione dei costi per la formazione retribuita al personale e per i 25 operatori "jolly" utilizzati; per i primi, in particolare, il Tribunale si richiama alla relazione dell'esperto incaricato dall'amministrazione. Fuorviante è il richiamo della ricorrente all'offerta economica e ai costi del precedente appalto (alla stessa aggiudicato) poiché da un lato il Comune ha correttamente rilevato la maturazione di scatti di anzianità e l'incidenza (allora non prevista) del costo del pasto.
In ogni caso non è assolutamente possibile sostenere la validità di un piano economico finanziario mediante il richiamo ad un precedente rapporto che non ha costituito oggetto di contestazione.
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto per le numerose spie strutturali di inaffidabilità riscontrate nell'offerta, senza che assuma rilevanza l'omessa valutazione del documento sull'assenteismo e senza necessità di disporre una CTU (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia" (D.L. 13.05.2011 n. 70).
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In Gazzetta Ufficiale il "decreto sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante, in merito:
- agli appalti (art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e precisamente:
a) estensione del campo di applicazione della finanza di progetto, anche con riferimento al cosiddetto "leasing in costruendo";
b) limite alla possibilità' di iscrivere "riserve";
c) introduzione di un tetto di spesa per le "varianti";
d) introduzione di un tetto di spesa per le opere cosiddette "compensative";
e) contenimento della spesa per compensazione,in caso di variazione del prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f) riduzione della spesa per gli accordi bonari;
g) istituzione nelle Prefetture di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h) disincentivo per le liti "temerarie";
i) individuazione, accertamento e prova dei requisiti di partecipazione alle gare mediante collegamento telematico alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
l) estensione del criterio di autocertificazione per la dimostrazione dei requisiti richiesti per l'esecuzione dei lavori pubblici;
m) controlli essenzialmente "ex post" sul possesso dei requisiti di partecipazione alle gare da parte delle stazioni appaltanti;
n) tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare, cause che possono essere solo quelle previste dal codice dei contratti pubblici e dal relativo regolamento di esecuzione e attuazione, con irrilevanza delle clausole addizionali eventualmente previste dalle stazioni appaltanti nella documentazione di gara;
o) obbligo di scorrimento della graduatoria, in caso di risoluzione del contratto;
p) razionalizzazione e semplificazione del procedimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q) innalzamento dei limiti di importo per l'affidamento degli appalti di lavori mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per l'accesso alla procedura semplificata ristretta per gli appalti di lavori. Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta anni la soglia per la presunzione di interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del permesso di costruire ed in  materia di SCIA (art. 5 - Costruzioni private) e precisamente:
a) introduzione del "silenzio assenso" per il rilascio del permesso di costruire, ad eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali;
b) estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività' (DIA);
c) tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura";
d) la registrazione dei contratti di compravendita immobiliare assorbe l'obbligo di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza;
e) per gli edifici adibiti a civile abitazione l'"autocertificazione" asseverata da un tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta relazione "acustica";
f) obbligo per i Comuni di pubblicare sul proprio sito istituzionale gli allegati tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) per gli strumenti attuativi di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane. Termine fisso per eventuali normative regionali;
- agli adempimenti burocratici di atti amministrativi (art. 6 - Ulteriori riduzione e semplificazione degli adempimenti burocratici) e precisamente:
a) in corretta applicazione della normativa europea le comunicazioni relative alla riservatezza dei dati personali sono limitate alla tutela dei cittadini, conseguentemente non trovano applicazione nei rapporti tra imprese;
b) le pubbliche amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito istituzionale l'elenco degli atti e documenti necessari per ottenere provvedimenti amministrativi; altri atti o documenti possono essere richiesti solo se strettamente necessari e non possono costituire ragione di rigetto dell'istanza del privato;
c) riduzione degli adempimenti concernenti l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d) facoltà di effettuare "on line" qualunque transazione finanziaria ASL-imprese e cittadini;
e) per i trasporti eccezionali l'attuale autorizzazione prevista per ciascun trasporto e' sostituita, per i trasporti della medesima tipologia ripetuti nel tempo, da un autorizzazione periodica da rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in questione è in vigore già da sabato scorso (14.05.2011) e che da oggi ci si pone il problema, uno fra tanti, di come istruire le richieste di permesso di costruire pervenute: si applica il novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011 oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo, incontrovertibile che la SCIA si applica anche in  materia edilizia??

Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei giorni scorsi e non appena di dominio pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della Regione Lombardia affinché intervenga tempestivamente con una nota chiarificatrice al fine di non lasciare allo "sbando operativo" i 1.546 comuni lombardi così come già successo l'anno scorso con l'introduzione -nel panorama legislativo nazionale (e regionale)- della famigerata SCIA, per la quale la Regione Lombardia intervenne, fugando affatto i dubbi che ancora oggi permangono in merito alla sussistenza della stessa in materia edilizia, con il proprio comunicato 08.10.2010 dopo la bellezza di 70 giorni che la SCIA era già entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

APPALTI SERVIZIAppalto pubblico di servizi e concessione di servizi e forniture: quale differenza?
Domanda.
Qual è la differenza tra appalto pubblico di servizi e concessione di servizi e forniture?
Risposta.
La questione se un'operazione debba essere qualificata come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi deve essere valutata esclusivamente alla luce del diritto dell'Unione Europea.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto pubblico di servizi e di concessione di servizi, forniture, rispettivamente, dal numero 2, lettere a) e d), e dal numero 4 dell'art. 1 della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE, risulta che la differenza tra un appalto pubblico di servizi e una concessione di servizi risiede nel corrispettivo della prestazione di servizi.
L'appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza peraltro essere l'unico, è versato direttamente dall'Amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre, nel caso di una concessione di servizi, il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo.
Nel caso di un contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi, la circostanza che la controparte contrattuale non sia direttamente remunerata dall'Amministrazione aggiudicatrice, ma abbia il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi, è sufficiente a soddisfare il requisito di un corrispettivo, previsto dall'art. 1, numero 4, della Dir. 31-03-2004, n. 2004/18/CE.
Se è vero che la modalità di remunerazione è, quindi, uno degli elementi determinanti per la qualificazione come concessione di servizi, dalla Giurisprudenza risulta inoltre che la concessione di servizi implica che il concessionario si assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione e che il mancato trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione dei servizi indica che l'operazione in parola rappresenta un appalto pubblico di servizi e non una concessione di servizi (13.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di errori materiali nelle domande di partecipazione anche di tipo omissivo, commessi in buona fede, non è possibile da parte della stazione appaltante disporre la sanzione espulsiva peraltro se neppure contemplata dalla normativa di gara.
Nell'ipotesi in cui nelle domande di partecipazione ad una gara pubblica si riscontrino dei meri errori materiali che non vanno ad inficiare la regolarità della fase procedurale ed in particolare non incidono su aspetti di tipo sostanziale del rapporto contrattuale che in fieri si va a formare, non può attuarsi la misura sanzionatoria, quale quella dell'esclusione dalla gara che risulterebbe del tutto sproporzionata ed illogica, oltreché non rispettosa del principio del favor partecipationis.
Pertanto, a fronte di errori materiali, anche di tipo omissivo, commessi in buona fede ed irrilevanti per i quali non si richiede neppure la integrazione o regolarizzazione, a fortiori, non è possibile da parte della stazione appaltante disporre la sanzione espulsiva, peraltro se neanche contemplata dalla normativa di gara (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2011 n. 2860 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'affidamento della gestione della sede farmaceutica rurale ad un concorrente nonostante la dichiarazione che ha reso non riproduca esattamente la formulazione prevista dal bando.
Non si applicano le specifiche disposizioni previste dal d.lgs. n.163/2006 (codice dei contratti) per l'affidamento di una farmacia da parte della amministrazione comunale, trattandosi di concessione di un servizio pubblico.

Le clausole della "lex specialis", ancorché contenenti comminatorie di esclusione, non possono essere applicate meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, e debbono essere valutate alla stregua dell'interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata la preferenza al "favor partecipationis".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo l'affidamento della gestione della sede farmaceutica rurale al concorrente che si è comunque impegnato a fornire la garanzia che gli veniva richiesta, precisando che lo avrebbe fatto mediante dichiarazione bancaria, ed anzi ha semmai aggiunto qualcosa di più, a dimostrazione della propria affidabilità, avendo dato atto di essere in possesso di una solida situazione patrimoniale.
In sostanza la dichiarazione resa dall'aggiudicatario, anche se non esattamente conforme al modello indicato nel bando, è tale da soddisfare pienamente l'interesse della amministrazione appaltante ad acquisire l'impegno del concorrente alla prestazione della garanzia che gli veniva richiesta.
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Considerato che, l'affidamento della farmacia da parte della amministrazione comunale si risolve nella concessione di un servizio pubblico, a norma di quanto stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n.163/2006 non si applicano le specifiche disposizioni previste dal codice dei contratti, ma semmai "i principi generali relativi ai contratti pubblici" (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.05.2011 n. 2851 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa lex specialis della gara è quella che regolamenta il procedimento di scelta del contraente e il giudice, quando la stessa non assume aspetti di illogicità, non può sostituirsi all’amministrazione nel sua etero integrazione. D’altro canto anche la pubblica amministrazione è rigidamente vincolata dalla lex specialis non potendo di regola disporre l'esclusione dalla gara per cause diverse da quelle ivi espressamente previste.
Qualora le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 presentino delle irregolarità o delle omissioni rilevabili di ufficio, non costituenti falsità, il funzionario competente a ricevere la documentazione dà notizia all'interessato di tale irregolarità. Questi è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione; in mancanza il procedimento non ha seguito.

La lex specialis della gara è quella che regolamenta il procedimento di scelta del contraente e il giudice, quando la stessa, come nel caso che occupa, non assume aspetti di illogicità, non può sostituirsi all’amministrazione nel sua etero integrazione. D’altro canto anche la pubblica amministrazione è rigidamente vincolata dalla lex specialis non potendo di regola disporre l'esclusione dalla gara per cause diverse da quelle ivi espressamente previste, in virtù del principio dell'autovincolo e dell'affidamento, corollari dell'art. 97 cost. (Cons. Stato , sez. V, 10.11.2010, n. 8003; V, 22.03.2010 n. 1652).
Ritiene tuttavia la Sezione di aderire all’orientamento giurisprudenziale che consente la sanabilità delle irregolarità diverse dalla falsità in ragione della funzione che la dichiarazione di cui trattasi esplica, e cioè di assicurare la paternità della dichiarazione (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7339). In questi casi viene in rilievo l'art. 71, terzo co., dello stesso D.P.R. n. 445 del 2000 che prevede che «qualora le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 presentino delle irregolarità o delle omissioni rilevabili di ufficio, non costituenti falsità, il funzionario competente a ricevere la documentazione dà notizia all'interessato di tale irregolarità. Questi è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione; in mancanza il procedimento non ha seguito» (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.05.2011 n. 2841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Annullamento del provvedimento impugnato inutile: permane diritto al risarcimento.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha riformato la decisione del Tar Campania n. 16615/2010 nella quale era stato rigettato il ricorso presentato da una società che si era collocata al sesto posto della graduatoria, in una gara della quale si chiedeva la rinnovazione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto l’appello fondato per violazione del principio di trasparenza di cui all’art. 97 Costituzione poiché i verbali non contenevano indicazioni in ordine al soggetto affidatario dei plichi contenenti la documentazione della gara, e quindi attestando la carenza delle doverose misure di custodia delle offerte.
Nella seconda parte della pronuncia il Consiglio di Stato evidenzia che sia il ricorso al Tar che l’appello erano stati proposti in ragione dell’interesse della società ricorrente ad ottenere la rinnovazione della gara, a cui poter in seguito partecipare. Rileva inoltre che non era stata avanzata alcuna richiesta di risarcimento dei danni subiti, né di declatoria di inefficacia del contratto stipulato dall’amministrazione pubblica col soggetto aggiudicatario che, peraltro, risulta in avanzato stato di esecuzione.
Il Consiglio richiama l’art. 34 del codice del processo amministrativo, che al comma terzo recita “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. Siffatto principio impedisce l’annullamento di atti che nel corso della causa hanno esaurito i loro effetti, tutelando nel contempo l’interesse del ricorrente all’accertamento.
In particolare il comma V del predetto articolo legittima la proposizione dell’istanza risarcitoria fino ai 120 giorni successivi al passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso sull’azione di annullamento. Il Consiglio di Stato, nella fattispecie, desume l’interesse della ricorrente a fini risarcitori dalla natura e dagli atti della controversia, precisando inoltre che l’eventuale danno risarcibile si suddistingue in: danno emergente (spese e costi sostenuti per la partecipazione alla gara), lucro cessante (10% del valore dell’appalto), ulteriore percentuale del valore dell’appalto a titolo di perdita di chance.
Il Consiglio ha quindi accolto il ricorso, oltre che per l’accertata violazione del principio di trasparenza, riconoscendo d’ufficio l’interesse della ricorrente a fini risarcitori, in quanto nel caso di specie sono risultati presenti tutti i presupposti per un’eventuale sentenza da rendere ai sensi del comma terzo dell’art. 34 c.p.a. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.05.2011 n. 2817 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Appalto invalido ma eseguito: no alla nuova gara, sì al risarcimento.
Quando è stata proposta un'azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori.

L'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione (A.O.R.N.) S. Anna e San Sebastiano di Caserta indiceva una procedura aperta per l'aggiudicazione dell'appalto del servizio di manutenzione, conduzione e gestione degli impianti elettrici.
L'impresa S. spa, classificatasi al sesto posto in graduatoria, impugna l'intervenuta aggiudicazione, lamentando la violazione delle elementari regole in materia di custodia dei plichi di gara. Il Tar Campania, Napoli, Sez. I, con la Sent. n. 16615 del 2010, respinge il ricorso, affermando che, in aderenza al prevalente orientamento giurisprudenziale, la mancata indicazione nei verbali di gara delle modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non assurge, di per sé, a motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione.
Occorre verificare e dar rilievo, secondo i giudici di primo grado, ad un'eventuale e concreta manomissione e/o alterazione della documentazione di gara.
Nella precisa vicenda, il Tar ritiene che le contestate alterazioni non possono essere considerate come rettamente denunciate in sede di ricorso, in quanto inammissibilmente introdotte attraverso una memoria difensiva non notificata alle controparti.
L'impresa S. spa impugna la sentenza di primo grado, evidenziando che le doglianze, afferenti le denunciate alterazioni, sono state correttamente introdotte in giudizio, attraverso la proposizione di motivi aggiunti, ritualmente notificati e depositati.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in esame, accoglie la tesi dell'impresa appellante e rileva la presenza delle denunciate alterazioni.
Precisamente, il CdS accerta, anche sulla base di quanto risulta dai verbali, la sussistenza del seguente grave episodio, non smentito dal presidente di commissione: in data 5 maggio, un commissario ha chiesto e prelevato direttamente, senza alcuna preventiva autorizzazione, alcuni plichi contenenti le offerte tecniche. In presenza di tale episodio, il Consiglio di Stato ritiene che le censure avanzate sono pienamente fondate, per cui appare inequivocamente acclarata l'assoluta carenza di idonee misure di custodia dei plichi contenenti le offerte.
A fronte di tale chiara constatazione dei fatti, implicante l'annullamento degli atti impugnati e della disposta aggiudicazione, il CdS procede ad accertare se sussiste un reale interesse, giustificante la pronuncia di efficacia del contratto di appalto già stipulato.
Il CdS prende atto che, nella concreta vicenda, non sono presenti quelle "gravi violazioni", che, ai sensi dell'art. 121 del Codice del processo amministrativo, possono giustificare la declaratoria di inefficacia del contratto e cioè:
- a) aggiudicazione definitiva avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso;
- b) aggiudicazione definitiva avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti;
- c) contratto stipulato senza rispettare il termine dilatorio di 35 giorni, previsto dal comma 10, dell'art. 11, del Codice dei contratti pubblici, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi ai vizi propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento;
- d) contratto stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione, derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva (art. 11, comma 10-ter, Codice), qualora tale violazione, aggiungendosi ai vizi propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento.
Inoltre, i giudici prendono atto che non sussiste la possibilità di dichiarare l'inefficacia del contratto ai sensi dell'art. 122 del Codice processuale.
Tale importante disposizione normativa stabilisce che, oltre i casi, espressamente ora indicati, è possibile, annullando l'aggiudicazione, dichiarare inefficace il contratto, "tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara".
Ora, analizzando la concreta fattispecie, i giudici di appello riscontrano i seguenti e puntuali elementi fattuali:
- L'impresa appellante, classificatasi sesta nella graduatoria definitiva, non ha alcuna effettiva possibilità di conseguire, in via diretta, l'aggiudicazione, alla luce dei vizi riconosciuti, di natura esclusivamente strumentale, e tanto meno ha la possibilità di subentrare nel contratto.
- Il contratto di appalto è in stato di avanzata esecuzione, per cui non è possibile la rinnovazione della gara.
In presenza di siffatta situazione processuale, occorre procedere ad una duplice considerazione: non sussistono i presupposti per dichiarare inefficace il contratto e l'eventuale annullamento degli atti impugnati, pur sussistendo chiari vizi di legittimità, non recherebbe alcuna utilità all'impresa appellante, non potendo avere l'annullamento medesimo alcun contenuto conformativo idoneo a soddisfare l'interesse del ricorrente.
Allora, sulla scorta di tali ragioni, i giudici amministrativi di appello ritengono che occorre tener conto del comma 3, dell'art. 34 del codice processuale, il quale stabilisce che "quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori".
Si tratta di un'importante ed innovativa disposizione processuale, diretta ad evitare l'inutile annullamento di provvedimenti (nel caso di specie: l'aggiudicazione definitiva), che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio.
Invero, la disposizione presenta anche un altro fine: accertare, comunque, le illegittimità, laddove possa essere ipotizzata la sussistenza di un interesse al risarcimento, distinto da quello all'annullamento, privo di risvolti pratici.
In questa ipotesi, l'azione costitutiva smarrisce il suo naturale effetto "modificativo" (la modificazione di una situazione giuridica) e si riduce ad un mero accertamento di illegittimità per puri fini risarcitori, cioè per realizzare l'interesse al risarcimento.
Al riguardo, il CdS ricorda che l'art. 30 del codice processuale prevede termini precisi: quando è stata proposta un'azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
A questo punto, i giudici amministrativi di appello, chiarito il principio che è possibile comunque accertare una illegittimità utile ai soli fini risarcitori (ma, inutile ai fini modificativi della situazione giuridica consolidatasi), affrontano due precise questioni.
In primo luogo, la questione se l'applicazione del predetto comma 3, dell'art. 34 presupponga una specifica istanza da parte del soggetto interessato.
A tale domanda, deve essere data una risposta negativa, sia per ragioni di carattere testuale, in quanto nella norma non si rinviene alcun riferimento ad un'istanza, sia perché l'accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato è contenuto nel petitum di annullamento come un presupposto necessario.
In secondo luogo, il CdS affronta il problema della possibile sussistenza, nella concreta fattispecie, di un reale "interesse ai fini risarcitori", come prescritto dalla disposizione normativa.
Al riguardo, i giudici ricordano che il danno ipoteticamente risarcibile si sostanzia essenzialmente nelle seguenti voci:
a) danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell'offerta e per la partecipazione alla procedura;
b) lucro cessante, generalmente determinato nel 10% del valore dell'appalto;
c) un'ulteriore percentuale del valore dell'appalto a titolo di perdita di chance, legata all'impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell'appalto non eseguito.
Al riguardo, sempre il Consiglio di Stato (Sez. IV), in una recente pronuncia (16.05.2011, n. 2955), ha evidenziato che "la partecipazione ad un appalto pubblico, nonché la fase di esecuzione dello stesso, rappresentano per l'impresa concorrente un vantaggio economicamente valutabile, in quanto accresce la capacità di competere sul mercato e, dunque, la chance di ottenere l'affidamento di futuri appalti.
Pertanto, deve ritenersi risarcibile il danno c.d. "curriculare", il quale consiste nel pregiudizio subito dall'impresa in dipendenza del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale, ossia per la circostanza di non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione di un appalto, dal quale si sia stati esclusi a causa del comportamento illegittimo dell'amministrazione
".
Ora, nella concreta fattispecie, il CdS ritiene che sono sicuramente rinvenibili due tipologie di danno risarcibile: le spese di partecipazione alla gara e l'eventuale perdita di chance, che l'impresa potrebbe dimostrare.
Proprio in ragione di tali danni, i giudici ritengono sussistente uno specifico interesse al risarcimento, con connessa applicazione del già illustrato comma 3, dell'art. 34 del codice processuale (commento tratto da ww.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.05.2011 n. 2817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Anche nei cottimi appalti la dichiarazione in materia di tutela dei diritti dei disabili va presentata a pena di esclusione, pur in assenza di espressa previsione nel bando di gara.
La dichiarazione di cui all'art. 17, l. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione per qualsiasi tipologia di gara, sia essa sopra soglia o sotto soglia comunitaria; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge, anche se non richiamata dalla lex specialis (Cons. Stato, sez. V, 10.01.2007 n. 33; 24.01.2007 n. 2566 e 06.07.2002 n. 3733; Sez IV, 14.05.2004 n. 3148) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 1160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all'ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all'assetto organizzativo dell'ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico.
Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto come servizi pubblici locali quelli di manutenzione delle strade, degli impianti di illuminazione pubblica e del verde pubblico ... Tanto è sufficiente per concludere che si tratta senz'altro di servizi pubblici locali ricadenti nel campo di applicazione del titolo V del T.U.E.L..

Occorre stabilire se il servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica sia qualificabile come servizio pubblico locale ovvero come appalto di servizi.
Il Collegio condivide, sul punto, le argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato (sez. V, 13.12.2006, n. 7369; nello stesso senso, recentemente, sez. V, 25.11.2010, n. 8231, al punto 3) secondo cui “deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all'ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all'assetto organizzativo dell'ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico. Nel caso di specie il comune ( …) ha assunto come servizi pubblici locali quelli di manutenzione delle strade, degli impianti di illuminazione pubblica e del verde pubblico ... Tanto è sufficiente per concludere che si tratta senz'altro di servizi pubblici locali ricadenti nel campo di applicazione del titolo V del T.U.E.L.” (sez. V, n. 7369/2006, cit.) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.05.2011 n. 465 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso agli atti di una gara pubblica.
E’ legittimo l’operato di una stazione appaltante che abbia negato l’accesso agli atti di gara ad una società che non ha partecipato alla procedura concorsuale.

Così ha deciso il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, con la sentenza 10.05.2011 n. 4081.
Nel caso di specie le Poste Italiane spa avevano indetto una gara per l’individuazione dei soggetti con cui sottoscrivere accordi quadro di fornitura di autoveicoli, alla quale aveva partecipato una sola concorrente, poi risultata aggiudicataria.
Un’impresa operante nel settore di mercato coincidente con quello oggetto dell’appalto aveva presentato istanza di accesso agli atti di gara, sulla base delle seguenti motivazioni:
…di essere titolare di un interesse qualificato all’accesso, in qualità di primaria operatrice nel settore della locazione a lungo termine di veicoli senza conducente, aspirando, attraverso l’impugnativa di tali atti, alla rinnovazione della procedura concorsuale ed alla partecipazione a seguito di rinnovazione della gara.”
La stazione appaltante aveva tuttavia negato l’accesso.
I giudici amministrativi, investiti della questione, ritengono che l’amministrazione abbia legittimamente agito, in quanto:
L’art. 13, del richiamato codice dei contratti, premesso un generale rinvio alle norme di cui alla legge n. 241 del 1990, indica, poi, una disciplina che diverge da quest'ultima per alcuni profili, evidenziando previsioni peculiari, e, dunque, speciali rispetto a quelle di cui all'art. 24 della legge n. 241/1990.
Il comma 6 dell'art. 13 in esame, infatti, consente l'accesso agli atti coperti da segreti tecnici e commerciali, contenuti nelle offerte, riservandolo, però "al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso
".
E’ evidente la diversità rispetto alla corrispondente regola dettata dall'art. 24, comma 7, che può cogliersi già alla lettura testuale della seconda norma ora in esame, ove si prevede il diritto all’accesso nei casi in cui questo sia necessario per curare o per difendere "i propri interessi giuridici", con una formulazione più ampia rispetto a quella di cui al comma 6, dell'art. 13, che, invece, collega l’interesse all’accesso alla posizione giuridica non di chiunque vi abbia interesse, ma del solo concorrente che abbia intrapreso un giudizio avente ad oggetto la procedura di gara in cui l'istanza di accesso è formulata.
In conclusione, l’accesso ai documenti amministrativi, che trova una regolamentazione specifica nel settore dei contratti pubblici, non può risolversi in un controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione e tanto meno può essere consentito a soggetti che non abbiano partecipato alla procedura poiché non sono titolari di quella posizione differenziata e qualificata richiesta dalla normativa in oggetto (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara deve ritenersi decorrente dalla relativa comunicazione.
Premesso che l’omissione di comunicazione dell’aggiudicazione definitiva ai sensi dell’articolo 79, comma 5, del codice dei contratti -che impone che l’avvenuta aggiudicazione definitiva sia comunicata entro un termine non superiore a cinque giorni- non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione, ma semplicemente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione, il momento da cui decorre il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva è quello della comunicazione obbligatoria di cui al comma 5 dell'articolo 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, e non quello di cui al comma 2 della medesima disposizione (TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 05.04.2011, n. 97).
Nel vigore della nuovo testo del richiamato articolo 79 è stato affermato il principio secondo cui è tardivo il ricorso notificato oltre il termine decadenziale decorrente dalla ricezione del fax recante comunicazione dell'aggiudicazione definitiva di una gara, e ciò anche qualora il destinatario non abbia espressamente autorizzato l'utilizzo del fax ai sensi dell'art. 79, comma 5-bis, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, come modificato dal d.lgs. 20.03.2010, n. 53; invero, quest'ultima norma va coordinata con il principio, oggi contenuto nell'articolo 41 del d.lgs. 02.07.2010, secondo cui detto termine decadenziale decorre non soltanto dalla notificazione o comunicazione del provvedimento lesivo, ma anche dalla sua piena conoscenza, da ritenersi realizzata anche attraverso la ricezione di un fax (TAR Lazio, Latina, sez. I, 19.11.2010, n. 1903).
Se, pertanto, il provvedimento lesivo, da cui decorrono i termini per l'impugnazione, è quello dell’aggiudicazione definitiva, ne consegue che, nelle ipotesi in cui la piena conoscenza dello stesso avvenga mediante la ricezione della comunicazione individuale di cui all'articolo 79, è a tale comunicazione che deve farsi riferimento ai fini della proposizione dell'azione impugnatoria, posto che essa contiene gli elementi essenziali della decisione e del suo contenuto lesivo, potendo la conoscenza di ulteriori atti della procedura consentire la proposizione di eventuali motivi aggiunti.
Conseguentemente, al di là di inutili formalismi inerenti la qualificazione degli atti, il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara deve ritenersi decorrente dalla relativa comunicazione, dovendo l'azione impugnatoria intendersi riferita al contenuto sostanziale della decisione di cui si dà notizia, e cioè all'aggiudicazione definitiva di cui parte ricorrente si duole, anche nella considerazione della mancata conoscenza di ulteriori e diversi provvedimenti (TAR Lazio, Roma, sez. I, 08.07.2009, n. 6681) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 10.05.2011 n. 4070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La normativa sopravvenuta non può essere applicata alla gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente all'entrata in vigore della stessa.
E' costante l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale le disposizioni normative sopravvenute non trovano applicazione relativamente alle procedure in itinere alla data della loro entrata in vigore, in quanto il principio tempus regit actum attiene alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale e non anche ad attività (quale è quella di espletamento di una procedura concorsuale di selezione contrassegnata, come nella fattispecie, dal carattere di unitarietà) interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio.
Pertanto, mentre le norme legislative o regolamentari vigenti al momento dell'indizione della procedura devono essere applicate anche se non espressamente richiamate nel bando, le norme sopravvenute non modificano, di regola, le procedure già bandite, a meno che diversamente non sia espressamente stabilito dalle norme stesse (TAR Sardegna, Sezione I, 11.08.2009, n. 1439, TAR Lazio Roma, sez. I, 03.05.2007, n. 3893).
Quindi nelle procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici è inapplicabile la normativa sopravvenuta alla pubblicazione del bando di gara. Infatti, dalla circostanza che il bando, come corpo di norme regolatrici la gara genera affidamento nei soggetti che vi partecipano consegue che la relativa normativa deve ritenersi cristallizzata al momento della pubblicazione dello stesso (TAR Campania, Napoli Sezione I, 11.05.2004 n. 8559). D’altronde costituisce ius receptum il principio in base al quale “il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, e ciò comporta che la legittimità di un provvedimento va valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è adottato, in relazione agli interessi sostanziali tutelati in quella fase del procedimento e quindi, nelle gare pubbliche, dalla fase delle offerte alla fase decisoria e conclusiva dell'avvenuta aggiudicazione” (Consiglio Stato , sez. IV, 12.03.2009, n. 1458).
E’ fuor di dubbio, in definitiva, che la normativa sopravvenuta non può essere applicata alla gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente all'entrata in vigore della stessa, dato che in caso contrario si perverrebbe alla conclusione di applicare al procedimento una regola diversa da quella voluta ex ante dall'Amministrazione in sede di regolamentazione della gara e conosciuta come tale dalle imprese partecipanti, con evidente vulnus dell'affidamento ingenerato nelle concorrenti (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 10.05.2011 n. 458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006, opera una sostanziale unificazione della disciplina dei contratti sopra soglia comunitaria con quelli sotto soglia, sancendo l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte delle norme del codice dei contratti.
L'art. 121 del D.Lgs. n. 163 del 2006 dispone che ai contratti pubblici aventi per oggetto lavori, servizi, forniture, di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, si applicano oltre alle disposizioni della parte 1, della parte 4 e della parte 5, anche le disposizioni della parte 2, in quanto non derogate dalle norme del presente titolo 2.
Detto articolo, pertanto, opera una sostanziale unificazione della disciplina dei contratti sopra soglia comunitaria con quelli sotto soglia, sancendo l'applicabilità a quest'ultimi di gran parte delle norme del codice dei contratti.
Tra le norme di applicazione generale, valevoli anche per i contratti sotto soglia di particolare rilievo, è l'art. 244 contenuto nel titolo 4 sul contenzioso, richiamato dal menzionato art. 121, il quale demanda alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, ad applicare la normativa comunitaria o ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 09.05.2011 n. 10068 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La tutela dell'affidamento e la correttezza dell'azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della stazione appaltante possano essere traslate a carico del soggetto concorrente.
La tutela dell'affidamento e la correttezza dell'azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della stazione appaltante (quale, nel caso di specie, finisce per essere l'imprecisa dizione letterale di un articolo del disciplinare) possano essere traslate a carico del soggetto concorrente, comminandogli la sanzione dell'esclusione dalla gara. Pertanto, è illegittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato nei confronti di un RTI, che abbia omesso di presentare un documento, a causa di un'imprecisa formulazione della lex specialis.
La stazione appaltante, infatti, a tutela della par condicio e del principio di massima partecipazione, avrebbe dovuto esercitare il potere di invitare il concorrente a completare e chiarire la documentazione presentata, senza che, in un caso come quello di specie, in cui la mancanza di un documento è da addebitarsi innanzitutto alla formulazione della lex specialis, piuttosto che alla colpa del privato, possa assumere rilievo la distinzione, in altri casi dirimente, tra mancanza della dichiarazione ed incompletezza della stessa, che finirebbe per violare la ratio stessa dell'art. 46 del d.lgs. 163/2006 (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 09.05.2011 n. 2587 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Mancanza di un documento - Addebitabilità alla formulazione della lex specialis - Tutela della par condicio e del principio di massima partecipazione - Invito a completare e chiarire la documentazione.
Nel caso in cui la mancanza di un documento è da addebitarsi innanzitutto alla formulazione della lex specialis, piuttosto che alla colpa del privato, la stazione è tenuta ad invitare il concorrente a completare e chiarire la documentazione presentata, a tutela della par condicio e del principio di massima partecipazione, senza che possa assumere rilievo la distinzione, in altri casi dirimente, tra mancanza della dichiarazione ed incompletezza della stessa, che finirebbe per violare la ratio stessa dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006.
Condotta colposa della stazione appaltante - Conseguenze - Traslazione a carico del soggetto concorrente - Esclusione - Fattispecie.
La tutela dell’affidamento e la correttezza dell’azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della stazione appaltante (quale, nel caso di specie, finisce per essere l’imprecisa dizione letterale del disciplinare) possano essere traslate a carico del soggetto concorrente, comminandogli la sanzione dell’esclusione dalla gara (fattispecie relativa alla previsione, nel disciplinare, della causa di esclusione ex art. 38, c. 1, lett. b), del d.lgs. n. 163/2006; mentre la legge fa riferimento alla posizione degli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, il disciplinare di gara si riferiva invece agli amministratori muniti di potere di firma e di rappresentanza legale) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 09.05.2011 n. 2587 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità da parte della stazione appaltante di una verifica delle offerte approfondita nel caso di un'offerta anomala che presenti un ribasso particolarmente consistente.
E' legittima una verifica dell'anomalia approfondita, in ordine alla congruità di un' offerta che presenti un ribasso particolarmente consistente, e ciò al fine di accertare che l'offerente, nonostante il ridotto margine di utile, sia in grado di fornire una prestazione adeguata a soddisfare l'interesse pubblico alla regolare esecuzione.
In tema di verifica in ordine all'anomalia delle offerte presentate in sede di gara, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la stazione appaltante gode di ampia discrezionalità, per cui la relativa valutazione, inerendo al merito amministrativo, è da ritenersi insindacabile in sede di legittimità, se non per aspetti di manifesta irrazionalità od evidente travisamento dei fatti, che non sussistono, alla luce anche del concreto procedimento svolto per la verifica di attendibilità dell'offerta.
Nel caso di specie, con riguardo alla soglia di anomalia individuata, si è ritenuto ingiustificato il ribasso offerto in considerazione di una pluralità di ragioni, che nel loro insieme sorreggono la valutazione avanzata dalla stazione appaltante. Tali motivazioni evidenziano l'inattendibilità economica dell'offerta per eccessivo ribasso, ai fini di un corretto esercizio in fase di esecuzione del contratto.
Peraltro, il concorrente non risulta in grado di fornire una prestazione adeguata a soddisfare l'interesse pubblico alla regolare esecuzione dei lavori in appalto, secondo i dovuti livelli e standards di efficienza e qualità (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.05.2011 n. 2751 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL'esplicitazione, da parte del concorrente, degli oneri di sicurezza risponde alla finalità di consentire alla stazione appaltante di verificarne la congruità e l'attendibilità, tenuto conto dell'interesse pubblico a garantire la sicurezza dell'esecuzione dell'appalto. Conseguentemente, la quantificazione degli oneri in questione deve essere chiara e non può esser né incerta né indeterminata, né può tradursi nell'inclusione dei relativi costi in una voce ampia e generica come quella delle spese generali, senza alcuna ulteriore specificazione. Diversamente la ratio legis verrebbe vanificata atteso che, mancando l'indicazione dei costi, la stazione appaltante non avrebbe la possibilità di verificarne l'attendibilità e la serietà.
Dalla disposizione contenuta nell’art. 87, comma 4 del codice dei contratti discendono due corollari: il primo è che i concorrenti che intendano partecipare alle procedure di gara devono indicare espressamente, nell'offerta economica, quali siano gli oneri economici che ritengono di dover sopportare al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza sul lavoro; il secondo è che l'amministrazione appaltante è tenuta a valutare la congruità dell'importo destinato ai costi per la sicurezza.
Nonostante la mancanza di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di gara, l'inosservanza della prescrizione primaria che impone l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione dell'esclusione, in quanto rende l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell'offerta stessa.

Come già affermato dalla Sezione (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 24.11.2009, n. 5136), con argomentazioni che il Collegio condivide in toto, l'esplicitazione, da parte del concorrente, degli oneri di sicurezza risponde alla finalità di consentire alla stazione appaltante di verificarne la congruità e l'attendibilità, tenuto conto dell'interesse pubblico a garantire la sicurezza dell'esecuzione dell'appalto.
Conseguentemente, la quantificazione degli oneri in questione deve essere chiara e non può esser né incerta né indeterminata, né può tradursi nell'inclusione dei relativi costi in una voce ampia e generica come quella delle spese generali, senza alcuna ulteriore specificazione.
Diversamente la ratio legis verrebbe vanificata atteso che, mancando l'indicazione dei costi, la stazione appaltante non avrebbe la possibilità di verificarne l'attendibilità e la serietà.
Questa è la ragione per la quale il comma 4 dell'art. 87 del D.Lgs. n. 163 ha imposto ai concorrenti una specifica indicazione degli oneri in questione: la norma ha voluto chiaramente separare l'indicazione del corrispettivo per l'esecuzione della prestazione dai costi per garantirne la sicurezza.
A questo primario interesse pubblico vanno, invero, ricondotte le regole dettate dapprima dalla legge n. 327/2000 e poi dal D.Lgs. n. 163/2006, che hanno sostanzialmente equiparato gli appalti di servizi e di forniture a quelli di lavori pubblici ai fini della tutela della sicurezza dei lavoratori (sul punto cfr. TAR Liguria, Sez. II, 13.11.2008, n. 1974).
In proposito è stato affermato (TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 26.06.2009, n. 1047), che dalla disposizione contenuta nell’art. 87, comma 4 del codice dei contratti discendono due corollari: il primo è che i concorrenti che intendano partecipare alle procedure di gara devono indicare espressamente, nell'offerta economica, quali siano gli oneri economici che ritengono di dover sopportare al fine di adempiere esattamente agli obblighi di sicurezza sul lavoro; il secondo è che l'amministrazione appaltante è tenuta a valutare la congruità dell'importo destinato ai costi per la sicurezza.
E’ stato anche rilevato che, sebbene si possa dubitare dell'automaticità dell'esclusione di offerte così formulate, in assenza di una espressa sanzione in tal senso nel bando di gara, tuttavia debba essere considerata la peculiare natura delle norme in materia di sicurezza del lavoro, finalizzate a garantire l'intangibilità dei diritti fondamentali della persona del lavoratore, quali quelli alla vita e alla salute, come emerge dalla ampia produzione legislativa degli ultimi anni.
Il conseguimento di tali fini rappresenta, quindi, un obiettivo essenziale del sistema normativo in materia, che è altresì avvalorato da sicuri riferimenti costituzionali (artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione).
In particolare, la disciplina della previsione e della valutazione degli oneri di sicurezza nella fase di affidamento dei contratti pubblici esprime l'esigenza che il rispetto della normativa sulla sicurezza del lavoro sia assicurato anche quando la promozione di tale valore essenziale si ponga in contrasto con alcuni dei principi che governano il procedimento di affidamento dei contratti pubblici.
Sotto questo profilo si giustifica, quindi, l’integrazione automatica delle norme del bando di gara (secondo il meccanismo previsto dagli articoli 1374 e 1339 del cod. civ., come ha precisato, per altra ipotesi, Cons. Stato Sez. V, 18.11.2004, n. 7555), se queste non prevedano espressamente quanto obbligatoriamente disposto dalle norme dell'ordinamento.
Tale ricostruzione ermeneutica è stata, altresì, recentemente confermata dal Consiglio di Stato (Sez. V, 23.07.2010, n. 4849) il quale ha affermato che la circostanza che solo nei bandi di gara relativi agli appalti di lavori, ai sensi dell'art. 131 del codice dei contratti pubblici, debbano essere evidenziati gli oneri di sicurezza non soggetti a ribasso, fa sì che nelle altre procedure di gara, in assenza della preventiva fissazione del costo per la sicurezza da parte dell'amministrazione aggiudicatrice quale specifica componente del costo del lavoro, sia necessario che il relativo importo venga scorporato dalle offerte dei singoli concorrenti e sottoposto a verifica per valutare se sia congruo rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori.
La mancanza di una specifica previsione sugli oneri per la sicurezza in seno alla lex specialis non toglie, quindi, che la norma primaria, immediatamente precettiva ed idonea ad eterointegrare le regole procedurali, imponga agli offerenti di indicare separatamente i costi per la sicurezza per le esposte ragioni.
Secondo la richiamata decisione, nonostante la mancanza di una comminatoria espressa nella disciplina speciale di gara, l'inosservanza della prescrizione primaria che impone l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza implica la sanzione dell'esclusione, in quanto rende l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti ed impedisce alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell'offerta stessa (cfr. da ultimo: Cons. Stato, Sez. V, 21.01.2011, n. 17; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 12.01.2011, n. 26; TAR Campania Napoli, Sez. I, 18.03.2011, n. 1497) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.05.2011 n. 1217 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'inosservanza di una determinata prescrizione contenuta nella "lex specialis" circa le modalità di presentazione dell'offerta implica, invero, la doverosa esclusione del concorrente solo quando si tratta di clausole rispondenti ad un particolare interesse dell'Amministrazione appaltante o poste a garanzia della par condicio tra i concorrenti e del correlato principio della segretezza delle offerte, giacché tra più interpretazioni delle norme di gara è da preferire quella che conduca alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell'interesse pubblico, una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte
L'inosservanza di una determinata prescrizione contenuta nella "lex specialis" circa le modalità di presentazione dell'offerta implica, invero, la doverosa esclusione del concorrente solo quando si tratta di clausole rispondenti ad un particolare interesse dell'Amministrazione appaltante o poste a garanzia della par condicio tra i concorrenti e del correlato principio della segretezza delle offerte, giacché tra più interpretazioni delle norme di gara è da preferire quella che conduca alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell'interesse pubblico, una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.05.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esclusione dalle gare pubbliche: chi ha interesse a riottenere la riedizione.
Se da un lato è sufficiente l'interesse strumentale del partecipante ad una gara pubblica di appalto per ottenere la riedizione della gara stessa, dall'altro lato deve ritenersi che un tale interesse non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso dato che questi, per effetto della esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara, ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle distinte scansioni procedimentali.
Questa Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato che se è sufficiente l’interesse strumentale del partecipante ad una gara pubblica di appalto ad ottenere la riedizione della gara stessa, “... deve in ogni caso ritenersi che un tale interesse non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso dato che tale soggetto, per effetto di tale esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara, ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle distinte scansioni procedimentali “ (Cons. Stato, V, 22.06.2010 n. 3889).
E’ stato altresì rilevato che: “se fosse accettabile l’assunto che l’interesse strumentale, cioè la prospettiva del vantaggio consistente nella semplice possibilità di partecipare alla riedizione della gara, basti a legittimare il candidato estromesso ad impugnare gli atti di gara, occorrerebbe con coerenza dichiarare qualunque operatore economico legittimato ad impugnare ogni gara consona al proprio ambito merceologico, a prescindere da qualsivoglia candidatura, in presenza di vizi atti a travolgere radicalmente il procedimento ed prepararne il rinnovo” (Cons. Stato IV, 26.11.2009 n. 7441).
Sotto altro profilo va rilevato che nel caso in cui l’impresa partecipi alla gara l’interesse da riconoscere è quello alla vittoria nella specifica gara a cui ha partecipato e non anche quello al rinnovo della gara previo un nuovo bando, altrimenti si perviene in concreto a rimettere in corsa un concorrente di cui è stato accertato il difetto dei requisiti di partecipazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.05.2011 n. 2716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInformativa prefettizia atipica, la revoca dell'aggiudicazione richiede un'adeguata istruttoria.
Pur condividendosi l’affermazione di principio, secondo la quale ai fini della revoca della aggiudicazione di un appalto a seguito della acquisizione di una informativa antimafia atipica è sufficiente l’esistenza di elementi sintomatici del pericolo di collegamento tra l'impresa e le organizzazioni criminali, non può non sottolinearsi la necessità di una adeguata istruttoria, dalla quale emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte di tali organizzazioni.
Un diverso modus procedendi comporta, infatti, il rischio della estromissione dal circuito degli appalti pubblici di imprese non collegate con il contesto mafioso, con conseguente alterazione dei meccanismi della concorrenza (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 06.05.2011 n. 883 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In presenza di una informativa antimafia atipica l'amministrazione che decida di recedere dai contratti o escludere una concorrente dall'ambito delle procedure in corso, deve fornire un'adeguata motivazione.
In presenza di una informativa antimafia atipica, l'amministrazione che decida di recedere dai contratti o escludere una concorrente dall'ambito delle procedure in corso deve fornire un'adeguata motivazione, non potendo essa fare mero riferimento all'esistenza della predetta informativa.
Pertanto, nel caso di specie, deve essere annullato il provvedimento del Comune essendosi limitato a richiamare la nota prefettizia per giustificare la propria decisione di non invitare la ricorrente alla presentazione di offerte nell'ambito delle procedure ristrette bandite (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 06.05.2011 n. 862 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIQuale procedura per la concessione di beni in favore delle ONLUS?
Domanda.
La concessione di beni non utilizzati per fini istituzionali in favore delle ONLUS, sulla base della giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, può avvenire con affidamento diretto oppure è comunque sempre necessario pubblicare un bando di gara?
Risposta.
Secondo la definizione di ONLUS contenuta all'art. 10, D.Lgs. 04-12-1997, n. 460 le organizzazioni non lucrative di utilità sociale sono "le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica" i cui Statuti o atti costitutivi prevedano delle condizioni, prescritte dalla stessa norma, tali da perseguire finalità di solidarietà sociale e l'assenza dello scopo di lucro.
Tuttavia, la semplice configurazione di Enti no profit non significa che la loro attività sia posta al di fuori del mercato e della concorrenza, così come sostenuto nella sentenza della Corte giustizia comunità Europee Sez. III, 29.11.2007, n. 119/2006 che rappresenta una piccola rivoluzione nel modo di configurare i servizi sociali e il loro impatto nel mondo concorrenziale.
Spetta pertanto alle Amministrazioni procedenti verificare se, nel concreto, il servizio reso da un Ente del no profit non abbia caratteristica di impresa, in quanto operante in un ambito nel quale non vi siano altri soggetti operanti nello stesso campo.
In questo caso allora, ma solo in questo caso, la concessione ai sensi dell'art. 32, comma 1, L. 07-12-2000, n. 383 potrebbe avvenire mediante affidamento diretto.
Laddove, invece, le prestazioni ricadano nell'ambito dell'Allegato II A e II B del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 anche gli Enti del terzo settore operano nel mercato e dunque dovrà farsi ricorso ai sistemi di gara disciplinati dalle Direttive Europee e dal Codice dei Contratti.
Sotto soglia, nella legislazione italiana, è comunque possibile procedere ad appalti "riservati". L'art. 52, comma 1, del Codice dei Contratti, infatti, fa salve le norme vigenti sulle cooperative sociali e le imprese sociali (componenti fondamentali e preponderanti del comparto del terzo settore), che permettono, sotto soglia, anche affidamenti diretti o, comunque, ad appalti riservati esclusivamente a soggetti del terzo settore (TAR Basilicata, 29.11.2003, n. 1022) (06.05.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZI1. Bando di gara - Procedura aggiudicazione - Servizi assicurativi - Broker - Agente assicurativo - Comparazione.
2. Bando di gara - Appalto servizi assicurativi - Gestione ed esecuzione delle polizze - Affidamento al broker - Legittimità.
3. Bando di gara - Procedura aggiudicazione - Servizi assicurativi - Individuazione del broker.

1. Il dato comune fra il broker e l'agente di assicurazione (lett. b) dell'art. 2 della direttiva 77/92/CEE) è che svolgono prestazioni di consulenza e assistenza afferenti alle fasi anteriori, concomitanti e successive alla stipula di contratti assicurativi; la differenza fondamentale, invece, consiste nel fatto che mentre gli agenti di assicurazione sono legati ad una o più compagnie di assicurazione in nome e per conto (e quindi nell'interesse) delle quali essi agiscono, i broker non sono legati in alcun modo alle compagnie (la norma di cui alla lett. a) afferma infatti che essi debbono mettere in relazione contraenti e compagnie senza essere vincolati nella scelta di queste ultime).
2. L'inserimento della "clausola broker" negli atti afferenti alla procedura di gara, indetta dal Comune di Pioltello, per l'aggiudicazione dell'appalto di servizi assicurativi prevede l'affidamento al broker della gestione e dell'esecuzione delle polizze che verranno stipulate con le imprese aggiudicatarie; il broker svolge inoltre funzioni di intermediazione fra queste ultime e stazione appaltante, nel senso che le comunicazioni ed i pagamenti dei premi diretti alle imprese aggiudicatarie andranno indirizzati al broker, e si intenderanno ricevuti dalle interessate nel momento in cui entreranno nella disponibilità del broker medesimo.
Ciò premesso è respinto il ricorso dello SNA (che avanza un pregiudizio per l'intera categoria degli agenti di assicurazione da esso rappresentata, in quanto in tal modo il broker si sostituirebbe agli agenti nei compiti di intermediazione fra compagnia di assicurazione ed assicurato, erodendone il ruolo e sottraendo loro fonti di introito).
E' la decisione del Comune di avvalersi di un Broker (che non può comunque essere tacciata in se stessa di illegittimità e non può essere superata) ed è tale decisione che intacca gli interessi degli agenti di assicurazione (i quali per espressa disposizione legislativa non possono svolgere attività di brokeraggio); mentre la circostanza che il broker sia stato scelto, nel concreto, senza rispettare le procedure che assicurano la competizione concorrenziale degli operatori non va a scalfire gli interessi degli iscritti allo SNA i quali, anche in caso di attivazione di procedure concorrenziali, non avrebbero comunque potuto prendervi parte.
3. Pur ammettendo l'illegittimità delle operazioni compiute per l'individuazione del broker essa non può riverberarsi sugli atti afferenti alla procedura di gara indetta per l'aggiudicazione di servizi assicurativi: tali atti fanno parte di un procedimento del tutto avulso rispetto quello afferente alla procedura di gara; e comunque non sono legati agli atti relativi a tale procedura da alcun vincolo di presupposizione.
Per queste ragioni il motivo in esame non può essere accolto (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.05.2011 n. 1177 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINei cottimi fiduciari meno vincoli sulle offerte.
Per i cottimi fiduciari le norme in tema di verifica delle offerte anomale si applicano solo in via di principio e non come regole di dettaglio.

Lo chiarisce il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con l'ordinanza 05.05.2011 n. 739 che ha accolto la sospensiva richiesta dalla ditta seconda in graduatoria in una procedura di cottimo, proprio perché l'amministrazione appaltante non ha posto in essere la procedura di verifica dell'anomalia dell'offerta aggiudicataria. ... (articolo ItaliaOggi del 04.06.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIDecreto sviluppo/ Le novità sulle opere pubbliche. Liti temerarie, sanzioni a 4 mila €. Appalti vincolati ai bandi-tipo. Tetto del 20% per le riserve in sede di esecuzione lavori.
Tetto del 20% per le riserve in sede di esecuzione dei lavori; sanzione di almeno 4 mila euro per le liti temerarie in materia di appalti; divieto di varianti per progetti validati; trattativa privata fino a un milione ma con invito di dieci soggetti e pubblicità dei risultati; tassatività delle cause di esclusione; bandi di gara da predisporre sulla base di bandi-tipo; limiti alle variazioni per aumenti dei costi dei materiali da costruzione; verifica on line dei requisiti dei concorrenti tramite la banca dati dei contratti pubblici.
Sono queste alcune delle principali novità relative al Codice dei contratti pubblici inserite nella bozza di decreto legge sullo sviluppo che ieri sera è stata discussa nel pre-Consiglio dei ministri in vista de] Consiglio di oggi.
La bozza di decreto prevede innanzitutto un venti per cento di tetto alle riserve che le imprese possono apporre in sede di esecuzione del contratto e introduce il divieto di apporre riserve su aspetti progettuali oggetto di verifica. Viene anche introdotto il divieto di approvare progetti ... (articolo ItaliaOggi del 05.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTILe vecchie violazioni dell'incorporata bloccano l'appalto. Pesano le false dichiarazioni sul rispetto della normativa previdenziale.
Nelle gare pubbliche anche il "passato" delle società va messo sotto esame. Nel verificare il possesso dei requisiti morali ex articolo 38, Dlgs 163/2006 per l'affidamento di contratti pubblici, la stazione appaltante (e per converso l'impresa partecipante) deve attentamente valutare gli elementi caratterizzanti l'eventuale vicenda societaria (trasformazione, fusione, incorporazione) antecedente la partecipazione alla gara. E laddove non vi sia effettiva estinzione di una delle parti dell'operazione straordinaria, bensì identità tra il soggetto originario e quello successivo, dovranno essere prese in considerazione anche le eventuali infrazioni ex ante commesse dai soggetti apicali dell'impresa originaria, che andranno pertanto evidenziate dall'impresa partecipante nelle proprie autodichiarazioni sul possesso dei requisiti richiesti dal legislatore.
La questione, affrontata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza 04.05.2011 n. 2662, trae spunto da una vicenda relativa a una gara pubblica indetta per la costruzione di fabbricati destinati a ospitare alloggi di edilizia residenziale pubblica. La gara era stata aggiudicata a un operatore economico risultante dall'incorporazione di un'altra impresa, cui la stazione appaltante, sul presupposto della continuità tra le due imprese, aveva medio tempore revocato in autotutela l'aggiudicazione per alcune irregolarità, compiute antecedentemente e in via autonoma dall'impresa incorporata, relative alla violazione delle norme concernenti false dichiarazioni in ordine al rispetto della normativa in materia previdenziale, con conseguente segnalazione all'Osservatorio dei Lavori pubblici, e interdizione alla contrattazione con la pubblica amministrazione.
Nel caso in esame si applica l'articolo 38 del Dlgs 163/2006, sostitutivo dell'articolo 75 del Dpr 21.12.1999, n. 554, che richiede alle imprese partecipanti a una gara pubblica di autocertificare il possesso di alcuni requisiti, tra i quali anche il fatto di non aver commesso violazioni gravi e definitivamente accertate in materia di contributi previdenziali e assistenziali.
Il tema della trasmissibilità delle violazioni previdenziali –e più in generale delle cause di esclusione di cui all'articolo 38– evidenziato dalla Sezione è in effetti privo di un'espressa regolamentazione normativa.
Tuttavia, i giudici amministrativi hanno evidenziato come nell'ottica di un affidamento di contratti pubblici, sia imprescindibile valutare attentamente gli elementi caratterizzanti un'eventuale operazione straordinaria effettuata dal l'operatore a monte della partecipazione alla gara: al di là del "velo" della forma societaria, la stazione appaltante dovrà dunque verificare se la vicenda societaria comporti estinzione o continuità del soggetto privo dei requisiti morali.
In quest'ultimo caso, come nella vicenda in esame, è evidente che il nuovo soggetto –per effetto della trasmissibilità– incorre nel difetto dei requisiti morali del precedente; nel primo caso (ad esempio a seguito di una fusione per incorporazione) l'estinzione del soggetto incorporato a seguito dell'assorbimento del medesimo in un soggetto preesistente, non comporta invece a discapito di quest'ultimo alcuna trasmissione del difetto dei requisiti di ordine morale riconducibile ai soggetti apicali dell'impresa incorporata, ferma restando la responsabilità patrimoniale a fini previdenziali dell'impresa incorporante.
Questi approfondimenti rilevano pertanto nell'ambito dell'autodichiarazione resa dall'impresa concorrente, per evitare dunque possibili strumentalizzazioni delle disposizioni normative e per scongiurare l'adozione di soluzioni abusive volte, nel silenzio della legge, a eludere precisi obblighi con il ricorso a (fittizie) modificazioni soggettive delle parti in spregio della libera concorrenza (articolo Il Sole 24 Ore del 30.05.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Non è necessaria la verifica in ordine ai requisiti morali e, in particolare, il requisito della regolarità contributiva, anche con riferimento alla società incorporata.
La cessione di un ramo d'azienda realizza una successione di alcuni elementi soggettivi, con la conseguenza che l'influenza negativa del cedente si esplica anche nei confronti del cessionario e, l'eventuale inquinamento della gestione, si riflette negativamente anche sull'attuale struttura dell'intera compagine societaria. Pertanto, la dichiarazione resa da un'impresa concorrente in una gara d'appalto, va espressamente riferita anche agli amministratori e direttori tecnici di altra impresa, dalla quale la partecipante abbia acquisito un ramo di azienda, precedentemente alla partecipazione alla gara, in base al presupposto che i requisiti soggettivi negativi propri dell'impresa cedente si trasmettano all'impresa cessionaria. E ciò, anche al fine di evitare possibili strumentalizzazioni delle disposizioni normative volte ad eludere precisi obblighi di legge, attraverso il ricorso a modificazioni soggettive, in grado di alterare il libero gioco della concorrenza.
L'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006), prevedendo requisiti di ordine morale, in linea di principio li riferisce al concorrente, senza che questi possa rispondere del fatto altrui. Una deroga espressa si ha per il requisito della lett. c) dell'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora art. 38, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006). Per gli altri requisiti, occorre verificare caso per caso se la vicenda societaria sia volta ad eludere il possesso dei requisiti mediante fittizie modifiche soggettive delle parti. Si tratta allora di verificare, al di là del velo della forma societaria, quale sia l'impresa che si esprime dietro di essa e, dunque, se la vicenda societaria (trasformazione, fusione, incorporazione), comporti estinzione o continuità del soggetto privo dei requisiti morali; se la vicenda societaria è tale per cui in concreto risulti la sostanziale identità del soggetto originario e di quello successivo, è evidente che il nuovo soggetto incorre nel difetto di requisiti morali del precedente, perché la novità soggettiva è solo formale, essendovi nella sostanza identità.
Se invece vi è una fusione per incorporazione, con estinzione del soggetto privo dei requisiti morali, e assorbimento di esso in un soggetto preesistente, senza continuità con il soggetto estinto, non si può ritenere che il soggetto incorporante erediti il difetto di requisiti di ordine morale. Ovviamente resta ferma la responsabilità patrimoniale, a fini previdenziali, del soggetto incorporante (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.05.2011 n. 2662 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per mancanza dell'abilitazione complessiva e del NOS (nulla osta sicurezza).
Ai fini della partecipazione alle gare di appalto, è sufficiente il possesso dell'abilitazione preventiva in capo alle imprese partecipanti, essendo, invece, la abilitazione complessiva, richiesta soltanto in fase di esecuzione. Quanto, poi, al nulla osta sicurezza, lo stesso è previsto dalla L. n. 124/2007, solo con riguardo alle informazioni classificate quali "Segretissime, Segrete o Riservatissime" e non già, come nel caso di specie, meramente "Riservate".
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da un'amministrazione che abbia richiesto il possesso del NOS relativamente ad una fattispecie non rientrante in quelle espressamente disciplinate dal legislatore. La stessa AVCP ha precisato che il NOS non può essere previsto come requisito di partecipazione alla procedura di gara, in quanto ciò determinerebbe una limitazione della concorrenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 03.05.2011 n. 3834 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare d'appalto, incompatibile il doppio ruolo di progettista e commissario.
Il progettista o il consulente della stazione appaltante non possono partecipare alla gara oggetto della progettazione o della consulenza svolte, anche se il divieto non è previsto dalla legge; l'incompatibilità vige anche per i commissari di gara, se hanno partecipato alla redazione del progetto preliminare posto a base di gara.
E' quanto affermano Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 03.05.2011 n. 2650, che ha confermato la sentenza del Tar del Lazio n. 33194 del 13.12.2010 e il parere n. 1498/2010 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
La sentenza di Palazzo Spada prende in considerazione la situazione di un soggetto che aveva predisposto delle linee guida per una gara di progettazione e che aveva partecipato alla gara successiva. I giudici rilevano l'incompatibilità della posizione del soggetto (risultato affidatario della gara) basandosi su una interpreta-zione estensiva dei contenuti dell'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti pubblici (che prevede il divieto per il progettista di partecipare a gare di appalto di lavori odi concessioni): «anche se la norma si riferisce al rapporto tra appalti di lavori e preventiva progettazione, non si può non ritenere applicabile il principio generale del divieto di partecipazione di chi abbia una posizione di vantaggio anche relativamente agli appalti di servizi».
La regola è, secondo la sentenza, «espressione del principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti ad una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la medesima posizione.» «», dice la sentenza, «vale ad escludere il pregiudizio della par conditio il fatto oggettivo della conoscenza (da parte dei concorrenti tutti) dell'elaborato sulla cui base occorre procedere per lo svolgimento dell'appalto (le linee guida) bensì, in senso soggettivo, l'avere redatto un documento che costituisce il presupposto per la valutazione delle offerte, che a quello devono conformarsi».
All'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici era stato invece posto un caso ben più delicato, dal momento che il progetto preliminare era stato predisposto da una società risultata aggiudicataria, in raggruppamento, della successiva gara di progettazione e direzione dei lavori del Centro agroalimentare di Roma (importo a base di gara 2,2 milioni), in cui, peraltro (stando agli atti dell'Autorità), uno dei commissari di gara aveva partecipato alla redazione di una parte del progetto preliminare posto a base di gara.
Anche in questo caso si conclude per l'esistenza di una evidente incompatibilità per il commissario di gara (per violazione dell'articolo 84, comma 4, del Codice dei contratti pubblici), nonché perla società aggiudicataria della gara.
In quest'ultimo caso il parere dell'Authority pur non rilevando una diretta violazione dell'articolo 90, comma 8 del Codice ha ritenuto di individuare in linea generale una violazione della par conditio fra concorrenti e della «simmetria informativa» fra operatori economici, ancorché da verificare caso per caso.
In sostanza, l'avere svolto la progettazione e avere seguito tutto lo sviluppo fino all'approvazione potrebbe avere posto il concorrente in una posizione privilegiata, di vantaggio, rispetto agli altri concorrenti: Essendo «sufficiente il solo sospetto della possibile lesione della trasparenza nella circolazione delle informazioni» l'Autorità individua un «vulnns al principio della par conditio». E' quindi là disomogeneità di partenza a determinare la violazione del principio di parità di trattamento (articolo ItaliaOggi del 18.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Responsabilità della P.A. - P.A. acquirente, al G.O. il risarcimento precontrattuale.
Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O. la controversia avente a oggetto la richiesta di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale della P.A., conseguente all'annullamento in autotutela di una procedura di gara esperita per l'acquisto di un immobile.

Viene celebrata una gara per l’acquisto di un immobile da parte della P.A.; dopo l’aggiudicazione, quest’ultima annulla tutti gli atti di sua indizione. Il soggetto dichiarato provvisoriamente aggiudicatario, trascorsi circa due anni, adisce per ottenere il danno da culpa in contrahendo il TAR di Catanzaro il quale, con la segnalata sentenza, declina la propria giurisdizione.
Ha infatti rilevato il Collegio calabrese, delineando il principio su in massima, che in tal caso, trattandosi di un procedimento a evidenza pubblica per la scelta del contraente con il quale la P.A. deve concludere un contratto di compravendita immobiliare, non si verte in materia di procedure di affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi pubblici che consente al G.A. di conoscere le domande risarcitorie fondate sulla responsabilità precontrattuale.
Ha inoltre rilevato come, in siffatta evenienza, il danno sofferto non deriva direttamente dal ritardo nell’emanazione del provvedimento amministrativo richiesto –l’aggiudicazione definitiva-, ma dal ritardo nella stipulazione del contratto, quindi da una condotta della P.A., in ipotesi scorretta, che, protraendo in maniera irragionevole le trattative per giungere alla conclusione del contratto a distanza di quasi due anni dall’aggiudicazione provvisoria, sarebbe incorsa nella violazione del dovere, sancito dall’art. 1337 c.c., di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
La conseguenza di tanto, per l’adito G.A. è che la giurisdizione sulle domande di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale appartiene all’Autorità giudiziaria ordinaria, essendo stato chiesto il risarcimento per l’asserita lesione della libertà negoziale e, dunque, di una posizione soggettiva diversa dall’interesse legittimo (massima tratta da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 03.05.2011 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso.
Con sentenza 02.05.2011 n. 2579 la Sez. VI del Consiglio di Stato ha precisato come il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso delle operazioni effettuate da essa, in relazione alla constatazione degli atti e dei documenti inseriti dalle partecipanti alla gara nelle relative buste.
Nell'ambito di una gara per l'assegnazione di concessioni demaniali a scopo turistico e ricreativo, una delle concorrenti veniva esclusa in quanto la commissione rilevava l'irregolarità della domanda di partecipazione, oltre che il mancato rispetto delle forme richieste dall'articolo 38 del d.p.r. 445/2000 in materia di dichiarazione sostitutiva, poiché la domanda risultava priva di copia del documento di identità.
La partecipante chiedeva l'annullamento in autotutela sostenendo, tra l'altro, la regolarità della propria domanda in considerazione del fatto che nel medesimo verbale della commissione di gara si dava atto della presenza del documento di identità.
La richiesta di annullamento veniva respinta in quanto il segretario della commissione di gara dava atto della circostanza che, per mero errore materiale, nei verbali di gara era stata indicata la presenza della fotocopia del documento di identità mentre in realtà tale documento rappresentava la fotocopia del verbale di presa visione dello stato dei luoghi. Avverso tale esclusione la ricorrente proponeva ricorso.
Il TAR adito confermava la legittimità dell'operato della commissione e di conseguenza rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza, la ricorrente proponeva appello al Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, dopo aver ribadito che l'indicazione del documento di identità nel verbale di gara era stata determinata da un mero errore materiale della commissione, circostanza confermata anche dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di 1° grado, ha chiarito che “[...]si deve rilevare che la mancanza della prescritta fotocopia del documento di identità non è stata certificata dalla nota del segretario della commissione, ma già dalla commissione stessa nella sua responsabilità collegiale asseverata nel verbale n. 5 del 05.03.2007, che è atto anch'esso facente fede, formato nell'esercizio della attività propria della Commissione di accertamento della regolarità del procedimento ad essa affidato, e perciò di doverosa revisione dei relativi presupposti, non contestato con querela di falso, neppure essendo stata prodotta dall'appellante alcuna prova contraria a fronte della documentazione acquisita in sede istruttoria. Sotto tale profilo, il Collegio ritiene di dover precisare che:
- il verbale redatto dalla commissione di gara fa fede fino a querela di falso delle operazioni effettuate da essa, in relazione alla constatazione degli atti e dei documenti inseriti dalle partecipanti alla gara nelle relative buste;
- qualora la medesima commissione constati di aver redatto il verbale sulla base di erronei accertamenti o comunque di errori di fatto, in coerenza col principio di legalità essa stessa può constatare l'accaduto e redigere un verbale (che a sua volta fa fede fino a querela di falso), il quale spieghi le circostanze emerse e adotti le relative determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può prevenire la proposizione di contestazioni e di ricorsi, constatando i propri precedenti errori di percezione e redigendo l'ulteriore verbale con cui sia ripristinata la legalità
”.
Dopo aver affrontato tale questione il Consiglio di Stato, richiamando la costante giurisprudenza amministrativa, ha chiarito come la mancata allegazione, alla dichiarazione sostitutiva, della copia del documento di identità del sottoscrittore, rende l'atto nullo per difetto di una forma essenziale stabilita dalla legge, e tale omissione, non integrando una mera irregolarità, non è suscettibile di correzione per mero errore materiale (commento tratto da www.immobili24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa commissione di gara può correggere i propri errori di percezione e redigere un nuovo verbale che ha efficacia di piena prova.
Qualora la commissione di gara constati di aver redatto il verbale sulla base di erronei accertamenti o comunque di errori di fatto, in coerenza col principio di legalità essa stessa può constatare l’accaduto e redigere un verbale (che a sua volta fa fede fino a querela di falso), il quale spieghi le circostanze emerse e adotti le relative determinazioni.
In altri termini, la commissione ben può prevenire la proposizione di contestazioni e di ricorsi, constatando i propri precedenti errori di percezione e redigendo l’ulteriore verbale con cui sia ripristinata la legalità (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.05.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Bando di gara - Clausole ambigue - Deve essere privilegiata l'interpretazione di buona fede che assicuri la massima partecipazione alla gara.
2. Risarcimento del danno - Criteri di riconoscimento e quantificazione.
3. Danno curriculare - Risarcibile in quanto ha valenza autonoma.

1. Secondo giurisprudenza ormai consolidata, nell'ipotesi di clausole ambigue del bando di gara deve essere accolta l'interpretazione che tuteli la buona fede dei partecipanti, sì da soddisfare il concorrente interesse pubblico al più ampio confronto tra le offerte (cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. V 08.03.2006, n. 1224).
2. In sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata illegittima aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale, pari al 10% del prezzo offerto, spetta nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione.
In difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento. Di qui la ragionevolezza della detrazione, affermata dalla giurisprudenza, dal risarcimento del mancato utile, nella misura del 50%, rispetto al 10% del prezzo offerto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n. 7004 e Cons. Stato Sez. V 24.02.2011 n. 1193).
3. In materia di risarcimento del danno patito a seguito di illegittima aggiudicazione a terzi di un appalto pubblico, il danno da mancate referenze assume una valenza autonoma ed ulteriore rispetto al danno da mancato utile e da mancato assorbimento delle spese generali e la liquidazione di tale danno soggiace al generale criterio equitativo di cui all'art. 1226, c.c. (cfr. TAR Veneto Sez. I 20.03.2007 n. 798) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.05.2011 n. 1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Negli appalti comunali l'impresa inadempiente deve risarcire anche il "danno sociale" arrecato alla comunità rappresentata dal Comune.
Segnaliamo l'innovativa sentenza 02.05.2011 n. 195 del TRIBUNALE civile di Belluno, che applica il principio enunciato nel titolo, in conseguenza del ritardo nel completamento di un'opera pubblica da parte della ditta appaltatrice.
Scrive il Tribunale: "Inoltre, la condotta dell'attrice ha comportato un pregiudizio alla comunità di cui il Comune di Feltre è espressione e rappresentante, per cui va riconosciuto anche il ristoro del "danno sociale" arrecato alla stessa per il ritardo nel completamento del Centro Alzhaimer, a causa del mancato adempimento dell'appaltatrice agli impegni contrattuali, che hanno prodotto una lesione dei diritti della comunità, che vantano una specifica posizione giuridica soggettiva di tutela oggi riconosciuta dalla Costituzione (cfr. artt. 117 e 120 Cost.), la cui offesa è meritevole d'esser risarcita a norma degli artt. 2056 e 1226 c.c..
Negli appalti comunali, infatti, ogni anomalia gestionale si ripercuote inevitabilmente sugli utenti dell’opera, oltre ad incidere sulla Comunità intera in ragione del conseguente esborso di pubblico denaro, sottratto ad altri servizi essenziali. L’impresa responsabile è quindi tenuta a rispondere dei danni causati alla Comunità e, per essa, all’Ente esponenziale, vale a dire al Comune di Feltre.
Ne discende il diritto del Comune, quale ente "che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo" (art. 3, 2° comma, D.lgs. n. 267/2000), di ottenere il risarcimento del pregiudizio di cui la collettività è stata ingiustamente onerata (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 06.10.2005, n. 1631, in Foro amm. TAR 2005, 10, 3296: con riguardo al danno subito dalla comunità a causa di un appalto relativo ad una casa di riposo gestita dall'A.S.L: competente, è stato riconosciuto che "il Comune, quale ente esponenziale degli interessi collettivi riferibili alla collettività dei residenti sul suo territorio, è legittimato all'impugnazione dei provvedimenti amministrativi aventi effetti pregiudizievoli nonché alle azioni dirette alla tutela degli interessi dei cittadini; pertanto, va affermata la legittimazione del Comune ad agire per il risarcimento dei danni arrecati alla comunità dei residenti a causa del ritardo nella ultimazione dei lavori di costruzione di una residenza per anziani oggetto di un contratto di appalto, danni che vengono analiticamente indicati nel ricorso").
Tenuto conto di tutte le circostanze sopra richiamate, il risarcimento del danno sociale può essere liquidato in via equitativa nella somma capitale di euro 40.000,00 in valori attuali
" (commento tratto e link a http://venetoius.myblog.it).

aprile 2011

LAVORI PUBBLICIC’era una volta…… la separazione tra progettazione ed esecuzione dei lavori pubblici - L’evoluzione normativa dell’istituto dell’appalto di progettazione ed esecuzione (aprile 2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - VARI: Decreto Sviluppo: in arrivo tante novità su interventi edilizi e non solo.
E' stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Sviluppo che ha l'obiettivo di rilanciare l'economia con una serie di misure che interessano diversi settori tra cui l'edilizia, i mutui bancari e gli appalti pubblici.
Vediamo le novità contenute nel provvedimento.
Piano Casa.
Introdotta una disciplina nazionale a cui le Regioni dovranno adeguarsi. Per interventi di abbattimento e ricostruzione con libertà di sagoma è previsto un premio volumetrico del 20% per edifici residenziale e del 10% per edifici non residenziali.
Permesso a costruire e silenzio assenso.
Altra novità è rappresentata dal silenzio-assenso per il rilascio del Permesso a Costruire, per il quale viene fissato un termine ultimo per i vari comuni in funzione del numero di abitanti. Il silenzio assenso è applicabile nel caso in cui non sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Scia.
Confermata la sostituzione della Dia con la Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), che resta in vigore solo per quei casi in cui sostituisce il Permesso di Costruire.
Appalti pubblici.
Viene esteso da 500.000 euro a un milione di euro l’importo dei lavori che possono essere affidati senza gara d’appalto e con procedura negoziata. In particolare, per i lavori di importo superiore a 500.000 euro l’affidamento da parte del Responsabile del Procedimento dovrà prevedere l’invito di almeno dieci soggetti, per quelli di importo inferiore almeno cinque.
Modificati anche i requisiti delle imprese che possono partecipare alle gare di appalto, (i cosiddetti requisiti di moralità), per ridurre la discrezionalità degli enti appaltanti.
Opere conservative, riserve e varianti.
Per le opere compensative è fissato un tetto al 2% , mentre le riserve non sono ammesse se il progetto è stato validato e comunque non possono essere superiori al 20% dell'importo contrattuale.
Per le varianti in corso d'opera è previsto un taglio del 50% delle somme a disposizione. Dimezzati anche i rimborsi agli appaltatori per gli aumenti eccezionali dei prezzi dei materiali.
Variazione destinazione d'uso e sanatoria.
Il decreto introduce anche una piccola sanatoria per i lavori eseguiti in difformità al titolo abilitativo per una differenza inferiore al 2% per cubatura, superficie o altezze; inoltre, è prevista la possibilità di variazione di destinazione d’uso.
Rinegoziazione dei mutui.
I cittadini che hanno contratto un mutuo a tasso variabile e che ora devono far fronte a rate più elevate a causa dell'aumento dei tassi, potranno rinegoziare i mutui fino a 150 mila euro. Con la rinegoziazione il tasso viene trasformato da variabile in fisso per la durata residua del mutuo. Il mutuatario e la banca possono concordare anche l'allungamento del mutuo per un periodo massimo di cinque anni (link a www.acca.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca dell'aggiudicazione dell'appalto, per ragione di pubblico interesse, nei confronti di un'impresa il cui legale rappresentante abbia riportato una condanna per il reato di aggiotaggio.
E' legittimo il provvedimento con il quale il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco ha revocato l'aggiudicazione dell'appalto triennale del servizio di pulizia delle varie sedi dello stesso comando, per ragione di pubblico interesse nei confronti di un'impresa il cui legale rappresentante abbia riportato una condanna per il reato di aggiotaggio.
Il suddetto reato, infatti, benché non rientrante fra quelli nominativamente menzionati dall'art. 38, lett. c), del d.lvo n. 163 del 2006, stante la latitudine della clausola contenuta nella prima parte della norma di cui al summenzionato art. 38, lett. c), è un reato commesso in danno dello Stato (per la precisione, contro l'economia nazionale) e certamente qualificabile come grave.
Quanto alla incidenza del reato in questione sulla moralità professionale della ditta, deve essere valutata di volta in volta, salvo il caso che non si tratti di violazioni di norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro o di fattispecie in cui il reato riguarda proprio l'oggetto dell'appalto. Ma nel procedere all'esegesi ed all'applicazione della norma non si può in radice negare la incidenza sulla moralità professionale della ditta per il solo fatto che il reato è stato commesso dal legale rappresentante dell'impresa nella sua veste di privato cittadino.
Non si può infatti costringere la Pubblica Amministrazione a contrattare con imprese i cui legali rappresentanti (ossia i soggetti che di fatto personificano le ditte nei rapporti con la P.A.) abbiano in qualche modo macchiato la propria reputazione morale, avendo commesso reati che riguardano, anche in senso lato, settori rilevanti della vita associata (TAR Marche, sentenza 30.04.2011 n. 276 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare, un'impresa per proprietario. Cassazione: vietato presentare più aziende.
Stretta della Cassazione sugli appalti pubblici. Commette il reato di turbata libertà degli incanti il proprietario di diverse aziende che si presentano a una gara simultaneamente e con offerte concordate (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 29.04.2011 n. 16333).

APPALTI SERVIZI: Sulla rimessione all'Adunanza Plenaria della questione sull'applicabilità del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, agli appalti indetti da società pubbliche che operano nell'ambito dei settori speciali.
La questione della applicabilità del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, codice dei contratti pubblici, alla procedura selettiva espletata da EniServizi s.p.a., in nome e per conto di Eni s.p.a., per l'affidamento dei servizi di sicurezza e vigilanza privata a mezzo di guardie particolari giurate presenta due possibili ed opposte soluzioni.
La prima soluzione conduce a ritenere applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici. Secondo tale approccio interpretativo, l'impresa pubblica, in quanto ente sottoposto all'influenza dominante di un'amministrazione aggiudicatrice, non può mai dirsi sottratta dalla osservanza delle regole minimali dell'evidenza pubblica di diritto interno, cui soggiacciono d'altra parte financo gli enti ecclesiastici che fruiscano di finanziamenti pubblici (in tema, Cons. Stato, VI, 04.06.2004, n. 3478). In tal caso, non vi sarebbero dubbi circa la necessaria attrazione delle controversie nell'alveo cognitorio del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 Cod. proc. amm..
La seconda soluzione non ritiene applicabile alla fattispecie il Codice dei contratti pubblici per la ragione che si tratta dell'affidamento di un contratto di diritto comune svolto da una impresa pubblica che, quanto all'attività in questione (non-strumentale a quella propria di un settore speciale), è estranea a quelli oggetto del Codice stesso.
Secondo tale soluzione le imprese pubbliche, a differenza delle amministrazioni aggiudicatrici, sono soggetti aggiudicatori solo laddove e nella misura in cui svolgono attività nei settori speciali.
Tenuto conto della situazione di possibile divergenza interpretativa, la suddetta questione deve essere rimessa all'esame all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.04.2011 n. 2543 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla natura di concessione di pubblico servizio del servizio di illuminazione votiva, con conseguente applicabilità della normativa limitativa della durata delle concessioni assegnate senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8, del dl 112/2008.
Il comune che si avvalga dell'opera di un privato, per le attività connesse all'illuminazione votiva cimiteriale, pone di regola in essere una concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica, poiché normalmente detto impianto costituisce un semplice strumento rispetto all'esigenza prioritaria di consentire il culto dei defunti, anche attraverso la gestione del servizio di illuminazione.
Ciò vale, anche, nel caso di specie, connotato dalla realizzazione di opere destinate a consentire l'illuminazione (come la posa di una serie di cavi elettrici del tutto analoghi a quelli usati per l'illuminazione civile ed il loro collegamento ad un punto luce per ciascuna sepoltura), le quali rientrano a buon diritto in quelle ordinariamente necessarie per lo svolgimento del servizio medesimo, senza assunzione di un particolare rilievo o impegno economico.
Pertanto, è legittimo il provvedimento con cui un comune ha anticipato il termine di scadenza del contratto relativo all'affidamento del servizio di illuminazione votiva cimiteriale, non potendo essere smentita la natura di concessione di pubblico servizio assunta dal servizio di illuminazione votiva affidato alla società ricorrente, con conseguente applicabilità della normativa limitativa della durata delle concessioni assegnate senza pubblica gara ex art. 23-bis, c. 8, del dl 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008 (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 2409 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In presenza di una clausola del bando di gara che detta prescrizioni a pena di esclusione per l'ammissione dei concorrenti, le relative determinazioni della commissione giudicatrice sono prive di carattere discrezionale.
Sull'illegittimità della clausola che prevede, a pena di esclusione, la indicazione di nome, cognome e qualifica del funzionario di banca/intermediario che sottoscrive la referenza bancaria.
In presenza di una clausola che detta prescrizioni a pena di esclusione per l'ammissione dei concorrenti ad una procedura concorsuale, le relative determinazioni della commissione giudicatrice sono prive di carattere discrezionale, avendo natura strettamente vincolata all'osservanza delle disposizioni di gara, in quanto la stazione appaltante non può disapplicare le regole che essa stessa ha posto.
Ciò esclude che, nel caso di specie, vi sia spazio per una integrazione o regolarizzazione postuma del documento palesemente privo di un elemento che espressamente il disciplinare di gara ha stabilito come necessario per l'utilizzabilità della referenza bancaria.
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La legge lascia alla stazione appaltante un ampio margine discrezionale per conformare il procedimento concorsuale alle proprie esigenze, disciplinando nella maniera più opportuna i requisiti e gli adempimenti posti a carico dei concorrenti che aspirano a partecipare alla gara. Tali determinazioni, quando non siano in contrasto con norme particolari di rango superiore, non sono censurabili nel merito, fatto salvo il sindacato di legittimità quando si manifesti una palese irragionevolezza o ingiustizia o incongruità delle disposizioni di gara.
Pertanto, nel caso di specie, è fondata la censura dedotta dalla società ricorrente, sotto questi profili, contro la clausola che prevede, a pena di esclusione, la indicazione di nome, cognome e qualifica del funzionario di banca/intermediario che sottoscrive la referenza bancaria. Infatti, tale disposizione, che sembra avere lo scopo di scoraggiare la produzione di documenti non genuini, è essenzialmente inutile in quanto, quand'anche le indicazioni richieste compaiano nel documento, nessuna garanzia vi è che "nome, cognome e qualifica" apposti siano veritieri e che il soggetto apparentemente firmatario sia effettivamente abilitato a rilasciare quella dichiarazione per la banca (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 29.04.2011 n. 2399 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTII procuratori speciali non sono tenuti a rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38 del Codice dei Contratti.
L'obbligo di dichiarazione ai sensi dell'art. 38 del Codice dei Contratti si applica ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali, in quanto ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.
I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza –di diritto comune- della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati. L’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori. Peraltro, anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori).
In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all'amministratore. Pertanto, l'art. 38 del d.lgs. n. 163/06 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l’obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti (fin qui, testualmente, Cons. Stato, V, n. 513/2011) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 29.04.2011 n. 1071 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il Tar Campania sull'avvalimento. Appalti, la qualità non è un ostacolo.
La certificazione di qualità aziendale può essere oggetto di avvalimento negli appalti pubblici.

E' quanto afferma il TAR Campania-Salerno, Sez. I, con la sentenza 29.04.2011 n. 813 che ha esaminato l'applicabilità dell'istituto, chiarendo in primis che la disciplina dei Codice «non pone alcuna limitazione all'avvalimento se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale».
Da ciò quindi la portata generale dell'avvalimento, introdotto nell'ordinamento comunitario e nazionale al fine di rimuovere ogni ostacolo al libero esercizio dell'imprenditorialità e garantire la massima partecipazione alle procedure di gara e la par conditio dei concorrenti.
Per quel che attiene lo specifico profilo legato alla certificazione di qualità aziendale, la sentenza lo inquadra come «requisito speciale di carattere (pur sempre) tecnico-organizzativo», in quanto funzionale a garantire la stazione appaltante in fase esecutiva del contratto, rispetto alle modalità di gestione della struttura aziendale e alla sua efficacia sul processo operatore. Il Tar evidenzia come la certificazione di qualità è sempre intesa a garantire la (obiettiva) qualità dell'adempimento e non solo la (mera e soggettiva) idoneità professionale del concorrente pur sempre strumentale alla prima.
I giudici quindi non aderiscono alla tesi giurisprudenziale per cui (una volta chiarito che l'avvilimento è la regola e le sue limitazioni le eccezioni) che la detta certificazione debba necessariamente far capo (salvo il riscontro di abusi e la doverosa verifica di effettività) unicamente al concorrente con conseguente impossibilità di ausilio per avvalimento.
Dal punto di vista operativo il soggetto che finirebbe per prestare la certificazione non dovrà limitarsi al prestito del solo «documento» contenente la certificazione, ma sarà tenuto a mettere a disposizione del soggetto avvalente, «il complesso della propria organizzazione aziendale ovvero il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa».
I giudici ammettono quindi che, in questo caso, l'impresa concorrente possa assumere le vesti di un mero centro di imputazione di rapporti giuridici e limitare la sua attività al coordinamento delle prestazioni dell'impresa ausiliaria. Rimane ferma però la responsabilità di carattere solidale tra l'impresa concorrente e l'impresa ausiliaria (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICIFinanza di progetto anche per opere fuori programmazione. Nel decreto sviluppo molte modifiche al codice appalti già all'esame del parlamento.
Finanza di progetto anche per opere non in programmazione, tetti alle riserve in fase di esecuzione dell'appalto, esclusione automatica sotto soglia fino al 2013, procedura negoziata fino a 1 milione di euro ma con dieci imprese invitate e post-informazione, semplificazione della disciplina sulle cause di esclusione.
Sono questi alcuni dei punti principali, relativi alle opere pubbliche, sui quali si articolerà il prossimo decreto legge sullo sviluppo, ferma restando l'attenta verifica dei requisiti di necessità e urgenza che andrà fatta per non incorrere in censure da parte del Quirinale.
Si tratta, nella sostanza, di modifiche al Codice dei contratti pubblici che investono materie sulle quali sta, in alcuni casi, già discutendo il parlamento. È il caso, per esempio, delle modifiche alla procedura negoziata senza bando di gara (la più nota trattativa privata) per la quale al senato, nell'ambito del ddl statuto di impresa, si prevede l'innalzamento della soglia dei 500 mila euro fino a un milione e mezzo. ... (articolo ItaliaOggi del 29.04.2011 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive, ordine di demolizione in eredità.
L'ordine di demolizione di una costruzione abusiva, avendo natura sostanzialmente amministrativa e ''reale'', prescinde dalle vicende soggettive del bene in ordine al quale e' stato disposto.
La Suprema Corte conferma la consolidata giurisprudenza di legittimità circa la natura dell'ordine di demolizione emesso dal giudice penale ex art. 31 T.U. edilizia. Il fatto oggetto di giudizio è così ricostruibile.
Nell'ambito di un procedimento per la revoca di un ordine di demolizione –emesso in seguito a condanna per violazioni edilizie– la Corte d'appello di Salerno, quale giudice dell'esecuzione, dichiara estinta la procedura per morte del condannato.
Accogliendo il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio tale ordinanza, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d'appello per l'ulteriore corso della procedura.
Richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Corte ha affermato che l'ordine di demolizione non si estingue per morte del condannato, in quanto costituisce un atto ablatorio “dovuto” e di natura “reale”.
Tale ordine, emesso dal giudice con la sentenza di condanna per violazioni edilizie in relazione all'opera abusivamente realizzata, ha natura “sostanzialmente amministrativa”, ed è insuscettibile di valutazione discrezionale.
Questa lettura conferma il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che emerge con particolare evidenza in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti.
La Suprema Corte, infatti, afferma che l'ordine di demolizione deve essere disposto dal giudice anche ove non abbia formato oggetto dell'accordo tra le parti.
Trattandosi di “atto dovuto” (non configurabile né come pena accessoria né come misura di sicurezza), è infatti sottratto alla disponibilità delle parti, oltre che alla valutazione discrezionale del giudice (in questo senso, recentemente, Cass., sez. III, 23.03.2011, n. 16574; si v. anche ex multis Cass., sez. III, 18.01.2011, n. 5360; Cass., sez. II, 07.01.2011, n. 1579, in Guida dir., 2011, 12, 73; Cass., sez. III, 19.09.1997, n. 2896, in Cass. pen. 1998, 1479).
La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha inoltre richiamato la costante giurisprudenza di legittimità che attribuisce “natura 'reale' e ripristinatoria” all'ordine di demolizione, richiedendone l'esecuzione “nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato” (così Cass., sez. III, 21.10.2009, n. 47281, Arrigoni; si v. anche Cass., sez. III, 13.07.2009, n. 39322, Berardi e altri; Cass., sez. III, 24.04.2001, n. 35525, Consolo).
L'ordine trova dunque applicazione in relazione all'opera abusiva, “prescinde[ndo] dalle vicende soggettive” della stessa; pertanto, esso “conserva ... la sua efficacia anche nei confronti dell'erede del condannato” (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 28.04.2011 n. 16581).

APPALTI SERVIZI: SERVIZIO DISTRIBUZIONE GAS NATURALE.
L'articolo 3, comma 3, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 19.01.2011 stabilisce che “a decorrere dall'entrata in vigore del presente provvedimento le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione gas, previsto dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 164/2000, per le quali non è stato pubblicato il bando o non è decorso il termine per la presentazione delle offerte di gara sono aggiudicate unicamente relativamente agli ambiti determinati nell'allegato 1, facente parte integrante del presente provvedimento”. Ora, il secondo ed ulteriore parametro previsto dalla disposizione, ossia la scadenza del termine per la presentazione delle offerte, è indicato in via alternativa (con la formula “o”) e sembra rinviare ai metodi di scelta del contraente non accompagnati dalla preventiva redazione di un bando di gara.
E' quanto statuito dal TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con l'ordinanza 28.04.2011 n. 413, ove vengono fornite le prime ed importanti precisazioni in relazione al decreto attuativo degli A.TE.M..
Dunque, dopo anni di incertezza normativa, il 31.03.2011 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 31.03.2011 il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 19.01.2011, che disciplina gli Ambiti Territoriali Minimi. Precisamente, la disciplina può essere così riassunta:
a) Gli Ambiti Territoriali Minimi per lo svolgimento delle gare e l'affidamento del servizio di distribuzione del gas sono determinati in numero di 177.
b) Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la Coesione territoriale, da comunicare alla Conferenza Unificata, saranno indicati i Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale. Viene precisato che, al fine di semplificare le operazione di aggregazione degli enti locali, è introdotto un limite di 50 sul numero massimo di Comuni presenti in un ambito, purché riguardino almeno 50.000 clienti.
c) Gli Enti locali di ciascun ambito territoriale minimo dovranno affidare il servizio di distribuzione gas tramite gara unica, cioè al gestore risultato vincitore nell'ambito territoriale minimo a cui appartengono.
d) La gara unica può essere estesa a due o più ambiti confinanti previo accordo degli enti locali degli ambiti interessati.
e) Nel periodo di prima applicazione del nuovo sistema, il gestore risultato vincitore della gara d'ambito subentra progressivamente nell'affidamento del servizio dei vari impianti di distribuzione gas dell'ambito territoriale minimo alla scadenza delle singole concessioni presenti nell'ambito, a meno di una loro anticipata risoluzione concordata fra il gestore uscente e l'Ente locale.
f) Con delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, sono stabilite misure volte a incentivare l'anticipata risoluzione delle predette concessioni, nonché misure volte a incentivare l'aggregazione degli ambiti territoriali minimi, che presentano un numero di clienti inferiore a 100.000.
g) Ai sensi dell'articolo 46-bis, comma 2, del decreto legge 01.10.2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29.11.2007, n. 222, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto (01.04.2011), le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione gas, per le quali non e' stato pubblicato il bando o non e' decorso il termine per la presentazione delle offerte di gara, sono aggiudicate unicamente relativamente agli ambiti ora determinati.
h) Il gestore uscente, ai sensi dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23.05.2000, n. 164, resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento.
Quindi, dovrà essere emanato il decreto, contenente la distribuzione dei Comuni nei rispettivi ambiti ed il regolamento dei criteri di gara. Viceversa, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 04.05.2011, il decreto del 21.04.2011 “Tutela Occupazione”, cioè contenente disposizioni dirette a governare gli effetti sociali connessi ai nuovi affidamenti.
Non c'è dubbio che il punto maggiormente controverso del novello decreto è quello contenuto nell'articolo 3, comma 3°, del decreto, cioè il punto “g”, che può essere così sintetizzato:
- dall'01.04.2011, sono aggiudicate, solo relativamente agli ambiti, le gare già indette, “per le quali non e' stato pubblicato il bando o non e' decorso il termine per la presentazione delle offerte di gara”. Ora, cosa si deve intendere per gare, per le quali non è intervenuta la pubblicazione del bando “o” per le quali non è decorso il termine di presentazione delle offerte? Quale valore occorre dare alla congiunzione “o”?
Per intendere correttamente la disposizione normativa in esame, occorre concentrarsi sulla seconda domanda, cioè sul valore della congiunzione. Allora, deve essere precisato che la congiunzione “o” può esprimere due valori:
1) un valore di disgiunzione, cioè di esclusione di due concetti o cose;
2) un valore di esplicazione, cioè di precisazione e correzione di un precedente concetto o cosa.
In senso di esclusione, la congiunzione si suole premettere anche al primo concetto, ponendo così in corrispondenza reciproca più concetti e facendone spiccare l'alternativa. In senso di esplicazione, la congiunzione non si suole porre davanti al primo concetto, ma solo ai seguenti, e talora si rafforza cangiandosi in ovvero, ossia, etc..
Ora, secondo una prima interpretazione (accolta, da notizie informali, in via non ufficiale dal Ministero delle Attività Produttive), il valore da attribuire è quello esplicativo:
- ai fini del fattuale blocco delle gare, non basta la pubblicazione del bando, ma occorre che sia decorso il termine di presentazione delle offerte. Viceversa, secondo altra interpretazione, occorre attribuire un valore disgiuntivo: o l'uno o l'altro. In altri termini, in mancanza della pubblicazione del bando, la procedura di gara può proseguire se non è scaduto il termine di presentazione delle offerte.
Orbene, il Tar Brescia, nell'ordinanza in esame, aderisce al secondo orientamento e statuisce quanto segue:
a) l'entrata in vigore del decreto ministeriale non sembra incidere sulle determinazioni del Comune;
b) il bando risulta ritualmente pubblicato in data anteriore all'operatività della novella normativa, ed è, pertanto, idoneo a produrre i suoi effetti secondo il principio “tempus regit actum”;
c) che l'ulteriore parametro – ossia la scadenza del termine per la presentazione delle offerte – è indicato in via alternativa (con la formula “o”) e sembra rinviare ai metodi di scelta del contraente non accompagnati dalla preventiva redazione di un bando di gara. In altri termini, secondo il Tar Brescia, l'espressione disgiuntiva utilizzata nel decreto sembra alludere a due diverse tipologie di gara:
- procedura aperta o ristretta, in relazione alla pubblicazione del bando;
- procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara, in relazione al termine per la presentazione delle offerte.
Le statuizioni del Tar Brescia sono, in linea generale, condivisibili, in quanto il valore della congiunzione “o” sembra essere disgiuntivo e non esplicativo. Tuttavia, l'adesione a tale indirizzo, che si ribadisce appare il più convincente, sembra alludere ad una possibilità di scelta di tipologia di gara, cioè al fatto che il Comune, ai fini dell'affidamento del servizio di distribuzione gas naturale, possa scegliere liberamente fra procedura aperta e ristretta, da un lato, e procedura negoziata senza previo bando dall'altro.
Invero, tale possibilità è stata smentita dalla più recente giurisprudenza, che ha statuito la legittimità delle sole procedure aperte e ristrette: “l'affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas naturale non può essere effettuato attraverso una procedura negoziata, senza previa pubblicazione di bando di gara, in quanto il comma 4° dell'articolo 30 del Codice dei contratti (D.Lgs. n. 163/2006), in tema di concessione di servizi, fa espressamente salve discipline specifiche, che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza quali, appunto, quelle di cui al D.Lgs. n. 164/2000.
Il Collegio riconosce che l'articolo 14 del citato D.Lgs. n. 164/2000 si riferisce genericamente a “gare”, senza specificarne la tipologia (aperta, ristretta o negoziata), ma osserva che lo stesso articolo, al comma 5°, introduce principi di concorrenza e di ampia partecipazione, che lasciano intendere il disfavore del Legislatore verso affidamenti diretti o a mezzo di procedure non ad evidenza pubblica
” (Tar Marche, sez. I, 06.12.2010, n. 3412).
A ben vedere, la soluzione interpretativa del Tar Marche può essere accolta, in quanto si palesa conforme all'articolo 54 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006), secondo il quale procedura aperta e procedura ristretta costituiscono e rappresentano gli ordinari modelli di scelta del contraente, mentre le negoziate possono essere utilizzate solo alle “condizioni specifiche espressamente previste” (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il giudizio relativo alla regolarità dei documenti allegati all’offerta non ha efficacia di piena prova.
I verbali provenienti da pubblici ufficiali hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso (art. 2700 c.c.) solo relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre tale fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale ovvero alle sue ulteriori valutazioni e deduzioni. (ex multis VI sez., n. 7129 del 2010).
In applicazione del suddetto principio, il CGA ha raffermato che un giudizio formulato dalla Commissione di gara in ordine alla regolarità dei documenti allegati all’offerta costituisce il frutto di valutazioni non assistite da fidefacienza ma piuttosto da presunzione semplice di veridicità. (C.G.A. n. 35 del 2006) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Contratti pubblici - Revisione prezzi nei contratti di appalto - Art. 44 Legge finanziaria 724/1994 - Contratti per l'esecuzione di lavori pubblici e contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi - Applicabilità per la Regione Sicilia - Esclusione.
L’istituto della revisione dei prezzi nei contratti di appalto, prima oggetto di divieto, è stato reintrodotto, a livello statale, dall’art. 44 della legge finanziaria 23.12.1994, n. 724. Deve però escludersi che questa disciplina legislativa statale abbia spiegato efficacia automaticamente abrogante nei confronti della previgente difforme disciplina legislativa regionale (legge regionale per la regione Sicilia, 12.01.1993, n. 10 artt. 56 e 70).
Depone in tal senso il comma 3 del citato articolo il quale prevede che, in riferimento alla materia di cui trattasi, "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono in base alle loro competenze nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". La norma richiamata non riguarda soltanto le ipotesi di competenza esclusiva delle Regioni a statuto speciale, ma fa invece salvo anche l’esercizio della potestà legislativa concorrente, ovviamente entro i limiti all’uopo tracciati dallo Statuto e dalle norme di attuazione.
In particolare, dal momento che la materia della revisione prezzi fruisce, nella Regione siciliana, di una disciplina unitaria, sia con riguardo agli appalti di lavori che a quelli di servizi, non è pensabile che la sopravvenuta disciplina statale, riferita indistintamente a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica, esplichi effetto discriminante sul regime del corrispettivo contrattuale a seconda che questo si riferisca all’esecuzione di lavori pubblici (materia attribuita alla competenza legislativa primaria della Regione, ex art. 14, lett. g, dello Statuto), ovvero alla prestazione di servizi (C.G.A. n. 184 del 2002) (C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 332 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Polizza digitale, valida solo se prodotta in originale o in copia autenticata da un pubblico ufficiale.
La garanzia provvisoria in formato digitale deve essere presentata in originale e cioè su supporto informatico e sottoscritta con firma digitale.
In alternativa la concorrente può presentare una copia su supporto cartaceo della polizza generata informaticamente, la conformità della copia all'originale in tutte le sue componenti sia attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Mancando l’attestazione di conformità non è possibile, infatti, risalire al soggetto che ha sottoscritto l’originale informatico con firma digitale. Né, come già chiarito in giurisprudenza, la conformità di cui si discute poteva essere autocertificata poiché la polizza, in quanto scrittura privata, non rientra fra i documenti per i quali l’art. 19 del T.U. n. 445 del 2000 consente di attestare la conformità all’originale mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 28.04.2011 n. 330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'inserimento dell'inciso "per quanto a propria conoscenza" nella dichiarazione riguardante gli amm. cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando rende del tutto priva di valore la dichiarazione rilasciata.
L'inciso "per quanto a propria conoscenza" riportato nella dichiarazione riguardante gli amministratori cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando dal legale rappresentante di una società concorrente, rende del tutto priva di valore e tanquam non esset la dichiarazione rilasciata, in quanto si pone in contrasto con le norme in materia di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà di cui al D.P.R. n. 445/2000, mancando in tal caso, una vera e propria assunzione di responsabilità che dovrebbe, invece, essere alla base dell'affidamento che è chiamata a riporvi l'amministrazione.
L'AVCP con la det. n. 1 del 12.01.2010 ha precisato, altresì, che la legittimità di una dichiarazione riportante l'inciso in argomento, può essere ammessa solo qualora il dichiarante specifichi espressamente "le circostanze che rendono impossibile o eccessivamente gravosa la produzione della dichiarazione da parte dei soggetti interessati".
Nel caso di specie, tali ulteriori specificazioni nella dichiarazione resa dal legale rappresentante non sono state riportate; pertanto, l'inciso "per quanto a propria conoscenza" comporta l'inesistenza della dichiarazione stessa, con la conseguenza della legittima esclusione della concorrente dalla gara. Né gioverebbe un eventuale richiamo al c.d. "falso innocuo", che comunque afferisce a diversa fattispecie, giacché tale principio sostanzialistico elaborato dalla giurisprudenza non può trovare applicazione a fronte di espressa ed inequivoca prescrizione della lex specialis (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 27.04.2011 n. 3620 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, la prima soltanto delle quali comporta travolgimento dell’atto consequenziale, indipendentemente dalla relativa impugnazione: tale situazione si verifica normalmente quando l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi.
Detto effetto caducante non intercorre di norma fra aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva, tenuto conto della giurisprudenza prevalente, che attribuisce all’aggiudicazione provvisoria natura di atto endo-procedimentale, dagli effetti ancora instabili e meramente interinali, con autonoma incidenza lesiva dell’aggiudicazione definitiva, quale provvedimento di formale ricezione, da parte dell’Amministrazione, dell’esito della gara, non senza nuova valutazione degli interessi pubblici e privati sottostanti.
Il soggetto che si consideri leso può dunque impugnare l’aggiudicazione provvisoria, ma si ritiene che debba comunque contestare, a pena di improcedibilità del ricorso, anche l’aggiudicazione definitiva (mentre l’impugnativa di quest’ultima è comunque ammissibile, anche in assenza di previa contestazione di altri atti interni della procedura di gara).
Quanto sopra non esclude che –in presenza di un’aggiudicazione definitiva, di fatto meramente confermativa di quella provvisoria ed anche in assenza di invalidità di atti presupposti, tali da travolgere “ab initio” l’intera procedura di gara– possa in singoli casi ritenersi applicabile il principio generale, in precedenza enunciato in tema di effetto caducante. Quando tuttavia siano stati ritualmente impugnati sia l’aggiudicazione provvisoria che quella definitiva, appare prioritario ed assorbente il principio di concentrazione e semplificazione che ha indotto il legislatore, con l’art. 1 della legge 21.07.2000, n. 205, a consentire l’impugnazione con motivi aggiunti di tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso fra le medesime parti, purché connessi all’oggetto del giudizio.
Tale principio consente che ogni atto autonomamente lesivo venga contestato per i vizi attinenti alla fase cui lo stesso si riferisce, mentre avverso gli atti conseguenti –ove censurabili solo per l’effetto viziante, riconducibile ad illegittimità di atti presupposti– può ben essere prospettato il solo vizio ad essi direttamente riconducibile, ovvero quello di illegittimità derivata, non ponendosi alcun problema circa la piena informazione di tutte le parti in causa sugli esatti termini della controversia (come non avverrebbe in caso di coinvolgimento di altri soggetti, in giudizi sia pure connessi, ma distinti da quello di cui si richiamassero genericamente le censure, solo in questo caso incorrendo in una ragione di inammissibilità).
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Il Collegio è chiamato a valutare, in via preliminare, la correttezza o meno delle statuizioni della sentenza appellata, secondo cui:
   - risulterebbe inammissibile l’impugnazione con motivi aggiunti dell’aggiudicazione definitiva di una gara, solo per illegittimità derivata e senza pedissequa riproposizione delle censure, già ritualmente prospettate avverso l’aggiudicazione provvisoria;
   - sarebbe dunque improcedibile il ricorso principale avverso l’aggiudicazione provvisoria e gli atti presupposti.
Il Collegio non condivide le conclusioni sopra sintetizzate, poiché incompatibili con principi fondamentali del processo amministrativo.
Nella fattispecie, infatti,l’impresa esclusa dalla gara ha impugnato la propria esclusione dalla gara, nonché la graduatoria provvisoria e quella definitiva, richiamando –in sede di proposizione dei motivi aggiunti– le censure formulate col ricorso principale e deducendo, in particolare, l’illegittimità derivata della aggiudicazione definitiva.
Con impostazione formalistica, che ha vanificato la tutela dell’originaria ricorrente, nella sentenza impugnata sono stati dichiarati inammissibili i motivi aggiunti e improcedibile il ricorso originario, per omessa pedissequa riproposizione di tutte le censure prospettate nel ricorso stesso.
L’appellante ha contestato tali conclusioni, richiamando in primo luogo i principi sul cosiddetto effetto travolgente dell’annullamento dell’atto presupposto, rispetto a quello consequenziale.
In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, in effetti, deve distinguersi fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, la prima soltanto delle quali comporta travolgimento dell’atto consequenziale, indipendentemente dalla relativa impugnazione: tale situazione si verifica normalmente quando l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 25.11.2010, n. 8243; Cons. St., sez. VI, 23.12.2008, n. 6520); detto effetto caducante non intercorre di norma fra aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva, tenuto conto della giurisprudenza prevalente, che attribuisce all’aggiudicazione provvisoria natura di atto endo-procedimentale, dagli effetti ancora instabili e meramente interinali, con autonoma incidenza lesiva dell’aggiudicazione definitiva, quale provvedimento di formale ricezione, da parte dell’Amministrazione, dell’esito della gara, non senza nuova valutazione degli interessi pubblici e privati sottostanti (cfr., in senso conforme, Cons. St., sez. V, 11.01.2011, n. 80; Cons. St., sez. VI, 20.10.2010, n. 7586; Cons. St., sez. V, 23.11.2010, nn.. 8154 e 8153).
Il soggetto che si consideri leso può dunque impugnare l’aggiudicazione provvisoria, ma si ritiene che debba comunque contestare, a pena di improcedibilità del ricorso, anche l’aggiudicazione definitiva (mentre l’impugnativa di quest’ultima è comunque ammissibile, anche in assenza di previa contestazione di altri atti interni della procedura di gara).
Quanto sopra non esclude che –in presenza di un’aggiudicazione definitiva, di fatto meramente confermativa di quella provvisoria ed anche in assenza di invalidità di atti presupposti, tali da travolgere “ab initio” l’intera procedura di gara– possa in singoli casi ritenersi applicabile il principio generale, in precedenza enunciato in tema di effetto caducante (cfr. Cons. St., sez. VI, 19.07.2007, n. 4060). Quando tuttavia, come nella situazione in esame, siano stati ritualmente impugnati sia l’aggiudicazione provvisoria che quella definitiva, appare prioritario ed assorbente il principio di concentrazione e semplificazione che ha indotto il legislatore, con l’art. 1 della legge 21.07.2000, n. 205, a consentire l’impugnazione con motivi aggiunti di tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso fra le medesime parti, purché connessi all’oggetto del giudizio.
Tale principio consente che –nel processo unitario in corso– ogni atto autonomamente lesivo venga contestato per i vizi attinenti alla fase cui lo stesso si riferisce, mentre avverso gli atti conseguenti –ove censurabili solo per l’effetto viziante, riconducibile ad illegittimità di atti presupposti– può ben essere prospettato il solo vizio ad essi direttamente riconducibile, ovvero quello di illegittimità derivata, non ponendosi alcun problema circa la piena informazione di tutte le parti in causa sugli esatti termini della controversia (come non avverrebbe in caso di coinvolgimento di altri soggetti, in giudizi sia pure connessi, ma distinti da quello di cui si richiamassero genericamente le censure, solo in questo caso incorrendo in una ragione di inammissibilità).
La sentenza appellata –che dichiarava inammissibili i motivi aggiunti di gravame avverso l’aggiudicazione definitiva, poiché non formalmente reiterativi di tutte le censure in precedenza prospettate, con ulteriore improcedibilità del ricorso principale– non può pertanto che essere annullata, senza che si pongano problemi di riconoscimento dell’errore scusabile, pur richiamato dall’appellante, poiché vi è stata la rituale impugnazione di tutti gli atti emessi in sede amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2011 n. 2482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Subappalto - Divieto di cui all’art. 37 d.lgs. n. 163/2006 - Individuazione delle opere - Criterio sostanziale.
L'individuazione delle opere rientranti nel divieto di subappalto di cui all’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006 dev’essere di tipo sostanziale, non formale (con riguardo, cioè, alle declaratorie ex d.P.R. n. 34/2000, all. A, delle o.g. e delle o.s.), per cui, ai fini dell'applicabilità del divieto, occorre verificare, di volta in volta, in rapporto a ciascun appalto, se le opere classificate come generali siano in concreto di "notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica", indipendentemente dalla relativa declaratoria formale: prevale l’esigenza di evitare che l’aggiudicataria, classificata per le opere prevalenti, agisca da copertura per una serie di mascherati subappalti concernenti proprio le opere di maggiore complessità tecnologica (cfr. C.S., sez. IV, dec. 19.10.2004 n. 6701; sez. VI, dec. 19.08.2003 n. 4671) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2479 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Gara: legittima la clausola che impone la firma del documento di riconoscimento.
E’ legittima la clausola del disciplinare di gara che impone la firma autografa in originale della copia del documento di riconoscimento dell’offerente.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ribalta l’appellata sentenza del Tar Liguria che aveva dichiarato illegittima la clausola del disciplinare di un’asta immobiliare la quale, a pena di esclusione, imponeva la sottoscrizione del concorrente sulla copia del documento, formalismo ritenuto dal Tar illogico e sproporzionato. Pertanto, non può essere invalidata una gara pubblica che contempli, a pena di esclusione, analoga prescrizione nella relativa lex specialis.
Il Tar Liguria era stato chiamato a decidere sull’impugnazione del verbale di aggiudicazione e del disciplinare di gara, relativi ad un’asta immobiliare, nella parte in cui il primo aveva escluso la ricorrente, senza che fosse stata aperta la busta contenente l’offerta economica. Una delle partecipanti si era vista estromettere in quanto non aveva apposto la propria firma autografa sulla fotocopia del documento di identità che aveva prodotto. Il Tar adito in primo grado annullava l’aggiudicazione dell’immobile riconoscendo illegittima la clausola del disciplinare di gara in quanto imponeva un “inutile formalismo”.
Il ricorrente in appello ha invece sottolineato la doverosità dell’esclusione della ricorrente in primo grado, poiché la lex specialis della gara prevedeva la sanzione dell’esclusione per l’ipotesi di omessa sottoscrizione della fotocopia del documento, rilevando che tale onere non fosse né illogico né sproporzionato.
Il Consiglio di Stato, riconoscendo che l’adempimento della sottoscrizione era previsto “a pena di esclusione”, ha accolto la doglianza dell’appellante ritenendo legittima la clausola del disciplinare che imponeva l’onere della firma sulla copia del documento. La mancata illogicità è stata ancorata all’attribuibilità della domanda di partecipazione al soggetto offerente, attraverso la comparazione delle sottoscrizioni presenti sull’istanza e sull’offerta a quella apposta sul documento.
Infine, l’adempimento non è stato ritenuto sproporzionato poiché limitato alla semplice lettura del bando e all’apposizione della sottoscrizione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2011 n. 2478 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Revoca dell'aggiudicazione annullabile senza comunicazione avvio procedimento.
Il provvedimento di revoca adottato in seguito al precedente provvedimento di aggiudicazione definitiva di una procedura ad evidenza pubblica è illegittimo, e dunque annullabile, se manca la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto risultato aggiudicatario.
È questo, in estrema sintesi, quanto affermato dalla sentenza 27.04.2011 n. 2456 resa dalla V Sezione del Consiglio di Stato.
Un ente pubblico aveva indetto una gara per l’affidamento di un servizio.
La procedura di evidenza pubblica si era poi perfezionata con l’emanazione del relativo provvedimento di aggiudicazione.
Tuttavia, a distanza di oltre un mese dall’intervento della delibera direttoriale che aveva disposto l’aggiudicazione definitiva in favore della Società risultata vincitrice, l’ente pubblico revocava detta aggiudicazione.
In seguito alla pronuncia del Giudice territoriale (TAR del Lazio), la questione è approdata al Consiglio di Stato, il quale si è pronunciato in merito alla legittimità del provvedimento di revoca adottato in seguito al precedente provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara.
Al riguardo i Giudici hanno ravvisato la violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241/1990 [1].
Come noto, l’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo prevede, tra l’altro, l’obbligo per la pubblica amministrazione che avvia un procedimento amministrativo di comunicare l’avvio del procedimento stesso ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, nonché ai soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, cui possa derivare un pregiudizio.
Ciò considerato, in armonia con il proprio consolidato orientamento interpretativo, i Giudici hanno rilevato che il perfezionamento della procedura di evidenza pubblica, segnato dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, vale a differenziare e qualificare la posizione dell’aggiudicatario ai fini dell’applicazione dei canoni partecipativi di cui agli artt. 7 e ss. l. n. 241 del 1990.
Difatti, argomenta il Consiglio di Stato richiamando la pronuncia n. 5925 del 2007 [2], l’amministrazione che intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva, con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di contratti pubblici, “deve adempiere alla prescrizione imposta dall’art. 7 della legge n. 241/1990 provvedendo alla comunicazione dell’avvio del procedimento quantomeno nei confronti dell’aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall’adozione dell’atto di revoca”.
Il provvedimento di revoca, pertanto, sarebbe annullabile in quanto, incidendo in via estintiva sulla posizione di vantaggio consacrata dall’atto di aggiudicazione definitiva, “ha impedito alla società ricorrente di interloquire sull’effettiva sussistenza e consistenza di ragioni di interesse pubblico” sottese al provvedimento di revoca stesso.
Al fine però di rilevare l’illegittimità, e dunque l’annullabilità, di un provvedimento amministrativo occorre affrontare un’ulteriore questione: l’applicabilità o meno dell’art. 21-octies della medesima legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 il quale, in sostanza, afferma la natura non invalidante delle violazioni formali e procedurali non influenti sull’esito finale del procedimento [3].
Detta disposizione prevede infatti, al comma secondo, che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
La seconda parte del medesimo comma, inoltre, dispone che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Sul punto, il Consiglio di Stato rileva che la “regola conservativa” di cui al citato art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990 non è applicabile al caso in esame; e ciò in ragione:
● della caratterizzazione discrezionale del provvedimento di revoca;
● dell’esigenza di ponderare comparativamente con gli interessi pubblici in rilievo la posizione di vantaggio conseguita dal ricorrente a seguito della partecipazione con esito vittorioso alla procedura.
La quinta sezione del Consiglio di Stato, pertanto, ha ravvisato l’illegittimità del provvedimento di revoca adottato a distanza di oltre un mese dal provvedimento di aggiudicazione definitiva per violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241.
I giudici, di conseguenza, hanno accolto il ricorso e annullato la delibera di revoca, facendo salvo, ad ogni modo, il riesercizio del potere amministrativo all’esito di una procedura che consenta la piena esplicazione del contraddittorio ai fini dei una congrua comparazione degli interessi in considerazione.
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[1] Legge 07.08.1990, n. 241 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
[2] Cons. St, sez. V, 21.11.2007, n. 5925.
[3] Con riferimento ai rilievi critici in ordine al rapporto tra detta disposizione ed i principi di garanzia procedimentale si rimanda a D.U. Galetta, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge n. 241/1990, in Giustizia amministrativa, 2005/2, 1-10
(link a www.altalex.com).

APPALTI: Revoca concordata con l'aggiudicatario.
Nell'esercizio del potere di autotutela dopo l'adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, la stazione appaltante deve coinvolgere il soggetto che subirà gli effetti della revoca, notificandogli l'atto di avvio del relativo procedimento ex articolo 7 legge 241/1990.
È quanto afferma il Consiglio di Stato che, nella sentenza 27.04.2011 n. 2456, ha evidenziato come il perfezionamento della procedura di gara a evidenza pubblica, contrassegnato dall'adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, vale a differenziare e qualificare la posizione conseguita dall'aggiudicatario, rispetto, ad esempio, all'ipotesi dell'aggiudicazione soltanto provvisoria.
L'articolo 11 del Dlgs 163/2006 stabilisce, infatti, che a seguito della selezione dell'offerta migliore, e previa verifica dell'aggiudicazione provvisoria, l'amministrazione conclude l'iter di gara con l'adozione dell'atto di aggiudicazione definitiva, fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela.
Sulla base di queste premesse, i giudici di Palazzo Spada -muovendo dall'accoglimento dell'impugnativa proposta avverso un provvedimento di revoca di un'aggiudicazione definitiva, adottato senza il coinvolgimento dell'interessato– hanno messo in rilievo come il destinatario del provvedimento di vera e propria aggiudicazione (qual è quella «definitiva» ex articolo 11, commi 7-8-9 del Dlgs 163/2006) ha diritto, in virtù della posizione di vantaggio acquisita, a interloquire con l'autorità sull'effettiva sussistenza delle ragioni di interesse pubblico presupposte all'esercizio del potere di autotutela prima che sia formalizzata la revoca dell'aggiudicazione.
La sezione ha, così, esteso a questa ipotesi l'applicazione del generale principio partecipativo, posto dall'articolo 7 della legge 241/990 in base al quale l'avvio del procedimento deve essere sempre comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento di secondo grado è destinato a produrre i propri effetti, a meno che non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.
Con la pronuncia in esame, se da un lato viene confermata la possibilità per la pubblica amministrazione di esercitare, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, i poteri discrezionali di revoca e/o annullamento di un atto precedentemente emanato, viene d'altro canto osservato che questo potere non può essere esercitato dalla stazione appaltante in piena ed esclusiva autonomia, quando andrebbe direttamente a incidere sulla posizione di vantaggio cristallizzata dall'atto di individuazione del vincitore della gara.
In altri termini, per essere legittimo, il potere discrezionale della pubblica amministrazione in autotutela deve essere sì speso in conformità ai principi di legalità, di economicità e di razionalità, ma anche nel rispetto del contraddittorio con chi, al termine del procedimento di gara, ha raggiunto una posizione consolidata di vantaggio e ha pertanto un oggettivo e concreto interesse al mantenimento del provvedimento attestante la graduatoria finale dell'appalto (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sulla necessità del possesso dei requisiti esclusivamente in capo ai consorzi stabili.
Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un consorzio stabile, non è necessario verificare il possesso dei requisiti di partecipazione, oltre che in capo al consorzio stesso, anche in testa all'impresa consorziata indicata come esecutrice. La tesi, infatti, della necessità del possesso dei requisiti solo in capo ai consorzi stabili sembra la più coerente con la stessa individuazione di tali figure soggettive.
Queste hanno una loro qualificazione, che consente ai medesimi di partecipare alle gare pubbliche, e pertanto sono gli stessi che assumono su di sé, e con le qualificazioni possedute, l'onere della esecuzione delle prestazioni contrattuali, a nulla rilevando che abbiano designato una consorziata non in possesso delle qualificazioni necessarie, essendo la prestazione "in toto" ricadente sul medesimo consorzio stabile, che potrà provvedervi o direttamente o per il tramite di un'altra impresa consorziata.
Solo così ha un senso la qualificazione da parte della società organismo di attestazione /SOA in capo direttamente al consorzio stabile; questo, in quanto titolare della necessaria qualificazione, è il contraente del contratto e solo alla sua qualificazione occorre fare riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2011 n. 2454 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: S. Usai, Inefficacia del contratto e buona fede del terzo contraente (link a www.lexitalia.it).

LAVORI PUBBLICINon sussiste il vizio di mancata distinzione e redazione del progetto preliminare e definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994 in quanto i tre livelli di progettazione non vanno intesi come inderogabili ed autonomi adempimenti tecnico-amministrativi, rigidamente definiti nei contenuti e nella sequenza temporale, bensì come tappe significative di un unico processo identificativo e creativo, nelle quali si definiscono compiutamente particolari momenti del processo medesimo.
L'approvazione del progetto di opere pubbliche, ove interessi aree che dal piano regolatore non siano destinate a pubblici servizi anche a causa della decadenza di vincoli preordinati all'esproprio, costituisce variante al piano stesso solo dopo che sia intervenuta l'approvazione regionale, secondo le modalità previste dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167, richiamati dall'art. 1 comma 5, l. 03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione della variante urbanistica, connessa all'approvazione del progetto, non comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in questione e, di conseguenza, non legittima le successive procedure ablatorie.

Non sussiste il vizio di mancata distinzione e redazione del progetto preliminare e definitivo ai sensi dell’art. 16 L. 109/1994 in quanto i tre livelli di progettazione non vanno intesi come inderogabili ed autonomi adempimenti tecnico-amministrativi, rigidamente definiti nei contenuti e nella sequenza temporale, bensì come tappe significative di un unico processo identificativo e creativo, nelle quali si definiscono compiutamente particolari momenti del processo medesimo: le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle prestazioni da fornire -progetto preliminare- gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni -progetto definitivo- il dettaglio dei lavori da realizzare ed il relativo costo in modo da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo -progetto esecutivo- (art. 16, commi 3, 4 e 5 della legge 109/1994).
Ne consegue che è possibile l’unificazione di un livello progettuale con quello successivo ed, in particolare, del progetto preliminare e di quello definitivo. Era quindi onere non adempiuto del ricorrente indicare in concreto quali fossero le differenze tra la progettazione realizzata e quella ritenuta in vigore.
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Nel caso, come quello in questione, di approvazione della variante urbanistica ai sensi dell'art. 1, comma 5, l. 03.01.1978 n. 1 la giurisprudenza (TAR Basilicata Potenza, sez. I, 18.10.2008, n. 645; Cons. Stato, IV, 16.03.2010 n. 1540) ha chiarito che l'approvazione del progetto di opere pubbliche, ove interessi aree che dal piano regolatore non siano destinate a pubblici servizi anche a causa della decadenza di vincoli preordinati all'esproprio, costituisce variante al piano stesso solo dopo che sia intervenuta l'approvazione regionale, secondo le modalità previste dagli artt. 1 e ss. l. 18.04.1962 n. 167, richiamati dall'art. 1 comma 5, l. 03.01.1978 n. 1; pertanto, la mera adozione della variante urbanistica, connessa all'approvazione del progetto, non comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in questione e, di conseguenza, non legittima le successive procedure ablatorie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.04.2011 n. 1019 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittima la clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di mensa scolastica che richieda, quale requisito di partecipazione, la disponibilità di un centro cottura a distanza non superiore a Km 15 dalla sede municipale.
L'amministrazione appaltante può introdurre, nella lex specialis, disposizioni atte a limitare la platea dei partecipanti, al fine di consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti altamente qualificati, specie in relazione al possesso dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria, ma tale scelta non deve limitare eccessivamente la concorrenza.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'operato di un comune che abbia inserito nella lex specialis di gara per l'affidamento del servizio di mensa scolastica, una clausola che preveda, quale requisito di partecipazione, la disponibilità di un centro cottura a distanza non superiore a 15 Km dalla sede municipale.
Tale disposizione è irragionevole e fortemente limitativa della concorrenza; infatti, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la predetta categoria di clausole è, da un lato, manifestamente distorsiva della concorrenza e, dall'altro, non idonea ai fini dell'individuazione del miglior contraente, in quanto pretendere la presenza del servizio oggetto d'appalto nel comune, importa l'imposizione di un dispendio economico ed organizzativo, come tale incoerente con qualsiasi canone di economicità.
Invero, sarebbe irragionevole pretendere che, in ambiti territoriali circoscritti, un operatore del settore sia costretto ad attivare centri di cottura in ogni comune in cui siano presenti scuole pubbliche, determinando, in tal modo, un indubbio favoritismo per i pochi soggetti presenti in quel preciso ambito territoriale (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.04.2011 n. 719 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIImprenditore risarcito per la perdita di appalti e fidi bancari.
Diciotto giorni di carcere, oltre quattro mesi agli arresti domiciliare. Poi l'imprenditore calabrese è definitivamente assolto dall'accusa di associazione a delinquere e ottiene una riparazione di 30 mila euro per l'ingiusta detenzione (300 euro per ogni giornata di carcere, 200 per i «domiciliare»).
Ma l'indennizzo non basta: è escluso che il giudice possa cavarsela con un semplice criterio aritmetico senza verificare se l'azienda dell'uomo d'affari, incriminato e scagionato, abbia subito perdite o perso occasioni d'affari riconducibili alla reclusione del titolare. E se il danno esistenziale è intrinseco alla privazione della libertà, non si può evitare di verificare la sussistenza del danno alla salute di chi lamenta di essere stato per anni esposto alla «gogna mediatica» su giornali e televisioni locali.

È quanto emerge dalla sentenza 20.04.2011 n. 15665 della III Sez. penale della Corte di Cassazione.
Danno emergente e lucro cessante. Il primo giudice del rinvio non si attiene ai principi già indicati dalla Suprema corte: sarà allora un'altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro a provvedere. La perizia contabile del richiedente lamenta perdite secche per l'impresa: durante la reclusione del titolare l'azienda è esclusa da tutti gli appalti e si vede negare i fidi dalle banche. Ma la Corte d'appello la ignora e si limita a escludere che vi sia stata una diminuzione di profitti o un aumento delle perdite: avrebbe dovuto invece verificare se, per il solo fatto che l'imprenditore era stato ingiustamente arrestato, a carico della società fossero ... (articolo ItaliaOggi del 26.04.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla possibilità di derogare al principio di pubblicità delle sedute in materia di concessione di servizi pubblici.
In materia di procedure aventi ad oggetto una concessione di servizi pubblici, l'omessa lettura in seduta pubblica delle offerte economiche non vìola il principio di pubblicità delle sedute sancito a presidio delle gare ad evidenza pubblica.
Nel caso di specie, riguardante la gestione di un asilo comunale, detto principio risulta comunque rispettato, in ragione dell'apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e di quelli contenenti le offerte economiche; la mancata lettura delle offerte economiche in seduta pubblica è giustificata dalla circostanza secondo cui, l'esame delle offerte economiche, in tal caso non si esaurisce nel mero riscontro oggettivo del dato numerico, ma implica la valutazione del tenore dell'offerta, alla luce del collegato piano economico-finanziario, costituente parte integrante dell'offerta.
Pertanto, risulta applicabile l'orientamento giurisprudenziale che consente la deroga al principio della pubblicità, nelle ipotesi in cui venga in rilievo una procedura di gara retta dal metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, implicante un'attività valutativa estesa anche alla componente economica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.04.2011 n. 2447 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Affidamento diretto senza bando, prova a carico della PA.
Il Consiglio di Stato adotta una nozione estensiva di interesse all'impugnazione nel caso degli affidamenti diretti, che avvengono senza pubblicazione di un bando.
La fattispecie oggetto della sentenza in esame è costituita da una procedura negoziata senza la previa pubblicazione del bando di gara, consentita per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture entro determinati limiti dall’art. 57 del d.lgs. n. 163/2006.
La pubblica amministrazione nello specifico caso aveva giustificato l'affidamento diretto sulla base della previsione del secondo comma lett. b) di tale norma poiché, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela dei diritti esclusivi, il contratto poteva essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato.
L'aggiudicazione senza gara si basava, in particolare, sull'unicità del fornitore, in grado di produrre un determinato macchinario con certe caratteristiche tecniche.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che l'onere di dimostrare l'esistenza dei presupposti per il ricorso alla procedura negoziata, senza pubblicazione del bando, grava sulla stessa pubblica amministrazione nel momento della determinazione a contrarre.
Il ricorso a tale procedura ha infatti carattere di eccezionalità rispetto all’obbligo della pubblica amministrazione di individuare il privato contraente attraverso il confronto concorrenziale.
Il privato che intende impugnare tale genere di aggiudicazione non deve, dunque, dimostrare ai fini dell'esistenza dell'interesse ad agire di essere in grado di fornire un prodotto dalle medesime caratteristiche di quello oggetto del contratto.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, ai fini del riconoscimento della legittimazione all’impugnativa da parte di una impresa del settore non occorre documentare una capacità operativa paragonabile a quella del soggetto prescelto, trattandosi di elemento che assume rilevanza solo in sede di partecipazione alla gara e di valutazione comparativa delle offerte presentate dalle imprese concorrenti.
Nei casi in cui sia consentito la procedura negoziata diretta senza pubblicazione di un bando, l'impresa operante nel medesimo settore è dunque titolare di un interesse giuridicamente rilevante alla impugnativa, e non solo di un interesse di mero fatto.
Tale interpretazione è ricondotta dalla stessa sentenza in esame all'orientamento giurisprudenziale secondo cui le imprese operanti in un determinato settore sono legittimate ad impugnare le determinazioni che riguardino le modalità di conferimento del servizio anche al solo fine di ottenere l’annullamento della gara e dell’eventuale aggiudicazione, ed il rinnovo della procedura cui aspirano a partecipare (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.04.2011 n. 2404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per mancata apposizione dell'autentica notarile alla polizza fideiussoria e per successiva regolarizzazione della stessa.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente per aver presentato la polizza fideiussoria priva di autentica notarile della firma dell'agente della società rilasciante dell'agente della società stessa, e che abbia provveduto alla regolarizzazione della stessa solo in data successiva alla scadenza del termine utile ai fini della presentazione dell'offerta.
Tale garanzia copre, infatti, i rischi per la mancata sottoscrizione del contratto dovuta a fatto dell'aggiudicatario e, sul piano dei rapporti di diritto privato, solo l'autenticazione della sottoscrizione della fideiussione prestata tutela pienamente la stazione appaltante, in quanto fornisce la prova in ordine alla provenienza da chi l'ha sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e 2703 c.c., impedendo il successivo disconoscimento della stessa.
Nel caso di specie, peraltro, tale prescrizione è richiesta dal disciplinare di gara a pena di esclusione, il che rende illegittima un'eventuale regolarizzazione postuma, anche a garanzia dell'interesse degli altri concorrenti alla correttezza dell'intero procedimento di aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.04.2011 n. 2387 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Ricorso incidentale preordinato all'esclusione del ricorrente principale - Declaratoria di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso principale - Art. 276 c.p.c. - Il collegio decide gradatamente le questioni pregiudiziali.
Il ricorso incidentale in quanto preordinato all'esclusione della ricorrente principale e quindi alla declaratoria di inammissibilità (per difetto di legittimazione, secondo l'orientamento riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa prospettiva) di improcedibilità di quello principale, ha efficacia paralizzante e deve, quindi, per giurisprudenza prevalente, essere esaminato prioritariamente (v. Cons. St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n. 499/2008). Sulla scorta dell'orientamento sin qui prevalente, infatti, non è possibile prescindere, nella soluzione dei problemi interpretativi prospettati, dalla disposizione del codice di procedura civile racchiusa nell'art. 276, comma 2, cui ora fa espresso rinvio l'art. 76, comma 4, del codice del processo amministrativo.
Tale regola -secondo cui "il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa"- rispondente ad una logica di "diritto processuale comune" (cfr. altresì, quanto al processo penale, l'art. 527 c.p.p.), determina quindi l'esame prioritario del ricorso incidentale ad efficacia cosiddetta paralizzante in quanto volta a negare, ove il ricorso venga accolto, la sussistenza delle condizioni dell'azione concernenti la legittimazione ad agire (o l'interesse al ricorso) della ricorrente principale (v. Cons. St., VI, n. 810/2010; vedi anche Tar Lombardia, Milano, sez. I, 13.04.2011, n. 959) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 19.04.2011 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità della regolarizzazione di una dichiarazione presentata da un concorrente in sede di gara corredata da un documento di identità scaduto.
E' legittima la regolarizzazione disposta da una stazione appaltante di una dichiarazione presentata da un concorrente in sede di gara corredata da un documento di identità scaduto.
Compito dell'interprete nel tracciare il confine tra incompletezza ed irregolarità documentale presuppone il contemperamento di due opposte esigenze: da un lato, osservare la par condicio competitorum ed evitare indebite rimessioni in termini per la produzione di documentazione richiesta ab initio dalla lex specialis di gara e, dall'altro, quella della massima partecipazione. Secondo consolidata giurisprudenza, la produzione della copia fotostatica del documento di identità, a corredo delle predette dichiarazioni, ha la funzione di fornire un collegamento tra l'autore delle stesse ed il titolare del documento.
Nel caso di specie, non si verte nell'ipotesi dell'art. 45 del D.P.R. n. 445/2000 in cui, per comprovare i dati personali, occorre produrre un documento di identità valido, pena la necessità di una dichiarazione aggiuntiva dell'interessato circa la persistenza dei dati risultanti dal documento di identità scaduto. Di conseguenza, vi si applicano le regole generali in materia di dichiarazioni sostitutive, secondo cui, qualora le dichiarazioni presentino irregolarità od omissioni rilevabili d'ufficio, non costituenti falsità, l'interessato è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione.
D'altra parte, l'art. 77-bis del citato D.P.R. estende, alla materia degli appalti pubblici, la disciplina dettata in tema di dichiarazioni sostitutive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.04.2011 n. 2366 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Avvalimento della certificazione ISO.
L’ampia operatività dell’istituto dell’avvalimento, più volte ribadita dalla giurisprudenza comunitaria, deve essere estesa, oltre che ai requisiti di ordine finanziario ed economico, anche a quelli che attestano elementi qualitativi, quali, ad esempio, la certificazione ISO.
Queste le conclusioni contenute nella sentenza 18.04.2011 n. 2344 resa dal Consiglio di Stato, Sez. III.
Il ragionamento giuridico seguito dai giudici amministrativi prende spunto dall’esigenza di considerare l’avvalimento nell’ottica dell’ordinamento comunitario, poi trasfuso nelle disposizioni di cui all’art. 49 del D.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Così strutturato, l’istituto in esame assume una funzione incentivante della concorrenza, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti e, pertanto, deve essere evitata ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito di operatività della disciplina richiamata.
Sulla base di queste considerazioni generali, l’istituto dell'avvalimento può essere utilizzato per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di “qualità”, considerato che la disciplina del codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento.
Viene tuttavia precisato che il requisito considerato non può essere oggetto di un “prestito” astratto.
Infatti è onere del concorrente dimostrare, in sede di presentazione dell’offerta, che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a “prestare” il requisito soggettivo richiesto, “ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti)”.
Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo dato assume particolare importanza processuale, poiché la dimostrazione del presupposto sostanziale (impegno globale dell’ausiliaria) prescinde da una specifica eccezione della controparte (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ricorso avverso clausole del bando escludenti - Anche in mancanza di domanda di partecipazione del ricorrente - Ammissibilità del ricorso.
L'indirizzo giurisprudenziale favorevole a ritenere ammissibile il ricorso avverso clausole immediatamente escludenti anche in assenza della presentazione di una domanda di partecipazione alla gara, peraltro tuttora contraddetto da un più formale orientamento, appare destinato a consolidarsi alla luce delle recenti innovazioni in materia di tutela giurisdizionale negli appalti a seguito della recezione nell'ordinamento nazionale della direttiva comunitaria 2007/66/CE dell'11.12.2007 avvenuta con D.Lgs. n. 53/2010, dai cui iniziali "considerando" traspare la finalità di anticipare la tutela ad una fase della procedura di affidamento in cui non se ne sono ancora consolidati gli effetti (obblighi di comunicazione, informativa di proporre il ricorso, termine di stand-still) e dunque anche all'impugnazione del bando (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.04.2011 n. 993 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 18.04.2011 n. 89 "Rilevazione dei prezzi medi per l’anno 2009 e delle variazioni percentuali annuali, superiori al dieci per cento, relative all’anno 2010, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 31.03.2011).
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Codice Appalti: per l'anno 2009-2010 il prezzo dei materiali da costruzione non subisce variazioni.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 31.03.2011 contenente la rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009 e delle variazioni percentuali relative all'anno 2010 dei prezzi dei materiali da costruzione più significativi, in attuazione a quanto previsto dal Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006).
Si rileva che il prezzo dei materiali da costruzione più significativi nell'anno 2010, rispetto all'anno 2009, non ha subito variazioni percentuali superiori al 10%.
Ricordiamo che l'art. 133 del Decreto 163/2006 prevede che entro il 30 giugno di ogni anno il Ministero rilevi con proprio Decreto le variazioni percentuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione, a causa di circostanze eccezionali, subisca variazioni superiori al 10 % rispetto al prezzo rilevato dal Ministero nell'anno di presentazione dell'offerta, si applicano compensazioni per la percentuale eccedente il 10 % e nel limite delle risorse previste tra imprevisti e le somme relative al ribasso d'asta.
Al fine di determinare le compensazioni relative ai materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno 2010, si fa riferimento agli Allegati e alle Tabelle sotto riportate in funzione dell'anno di presentazione dell'offerta ... (link a www.acca.it).

APPALTI: A. P. Mazzucato e G. Penzo Doria, L’attestazione di intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva negli appalti pubblici (link a www.filodiritto.com).

APPALTI: In arrivo la SUA: Stazione Appaltante Unica.
La bozza di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in attuazione dell'art. 13 della Legge 136/2010 (Legge Antimafia), prevede l’istituzione di un’ unica stazione appaltante a livello regionale, Stazione Appaltante Unica (SUA), che avrà il compito di seguire tutto l’iter procedurale di affidamento di lavori, forniture e servizi, collaborando con l’ente proponente ad individuare i contenuti del contratto e curando gli eventuali contenziosi insorti.
Il Decreto è costituito da 6 articoli che contengono quanto dettato dalla Legge n. 136/2010 e precisamente:
- finalità e modalità di promozione della Stazione unica appaltante;
- stazione unica appaltante e soggetti aderenti;
- attività e servizi della SUA;
- elementi essenziali delle convenzioni;
- forme e monitoraggio e di controllo degli appalti;
- collaborazione e coordinamento tra amministrazioni.
Manca solo l'intesa in Conferenza unificata, la firma del Capo dello Stato e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (link a www.acca.it).

APPALTI: La stazione appaltante che, in sede di verifica a campione, accerta il mancato pagamento da parte di un concorrente di una cartella esattoriale, anche se di modesta entità, legittimamente segnala il fatto all'Autorità.
Indipendentemente dal giudizio di gravità della violazione in materia di contributi (giudizio, peraltro, rimesso alla valutazione dell’amministrazione e non all'apprezzamento dell'impresa partecipante alla gara) – la società aveva l’obbligo di rendere la dichiarazione su tutte le violazioni “definitivamente accertate”, giacché la dichiarazione in quanto tale è richiesta per un’ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti, tanto che non si comprenderebbe il meccanismo di verifica a campione, se quest'ultimo non fosse connesso all’obbligatorietà di una dichiarazione, che costituisce il sistema di riferimento per valutare la lealtà dei richiedenti (tra le tante: Cons. Stato, Sez. V, 12.05.2009, n. 3742) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 15.04.2011 n. 939 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non rileva che il concorrente abbia omesso di di specificare di non aver subito condanne per specifiche tipologie di reato, in presenza di una dichiarazione ad ampio spettro che esclude l'esistenza di alcuna condanna penale.
Seppur sia mancata nella dichiarazione presentata per partecipare alla procedura di gara una espressa indicazione dell’assenza di condanne per i singoli reati individuati dalla legge (nell’ultima parte dell’art. 38, lett. c) – vi è stata comunque una dichiarazione ad ampio spettro che esclude l’esistenza di alcuna condanna penale che preclude la partecipazione alle gare d’appalto; categoria nella quale, per logica, devono essere senz’altro ricomprese anche le condanne per gli “specifici” reati considerati dalla legge come assolutamente ostativi, ancorché non analiticamente elencati.
La predetta conclusione nasce dal fatto che lettura delle dichiarazioni prodotte ai fini della partecipazione ad una gara di appalto non deve essere animata dallo spirito di rilevare il mero errore formale, o la omissione innocua. Al contrario, deve essere guidata da un serio intento di verifica della posizione effettiva del concorrente, governato dalle regole della logica, ed indirizzato a vagliare la sussistenza obbiettiva delle condizioni richieste dalla legge e dal bando per partecipare a quella selezione; a nulla rilevando l’eventuale circostanza che il possesso dei requisiti sia dichiarato attraverso una strutturazione della domanda, o con espressioni lessicali, diverse da quelle adoperate nel bando. Basti riflettere, in proposito, sul fatto che l’istanza di partecipazione alla gara è destinata ad essere letta e vagliata criticamente da funzionari pubblici, dotati di competenza tecnico/giuridica, e non inserita in un lettore ottico automatizzato del tipo utilizzato nella correzione dei quiz a risposta multipla che richiede l’esatta compilazione di un “modulo”.
D’altra parte, sotto altro profilo, si rileva che la dichiarazione parziale, o incompleta, resa dalla concorrente non avrebbe potuto condurre ex se all’esclusione pretesa dalla ricorrente, ma a limite avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad istruire ulteriormente la domanda, chiedendo i chiarimenti e/o le integrazioni previste dall’art. 46 del D.Lgs. 163/2006, specie in presenza di diffusi modelli di domanda che -per quanto si è detto sopra al punto c– risultano idonei a fuorviare o indurre in errore i concorrenti.
Ed è evidente che l’esito dell’approfondimento istruttorio ex art. 46 non avrebbe potuto rivelarsi sfavorevole alla controinteressata, dato che si è accertato ex post che nessuna condanna penale (di nessun genere) risulta esserle stata inflitta, come testimonia il certificato del casellario giudiziale prodotto (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.04.2011 n. 920 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La condanna del Comune per responsabilità precontrattuale va riversata sul funzionario inerte.
Risponde del danno indiretto subito dall'ente di appartenenze il funzionario che, dopo avere autorizzato una ditta allo svolgimento di lavori di arredo urbano, ne dispone la sospensione e rimane inerte dinanzi alle legittime sollecitazioni di quest'ultima (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania, sentenza 14.04.2011 n. 673 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Valutazione di impatto sulla sicurezza stradale, controlli e gestione della sicurezza.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. n. 35 del 15.03.2011 “Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture”, che recepisce la Direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali, in attuazione della L. 96/2010 (Comunitaria 2009).
Il Decreto prevede l'attuazione di procedure volte alla valutazione di impatto sulla sicurezza stradale per i progetti di infrastrutture, ai controlli della sicurezza stradale, alla gestione della sicurezza della rete stradale ed alle ispezioni di sicurezza.
Il provvedimento è obbligatorio per tutte le strade appartenenti alla rete stradale transeuropea, siano esse in fase di pianificazione, di progettazione, in costruzione o già aperte al traffico. Per tutte le altre strade i contenuti del Decreto costituiscono un utile orientamento.
Dal primo gennaio 2016 tali norme si applicheranno a tutte le strade appartenenti alla rete di interesse nazionale, individuata dal D. Lgs. 461/1999.
Valutazione di impatto sulla sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture va effettuata preliminarmente la Valutazione di Impatto sulla Sicurezza Stradale (VISS), i cui contenuti saranno stabiliti con Decreto Ministeriale entro il 19/12/2011.
Controlli e controllori della sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture vanno effettuati controlli della sicurezza stradale, entro 12 mesi dalla messa in esercizio, da parte di controllori, che dovranno avere determinati requisiti (art. 9) e saranno inseriti in appositi elenchi presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Fino all'entrata in operatività dell'elenco dei controllori, le attività di controllo della sicurezza stradale, di verifica della classificazione dei tratti stradali e le ispezioni di sicurezza sono svolte da soggetti che abbiano i seguenti requisiti:
- iscritti da almeno 10 anni all'Albo dell'Ordine degli Ingegneri, nel settore dell'ingegneria civile e ambientale;
- esperienza di progettazione stradale, analisi di incidentalità, ingegneria del traffico o altre attività inerenti alla sicurezza stradale;
- esperienza documentata dall'avvenuto espletamento delle predette attività relative ad almeno 5 progetti.
Classificazione e gestione della sicurezza.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti effettuerà la classificazione dei tratti ad elevata concentrazione di incidenti e la classificazione della sicurezza della rete stradale esistente entro il 23/04/2014 e, successivamente, con cadenza triennale (link a www.acca.it).

APPALTIPlico pervenuto aperto alla Commissione di gara - Esclusione del partecipante - Legittimità - Principi di par condicio e segretezza - Invocabilità dell’art. 73, c. 1, d.lgs. n. 163/2006 - Esclusione - Ragioni.
La mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla Commissione di gara implica l'esclusione della partecipante, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l'erronea apertura, stante l'esigenza di assicurare la garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte (cfr. TAR Veneto, I, 19.07.2005, n. 2867, TAR Palermo-Sicilia, II, 13.03.2007, n. 810).
Non vale in contrario richiamare l’art. 73, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che prevede opzioni alternative per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara (telefono, via telematica) incompatibili con un principio di segretezza. Affinché sia praticabile detta soluzione alternativa occorre infatti che il bando ne consenta la modalità, ferma restando, tuttavia, la necessità di garantire, anche in questi casi, l’integrità delle buste fatte pervenire alla stazione appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 13.04.2011 n. 3224 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Appalti e offerte, valutazione qualità/prezzo graduabile.
Deve ritenersi ammessa sia la possibilità di attribuire una diversa percentuale nella ripartizione del punteggio per l’offerta economica e per quella tecnica (privilegiando il profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico) sia -come nel caso in esame- stabilendo all’interno di quest’ultima la graduazione del punteggio tra più elementi, ciascuno dei quali meritevole di autonoma considerazione.

L'articolo 83, comma 2, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 prevede che il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato.
La norma ha recepito nel nostro ordinamento l’articolo 53 della Direttiva CE 2004/18 e l’articolo 55 della Direttiva CE 2004/17 ed è finalizzata a assicurare l’individuazione dell’offerta che presenta il migliore rapporto qualità/prezzo, nonché la trasparenza dell’attività amministrativa e la parità di trattamento dei concorrenti, per cui l’offerta economicamente più vantaggiosa discende dalla valutazione comparativa di più fattori previamente e discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante e resi noti nel bando di gara, che per l’appunto elenca i criteri (o elementi) di valutazione e precisa la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi.
Il quarto comma dell’articolo 83 soggiunge infatti che il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi e la stazione appaltante, tramite la propria organizzazione ovvero uno o più esperti, redige i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni da indicare nel bando di gara.
Sul punto la sentenza appellata, nel rigettare le censure, ha avuto modo di esprimersi esplicitamente nel senso che il collegio ritiene che, nelle gare bandite con il sistema dell’offerta più vantaggiosa, è integra la facoltà della stazione appaltante di adottare la scelta più idonea a selezionare il miglior offerente, la quale è sottratta al sindacato giurisdizionale, se non allorquando si presenti manifestamente illogica o arbitraria.
In particolare, deve ritenersi ammessa sia la possibilità di attribuire una diversa percentuale nella ripartizione del punteggio per l’offerta economica e per quella tecnica (privilegiando il profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico sia -come nel caso in esame- stabilendo all’interno di quest’ultima la graduazione del punteggio tra più elementi, ciascuno dei quali meritevole di autonoma considerazione.
Tale scelta deve corrispondere alle specificità dell’appalto.
Nella fattispecie in questione, la già ravvisata complessità delle prestazioni tecniche rende necessario valutare tutte le soluzioni proposte, sicché giustifica la scelta di scindere le componenti significative dell’offerta tecnica e sottoporre ognuna di esse a separata valutazione.
Orbene, è indubbio che le procedure quali quella all’esame siano volte all’acquisizione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’ambito della più ampia partecipazione di concorrenti, ed è altresì incontestabile che i requisiti di partecipazione a tali procedure debbano essere definiti nel modo più oggettivo e chiaro possibile dal punto tecnico, sì da prestarsi non a interpretazioni e valutazioni meramente discrezionali, pregiudizievoli per la stessa partecipazione, bensì a verifiche e accertamenti basati su parametri ben individuati, di carattere matematico e indiscutibile.
Ciò vale anche e soprattutto quando la stazione appaltante intendesse porre sbarramenti “minimi” prevedendo per di più l’esclusione della concorrente ove al di sotto di quei minimi (commento tratto da link a www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.04.2011 n. 2295 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima la previsione di un bando di gara, che disponga l'automatica esclusione di un concorrente, collegata ad ulteriori sub soglie di sbarramento, in luogo di una complessiva valutazione che tenga conto delle criticità rilevate.
Ai sensi dell'art. 83, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, il bando di gara elenca i criteri di valutazione e precisa la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all'elemento cui si essa fa riferimento, deve essere appropriato.
La norma, che ha recepito l'art. 53 Dir. CE 2004/18 e l'art. 55 Dir. CE 2004/17, è finalizzata ad assicurare l'individuazione dell'offerta che presenti il migliore rapporto qualità/prezzo, nonché la trasparenza dell'attività amministrativa e la parità di trattamento dei concorrenti; pertanto, l'offerta economicamente più vantaggiosa discende dalla valutazione di più fattori, previamente e discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante, e resi noti nel bando di gara.
L'art. 83, c. 4, aggiunge che "il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi, e la stazione appaltante redige i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni da indicare. Procedure quali quella in esame sono volte all'acquisizione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ed i requisiti devono essere definiti in modo chiaro dal punto di vista tecnico, sì da prestarsi a verifiche basate su parametri ben individuati. Ciò vale soprattutto allorquando la stazione appaltante intenda porre sbarramenti "minimi", prevedendo altresì l'eventuale esclusione del concorrente che si trovi al di sotto di questi.
Il caso di specie attiene ad un sistema di valutazione che prevede ulteriori sub-soglie di sbarramento attinenti ai singoli sub-elementi fissati nel disciplinare di gara, anche a pena di esclusione. Non può negarsi all'ente appaltante il potere di fissare distintamente, per dette categorie o sub categorie, un punteggio minimo, non raggiungendo il quale il concorrente viene escluso dalla gara.
Tuttavia, nella fattispecie, la sanzione espulsiva dovuto al mancato conseguimento di un punteggio minimo anche in una sola delle sub categorie, risulta particolarmente discriminatoria, in quanto correlata ad una valutazione basata su giudizi discrezionali, e non, invece, su parametri certi ed immediatamente quantificabili (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.04.2011 n. 2295 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: 1. Ricorso incidentale preordinato all'esclusione del ricorrente principale - Ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale - Necessità di tenere in considerazione l'interesse strumentale delle parti alla ripetizione della gara.
2. Dichiarazione ex art. 47 DPR 445/2000 dei soggetti cessati dalla carica - Ammissibiltà della dichiarazione sostitutiva del legale rappresentante.
3. Indicazione di sub-criteri da parte della commissione giudicatrice prima dell'apertura delle buste - Orientamento superato - Necessità di indicazione dei sub criteri nel bando.

1. Il ricorso incidentale in quanto preordinato all'esclusione dell'Ati ricorrente principale e quindi alla declaratoria di inammissibilità (per difetto di legittimazione, secondo l'orientamento riaffermato da Cons. St., V, n. 5275/2007) ovvero (secondo una diversa prospettiva) di improcedibilità di quello principale, ha efficacia paralizzante e deve quindi, per giurisprudenza prevalente, essere esaminato prioritariamente (v. Cons. St., V, n. 2380/2008; TAR Liguria, II, n. 1150/2008 e 1132/2008; TAR Lazio Latina, I, n. 499/2008).
Il Collegio non ignora peraltro come, in termini generali, la tematica del rapporto tra il ricorso incidentale e quello principale -e dell'ordine da seguire nella loro trattazione- registri orientamenti differenti e sia di recente oggetto di un ripensamento ad opera di parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato: ne sono un esempio Cons. St., V, n. 5811/2007 e A.P. n. 2155/2010, favorevoli ad adottare, invece, il criterio logico-cronologico; Cons. St., V, n. 2669/2008, che ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione se il ricorso principale debba essere esaminato dopo quello incidentale paralizzante anche nell'ipotesi in cui le imprese ammesse alla gara siano solamente due, ed, infine, Ad. plenaria n. 11/2008, che ha risolto tale questione affermando, in presenza di soli due partecipanti alla gara, che il giudice "qualunque sia il primo ricorso che esamini e ritenga fondato (principale o incidentale), deve tenere conto dell'interesse strumentale di ciascuna impresa alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l'altro, quando la fondatezza di entrambi comporta l'annullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per l'illegittimità derivata, anche dell'aggiudicazione, col conseguente obbligo dell'amministrazione di indirne una ulteriore".
2. Sulla possibilità che il dichiarante (il legale rappresentante) renda dichiarazioni sostitutive relative anche ad altri soggetti (quelli cessati dalla carica), a norma dell'art. 47, comma 2, del d.p.r. 445/2000, è sufficiente sul punto richiamare il precedente del tutto conforme di questa Sezione (TAR Lombardia, sez. I, n. 5200/2009, in precedenza v. TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 1772/2008; v. altresì, di recente, AVCP, Determinazione n. 1 del 12.01.2010), nel senso dell'ammissibilità, in linea generale, di tale modalità di adempimento all'onere di rendere le dichiarazioni sostitutive.
Quanto alla formula da utilizzare per rendere la dichiarazione relativamente a soggetti terzi, deve osservarsi che l'art. 47 citato non tipizza l'uso di alcuna formula particolare e che, nel caso in esame, la formula impiegata è stata sufficientemente puntuale, anche tenuto conto dell'espresso richiamo alle conseguenze penali di eventuali falsità.
3. Seppure in passato sia stata ritenuta la possibilità di interventi integrativi ad opera delle commissioni giudicatrici sui criteri di valutazione indicati dal bando di gara, attraverso la previsione di sotto voci o sub-criteri, purché ciò fosse avvenuto prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte (cfr., ad esempio, Cons. St., sez. V, n. 1791/2005), tale orientamento deve intendersi superato alla luce del chiaro disposto dell'art. 83, comma 4, del D.lgs. 163/2006 che, nel quadro di una progressiva limitazione della discrezionalità della commissione nella specificazione dei criteri, impone ora che "il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto preveda, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi" (v., per un'ampia e persuasiva disamina della questione, TAR Lazio, sez. II, n. 8328/2008).
Di questo indirizzo, volto a restringere il potere discrezionale della Commissione, costituisce un successivo sviluppo la successiva abrogazione (per effetto del D.lgs. 152/2008) del terzo periodo dell'art. 83, comma 4, che affidava alla commissione la definizione dei criteri motivazionali (v. TAR Abruzzo, sez. I, n. 532/2010); con la precisazione ulteriore che, anche in precedenza, gli stessi criteri comunque non potevano essere più formulati una volta che fossero state aperte le buste contenenti le offerte dei concorrenti, come è avvenuto nel caso di specie [...].
Si deve ancora sottolineare come l'obbligo di predeterminare a monte, nella legge di gara, i criteri e le modalità applicati per individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa sia preordinato al rispetto del principio della parità di trattamento e valga ad assicurare la trasparenza necessaria al fine di consentire a qualsiasi offerente di essere preventivamente informato e, quindi, di determinarsi di conseguenza, calibrando la propria offerta in ragione dei punteggi massimi previsti (cfr. 46° considerando alla direttiva 18/2004/CE; TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 183/2009, nonché ancora di recente Cons. St., sez. V. n. 5844/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 959 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è necessaria la previa presentazione della domanda di partecipazione ai fini dell'impugnazione del bando stesso, in presenza di c.d. clausole escludenti.
In caso di presenza di c.d. clausole escludenti, che cioè impediscono la formazione dell'offerta, non è necessaria la previa presentazione della domanda di partecipazione ai fini dell'impugnazione del bando stesso. In particolare, la giurisprudenza comunitaria ha affermato la necessità di impugnare gli atti della procedura di gara qualora si assuma un'incidenza discriminatoria nei confronti delle proprie domande.
È stato poi ritenuto che quando la partecipazione alla procedura è preclusa dallo stesso bando, sussiste l'interesse a gravare la relativa determinazione a prescindere dalla mancata presentazione della domanda, posto che la presentazione della stessa si risolve in un adempimento formale inevitabilmente seguito da un atto di esclusione, con un risultato analogo a quello di un'originaria preclusione e perciò privo di una effettiva utilità pratica.
Diversamente avviene per l'impugnativa riguardante l'aggiudicazione da parte di un soggetto che non ha partecipato alla gara di cui si chiede l'annullamento. Infatti, la domanda giudiziale volta alla caducazione degli atti di una procedura concorsuale di cui si contesti la legittimità presuppone che l'attore qualifichi e differenzi il proprio interesse in termini di attualità e concretezza, ex art. 100 c.p.c, mediante la proposizione della domanda di partecipazione alla gara e la formulazione della propria offerta (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 13.04.2011 n. 684 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata "salvo diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna", costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.
Per quanto riguarda l’equiparazione a sentenza di condanna della pronuncia ex art. 444 c.p.p., si ricorda che recentemente il Consiglio di Stato ha precisato quanto segue: “Si consideri, peraltro, che…la così detta sentenza di patteggiamento prevista dall'art. 444, comma 2, del c.p.p., anche se non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi, "è equiparata a una pronuncia di condanna" salve diverse disposizioni di legge, come disposto dall'art. 445, comma 1, del c.p.p. nel testo in vigore all'epoca della sentenza penale e del provvedimento impugnato in primo grado (sez. IV, 30.05.2007, n. 2744; 06.05.2003, n. 2366 e 02.04.1998, n. 428; sez. I, 27.05.1992, n. 1647)".
E' vero che, per diverso indirizzo (condiviso da Cons. Stato, sez. VI, 02.05.2006, n. 2437 e 07.10.2005, n. 5811), "la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna deriva in effetti dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo fra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante".
Senonché, l'art. 445, co. 1-bis, c.p.p., dispone espressamente che "Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna".
E' quanto, del resto, spiega la ragione per la quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, ribaltando il precedente orientamento, e valorizzando per l'appunto le profonde modifiche subite nel corso del tempo dall'istituto del patteggiamento, hanno sostenuto che "la sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, equiparata "salvo diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna", costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa" (29.11.2005, n. 17781/2006).
Invero -hanno puntualizzato le Sezioni unite- pur non potendosi affermare che i mutamenti di disciplina che hanno interessato l'istituto del patteggiamento, abbiano condotto ad un processo di vera e propria identificazione tra sentenza pronunciata all'esito del dibattimento e sentenza c.d. patteggiata, gli stessi stanno comunque "univocamente a significare che il regime della equiparazione,..., non consente di rifuggire dall'applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna che non siano categoricamente escluse".
Come di recente osservato dalla Corte costituzionale, spetta dunque al legislatore, in questa prospettiva, prescegliere, nei confini che contraddistinguono il normale esercizio della discrezionalità legislativa, quali siano gli effetti che -in deroga al principio "di sistema" che parifica le due sentenze- diversificano, fra loro, la sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento rispetto alla condanna pronunciata all'esito del giudizio ordinario (18.12.2009, n. 336).
Invero, mutata la configurazione originaria del patteggiamento come rito circoscritto alle vicende di criminalità "minore", ed assunta una dimensione più "matura", anche per ciò che attiene allo spazio delibativo riservato al giudice e, conseguentemente, alla relativa "base fattuale" -basti pensare ai nuovi e più ampi poteri in tema di confisca ed a quelli previsti in tema di cosiddetto "patteggiamento allargato"- ben si potevano prefigurare corrispondenti ampliamenti anche sul versante degli effetti "esterni" del giudicato scaturente dal rito speciale” (Cons. Stato, Sez. VI, 27.08.2010, n. 5981).
Alla luce di tali considerazioni che il Collegio condivide in pieno, quindi, non appare condivisibile la tesi del ricorrente che esclude l’equiparazione a condanna, sotto i profili di cui al provvedimento impugnato, della pronuncia ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.04.2011 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIProvvedimento di localizzazione di parcheggio pubblico - Impugnazione - Carenza di interesse attuale - Ragioni.
La mera localizzazione di un parcheggio pubblico -che non è né una discarica, né un’area industriale/artigianale, né un condominio con parecchi appartamenti, opere che determinano inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di vita della zona- non incide di per sé sulla maggiore o minore vivibilità dell’area in cui esso è localizzato, essendo conseguenza la stessa delle concrete modalità con cui verrà inglobata nella zona la costruzione.
Ne consegue che deve essere dichiarato inammissibile il ricorso avverso tale provvedimento per carenza di interesse attuale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 551 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per irregolarità contributiva sanata solo successivamente al provvedimento di aggiudicazione.
L'assenza del requisito della regolarità contributiva, costituendo condizione di partecipazione alla gara, se non posseduto alla data di scadenza del termine di presentazione dell'offerta, non può che comportare la esclusione del concorrente non adempiente, non potendo valere la regolarizzazione postuma.
La mancanza del requisito della regolarità contributiva alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, in definitiva, non é sanato dall'eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle reciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non anche nei confronti dell'Amministrazione aggiudicatrice che debba accertare la sussistenza del requisito della regolarità contributiva ai fini dell'ammissione alla gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di esclusione da una gara d'appalto, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che versi in stato di irregolarità in ordine agli obblighi previdenziali prescritti dalla legge, e che abbia provveduto a sanare tale mancanza solo successivamente all'aggiudicazione della procedura (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.04.2011 n. 2283 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Revoca delle procedure concorsuali - Comunicazione di avvio del procedimento - Obbligo - Non sussiste.
La revoca delle procedure concorsuali non deve essere proceduta dalla comunicazione di avviso di avvio del procedimento, perlomeno fino a quando non sia adottato il provvedimento di aggiudicazione definitiva; giacché è solo in capo all'aggiudicatario che si radica una posizione di affidamento meritevole di tutela (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 05.05.2010 n. 1222) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 12.04.2011 n. 955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità del rinnovo integrale di una gara d'appalto, in seguito all'annullamento dell'aggiudicazione, per violazione del principio relativo alla segretezza delle offerte.
E' legittimo l'operato di un P.A. che abbia provveduto al rinnovo integrale di una gara d'appalto, a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione, dovuto al mancato rispetto del principio di segretezza delle offerte, ciò in quanto, la violazione suddetta, comporta gravi conseguenze ai fini del corretto svolgimento della procedura; nel caso di specie, in sede di esercizio della discrezionalità conseguente alla statuizione di annullamento, la stazione appaltante si è correttamente posta la questione circa l'utilizzabilità di atti viziati nei termini accertati.
Secondo consolidata giurisprudenza, in materia di riesercizio del potere amministrativo conseguente all'annullamento degli atti di gara, l'amministrazione soccombente ha l'obbligo di conformarsi alle relative statuizioni, nell'ambito degli ulteriori provvedimenti che rimangono salvi ai sensi dell'art. 26 l. n. 1034/1971; in altre parole, l'annullamento dell'aggiudicazione è costitutivo di un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell'amministrazione, la quale deve tenere conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento, al fine di orientare la sua ulteriore azione.
Appare, pertanto, pienamente conforme al generale canone di ragionevolezza in materia di appalti pubblici, prendere atto della lesione dei principi di segretezza, con conseguente esercizio della discrezionalità nel senso della totale rinnovazione della gara, e ciò al fine di acquisire nuove offerte da sottoporre anche a corretti e predeterminati criteri di valutazione (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 12.04.2011 n. 586 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 15 del 12.04.2011, "Determinazione modalità per la predisposizione della graduatoria degli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici situati in zone soggette a rischio sismico - Triennio 2011-2013"  (deliberazione G.R. 06.04.2011 n. 1532).

APPALTI: Sull'applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del D.lgs. n. 163/2006, anche alle procedure di affidamento mediante cottimo fiduciario.
Le disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del D.lgs. n. 163/2006, sono applicabili anche alle procedure di affidamento mediante cottimo fiduciario, in quanto l'obbligo di comunicare l'aggiudicazione definitiva e la c.d. clausola stand still sono riconducibili al principio di trasparenza che, in base all'art. 125, c. 11, del medesimo decreto deve trovare applicazione anche in detta procedura. La clausola stand still, inoltre, è funzionale a garantire la tempestività e l'efficacia dell'esercizio del diritto di agire in giudizio da parte dei concorrenti che si ritengano ingiustamente pregiudicati dall'esito della gara.
Poiché tale obiettivo è privilegiato dall'ordinamento nazionale ed europeo rispetto alla celerità nella conclusione del contratto, tanto i menzionati obblighi informativi di cui all'art. 79, quanto la clausola stand still di cui all'art. 11, c. 10, sono applicabili anche al cottimo fiduciario, perché finalizzati ad assicurare l'effettività di un principio fondamentale nel settore dei contratti pubblici, che non attiene specificamente alle modalità di svolgimento della gara, a cui fa riferimento il citato c. 11 dell'art. 125 (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.04.2011 n. 3169 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Chiarimenti e integrazioni ai sensi dell'art. 46 del Codice dei contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 11.04.2011 n. 2230 ha riconosciuto la legittimità dell’operato di una stazione appaltante che, in presenza di clausole del bando che non comminavano in modo univoco l’esclusione, ha esercitato il potere istruttorio previsto dall’articolo 46 del d.lgs. 163/2006.
Avverso l’aggiudicazione definitiva di una gara per l’affidamento della ristrutturazione e messa a norma di ascensori, una società partecipante all’appalto proponeva ricorso contestando, tra l’altro, l’operato della Commissione di gara che, secondo la ricorrente, aveva illegittimamente richiesto alcune integrazioni documentali alla società prima classificata anziché procedere alla sua esclusione.
Il TAR del Lazio rigettava la richiesta della ricorrente e avverso tale sentenza veniva proposto appello.
Il Consiglio di Stato adito, condividendo le conclusioni del primo giudice, ha rigettato le richieste dell’appellante ponendo alla base della sua decisione il contenuto ambiguo del bando di gara. Ed infatti il bando di gara prevedeva, come condizione di partecipazione, l’assenza di determinate condizioni preclusive da dimostrare “…a pena di esclusione dalla gara, con le modalità, le forme ed in contenuti previsti nel disciplinare di gara”.
Ad avviso del Collegio le disposizioni del bando non prevedevano quale condizione di partecipazione la presentazione di una dichiarazione di assenza delle condizioni preclusive, ma al contrario veniva richiesta direttamente la sussistenza del requisito sostanziale dell’assenza di tali condizioni. Secondariamente i giudici osservavano come nel disciplinare di gara non era stata data alcuna indicazione in merito alle modalità di presentazione dei documenti, con la conseguenza che il rinvio posto dal bando di gara era caduto nel vuoto.
L’ambiguità del bando e il silenzio del disciplinare, ad avviso del Consiglio di Stato, legittimavano la stazione appaltante ad effettuare una richiesta di integrazione documentale in ossequio al principio del favor partecipationis.
Ed infatti ad avviso dei giudici “Il Tribunale ha quindi giustamente condiviso le osservazioni dell’Avvocatura regionale per cui, in sintesi: la lacuna del disciplinare di gara poteva avere ingenerato incertezza circa la prova dell’assenza delle condizioni preclusive in questione, atteso che, secondo quanto stabilito dal bando, tale prova doveva proprio avvenire con le modalità, le forme ed i contenuti previsti nel disciplinare; in materia di esclusione dalle gare di appalto, che sono dominate dal principio dell’interesse pubblico alla più ampia partecipazione dei concorrenti; inoltre, l’insegnamento della giurisprudenza è nel senso che le clausole del bando che non comminino in modo univoco l’esclusione per inosservanza di determinate prescrizioni vanno interpretate nel senso di assicurare la partecipazione dei concorrenti.[…] Il caso all'esame della Sezione integrava, in conclusione, un caso paradigmatico di doveroso esercizio del potere di soccorso istruttorio previsto dall’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, istituto che rinviene uno dei suoi ambiti elettivi di operatività proprio nell’esigenza di porre rimedio ad equivocità ed ambiguità della lex specialis in ordine alle dichiarazioni e documenti da presentare”.
In conclusione la sentenza in oggetto chiarisce come in presenza di una disciplina di gara ambigua e lacunosa deve prevalere il principio del favor partecipationis e quindi in tale situazione è legittimo e doveroso l’esercizio del potere istruttorio da parte della stazione appaltante (link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Gare, affidamenti a società pubblico-private senza divieti.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che l'art. 23-bis, comma 9, del decreto legge n. 112/2008 (cd. manovra estiva 2008), convertito con legge n. 133/2008 e successive modifiche, non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del comma 2, lettera b), del medesimo articolo.
Tale articolo prevede, al comma 2, che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Il successivo comma 9 prevede che le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato.
I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.
Il caso posto all’attenzione del CdS.
La vicenda nasce a seguito del fatto che una società per azione proponeva ricorso avverso un Comune della Regione Calabria a seguito della sentenza del TAR della Regione stessa concernente una gara per la gestione del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani.
In particolare la società ricorrente impugnava la determinazione del Comune del 2009 con cui era stata indetta una gara a procedura aperta, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani con la sola modalità differenziata e connesse attività ed oneri sul territorio del Comune stesso; le successive integrazioni al disciplinare di gara e, dunque, le determinazioni di rettifica avevano consentito la partecipazione alla gara della società che era risultata essere l’affidataria del servizio.
La ditta ricorrente deduceva , in particolare, che la società risultata “vincitrice” era già affidataria diretta del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, di quello di pulizia delle aree mercantili e di quello di spazzamento del Comune e non avrebbe potuto partecipare, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, e s.m.i., a procedure di gara per l’affidamento di servizi ulteriori né gestire il servizio di raccolta differenziata, avendo un socio di minoranza non selezionato per gestire il servizio, e meno che mai quello della raccolta differenziata, neppure inserito nell’oggetto sociale della società affidataria, “esclusivo”, in quanto limitato ai servizi affidati direttamente.
La partecipazione della società affidataria alla gara in questione avrebbe determinato effetti distorsivi della concorrenza, per l’evidente vantaggio sui costi, determinato dalla posizione di affidataria dei servizi di raccolta dei rifiuti urbani indifferenziati.
L’analisi dei giudici amministrativi.
Per i giudici di Palazzo Spada l'affidamento di servizi pubblici locali a società miste pubblico-private, va equiparato, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, all'affidamento a terzi mediante gara (articolo 23-bis, commi 2, lettera b), e 9, Dl 112/2008).
Il Consiglio di Stato dopo una lunga disamina ha respinto un ricorso contro l'affidamento del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani.
Per i giudici amministrativi il divieto ex articolo 23-bis, comma 9, del Decreto legge n. 112/2008, convertito in legge 133/2008, di partecipare a gare per l'affidamento di servizi ulteriori a quelli già gestiti per il Comune, vale solo per chi già gestisce i servizi locali a seguito di affidamento diretto o comunque non tramite gara.
L'affidamento a una società mista pubblico-privata ex articolo 23-bis, comma 2, lettera a), va equiparato, secondo i giudici di Palazzo Spada , all'affidamento mediante pubblica gara: la società in questione, già affidataria di servizi del Comune, in sintesi può partecipare alla gara per l'affidamento di ulteriori servizi locali.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, respinge l’appello e condanna l’appellante a rifondere al Comune e, alla società affidataria, le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.04.2011 n. 2222 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del c. 2, lett. b, del medesimo articolo.
L'affidamento ad una società mista pubblica e privata costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. deve essere equiparato, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, anche alla luce dei principi dettati dall'U.e. in materia, all'affidamento a terzi mediante pubblica gara.
Pertanto, il divieto di partecipazione alla gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in atto, previsto dal c. 9 del citato art. 23-bis, si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.04.2011 n. 2222 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9, dl n. 112/2008 non esclude dalla possibilità di acquisire ulteriori servizi pubblici le società miste costituite con socio scelto con gara tesa a definire anche le modalità operative di gestione del servizio.
Il tenore letterale dell'art. 23-bis, c. 9, d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm., non esclude dalla possibilità di acquisire ulteriori servizi pubblici le società miste costituite con socio scelto con gara tesa a definire anche le modalità operative di gestione del servizio (fattispecie di cui all'art. 23-bis, c. 2, lett. b).
L'affidamento a società mista costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis si appalesa, infatti, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello mediante pubblica gara, pertanto risulta irragionevole ed immotivata -anche alla luce dei principi dettati dall'Unione europea in materia di partenariato pubblico privato- l'applicazione, nei confronti di società di tale specie, del divieto di partecipazione alle gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in esecuzione.
Va, dunque, preferita l'interpretazione della disposizione secondo cui il divieto in parola si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica, con la precisazione che rientrano nel concetto di evidenza pubblica ("ovvero") anche le forme previste dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis., cit. (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 11.04.2011 n. 298 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Comune privo di assicurazione e risarcimento in via bonaria.
Domanda.
Nel caso in cui un Comune, privo di assicurazione, decida di risarcire in via bonaria i danni causati da una caduta provocata da una buca stradale, deve provvedere agli adempimenti previsti dall'art. 142, commi 2 e 3, del D.Lgs. 07.09.2005, n. 209?
Risposta.
L'art. 142, commi 2 e 3, D.Lgs. 07-09-2005, n. 209 stabilisce che:
"2. Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare.
3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla comunicazione di cui al comma 2 senza che l'ente di assicurazione sociale abbia dichiarato di volersi surrogare nei diritti del danneggiato, l'impresa di assicurazione potrà disporre la liquidazione definitiva in favore del danneggiato. L'ente di assicurazione sociale ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia pregiudicato l'azione di surrogazione
".
Nel caso in esame, il Comune è il danneggiante che risarcisce un danno provocato dalla sua condotta omissiva, di cui è responsabile, adempiendo ad un'obbligazione da fatto illecito di cui è il soggetto attivo, o debitore. Ne deriva che è inapplicabile la disposizione sopra citata che si riferisce esclusivamente all'ipotesi in cui a pagare sia l'assicuratore. La ratio della disposizione, infatti, è quella di garantire l'eventuale assicuratore sociale contro il rischio di dover risarcire un danno già risarcito da un altro assicuratore e di consentire una rivalsa garantita ex lege dell'assicurazione sociale contro l'assicurazione ordinaria.
Infatti, l'assicuratore ordinario assume l'obbligazione indennitaria a favore dell'assicurato avente ad oggetto il pagamento dell'obbligazione da fatto illecito in luogo del danneggiante, in parte al pari dell'assicuratore sociale, che però ha diritto di rivalsa ex lege sull'assicuratore. Per questo motivo la norma prevede in capo all'assicuratore ordinario il dovere di chiedere al danneggiato se ha altre forme di assicurazione sociale e, in caso positivo, l'obbligo di darne comunicazione al competente Ente di assicurazione sociale. Potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito dell'Ente per le prestazioni erogate o da erogare.
Viceversa, in ipotesi in cui sia lo stesso danneggiante a pagare, sarà l'assicuratore sociale a chiedere al danneggiato se è stato già risarcito o meno e conseguentemente, secondo buona fede, regolerà l'indennizzo dovuto per evitare che il danneggiato possa locupletare dal risarcimento (11.04.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZI: L’illegittima partecipazione delle Università alle procedure di affidamento dei contratti pubblici (link a www.centrostudicni.it).

APPALTI: Art. 46 D.lgs. 163/2006 - Integrazione documentale - Ammessa solamente per documenti già prodotti.
Come è stato di recente chiarito, ai sensi dell'art. 46 del D.lgs. n. 163/2006, i criteri esposti ai fini dell'integrazione documentale non possono servire a sopperire alla mancanza di un documento, ma consentono chiarimenti e integrazioni di un documento prodotto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.08.2010, n. 5084).
Nel caso di specie (presentazione di una cauzione provvisoria di € 2.950,00 anziché di € 2.980,00) non si è trattato di un documento mancante o irregolarmente prodotto bensì di mero errore di calcolo, peraltro di importo irrisorio, rientrante, a giudizio del Collegio, tra le irregolarità suscettibili di integrazione (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 26.10.2010, n. 7069).
In definitiva, la stazione appaltante ben avrebbe potuto e dovuto azionare il cosiddetto potere di soccorso anziché adottare il provvedimento di esclusione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Posa di condotta nel sottosuolo - Autorizzazione - Suolo privato di terzi - Consenso - Onere del ricorrente.
L'insistenza di parte della condotta in sottosuolo privato non esime l'Amministrazione dall'autorizzare, in presenza delle condizioni di legge, l'esecuzione dell'opera, dovendo poi essere cura di chi vi abbia interesse richiedere il necessario consenso ai proprietari privati per la costituzione della relativa servitù (fattispecie relativa al diniego di posa di una condotta per l'azoto) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 08.04.2011 n. 81 "Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture" (D.Lgs, 15.03.2011 n. 35).

APPALTIIn assenza di clausole della lex specialis oscure o equivoche prevale il principio di formalità.
La violazione di oneri formali imposti a pena di esclusione dalla lex specialis esprime la prevalenza del principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio che -in assenza di clausole equivoche o di significato oscuro- non può essere superato dall’opposto principio del favor partecipationis (C. Stato sez. V 6498/2008).
Pertanto, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, i criteri disposti ai fini dell’integrazione documentale possono riguardare esclusivamente chiarimenti in ordine alla documentazione prodotta per sanare eventualmente mere irregolarità formali, e non la violazione di precise e chiare prescrizioni del bando, perché altrimenti verrebbe ad essere violato il principio della "par condicio" dei concorrenti, con conseguente inammissibile incidenza sulla sostanza e non più solo sulla forma (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 07.04.2011 n. 854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISono ostensibili fin dall'aggiudicazione provvisoria la documentazione amministrativa, l'offerta economica e tecnica presentate dai concorrenti in gara.
La lettera c del comma 2 dell'art. 13 del Codice dei Contratti fa riferimento all’<aggiudicazione>; mentre, la successiva c-bis cita esplicitamente l’<aggiudicazione definitiva>; segno che il legislatore, quando ha ritenuto rilevante attendere che si fosse realizzata la conclusione della procedura selettiva (attraverso, appunto, l’aggiudicazione definitiva), lo ha detto espressamente.
Diversamente, nell’ipotesi descritta nella precedente lettera c, l’espressione generica “aggiudicazione” deve essere riferita all’aggiudicazione “provvisoria”, e ciò in applicazione del criterio interpretativo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, non dixit (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Informative prefettizie ex articolo 10, lett. b), dpr 252/1998: la discrezionalità delle valutazioni effettuate dal prefetto è sindacabile solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità.
Nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 679 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: RIPARTO DI COMPETENZE IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI.
Sono incostituzionali le disposizioni normative, contenute nella legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11/2009, come modificate dalla legge n. 12/2010, laddove: a) prevedono che, qualora si applichi il criterio del prezzo più basso, si darà corso, in ogni caso, all'applicazione del sistema di esclusione automatica delle offerte anomale; b) non prevedono l'applicazione delle forme di pubblicità stabilite dall'articolo 122 del Codice; c) prevedono che la procedura selettiva, per l'affidamento dei servizi di progettazione, debba svolgersi tra tre e non tra almeno cinque soggetti.
E' quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 07.04.2011 n. 114, nella quale viene confermata la competenza statuale, cioè la disciplina del Codice (D.Lgs n. 163/2006) in materia di contratti pubblici.
I giudici costituzionali ricordano, preliminarmente, che, ai sensi dell'articolo 4 della legge costituzionale n. 1/1963, la potestà legislativa primaria regionale deve essere esercitata in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato. Ora, non vi è dubbio che le disposizioni contenute nel citato Codice dei contratti pubblici, in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, devono essere ascritte, per il loro proprio contenuto d'ordine generale, all'area delle norme fondamentali di riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
Al riguardo, la Consulta ricorda che proprio le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono rispettare quelle norme del Codice, che attengono, da un lato, alla scelta del contraente (alle procedure di affidamento) e, dall'altro, al perfezionamento del vincolo negoziale e alla correlata sua esecuzione (Corte Cost. n. 45/2010). Di conseguenza, sia le Regioni che le Province autonome devono rispettare due distinte tipologie di principi, che si pongono come ovvio limite alla loro potestà legislativa. Precisamente:
a) i principi della tutela della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie e, dunque, le disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo;
b) i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi sull'intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.
Venendo alla concreta vicenda, occorre rilevare che l'Avvocatura dello Stato aveva censurato, davanti alla Corte costituzionale, le disposizioni della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11/2009, come modificate dalla legge n. 12/2010, prevedenti quanto segue:
1) la possibilità di affidare appalti di lavori sino ad un milione di euro, mediante ricerca di mercato, volta ad individuare operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione, con invito ad almeno 15 soggetti;
2) l'obbligo, in caso di appalti di lavori sino ad un milione di euro, di procedere all'esclusione automatica delle offerte anomale, qualora si applichi il criterio del prezzo più basso;
3) la pubblicazione di esiti di gare per appalti di lavori sino ad un milione di euro solo sull'albo pretorio della stazione appaltante, con contestuale comunicazione all'Osservatorio regionale (invece di: pubblicazione G.U. serie speciale dei contratti pubblici + pubblicazione albo pretorio Ente appaltante + pubblicazione sul sito dell'Osservatorio e sul sito del Ministero delle Infrastrutture + pubblicazione, per estratto, su un quotidiano nazionale ed uno locale);
4) possibilità di affidare servizi di ingegneria-architettura di importo pari od inferiore ad euro 50.000,00, mediante procedura selettiva basata sul solo esame dei curricula di tre soggetti.
Ora, la Corte costituzionale, sulla base delle predette coordinate interpretative, procede alle seguenti decisioni:
- La censura sub 1) non viene accolta, in ragione della genericità dei motivi di doglianza, fondati su non dettagliati richiami alle norme codicistiche, senza congrua indicazione delle asserite difformità.
- La censura sub 2) viene accolta, in quanto la disposizione regionale illegittimamente introduce una disciplina, in tema di offerte anomale, diversa da quella nazionale, idonea ad incidere negativamente sul livello della concorrenza, che deve essere garantito agli imprenditori operanti nel mercato.
- Anche la censura sub 3) viene accolta, in quanto le ridotte forme di pubblicità ledono i minimi livelli di concorrenza, in quanto l'adozione di adeguate misure di pubblicità costituisce un elemento imprescindibile a garanzia della massima conoscenza e della conseguente partecipazione alle procedure di gara.
- Infine, viene accolta la censura sub 4), in quanto la riduzione degli operatori economici, ammessi a partecipare alla procedura selettiva, comporta una diversità di disciplina, rispetto a quella statale, idonea ad incidere negativamente sul livello complessivo di tutela della concorrenza nel particolare segmento di mercato preso in considerazione.
Come ben si vede, la Corte costituzionale interviene, con decisione e puntiglio, a censurare le reali discrasie della normativa regionale, rispetto a quella codicistica, sulla base, primariamente, della necessità di fornire congrua tutela ai primari principi della concorrenza. Principi, che possono essere garantiti in modo pieno e su tutto il territorio nazionale, solo attraverso il rispetto della disciplina del Codice, cioè la disciplina statuale (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICIL’approvazione del progetto esecutivo di opera pubblica è di competenza della Giunta Comunale e non del dirigente.
Non appare condivisibile l’assunto di parte ricorrente circa la natura meramente gestoria dell’atto di approvazione del progetto esecutivo di un’opera pubblica, con la sua ascrizione alla competenza dirigenziale, mentre il Collegio ritiene di condividere il prevalente orientamento giurisprudenziale che attribuisce l’approvazione del progetto esecutivo di opera pubblica alla competenza di Giunta (Cons. Stato, sez, IV, 11.09.2001, n. 4744; TAR Lecce, sez. I, 31.03.2003, n. 1415; TAR Venezia, sez. I, 07.07.2004, n. 2266; TAR Toscana, sez. I, n. 1038 del 2008) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 06.04.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Presupposti - Carattere colpevole della violazione normativa - Non necessita.
E' escluso, quantomeno per il settore degli appalti pubblici, che il diritto al risarcimento del danno da parte di una P.A. possa essere subordinato al carattere colpevole della violazione normativa (cfr. Corte Giustizia Unione Europea, sent. sez. III, 30.09.2010, causa C-314/09) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della P.A. - Inosservanza delle disposizioni sull'affidamento dei contratti pubblici - Legittimazione al ricorso - Sussiste solo per soggetti operatori del settore.
L'inosservanza delle disposizioni sull'affidamento dei contratti pubblici può essere fatta valere esclusivamente da operatori del settore, aventi titolo a partecipare ad eventuali procedure concorsuali per la scelta del contraente della P.A. (cfr. TAR Milano, sent. n. 730/2011 e n. 7614/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2011 n. 898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Aggiudicazione di contratti con la P.A. - Apertura delle buste - Seduta pubblica - Obbligo del seggio di gara di portare a conoscenza dei concorrenti giorno, ora e luogo della seduta - Anche in assenza di specifiche previsioni della lex specialis - Comunicazione via fax - Sufficiente certezza circa l'esito della trasmissione - Prova contraria circa la funzionalità dell'apparecchio a chi lamenti la mancata ricezione - Rapporto di trasmissione non a buon fine, onere della stazione appaltante di avere un rapporto positivo di trasmissione.
La regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell'apertura delle buste implica "necessariamente l'obbligo del seggio di gara di portare preventivamente a conoscenza dei concorrenti il giorno, l'ora e il luogo della seduta della commissione di gara, in modo da garantire loro l'effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi pervenuti alla stazione appaltante, atteso che tale adempimento risulta implicitamente necessario ai fini dell'integrazione del carattere di pubblicità della seduta" (in termini Consiglio di stato, sez. V, 28.05.2004, n. 3471; TAR Piemonte Torino, sez. II, 29.10.2010, n. 3937);
Di conseguenza, "anche in assenza di specifiche previsioni della lex specialis, la violazione del principio di pubblicità indotta dalla mancata (o dalla tardiva) comunicazione ad uno o più concorrenti della data di svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi contenenti le offerte economiche costituisce vizio insanabile della procedura, anche ove non sia comprovata l'effettiva lesione sofferta dai concorrenti, trattandosi di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento tra gli stessi, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post" (cfr. in termini, Consiglio di Stato, sez. V, 20.03.2006, n. 1445; TAR Veneto Venezia, sez. I, 20.10.2010, n. 5525; TAR Basilicata Potenza, sez. I, 28.03.2008, n. 72; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 26.07.2004, n. 1701).
In generale il fax è uno strumento che garantisce una sufficiente certezza circa l'esito della trasmissione, incombendo la prova contraria in ordine alla funzionalità dell'apparecchio sul soggetto che lamenti la mancata ricezione del messaggio. Il principio ora richiamato vale nelle ipotesi in cui alla stazione appaltante risulti che la trasmissione via fax è andata a buon fine, ma ciò nonostante il destinatario lamenti la mancata ricezione per malfunzionamento dello strumento tecnico.
Viceversa qualora il rapporto di trasmissione evidenzi che la comunicazione effettuata dall'amministrazione non è andata a buon fine, per una ragione indipendente dal corretto funzionamento del macchinario e a fronte di tale situazione era onere della stazione appaltante di reiterare l'invio della comunicazione sino ad ottenere un rapporto positivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.04.2011 n. 892 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: L'edificabilità di fatto come criterio di prova del danno per le occupazioni illegittime dei terreni da parte della PA.
Con la sentenza 04.04.2011 n. 2113 la IV Sez. del Consiglio di Stato ribadisce alcuni fondamentali principi in tema di occupazione illegittima di terreni da parte della Pubblica Amministrazione e profili risarcitori.
In primo luogo il Collegio ribadisce i principi che regolano il riparto di giurisdizione precisando che: “spetta al giudice amministrativo” ogni controversia cha ha ad oggetto “il risarcimento dei danni conseguenti all'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità” come l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità (Consiglio Stato a. plen., 09.02.2006, n. 2; n. 9 del 30.07.2007).
Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa, intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia, rientrano nella giurisdizione ordinaria (omissis) (Cassazione civile , sez. un., 23.12.2008 , n. 30254).”
Nel merito poi della richiesta risarcitoria del proprietario del fondo di fatto espropriato il collegio precisa nella liquidazione del danno da occupazione illecita “non ricorrendo il parametro dell’edificabilità legale”, si deve tenere conto del parametro “dell’edificabilità di fatto” e quindi “fare riferimento alle obiettive caratteristiche della zona ed alla possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al contesto spaziale nel quale quest'ultimo concretamente si ponga in ragione del rapporto di fisica contiguità con aree limitrofe edificate o appartenenti alla medesima zona cui l'area espropriata è funzionale, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibilità con le generali scelte urbanistiche ed entro i limiti in ogni caso posti dall'art. 4” T.U. Espropri (DPR 327/2001).
Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ricorda che è onere del cittadino proprietario del terreno illegittimamente occupato e di fatto espropriato, dimostrare in concreto il valore del terreno da risarcire -la sua “edificabilità di fatto”- producendo atti notarili di compravendita di terreni limitrofi da cui si possa ricavare tale valore.
In base al principio di ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) che impone alla parte la prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, non si può demandare la prova del valore del terreno occupato ad una semplice richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. Essa infatti “ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute” ma non può supplire ad una totale carenza probatoria connessa alla richiesta risarcitoria (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Presupposti e condizioni per la procedura negoziata senza la previa pubblicazione del bando -ex art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006- nel caso di ripetizione di servizi analoghi.
Qualsiasi impresa del settore è legittimata ad impugnare la delibera con la quale la P.A. dispone il rinnovo o la proroga di un contratto d’appalto di servizi o di forniture stipulato da un’Amministrazione pubblica, al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 08.07.2008 n. 3391).
Anche in materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.02.2010, n. 445).
L’art. 57, comma 5, lett. b), D.Lgs. n. 163 del 2006, che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nel caso di "ripetizione di servizi analoghi", può operare solo se è sufficientemente chiaro a priori che ne ricorra il presupposto applicativo, e non invece se occorra una profonda e complessa indagine comparativa e di mercato per giungere ad una siffatta conclusione. La logica insita nella norma, che eccezionalmente deroga al principio della gara, è infatti quella di non imporre una gara, appunto, il cui esito sia pressoché scontato a priori perché solo un operatore è in grado di assicurare la prestazione richiesta; in casi del genere, l'unicità del fornitore deve essere certa prima di addivenire a trattativa privata e l'indagine di mercato può avere il solo scopo di acquisire la certezza di tale unicità o di escluderla (1).
E’ illegittima una delibera con la quale un Comune ha rinnovato per tre anni il contratto di trasporto scolastico alla ditta in precedente aggiudicataria del servizio ai sensi dell’art. 57, comma 5, lett. b), del D.L.vo n. 163/2006, che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nel caso di "ripetizione di servizi analoghi", atteso che, nel caso di specie, non ricorrono i presupposti né della presenza sul mercato di un solo operatore in grado di espletare il servizio di trasporto scolastico, né, quindi, della prospettiva di una gara dall’esito scontato.
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(1) TAR Lazio-Roma, Sez. III, 16.01.2010, n. 286.
Dispone l'art. 57, comma 5, lett. b), del D.L.vo n. 163 del 2006, che: "Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita: (…) b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all'operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l'importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all'articolo 28" (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 04.04.2011 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: P. Carpentieri, Sorte del contratto (nel nuovo rito sugli appalti) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Individuazione di casi in cui è ammissibile l’impugnazione del bando di gara.
L’impugnazione del bando di gara è consentito alle imprese che non abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara medesima soltanto quando il bando stesso preveda delle norme che non consentono la partecipazione alla gara indetta, nel senso che se le imprese suddette avessero partecipato alla gara, sarebbero state sicuramente escluse (Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 2003 e Sez. V, n. 4338 del 2009.).
E’ inammissibile un ricorso avverso il bando di una gara di appalto, fondato sulla doglianza secondo cui il termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte è eccessivamente breve, e, per tale ragione, non consente di formulare l’offerta, nel caso in cui l’impresa ricorrente non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara; infatti, in tal caso le censure si appuntano non sulla impossibilità di partecipare alla gara, ma sulla ritenuta difficoltà di poter formulare un’offerta remunerativa a cagione della esiguità del termine concesso dal bando, il che è assolutamente diverso dalla presenza di norme che non consentono neppure la partecipazione.
L’art. 133 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), il quale prevede l’onere dell’aggiornamento dei prezzari, non è una norma cogente, ma soltanto una indicazione alle amministrazioni aggiudicatrici di prendere in considerazione le variazione dei prezzi secondo un costante aggiornamento (Ha osservato, in particolare, la Sez. V che le amministrazioni non sono obbligate a porre a base del loro computo estimativo i suddetti prezzari, anche in considerazione della generale illegittimità comunitaria dei minimi tariffari inderogabili; le stazioni appaltanti possono scegliere una base di calcolo che ritengano più opportuna in ordine alle contingenze che riguardano l’appalto che va in gara, per cui, le imprese che valutano di non poter partecipare alla gara sulla base di quel computo estimativo, possono decidere di non presentare offerte, mentre mai possono imporre all’amministrazione una base d’asta che possa essere per loro maggiormente conveniente da un punto di vista economico) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.04.2011 n. 2033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2011

APPALTI SERVIZI: G.U. 31.03.2011 n. 74 "Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale" (Ministero dello Sviluppo Economico, decreto 19.01.2011).

APPALTI: Non può essere esclusa dalla gara l'impresa che ometta di indicare specificatamente le cause di esclusione di cui all'art. 75, ove il prestampato predisposto dall'amministrazione abbia indotto in errore il concorrente.
La lex specialis complessivamente considerata (da un lato contenente una clausola di esclusione, dall’altro integrata con fac-simile atto a ingenerare nel concorrente la convinzione di redigere una dichiarazione completa e conforme a legge) va ritenuta ambigua, e pertanto sarebbe illegittima l’automatica esclusione del candidato che, facendo affidamento sulle formulazioni del prestampato, a causa di ciò abbia omesso una dichiarazione; l’amministrazione può sempre, in tali casi, richiedere di integrare le parti mancanti della dichiarazione che, proprio a causa della formulazione della lex specialis e del fac-simile, sono state omesse.
Traslando principi affermati in genere con riferimento alle norme penali (cfr., oltre alle notissime sentenze della Corte costituzionale 24.03.1988, n. 364 e 22.04.1992, n. 185: Cassazione penale, IV, 15.07.2010, n. 32069; Idem, VI, 20.05.2010, n. 24600), può affermarsi che, se di regola l’ignoranza della legge (quindi della esatta portata, nel caso di specie, dell’art. 75 , comma 1, DPR n. 554/1999) non è scusabile, deve tuttavia ritenersi che, laddove la stessa amministrazione concorra a ingenerare false convinzioni nel cittadino (nel caso di specie, la convinzione di redigere una dichiarazione corretta) le conseguenze pregiudizievoli (nel caso in esame, l’esclusione dalla gara), non possono ricadere sul cittadino stesso (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 30.03.2011 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è consentita l’instaurazione di un giudizio in materia di appalti pubblici quando risulti che il ricorrente non potrebbe esserne l’aggiudicatario.
Giova precisare, in una con la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613; sez. V, 07.11.2005, n. 6200), che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta –sulla falsariga del processo civile– a tre condizioni fondamentali: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero come altri dice la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo); l’interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.); e la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo).
Tali condizioni devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione.
Nella specie, come si vedrà meglio in prosieguo, non viene in discussione, in senso proprio, la legittimazione ad agire dell’originario ricorrente (che è pacifica), bensì la carenza, in capo a quest’ultimo e relativamente alle censure in concreto mosse avverso i provvedimenti impugnati, di una posizione differenziata rispetto al quivis de populo, qualificabile in termini astratti come di interesse legittimo, nonché la mancanza dell’interesse ad agire, in relazione sia alla data di proposizione del ricorso che a quella della decisione di primo grado.
La configurabilità della prima condizione dell’azione, il c.d. titolo, non è consentita ove l’instaurazione o la prosecuzione di un giudizio sia finalizzata a tutela di interessi illegittimi o pretese emulative (cfr. da ultimo, sul principio generale, Cons. St., sez. V, 12.02.2010, n. 746; sez. V, 07.09.2009, n. 5244).
Tale principio è declinato, nel processo in materia di appalti pubblici, nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso contro l’aggiudicazione di una gara d’appalto quando, dall’esperimento della c.d. prova di resistenza, risulti con certezza che il ricorrente non sarebbe comunque risultato a sua volta aggiudicatario neppure in caso di accoglimento del ricorso (cfr. Cons. St., sez. VI, 10.09.2008, n. 4326; sez. IV, 11.12.1998, n. 1629).
In tali casi, infatti, l’eventuale rinnovo procedimentale all’esito dell’annullamento giurisdizionale, rimanendo intatta la clausola precettiva della lex specialis, dovrebbe riprendere dall’esame dell’offerta esclusa ma, al quel punto, risulterebbe evidente l’impossibilità giuridica per l’impresa stessa di risultare aggiudicataria, di stipulare il contratto e di svolgere le prestazioni oggetto dell’appalto.
Facendo applicazione dei su esposti principi all’odierna fattispecie, emerge che nessuna posizione di interesse legittimo è astrattamente enucleabile dall’esame della causa petendi dell’originario ricorso della società Tebe perché esso si risolve, all’evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale a contenuto impossibile (o contra ius se messo in relazione alla su riferita clausola del bando), in quanto non consente all’impresa di conseguire il bene della vita cui aspira (l’aggiudicazione della gara d’appalto); del resto costituisce affermazione di principio ricorrente quella secondo cui l’interesse tutelato a livello procedimentale prima e processuale poi, in materia di appalti pubblici, non può essere quello generico al rifacimento della gara d’appalto, proprio di tutte le imprese di settore rimaste estranee alla specifica selezione, bensì quello specifico ad una competizione finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione, cui possono aspirare soltanto i legittimi partecipanti alla gara, anche attraverso l’eliminazione di clausole della lex specialis eventualmente lesive (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 12.10.2010, n. 7402) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.03.2011 n. 1928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Variazioni sul progetto a base di gara.
Il Consiglio di Stato sull'ammissibilità o meno di offerte che prevedono variazioni rispetto al progetto posto a base di gara.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 29.03.2011 n. 1925, riformando parzialmente la precedente pronuncia dei TAR, si esprime sull'ammissibilità o meno di offerte che prevedono variazioni rispetto al progetto posto a base di gara; ricordando che la previsione esplicita della possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta, già contemplata dalla Legge Merloni 109/1994, è stata generalizzata dall'art. 76 del Codice dei contratti pubblici con riferimento al criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa appalto. La stazione appaltante, in sede di redazione della lex specialis costituita dal bando di gara, deve indicare se le varianti sono ammesse e, in caso affermativo, identificare i loro requisiti minimi.
Il Consiglio di Stato ricorda come la ratio della scelta normativa riposi sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante abbia maggiore discrezionalità nella scelta del contraente, valutando non solo indicatori matematici ma la complessità dell'offerta proposta, sicché nel corso del procedimento di gara potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto base elaborato dall'amministrazione; nel caso invece di offerta selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte le condizioni tecniche sono predeterminate al momento dell'offerta e non vi è alcuna ragione per modificare l'assetto contrattuale, non è mai ammessa la possibilità di presentare varianti.
Tuttavia, a prescindere dalla espressa previsione di varianti progettuali in sede di bando, deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il progetto posto a base di gara sia definitivo, sia consentito alle imprese proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio dei concorrenti. Vengono quindi richiamati e confermati i criteri guida elaborati dalla giurisprudenza, relativi alle varianti in sede di offerta nelle gare di appalto; i quali prevedono che:
• debbano ritenersi ammesse varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell'opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell'oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
• risulti essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l'offerente dia contezza delle ragioni che giustificano l'adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l'efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata;
• vada riconosciuto un ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi dell'ambito di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'annullamento in autotutela di una gara d’appalto non legittima il Comune a non avvisare i concorrenti della revoca.
La giurisprudenza della Sezione, da cui non sussiste motivo per discostarsi, ha già avuto modo di precisare (cfr. Sez. V, 07.07.2009, n. 17) che con la presentazione della domanda di partecipazione e, ancor più, con la predisposizione e l’inoltro dell’offerta, i soggetti concorrenti assumono una posizione differenziata e qualificata che giustifica la posizione di contro interessati ai quali è necessario comunicare l’avviso di avvio del procedimento ai sensi della legge sulla trasparenza amministrativa, al fine di consentire la difesa del bene della vita dato dalla chance di aggiudicazione.
Detti principi sono aderenti alla fattispecie in parola, posto che l’amministrazione ha annullato in autotutela la gara dopo che era già stata presentata l’offerta da parte della odierna appellata.
Né può accedersi alla tesi sostenuta dalla difesa del Comune di Fiumicino, secondo cui nel caso di specie l’Associazione Nuovo Domani non poteva essere, anche volendo, nemmeno individuata quale partecipante alla gara, perché “non era stata nominata la commissione esaminatrice, né verificata la tempestività di presentazione dei plichi, né quindi verificati i nominativi dei partecipanti“ e, pertanto, non sarebbe applicabile quella giurisprudenza che richiede di comunicare ai concorrenti l’avvio del procedimento di revoca della gara quando quest’ultima sia in corso di avanzato espletamento.
Al riguardo, infatti, è appena il caso di rilevare come il plico contenente le offerte dei concorrenti ad una gara debba sempre recare, all’esterno, la ragione sociale e l’indirizzo del singolo concorrente. E nel caso di specie, giust’appunto, il bando revocato all’art. 10 dal titolo -“modalità di partecipazione”– prescriveva che ”: il plico contenete l’offerta e la documentazione ….. a pena di esclusione dovrà essere controfirmato su tutti i lembi di chiusura e di costruzione della busta, recare all’esterno la ragione sociale e l’indirizzo del concorrente, nonché la dicitura: offerta per la gara d’appalto per il servizio comunale di Protezione Civile”.
A ciò aggiungasi che, come precisato nella memoria difensiva e non contestato dall’appellante, l’Associazione Nuovo Domani era l’unica concorrente, per cui la tesi in esame risulta vieppiù priva di consistenza. Ne rileva, ai fini che qui interessano, che nell’art. 15 del bando l’Amministrazione si fosse espressamente riservata di “non aggiudicare l’appalto e comunque di aggiudicarlo a proprio insindacabile giudizio”.
Tale clausola infatti, al contrario di quanto assume la difesa del Comune, non legittima certamente l’Amministrazione appaltante a revocare il bando a suo insindacabile giudizio, bensì si limita a rendere noto ai concorrenti che l’offerta è vincolante per il concorrente, mentre l’Amministrazione si riserva di non aggiudicare l’appalto di servizi se nessuna delle offerte sarà ritenuta conveniente o idonea in relazione all’appalto. Il richiamo all’art. 15 del bando, operato dall’appellante a sostegno del vizio dedotto, è pertanto inconferente. Né peraltro è invocabile, al fine di escludere l’effetto invalidante del vizio procedimentale in parola, la disciplina recata dall’art. 21-octies della L. 241/1990 considerato che, come esattamente affermato nella sentenza appellata, il legislatore esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento solo quando esso ha natura vincolata e non può quindi essere diverso, mentre la revoca di una gara già bandita è chiaramente espressione di un potere discrezionale della P.A.
Nel caso di specie, inoltre, né dalla motivazione dei provvedimenti impugnati, né dalle ulteriori argomentazioni sviluppate dalla difesa dell’Amministrazione, si desume che l’apporto del privato non avrebbe potuto influire sull’esito del procedimento, portando all’adozione di un atto diverso non confliggente con gli interessi dell’Associazione ricorrente. Infatti non è sufficiente affermare che “il contributo partecipativo dell’Associazione” non avrebbe potuto mutare il contenuto dei provvedimenti sia“ rispetto alla scelta dell’Amministrazione di svolgere in gestione diretta il servizio” sia “rispetto al semplice ritiro del bando, di portata meramente attuativa”.
L’Amministrazione, infatti, per sostenere l’applicabilità dell’art. 21-octies al caso di specie, avrebbe dovuto quanto meno dimostrare che effettivamente il Comune era in grado di provvedere autonomamente all’erogazione dei servizi di Protezione Civile, come affermato nelle determine impugnate, e nel contempo provare che il mancato affidamento ad un unico soggetto di tutti i servizi oggetto di gara avrebbe comportato un risparmio di spesa.
Ma tale prova non è stata offerta dall’Amministrazione, si che l’apporto dell’Associazione ricorrente sarebbe stato essenziale nel caso di specie visto che quest’ultima, da oltre 20 anni, espleta servizi di Protezione Civile ed è a conoscenza non solo della complessità degli interventi, ma anche della situazione logistica dei luoghi visto che per molti anni ha effettuato il servizio proprio in favore del Comune di Fiumicino (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza  29.03.2011 n. 1922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un ATI concorrente che non abbia indicato le quote di partecipazione delle singole imprese costituenti il raggruppamento.
E' illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato da un'amministrazione appaltante nei confronti di una costituenda ATI, che abbia omesso di indicare le quote di partecipazione ai lavori delle singole imprese componenti il raggruppamento.
L'obbligo di indicare le quote di partecipazione delle singole imprese facenti parte di raggruppamenti temporanei concorrenti, contenuto nel bando di gara, risponde ad un ineludibile obbligo di legge, comportando peraltro l'impegno a non modificare la composizione della costituenda ATI, in conformità ai requisiti indicati ed eventualmente comprovati in sede di gara, e ad eseguire i lavori nella percentuale corrispondente alla quota dichiarata, ai sensi dell'art. 93, c. 4, del D.P.R. n. 554/1999.
L'obbligo di indicare la percentuale dei lavori da eseguire discende direttamente dall'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006, dovendo, per un verso, sussistere perfetta corrispondenza tra quota dei lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento ed essendo pertanto necessario che la quota di partecipazione debba essere manifestata dai componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione, essendo detta indicazione un requisito indispensabile ai fini dell'ammissione alla procedura d'appalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.03.2011 n. 1911 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Appalti pubblici e CTU sulle valutazioni tecnico-discrezionali.
Con la sentenza 28.03.2011 n. 1871, la IV Sezione del Consiglio di Stato mette a fuoco l’ambito di applicazione della consulenza tecnica d’ufficio negli appalti pubblici.
La pronuncia non è importante solo per le considerazioni effettuate in ordine alla ratio ed alle finalità che assume la CTU nel giudizio amministrativo, ma soprattutto perché, nel richiamare le concrete modalità con la quale la CTU è stata espletata nel corso del giudizio, i Giudici di Palazzo Spada indicano l’operato del Consulente quasi come un modello di riferimento per l’espletamento delle future consulenze tecniche, ai fini del sindacato giurisdizionale dell’operato di una Commissione di gara.
La vicenda trae origine in seguito alla procedura ristretta indetta per l’affidamento, a contraente generale, delle attività di realizzazione con del Macrolotto n. 2 Autostrada SA-RC, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Intervenuta l’aggiudicazione della gara in favore di un Consorzio stabile, il R.T.I. secondo in graduatoria proponeva dapprima ricorso al TAR Lazio e poi, in seguito al rigetto, appellava al Consiglio di Stato.
Ai fini della decisione della controversia, e per valutare le censure sollevate dalle parti in relazione all’operato della Commissione giudicatrice, i giudici disponevano una consulenza tecnica d’ufficio.
In particolare, la consulenza doveva valutare la ragionevolezza dell’operato della Commissione in relazione ai punteggi assegnati alle offerte tecniche delle parti in causa.
Il Consiglio di Stato, all’esito delle operazioni peritali, ha respinto l’appello principale ritenendolo infondato.
Ripercorrendo i passi principali della decisione si evidenzia come il Collegio, prima di valutare l’operato della Commissione di gara, ha delineato in maniera chiara e precisa il ruolo che la CTU assume nel giudizio amministrativo: “... la Sezione è ben consapevole dei rischi di un’ingerenza del sindacato giurisdizionale in una sfera di valutazioni discrezionali (quelle relative al giudizio sugli elementi delle offerte tecniche e sulla consequenziale attribuzione dei punteggi) pacificamente riservata all’Amministrazione; tuttavia, è ormai da circa un decennio che la giurisprudenza è approdata a una più chiara consapevolezza della demarcazione esistente tra le valutazioni di opportunità afferenti alla discrezionalità “pura”, ovvero addirittura al merito amministrativo, e quelle che la p.a. è chiamata a condurre alla stregua di regole tecniche richiamate dalla stessa legge: si è così pervenuti ad ammettere da parte del giudice un sindacato non soltanto limitato alla verifica di coerenza logica tra le regole tecnico-scientifiche cui si è fatto ricorso nella scelta discrezionale e la determinazione conclusiva (c.d. sindacato estrinseco), ma bensì esteso anche alla stessa attendibilità delle operazioni tecniche e dei loro risultati (c.d. sindacato intrinseco). Secondo l’indirizzo ormai prevalente, un tale sindacato va condotto sotto il duplice profilo della correttezza del criterio tecnico individuato dalla p.a. e della correttezza del procedimento seguito dalla stessa Autorità per l’applicazione del criterio tecnico prescelto, e si giustifica sulla base della netta distinzione tra la “opinabilità” che caratterizza le valutazioni tecniche e la “opportunità” che connota invece le scelte di merito, tale da rendere da un lato giustificata e ragionevole la riserva delle seconde all’amministrazione, ma al tempo stesso doveroso e imprescindibile il controllo di legalità (anche) sulla corretta applicazione delle regole tecniche cui fa richiamo la norma giuridica, che costituisce comunque il parametro di riferimento del giudizio di legittimità dell’azione amministrativa[…]. Nella giurisprudenza successiva, peraltro, è stato chiarito che il predetto sindacato “intrinseco” deve pur sempre arrestarsi al momento della verifica di congruenza del procedimento tecnico adottato dalla p.a., senza pretendere di sostituire al giudizio di quest’ultima quello del giudice (c.d. sindacato “debole”): ciò in quanto, allorché vi siano interessi la cui cura sia dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, l’ammettere che il giudice possa “autoattribuirseli” rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato[…]. Pur con questi limiti, ha costituito in ogni caso un progresso ineliminabile, sul piano delle garanzie per i cittadini amministrati, la possibilità di accesso del giudice al fatto attraverso lo strumento della C.T.U., e la conseguenziale piena censurabilità –sia pure nei limiti appena evidenziati– anche del vizio di eccesso di potere, segnatamente nella sua figura sintomatica rappresentata dall’erronea rappresentazione o dal travisamento dei fatti”.
I principi e le regole richiamate dal Consiglio di Stato sono stati applicati in maniera rigorosa nel corso del giudizio, tanto che il Collegio ha sottolineato come “…la rigorosa modalità eseguita dal consulente per darvi risposta costituisce un esempio quasi emblematico di esercizio di un sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali dell’Amministrazione contenuto nei limiti appena indicati”.
Ed infatti, nei quesiti formulati al Consulente tecnico d’ufficio, è stato richiesto non di ripetere le valutazione delle offerte tecniche, ma di individuare un “verosimile percorso logico” per apprezzare la congruenza e ragionevolezza dell’operato della Commissione sulla sola base dei criteri di valutazione indicati nel bando di gara, nonché dei principi tecnico-scientifici comunemente accettati.
Il Consulente tecnico, partendo dai documenti presentati dalle parti al momento dell’offerta, e in applicazione dei criteri previsti dal bando, ha preventivamente individuato il metodo che avrebbe utilizzato nell’espletamento delle operazioni peritali ed a conclusione delle sue operazioni ha riconosciuto una sostanziale invarianza del rapporto tra i punteggi conseguiti dalle due offerte sia in sede di gara che in seguito alle valutazione effettuate con la medesima CTU.
Il Collegio, condividendo l’esito delle operazioni peritali, ha dunque ritenuto dimostrato come il seggio di gara avesse operato alla stregua di criteri di congruità e ragionevolezza.
In particolare, a fronte della contestazione dell’appellante principale che formulava rilievi critici di merito e di metodo sulle conclusioni della CTU, i giudici hanno così risposto “Verosimilmente, l’affermazione testé criticata risente di un non condivisibile approccio di parte appellante alla stessa ratio dell’attività istruttoria espletata, evidente anche laddove la stessa definisce arbitrario e disancorato dagli atti l’algoritmo che costituisce il nucleo delle valutazioni condotte dal C.T.U. Tale rilievo, invero, sembra obliterare che obiettivo dell’attività istruttoria disposta dalla Sezione non era certo quello di individuare il preciso iter, e proprio quello, seguito dalla Commissione di gara per assegnare i punteggi alle offerte tecniche, ma unicamente quello di accertare se esistesse un “percorso logico” (uno dei tanti astrattamente ipotizzabili) il quale, alla stregua della disciplina di gara, fosse in grado di spiegare ragionevolmente i risultati cui il seggio di gara era pervenuto”.
In definitiva, con la sentenza in commento, si è sottolineato come nel processo amministrativo la consulenza tecnica d’ufficio fornisce quelle conoscenze che permettono al giudice della controversia di ottenere la cognizione di nozioni particolarmente complesse, al fine di comprendere se la valutazione, effettuata attraverso la discrezionalità tecnica della stazione appaltante, sia priva di ragionevolezza o scollegata da un esame obiettivo e compiuto degli elementi di fatto.
Una consulenza che, al contrario, andasse oltre la semplice verifica di congruenza del procedimento tecnico adottato dalla Pubblica amministrazione e pretendesse di sostituire a quest’ultima il giudizio del giudice potrebbe determinare una violazione delle competenze che la legge ha espressamente delegato all’organo amministrativo (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Possono essere pari a zero gli utili di impresa quando l'ente non persegue scopi di lucro.
Quanto l'ente è no profit può produrre un'offerta il cui utile di impresa sia pari a zero.
La cooperativa ricorrente ha presentato la propria offerta, nella quale era inserito un progetto migliorativo del servizio posto a gara. Tale offerta, esaminate le giustificazioni addotte, è stata ritenuta ammissibile dalla stazione appaltante che ha valutato l’incidenza delle economie sul costo del lavoro scaturenti -per la società cooperativa aggiudicataria- dalla applicazione delle favorevoli previsioni di cui alla L. n. 407/1990 per il personale neoassunto
Le relative giustificazioni sono state addotte dalla ricorrente, ente no-profit che opera nel settore sociale e che è O.N.L.U.S. di diritto, il cui fine principale non è il profitto ma quello sociale relativo all’occupazione giovanile e all’assistenza alle fasce disagiate, specificando la ragguardevole organizzazione sotto il profilo del metodo di prestazione del servizio e delle soluzioni tecniche adottate e le ulteriori condizioni favorevoli di cui gode.
Tali giustificazioni sono state legittimamente e positivamente valutate dalla stazione appaltante che ha considerato la particolare natura della società ricorrente, connessa alla veste giuridica dalla stessa ricoperta (società cooperativa no-profit) e dalle finalità perseguite indirizzate a conseguire utilità sociali e non strettamente economiche e di profitto.
Del resto, il ribasso offerto dalla aggiudicataria non è contrario ai principi dell’ordinamento e non costituisce ex se causa di anomalia dell’offerta, ma è al contrario specificatamente ammesso quando sia dimostrato che l’offerta è comunque e nel suo complesso remunerativa e sostenibile (in termini C. Stato, sez. V sent. n. 4594 del 23/07/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 28.03.2011 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici (tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: A. Barbiero, Condizioni e presupposti per la qualificazione delle società partecipate di terzo livello come organismi di diritto pubblico (tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: A. Barbiero, Le problematiche inerenti l’assoggettamento delle Società partecipate al patto di stabilità in rapporto al reclutamento di risorse umane (tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI SERVIZI: Concessione di servizi correlata all'uso di un bene pubblico - Applicazione integrale del Codice dei Contratti - Esclusa - Art. 30 D.lgs. 163/06 - Principi generali comunitari sui contratti pubblici - Applicazione.
Qualora la procedura abbia ad oggetto una concessione di servizi, cui è correlato l'uso di un bene pubblico, non si applica la disciplina racchiusa nel Codice dei contratti ma, a norma dell'art. 30 dello stesso D.lgs. 163/2006, i principi desumibili dal Trattato UE ed i principi generali relativi ai contratti pubblici (trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità).
La gara in esame (servizio bar all'interno di una scuola), anche a motivo della incidenza economica contenuta, si caratterizza quindi per una maggiore speditezza e semplificazione procedimentale ed è sulla base di tali premesse che debbono essere definiti i motivi dedotti dalla ricorrente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.03.2011 n. 810 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è escluso dalla gara il concorrente che fornisca false dichiarazioni quando sia ugualmente in possesso di tutti i requisiti previsti.
Con riguardo alla circostanza che causa di esclusione è stata quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando osserva il Collegio che, pur dando atto del non univoco orientamento della giurisprudenza della Sezione e delle ragioni che presiedono alla tesi restrittiva e formalistica, basate sulla necessità di ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V, sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in presenza delle circostanze di fatto di cui alla presente controversia, di aderire all'orientamento di numerose recenti sentenze orientate nel senso della doverosità della effettuazione di una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (in particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n. 829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017), nella considerazione che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione.
Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall'art. 38 citato comporta, “ope legis”, l'effetto espulsivo.
Quando invece il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la “lex specialis” non preveda espressamente la pena dell'esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l'omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un'ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l'esclusione, le cui ipotesi sono tassative .
In senso conforme alla prospettata soluzione depone anche l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi , essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (Cons. St., Sez. VI, 22.02.2010, n. 1017) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1795 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dichiarazioni ex art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici e abrogazione della norma incriminatrice.
Con sentenza 24.03.2011 n. 1795 la Sez. V del Consiglio di Stato ha condiviso l’orientamento di parte della giurisprudenza secondo cui solo l’insussistenza in concreto delle cause di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. 163/2006 può comportare “ope legis” l’esclusione di una società da una gara pubblica.
Nell’ambito di un appalto relativo all’affidamento di servizi di progettazione e coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, veniva revocata l’aggiudicazione provvisoria in favore della R.T.I. prima classificata in quanto il legale rappresentante della capogruppo mandataria aveva dichiarato di non aver subito condanne penali con il beneficio della “non menzione”, mentre dal casellario giudiziale risultava l’esistenza di un decreto penale di condanna con il beneficio della “non menzione” ma del quale non era mai stata chiesta la revoca al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 673 c.p.p..
Avverso il provvedimento di revoca proponeva appello la R.T.I. la quale sosteneva che la condanna relativa al reato oggetto del decreto penale non doveva essere indicata in quanto riguardava una fattispecie che era stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 282 del 14.06.1990 ma soprattutto il reato era stato espressamente abrogato dall’articolo 35 del d.lgs. n. 139/2006.
Il TAR adito rigettava il ricorso ritenendo che il solo ricorrere dei presupposti di merito per la espunzione della condanna dal casellario giudiziale non era idoneo a determinare la cancellazione del reato in quanto era comunque necessaria una pronuncia giudiziale in tal senso.
Avverso tale sentenza la R.T.I. proponeva appello.
La V sezione del Consiglio di Stato, ribaltando la decisione del primo giudice, ha ritenuto di non condividere la tesi secondo cui la sola pronuncia giudiziale di revoca del decreto penale potrebbe causare l’espunzione della condanna sostenendo, al contrario, che l’abrogazione della norma incriminatrice sia di per sé idonea a far cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna mentre la formale pronuncia di revoca rappresenta un accertamento con funzione meramente dichiarativa (Cassazione Penale sez. I, 11.02.2004, n. 7652).
Ed infatti secondo i giudici dell’appello “Con riguardo alla circostanza che causa di esclusione è stata quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando osserva il Collegio che, pur dando atto del non univoco orientamento della giurisprudenza della Sezione e delle ragioni che presiedono alla tesi restrittiva e formalistica, basate sulla necessità di ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V, sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in presenza delle circostanze di fatto di cui alla presente controversia, di aderire all'orientamento di numerose recenti sentenze orientate nel senso della doverosità della effettuazione di una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (in particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n. 829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017), nella considerazione che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall'art. 38 citato comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo. […] Nel caso che occupa, invero, la completezza, correttezza e veridicità della documentazione inserita nella busta "documentazione amministrativa" era richiesta, a pena di esclusione, dall’art. 13 del Disciplinare; il precedente art. 9, punto B), del Disciplinare, peraltro espressamente e fondatamente impugnato in parte qua con l’atto introduttivo del giudizio (se interpretato nel senso di ritenere obbligatoria la dichiarazione de qua anche in caso di reati eliminati dall’ordinamento giuridico), richiedeva a pena di esclusione la presentazione della dichiarazione di non aver subito condanne penali per le quali era intervenuta la non menzione o di averne beneficiato indicando le eventuali condanne. La dichiarazione effettuata dalla appellante, stante l’effetto automatico di eliminazione degli effetti penali della condanna che determina l'abrogazione della norma incriminatrice, non può tuttavia considerarsi incompleta, scorretta o non veritiera. Va infatti escluso che possa qualificarsi come falsa dichiarazione quella contenente una valutazione soggettiva del concorrente stesso, che potrebbe semmai non essere condivisa, ma non certo essere ritenuta falsa, in quanto volutamente non corrispondente ad un dato oggettivamente riscontrabile, né può determinarne l'esclusione dalla gara (Consiglio Stato, sez. V, 19.06.2009, n. 4082)”.
Ad avviso del Collegio tale impostazione risulta anche confermata dall’art. 45 della direttiva 2004/18/CE secondo la quale l’esclusione di un soggetto partecipante alla gara può ricorrere nelle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni, che non dovrebbero ritenersi sussistenti nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti per la partecipazione alla gara (Cons. St. Sez. VI 22.02.2010 n. 1017).
In definitiva con tale sentenza la sezione V del Consiglio di Stato si esprime in favore della tesi sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’offerta deve contenere, a pena di esclusione, una specifica e precisa informazione circa l'effettivo assolvimento di tutte le formalità connesse all'assunzione di lavoratori disabili.
Con uno tra i numerosi motivi di gravame presenti nella pronuncia in rassegna, riguardante, sostanzialmente, una gara indetta da un Comune toscano, è stata dedotta la violazione dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 17 della L. n. 68 del 1999.
Secondo la ditta ricorrente la vincitrice del bando di gara aveva presentato un’offerta difforme alle prescrizioni della lex specialis sotto più profili, in particolare per mancata dichiarazione circa l’osservanza della normativa in materia di diritto al lavoro dei disabili.
La tesi del TAR secondo cui le imprese in gara avrebbero dovuto non solo essere in regola con gli obblighi richiesti dal bando, ma anche dichiarare quali obblighi avevano soddisfatto (sicché non potevano fornire dichiarazioni di contenuto contraddittorio e non definito, quindi inidoneo ad eventuali verifiche della veridicità delle dichiarazioni effettuate) sarebbe smentita, ad avviso dei ricorrenti, sia dalla circostanza che il disciplinare di gara non stabiliva che dovesse essere dichiarato quale obbligo era soddisfatto con riguardo al diritto al lavoro dei disabili, ma richiedeva solo la formulazione riportata al paragrafo II.1 nel modulo prestampato, senza chiedere altro, sia dalla circostanza che comunque poteva comunque essere verificata (anche ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 445 del 2000) la veridicità di quanto affermato.
Osserva in proposito il Consiglio di Stato che l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68 prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi di gara per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche Amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili. Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente rilevato che la dichiarazione di cui all'art. 17, della L. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione alla gara; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge (Consiglio Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213) e la sua sussistenza deve essere esplicitamente dichiarata anche qualora il soggetto non sia tenuto al rispetto delle norme o sia in regola con le norme stesse.
In tema di partecipazione ad una gara per l'affidamento di un appalto pubblico, la “ratio” e la finalità dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999, non sono solo quelle di garantire la P.A. nella conclusione del contratto, da stipularsi con una impresa che abbia osservato ed osservi la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, ma anche quella di imporre il rispetto di essa: dette finalità possono essere perseguite, da una parte, verificando l'assenza di pregresse violazioni della disciplina e, per il futuro, verificandone la completa osservanza sulla base dell'assetto organizzativo che, in termini di risorse umane, con riferimento alle prestazioni oggetto di gara, il soggetto aggiudicatario voglia darsi.
Dette considerazioni escludono anche che la Commissione di gara, possa al riguardo utilizzare il potere di richiedere chiarimenti ed integrazioni, non solo perché ciò costituirebbe violazione dei principi di concorrenza e par condicio che presidiano la materia degli appalti pubblici, ma soprattutto perché si dovrebbe richiedere all'Amministrazione di verificare, in mancanza della dichiarazione, se l'impresa occupi un numero di lavoratori tali da esentarla dall'assunzione dei disabili, il che non solo non è conforme alla lettera dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999 ma è anche contrario a principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa di cui agli artt. 97, comma 1, della Costituzione e 1, della L. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio Stato, sez. V, 24.01.2007, n. 256).
L'offerta deve quindi contenere a pena di esclusione una specifica e precisa informazione circa l'effettivo assolvimento di tutte le formalità connesse all'assunzione di lavoratori disabili (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: ILLUMINAZIONE VOTIVA.
E' del tutto pacifico in giurisprudenza che l'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenti oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un'attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore. Ai sensi dell'articolo 30 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006), la disciplina sull'anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi, a meno che non sia stato previsto in sede di disciplinare di gara.
E' quanto affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 24.03.2011 n. 1784.
Ora, al di là della conferma di un chiaro indirizzo giurisprudenziale in tema di tendenziale inapplicabilità dell'istituto dell'offerta anomala in sede di concessione di servizi, ciò che preme evidenziare è che, ancora una volta, i giudici amministrativi pongono in essere un'analisi dell'illuminazione votiva ancora largamente insoddisfacente. Invero, proprio l'inizio dell'anno in corso ha registrato un inatteso e controverso mutamento del tradizionale orientamento, che può essere così sintetizzato:
a) Fino al 2010, quasi senza eccezioni, la giurisprudenza amministrativa inquadrava l'illuminazione votiva nell'alveo dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, con conseguente applicazione della recente disciplina in materia, rappresentata dall'articolo 23-bis della legge n. 133/2008 e dal regolamento attuativo, approvato con Dpr n. 168/2010 (CdS, sez. V, sentenze n. 1600 e 6049; Tar Lombardia, sez. Brescia II, n. 1509/2009; Tar Calabria, sez. Catanzaro I, n. 2.20/2010).
b) Con la sorprendente sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 26.01.2011, n. 552, si è consumato il primo revirement: E' stato affermato che è legittima la scelta del Comune di gestire direttamente il servizio di illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l'impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l'esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica. Ciò, ovviamente, implica l'innovativa connotazione di servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.
c) Tale cambiamento di posizione viene confermato dalla successiva sentenza del Tar Lazio, sez. Roma II, 04.02.2011, n. 1.077, ove viene espressamente affermato che, in ragione dei ridotti margini di profitto, non può dubitarsi che il servizio di illuminazione votiva sia privo di rilevanza economica.
d) Con la successiva sentenza Tar Lombardia, sez. Milano I, 11.02.2001, si ritorna alla vecchia tesi dell'illuminazione votiva quale servizio pubblico locale a rilevanza economica.
I movimenti sussultori della giurisprudenza, a ben vedere, non sembrano essersi arrestati con la sentenza in esame.
Infatti, se è vero che il CdS conferma la vecchia tesi della rilevanza economica, è parimenti vero che pone in essere, al contempo, un'operazione ermeneutica assolutamente non chiara, laddove, per giustificare l'inapplicabilità della verifica dell'anomalia delle offerte, fa riferimento alla concessione di servizi. Ora, tale riferimento, chiaro ed espresso, non può che significare che l'illuminazione votiva è una concessione di servizi, quale disciplinata dall'articolo 30 del Codice dei contratti. Tuttavia, la concessione di servizi è un istituto non equivalente ai servizi pubblici locali a rilevanza economica! Questo è il punto centrale della questione ed anche il profilo di maggior interesse della sentenza in esame, nel senso che non è chiaro se il CdS confonda i due istituti, non rilevando fra i due alcuna differenza, o se ritenga che l'illuminazione votiva abbia una natura promiscua (un po' di concessione di servizi ed un po' di servizio pubblico locale a rilevanza economica!).
Scartata la seconda ipotesi, per la sua naturale improponibilità, occorre porre attenzione alle differenze sussistenti fra i due richiamati istituti, diversità, come appare, denegate dal Consiglio di Stato.
In linea generale, deve essere osservato che concessione di servizi e servizio pubblico locale a rilevanza economica presentano le seguenti differenze:
a) Differenze di sede di disciplina: la concessione di servizi è regolamentata dall'articolo 30 del Codice; il servizio pubblico locale a rilevanza economica dall'articolo 23-bis della legge n. 133/2008 e dal Dpr n. 168/2010.
b) Differenze di presupposti applicativi: il servizio pubblico locale esige la sussistenza, ai sensi del comma 1°, dell'articolo 112, del D.Lgs n. 267/2000, di un'attività che abbia per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. Tale impegnativo presupposto manca del tutto nella concessione di servizi!
c) Differenze in merito alla proprietà delle reti ed impianti ed alla loro gestione separata. Infatti, il comma 5°, dell'articolo 23-bis, della L. n. 133/2008, stabilisce che ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.
Se analizziamo attentamente tale disposizione normativa, ci accorgeremo che sono evidenti le diversità con l'illuminazione votiva. Ed, infatti:
- La proprietà pubblica delle reti ed impianti costituisce un totem insuperabile per i servizi pubblici locali, i cui affidamenti non possono prescinderne. Viceversa, gli impianti dell'illuminazione votiva diventano di proprietà comunale solo al termine della concessione;
- Non esiste, nel settore dell'illuminazione votiva, alcuna possibilità di separare l'erogazione del servizio dalla gestione delle reti;
- Ancor di più, non è pensabile, per l'illuminazione votiva, una gestione delle reti e degli impianti da parte dei privati, per la banale ed ovvia ragione che gli impianti sono realizzati dal privato concessionario, da lui gestiti e, solo al termine della concessione, vengono conferiti in proprietà al Comune.
Ora, oltre a queste chiare differenze, occorre tener conto di un recente parere dell'Autorità di Vigilanza (n. 28 del 09.02.2011), ove, in relazione ad una fattispecie di affidamento in gestione di sei asili nido comunali di infanzia, comprensivo di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili concessi in uso gratuito, è stata posta in essere un'interessante analisi del complessivo articolo 30 del Codice, che disciplina la concessione di servizi.
L'AVCP afferma che il predetto articolo distingue testualmente, come possibile oggetto di concessione, tra servizi a terzi (comma 5°) e diritti speciali o esclusivi ad esercitare un'attività di servizio pubblico (comma 6°). In altri termini, ad avviso dell'Autorità di Vigilanza, occorre distinguere due casi:
1) Il caso, in cui un'autorità cede ad un terzo il diritto di svolgere una determinata attività economica.
2) Altro caso è, invece, costituito dalla cessione, in favore di un soggetto privato, di diritti speciali o esclusivi ad esercitare un'attività di servizio pubblico. In tale evenienza, l'attività si colora di particolari connotati pubblicistici, in quanto costituisce adempimento di una specifica missione di interesse pubblico.
Dunque, ad avviso dell'Autorità, la fattispecie sub 1) costituisce la versione più pura di concessione di servizi a terzi, in quanto, a differenza della concessione di servizio pubblico, non contempla mai la corresponsione, da parte della Pubblica amministrazione, di un prezzo a favore del concessionario. Infatti, il 2° comma dell'articolo 30 del Codice stabilisce che la remunerazione del concessionario si fonda in toto sulla gestione del servizio (tipologia pura o calda di concessione di servizi, secondo l'AVCP). Viceversa, la fattispecie sub 2) si riferisce al secondo capoverso del predetto 2° comma, cioè a quella che l'Autorità definisce come concessione di servizio pubblico (o fredda), in cui la Pubblica amministrazione compensa l'operatore economico con un prezzo al fine di mantenere le tariffe al di sotto di un certo livello o garantire lo standard qualitativo del servizio politicamente desiderato.
Dunque, secondo l'analisi dell'Autorità di Vigilanza, la concessione di servizio pubblico si connota peculiarmente per la presenza di un prezzo, che viene corrisposto dall'ente pubblico in favore del privato. Ciò, in conseguenza di ragioni politico-amministrative: qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell'ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare (art. 30, comma 2°).
Orbene, non può sfuggire, anche in base ad un'analisi non particolarmente approfondita, che l'illuminazione votiva non contempla mai e poi mai la corresponsione dell'illustrato prezzo dall'ente pubblico in favore dell'operatore privato vincitore della gara. Anzi, come dimostrato dalla concreta vicenda esaminata dal Consiglio di Stato, avviene precisamente il contrario: è l'operatore privato, che conferisce alla Pubblica amministrazione un canone!
Ciò dovrebbe dimostrare, ancora una volta, che l'attività di illuminazione votiva non può essere inquadrata nell'alveo dei servizi pubblici locali, indipendentemente dalla rilevanza economica dell'attività medesima. L'attività di illuminazione votiva non manifesta, per le ragioni sin qui dette, alcuna contiguità con i servizi pubblici locali, ma, come correttamente rilevato dall'Autorità di Vigilanza (parere n. 21097/08/UAG del 15.04.2008), oscilla fra la concessione di servizi e la concessione di lavori pubblici (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenta oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica.
E’ del tutto pacifico in giurisprudenza che l'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenti oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un'attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore (Cons. Stato, sez. V, 11/08/2010, n. 5620; sez. V, 05/12/2008, n. 6049).
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Ai sensi dell'art. 30 del codice dei contratti pubblici, la disciplina sull'anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi in quanto le disposizioni in esso contenute non si applicano alle concessioni di servizi, salvo quelle della Parte IV (sul contenzioso) e l'art. 143, co. 7, (durata della concessione superiore a trenta anni) in quanto compatibile (TAR Umbria Perugia, sez. I, 21/01/2010, n. 26).
Per quanto attiene agli appalti di servizi, la giurisprudenza afferma che l'applicazione di norme, non direttamente richiamate dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell'anomalia dell'offerta, gli art. 86-88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione (TAR Sicilia Palermo, sez. III, 11/01/2010, n. 232)
Nel bando di gara riportato negli atti del primo grado non è prevista alcuna verifica di anomalia: il Comune pertanto non aveva alcun obbligo di procedervi nonostante il superamento da parte dell’offerta dell’aggiudicataria della soglia dell’anomalia, fissato dall’art. 86, co. 2, D.Lgs. n. 163/2006 nei quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.
E ciò tanto più se si considera che, come esattamente rilevato dal TAR, nella lex specialis la stazione appaltante aveva già ex ante delimitato l’ambito delle offerte in aumento accettabili (sino al 45%).
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La nomina della commissione giudicatrice dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte, è posta a presidio dell’imparzialità della procedura di gara, onde evitare possibili collusioni tra commissari e concorrenti ed è espressione dei più generali principi di imparzialità e di trasparenza, ritenuto applicabile anche in materia di affidamento delle concessioni (TAR Molise Campobasso, sez. I, 23/09/2009, n. 651).
In considerazione del suo carattere, il Collegio ritiene che siffatta violazione possa costituire vizio dell'intera procedura di gara solo se la nomina anteriore alla scadenza del termine di presentazione delle offerte sia in concreto suscettibile di incidere sulla indipendenza dei commissari e sugli elementi discrezionali delle loro valutazioni
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1784 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla natura di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica del servizio di illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali e sull'inapplicabilità della disciplina sull'anomalia dell'offerta alle concessioni.
L'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenta oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un'attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore.
Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006, la disciplina sull'anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi in quanto le disposizioni in esso contenute non si applicano alle concessioni di servizi, salvo quelle della parte IV e l'art. 143, c,. 7 in quanto compatibile.
Per quanto attiene agli appalti di servizi, la giurisprudenza afferma che l'applicazione di norme, non direttamente richiamate dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell'anomalia dell'offerta, gli art. 86-88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione.
Nel caso di specie, nel bando di gara non è prevista alcuna verifica di anomalia: il Comune pertanto non aveva alcun obbligo di procedervi nonostante il superamento da parte dell'offerta dell'aggiudicataria della soglia dell'anomalia, fissato dall'art. 86, co. 2, D.Lgs. n. 163/2006, nei quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1784 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un concorrente che abbia fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento al fine di attestare il possesso dell'attestazione SOA richiesta dal disciplinare e dal bando.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara d'appalto adottato nei confronti di un concorrente che essendo privo dell'attestazione SOA richiesta dal disciplinare e dal bando sia ricorso all'istituto dell'avvalimento, ai sensi dell'art. 49, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che ammette espressamente la possibilità di avvalersi, nelle pubbliche gare, dell'attestazione SOA di altro soggetto.
Tale possibilità non è subordinata alla condizione che il concorrente che utilizzi l'avvalimento sia comunque in possesso di una attestazione SOA per la categoria richiesta, ancorché di classifica insufficiente; il dato testuale non legittima, infatti, un'interpretazione restrittiva della norma e, d'altra parte, la soppressione del c. 7 del citato art. 49, che consentiva di limitare l'avvalimento all'integrazione di requisiti parzialmente posseduti dall'impresa avvalente, è decisiva per riconoscere che un limite di tal genere, anche per quanto riguarda il ricorso all'avvalimento di altrui attestazioni SOA, non è compatibile con il quadro normativo comunitario in cui l'istituto trova origine (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 490 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIÈ del giudice ordinario la competenza sul risarcimento danni per la lesione dell'affidamento ingenerato da un provvedimento, apparentemente legittimo, di aggiudicazione di una gara per l'affidamento di un pubblico servizio.
La controversia in merito alla domanda autonoma di risarcimento danni avanzata da colui che, avendo conseguito l'aggiudicazione in una gara per l'affidamento di un pubblico servizio, in seguito annullata dal Tar perché illegittima su ricorso di un altro concorrente, deduca la lesione dell'affidamento originato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 23.03.2011 n. 6596).

APPALTI: Esclusione per non aver sottoscritto il capitolato in ogni pagina - Illegittimità.
È illegittima l’esclusione del concorrente che non ha presentato copia del capitolato siglato e sottoscritto in ogni pagina, come richiesto della lettera d’invito, pur avendo la stessa società prodotto in gara la dichiarazione di accettazione, senza condizione e riserva alcuna, di tutte le norme contenute nel bando, nel disciplinare e nel capitolato speciale d’appalto.
La clausola del disciplinare che impone la presentazione del capitolato sottoscritto, infatti, costituisce «un’inutile duplicazione e, quindi, un aggravio ingiustificato del procedimento», in quanto le esigenze sottese alla (omessa) sottoscrizione «pagina per pagina» del capitolato speciale d’appalto, sono comunque soddisfatte dalla specifica dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del Dpr 445/2000- di presa visione e accettazione integrale e incondizionata di tutte le disposizioni contenute negli atti di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.03.2011 n. 461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima l'esclusione di una società da una gara per non aver sottoscritto il capitolato in ogni pagina, in quanto le esigenze sottese alla omessa sottoscrizione sono soddisfatte dalla dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del DPR 445/2000.
E' illegittima l'esclusione di una società da una gara, a causa della mancata presentazione di copia del capitolato siglato e sottoscritto in ogni pagina, come richiesto della lettera d'invito, pur avendo la stessa società prodotto in gara la dichiarazione di accettazione, senza condizione e riserva alcuna, di tutte le norme contenute nel bando, nel disciplinare e nel capitolato speciale d'appalto. La clausola del disciplinare che impone la presentazione del capitolato sottoscritto, infatti, costituisce "un'inutile duplicazione e, quindi, un aggravio ingiustificato del procedimento", in quanto le esigenze sottese alla (omessa) sottoscrizione "pagina per pagina" del capitolato speciale d'appalto, sono comunque soddisfatte dalla specifica dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del DPR 445/2000- di presa visione e accettazione integrale e incondizionata di tutte le disposizioni contenute negli atti di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.03.2011 n. 461 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla funzione garantistica della cauzione provvisoria in materia di gare d'appalto.
Per pacifica giurisprudenza, la cauzione provvisoria svolge una duplice funzione di garanzia per l'amministrazione appaltante, a tutela della serietà e correttezza del procedimento di gara, sia per il caso in cui l'affidatario non si presti a stipulare il relativo contratto, sia per la veridicità delle dichiarazioni fornite dai concorrenti in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria prescritti dal bando, così da garantire l'affidabilità dell'offerta e rappresentare una liquidazione anticipata dei danni derivanti all'amministrazione dall'inadempimento di tale obbligo di serietà da parte dell'impresa, con la conseguente automatica escussione della cauzione in caso di inadempimento del partecipante (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.03.2011 n. 1589 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Va rinnovata la gara nel caso in cui venga rinvenuto dopo l'aggiudicazione definitiva -tra i plichi di partecipazione ad altra gara- un plico di partecipazione alla gara in questione.
Le clausole contenenti comminatorie di esclusione (quali quelle connesse all’apertura dei plichi e alla disintegrità della documentazione), devono essere applicate non già meccanicisticamente, ma secondo il principio di ragionevolezza, tenendo conto per quanto possibile della peculiarità anche fattuale del caso concreto.
Tali clausole devono essere valutate infatti alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare per cui, ove non sia ravvisabile e provata la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, deve essere accordata preferenza al favor partecipationis (cfr. in tale senso Cons. Stato, V, 21.12.2010 n. 9320), con conseguente attenuazione del rilievo delle prescrizioni formali della procedura concorsuale  (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La valutazione del requisito in ordine all’esclusione del concorrente.
La stazione appaltante ha la facoltà di escludere un concorrente da una gara qualora quest'ultimo non possieda il requisito di moralità professionale, come recita l'art. 38, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 163/2006.
La sentenza 21.03.2011 n. 458 del TAR Veneto, Sez. I,  ritiene illegittima l'esclusione quando la stazione appaltante ometta le motivazioni per la quale la condanna penale faccia decadere il requisito di moralità professionale.
Riportare il tipo di condanna non è sufficiente ad escludere un concorrente da una gara se non rientra tra i reati considerati incidenti sulla moralità professionale (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti e moralità professionale: esclusione sì, ma con motivazione.
E' illegittima l’esclusione automatica di una ditta da una gara di appalto che sia motivata con riferimento al difetto del requisito della moralità professionale, ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), per l’esistenza, a carico dell’amministratore di un decreto penale di condanna per falso ideologico, nel caso in cui la stazione appaltante abbia omesso di esplicitare il motivo per il quale il precedente penale rivesta i caratteri di gravità ed effettiva incidenza sulla moralità professionale.

Ai sensi dell'art. 38, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale.
E' comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18.
L'amministrazione non può escludere la ditta solo attraverso la menzione del suddetto tipo di condanna subita dall'interessato, se questa non rientra tra i reati automaticamente qualificati come incidenti sulla moralità professionale.
Nella fattispecie l'imputato era stato condannato, con decreto penale del 2006, per falso ideologico, avendo attestato, in una gara, l'insussistenza di cause di esclusione, mentre era stato omesso un versamento INPS, ritenuto effettuato (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 458 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara - Requisiti soggettivi della cedente - Art. 51 codice appalti - Dichiarazione - Obbligo - Esclusione - Fondamento.
Manca nel Codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici in quanto l’art. 51 del Codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo di azienda successiva alla aggiudicazione della gara; ne discende che in assenza di tale norma e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì invece una successione nelle posizioni attive e passive relative all’azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente. (Consiglio di Stato, Sez. V, 21.05.2010 n. 3213).
Clausole di esclusione - Estensione analogica - Divieto.
Essendo le clausole di esclusione di stretta interpretazione, resta conseguentemente preclusa ogni forma di estensione analogica diretta a evidenziare significati impliciti che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, il principio della par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione (cfr. Cons. St., V sez., 15.11.2010 n. 8044).
Riforma del diritto societario - Fusione per incorporazione - Art. 2505-bis c.c. - Estinzione della società incorporata - Esclusione.
A seguito della riforma del diritto societario (DLgs 17.01.2003 n. 6), la fusione per incorporazione, ai sensi del nuovo art. 2505-bis c.c., non comporta l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo- modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo (confronta Cassazione SS.UU. 08.02.2006 n. 2637; Cass. Civ. III, 28.02.2007 n. 4661; I, 19.10.2006 n. 22489) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 456 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIL'ordine pubblico fissa i confini dei subappalti. Le norme interpretate in funzione anti-criminalità.
Le stazioni appaltanti pubbliche sono tenute a verificare caratteristiche e sviluppi dei contratti di subappalto nell'ambito degli appalti da esse affidati a operatori economici.
La configurazione del subappalto è stabilita dall'articolo 118, comma 11, del codice dei contratti pubblici (DLgs. 163/2006), con riferimento a qualsiasi contratto avente a oggetto attività che richiedono l'impiego di mano d'opera, se singolarmente di importo superiore al 2% dell'importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100mila euro, e se l'incidenza del costo della manodopera e del personale supera il 560 dell'importo del contratto da affidare ... (articolo Il Sole 24 Ore del 21.03.2011 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Comune di Arcinazzo Romano - Parere in merito alla procedura da seguire per la realizzazione di un'opera pubblica ai sensi dell'art. 19 del D.P.R. n. 327/2001 (Regione Lazio, parere 21.03.2011 n. 121088 di prot.).

APPALTI: Sulla quantificazione del risarcimento del danno da perdita di chance e sulla natura del danno curriculare.
1. Dall'importo dovuto a titolo risarcitorio deve essere detratto quanto percepito dall'impresa grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.
La prova dell'assenza dell'aliunde perceptum grava , tuttavia, sull'impresa in considerazione del fatto che, secondo l'id quod plerumque accidit, l'imprenditore -in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili- normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili.
In assenza di prova contraria rispetto alla presunzione di aliunde perceptum, la somma riconosciuta a titolo di lucro cessante, deve essere ridotta (nella specie il Consiglio di Stato ha ritenuto di liquidare il danno nella misura del 6% comprensivo anche del danno curriculare).
2. In ordine alla risarcibilità delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, la VI sezione aderisce alla tesi maggioritaria in forza della quale i costi sostenuti per la partecipazione alla gara non sono risarcibili in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche solo la perdita della chance di aggiudicarselo).
Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l'impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente.
3. Il danno c.d. curriculare, costituente una specificazione del danno per perdita di chance, si correla necessariamente alla qualità di impresa operante nel settore degli appalti pubblici.
Alla mancata esecuzione di un'opera pubblica illegittimamente appaltata si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti all'immagine della società, al suo radicamento nel mercato, all'ampliamento della qualità industriale o commerciale dell'azienda, al suo avviamento, per non dire, poi, della lesione al più generale interesse pubblico al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell'indebito potenziamento di imprese concorrenti che operino sul medesimo target di mercato, in modo illegittimo dichiarate aggiudicatarie della gara.
In linea di massima, deve pertanto ammettersi che l'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.03.2011 n. 1681 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla decorrenza del termine per impugnare l'aggiudicazione definitiva.
L'affidamento dei servizi socio-assistenziali sfugge al'applicabilità delle norme del codice non espressamente richiamate dall'articolo 20.
Ne deriva che la pubblicazione della delibera di aggiudicazione definitiva all’albo pretorio del Comune, per 15 giorni consecutivi determina la conoscenza legale del provvedimento ed implica, conseguentemente, la decorrenza del temine di impugnazione (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 18.03.2011 n. 509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La dichiarazione prevista dall'articolo 38 m-ter) non va riferita all'impresa ma all'imprenditore. Nessun limite temporale al potere della Stazione appaltante di annullare l'ammissione in gara.
1. Decorrenza dei termini per impugnare l'esito della gara.
2. Limiti agli effetti paralizzanti del ricorso incidentale.
3. La dichiarazione di cui all'articolo 38, comma 1, m-ter) del codice dei contratti .
4. Annullamento in autotutela dell'ammissione alla gara e limiti temporali.

1. L'impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria è una mera facoltà.
Il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare i risultati della gara inizia a decorrere dalla comunicazione dell'aggiudicazione definitiva, ex art. 79 del D.lgs. 163 del 2006, così come richiamato dall’art. 120, comma 5, del c.p.a., e, comunque, dalla conoscenza personale dell’atto.
2. Vertendo in ipotesi in cui i soggetti ammessi alla gara sono soltanto due - la ricorrente e la contro interessata, l’eventuale accoglimento del ricorso incidentale non è idoneo a paralizzare l’interesse della ricorrente principale mantenendo essa , comunque, l’interesse strumentale all’eventuale riedizione della gara
3. La dichiarazione prevista dall’art. 38, comma 1, lett. m-ter, del codice dei contratti pubblici, deve essere resa dal legale rappresentante riguardo a se stesso; ove resa invece “nei confronti dell’impresa” determina l’esclusione dalla gara.
4. Ai sensi dell’articolo 71 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445 -il cui comma 1, recita”: “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47”- la Stazione appaltante può disporre l’annullamento in autotutela del provvedimento di ammissione alla gara anche oltre il limite temporale di dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara previsto dall’articolo 48, comma 2, del d.lgs. 163/2006 (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 18.03.2011 n. 504 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' legittimo il bando di gara che imponga alle imprese di dichiarare "indicandole specificamente" l'insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38.
Ove il bando richieda l’indicazione specifica (dell’insussistenza) delle cause di esclusione si deve ritenere che intenda sottolineare, con tale specificazione, la rilevanza della dichiarazione inerente alle singole cause e sollecitare, dunque, l’attenzione del concorrente sulla responsabilità che si assume con ciascuna di esse.
Qualora peraltro –al di là di una espressa previsione del bando- l’impresa concorrente alla gara abbia scelto, pur in presenza di un generico dichiarato rinvio alle singole specifiche previsioni di cui al citato art. 38, di dichiarare in aggiunta, espressamente -e per esteso- l’assenza di cause di esclusione soltanto per alcune delle ipotesi normativamente previste, la circostanza che per le altre abbia serbato il silenzio, non può che far ritenere che per queste ultime essa abbia inteso omettere la prescritta dichiarazione, con le connesse conseguenze che danno luogo alla esclusione ex lege dalla gara (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 18.03.2011 n. 495 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILe valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun "filtro" omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali.
In tema di appalti pubblici, anche a seguito dell'accertata mancanza dei requisiti di ordine generale -contemplati dall'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006- deve essere effettuata la segnalazione all'Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici, al fine della conseguente annotazione nel casellario informatico.

Quanto alla mancata dichiarazione della condanna subita da uno dei componenti il costituendo RTI, va richiamato il recente orientamento del Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 782/2011), secondo il quale “le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun "filtro" omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali" (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n. 740).
Tale conclusione risulta avallata, nel caso di specie, dal fatto che il bando stesso (così come il modulo predisposto dalla stazione appaltante) richiedeva l’indicazione dell’esistenza di condanne penali, senza limitare la dichiarazione a quelle considerate gravi.
Sebbene l’utilizzo del modulo predisposto dall’amministrazione non fosse obbligatorio, in quanto la dichiarazione doveva essere resa in conformità a quanto in esso indicato, ciò non esonerava i concorrenti dall’effettuare comunque una dichiarazione di contenuto conforme allo stesso, assumendosi tutte le responsabilità in ordine alla veridicità delle affermazioni in essa contenute.
Inoltre, attese le argomentazioni difensive di parte ricorrente che mettono in risalto la circostanza dell’intervenuta dichiarazione di estinzione del reato ascritto ad una componente del RTI, per effetto della sentenza emessa dal giudice penale prima del provvedimento di esclusione, il Collegio non ritiene che detta circostanza possa assumere rilevanza nel caso di specie, in quanto persiste la ratio dell’esclusione ossia l’esistenza di una dichiarazione non veritiera al momento della presentazione della domanda, non rilevando i fatti sopravvenuti, essendo condizionante il fatto in sé dell’omissione.
Né rileva l'ignoranza o la buona fede del soggetto tenuto alla dichiarazione, il quale deve assumersi la responsabilità di quanto dichiarato.
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Quanto, poi, alla seconda causa di esclusione, risulta oggettiva la non veridicità delle dichiarazioni rese dai singoli partecipanti al RTI, i quali dovevano essere ben consapevoli delle dichiarazioni rese proprio attraverso l’utilizzo del modulo predisposto dall’amministrazione e che, quindi, se le dichiarazioni rese risultavano riferite al raggruppamento nel complesso non potevano essere rese in qualità di singoli componenti dello stesso (come peraltro, più attentamente, hanno precisato altri concorrenti);
Pertanto, confermata la legittimità dell’esclusione con riguardo ai due i profili contestati, entrambe le segnalazioni risultano corrette e doverose, in quanto, come già osservato a tale riguardo (cfr. TAR Veneto, I, n. 1554/2010 e 4681/2010), in tema di appalti pubblici, anche a seguito dell'accertata mancanza dei requisiti di ordine generale -contemplati dall'art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006- deve essere effettuata la segnalazione all'Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici, al fine della conseguente annotazione nel casellario informatico.
Invero, sebbene l'art. 48, d.lgs. n. 163 del 2006, che prevede la sanzione dell'escussione della cauzione provvisoria e della segnalazione all'Autorità di Vigilanza come conseguenza dell'esclusione dalla gara, si riferisca testualmente alla mancanza dei soli requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico–organizzativa, tuttavia, tale norma deve essere letta in combinato disposto con l'art. 38 dello stesso d.lgs., il quale prevede l'esclusione dalle gare per tutti i soggetti privi dei requisiti di ordine generale e conseguentemente si deve ritenere immanente nell'ordinamento un obbligo generalizzato di segnalare all'Autorità sui contratti tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara, ivi comprese quelle relative ai requisiti di carattere generale
Quindi, non può sostenersi che l'art. 38 cit. non contemplerebbe, quale sanzione per le dichiarazioni smentite in sede di controllo, la segnalazione all'Autorità di vigilanza, ma la sola esclusione dall'appalto (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 18.03.2011 n. 455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Valida la polizza fideiussoria non firmata per quietanza, se riporta l'indicazione del codice di autorizzazione al rilascio della polizza prepagata.
La polizza fideiussoria prodotta in sede di gara che non riporta la tradizionale attestazione di pagamento effettuata dall’agente che materialmente consegna la polizza ma la più moderna indicazione del codice di autorizzazione al rilascio della polizza prepagata risulta quietanzata mediante un sistema informatico di attribuzione del codice a barre che attesta l’avvenuto pagamento del premio e la conseguente attivazione della copertura assicurativa, con correlativa soddisfazione dell’interesse e pubblico in merito alla certezza dell’operatività della garanzia (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1637 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La commissione non può avvalersi di un consulente esterno che ha svolto la propria attività nella fase di predisposizione degli atti di gara.
Le regole poste dalla legge (art. 84 del codice dei contratti pubblici) in ordine ai criteri di scelta dei componenti della commissione ed alla composizione complessiva dell’organo collegiale, laddove impongono il ricorso a professionalità tecnicamente attrezzate, sarebbero con evidenza eluse se si consentisse l’attribuzione ad un soggetto esterno di compiti decisionali determinanti in sede di valutazione delle offerte tecniche, tali da esautorare la Commissione nell’espletamento di un compito di sua pertinenza (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'annullamento d'ufficio di una gara d'appalto, per violazione dell'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, in ordine ai criteri di scelta dei componenti la commissione di gara.
E' legittimo l'atto di annullamento in autotutela di una procedura d'appalto, motivato in ragione della presenza, in seno alla commissione giudicatrice, di un componente che abbia prestato la propria attività tanto nella fase di predisposizione degli atti di gara, quanto in quella successiva, in veste di "consulente esterno", costituendo ciò violazione dell'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, in quanto l'operato del commissario predetto, nel caso di specie, non si è limitato fornire un occasionale supporto tecnico ab externo, bensì ha contribuito pienamente alla formazione del processo decisionale ed alla conseguente assunzione delle determinazioni spettanti all'organo collegiale.
Peraltro, le regole dettate dall' art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, in ordine ai criteri di scelta dei componenti la commissione, laddove impongono il ricorso a professionalità tecnicamente attrezzate, sarebbero eluse se si consentisse l'attribuzione, ad un soggetto esterno, di compiti decisionali determinanti in sede di valutazione delle offerte tecniche, tali da esautorare la Commissione nell'espletamento di un compito di sua pertinenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1628 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIGara nulla se nella commissione c'è chi ha scritto il bando. Consiglio di Stato: il conflitto di interessi annulla l'appalto.
Mal aveva scritto gli atti della gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas, aveva preparato la perizia tecnica per la valorizzazione degli impianti e il rimborso al gestore uscente, e poi era entrato come membro della commissione che avrebbe dovuto individuare il nuovo affidatario. Troppe giacchette sulle spalle dello stesso soggetto, però, invalidano la gara, e impongono anche il risarcimento del danno all'impresa che ha partecipato alla gara invalidata.
A stoppare il «conflitto di interessi» nella gara d'appalto messa in piedi da un comune veneto è il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 16.03.2011 n. 1628.
Al di là della vicenda specifica, che ha visto la stessa persona ricoprire una pluralità di ruoli prima e durante la procedura concorsuale, il principio fissato dal Consiglio di stato è chiaro: chi ha partecipato alla fase preparatoria della gara non può poi far parte della commissione giudicatrice.
A salvare la procedura non è stato sufficiente nemmeno il fatto che l'ingegnere al centro della vicenda fosse stato indicato come consulente, ricoprendo quindi un ruolo formalmente esterno nell'ambito della commissione.
«Il dato sostanziale» che conferma la sua partecipazione piena alle valutazioni, spiegano i giudici d'appello, prevale sulla «veste formale», anche perché l'ingegnere aveva avuto «compiti decisionali determinanti nella valutazione delle offerte tecniche»; compiti, questi ultimi, che non possono essere attribuiti a un «esterno» alla commissione, per non eludere le regole (articolo 84 del codice degli appalti) che impongono il ricorso a «professionalità tecnicamente attrezzate» all'interno dell'organo collegiale.
La violazione delle regole da parte del comune non comporta solo la cancellazione della gara, ma impone anche il risarcimento del danno all'impresa che ha fatto ricorso. I giudici hanno infatti riconosciuto il «danno emergente», alimentato dalle spese sostenute per partecipare a un appalto «destinato a non trovare definizione» proprio per la sua illegittimità.
Al danno emergente, arricchito dagli interessi legali, non si aggiunge però il «lucro cessante», ipotizzabile per il fatto che l'impegno nella gara incriminata abbia fatto perdere all'impresa altre occasioni di business; per individuare questo secondo tipo di danno, infatti, i giudici non hanno trovato «idonei elementi di prova» (articolo Il Sole 24 Ore del 23.03.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Responsabilità precontrattuale della p.a. nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione.
La responsabilità precontrattuale è configurabile tra l’altro nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura (CS., V, 07.09.2009, n. 5245; cfr anche CS.VI, 16.01.2006, n. 86) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla natura globale e sintetica del giudizio di verifica di congruità delle offerte.
Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta in una gara pubblica ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme.
Il giudizio medesimo costituisce espressione di un potere tecnico discrezionale dell'amministrazione, di per sé insindacabile, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate sull'insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
Pertanto i singoli elementi di cui l'offerta si compone non possono essere presi in considerazione separatamente ma debbono essere valutati per la loro incidenza sull'offerta complessiva (ex multis, V, 20.05.2008, n. 2348) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1618 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' sufficiente la prova che la documentazione sia stata esposta al rischio di manomissioni per ritenere invalida la procedura di gara.
Le misure di cautela relative alla conservazione dei plichi sono volte a salvaguardare la possibilità, e non l'effettività, della manomissione.
Pertanto è sufficiente che vi sia la prova in atti che la documentazione di gara sia rimasta esposta al rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, non potendosi porre a carico dell'interessato l'onere di provare che vi sia stato in concreto l'evento che le misure cautelari intendono prevenire (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il fatturato richiesto dal bando può essere raggiunto dal Consorzio anche con attività di società del Consorzio stesso che avevano operato con affitto di azienda, anche se l'affitto è terminato.
In ordine alla questione che il fatturato del Consorzio sarebbe stato raggiunto con l’apporto di attività conseguita da società cooperative del Consorzio che avevano operato con affitto di azienda, non è rilevante che, successivamente, l’affitto sia venuto meno, in quanto ciò che rileva, per individuare la massa dell’attività svolta, è solo il fatto che una certa attività sia stata effettivamente esercitata, e di ciò non si può dubitare, anche se, in un secondo momento, l’affitto è terminato (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.03.2011 n. 1615 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La lex specialis non può prescrivere adempimenti superflui e formalistici ai fini della partecipazione alle gara.
E' illegittima la prescrizione della lex specialis, la quale, all’interno della busta “C”, prevedeva l’inserimento dell’offerta del canone in apposita busta chiusa e sigillata, in modo da separarlo dalla relazione economica giustificativa, pure da inserire nel plico “C”, e la conseguente illegittimità dell’esclusione di un'impresa per la mancata osservanza di tale prescrizione, in quanto la gravata prescrizione non era sorretta da alcuna ratio giustificativa di tutela della trasparenza e imparzialità delle valutazioni della commissione di gara e/o della par condicio dei concorrenti, risolvendosi per contro in un inutile, sovrabbondante e superfluo orpello formalistico, lesivo dei principi di semplificazione e di mancato aggravio procedimentale, la cui violazione giammai era idonea a determinare l’esclusione di una concorrente dalla gara (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2011 n. 1588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara per l'affidamento del servizio di rifiuti urbani, per avere riportato il legale rappresentante della stessa, una condanna per traffico illecito di rifiuti.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI, per il fatto che il legale rappresentante della capogruppo fosse stato condannato (con sentenza ex art. 444 del cpp) per traffico illecito di rifiuti, in quanto il reato ascritto presenta le caratteristiche proprie sia della gravità e sia della rilevanza in ordine allo specifico appalto per il quale l'impresa medesima ha partecipato (lavori e messa in sicurezza di una discarica), rilevando, nella specie, il fatto che il soggetto, in un modo o nell'altro, ha commesso un reato specifico, che riguarda proprio l'attività che si chiede di porre in essere, per cui l'amministrazione non può che prendere atto della intervenuta condanna, per un fatto, specificamente valutato, che concerne proprio il traffico illecito di rifiuti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2011 n. 1586 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: CONSIP: è intrinseca l'economicità dei beni e servizi offerti.
E’ intrinseca la economicità dei beni e servizi offerti dal sistema CONSIP, poiché si perviene a risparmi sia diretti, ottenibili in virtù del miglio prezzo offerto dalla convenzione quale risultato di una gara comunitaria ad evidenza pubblica, sia indiretti, consistenti nella riduzione dei costi per il potenziale contenzioso e nella riduzione dei tempi di avvio, espletamento e perfezionamento delle procedure di acquisto dei beni e dei servizi (in termini TAR Campania, sent. n. 22688 del 04/11/2010).
Alla luce di tali principi non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di valutare l’offerta della ditta ricorrente, dopo avere operato la scelta di aderire alla convenzione, poiché la valutazione della convenienza non si parametra esclusivamente in relazione al prezzo, ma anche in relazione agli altri elementi costituenti “risparmi indiretti” cui sopra si è fatto cenno, oltre che al parametro prezzo-qualità del servizio posto a fondamento della convenzione (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.03.2011 n. 650 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cottimo fiduciario: la stazione appaltante non è obbligata a chiedere chiarimenti in ordine al prezzo dell'offerta.
Il cottimo fiduciario è una procedura negoziata che, ancorché procedimentalizzata, non esige l’osservanza di tutte le regole dell’evidenza pubblica comunitaria (TAR Toscana, Firenze, sez. I sent. n. 3988 del 22/12/2009).
Ciò non esclude che la stazione appaltante, pur non essendone obbligata, possa richiedere chiarimenti in ordine al prezzo dell’offerta, ai sensi dell’art. 83, comma 3, d.L.vo n. 163/2006 (TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. n. 1903 del 19/11/2010), facendo poi uso di ampli poteri discrezionali nel valutare i forniti chiarimenti, censurabili solo sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà.
Nel cottimo fiduciario è esclusa la nomina di commissari, la direzione della gara rientrando nei compiti del RUP (TAR Toscana, Firenze, sez. I, sent. n. 3988 del 22/12/2009) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.03.2011 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Gara per l'affidamento di servizi d igiene ambientale: va indicato il nominativo del responsabile tecnico.
E' legittima l'esclusione dalla gara pubblica, indetta per l'affidamento dei servizi di igiene ambientale, dell'impresa che nella sua domanda non abbia indicato il nominativo del proprio responsabile tecnico, né reso le prescritte dichiarazioni, trattandosi di figura che per le imprese che effettuano la gestione dei rifiuti è espressamente prevista dal d.m. 28.04.1998, il cui artt. 10, comma 4, ne impone la nomina, che deve ricadere su soggetti aventi i prescritti requisiti di qualificazione professione, di ordine speciale, e di ordine generale; in sostanza, il responsabile tecnico è elemento indispensabile per la qualificazione dell'impresa, deputato allo svolgimento dei compiti tecnico-organizzativi relativi anche all'esecuzione del servizio commesso da parte dell'impresa, di cui assume quindi, per stessa definizione, la responsabilità sotto tali aspetti (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.03.2011 n. 646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E di natura tecnico-discrezionale l'apprezzamento svolto in sede di verifica dell'anomalia.
L'apprezzamento svolto in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta è di natura tecnico-discrezionale, sindacabile per manifesta illogicità, errore di fatto, insufficiente motivazione (TAR Liguria Genova, sez. II, 03.02.2010, n. 233) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 15.03.2011 n. 645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' legittima la presenza nella commissione di gara per l'affidamento del servizio globale di pulizia, manutenzione e presidio delle aree a verde pubblico e degli arenili, di un dipendente della società in house del Comune.
Il rapporto di completa subordinazione gerarchica e la dipendenza anche strutturale della società in house rispetto al comune di appartenenza fa sì che dipendenti della società possano essere preposti ad uffici dell'amministrazione o comunque chiamati a svolgere (nella prospettiva della delegazione interorganica) funzioni riconducibili direttamente all'ambito delle competenze del Comune, così da operare come funzionari del comune pur non essendo qualificabili come dipendenti comunali e nei limiti delle funzioni delegate.
Ne consegue che, l'art. 84, c. 8, del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui prescrive che i componenti delle commissioni aggiudicatrici debbano essere scelti fra funzionari della stazione appaltante non possa essere interpretato, restrittivamente, come riferito esclusivamente a dipendenti di ruolo dell'amministrazione comunale, quanto, estensivamente, come riferito a tutti i soggetti che -siano essi dipendenti non di ruolo o a contratto ovvero, per esempio, dipendenti di società in house- siano parte integrante dell'organizzazione complessa dell'amministrazione comunale e preposti allo svolgimento di un ufficio.
In detta prospettiva lo svolgimento dei compiti di componente di commissioni aggiudicatrici finisce con l'inerire all'ufficio e compete ai dipendenti della società in house nella stessa maniera in cui compete ai dipendenti di ruolo ( non dovendo quindi dare luogo a compensi a favore degli uni e non degli altri) (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 2241 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIGare, commissioni senza paletti. Il comune può nominare dipendenti di una società in house. Il Tar Lazio equipara il lavoratore a un funzionario in virtù del rapporto di subordinazione.
Un comune pub legittimamente nominare come componente di una commissione di gara di appalto un dipendente di una società in house; il soggetto nominato commissario, ma appartenente alla società in house, è equiparabile ad un funzionario comunale in virtù del rapporto di subordinazione gerarchica che intercorre fra il comune e la società.

E' quanto afferma la sentenza 14.03.2011 n. 2241 emessa dal TAR Lazio-Roma, Sez. II, in merito alla legittimità di una nomina a membro di una commissione giudicatrice di un appalto pubblico di un soggetto dipendente della società Zetema Progetto Cultura srl, effettuata dal comune di Roma.
In sostanza si sosteneva, nel ricorso presentato per l'annullamento del provvedimento di nomina, che si trattava di soggetto esterno alla organizzazione della staziono appaltante, che avrebbe dovuto essere selezionato nei modi e secondo i criteri previsti dal comma 8 dell'articolo 84 del Codice dei contratti pubblici (scegliendo quindi da un elenco di professionisti candidati fornito dal corrispondente ordine professionale).
Nello specifico si trattava di un soggetto dipendente della società Zetema spa, società in house del comune di Roma per lo svolgimento dei compiti di gestione dei musei e delle attività culturali e di spettacolo e di promozione turistica, che era distaccato presso un dipartimento del comune.
I giudici hanno affrontato la questione chiarendo innanzitutto la portata dell'articolo 84, comma 8 del Codice che «non può essere ... (articolo ItaliaOggi del 25.03.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - SICUREZZA LAVORO: Sicurezza e Codice dei Contratti Pubblici. Pubblicati gli atti del convegno organizzato da Regione Toscana e ARPAT.
Il 20 e 21.01.2011 si è tenuto a Firenze un seminario su “La Sicurezza e il nuovo Regolamento del Codice dei Contratti Pubblici”, organizzato da ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) e Regione Toscana.
Gli interventi sono stati i seguenti:
- Verifica dei requisiti Tecnico Professionali e Redazione del DUVRI;
- Compiti e responsabilità del datore di lavoro, del dirigente e del preposto nei lavori e nella esecuzione di servizi e forniture;
- Il nuovo Regolamento del Codice dei Contratti Pubblici: aspetti connessi alla sicurezza;
- Regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici;
- Il Prezzario dei Lavori pubblici della Regione Toscana;
- I controlli delle Direzioni Provinciali del Lavoro Esperienze, problemi, possibili soluzioni;
- Controlli e vigilanza dei PISLL sui cantieri e sui luoghi di esecuzione di forniture e servizi.
In questo numero di Biblus-net pubblichiamo le prime due relazioni, rimandando a successive news l’analisi delle altre. ... (link a www.acca.it).

APPALTI: Esclusione dalla gara di una ditta per difetto del requisito della capacità economica e finanziaria.
Nel caso in cui il disciplinare di gara imponga, a pena di esclusione, la dimostrazione del possesso del requisito della capacità economica e finanziaria mediante almeno due dichiarazioni di istituti di credito attestanti, espressamente, la disponibilità di mezzi finanziari adeguati per l’assunzione dello specifico servizio oggetto della procedura di evidenza pubblica, è legittima l’esclusione dalla gara di una ditta che abbia presentato due referenze bancarie attestanti esclusivamente e genericamente la complessiva affidabilità della ditta stessa sotto il profilo finanziario; in tal caso, infatti, le referenze presentate dal concorrente escluso devono ritenersi del tutto generiche e non corrispondenti a quanto richiesto a pena di esclusione dal disciplinare di gara e, in quanto tali, inidonee a dimostrare l’effettivo possesso dei requisiti di carattere economico-finanziario richiesti dalla P.A. per la corretta gestione del servizio da appaltare (1).
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(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna che nella specie non era applicabile l’art. 46 del D.lgs. n. 163/2006 e quindi la possibilità per la concorrente di integrare le dichiarazioni presentate benché carenti nei contenuti, atteso che, proprio alla luce delle previsioni del disciplinare, detta facoltà non era esercitabile da parte dell’Amministrazione, in quanto era stata prevista espressamente quale causa di esclusione dalla gara l’ipotesi in cui le dichiarazioni rese dagli istituti bancari o intermediari autorizzati non avessero attestato specificatamente quanto richiesto.
Un diverso comportamento, volto a consentire l’integrazione di una dichiarazione resa in termini difformi da quanto richiesto dalla lex specialis, con espressa previsione della sanzione dell’esclusione, si sarebbe rivelato in palese violazione del bando di gara e della par condicio fra i concorrenti
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 11.03.2011 n. 413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Comunicazioni ex art. 79 d.lgs. n. 163/2006, c. 5 - Forma.
Ai sensi dell’art. 79 del D.L.vo 163 del 2006, comma 5-bis (introdotto per effetto dell’art. 2 dello stesso D.L.vo 53 del 2010), le comunicazioni di cui al comma 5 -aggiudicazione definitiva, esclusione dalla gara, decisione di non aggiudicare un appalto o di non concludere un accordo-quadro, data dell’avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario- sono fatte per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata ovvero mediante fax, se l’utilizzo di quest'ultimo mezzo è espressamente autorizzato dal concorrente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza  11.03.2011 n. 403 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTICessione di ramo di azienda - Subingresso del cessionario nei rapporti attivi e passivi del cedente.
Con la cessione del ramo di azienda si determina il subingresso del cessionario nel complesso dei rapporti, attivi e passivi del cedente tra i quali deve ricomprendersi anche il possesso dei titoli, referenze o
requisiti maturati nello svolgimento dell’attività cui il ramo ceduto è riferito. Si rende così possibile l’utilizzo dei requisiti riferiti al ramo d’azienda ceduto in quanto aventi natura oggettiva.
È ammessa la circolazione oggettiva di alcune referenze proprie dell’operatore economico in quanto non strettamente personali dell’imprenditore, che possono quindi essere fatte valere da un diverso soggetto, secondo il principio dell’avvalimento, a condizione che questo dimostri di poterne effettivamente disporne.
La possibilità di subentro nel contratto da parte del cessionario di un ramo di azienda è subordinata, in base all’articolo 116 del Dlgs 163/2006, al positivo accertamento del possesso sia dei requisiti di ordine soggettivo che dei requisiti di ordine speciale previsti in sede di gara, al fine di garantire la stazione appaltante circa la permanenza, in caso di modificazione soggettiva dell’esecutore del contratto, dei requisiti accertati in capo al soggetto affidatario del contratto, quale diretta conseguenza della peculiarità del contratto posto in essere dall’Amministrazione in esito alla particolare procedura a evidenza pubblica (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 10.03.2011 n. 2187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Cessione di ramo d'azienda e subentro nel contratto d'appalto.
1. La vicenda inerente la cessione, da parte dell’aggiudicataria del contratto, del ramo d’azienda e la conseguente richiesta da parte della cessionaria di subentrare nel relativo contratto, pur inserendosi nella fase esecutiva del contratto, è caratterizzata da una sequenza procedimentale di tipo valutativo, a carattere almeno parzialmente discrezionale, volta all’accertamento, in capo alla società cessionaria, dei necessari requisiti richiesti per lo svolgimento del servizio oggetto di contratto.
Trattasi di poteri valutativi discrezionali di tipo autoritativo del tutto simili a quelli esercitati dalla stazione appaltante durante la procedura di gara, finalizzati alla verifica del possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria richiesti dal bando.
Pertanto, la posizione di diritto soggettivo connessa alla fase esecutiva del contratto, che esclude la giurisdizione del giudice amministrativo, è rinvenibile solo con riferimento alla posizione dell’originaria aggiudicataria, mentre con riguardo alla posizione della società cessionaria del ramo d’azienda che intende subentrare nel contratto stipulato dalla cedente, è rinvenibile una posizione di interesse legittimo che incardina la giurisdizione del giudice amministrativo.
2. La possibilità di subentro nel contratto da parte del cessionario di un ramo di azienda è, quindi, normativamente subordinata al positivo accertamento del possesso sia dei requisiti di ordine soggettivo che dei requisiti di ordine speciale previsti in sede di gara, al fine di garantire la stazione appaltante circa la permanenza, in caso di modificazione soggettiva dell’esecutore del contratto, dei requisiti accertati in capo al soggetto affidatario del contratto.
A tale scopo la società cessionaria potrà avvalersi non della totalità dei requisiti della cedente ma solo di quelli relativi al ramo d'azienda ceduto (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 10.03.2011 n. 2187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sigillatura delle buste.
La chiusura tramite sigillatura di un plico, pur in un’ottica estensiva ed attenta al perseguimento delle finalità sostanziali sottese alle prescrizioni formali, deve comunque consistere in una modalità di chiusura ermetica, tale da assicurare l’integrità del plico ed impedirne l’apertura senza lasciare manomissioni o segni apprezzabili, al fine di assicurare il raggiungimento delle finalità per cui tale adempimento è richiesto (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 17.07.2008 n. 3599 e 20.04.2006 n. 2000; Sez. V, 18.03.2004 n. 1411).
Ed invero, la previsione del bando di gara che impone la presentazione da parte dei concorrenti di plico e buste sigillati e controfirmati sui lembi di chiusura risponde alla ratio di garantire, oltre ogni ragionevole dubbio o interpretazione discrezionale, la genuinità e paternità della domanda di partecipazione e della documentazione a questa allegata, la quale può essere assicurata solo se la sigillatura sia tale da impedire che il plico possa essere aperto senza che ne resti (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.03.2011 n. 1553 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sigillatura delle buste nell'ambito delle procedure di affidamento di appalti pubblici.
Secondo consolidata giurisprudenza, in materia di appalti pubblici, l'indicazione della necessità del sigillo, nell'ipotesi in cui l'amministrazione, nell'esercizio del potere di decidere in ordine al regolamento di gara, non ne specifichi particolari modalità, risponde all'esigenza di garantire che la busta non possa essere aperta se non a prezzo di manometterne visibilmente la chiusura; il termine "sigillare" va interpretato nel senso estensivo, indicante una chiusura ermetica, tale da impedire ogni accesso o rendere evidente qualsivoglia tentativo di apertura.
Nel caso in esame, la lex specialis testualmente prescrive, a pena di esclusione, la necessità che il plico contenente l'offerta risulti trovarsi in busta sigillata, controfirmato sui lembi di chiusura, così da garantirne l'integrità e segretezza, non riferendosi, pertanto, ad una tipologia specifica (nella specie si discute se possa esservi un riferimento specifico all'utilizzo della ceralacca) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.03.2011 n. 1553 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti pubblici - Direttiva 2004/18/CE - Concessione di servizio pubblico - Servizi di soccorso - Distinzione tra "appalto pubblico di servizi" e "concessione di servizi".
L'art. 1, nn. 2, lett. d), e 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31.03.2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che, quando la remunerazione dell'operatore economico selezionato è integralmente garantita da soggetti diversi dall'amministrazione aggiudicatrice che ha attribuito il contratto di prestazione di servizi di soccorso e tale operatore economico incorre in un rischio di gestione, per quanto molto ridotto, poiché, in particolare, l'importo dei corrispettivi d'uso dei servizi in questione dipende dall'esito di trattative annuali con soggetti terzi e non gli è garantita una copertura integrale dei costi sostenuti nell'ambito di una gestione delle sue attività conforme ai principi sanciti dal diritto nazionale, tale contratto deve essere qualificato come contratto di "concessione di servizi", ai sensi dell'art. 1, n. 4, della stessa direttiva.
Dal raffronto tra le definizioni di appalto pubblico di servizi e di concessione di servizi, fornite, rispettivamente, dal n. 2, lett. a) e d), e dal n. 4 dell'art. 1 della direttiva 2004/18, risulta che la differenza tra un appalto pubblico di servizi e una concessione di servizi risiede nel corrispettivo della prestazione di servizi. L'appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza peraltro essere l'unico, è versato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre, nel caso di una concessione di servizi, il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo (Corte di giustizia europea, Sez. III, sentenza 10.03.2011 n. C-274/09 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: PUBBLICITA' SEDUTE DI GARA.
Il principio di pubblicità, che risponde all'esigenza di garantire la trasparenza delle operazioni di gara, opera, indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui all'aggiudicazione si pervenga attraverso un'attività di tipo procedimentale, ancorché semplificata e, quindi, anche in relazione ai cottimi fiduciari.
E' quanto affermato dal TAR Sardegna, Sez. I, con la sentenza 10.03.2011 n. 212, ove viene consolidato l'orientamento favorevole ad una generale applicabilità del principio di pubblicità delle sedute di gara, indipendentemente dalla prescelta tipologia di individuazione del miglior contraente.
Dunque, il cottimo fiduciario, quale procedura negoziata in economia, risulta disciplinato dalle disposizioni normative, contenute nell'articolo 125 medesimo, e dai principi regolanti l'affidamento e l'esecuzione del contratto, previsti dall'articolo 2 del Codice. Ora, fra questi principi, vi è pure quello di pubblicità. Tuttavia, come si anticipava, non risulta del tutto pacifico se, relativamente al cottimo fiduciario, tale principio comporti pure la pubblicità delle sedute di gara, cioè la loro non riservatezza.
In altri termini, si discute se il principio in questione imponga la pubblicità delle sedute di gara di cottimo fiduciario, al pari delle altre procedure di scelta del contraente. Secondo un primo orientamento, le sedute di cottimo possono svolgersi anche in modo riservato:
- Il principio di pubblicità delle gare non si estende alla procedura avente ad oggetto l'acquisizione di forniture in economia ed in cottimo fiduciario, non essendo l'osservanza di tale principio previsto per essa dall'articolo 125, del codice dei contratti pubblici (Tar Piemonte, sez. II, n. 2243/2009).
- Versandosi in tema di cottimo fiduciario, l'invocato principio di pubblicità delle gare non si estende alla procedura avente ad oggetto l'acquisizione di forniture in economia, non essendo l'osservanza di tale principio previsto dall'art. 125 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (Tar Friuli, n. 716/2010).
Ad avviso di tale orientamento, assume importanza il fatto che l'articolo 125, che disciplina le procedure in economia ed il cottimo fiduciario, non contempla il principio di pubblicità. In tal modo, si sottovaluta completamente il rinvio, che lo stesso comma 14° dell'articolo 125 compie ai principi desumibili dal codice e dal regolamento. Una lettura indubbiamente restrittiva, che appare preoccupata solo di valorizzare al massimo le caratteristiche di semplificazione del cottimo, dimenticando, in modo non convincente, il rinvio ai principi.
Viceversa, secondo un altro indirizzo, proprio l'assetto dei principi generali, cui anche le procedure in economia debbono inspirarsi, implica la doverosa pubblicità delle sedute di gara: Contrariamente a quanto la resistente amministrazione mostra di ritenere il principio di pubblicità delle sedute, che risponde all'esigenza di garantire la trasparenza delle operazioni di gara, opera, anche nei riguardi del cottimo fiduciario ed indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda (Tar Sardegna, sez. I, n. 85/2011).
Ciò comporta che la fase di apertura dei plichi, contenenti la documentazione amministrativa e la verifica della medesima, nonché quella di apertura delle buste con le offerte economiche, devono sempre avvenire in seduta pubblica, così da assicurare a tutti i partecipanti la possibilità di assistere alle relative operazioni, a tutela del corretto svolgimento della procedura. In precedenza, la pubblicità delle sedute era stata statuita anche dal Consiglio di Stato (sez. V, n. 8006/2010), il quale aveva rilevato che le procedure per l'aggiudicazione di contratti con la P.A., compresa la trattativa privata, debbono rispettare i principi di trasparenza e di adeguata pubblicità.
Il Tar Sardegna, nella pronuncia in esame, aderisce a tale secondo orientamento, sulla base del seguente e convincente percorso argomentativo:
a) Il cottimo fiduciario, ai sensi della richiamata normativa, ha natura di procedura negoziata.
b) Il Dpr n. 384/2001 (regolamento di semplificazione dei procedimenti di spese in economia), cui fa riferimento la difesa dell'impresa controinteressata, nulla dispone in ordine alle modalità di svolgimento delle sedute di gara, per cui non è idoneo a sorreggere un'interpretazione restrittiva della portata applicativa del principio di pubblicità.
c) Diversamente opinando, peraltro, il regolamento sarebbe da disapplicare, in quanto contrastante con un principio operante a livello di norma primaria (art. 2, Codice).
d) Contrariamente a quanto sostenuto dalla stazione appaltante, nessun rilievo può essere attribuito al fatto che l'allegato IX-A al Codice dei contratti pubblici individui le persone ammesse ad assistere all'apertura delle offerte solo con riguardo alle procedure aperte.
e) Infatti, il principio di pubblicità esplica una valenza generale ed opera, anche in quanto diretto a garantire la trasparenza, indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui all'aggiudicazione si pervenga attraverso un'attività di tipo procedimentale, ancorché semplificata e, quindi, anche in relazione ai cottimi fiduciari.
Il secondo indirizzo, cui aderisce la sentenza in esame, appare sicuramente più convincente, oltre che per le ragioni ora illustrate, anche per due precise considerazioni. In primo luogo, deve essere osservato che il principio di pubblicità delle sedute di gara trova applicazione anche nei settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica): Sussiste la necessità dell'obbligo di seduta pubblica anche nei settori speciali, come da ultimo più volte affermato (TAR Lombardia, Sez. I, 23.09.2009 n. 4801, TAR Lombardia, Sez. I 13.10.2008 n. 4757), atteso che le medesime istanze poste a fondamento del principio di trasparenza, che hanno indotto la stazione appaltante all'apertura in seduta pubblica della documentazione amministrativa, debbano, a maggior ragione, trovare applicazione anche in sede di apertura dell'offerta economica (Ord. Tar Lombardia, sez. Milano, 30.09.2010, n. 1061). Quindi, se il principio trova applicazione anche nei settori speciali, contrassegnati da rilevanti peculiarità anche di disciplina, non si comprende perché non debba trovare cittadinanza in relazione al cottimo fiduciario, ricompreso nei settori ordinari.
In secondo luogo, occorre tener conto anche dell'oramai imminente disciplina regolamentare (Dpr n. 207/2010, entrante in vigore l'08.06.2011). Infatti, il comma 2°, dell'articolo 120, ricompreso nella Parte II, disciplinante i settori ordinari, stabilisce che “in una o più sedute riservate, la commissione valuta le offerte tecniche e procede all'assegnazione dei relativi punteggi applicando, i criteri e le formule indicati nel bando o nella lettera di invito. Successivamente, in seduta pubblica, la commissione dà lettura dei punteggi attribuiti alle singole offerte tecniche, procede alla apertura delle buste contenenti le offerte economiche e, data lettura dei ribassi espressi in lettere e delle riduzioni di ciascuna di esse, procede secondo quanto previsto dall'articolo 121 (calcolo della soglia di anomalia)".
Appare ben chiaro che la seduta pubblica si impone sempre, a prescindere dalla tipologia di gara, mentre la seduta riservata viene confinata alla sola fase di valutazione delle offerte tecniche (tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il principio di pubblicità della gara si applica anche nel cottimo fiduciario.
Il principio di pubblicità della gara risponde all'esigenza di garantire la trasparenza delle operazioni di gara ed opera, indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui all'aggiudicazione si pervenga attraverso un'attività di tipo procedimentale, ancorché semplificata e quindi anche in relazione ai cottimi fiduciari.
L'applicazione del detto principio implica che la fase concernente l'apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e tecnica, quella di verifica della detta documentazione, e quella di apertura delle buste con le offerte economiche, debbano sempre avvenire in seduta pubblica, così da assicurare a tutti i partecipanti la possibilità di assistere alle relative operazioni a tutela del corretto svolgimento della procedura (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 10.03.2011 n. 212 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'obbligo, in capo alla commissione di una gara d'appalto, di stabilire i criteri ed sub criteri di ammissione alla procedura, antecedentemente alla redazione delle offerte da parte dei concorrenti.
L'art. 83, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), in riferimento alle procedure di gara da affidarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, stabilisce che il bando deve indicare i criteri di valutazione, la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, così come nonché gli eventuali sub criteri, sub pesi o sub punteggi.
Inoltre, la facoltà, attribuita alla commissione giudicatrice di fissare, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, i criteri motivazionali cui si sarebbe attenuta per attribuire a ciascun criterio e sub criterio di valutazione il punteggio tra il minimo ed il massimo prestabiliti dal bando, non è più necessaria, in quanto soppressa dall'art. 1, c. 1, lett. u), del d.lgs. n. 152/2008.
In ogni caso, secondo una pronuncia della Corte di Giustizia, precedente alla suddetta modifica, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, occorre che tutti gli elementi valutati dalla stazione appaltante al fine di identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa, siano noti ai potenziali concorrenti al momento della preparazione delle loro offerte.
Nel caso di specie, ciò non si è verificato, in quanto, nella predetta fase, le imprese partecipanti alla gara ignoravano che l'assenza di un dato sub criterio avrebbe comportato l'emissione di un provvedimento espulsivo, in quanto il criterio era stato fissato dalla commissione solo dopo la scadenza del termine relativo alla presentazione delle offerte.
Pertanto, la concorrente non è stata posta nelle condizioni di conoscere tutti gli elementi indispensabili per la redazione di un'offerta rispondente, in concreto, alle esigenze dell'amministrazione (TAR Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 10.03.2011 n. 98 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalto - Informativa antimafia - Ampiezza dei poteri di accertamento della p.a. - Sussiste - Conseguenze - E' sufficiente un giudizio prognostico della p.a. sull'eventuale presenza di infiltrazioni criminali.
L'ampiezza dei poteri di accertamento della p.a. circa i tentativi di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, in considerazione della finalità preventiva del provvedimento, giustifica che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti che seppure privi in sé dell'assoluta certezza (quali, ad esempio, una condanna penale riportata, collegamenti parentali con soggetti malavitosi et alia), siano comunque, nella loro valutazione complessiva, tali da fondare un giudizio prognostico che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. - Contratti sotto soglia - Procedura di aggiudicazione - Pubblicazione del bando da parte del Comune - A mezzo internet - Legittimità - Sussiste.
In relazione alle procedure di aggiudicazione dei contratti "sotto soglia", da individuarsi alla stregua dei criteri stabiliti dall'art. 3, comma 17, D.Lgs. 163/2006, l'utilizzo di internet costituisce uno strumento idoneo a portare il bando a conoscenza di una platea di destinatari potenzialmente estesa, che va ben al di là dell'ambito regionale, sicché risulta garantito l'obiettivo della conoscibilità del bando medesimo (Impugnazione promossa dall'Ordine regionale dei geologi lombardi con riferimento ad una procedura di affidamento di un incarico professionale disposta da un Comune, relativamente ad uno studio geologico a supporto del piano di governo del territorio) (Conf. v. Cons. Stato, sez. V, 03.01.2002, n. 10) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 663 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Giustizia amministrativa - Competenza per territorio - In materia di appalti da eseguirsi nel territorio di una Regione - Competenza TAR locale - Sussiste - Anche in caso di impugnazione di bandi nazionali.
Il TAR locale è competente a giudicare sulle controversie aventi ad oggetto atti di una procedura di evidenza pubblica relativa ad appalti o affidamenti che devono eseguirsi nel territorio di una Regione, risultando indifferente che vengano impugnati bandi nazionali o altri atti generali interni alla procedura, ancorché emessi da organi centrali dello Stato, ovvero che la gara si sia svolta a Roma (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 23.03.2010, n. 1690; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3102; Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2005, n. 3045) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 662 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Aggiudicazione - Impugnazione - Termine - Decorre dalla comunicazione di cui all'art. 79, comma 5, Codice dei contratti pubblici per i concorrenti - Decorre dalla pubblicazione dell'Albo pretorio per coloro che non abbiano partecipato alla gara.
La comunicazione prevista dall'art. 79, comma 5, del Codice dei contratti pubblici costituisce condizione imprescindibile perché il concorrente consegua la piena conoscenza di un elemento essenziale del provvedimento lesivo e, cioè, l'identità del soggetto aggiudicatario, cosicché il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara da parte di chi ad essa ha partecipato decorre non già dalla pubblicazione della delibera di aggiudicazione definitiva all'Albo pretorio, bensì dalla data di piena conoscenza della delibera stessa conseguibile soltanto a mezzo della richiamata comunicazione.
Viceversa, la mera pubblicazione della delibera all'Albo pretorio costituisce forma di conoscenza legale soltanto per chi, non avendo partecipato alla procedura selettiva, non è direttamente contemplato nell'atto in questione e non è, quindi, destinatario della comunicazione prevista dall'art. 79 comma 5, del Codice dei contratti (conf. v. TAR Lazio Roma, sez. II, 02.12.2010, n. 35031) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Verifica di anomalia dell'offerta - Modalità - Obbligo di verificare l'inesattezza delle singole voci - Non sussiste - Valutazione complessiva dell'offerta - Legittima.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Offerte - Mancato rispetto dei limiti tabellari ovvero dei valori indicati dalla contrattazione collettiva - Non determina l'automatica esclusione dalla gara - Ammissibilità delle giustificazioni relative al costo del personale da parte dell'aggiudicataria - Sussiste.

1. Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto.
2. Il mancato rispetto dei minimi tabellari, o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva in tema di costo del lavoro da parte di un'impresa concorrente non ne determina l'automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un importante indice di anomalia dell'offerta che dovrà essere poi verificata attraverso un giudizio complessivo di remuneratività consentendo, quindi, all'impresa interessata di fornire le proprie giustificazioni in merito.
Deve, di conseguenza, ritenersi legittimo il comportamento tenuto da una Commissione di gara che abbia ammesso le giustificazioni relative al costo del personale presentate dall'aggiudicataria senza procedere all'esclusione automatica della stessa, anche in ossequio ai principi di diritto comunitario in materia di libera concorrenza (conf. v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 22.07.2010, n. 4783) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.03.2011 n. 660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIAutodichiarazioni: la carta di identità è sottratta all'accesso. La tutela della privacy dei dati contenuti nella carta di identità prevale sul diritto di accesso.
Questo il principio che si ricava dall'estemporanea ordinanza 09.03.2011 n. 545 del TAR Lombardia-Milano per la quale è legittimo il comportamento di una stazione appaltante che, in sede di accesso agli atti esercitato da una concorrente, non abbia reso ostensibile, né rilasciato in copia, la fotocopia della carta di identità dei legali rappresentanti della ditta aggiudicataria, per ragioni di tutela della privacy.
Questi i fatti.
Nell’ambito di una procedura per l’affidamento di un contratto di concessione, il concorrente secondo classificato esercitava il proprio diritto di accesso agli atti di gara, compresa l’offerta risultata aggiudicataria.
In quella sede non erano rese disponibili, neppure sotto la forma della semplice esibizione, le copie dei documenti di identità dei rappresentanti dell’aggiudicataria, inerenti le autodichiarazioni rilasciate in forza dell’art. 38, comma 3, del Dpr 28.12.2000, n. 445.
La Stazione appaltante taceva peraltro l’esistenza o meno, tra i documenti a sua disposizione, della copia della carta d’identità.
La circostanza era oggetto di censura da parte del concorrente secondo classificato, in sede di impugnazione al Tar Milano, sul presupposto dell’inesistenza del documento.
In giudizio, l’amministrazione sosteneva che i documenti di identità non erano stati oggetto di ostensione né rilasciati in copia per tutelare la privacy del dichiarante.
A suo dire, la carta d’identità contiene infatti dati sensibili.
Con ordinanza n. 545 del 09.03.2011, il giudice meneghino (F. Mariuzzo Presidente, H. Simonetti Estensore) respingeva l’istanza cautelare e, con riferimento alle censure avanzate riguardo alla mancata ostensione e trasmissione dei documenti di identità, così motivava: “ad un primo esame condotto anche al lume delle puntuali e documentate repliche dell’Azienda ospedaliera, non emergono vizi tali da comportare l’esclusione dalla gara”.
In sintesi, la motivazione per relationem fa proprie le ragioni della Stazione appaltante, per cui a tutela della privacy i documenti di identità devono considerarsi sottratti all’accesso.
L’azzardata conclusione del Tar Milano contrasta non solo con l’art. 13 del Codice dei contratti e l’art. 24 della legge n. 241/1990 (che indica i documenti sottratti all’accesso), ma anche con i precedenti dello stesso giudice: “... anche a seguito delle modifiche apportate alla legge n. 241/1990 dalla L. 11.02.2005 n. 15, l'accesso ad un documento amministrativo non può mai essere astrattamente negato adducendo l'esistenza di dati personali. Ciò, in quanto la scelta legislativa è stata quella di imporre all'amministrazione procedente, in quanto destinataria di un'istanza di accesso, di porre in essere un vero e proprio procedimento amministrativo, al fine di operare il dovuto bilanciamento, in relazione alla concreta fattispecie, tra le esigenze di trasparenza e quelle di riservatezza, che ogni specifica istanza sottende.” (TAR Milano sez. IV, 12.05.2010 n. 1464; in questo senso, Sez. III, 03.11.2009 n. 4951).
La limitazione riferita contrasta con il consolidato orientamento giurisprudenziale che, anzi, mostra di tutelare ovviamente l’interesse dei concorrenti ad accedere agli atti di gara: “Ai sensi dell’art. 13, comma 6 codice dei contratti, è ammesso l’accesso agli atti di una gara d’appalto da parte di un’impresa che vi ha preso parte quando esso sia funzionale alla difesa in giudizio dei propri interessi, anche quando la richiesta di ostensione è diretta a conoscere le offerte tecniche delle ditte risultate prime due graduate. Al fine di tutelare i segreti tecnici o commerciali contenuti nelle offerte, il giudice può limitare l’accesso ad alcune parti dei documenti richiesti.” (Consiglio di Stato, sez. VI, 01.02.2010, n. 524).
Diritto alla difesa in giudizio che da tempo l’Adunanza Plenaria reputa prevalere sulla privacy: “Alla stregua di tale ultima disposizione, che ribadisce quanto già stabilito alla lett. d) del secondo comma dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990, ritiene questa Adunanza plenaria che il quesito sottoposto dall'ordinanza di rimessione deve essere risolto nel senso che l'accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, debba prevalere rispetto all'esigenza di riservatezza del terzo.” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 04.02.1997, n. 5).
Ed è pacifico che i documenti debbano essere resi sia in visione sia in copia: “Né l’art. 13, comma 6, d.lgs. n. 163/2006, né l’art. 24, nella formulazione risultante a seguito della l. n. 15/2005, prevedono che l’accesso c.d. difensivo, come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola visione, senza estrazione di copia.” (Consiglio di Stato, sez. VI, 19.10.2009, n. 6393).
La tesi del Tar Milano cozza anche contro la realtà: i dati contenuti nella carta d’identità sono già resi pubblici da parte del soggetto che formula l’autodichiarazione, il quale declina le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza).
Gli unici dati contenuti nella carta d’identità ‘cartacea’ che non risultano in sede di autodichiarazione sono altezza, peso e colore degli occhi, che peraltro attengono all’aspetto fisico e sono quindi ben visibili a tutti, salvo travisamenti più o meno vezzosi.
Sostenere quindi che la carta di identità contenga dati sensibili, tanto da sottrarla all’accesso agli atti per una procedura concorsuale, contraddice il comune buon senso, prima ancora che il diritto.
Non resta ora che attendere altre pronunce per capire se l’ordinanza del Tar Milano è una fuga in avanti od un caso isolato (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Rapporto tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva nel Codice dei Contratti Pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 08.03.2011 n. 1446 ha chiarito come nell’ambito di una procedura di scelta del contraente, l’aggiudicazione provvisoria rappresenta un atto necessario ma non decisivo atteso che l’individuazione definitiva del concorrente risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un ricorso presentato da un soggetto che dopo essere stato dichiarato aggiudicatario provvisorio, aveva successivamente impugnato il provvedimento con il quale la stazione appaltante aveva annullato, in autotutela, l’aggiudicazione provvisoria. In particolare veniva censurata la mancata comunicazione di avvio del procedimento che si era concluso con l’adozione del provvedimento in autotutela.
Per una migliore comprensione della decisione in commento, sembra opportuno riportare le disposizioni del d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento) al suo comma 5 prevede che “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12 comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento) prevede, al 1° comma, che “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può vedere come nell’ambito del Codice dei contratti l’aggiudicazione provvisoria rappresenta solo un presupposto dell’unico procedimento di aggiudicazione che comunque deve essere concluso con il provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In conformità al dettato normativo il Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; pertanto, versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 13.10.2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha contribuito ulteriormente a chiarire come l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo necessario ma non decisivo, considerato la sua natura di atto endoprocedimentale, ai fini della definitiva aggiudicazione dell’appalto (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità del mancato avviso di avvio del procedimento nell'ipotesi di aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto.
L'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell'ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l'appalto risulta cristallizzata soltanto con l'aggiudicazione definitiva; pertanto,versandosi ancora nell'unico procedimento iniziato con l'istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l'aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela.
In ogni caso nella specie il soggetto ha potuto esporre le sue ragioni sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale, per cui il mancato avviso non ha comportato alcuna lesione della sua posizione defensionale, oltre al fatto che la materia sanzionatoria, quale è quella dell'annullamento di un provvedimento amministrativo, si sottrae per sua natura alla comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento che, si ripete, in ogni caso, non avrebbe potuto comportare alcuna modifica della soluzione adottata dalla pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.03.2011 n. 1446 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Le imprese partecipanti ad un costituendo RTI hanno l'obbligo di indicare nell'offerta di gara, ai sensi dell'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006, oltre alle quote di partecipazione, le quote di lavori che ciascuna di esse eseguirà.
Poiché l'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti), stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, deve sussistere una perfetta corrispondenza tra la quota di lavori e la quota di effettiva partecipazione al raggruppamento.
L'indicazione delle quote di partecipazione -e, quindi dei lavori- si rivela dunque requisito di ammissione alla gara e deve provvedersi a tale incombente nella domanda di partecipazione alla gara e non in sede di esecuzione del contratto.
Il suddetto c. 13 dell'art. 37 del Codice dei contratti pubblici ha stabilito quindi un parallelismo tra le quote di partecipazione vantate da ciascuna associata nell'ambito del raggruppamento e le quote di esecuzione dei lavori che ciascuna di esse è tenuta obbligatoriamente ad eseguire.
E sulla base delle predette indicazioni preventive e formali deve essere operata la verifica della sussistenza delle richieste qualificazioni per le imprese (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.03.2011 n. 1422 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Termine perentorio di 10 giorni, ex art. 48 del Codice dei contratti pubblici, per la presentazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa.
Il termine di 10 giorni previsto dall’art. 48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di verifica "a campione" (che replica l’art. 10, comma 1-quater, della L. 11.02.1994 n. 109, estendendone la portata a tutti i contratti ad evidenza pubblica), entro il quale l’impresa sorteggiata è tenuta a «… comprovare… il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito…», costituisce un termine certamente perentorio (recte, a pena d’esclusione ex lege), come si evince dal tenore e dalla ratio della norma.
Tale termine è suscettibile di proroga, ma solo con atto espresso e motivato della stazione appaltante, a fronte di un’altrettanto esplicita richiesta dell’impresa che dimostri un impedimento oggettivo e non ad essa imputabile ad adempiere e sempre che la relativa istanza sia prodotta prima della scadenza del termine stesso (V., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15.06.2009 n. 3804; id., 13.12.2010 n. 8730).
Ai fini dell’ottenimento di una proroga del termine di 10 giorni previsto dall’art. 48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di verifica "a campione", sussiste un duplice onere, in capo all’impresa sorteggiata, affinché non sia ritenuta inadempiente, costituito: a) dall’oggettiva impossibilità di rispettare detto essenziale termine; b) dalla necessità di far constare tal vicenda alla stazione appaltante prima che quest’ultimo si consumi inutilmente, non potendosi prorogare un termine scaduto (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.03.2011 n. 1420 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il nuovo regolamento sul codice appalti - Esame e commento (ANCE, febbraio 2011).

APPALTI: L. Bellagamba, IN MATERIA DI AFFIDAMENTI IN ECONOMIA (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: PRINCIPIO DEL FAVOR PARTECIPATIONIS E LIMITI ALLA VERIFICA DI ANOMALIA DELL’OFFERTA.
La sentenza qui segnalata consente di formulare alcune brevi considerazioni sul tema del favor partecipationis e dei limiti che incontra l’Amministrazione nel verificare l’anomalia dell’offerta.
Nella fattispecie controversa, due operatori economici partecipavano ad una gara indetta per l’affidamento di un appalto di servizi, in cui era richiesto, ai fini della dimostrazione del possesso delle capacità tecniche ed organizzative di avere realizzato un certo fatturato per prestazioni aventi oggetto analogo a quello bandito. Successivamente, la seconda classificata proponeva ricorso avanti al TAR Lombardia lamentando, tra l’altro, che l’impresa aggiudicataria non sarebbe stata in possesso del requisito del fatturato per servizi analoghi.
Il TAR accoglieva il ricorso annullava l’aggiudicazione senza nulla disporre in ordine alla pronuncia di inefficacia del contratto, all’epoca non stipulato, o in merito al risarcimento del danno, difettando una richiesta in tale senso della ricorrente.
La sentenza veniva impugnata dinanzi al Consiglio di Stato il quale, con la sentenza in commento, ha riformato la pronuncia del Giudice di primo grado.
Secondo la Sezione Quinta, la nozione di contratto ad oggetto analogo, soprattutto in fattispecie, (come quella controversa) in cui viene richiesto agli operatori di fornire una prestazione complessa che si articola in una pluralità di “sotto-prestazioni”, riconducibili a categorie merceologiche differenti, deve essere ricostruita facendo riferimento alla categoria “prevalente”, intendendosi per tale quella che assume il rilievo preponderante nella causa economico-giuridica dell’appalto di servizi. Altrimenti argomentando, si finirebbe per giungere a conclusioni insostenibili per ragioni diverse: da un lato, infatti, la perfetta coincidenza tra i servizi rilevanti ai fini della dimostrazione del possesso del requisito e quelli oggetto della gara implicherebbe una valutazione in termini di “identità” dei servizi effettuati, contrastanti con la lettera della legge e con il principio di concorrenzialità degli affidamenti; dall’altro, l’equiparazione di ogni sotto-prestazione avrebbe concretizzato il rischio di ammettere soggetti privi della necessaria capacità maturata nella prestazione principale, cui evidentemente corrisponde il maggiore interesse dell’Amministrazione a selezione un contraente privato dotato della necessaria esperienza.
Secondo il Consiglio di Stato, quanto più l’oggetto contrattuale risulta articolato e complesso, tanto più il riferimento al concetto di analogia deve intendersi in senso ampio, implicando correlativamente l’estensione del margine di apprezzamento discrezionale attribuito all’Amministrazione, chiamata a mediare tra il soddisfacimento dell’interesse pubblico alla selezione dell’operatore più specializzato ed il rispetto del principio del favor partecipationis.
Ovviamente, il giudizio sulla “analogia” delle prestazioni rispetto all’oggetto della gara è assoggettato allo scrutinio di legittimità da parte del Giudice Amministrativo, il quale potrà sindacare della ragionevolezza, coerenza e logicità delle determinazioni assunte dalla Commissione di gara.
Sempre nella descritta prospettiva di intermediazione tra l’applicazione dei requisiti soggettivi e la garanzia della massima apertura delle procedure deve intendersi l’affermazione della Sezione Quinta relativa alla possibilità per l’Amministrazione di ammettere soggetti che non abbiano presentato almeno due lettere di referenze bancarie. In questo caso, il punto di equilibrio tra i diversi interessi è costituito dall’esplicitazione della possibilità di presentare di una sola lettera di referenze già in sede di chiarimenti preliminari alla presentazione dell’offerta, accompagnata dalla precisazione che in questo caso l’offerta avrebbe dovuto contenere puntuali giustificazioni al riguardo.
Da ultimo, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la decisione dell’Amministrazione di non procedere alla verifica dell’anomalia nonostante l’aggiudicataria avesse conseguito punteggi superiori alla soglia dei quattro quinti dei punti massimi previsti dal bando di gara.
A questo proposito, la Sezione Quinta ha osservato che trattandosi di un appalto di servizi sotto la soglia comunitaria, da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, indetto prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 207 del 2010 (che reca disposizioni ben più puntuali di quelle del Codice in tema di anomalia delle offerte negli appalti sotto soglia), la disciplina codicistica sulla verifica dell’anomalia delle offerte di cui all’art. 86 non era direttamente ed integralmente applicabile, con la conseguenza che la decisione in ordine alla verifica di anomalia “era affidata in via di principio al prudente apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione”.
In mancanza, peraltro, di un’espressa previsione in tal senso nella lex specialis, non poteva ritenersi che l’Amministrazione fosse comunque tenuta ad avviare il subprocedimento di verifica dell’anomalia, né tale obbligo potrebbe validamente desumersi dalla circostanza che era richiesto ai concorrenti di presentare la scheda relativa alla scomposizione del prezzo, in quanto tale adempimenti, anche se obiettivamente preordinato alla successiva verifica dell’anomalia, non vale ex se a trasformare in obbligatorio un approfondimento istruttorio che resta comunque rimesso all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante (commento tratto da www.amministrazioneincammino.luiss.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Alla mancata presentazione di una delle dichiarazioni prescritte, circa l'insussistenza di sentenze di condanna per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, l’impresa partecipante non può rimediare con la successiva integrazione.
L’esigenza di ordinato svolgimento della gara e di opportuna trasparenza richiedono di anticipare al momento della presentazione dell’offerta la dichiarazione del possesso dei prescritti requisiti.

Circa il possesso dei requisiti di moralità professionale, l’art. 38, comma 1, del codice dei contratti è chiaro: “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento…” i soggetti nei cui confronti sono state emesse sentenze di condanna per reati gravi che incidono sulla moralità professionale e che nelle società a responsabilità limitata e per azioni ricoprono la carica di amministratore con poteri di rappresentanza o di direttore tecnico; inoltre al comma 2 l’articolo suddetto precisa che il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva resa con le modalità stabilite dal DPR 28.12.2000, n. 445.
Pertanto, il tenore testuale della disposizione (che dispone l’esclusione dalla partecipazione alla gara per le imprese che non presentano dichiarazione sostitutiva delle apposite certificazioni), nonché la lettura sistematica e teleologica della medesima, non consentono di ritenere che alla mancata presentazione di una delle dichiarazioni prescritte l’impresa partecipante possa rimediare con la successiva integrazione, come avvenuto nel caso di specie.
Con specifico riguardo alle ipotesi (come nel caso di specie) in cui in concreto il soggetto (che non ha presentato la dichiarazione di assenza di cause ostative) risulti effettivamente in possesso dei prescritti requisiti di moralità, la Sezione è consapevole che la giurisprudenza di questo Consiglio (come rappresentato anche negli scritti difensivi delle parti in causa) ha espresso di recente due antitetici orientamenti: uno, che dando rilievo al soddisfacimento effettivo dell’interesse pubblico sotteso alla disposizione in esame ha ritenuto integrabile in corso di gara le dichiarazioni di assenza di cause ostative alla partecipazione, purché il soggetto (che le aveva omesse) di fatto possedesse i requisiti di moralità (vedi CdS, V, n. 829/2009 e n. 1077/2010 e n. 7957/2010) e l’altro che (per assicurare la necessaria verifica sull’affidabilità dei soggetti partecipanti) ha, invece, escluso del tutto la integrabilità delle dichiarazioni in corso di gara, dando preminente rilievo alla interpretazione testuale e sistematica delle disposizioni relative anche alla verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive, verifica che viene effettuata, oltre che per l’aggiudicazione obbligatoriamente, con procedimento a campione per gli altri partecipanti (vedi CdS, V, n. 3742/2009, nonché n. 6114/2009).
Valutate con ponderazione entrambe le interpretazioni in ordine al contenuto concreto da dare agli oneri imposti dal citato art. 38 alle imprese partecipanti alle gare, questa Sezione ritiene che, pure a fronte della positività della tesi sostanzialistica, tuttavia l’esigenza di ordinato svolgimento della gara e di opportuna trasparenza richiedono di anticipare al momento della presentazione dell’offerta la dichiarazione del possesso dei prescritti requisiti; d’altra parte la stessa lettera della disposizione (art. 38, comma 2 citato) non fa riferimento a presentazione di tale dichiarazione nel corso della gara per l’ipotesi di mancanza di cause ostative; ove fosse, invece, possibile ammettere l’offerta, pur in assenza della corrispondente dichiarazione, non sarebbe allora sufficiente la regola (art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163/2006) della verifica dei requisiti limitata soltanto ad un campione del 10% delle offerte presentate: è, infatti, evidente che in tal caso per la maggioranza delle imprese partecipanti mancherebbe qualsiasi elemento conoscitivo circa l’effettiva situazione nei confronti degli obblighi prescritti dal primo comma dell’art. 38 citato e quindi in caso di mancanza dei requisiti, le imprese eluderebbero anche la irrogazione delle corrispondenti sanzioni con evidente violazione, sotto tale profilo, della regola della par condicio
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.03.2011 n. 1371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non sussiste l'esercizio del diritto di accesso agli atti gara da parte di un concorrente escluso, nell'ipotesi in cui l'aggiudicatario abbia invocato la tutela del segreto tecnico e commerciale.
In materia di accesso agli atti di gara, il combinato disposto dei commi 5 e 6 dell'art. 13 del d.lgs. n. 163/2006, esclude l'esercizio del diritto di accesso alla documentazione posta a corredo dell'offerta selezionata, ove l'impresa aggiudicataria abbia dichiarato che sussistano esigenze di tutela del segreto tecnico o commerciale, ed il richiedente non abbia dimostrato la concreta necessità di utilizzare tale documentazione in uno specifico giudizio.
Nel caso di specie, il raggruppamento aggiudicatario ha fatto espresso divieto a soggetti terzi, inclusa la stazione appaltante, di esibire ed utilizzare detta documentazione.
Ne consegue che, l'interesse all'accesso della concorrente esclusa, deve ritenersi circoscritto agli atti e provvedimenti con cui l'amministrazione ne ha escluso l'offerta, in quanto ritenuta inaffidabile nel suo complesso, e solo entro tali confini l'odierna ricorrente ha concreta necessità ed utilità di avvalersi di tale documentazione cui, peraltro, ha già ottenuto accesso (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.03.2011 n. 371 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Accesso agli atti di gara - Limiti - Art. 13, cc. 5 e 6 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di accesso agli atti di gara, il combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 13 d.lgs. n. 163 del 2006 esclude l’esercizio del diritto di accesso alla documentazione posta a corredo dell’offerta selezionata, ove l’impresa aggiudicataria abbia dichiarato che sussistano esigenze di tutela del segreto tecnico o commerciale, ed il richiedente non abbia dimostrato la concreta necessità di utilizzare tale documentazione in uno specifico giudizio (Cons. Stato, Sez. V, 09.12.2008, n. 6121) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.03.2011 n. 371 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Non sussiste attualità dell'interesse a ricorrere allorché si controverta in ordine a disposizioni di un bando di concorso non immediatamente lesive quali la valutazione di titoli e l'attribuzione di punteggi.
L’onere della immediata impugnazione degli atti generali contenenti le prescrizioni disciplinanti una procedura selettiva (gara o concorso pubblici) si manifesta esclusivamente quando le prescrizioni della lex specialis che si ritengono illegittime e che pregiudicano la posizione del concorrente (o dell’aspirante tale, per meglio dire) impediscano di fatto la sua partecipazione tanto che, se l’interessato presentasse la relativa domanda, il soggetto procedente non potrebbe che escluderlo dalla selezione (cfr. TAR Lazio, II Sezione, 05.01.2011 n. 30).
L'onere di immediata impugnazione delle norme disciplinanti la partecipazione ad una procedura selettiva deve, quindi, essere assolto con riguardo a quelle sole disposizioni concernenti i requisiti soggettivi di partecipazione e a quelle che integrano un'immediata preclusione alla partecipazione, ossia a quelle clausole che ledano immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla procedura concorsuale.
Ogni diversa questione inerente all'applicazione delle norme regolamentari generali, così come l'impugnazione di norme del bando che, pur potendo considerarsi immediatamente lesive non siano peraltro univocamente chiare e vincolanti, può e deve essere proposta unitamente agli atti che di esse fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della sua situazione soggettiva (cfr., in termini, da ultimo TAR Lazio, Sez. II, 17.09.2010 n. 32351).
Deriva da quanto sopra che non sussiste attualità dell'interesse a ricorrere allorché si controverta in ordine a disposizioni di un bando di concorso non immediatamente lesive quali la valutazione di titoli e l'attribuzione di punteggi (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 2018 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un'impresa concorrente che non abbia reso la dichiarazione relativa al soggetto che aveva precedentemente rivestito, al suo interno, la carica di procuratore speciale.
L'identificazione delle persone fisiche munite di poteri di rappresentanza, per le quali, ai sensi dell'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/06, le società di capitali sono tenute a presentare una dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti morali e professionali, deve essere effettuata anche alla stregua dei poteri sostanziali attribuiti, con conseguente inclusione, nel novero dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, delle persone fisiche in grado di impegnare la società verso i terzi, nonché dei procuratori ad negotia, laddove l'estensione dei loro poteri conduca a qualificarli come amministratori di fatto, a prescindere dal nomen.
Detta interpretazione affonda le sue radici nell'esigenza di evitare la partecipazione, alle gare pubbliche, di soggetti che non prestino idonee garanzie di affidabilità ai fini di una piena tutela dell'interesse pubblico. In questa verifica delle funzioni sostanziali, occorre aver riguardo al concreto assetto delle competenze, quale delineato dallo statuto societario, riconoscendo dette funzioni a tutti i soggetti cui sia stato conferito un potere di amministrazione e rappresentanza nel senso sopra indicato.
Nel caso di specie, trattasi di un procuratore speciale, titolare di ampi poteri rappresentativi e gestionali della concorrente, quali quello di stipulare contratti d'appalto. Pertanto, è da ritenersi illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara all'impresa concorrente che abbia omesso di rendere la dichiarazione relativa al soggetto di cui sopra (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 02.03.2011 n. 1922 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente che, nell'ambito di una gara per l'affidamento del servizio di vigilanza, abbia presentato tempestiva domanda di estensione territoriale dell'autorizzazione prefettizia.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, in una gara indetta per l'affidamento del servizio di vigilanza, abbia presentato tempestiva domanda di estensione territoriale dell'autorizzazione prefettizia, laddove la lex specialis abbia richiesto il requisito del possesso dell'abilitazione di sicurezza rilasciata dalla competente Prefettura.
Alla luce dei principi comunitari sanciti dalla Corte di Giustizia (causa n. C-465/05), contrasta con gli artt. 43 e 49 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, la richiesta di autorizzazione ad esercitare il servizio di vigilanza, limitatamente ad una provincia o ad alcuni comuni, in quanto tale limitazione territoriale costituisce una restrizione sia alla libertà di stabilimento che alla libera prestazione di servizi, nella misura in cui ostacola lo svolgimento del servizio di vigilanza nell'ambito dell'U.E..
Pertanto, sussiste il requisito previsto anche in caso di autorizzazione rilasciata da prefettura diversa da quella nel cui ambito territoriale ricade l'attività oggetto della procedura di gara, e ciò nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, l'istanza di estensione sia stata proposta nel termine previsto per la presentazione delle domanda di partecipazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.03.2011 n. 1315 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gara di appalto - Rilascio dichiarazioni - "Falso innocuo".
E' rigettato il ricorso per l'annullamento del verbale di gara con il quale è stata disposta l'esclusione della ricorrente dalla gara d'appalto per l'aggiudicazione dei lavori di manutenzione straordinaria delle pavimentazioni in conglomerato bituminoso dei manufatti stradali e la contestuale aggiudicazione del contratto ad un'altra società : è falsa la dichiarazione della società ricorrente che ha attestato l'insussistenza di direttori tecnici cessati nel triennio precedente.
Non si tratta, peraltro, di un cd. "falso innocuo": la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha recepito tale nozione di origine penalistica anche ai fine di escludere la rilevanza della falsità delle dichiarazioni non veritiere rese dai soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006 (e prima ancora dell'art. 75 del D.P.R. 554/1999) tutte le volte che essa non abbia prodotto alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma che impone di attestare una determinata circostanza (sia essa contenuta nella legge o nel bando) e non abbia procurato all'impresa dichiarante alcun vantaggio competitivo (Cons. Stato, V, 09.11.2010 n. 7967).
Il medesimo Consiglio di Stato ha, tuttavia, precisato che nell'ambito dei rapporti amministrativi la valutazione del carattere innocuo del falso deve essere compiuta "ex ante", con la conseguenza che non può essere considerato innocuo il falso potenzialmente in grado di incidere sulle determinazioni dell'Amministrazione (Cons. Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436).
Il Supremo consesso ha altresì stabilito che qualora la lex specialis di gara richieda all'impresa informazioni puntuali che non lasciano spazio a valutazioni in ordine alla rilevanza o meno di determinate informazioni la loro omissione costituisce una legittima causa di esclusione (Cons. Stato, VI, 4907/2009 cit.).
Tale è, appunto, la situazione che ricorre nel caso di specie in cui si chiedeva alle imprese offerenti di rilasciare una doppia dichiarazione con riguardo:
a) al fatto che nel triennio precedente la data di pubblicazione del bando non fosse cessato né fosse stato sostituito il titolare, il socio, l'amministratore munito di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico;
b) al fatto che i soggetti eventualmente cessati non avessero riportato condanne penali tali da incidere sulla affidabilità morale e professionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenze 01.03.2011 nn. 599 e 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nozione di falso innocuo - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Valutazione ex ante.
La nozione di “falso innocuo”, di origine penalistica, è stata recepita nell’ambito della disciplina amministrativistica, anche al fine di escludere la rilevanza della falsità delle dichiarazioni non veritiere rese dai soggetti partecipanti alle gare pubbliche ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006, tutte le volte che essa non abbia prodotto alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma che impone di attestare una determinata circostanza (sia essa contenuta nella legge o nel bando) e non abbia procurato all’impresa dichiarante alcun vantaggio competitivo (Cons. Stato, V, 09.11.2010 n. 7967).
In particolare, è falso innocuo l’omessa menzione degli amministratori o direttori cessati dalla carica qualora tali soggetti risultino penalmente incensurati e, pertanto, la loro indicazione nella dichiarazione resa alla stazione appaltante non avrebbe in alcun modo potuto incidere sull’esito del giudizio sulla ammissibilità dell’offerta.
Tuttavia, nell'ambito dei rapporti amministrativi, la valutazione del carattere innocuo del falso deve essere compiuta "ex ante", con la conseguenza che non può essere considerato innocuo il falso potenzialmente in grado di incidere sulle determinazioni dell'Amministrazione (Cons. Stato, VI, 08.07.2010 n. 4436) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 599 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sui casi in cui è applicabile alle gare di appalto la nozione penalistica del c.d. "falso innocuo".
La giurisprudenza amministrativa ha recepito la nozione di matrice penalistica relativa al c.d. "falso innocuo", al fine di escludere la rilevanza della falsità delle dichiarazioni non veritiere, rese dai concorrenti ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. 163/06.
In particolare, corrisponde alla definizione di "falso innocuo" l'omessa menzione degli amministratori o direttori cessati dalla carica, qualora tali soggetti risultino penalmente incensurati e, pertanto, la loro indicazione nella dichiarazione resa alla stazione appaltante non avrebbe in alcun modo potuto incidere sull'esito del giudizio sulla ammissibilità dell'offerta.
E' altresì irrilevante la mancata menzione di condanne riportate dai citati soggetti, qualora il bando di gara richieda genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione rimettendo, così, all' impresa offerente, la valutazione in ordine alla gravità delle condotte dei propri rappresentanti.
Tuttavia, la considerazione relativa al carattere innocuo del falso deve essere compiuta "ex ante", con la conseguenza che non può essere valutato come "innocuo" il falso in grado di incidere sulle determinazioni della stazione appaltante (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 599 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Bando di gara - Aggiudicazione fornitura di materiale informatico e allo svolgimento dei servizi connessi - Presenza sul mercato europeo corrispondente al livello di diffusione richiesto dal capitolato - Clausola - Legittimità.
La società ricorrente aveva interesse a partecipare alla procedura in qualità di fornitore di sistemi informatici di produzione propria, ma non poteva vantare, in veste di produttore, una presenza sul mercato europeo corrispondente al livello di diffusione richiesto dal capitolato.
Tale prescrizione, ritenuta dalla società ostativa alla partecipazione, non può sostenersi avesse la finalità e l'effetto di condizionare lo svolgimento della gara in modo tale che la possibilità di accedere all'effettuazione della fornitura fosse ad appannaggio di un novero numericamente limitato di concorrenti.
Questa clausola infatti non può essere intesa quale prescrizione indicativa di un requisito soggettivo richiesto ai fini dell'ammissione alla procedura (la gara infatti non era riservata alle sole imprese produttrici di personal computers, ma aperta alla partecipazione anche di soggetti non produttori, purché fossero in grado di garantire, unitamente alla fornitura dei sistemi informatici prodotti da terzi come descritti nel capitolato, anche i connessi servizi di installazione, attivazione e manutenzione).
La clausola imponeva, infatti, solo all'aggiudicatario dell'appalto di approvvigionarsi con prodotti la cui affidabilità fosse comprovata dal raggiungimento di una determinata soglia di penetrazione del mercato (dimostrata dalla quantità di pezzi venduti dal produttore nei quattro anni precedenti la pubblicazione del bando).
La stazione appaltante ha dunque mostrato di apprezzare la penetrazione commerciale di alcuni prodotti attestati sul mercato europeo, quale dato idoneo a garantire l'efficienza tecnica dei sistemi informatici prodotti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Gara per trattativa privata - Violazione del codice della strada (servizio autovelox) - Attività di gestione procedimenti amministrativi - Affidamento del servizio - Revoca.
2. Procedimento amministrativo - Provvedimento di affidamento del servizio - Annullamento - Non parere negativo - Responsabile d'Area - Documentazione riserve.
3. Procedimento amministrativo - Annullamento d'ufficio a breve distanza dall'adozione - Adozione del provvedimento - Affidamento - Non sussiste.

1. Non è fondato il motivo di ricorso in cui si deduce la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990, poiché l'interessata (alla quale precedentemente era stata affidata per contratto la gestione dei procedimenti amministrativi per l'accertamento della violazione del codice della strada per il servizio autovelox) ha avuto conoscenza dell'avvio del procedimento di secondo grado, volto all'annullamento dell'atto di affidamento del servizio, attraverso la comunicazione del precedente provvedimento con il quale era stata disposta la sospensione degli effetti di quel medesimo atto.
2. In merito al parere negativo del Responsabile d'Area sulla legittimità dell'annullamento del provvedimento di affidamento servizio si precisa che tale è contrario alla logica, giacché non si vede come un organo possa esprimere parere negativo ad un proprio provvedimento.
E' anche del tutto irrituale in quanto nessuna disposizione prevede che le determinazioni dei responsabili dei servizi degli enti locali debbano essere accompagnate da pareri di regolarità tecnica: l'art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 stabilisce che detti pareri debbono accompagnare le proposte di deliberazione della Giunta e del Consiglio (e norma di analogo tenore è contenuta nell'art. 41, comma 2, dello Statuto dell'Unione); mentre, per quanto riguarda i provvedimenti emessi dai responsabili dei servizi, l'art. 155, comma 4, dello stesso decreto prevede solo che, in caso in cui comportino impegni di spesa, questi "sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria".
Il Responsabile d'Area, nell'esprimere tale irritale parere, ha quindi semplicemente voluto documentare le proprie riserve, evidentemente al fine di mettersi al riparo in caso di instaurazione di eventuali futuri giudizi di responsabilità amministrativa.
Queste riserve tuttavia non sono di per sé idonee ad inficiare la regolarità dell'operazione voluta e posta in essere dall'Amministrazione la quale, dopo aver constatato che l'affidamento annuale del servizio era contrario all'indirizzo politico espresso dai competenti organi, ha correttamente deciso di provvedere all'annullamento dell'atto che aveva disposto l'affidamento stesso.
3. Sulla dedotta violazione dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, in quanto l'Autorità amministrativa non avrebbe illustrato i motivi di pubblico interesse che l'hanno indotta a disporre la revoca del servizio, si osserva che la norma applicabile al caso di specie non è l'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, ma l'art. 21-nonies, della medesima legge, il quale stabilisce che "il provvedimento amministrativo illegittimo (?) può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Ciò premesso deve però osservarsi che in giurisprudenza si ritiene che quando l'annullamento d'ufficio interviene a breve distanza di tempo dall'adozione del provvedimento illegittimo, nessun ragionevole affidamento può ingenerarsi in capo al privato.
In tal caso non è quindi necessaria l'esplicitazione nel provvedimento di secondo grado dell'interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento, né la comparazione di tale interesse con l'interesse privato sacrificato, posto che al ricorrere di questa circostanza l'interesse pubblico all'annullamento può considerarsi in re ipsa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.03.2010, n. 1323; TAR Lazio Roma, sez. III, 16.06.2009, n. 5688) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è applicabile la normativa sull'evidenza pubblica nell'ipotesi di procedura indetta in via d'urgenza.
Nell'ipotesi di gara d'appalto indetta in via d'urgenza, come tale non procrastinabile per ragioni di tutela sia della salute pubblica che della sicurezza, non si applicano le norme dettate in materia di evidenza pubblica nella scelta dei contraenti, bensì l'art. 57, c. 2, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006.
Ai sensi della citata norma, la procedura negoziata, indetta senza pubblicazione del bando, può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria, ai fini dell'affidamento di un appalto, qualora ricorra l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, incompatibili con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate, previa pubblicazione di un bando.
Di conseguenza, il ricorso a tale sistema di scelta del contraente, che si sostanzia in una vera e propria trattativa privata, rappresenta un'eccezione ai principi generali di pubblicità e massima partecipazione dei concorrenti, tipici della procedura aperta, fermo restando che, i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità, devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva; in particolare, in ordine al carattere di urgenza, esso non può in alcun modo addebitarsi all'amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua inerzia o responsabilità, circostanze queste che si ritiene non ricorrano nel caso di specie (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 524 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Tutela della salute pubblica e della sicurezza - Scelta del contraente in via d’urgenza - Art. 57, c. 2 d.lgs. n. 163/2006 - Eccezione al principio di pubblicità e massima concorsualità - Presupposto dell’urgenza - Requisiti.
Il ricorso al sistema di scelta del contraente in via d’urgenza, non procrastinabile per ragioni di tutela della salute pubblica e della sicurezza, che si sostanzia in una vera e propria trattativa privata (art. 57, comma 2 lett. c) d.lg. 12.04.2006 n. 163), rappresenta un'eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta; ciò stante, i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva e in particolare, per quanto riguarda l'urgenza di provvedere, essa non deve essere addebitabile in alcun modo all'Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua inerzia o responsabilità (Consiglio Stato , sez. V, 10.11.2010 , n. 8006).
Tutela della salute pubblica e della sicurezza - Servizio di gestione dei rifiuti urbani - Affidamento con provvedimento extra ordinem - Esigenza di continuità del servizio - Legittimità.
E’ legittima l'ordinanza contingibile ed urgente assunta da un sindaco ai sensi dell'art. 50, d.lg. n. 267 del 2000, al fine di assicurare la continuità del servizio di gestione dei rifiuti urbani, tenuto conto della qualità di servizio essenziale, non suscettibile di subire interruzioni (cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 09.07.2010, n. 2906 che ha rilevato come l'affidamento del servizio ad una società per effetto di un provvedimento extra ordinem, viene assunto sulla base di presupposti di diritto del tutto diversi da quelli in base ai quali si procede in via ordinaria) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 01.03.2011 n. 524 - link a www.ambientediritto.it).

febbraio 2011

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia manifestato l'intenzione di ricorrere al subappalto, avvalendosi dell'apposito modulo predisposto dalla p.a., nonostante il divieto in tal senso sancito dalla lex specialis.
E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia manifestato l'intenzione di ricorrere al subappalto, avvalendosi del modulo predisposto dalla PA, nonostante il divieto in tal senso sancito dalla lex specialis, in quanto, se è vero che il modulo di domanda allegato al bando, essendo un documento accessorio ed ulteriore rispetto alla lex specialis, non può prevalere sulle disposizioni di essa, d'altro canto non può essere escluso da una gara pubblica il concorrente che abbia effettuato una dichiarazione richiesta espressamente nel modello predisposto dalla stazione appaltante, quando a tale positiva dichiarazione il bando non collegava alcuna sanzione di esclusione.
In tale circostanza risulta evidente l'affidamento ingenerato nell'impresa partecipante, trovatasi di fronte a più documenti tra loro contrastanti, e ciò tanto più se si consideri la singolarità di una clausola che, senza motivazione alcuna, vieta il subappalto difformemente dall'art. 118 del d.lgs. n. 163/2006, il quale, al contrario, lo consente.
Peraltro, le condizioni di ammissibilità del subappalto, di cui all'art. 118 citato, tendono ad evitare che, in fase di esecuzione del contratto, si pervenga a vanificare proprio quell'interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l'individuazione di una determinata offerta, come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l'appalto è preordinato (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.02.2011 n. 172 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: P. De Rosa, La programmazione nei lavori pubblici (28.02.2011 - link a http://doc.sspal.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L. Bellagamba, Servizi e forniture: se la stazione appaltante indica in bando i costi della sicurezza da non assoggettarsi a offerta economica, l’offerente non è tenuto a specificare nulla di proprio in sede di offerta (interessante tesi del Consiglio di Stato, ma il problema interpretativo rimane) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Lavori pubblici: la questione del “contratto aperto” di manutenzione nel sistema in economia (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: A. Tadini, La tracciabilità dei flussi finanziari (link a www.filodiritto.it).

APPALTI: P. D'Angiolillo, Il principio di “inammissibilità implicita” delle offerte economiche violative del canone di intangibilità degli oneri per la sicurezza nei pubblici appalti (note a margine della sentenza del TAR Campania–Salerno, Sez. I, 01.10.2010 n. 11289) (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Ai fini dell’incameramento della cauzione e della segnalazione all’autorità di vigilanza può venire in rilievo anche la buona fede dell’impresa.
E' giurisprudenza di questo Tribunale quella per cui “ai fini dell’incameramento della cauzione e della segnalazione all’autorità di vigilanza può venire in rilievo un ulteriore elemento di valutazione rappresentato dalla buona fede dell’impresa evincibile dai documenti di gara” (TAR Piemonte sez. I 23.05.2009 n. 1492); anche le pronunce C. Stato sez. VI n. 4504/2009 e sez. VI 3981/2006 hanno riconosciuto la possibile rilevanza dell’errore nella dichiarazione resa dal concorrente in gara (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.02.2011 n. 221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAnche il provvedimento con cui l’amministrazione committente si oppone al subentro di un nuovo soggetto nella titolarità del contratto, per effetto di cessione d’azienda o di ramo d’azienda, è considerato espressione di poteri pubblicistici.
E’ controversa, nel giudizio in commento, la legittimità delle deliberazione con cui il Consiglio di Amministrazione di una Casa di soggiorno per anziani, nel prendere atto del contratto preliminare per la cessione del ramo di azienda stipulato fra i ricorrenti (due società cooperative), ne ha subordinato l’efficacia alla condizione che la Cooperativa cedente garantisse in via solidale con la cessionaria il corretto adempimento di tutte le obbligazioni a suo tempo assunte con la stipula del contratto d’appalto.
L’Amministrazione resistente eccepisce, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice adito, rilevando che si controverte in ordine a una vicenda modificativa di un contratto già sottoscritto che ha generato diritti soggettivi rimessi al vaglio del giudice ordinario.
In sede cautelare, il Tribunale amministrativo di Torino aveva implicitamente disatteso tale eccezione, ritenendo la propria giurisdizione e rilevando, nel merito, che la domanda di parte ricorrente appariva assistita da elementi di fumus, tuttavia, ad un più approfondito esame della questione, gli stessi giudici, non hanno confermato la decisione provvisoriamente assunta in punto di giurisdizione.
Occorre rammentare, infatti, segnalano i giudici piemontesi, che, in linea di principio, la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di appalti pubblici è limitata alle controversie concernenti la fase pubblicistica di scelta del contraente e non comprende le vicende successive alla stipulazione del contratto, afferendo queste ultime alla fase paritetica di esecuzione che è riservata al giudice ordinario.
In applicazione di tale regola di riparto, lo stesso Tribunale cisalpino, con sentenza della Seconda Sezione n. 1088 del 17.05.2008, si era già pronunciato su una fattispecie affine alla presente (si controverteva, per la precisione, circa la legittimità di un provvedimento con cui l’amministrazione si era opposta al subentro di un nuovo soggetto, per effetto dell’affitto del ramo di azienda, nella titolarità del contratto di appalto), declinando la propria giurisdizione.
La questione merita, però, continuano i giudici torinesi, di essere ulteriormente approfondita alla luce dei principi enunciati dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la decisione n. 1713 del 24.03.2010, avente ad oggetto il diniego opposto dall’amministrazione committente al subappalto in favore di altra impresa di alcune lavorazioni comprese nell’appalto affidato alla ricorrente.
Con tale pronuncia, il Giudice d’appello ha rilevato che, essendo il contatto di appalto stipulato da una pubblica amministrazione funzionale alla realizzazione di un interesse pubblico, non si può escludere che, anche nella fase esecutiva, vada configurata la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, nei casi in cui l’amministrazione disponga di poteri autoritativi nei confronti dell’affidatario il cui esercizio si manifesta attraverso atti di natura provvedimentale, a fronte dei quali la posizione dell’impresa appaltatrice si atteggia a interesse legittimo.
Tale è stato ritenuto il caso dell’autorizzazione (o del diniego di autorizzazione) al subappalto, disciplinata dall’art. 118, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006, la quale si configura come istituto preordinato anche al perseguimento di interessi (pubblicistici) ulteriori rispetto a quello inerente la corretta esecuzione dell’opera. L’art. 118 cit., infatti, persegue chiare finalità di ordine pubblico laddove conferisce all’amministrazione un potere di controllo inteso a prevenire il rischio di infiltrazioni criminali negli appalti pubblici.
Ma anche nella parte in cui detta disposizione prescrive che siano previamente accertate le condizioni per l’ammissibilità del subappalto (quale la verifica del possesso dei requisiti di qualificazione in capo al subappaltatore), essa non può considerarsi unicamente intesa a tutelare l’interesse dell’amministrazione committente all’immutabilità dell’affidatario (interesse che, in sé considerato, risulta sostanzialmente omologo a quello di un privato), ma risulta funzionale ad evitare che nella fase esecutiva del contratto si pervenga, attraverso modifiche sostanziali dell’assetto di interessi scaturito dalla gara pubblica, a vanificare proprio quell’interesse pubblico che ha imposto lo svolgimento di una procedura selettiva e legittimato l’individuazione di una determinata offerta come la più idonea a soddisfare le esigenze della collettività cui l’appalto è preordinato.
La fattispecie al vaglio del Collegio presenta apparenti elementi di affinità con quella decisa dal Giudice d’appello, atteso che i presupposti del provvedimento di opposizione alla cessione di azienda definiti dalla legge vigente (art. 116 del d.lgs. n. 163/2006), essenzialmente riconducibili alle risultanze delle comunicazioni “antimafia” e all’accertamento della mancanza dei requisiti di qualificazione in capo al cessionario, riecheggiano quelli del divieto di subappalto.
La trasposizione dei principi affermati dal Consiglio di Stato comporta che, in linea di principio, anche il provvedimento con cui l’amministrazione committente si oppone al subentro di un nuovo soggetto nella titolarità del contratto, per effetto di cessione d’azienda o di ramo d’azienda, in quanto finalizzato al perseguimento di interessi pubblici diversi rispetto a quelli inerenti la mera immodificabilità dell’esecutore e la corretta esecuzione del contratto, vada considerato quale espressione di poteri pubblicistici di natura autoritativa, a fronte dei quali la posizione del privato contraente assume consistenza di interesse legittimo (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.02.2011 n. 217    - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Sussiste la giurisdizione del g.o. in assenza di dichiarazione di pubblica utilità.
La mancata pronuncia di dichiarazione di pubblica utilità radica, secondo stabile e condivisibile giurisprudenza, la giurisdizione del Giudice Ordinario (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 15.09.2010, n. 6861; Cass. civ., SU, 20.12.2006, n. 27190).
L’assenza di dichiarazione di pubblica utilità rende infatti l’operato dell’amministrazione comportamento non riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere (sul punto, Cons. Stato, AP, 30.07.2007, n. 9), circostanza invece richiesta dall’art. 133, comma 1, lett. g), cpa, per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di espropriazione per pubblica utilità (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 25.02.2011 n. 426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il divieto di commistione non comporta che sia sempre precluso alle amministrazioni aggiudicatrici di dare rilievo alle capacità, alle esperienze ed alle referenze dei concorrenti.
L’avviso di selezione, a dire della ricorrente, violerebbe il “divieto di commistione tra requisiti di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell’offerta”, divieto di derivazione comunitaria e comunque desumibile dagli articoli 42 ed 83 del Codice dei contratti pubblici.
Il Collegio osserva che la censura, più esattamente, invoca il rispetto del divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell'offerta ed i requisiti soggettivi dell'impresa concorrente.
Vero è –come sottolinea la difesa delle parti resistenti– che la concessione di servizi in esame è disciplinata dall’articolo 30 del Codice dei contratti pubblici, ed è quindi essenzialmente governata dai principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, desumibili dal Trattato e dal Codice stesso, a tutela del mercato e della concorrenza. Ma in quest’ambito può farsi rientrare anche il divieto di commistione invocato dalla ricorrente.
Il Collegio rileva quindi l’esistenza di un orientamento recente del Consiglio di Stato, tendente a mitigare la più rigorosa interpretazione prevalsa in passato, secondo il quale il divieto in questione conosce un'applicazione attenuata nel settore dei servizi laddove l'offerta tecnica non si sostanzia in un progetto o in un prodotto, ma nella descrizione di un facere che può essere valutato unicamente sulla base di criteri quali-quantitativi, fra i quali ben può rientrare la considerazione della pregressa esperienza dell'operatore, come anche della solidità ed estensione della sua organizzazione d'impresa.
Dalla considerazione dell'esperienza maturata da una concorrente possono quindi trarsi indici significativi della qualità delle prestazioni e dell'affidabilità dell'impresa, qualora tali aspetti non risultino preponderante nella valutazione complessiva dell'offerta (cfr. Cons. Stato, V, 02.10.2009, n. 6002; vedi anche, 12.06.2009, n. 3716; IV, 25.11.2008, n. 5808) (TAR Umbria, sentenza 25.02.2011 n. 61 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G.U. 25.02.2011 n. 46 "Disposizioni concernenti i criteri di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 37 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122, ai fini della partecipazione alla procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 e successive modificazioni" (Ministero dell'Economia e Finanze, decreto 14.12.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 8 del 25.02.2011, "Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2011" (L.R. 21.02.2011 n. 3).
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La presente legge modifica/integra numerose normative regionali in materia, tra l'altro, di:
- B.U.R.L. (cfr. art. 3);
- cementi armati (cfr. art. 9);
- opere pubbliche di interesse regionale (cfr. art. 10);
- legge regionale n. 12/2005 (cfr. art. 12);
- rifiuti (cfr. art. 15);
- inquinamento acustico (cfr. art. 16);
- emissioni in atmosfera (cfr. art. 17).

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Collegato ordinamentale 2011 Regione Lombardia: nuove modifiche alla legge 12/2005.
Nella seduta del 15.02.2001 il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato il cd. "Collegato ordinamentale 2011". Come si legge nel comunicato stampa regionale,
Tra le novità previste, una nuova proroga ai Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi definitivamente del piano di governo del territorio (PGT) e il via libera alle deroghe eccezionali ai limiti sull’inquinamento acustico oggi previste nel caso essi dovessero mettere a repentaglio lo svolgimento di eventi di rilievo internazionali, come ad esempio i grandi concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i Centri culturali a carattere religioso agli edifici di culto, prevedendo per la loro realizzazione uno specifico percorso di programmazione nei piani regolatori. Via libera anche alla norma che dà la possibilità ai Comuni di negare l’autorizzazione ad aprire attività commerciali nei centri storici se in contrasto con il “decoro pubblico” e le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la direttiva europea Bolkestein sul commercio e introduce norme di semplificazione burocratica nell’edilizia e per lo svolgimento di alcune attività, come ad esempio la certificazione energetica, un settore in espansione e al quale potranno accedere adesso ai corsi formativi anche i cittadini non iscritti a un albo.
Ancora una volta, dunque, l'ennesima applicazione di quel vizio di tecnica legislativa secondo cui con unica disposizione si apportano importanti modifiche a legislazioni del tutto diverse tra loro, senza nessuna attenzione ai complessi processi di implementazione della normativa vigente, verso cui la stessa Regione dichiara di voler prestare la massima attenzione (v. Analisi dell'attuazione delle leggi e valutazione degli effetti delle politiche regionali sul sito del Consiglio regionale).
Il collegato ordinamentale meriterebbe un'analisi a sé. In ogni caso, le modifiche relative alla legge n. 12 del 2005 sono contenute nell'articolo 12, tra le quali vanno segnalate:
- le modifiche dell'articolo 4 (Valutazione ambientale dei piani), anche attraverso l'introdzione del comma 3-bis, finalizzato a superare le note perplessità relative alle procedure di VAS e alla nomina dei relativi responsabili;
- la modifica dell'articolo 25 (Norma transitoria), dove la data del 31.03.2010 per l'approvazione dei PGT é differita al 31.12.2012;
- la modifica dell'articolo 26 (Adeguamento dei piani), cui dopo il comma 3-ter dell’articolo 26 é aggiunto il comma 3-quater, secondo cui "I comuni che alla data del 30.09.2011 non hanno adottato il PGT non possono dar corso all’approvazione di piani attuativi del vigente PRG comunque denominati, fatta salva l’approvazione dei piani già adottati alla medesima data”;
- l'introduzione dell'articolo 32-bis (Adempimenti del comune), a norma del quale "Nell’ambito delle procedure di cui ai capi II e III, il comune, dietro corresponsione dei diritti amministrativi e delle spese dovuti, è tenuto a corredare d’ufficio le domande di permesso di costruire o le denunce di inizio attività di tutti i certificati il cui rilascio è di sua competenza”;
- la sostituzione del secondo comma dell'articolo 41 (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività), il cui nuovo testo recita “2. Nel caso di interventi assentiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività, è data facoltà all’interessato di presentare comunicazione di eseguita attività sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che non incidano sugli indici urbanistici e sulle volumetrie, che non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell’edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali comunicazioni costituiscono parte integrante del procedimento relativo al titolo abilitativo dell’intervento principale e possono essere presentate al comune sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.”;
- l'integrazione dell'articolo 71, in materia di edifici di culto, cui dopo la lettera c) del comma 1 è aggiunta la disposizione c bis): "gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali”;
- la riscrittura del comma 1 dell’articolo 86, in materia di interventi sostitutivi in caso di inerzia o di ritardi nel rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, il cui nuovo testo dispone: "1. Qualora l’autorizzazione paesaggistica non venga rilasciata o negata dagli enti competenti nei termini di legge, l’interessato può richiederla in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 146, comma 10, del d.lgs. 42/2004. Nel caso di richiesta alla Regione, il Presidente della Giunta regionale o l’assessore competente, se delegato, provvede entro sessanta giorni dal ricevimento della stessa, anche mediante un commissario ad acta, scelto tra i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 31.” (link a http://studiospallino.blogspot.com).

APPALTI: Sull'interpretazione dell'art. 38, c. 1, lett. i), del d.lgs. n. 163 del 2006.
Il concorrente di una gara d'appalto, qualora il bando di gara richieda genericamente, come nel caso di specie, una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38, c. 1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, può essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l'eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato, e cioè non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, mediante accertamenti ulteriori.
Soltanto, infatti, quando il bando richieda che debbano essere dichiarate tutte le violazioni contributive in cui il concorrente sia eventualmente incorso, può dedursi che lo stesso bando esiga una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dal citato art. 38: infatti, soltanto in tali ipotesi può inferirsi che la stazione appaltante si sia riservata una valutazione più ampia di gravità o meno dell'illecito per poter procedere all'esclusione dalla gara, in ragione, evidentemente, di una causa che non sia solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione (nella specie contributiva), ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.02.2011 n. 1228 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Requisiti morali, dichiarazione anche per i rappresentanti.
L'obbligo di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste anche per tutti coloro che sono muniti di poteri di rappresentanza anche se non rivestono formalmente la carica di amministratore. Il requisito dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina dei componenti della commissione giudicatrice, deve essere inteso in relazione alla poliedricità delle competenze richieste in funzione delle complessive prestazioni da affidare.
L’obbligo di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste anche per tutti coloro che sono muniti di poteri di rappresentanza anche se non rivestono formalmente la carica di amministratore.
Il requisito dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina dei componenti della commissione giudicatrice, deve essere inteso in relazione alla poliedricità delle competenze richieste in funzione delle complessive prestazioni da affidare.

Con sentenza 24.02.2011 n. 554, la I Sezione del TAR della Lombardia-Milano ha affermato che l'obbligo di dichiarazione avente ad oggetto la sussistenza dei requisiti morali degli operatori economici, previsto dall'art. 38 d.lgs. 12.04.2006 n. 163, sussiste in capo alle persone fisiche munite di potere di rappresentanza dei concorrenti anche se si tratta di soggetti che non rivestono formalmente la carica di amministratore soltanto se, in qualità di procuratore ad negotia, abbiano ottenuto il conferimento di poteri di rappresentanza dell'impresa e di compiere atti decisionali consistenti nella possibilità di partecipare alle gare e di firmare contratti.
L'interesse perseguito dal legislatore mediante l’obbligo di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 è quello di verificare la condotta di coloro che determinano le scelte all'interno dell'impresa e non di coloro che manifestano all'esterno tali scelte, pur se dotati di poteri gestionali, ove gli stessi siano stati circoscritti nell'ambito degli indirizzi impartiti dall'imprenditore; pertanto, la mancanza di una dichiarazione, anche laddove effettivamente esigibile, deve considerarsi neutrale ai fini dell'ammissione alla gara ove la “moralità” del soggetto coinvolto non sia contestata, secondo il principio del cd. “falso innocuo”.
Relativamente al requisito generale dell'esperienza “nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto” , previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, per i componenti della commissione giudicatrice di gara, i giudici lombardi hanno affermato che esso deve essere inteso gradatamente e in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare.
Pertanto, non occorre che l'esperienza professionale di ciascun componente copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la Commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto, nella specifica fattispecie, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Inoltre, è stato precisato che l'art. 84, comma 4, del codice dei contratti pubblici, a norma del quale i commissari diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta, mira ad impedire la partecipazione alla Commissione giudicatrice di soggetti che, nell'interesse proprio o in quello privato di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano assunto o possano assumere decisioni relativamente all'oggetto della procedura di gara (commento tratto da link a www.ipsoa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Gara - Dichiarazioni ex art. 38, Codice dei contratti pubblici - Obbligo - Procuratori ad negotia - Sussiste - Ratio.
2. Contratti della p.a. - Gara - Requisiti di partecipazione - Moralità dell'imprenditore - Soggetti interessati - Individuazione - Titolari del potere di scelta all'interno dell'impresa - Ragioni.

1. L'obbligo di presentazione della dichiarazione prevista dall'art. 38 del Codice dei contratti pubblici, nella formulazione precedente l'entrata in vigore del D.L. 13.05.2011, n. 70, deve ritenersi sussistente anche in capo ad un soggetto che non rivesta formalmente la carica di amministratore soltanto se, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri di rappresentanza dell'impresa e di compiere atti decisionali consistenti, in particolare, nella possibilità di partecipare alle gare e di firmare contratti (conf. v. Cons. Stato, sez. V, 09.03.2010, n. 1373).
2. L'interesse perseguito dal legislatore con l'art. 38, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 -che richiede il possesso di determinati requisiti c.d. di moralità nei confronti dell'imprenditore e degli amministratori con poteri di rappresentanza- è quello di verificare la condotta di coloro che determinano le scelte all'interno dell'impresa e non di coloro che manifestano all'esterno tali scelte, pur se dotati di poteri gestionali, ove gli stessi siano circoscritti nell'ambito degli indirizzi impartiti dall'imprenditore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.02.2011 n. 544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'affidamento temporaneo del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti, mediante il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente.
E' legittimo l'affidamento temporaneo del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti disposto da un comune mediante il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente, per far fronte all'improvvisa situazione di vuoto venutasi a creare a causa dell'intervenuta revoca dell'affidamento alla precedente affidataria del servizio, quale conseguenza del recesso dell'ente locale dalla suddetta società e della riscontrata impossibilità di procedere alla costituzione di una nuova società in house cui affidare in via diretta la gestione del servizio.
Nel caso di affidamento transitorio di un servizio mediante ordinanza contingibile ed urgente non si applica l'art. 23-bis del d.l. 112/2008. Tale disposizione, regola l'ipotesi di affidamento "ordinario" del servizio; è cioè destinata ad orientare l'ente pubblico nella scelta del possibile strumento attraverso cui gestire il servizio pubblico, mentre, nel caso di specie, il comune si trovava di fronte alla necessità di assicurare la continuità del servizio.
Quest'obiettivo non poteva essere perseguito che con l'unico strumento a disposizione dell'amministrazione e cioè il ricorso ad un'ordinanza contingibile ed urgente che imponesse al gestore uscente la continuazione del servizio per il lasso di tempo necessario ad individuare un nuovo gestore nel rispetto delle disposizioni che regolano la materia e, quindi, in questo caso, effettivamente, anche dell'art. 23-bis citato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 24.02.2011 n. 334 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL’esclusione della certificazione di qualità dall’ambito di applicazione dell’avvalimento può essere ricavata dalla scelta della P.A. di richiedere alle imprese il possesso della detta certificazione.
Sulla tematica di fondo affrontata nella pronuncia in commento, concernente l’utilizzabilità dell’istituto dell’avvalimento per soddisfare la richiesta relativa al possesso delle certificazioni di qualità, il Tribunale amministrativo di Cagliari si è già più volte pronunciato con sentenze che il Collegio in questione condivide e dalle cui conclusioni non ritiene di doversi discostare.
Si è ritenuto, innanzitutto, che la certificazione di qualità costituisca un requisito di natura soggettiva delle imprese per il quale non appare possibile utilizzare l’istituto dell’avvalimento disciplinato dall’art. 49 del codice dei contratti pubblici.
E’ stato sottolineato, continuano i giudici sardi, sia dalla giurisprudenza (TAR Sardegna, I Sez., 27/03/2007, n. 556), sia, in sede consultiva, dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr. parere n. 254 del 10.12.2008), che l’avvalimento è stato previsto limitatamente alla “richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA”.
La certificazione di qualità è, invece, da ritenersi requisito soggettivo dell’impresa, preordinato a garantire all’amministrazione appaltante la qualità dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute. Obiettivo che, per essere effettivamente perseguito, richiede necessariamente che la certificazione di qualità riguardi direttamente l’impresa appaltatrice.
Del resto, l’art. 49 del codice dei contratti pubblici è norma di derivazione comunitaria, e a questo riguardo è significativo notare, secondo i giudici isolani, che mentre gli artt. 47 e 48 della direttiva 31/03/2004 n. 2004/18/CE, ammettano espressamente la possibilità di avvalimento in relazione ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale, non altrettanto fa l’art. 49 della stessa direttiva con riguardo alle certificazioni di qualità. Il che si spiega considerando che la detta certificazione attesta la sussistenza di determinate prerogative intrinseche dell’operatore economico, in quanto tali non suscettibili di essere acquisite dall’esterno ricevendole in prestito da altro soggetto che le possegga.
L’esclusione della certificazione di qualità dall’ambito di applicazione dell’avvalimento deve essere, quindi, rinvenuta per un verso, nel tenore letterale dell’art. 49 cit.; per l’altro verso, in ragioni di carattere funzionale, attinenti agli scopi avuti di mira dall’amministrazione aggiudicatrice, quando esprima la scelta di richiedere alle imprese da ammettere alla gara il possesso della detta certificazione.
Peraltro, la giurisprudenza ha da tempo affermato questo principio con riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese, per i quali si è statuito che il requisito della certificazione di qualità eventualmente richiesto dal bando deve essere posseduto singolarmente da ciascuna impresa del raggruppamento, quantomeno nelle associazioni orizzontali (si veda Cons. Stato, V Sez., 15/06/2001, n. 3188) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 24.02.2011 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pubblica amministrazione. Tracciabilità semplificata. Meno dati per il codice di gara.
Dieci click al posto di quarantadue. La richiesta del Cig il numero di identificazione dell'appalto rilasciato dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, sarà più semplice: le informazioni che il sistema informatico pretenderà dalle stazioni appaltanti saranno drasticamente ridotte per passare dalle attuali 42 a sole dieci.
Ad annunciare la semplificazione -che è in fase di progettazione- è stato il presidente dell'Autorità, Giuseppe Brienza nell'audizione che si è svolta martedì alla commissione Ambiente della Camera.
Brienza ha fatto il punto sull'applicazione della legge antimafia (la n. 136/2010 in vigore dal 7 settembre) che per tutti gli appalti pubblici ha abolito il contante e ha reso obbligatoria la tracciabilità dei pagamenti. La semplificazione serve a rendere più veloce l'accesso al sistema informatico (Simog): le informazioni da immettere per avere il Cig (codice identificativo gara) e quindi ... (articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: A. Bonanni, FLUSSI E TEMPI DI PAGAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA DIRETTIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI - Intervento al Convegno organizzato dal Comune di Pisa, 24.02.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: Tracciabilità dei flussi finanziari: cosa devono fare imprese, società e professionisti che stipulano contratti di lavori pubblici.
Il 07.09.2010 è entrata in vigore la Legge 13.08.2010 - n. 136 con la quale sono state dettate disposizioni attuative circa la tracciabilità dei flussi finanziari relativi a contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, al fine di prevenire infiltrazioni criminali.
Si sono susseguiti diversi chiarimenti e modifiche ad opera del D.L. 12.11.2010 - n. 187 e della relativa Legge di conversione 17.12.2010 - n. 217.
Anche l’AVCP (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Fornitura) ha fornito una serie di indicazioni operative attraverso due determinazioni:
1- n. 8 del 18.11.2010 (con l’obiettivo di fornire indicazioni applicative circa l’articolo 3 della legge n. 136/2010, come modificato dal D.L. n. 187/2010);
2- n. 10 del 22.12.2010 (con cui ha emanato ulteriori indicazioni operative per la concreta attuazione degli obblighi di tracciabilità, con particolare riguardo alle problematiche segnalate da stazioni appaltanti ed operatori economici).
Vediamo in sintesi quali sono i contenuti previsti dall’art. 3 della Legge 136, come modificato dai successivi disposti normativi:
- tutte le operazioni finanziarie relative a qualsiasi contratto con un soggetto pubblico avente ad oggetto lavori, servizi o forniture devono essere effettuate su conti correnti bancari o postali dedicati;
- tali operazioni finanziarie devono essere effettuate mediante bonifici bancari o postali o altri strumenti di pagamento idonei a consentirne la piena tracciabilità;
- i pagamenti devono riportare dei codici identificativi (CIG – CUP).
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha ritenuto opportuno pubblicare un documento al fine di riepilogare le soluzioni ai problemi di carattere applicativo ed interpretativo, fornendo un inquadramento generale della materia e cercando di dare indicazioni circa le questioni rimaste irrisolte.
Inoltre ha predisposto anche una serie di schemi di clausole da inserire nei contratti per l’attuazione degli obblighi di tracciabilità.
In particolare, viene chiarito il concetto di conto dedicato, che non implica l’obbligo di aprire un nuovo conto per ogni commessa pubblica, ma che si traduce nell’obbligo di indicarne gli estremi all’amministrazione pubblica nel termine di sette giorni dall’accensione del conto, ovvero, nel caso di utilizzazione di un conto preesistente, entro sette giorni dalla sua destinazione alla commessa pubblica e in ogni caso prima che venga effettuata un’operazione finanziaria relativa alla commessa cui viene dedicato.
Relativamente agli strumenti di pagamento, oltre ai bonifici, sono da considerare idonee le ricevute bancarie, anche nella forma elettronica (in questo caso è necessario che i codici siano inseriti fin dall’inizio della procedura elettronica dal beneficiario). Viceversa, il servizio di pagamento RID allo stato attuale non consente di rispettare il requisito della piena tracciabilità.
Gli elementi che consentono di ricostruire il flusso finanziario sono costituiti dai codici CIG (Codice Identificativo di Gara) e CUP (Codice Unico di Progetto) che devono essere necessariamente inseriti negli strumenti di pagamento utilizzati dall’amministrazione appaltante e dai contraenti privati.
Il documento dell’ANCE, inoltre, analizza: ... (link a www.acca.it).

APPALTI: Provvedimento di annotazione nel casellario informatico - AVCP e stazione appaltante - Margini di autonomia valutativa.
Il provvedimento di annotazione nel casellario informatico da parte dell’AVCP (nella specie, per difetto del requisito della regolarità contributiva) non è meramente consequenziale e ancillare rispetto a quello della stazione appaltante, mantenendo invece nei confronti di questo apprezzabili margini di autonomia valutativa e procedimentale, non essendo quindi precluso, per la differenza della provenienza soggettiva e degli stessi effetti rivenienti dall’uno e dall’altro dei suddetti provvedimenti, una diversificata considerazione, in ciascuno dei provvedimenti stessi, della medesima fattispecie che ad essi ha dato luogo (cfr. CdS, VI, 05.07.2010, n. 4243) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 22.02.2011 n. 1675 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'obbligo, in capo ad un'impresa concorrente in una gara d'appalto, di rispettare il requisito di regolarità contributivo per tutta la durata della procedura.
Sulla competenza degli enti previdenziali in ordine alla verifica della regolarità contributiva da parte dei concorrenti in una gara d'appalto.
Secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, il requisito della regolarità contributiva deve essere un elemento costante nella condotta del concorrente in una gara pubblica, che concorre a provare l'affidabilità, diligenza e serietà dell'impresa.
Ne discende che alla stessa vengano richiesti, non solo la regolarità contributiva come requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, ma anche il mantenimento della "correntezza" contributiva per tutto lo svolgimento di essa, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo della relativa obbligazione.
In tal senso, anche la l'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, nel richiamare l'orientamento giurisprudenziale prevalente, ai sensi del quale l'impresa deve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda, ritiene "irrilevanti eventuali adempimenti tardivi, pur se i loro effetti, dal punto di vista della disciplina dell'obbligazione, retroagiscano al momento della scadenza del termine di pagamento" (Delib. n. 89 del 28.11.2006), non riuscendo detti adempimenti ad impedire quella sorta di sanzione indiretta costituita dall'esclusione dalla gara o dall'effetto preclusivo dell'aggiudicazione dell'appalto pubblico.
E' dunque evidente, nel caso di specie, la legittimità e correttezza dell'operato della stazione appaltante che, all'esito di una accertata irregolarità contributiva in capo all'impresa e della conseguente mendace dichiarazione con riferimento al possesso dei requisiti di cui all'art. 38, c. 1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, dichiari l'esclusione della ricorrente dalla procedura di gara, secondo quanto disposto dall'art. 49 del medesimo decreto.
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A seguito dell'entrata in vigore della disciplina sul certificato di regolarità contributiva di cui agli artt. 2 del d.l. n. 210/2002 e 3, c. 8, lett. b-bis) del d.lgs. n. 494/1996, la verifica della regolarità contributiva non rientra più nella competenza delle stazioni appaltanti, bensì in quella degli enti previdenziali, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto. Di conseguenza, la stazione appaltante non ha alcuna possibilità di procedere ad autonoma verifica del requisito soggettivo di regolarità contributiva, e deve attenersi a quanto certificato dall'amministrazione competente.
Il DURC assume pertanto la valenza di una "dichiarazione di scienza", da collocarsi tra gli atti di certificazione od attestazione redatti da un pubblico ufficiale, aventi carattere meramente dichiarativo dei dati in possesso della p.a., assistito da pubblica fede ai sensi dell'art. 2700 c.c., facente piena prova fino a querela di falso (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 22.02.2011 n. 1672 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla ratio dell'esclusione stabilita dall'art. 38, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006.
La ratio dell'esclusione stabilita dall'art. 38 lett. f) del d. lgs. n. 163 del 2006, poggia sulla necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico.
Da ciò discende che, ai fini dell'esclusione di un concorrente da una gara, non è necessario un accertamento della responsabilità del contraente per l'inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l'esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell'amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell'esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara che abbia fatto venir meno la fiducia nell'impresa.
Trattandosi di esercizio di potere discrezionale, esso è soggetto al sindacato del giudice amministrativo nei limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.02.2011 n. 1107 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL'assenza di dettagliate indicazioni nei verbali di gara non costituisce di per sé motivo di illegittimità.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 22.02.2011 n. 1094, ha fornito utili indicazioni al fine di stabilire quando alcune lacune nei verbali di gara possano determinare l’invalidità dell’atto verbalizzato e di conseguenza riflettersi sulla complessiva legittimità dell’attività posta in essere dalla commissione di gara.
Nel ricorso in oggetto l’impresa ricorrente censurava l’operato della commissione che, a suo dire, non avrebbe compiuto una verbalizzazione analitica degli atti di gara in quanto avrebbe omesso di indicare:
1) l’orario di inizio e di conclusione dei lavori in un verbale di gara;
2) il rispetto delle misure cautelari adottate per evitare che le buste contenenti le offerte tecniche venissero aperte fino al momento della valutazione del loro contenuto.
Per quanto riguarda la prima censura il Consiglio di Stato ha precisato che le irregolarità nei verbali di gara possono determinare l’invalidità dell’atto verbalizzato solo quando attengano ad aspetti dell’azione amministrativa la cui conoscenza risulta necessaria per valutare la correttezza dell’operato della P.A., al contrario, ove attengano ad aspetti non determinanti dell’azione della commissione di gara, devono essere considerate solamente come mere irregolarità formali non idonee a determinare l’illegittimità dell’atto verbalizzato.
Sul punto i giudici hanno precisato “La giurisprudenza formatasi al riguardo, e condivisa dalla Sezione, afferma in proposito che l’indicazione della durata delle operazione verbalizzate (e, quindi, dell’orario di inizio e di chiusura della seduta collegiale) in alcuni casi può essere considerato un elemento essenziale (ad esempio, per i verbali delle commissioni di concorso, perché tale dato può essere necessario per controllare la ponderatezza delle relative determinazioni); in altri casi, cioè nelle ipotesi in cui si evince altrimenti che la valutazione è stata attenta e ponderata può risultare, invece, superflua (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.04.2008, n. 1575)”.
Applicando in concreto tali principi, il Consiglio di Stato ha sottolineato come la mancata indicazione dell’orario era irrilevante in quanto dalla lettura del verbale di gara risultava evidente la valutazione ponderata della documentazione contenente le specifiche tecniche ed organizzative dei servizi proposti.
Per quanto riguarda la seconda censura, l’appellante asseriva che il solo sospetto della mancata adozione in astratto di idonee misure cautelari per tutelare la segretezza delle offerte, avrebbe dovuto essere elemento sufficiente a determinare l’invalidità della gara, a nulla valendo che in concreto non vi fosse stata alcuna violazione dell’obbligo di segretezza.
Sul punto il Consiglio di Stato ha sottolineato come nel caso di specie l’appellante non avesse fornito neanche il minimo principio di prova della eventuale manomissione dei plichi o quanto meno di un concreto pericolo di omissione, e di conseguenza non poteva trovare applicazione quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela dell’integrità dei plichi deve essere considerata in astratto e quindi il semplice rischio di manomissione è sufficiente a determinare l’invalidità delle operazioni di gara (Consiglio di Stato Sezione V, 06.03.2006 n. 1068 e 21.05.2010, n. 3203).
Ed infatti “Ritiene al riguardo la Sezione di non poter apprezzare favorevolmente la censura relativa alla mancata indicazione delle cautele concretamente adottate al fine di garantire la segretezza delle offerte, sia in quanto genericamente dedotta (senza alcun concreto riferimento alle presunte insufficienti modalità ed alle conseguenti ricadute negative sulla regolarità della gara), sia alla luce del preminente orientamento, condiviso dal Collegio, a tenore del quale la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 05.10.2005, n. 5360; sez. V, 20.09.2001, n. 4973; sez. V, 10.05.2005 n. 2342; sezione V 25.07.2006 n. 4657)”.
Con tale sentenza dunque il Consiglio di Stato ha sottolineato come costituirebbe una inutile e formalistica decisione, non in linea con il criterio di logicità e buon andamento a cui deve uniformarsi la P.A., quella di annullare una gara solo sulla base di un generico (e insussistente nel caso concreto) sospetto di condotte idonee ad inquinare lo svolgimento della procedura di gara (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sui casi di invalidità del verbale di gara in materia di procedure d'appalto.
La tutela dell'integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto.

La giurisprudenza afferma che l'indicazione della durata delle operazioni verbalizzate, in alcuni casi può essere considerato un elemento essenziale; in altri casi, cioè nelle ipotesi in cui si evince altrimenti che la valutazione è stata attenta e ponderata può risultare, invece, superflua.
Le lacune del verbale possano causare l'invalidità dell'atto verbalizzato solo nel caso in cui esse riguardino aspetti dell'azione amministrativa, la cui conoscenza risulti necessaria per poterne verificare la correttezza, mentre quelli concernenti aspetti diversi e non determinanti danno luogo a mere irregolarità formali, come tali inidonee a comportare l'illegittimità dell'atto che tali omissioni presenti.
Nel caso di specie, la mancata indicazione dell'orario di inizio e di fine della seduta non è idonea a comportarne la illegittimità, atteso che la lettura della documentazione tecnica contenente le specifiche tecniche ed organizzative dei servizi proposti era indice di valutazione ponderata della documentazione de qua, con irrilevanza della mancata indicazione della ora di inizio e conclusione della seduta, non essendo stato provato ed anzi risultando "per tabulas" che comunque il tempo dedicato alla disamina di detta documentazione non poteva essere stato palesemente insufficiente.
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La mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l'alterazione della documentazione.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la tutela dell'integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto, e quindi è sufficiente che la documentazione di gara sia stata sottoposta a rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, tuttavia, nel caso di specie, non è stata provata l'eventuale manomissione dei plichi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.02.2011 n. 1094 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'esclusione dalle gare ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006.
L'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, dispone che l'esclusione dalle gare e il divieto di affidamento di subappalti, per condanna incidente sulla moralità professionale, operano anche se la condanna è intervenuta "nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione".
Esiste la possibilità, tuttavia, per l'operatore economico interessato e con riferimento a detto triennio, di interrompere il nesso di identificazione adottando "atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata", tenendo conto, in particolare, che il recupero dell'affidabilità dell'impresa non avviene automaticamente per effetto della semplice sostituzione del soggetto inquisito.
E', infatti, ininfluente la circostanza che l'operatore economico abbia cessato di avvalersi dell'amministratore o del direttore tecnico condannati, tranne nel caso in cui dimostri di averli per tale ragione estromessi dall'incarico e di essersi completamente dissociato dalla condotta penalmente sanzionata (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 22.02.2011 n. 1652 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Valutazione dell'offerta economica - Formula di valutazione - Discrezionalità - Sussiste - Condizioni - Proporzionalità fra punteggi assegnati e singole offerte - Necessaria.
La formula da utilizzare per la valutazione dell'offerta economica, essendo espressione di una scelta ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, deve ritenersi corretta ove sia tale da consentire una ripartizione dei punteggi, fra le singole offerte economiche, che risulti connotata da non incongrui rapporti proporzionali (conf. v. TAR Lombardia Milano, sez. I, 10.08.2009, n. 4572) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 524 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Criterio di aggiudicazione - Offerta economicamente più vantaggiosa - Motivazione - Espressa mediante punteggio numerico - Ammissibile - Condizioni - Criteri di giudizio stabiliti in modo analitico.
In caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione quando i criteri di giudizio stabiliti siano estremamente puntuali ed analitici, sicché anche il solo dato numerico -predeterminato nel minimo e nel massimo- è idoneo a dimostrare la logicità dell'apprezzamento tecnico (conf. v. Cons. Stato, sez. V, 29.12.2009, n. 8833; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 19.11.2010, n. 4660; TAR Sicilia-Catania, sez. III, 16.11.2010, n. 4469; TAR Campania Salerno, sez. I, 11.05.2010, n. 5929) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di anomalia - Obbligo di motivare in maniera approfondita - Sussistenza - Soltanto nel caso di giudizio negativo idoneo a far venire meno l'aggiudicazione.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara - Clausole immediatamente preclusive della partecipazione alla gara - Impugnazione immediata - Necessità - Sussiste.
3. Contratti della p.a. - Appalto - Verifica dell'integrità dei plichi - Deve svolgersi in seduta pubblica - Principio generale - Violazione - Sussiste in caso di apertura riservata dei plichi - Effetti - Illegittimità della procedura di gara.

1. Il giudizio positivo di congruità dell'offerta sospetta di anomalia non abbisogna di motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente anche un rinvio alle argomentazioni e alle giustificazioni della parte che ha formulato l'offerta sottoposta a verifica con esito positivo, mentre si impone una motivazione particolarmente diffusa ed analitica soltanto in caso di giudizio di anomalia che porta a non procedere all'aggiudicazione a favore dell'impresa che abbia formulato il migliore ribasso (conf. v. TAR Piemonte, sez. I, 16.11.2009, n. 2553).
2. Soltanto le clausole dei bandi di concorso che prevedono requisiti soggettivi che siano immediatamente preclusivi della partecipazione alla gara debbono essere impugnate nel prescritto termine di decadenza dai soggetti interessati, senza attendere l'adozione di appositi provvedimenti, che ne diano successivamente applicazione (conf. v. Cons. Stato, sez. VI, 08.07.2010, n. 4437).
3. Costituisce principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo il quale devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa, che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero quella economica: risulta conseguentemente illegittima l'apertura riservata dei plichi, con conseguente illegittimità dell'intera procedura di gara (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.02.2011 n. 520 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: G. M. Di Paolo, L’AVVALIMENTO NEL REGOLAMENTO ATTUATIVO DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI - Intervento al Convegno di aggiornamento organizzato a Milano per Convenia, 22.02.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: L'applicabilità del regime dell'affidamento in economia di beni, servizi, lavori, non può privare l'amministrazione della facoltà, in ragione delle peculiarità delle prestazioni da richiedere, di ricorrere alle procedure aperte.
L'applicabilità del regime dell'affidamento in economia di beni, servizi, lavori, non può privare l'amministrazione della facoltà, in ragione delle peculiarità delle prestazioni da richiedere, di ricorrere alle procedure aperte regolate dal d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) applicando quelle regole che, comunque, gli articoli 121 e, per gli appalti di servizi, 124 del suddetto codice impongono anche agli appalti sotto soglia comunitaria.
Ne consegue che, nel caso di specie, è legittima la scelta del comune di affidare mediante procedura aperta e con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006, il servizio di brokeraggio assicurativo, sebbene, in astratto, data l'entità del servizio, l'ente locale avrebbe potuto seguire le regole dell'affidamento dei servizi in economia di cui all'art. 125 del codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.02.2011 n. 1082 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTINo all'esclusione se la relazione al bando è lunga. Consiglio di stato. Non contano le pagine.
Nei bandi di gara la prescrizione di un numero massimo di pagine per la relazione tecnica è solo indicativa e la sua inosservanza non è causa di esclusione se non per espressa previsione del bando.
Così si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 21.02.2011 n. 1080.
Fra i motivi contestati in appello a un comune dalla società arrivata quarta, la doverosità dell'esclusione dell'aggiudicataria per non aver osservato quanto disposto dal bando-disciplinare laddove prescriveva che ogni concorrente avrebbe dovuto presentare una relazione dettagliata per un numero di pagine non superiore a 15.
I giudici hanno aderito alle argomentazioni di una sentenza precedente della stessa sezione V (sentenza 3437/2007) secondo la quale, nel caso in cui il bando preveda la presentazione di una relazione formata da non più di un certo numero di pagine, tale prescrizione sia derogabile.
L'esclusione di un concorrente non può essere disposta in mancanza di un'espressa sanzione penalizzante in caso di inosservanza di una disposizione contenuta nella lex specialis della gara.
L'esclusione, inoltre, non può essere disposta in presenza di clausole equivoche. Nel caso in questione, al di là della generica indicazione del numero di pagine, non venivano fornite nel bando ulteriori precisazioni circa i parametri grafici da utilizzare quali, ad esempio, il margine, il numero delle righe, il corpo o il tipo dei caratteri da utilizzare.
In tal caso, a parità di pagine, poteva verificarsi una notevole differenza in merito ai contenuti quantitativi delle singole relazioni (uno scritto di poche pagine con caratteri piccoli, più righe e margini ridotti può avere contenuti maggiori rispetto a uno scritto su un numero maggiore di pagine, ma redatto con caratteri grandi e con ampi margini).
In definitiva, la presenza nel bando di una clausola equivoca (priva di rigide prescrizioni circa la struttura delle pagine della relazione) e sfornita di apposita previsione di esclusione nell'ipotesi di mancato rispetto della stessa, riveste carattere essenzialmente indicativo e di massima e preclude -anche in funzione dei principi di favor partecipationis- la possibilità di escludere legittimamente il concorrente che non abbia osservato la clausola stessa. Se così non fosse, del resto, la disposizione stessa, si presterebbe a inammissibili forme discriminatorie.
Inoltre, qualora alla relazione siano allegati ulteriori documenti e la loro inclusione nell'offerta tecnica non sia preclusa (tantomeno a pena di esclusione), nel caso in cui gli stessi non siano richiamati in alcun punto della relazione, tali documenti non sono da considerarsi parte integrante della stessa e non si è pertanto in presenza di un'offerta sostanzialmente difforme da quella richiesta (articolo Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Gara - Aggiudicazione - Metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Criteri di individuazione - Attribuzione di punteggi alle singole componenti dell'offerta - Potere discrezionale della p.a. - Sussiste.
L'attribuzione dei punteggi alle singole componenti dell'offerta -in una procedura ad evidenza pubblica da aggiudicarsi secondo il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa- è rimessa al potere discrezionale della pubblica amministrazione, cui compete stabilire in qual modo la qualità del servizio debba rapportarsi con il suo costo, e risulta sottratta al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, tranne che per vizi meramente estrinseci (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Forme di contrattazione - Procedura negoziata - Bando - Possibilità di offerte migliorative plurime - Fase di rilancio - Contrattazione con tutte le imprese concorrenti - Legittima.
Nell'ambito di una procedura negoziata per l'affidamento di un servizio, qualora il bando abbia previsto la possibilità di offerte migliorative plurime, la stazione appaltante può attendere di conoscere il contenuto delle offerte per poi valutare se l'esito risponda o meno alle proprie aspettative e, nella eventuale fase di rilancio, può legittimamente negoziare con tutte le imprese concorrenti (e non soltanto con l'impresa che abbia offerto il massimo ribasso al termine della prima fase) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIMancato assolvimento dell'obbligo di comunicazione dell'aggiudicazione definitiva ai concorrenti non vincitori - Non determina l'invalidità dell'aggiudicazione ma rileva ai fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione.
L'inosservanza da parte della stazione appaltante dell'obbligo di comunicazione dell'aggiudicazione definitiva ai concorrenti non vincitori della procedura selettiva non costituisce causa sopravvenuta di invalidità dell'aggiudicazione, incidendo esclusivamente sul distinto profilo della tutela degli interessati e rilevando ai fini della decorrenza dei termini per proporre ricorso al Giudice amministrativo avverso l'aggiudicazione (30 giorni dall'avvenuta conoscenza) (Cfr. Cons. Stato, Sez. V 08.07.2010 n. 4434) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.02.2011 n. 512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nessun appalto sfugge al vincolo di tracciabilità. La registrazione è estesa a tutti i nuovi contratti.
Non sono bastate due determinazioni a chiarire i dubbi applicativi in materia di tracciabilità dei flussi finanziari e, a meno di un mese dall'emanazione dell'atto n. 10 del 22.12.2010, l'Autorità di vigilanza sui contratti ha pubblicato anche i quesiti operativi più frequenti (Faq).
La tracciabilità è il tema che più di ogni altro, in queste settimane, scalda il clima negli enti locali e non solo, viste le complesse implicazioni anche per i soggetti economici. Trai punti più sofferti c'è l'inesistenza di un limite di importo.
La legge prevede, infatti, che i nuovi obblighi si applichino a tutti i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture tra un committente pubblico e un operatore economico, indipendentemente dalle procedure di affidamento (gara, servizi in economia eccetera) e senza differenza fra modalità di stipula del contratto (contratto formale, ordine a seguito di offerta eccetera). La portata applicativa della nuova disciplina, quindi, è ampia e comprende anche i contratti relativi a piccole forniture o a servizi di modico valore, acquistati in economia.
L'altro punto delicato è rappresentato dall'esclusione dagli obblighi di tracciabilità degli acquisti effettuati utilizzando il fondo economale, per spese di carattere occasionale ed urgente. A condizione, però: che non si tratti di spese effettuate a fronte di contratti di appalto; che gli acquisti siano tipizzati nel regolamento di contabilità o di economato e nel rispetto dei limiti di spesa che l'ente si è dato nel regolamento della cassa economale.
Problematica anche la strada dell'esclusione dalla tracciabilità dello svolgimento di prestazioni di lavori, servizi e forniture in economia, tramite amministrazione diretta ex articolo 125, comma 3 del Codice dei contratti. Anche in questi casi -in cui la stazione appaltante provvede all'esecuzione di opere con materiali, mezzi e personale ... (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICIAbolito l'istituto dell'accessione invertita, il dovere del Comune è quello della restituzione del bene che risulti essere ancora nella proprietà dei privati.
Il Collegio ritiene di dovere ulteriormente precisare, in ordine al ventilato perfezionamento del passaggio di proprietà per accessione invertita, che l'effetto acquisitivo automatico derivante dall'alterazione definitiva dello stato dei luoghi non trova più copertura normativa e/o giurisprudenziale nel nostro ordinamento a seguito delle statuizioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha ritenuto, nella pronuncia della Sezione IV del 06.03.2007 n. 43662, che l'istituto della occupazione acquisitiva sia lesivo del principio di legalità, per la perdita di proprietà sulla base di un atto inizialmente illegittimo che implica in primo luogo l'applicazione del principio della restituito in integrum e, ove ciò non sia possibile, la determinazione di un'indennità consistente nella corresponsione di una somma equivalente al valore del bene occupato, aumentato dell'eventuale plus-valore dato dall'esistenza di costruzioni edificate durante l'occupazione da parte della P.A..
Per adeguare l'ordinamento nazionale ai principi affermati dalla Corte, lo Stato ha introdotto l'art. 43 del DPR 08.06.2001 n 327, concernente la cosiddetta "acquisizione sanante", oggi dichiarata incostituzionale per eccesso di delega con sentenza 04-08.10.2010 n. 293, che consentiva alla pubblica amministrazione, "extra ordinem", rispetto all'ordinario procedimento espropriativo (necessariamente mancante o viziato), di acquisire a determinate condizioni beni immobili altrui al proprio patrimonio indisponibile.
Si tratta(va) di una norma che oltre ad attribuire all'Amministrazione il potere di dare "a regime" una soluzione al caso concreto, quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo, consente(iva) anche di rimuovere un precedente contrasto tra la prassi interna (amministrativa e giudiziaria) e la Convenzione Europea.
L'art. 43 si riferi(va) anche alle occupazioni "sine titulo", già sussistenti alla data di entrata in vigore del testo unico (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2005; Cons. Stato, Sez. IV 16.11.2007 n. 5830; Cons. Stato, Sez. IV 27.06.2007, n. 3752; Cons. Stato, Sez. IV 21.05.2007, n. 2582; TAR Sardegna, 31.01.2008 n. 83), potendo, del resto, essere riconducibile nel novero delle norme processuali.
Da ciò consegue che non possa ritenersi perfezionato alcun diritto reale in favore dell’amministrazione relativamente ai terreni di proprietà dei ricorrenti, già oggetto di esproprio poi annullato in sede giurisdizionale, per cui il privato può chiedere la restituzione del fondo con la riduzione in pristino di quanto realizzato (Cons. Stato, Sez. IV, 16.11.2007 n. 5830).
Corollario del sistema delineato dal richiamato art. 43 precitato é il principio secondo cui il trasferimento della proprietà del bene non può oggi connettersi neppure alla unilaterale volontà del privato di abdicare al proprio diritto, che, in materia di occupazione usurpativa, viene considerata implicitamente nella richiesta del proprietario di liquidazione del danno commisurato alla definitiva perdita della disponibilità del bene.
Nel nostro ordinamento, in definitiva, non può più ritenersi sussistente l'istituto -di creazione pretoria- della cosiddetta "occupazione appropriativa", secondo il quale, anche in assenza di un provvedimento ablatorio, l'Amministrazione acquista, a titolo originario, la proprietà dell'area altrui, in virtù della trasformazione irreversibile della stessa ed in attuazione della dichiarazione di pubblica utilità (in tal senso, tra le tante, Cons. St., IV, 30.11.2007 n. 6124; Id., 21.05.2007 n. 2582).
Come già rilevato, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha espressamente affermato che l'istituto in questione rappresenta una illegittima compressione del diritto di proprietà privata, configurando una violazione del Protocollo Addizionale n. 1 della Convenzione Europea e che spetta all'ordinamento interno l'individuazione dei mezzi di tutela, i quali devono, però, essere efficaci e collegarsi in un quadro normativo chiaro, preciso e prevedibile (sentenze 30.05.2000; n. 24638/1994 e n. 31524/1996).
In altri termini, anche se è stata realizzata l'opera pubblica, l'Amministrazione ha l'obbligo di restituire il suolo e di risarcire il danno cagionato: "fin da quando l'istituto della c.d. accessione invertita è stato espunto dal nostro ordinamento a causa della sua acclarata incompatibilità comunitaria, l'annullamento giurisdizionale degli atti espropriativi impugnati comporta l'obbligo dell'Amministrazione di restituire i terreni occupati e di risarcire il danno da illegittimo spossessamento" (Consiglio Stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1858; TAR Lazio Roma, sez. I, 15.01.2009, n. 220; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 18.12.2008, n. 1796; e, da ultimo, v. TAR Puglia Lecce, sez. I, 10.05.2010 n. 1093).
In conclusione, non essendo oggi più configurabile l'istituto dell'accessione invertita, il pagamento di un equivalente monetario presuppone necessariamente il previo trasferimento della proprietà dell'immobile (conseguente ad atto amministrativo o negoziale, ad usucapione o a rinunzia del privato), che manca; di conseguenza, l'obbligo allo stato sussistente in capo al Comune è quello della restituzione del bene, che risulta essere ancora nella proprietà dei privati (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 18.02.2011 n. 1014 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Progetto preliminare - Progetto definitivo - Modificazione lavori - Variante - Non è necessaria.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, distinguendo il progetto preliminare, il progetto definitivo e il progetto esecutivo e spetta al progetto definitivo di individuare "compiutamente i lavori da realizzare". E' pertanto considerata del tutto fisiologica l'introduzione di modificazioni in ordine ai lavori da realizzare senza che ciò implichi l'applicazione dell'art. 19 del d.p.r. 2001 n. 327 e quindi l'approvazione di una variante da riservare alla competenza del Consiglio.
In particolare, la norma dispone espressamente che "Gli strumenti urbanistici comunali vigenti conservano efficacia fino all'approvazione del PGT e comunque non oltre la data del 31.03.2010. Fino all'adeguamento dei PRG vigenti, a norma dell'articolo 26, e comunque non oltre il predetto termine, i comuni, ad eccezione di quelli di cui al comma 2, possono procedere unicamente all'approvazione di atti di programmazione negoziata, di progetti in variante ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 20.10.1998, n. 447, nonché di varianti nei casi di cui all'articolo 2, comma 2, della legge regionale 23.06.1997, n. 23 (Accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e disciplina del regolamento edilizio) e di piani attuativi in variante, con la procedura di cui all'articolo 3 della predetta L.R. n. 23/1997".
Dal coordinamento tra le due norme citate deriva che, qualora l'amministrazione comunale approvi -nel periodo transitorio individuato dall'art. 25, comma 1, della legge reg. 2005 n. 12, periodo in cui si colloca la fattispecie sottesa ai ricorsi in esame- una delle varianti previste dall'art. 2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n. 23, devono trovare applicazione le previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40, della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere applicato anche il comma 18 dell'art. 3 della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede che "Il comune, contestualmente al loro deposito, trasmette alla provincia competente per territorio il piano regolatore generale adottato, o le sue varianti, ovvero il piano attuativo di interesse sovracomunale adottato. La provincia, entro novanta giorni dal ricevimento degli atti, ne verifica, garantendo comunque il confronto con il comune interessato, la compatibilità con gli aspetti di carattere sovracomunale contenuti nel proprio piano territoriale di coordinamento; decorso tale termine il comune decide sulle osservazioni e procede all'approvazione in via definitiva".
Ecco, allora, che quando l'amministrazione comunale adotta una delle varianti previste dall'art. 2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n. 23, secondo il meccanismo fatto salvo dall'art. 25, comma 1, della legge 2005 n. 12, deve trasmettere la variante adottata alla Provincia competente, al fine di consentire la verificazione della compatibilità della nuova disciplina urbanistica con il piano territoriale di coordinamento.
Nel caso di specie il Comune resistente ha dichiaratamente posto in essere la variante semplificata, oggetto del ricorso in esame, ai sensi della legge reg. 1997 n. 23, ma ha omesso di trasmettere alla Provincia la variante adottata, in violazione dell'art. 3, comma 18, della legge reg. 2000 n. 1, così precludendo all'Ente competente la verificazione della compatibilità della variante con il piano territoriale di coordinamento, come esattamente contestato dalla ricorrente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 499 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Attività di progettazione - Articolazione - Progetto preliminare, definitivo ed esecutivo - Art. 93 d.lgs. n. 163/2006 - Progetto preliminare - Suscettibilità di variazioni, modifiche e specificazioni.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, distinguendo il progetto preliminare, il progetto definitivo e il progetto esecutivo.
Dal confronto tra il progetto preliminare e il progetto definito emerge che quello preliminare non delinea un quadro dettagliato e compiuto dell’opera da realizzare, ma è suscettibile di variazioni, modifiche e specificazioni (cfr. tra le tante TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.08.2008, n. 9955; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 26.05.2009, n. 1064).
Ciò è confermato dalla circostanza che spetta al progetto definitivo di individuare “compiutamente i lavori da realizzare”.
Progetto definitivo - Documentazione da allegare - Art. 25 d.P.R. n. 554/1999 - Studio di impatto ambientale.
L’art. 25 del d.p.r. 1999 n. 554 individua la documentazione che deve essere allegata al progetto definitivo, prescrivendo, tra l’altro, la redazione dello “studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale” (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 499 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Stipulazione del contratto e attuazione del rapporto negoziale - Ambito materiale dell’ordinamento civile - Fase del collaudo - Regioni - Applicazione della normativa statale - Art. 8, c. 1 l.r. Lombardia n. 7/2010 - Illegittimità costituzionale.
Nel settore degli appalti pubblici, la fase che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale è disciplinata da norme che devono essere ascritte all’ambito materiale dell’ordinamento civile. Ciò in quanto, in tale fase, l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale (ex multis, sentenza n. 401 del 2007).
Con riferimento alla disciplina del collaudo, pertanto, le Regioni sono tenute ad applicare la normativa statale e ad adeguarsi alla disciplina dettata dallo Stato per tutto quanto attiene alla fase di esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture.
Ne deriva l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera r), della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7, nella parte in cui ha sostituito l’art. 20, comma 3, della precedente legge regionale 19.05.1997, n. 14, per invasione dell’ambito materiale dell’ordinamento civile riservato esclusivamente allo Stato, in quanto tale norma disciplina un settore, quello del collaudo e della verifica di regolarità dell’esecuzione dei contratti di lavori, forniture e servizi, che rientra specificamente nella suddetta competenza legislativa (Corte Costituzionale, sentenza 18.02.2011 n. 53 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 8, c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia 05.02.2010, n. 7, per contrasto con la disciplina nazionale del codice dei contratti pubblici.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 8, c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative - Collegato ordinamentale 2010), nella parte in cui ha previsto, che "per gli appalti di importo inferiore alle soglie" comunitarie, "per le forniture di beni prodotti in serie e di servizi a carattere periodico, nonché per i servizi di natura intellettuale, il collaudo e la verifica di conformità possano essere sostituiti da un attestato di regolare esecuzione rilasciato dal RUP ovvero dal dirigente della struttura destinataria della fornitura o del servizio", per invasione dell'ambito materiale dell'ordinamento civile riservato esclusivamente allo Stato, in quanto essa disciplina un settore, quello del collaudo e della verifica di regolarità dell'esecuzione dei contratti di lavori, forniture e servizi, che rientra specificamente nella suddetta competenza legislativa.
E ciò indipendentemente dalla conformità o meno della normativa regionale alla sopravvenuta disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. n. 207 del 2010 (Corte Costituzionale, sentenza 18.02.2011 n. 53 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Appalti, niente scorciatoie al posto del collaudo. Corte Costituzionale boccia una legge della Regione Lombardia.
E' illegittima la norma della regione Lombardia che prevede il mero attestato di regolare esecuzione, invece del collaudo, per forniture di beni standard e a carattere periodico e per servizi intellettuali «sotto soglia». La fase di esecuzione del contratto, e quindi il collaudo, attiene all'ordinamento civile, materia di competenza statale esclusiva sulla quale il legislatore regionale non può disporre in difformità dalle norme statali.
E' quanto stabilisce la consulta con la sentenza 18.02.2011 n. 53 relativamente alla legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7 recante interventi normativi per l'attuazione della programmazione ... (articolo ItaliaOggi del 19.02.2011 - link a www.ecostampa.com).

APPALTI SERVIZI: L. Lo Biundo, Per il Consiglio di Stato le società strumentali possono anche gestire servizi pubblici locali (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: LINEE GUIDA per i rischi indoor ALLERGIE ed ASMA: ecco un documento utile per la progettazione e ristrutturazione di edifici scolastici, manutenzione.
Di recente è stato siglato un Accordo tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane, contenente le “Linee di indirizzo per la prevenzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma”.
Le linee guida rappresentano un utile strumento per tutti i tecnici: forniscono i criteri generali per la progettazione di edifici scolastici, con indicazioni operative sulla configurazione e l’articolazione interna degli edifici, sull’ottimizzazione del sistema edificio/ambiente, sulla scelta dei materiali da utilizzare e da evitare, su volumi e aperture. Relativamente agli edifici esistenti, vengono fornite specifiche indicazioni sul tipo di manutenzione da adottare e sui controlli da effettuare.
Sono disponibili anche informazioni circa la ristrutturazione di edifici esistenti e la progettazione e manutenzione di verde scolastico.
Vengono, inoltre, analizzati i diversi fattori di rischio indoor per allergie ed asma e sulle misure di prevenzione disponibili al fine di effettuare la Valutazione dei Rischi.
Il documento è strutturato come segue:
- INTRODUZIONE, contenente l’analisi del problema e la situazione in Italia;
- PRIMA PARTE, con gli elementi di conoscenza per facilitare l’individuazione e la valutazione dei principali fattori di rischio;
- SECONDA PARTE, con indicazioni operative per realizzare un programma integrato di interventi per la prevenzione delle malattie allergiche e dell’asma.
Il documento è certamente interessante per tutti i tecnici che operano nel settore della progettazione, manutenzione e valutazione dei rischi in edifici ad uso collettivo (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: ON-LINE i Certificati di esecuzione dei Lavori Pubblici.
Dal 14.02.2011 i Certificati di esecuzione dei Lavori Pubblici saranno rilasciati esclusivamente ON-LINE, attraverso il nuovo sistema informatico accessibile dal portale Internet dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.
Lo ha comunicato il Presidente dell’AVCP, ritenendo di dover offrire agli utenti che usano il sistema informatico per il rilascio e la gestione dei Certificati un servizio adeguato alle loro esigenze e di dover semplificare le attività di integrazione dei dati forniti attraverso la compilazione dei Certificati con quelli di altri sistemi informatici. Le modalità di utilizzo del nuovo sistema saranno disponibili nel manuale utente, che sarà pubblicato sul portale Internet dell'Autorità.
Gli utenti potranno accedere al nuovo sistema utilizzando le stesse credenziali di cui già in possesso per il rilascio dei Certificati con la precedente procedura, mentre le SOA potranno accedere in consultazione alla nuova procedura attraverso l'apposito link disponibile sul portale Internet nella sezione dei “servizi ad accesso riservato”, utilizzando le credenziali già rilasciate dall'Autorità a seguito di registrazione al servizio di “Anagrafe” (link a www.acca.it).

APPALTI: Deve riconoscersi all'Amministrazione il potere di provvedere all'annullamento dell'aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione.
Non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità pre-contrattuale dell'ente la reiezione della domanda di annullamento del provvedimento di revoca, potendo, infatti, sempre ritenersi configurabile siffatto genere di responsabilità per la revoca della gara non ancora conclusa, quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa.

L’aggiudicazione provvisoria è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente aggiudicataria una posizione consolidata di vantaggio, con la conseguenza che sull'Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela rispetto all'aggiudicazione provvisoria incombe un onere di motivazione fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa, attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali essa si ritiene di non procedere all'aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31.05.2007 n. 2838; id., sez. V, 29.12.2009 n. 8966).
Ancora più nettamente, le ultime pronunce del Giudice amministrativo di primo grado sono nel senso che, pertanto, deve riconoscersi all'Amministrazione il potere di provvedere all'annullamento dell'aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione (TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 11.11.2010, n. 2582; TAR Piemonte sez. I, 23.04.2010 n. 2085; TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991).
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E' consolidato in giurisprudenza amministrativa l’orientamento per cui non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità pre-contrattuale dell'ente la reiezione della domanda di annullamento del provvedimento di revoca, potendo, infatti, sempre ritenersi configurabile siffatto genere di responsabilità per la revoca della gara non ancora conclusa, quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima degli atti di gara può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa (in tal senso: Cons. Stato, Ad. plen., 05.09.2005 n. 6; id., sez. V, 30.11.2007 n. 6137; id., sez. V, 08.10.2008, n. 4947; TAR Campania, Napoli, sez. I, 08.02.2006 n. 1794; TAR Lazio, sez. II-quater, 02.04.2010 n. 5621; TAR Puglia Bari, sez. I, 14.09.2010, n. 3459) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 16.02.2011 n. 302 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una procedura di gara, per omessa dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, da parte degli institori.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI per aver omesso di presentare la dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, relativamente ad alcuni soggetti, dotati di poteri amplissimi e pervasivi nella gestione dell'impresa.
Il citato art. 38, impone, infatti, che la dimostrazione del possesso dei requisiti morali di partecipazione riguardi tutte le persone fisiche che, in quanto titolari di poteri di rappresentanza della persona giuridica, siano in grado di trasmettere con il proprio comportamento la riprovazione dell'ordinamento al soggetto rappresentato. Pertanto, tale obbligo sussiste anche con riferimento agli institori, stante la ampiezza dei poteri di rappresentanza agli stessi attribuiti dalla legge.
L'institore è definito dall'art. 2203 c.c. quale soggetto preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale, in posizione differente dal mero procuratore cui l'imprenditore conferisce il potere di compiere, per lui, gli atti inerenti all'esercizio di un'impresa pur non essendo preposta ad esso.
La preposizione institoria, peraltro, è caratterizzata dall'ampiezza dei poteri rappresentativi e di gestione, che ne fanno un alter ego dell'imprenditore stesso.
Pertanto, l'institore è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2011 n. 939 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Lavori per opere di urbanizzazione - Né usucapione né dicatio ad patriam - Non sussiste.
E' accolto il ricorso avverso il provvedimento che ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo di opere di opere di urbanizzazione stradali e indizione procedura di gara "aperta" implicante dichiarazione di "pubblica utilità indifferibilità ed urgenza" che sono da realizzarsi, fra l'altro, sulla porzione di terreno di proprietà della ricorrente: l'Amministrazione non ha rispettato le regole procedurali, prodromiche alla dichiarazione di pubblica utilità di un'opera (all'art. 16 del D.P.R. 08.06.2001 n. 327).
Altresì l'Amministrazione resistente ritiene di poter fondare la propria legittimazione ad eseguire i lavori sul terreno privato affermando, fra l'altro, che questo sarebbe assoggettato a demanialità da più di venti anni: il termine ventennale è un termine necessario per perfezionare l'usucapione, ed essendo pacificamente ammesso, sia in dottrina che in giurisprudenza, che anche i diritti di natura demaniale possono essere acquistati per usucapione, occorre domandarsi se, nel caso concreto, il Comune abbia acquisito per usucapione al proprio demanio il terreno di proprietà della ricorrente e la risposta non può che essere negativa. L'Amministrazione non ha in alcun modo dimostrato di aver effettivamente posseduto, per un periodo almeno ventennale, e quindi usucapito, il suddetto immobile.
Quanto alla dicatio ad patriam che consiste nel comportamento del proprietario che mette volontariamente e con carattere di continuità un proprio bene a disposizione della collettività, determinando in tal modo l'insorgere, a favore della collettività medesima, di una servitù di uso pubblico (che si distinguono dunque dalle servitù pubbliche in quanto, a differenza di queste ultime -che, al pari delle servitù private, postulano l'esistenza di due fondi- postulano l'esistenza di un solo immobile gravato da pesi direttamente funzionali alla collettività beneficiaria).
Se il terreno della ricorrente fosse stato oggetto di dicatio ad patriam e quindi se esso fosse effettivamente gravato da servitù di uso pubblico, effettivamente il Comune sarebbe legittimato ad effettuare i lavori di cui al provvedimento impugnato giacché, per pacifica opinione, si ammette che l'amministrazione locale, quale ente rappresentativo degli interessi della collettività, possa realizzare, sui beni gravati dal predetto peso, i lavori necessari ad assicurarne la pubblica fruibilità o, perlomeno, a migliorane le possibilità di fruizione mediante l'esercizio dei poteri amministrativi di sua spettanza.
Ma così non è poiché il connotato essenziale della dicatio ad patriam è quindi dato dalla volontaria messa a disposizione del bene alla collettività: è quindi necessario -in considerazione della notevole importanza degli effetti che tale comportamento determina- accertare in maniera rigorosa se nel caso concreto la volontà del proprietario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenze 11.02.2011 nn. 465 e 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Art. 11, comma 8, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Verifica dei prescritti requisiti di qualificazione - Costituisce condizione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva - Ratio.
2. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Commissione - Composizione - Art. 84, comma 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 - Esperienza dei componenti - Interpretazione - Va valutata in capo alla Commissione nel suo complesso.

1. La verifica del possesso in capo al concorrente dei "prescritti requisiti", prevista dall'art. 11, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, si pone come condizione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva, a specifica salvaguardia dell'interesse pubblico affinché, nei confronti di chi sarà il futuro contraente dell'Amministrazione, siano puntualmente accertati i necessari requisiti di partecipazione alla gara e quelli di stipulazione (conf. v. TAR Veneto, sez. I, 04.08.2010, n. 3447).
2. Il requisito generale della competenza tecnica nel settore nel quale si colloca la fornitura di beni ovvero la prestazione di servizi previsto dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, per i componenti della Commissione giudicatrice di una gara per l'affidamento di un appalto pubblico, deve essere inteso gradatamente e in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare; non è necessario, pertanto, che l'esperienza professionale di ciascun componente copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la Commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto nel caso specifico, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (conf. v. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 23.11.2010, n. 7320) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Illuminazione votiva dei cimiteri comunali - Rientra nella categoria delle concessioni di pubblico servizio - Effetti - Applicabilità dell'art. 23-bis, comma 8, del D.L. 112/2008 - Sussiste - Conseguenze - In caso di precedente affidamento senza gara - Cessazione ope legis dell'affidamento medesimo alla data del 31.12.2010.
L'attività di illuminazione votiva cimiteriale, pur richiedendo la realizzazione di impianti e la loro manutenzione da parte dell'impresa affidataria, rientra nella categoria delle concessioni di pubblico servizio e, come tale, risulta soggetta alla disciplina di cui all'art. 113, comma 15-bis, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e all'art. 23-bis, comma 8, del D.L. 25.06.2008, n. 112 secondo cui «le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31.12.2010, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante». (Nella specie, il TAR ha ravvisato un'ipotesi di cessazione ope legis del servizio di illuminazione votiva nei confronti un'impresa affidataria senza gara del servizio medesimo, in quanto non rientrante nelle ipotesi contemplate alle lettere da a) a d) del D.L. 25.06.2008, n. 112) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Gara - Documentazione - Irregolarità - Integrazione documentale - Legittima - In caso chiarimenti relativi ad un documento incompleto.
2. Contratti della p.a. - Bando - Clausole di esclusione - Interpretazione - Divieto di analogia - Sussiste.

1. Ai sensi dell'art. 46, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, alla stazione appaltante è precluso sopperire, mediante la richiesta d'integrazione documentale, all'omessa presentazione di un documento da parte di un concorrente, atteso che l'integrazione documentale riguarda semplici chiarimenti di un documento incompleto, mentre l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione, previsti a pena di esclusione, non può considerarsi alla stregua di un'irregolarità sanabile (Nella specie, il TAR ha ritenuto legittimo l'operato della stazione appaltante che a fronte della produzione in gara, da parte dell'impresa risultata aggiudicataria, di una polizza fideiussoria completa in ogni sua parte e mancante della sola firma dell'assicurato, ne ha consentito la successiva regolarizzazione).
2. Le clausole di esclusione previste dalla lex specialis sono di stretta interpretazione, essendo preclusa ogni loro estensione analogica, specie quando involgano profili privi di effettiva sostanza (In applicazione di tale principio, il TAR ha ritenuto che la divergenza sul luogo di residenza dichiarato dall'amministratore dell'impresa aggiudicataria -e quella risultante dalla carta di identità- non comporti la sua esclusione ma possa, al limite, determinare una richiesta di integrazione ex art. 46, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Concessione - Servizi pubblici - Normativa applicabile - Disciplina del Codice dei contratti pubblici - Applicazione integrale - Esclusa - Limiti - Divieto di disapplicazione del bando - Sussiste.
Sebbene la concessione di servizi risulti sottratta ex lege all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, nondimeno l'art. 30, comma 3, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 stabilisce che la scelta del concessionario debba avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato UE e dei principi generali relativi ai contratti pubblici, fra i quali rientra certamente anche quello, di ordine generale, che vieta la disapplicazione del bando quando l'Amministrazione si sia in origine autovincolata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2011 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Indicazioni e chiarimenti in merito alla corretta gestione degli appalti e subappalti.
E’ stata firmata dal Ministro Maurizio Sacconi la circolare 11.02.2011 n. 5 in materia di appalti e subappalti avente per oggetto: "Quadro giuridico degli appalti".
La circolare, tenuto conto del ricorso sempre più frequente a processi di esternalizzazione e della complessità della legislazione e delle fonti di riferimento in materia, effettua una ricognizione delle principali problematiche che gli operatori incontrano nel ricorrere all’appalto e fornisce indicazioni e chiarimenti in merito alla sua corretta gestione.
Tra le principali questioni affrontate, i criteri che qualificano un appalto come genuino, gli obblighi di carattere retributivo connessi all’utilizzazione dell’istituto, il valore degli appalti e i criteri di scelta dei contraenti, la responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, il ricorso alla certificazione, la disciplina in materia di salute e sicurezza del lavoro.

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAAppalti, trattativa privata facile. Si alza l'asticella della procedura negoziata. Scia in edilizia. Dopo l'annuncio in cdm la Semplificazione lavora sul decreto. Piano casa per le aree degradate.
Niente gara pubblica per appalti di lavori inferiori al milione di euro. E quindi allargamento della procedura negoziata (alias trattativa privata) che ora è prevista per i lavori di importo fino a 500 mila euro. In più
la conferma ufficiale che la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) si applica all'edilizia.
Edilizia che trova il suo piano casa per le aree urbane da riqualificare (con premio di cubatura da decidersi da parte delle regioni).
Sono questi i binari sui cui si sta muovendo il provvedimento sulla semplificazione, ancora allo studio presso il dicastero del ministro Roberto Calderoli, ma di cui ItaliaOggi è in grado di fornire alcune anticipazioni. Almeno delle linee di fondo.
Il provvedimento, approvato «salvo intese» nel consiglio dei ministri di mercoledì assumerà la veste giuridica del decreto legge. Almeno questa è al momento l'intenzione dei tecnici del ministero della semplificazione che puntano a realizzare un pronto intervento sulle prassi in atto.
Il decreto si muoverà nel solco delle norme previste nel maxiemendamento del governo alla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010), e che in quella sede non hanno visto la luce in quanto cassate dalla commissione bilancio della camera per estraneità di materia.
Due i settori maggiormente interessati dall'intervento normativo che verrà varato ufficialmente nel prossimo consiglio dei ministri: l'edilizia e gli appalti.
Quanto all'edilizia, il primo intervento riguarderebbe l'ambito di applicazione della Scia, e cioè della segnalazione certificata di inizio attività, che sostituisce i titoli autorizzativi e consente di iniziare un'attività da subito, senza dovere aspettare la licenza dell'amministrazione e senza dovere aspettare un lasso di tempo iniziale, destinato ai controlli dell'ente pubblico (come invece previsto per la Dia, denuncia di inizio attività).
Il problema, dopo il varo della Scia, è stato se si applichi o meno al settore edilizio: i dubbi derivavano da una non felice formulazione della norma istitutiva. Nonostante alcuni chiarimenti ministeriali è persistente la esigenza di certezza legislativa, che dovrebbe arrivare con il decreto in esame.
La Scia edilizia riguarderebbe tutti gli interventi minori e quindi per le nuove costruzioni o ristrutturazioni pesanti ci vorrà o il permesso di costruire o la super Dia. Peraltro la Scia edilizia, sempre per interventi minori, troverebbe spazio anche per le opere in aree vincolate, alla condizione del conseguimento del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
Altra misura che dovrebbe trovare spazio del decreto sulla semplificazione è il piano casa per le aree urbane degradate. Alla stessa stregua degli altri interventi di «piano casa» fino ad ora approvati (ma che non hanno avuto a oggi grande successo) la norma prevede in premio cubatura aggiuntiva, così da incentivare la riqualificazione: il tutto naturalmente con apposite leggi regionali. Nella stessa direzione (e cioè promuovere la riqualificazione urbana) sarebbero dettati incentivi alla delocalizzazione (ad esempio strutture produttive in centro urbano) e in particolare la possibilità di portarsi dietro le cubature aggiuntive.
In materia di appalti si segnala la possibilità di innalzamento dell'asticella per l'uso della procedura negoziata, che dovrebbe essere ammessa per i lavori di importo complessivo inferiore a un milione di euro. Si modifica l'importo oggi previsto in 500 mila euro dall'articolo 122, comma 7, del codice degli appalti. La norma dovrebbe essere strutturata con una scaletta interna: sopra i 500 mila euro comunque la stazione appaltante dovrebbe invitare almeno dieci soggetti, mentre per i lavori di importo inferiore a 500 mila euro il numero minimo di imprese da invitate scende a cinque.
Il decreto dovrebbe poi snellire la fase della gara e in particolare le dichiarazioni previste per attestare il possesso dei requisiti di partecipazione alla selezione. Si tratta, in particolare, dell'articolo 38 del codice degli appalti, che elenca le dichiarazioni da formularsi in sedi di richiesta di partecipazione, relative ad esempio ai requisiti di moralità.
Nel decreto si preciserebbe che l'impresa partecipante non deve dichiarare condanne per reati depenalizzati e si precisano restrittivamente le condizioni ostative relative a violazioni contributive e violazioni alla normativa sulla sicurezza dei lavoratori (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità di un'ordinanza contingibile e urgente con la quale un sindaco, al fine di garantire il trasporto pubblico degli studenti pendolari, ha affidato il servizio a soggetti terzi.
E' legittima l'ordinanza contingibile e urgente con la quale un sindaco, al fine di garantire il trasporto pubblico degli studenti pendolari nell'ultimo periodo dell'anno scolastico, ha affidato il servizio a soggetti terzi.
Tale provvedimento è stato adottato, infatti, dopo avere riscontrato l'impossibilità da parte della concessionaria di proseguire il servizio di trasporto alunni nelle tratte di interesse a causa di un protratto fermo tecnico degli autobus e dopo aver verificato l'assoluta necessità ed urgenza di ripristinare i collegamenti interrotti, anche con altri mezzi, per il perseguimento dell'interesse pubblico e prevalente di garantire ai giovani l'esercizio concreto del proprio diritto allo studio (Tar Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 10.02.2011 n. 285 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla violazione delle disposizioni relative al subappalto.
Le eventuali violazioni delle disposizioni relative al subappalto, non riguardando la fase di ammissione alla gara ma l'esecuzione del contratto, non possono condurre all'esclusione della ditta, allorché la stessa possieda i requisiti per svolgere in proprio tutte le prestazioni oggetto del contratto.
In questo caso, la S.A. potrà solo vietare il subappalto e l'aggiudicatario dovrà eseguire in proprio tutte le prestazioni oggetto di gara (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 10.02.2011 n. 98 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIl principio di intangibilità della compagine consortile nel corso del procedimento di gara si applica ai casi in cui la modifica sia di tipo additivo.
La questione centrale da dirimere, nella pronuncia in commento, attiene alla legittimità della esclusione del consorzio appellante, a seguito della sua modifica soggettiva rispetto alla composizione che lo stesso ente aveva all’epoca di proposizione della domanda partecipativa alla procedura comparativa indetta dal Comune in causa.
La questione, sottolineano i giudici del Consiglio di Stato, non è nuova ed attiene alla corretta delimitazione della portata del divieto di cui all’art. 37, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che “salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta”.
I giudici di Palazzo Spada ritengono che tale disposizione, per la sua portata generale, debba trovare indistinta applicazione nelle procedure comparative funzionali ad individuare il miglior contraente della amministrazione; deve quindi trovare applicazione anche nel caso di specie, in cui si verte nell’ambito di una procedura volta alla individuazione di soggetti che, quali concessionari del demanio marittimo, devono dare affidamento di perseguire l’interesse pubblico sotto il profilo della più proficua utilizzazione del bene demaniale oggetto di concessione.
Tale disposizione non distingue tra consorzi costituiti e consorzi costituendi, così che già la sua interpretazione letterale non corrobora la tesi dell’appellante, secondo cui la portata del divieto dovrebbe riguardare soltanto i soggetti non ancora formalmente costituiti in sede di partecipazione alla gara. D’altra parte, continuano i giudici d’appello, la tesi dell’appellante contrasta anche con la ratio della disposizione, che consiste nell’esigenza per la stazione appaltante di esercitare, prima della stipula del contratto, ogni possibile controllo su ciascuno dei componenti l’ente plurisoggettivo, vuoi in vista dell’applicazione del divieto di partecipazione previsto dal comma 7 del medesimo art. 37 per i soggetti in conflitto di interessi, vuoi per la verifica della sussistenza dei requisiti di moralità in capo ai singoli consorziati.
Quanto alla effettiva portata del divieto, osserva la VI Sezione che secondo una più risalente interpretazione restrittiva, il divieto della modifica della compagine soggettiva in corso di gara o dopo l’aggiudicazione è stato considerato indistintamente applicabile a qualsiasi tipo di modifica soggettiva, e cioè sia quando subentra un nuovo soggetto, sia quando un componente viene sostituito ad un altro, sia quando un componente recede senza essere sostituito.
Ciò in quanto, con la sottoscrizione del mandato da parte di tutte le componenti dell’a.t.i. o del consorzio, la stazione appaltante è posta in grado di conoscere ex ante i soggetti con cui andrà a contrattare; inoltre, consentire una modifica della compagine sarebbe lesivo della par condicio competitorum nella misura in cui si consente ai partecipanti di tarare la composizione soggettiva in vista del perseguimento del miglior risultato di gara.
In tal senso, si assume che il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche mira a garantire una conoscenza piena da parte delle amministrazioni aggiudicatrici dei soggetti che intendono contrarre con le amministrazioni stesse, consentendo una verifica preliminare e compiuta dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti, verifica che non deve essere resa vana in corso di gara con modificazioni di alcun genere (Cons. St., sez. V, 07.04.2006, n. 1903; Cons. St., sez. V, 30.08.2006, n. 5081).
Tale conclusione interpretativa è stata però rimessa in discussione da più recenti pronunce, con riferimento a situazioni diverse da quelle emerse nel corso del presente giudizio. Infatti, per un diverso orientamento di questo Consiglio (sez. IV, 23.07.2007, n. 4101), il divieto in questione andrebbe inteso in senso restrittivo, perché sarebbe applicabile solo nel caso di aggiunta o sostituzione di componenti, e non anche nel caso di recesso di una o più imprese dell’a.t.i., dopo l’aggiudicazione.
Si è al riguardo anche osservato che il divieto di modificazione soggettiva non ha l'obiettivo di precludere sempre e comunque il recesso dal raggruppamento in costanza di procedura di gara, perché la sua ratio è quello di consentire alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara (con la conseguente preclusione di modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di vanificare le suddette verifiche preliminari): il divieto non è stato dunque considerato applicabile nel caso di recesso successivo alla verifica di capacità e di moralità (sez. VI, 13.05.2009 n. 2964).
Proprio tale orientamento ha peraltro indotto la VI Sezione a rilevare che il divieto in esame senz’altro si applica quando si tratti di una modificazione soggettiva per la quale in sede di aggiudicazione risultino nuovi soggetti componenti (la compagine consortile), rispetto a quelli indicati in sede di partecipazione (sez. VI, n. 842 del 16.02.2010): il principio di intangibilità della compagine consortile nel corso del procedimento di gara riguarda le modifiche di tipo additivo, atteso che in tal caso alla stazione appaltante non residuerebbe alcun margine di controllo sulla verifica della sussistenza dei requisiti partecipativi in capo al subentrato.
E’ dunque assolutamente costante l’orientamento del Consiglio di Stato sulla applicabilità del divieto ai casi in cui la modificazione soggettiva non si caratterizzi per un recesso, ma per una ‘modifica di tipo additivo’, come è avvenuto nel caso di specie (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2011 n. 888 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare d'appalto, sì alla verbalizzazione postuma.
E' legittimo l'operato della Commissione giudicatrice che procede alla verbalizzazione delle sedute di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse. E’ legittima l’operato della Commissione giudicatrice che procede alla verbalizzazione delle sedute di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse.

La Prima Sezione del TAR del Veneto ha affermato che non vìola l’art. 79 del Codice dei contratti pubblici la verbalizzazione, da parte della Commissione giudicatrice di una gara di appalto, delle operazioni di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse.
La Commissione di gara, infatti, può redigere un unico verbale delle sedute svolte, atteso che non vi è alcuna disposizione normativa che preclude tale modalità di verbalizzazione.
Di conseguenza, è legittimo l'accorpamento in un unico atto della verbalizzazione di varie sedute della commissione ed anche la sua redazione non contestuale al compimento delle operazioni di gara.
Con la medesima decisone, il TAR del Veneto ha affermato la legittimità dell’esclusione di una ditta da una gara di appalto di servizi, motivata con riferimento al fatto che la ditta interessata aveva dichiarato di voler espletare il servizio con un numero di strumenti (nella specie, un solo aspirapolvere) inferiore a quello espressamente e chiaramente richiesto dal bando, a pena di esclusione; ciò anche senza fare applicazione dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che l’ammissione alla gara della suddetto concorrente, in presenza di una così eclatante violazione della chiara ed univoca lex specialis, si sarebbe tradotto in una violazione del principio della par condicio (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 09.02.2011 n. 220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittima l'esclusione di una società dalla gara per l'affidamento in appalto del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, in applicazione dell'art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008.
L'art. 23-bis, c. 9 del d.l. n.112/2008, conv. in l. n.133/2008, vieta l'acquisizione di ulteriori servizi pubblici, anche mediante la partecipazione a gare d'appalto, alle società cui sia già stata direttamente affidata la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica; il divieto opera per tutta la durata della gestione affidata senza gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittima l'esclusione di una società dalla gara per l'affidamento in appalto del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, essendo pacifico che la stessa società è affidataria diretta del medesimo servizio di raccolta rifiuti presso un altro comune (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.02.2011 n. 181 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Al direttore dei lavori è richiesta in via principale una attività di vigilanza e di controllo dell'operato dell'impresa appaltatrice, del cui operato esecutivo di norma non risponde. Si tratta di una attività preminentemente di coordinamento tra l'operato dell'impresa e l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché di verifica dell'esatta realizzazione di quanto progettato.
Il direttore dei lavori non assume nei confronti del committente una obbligazione di risultato, ma unicamente una obbligazione di mezzi, che può essere svolta anche attraverso una non continua e permanente presenza sul cantiere da parte del professionista. Neppure può ritenersi preclusa la possibilità per il professionista di avvalersi della collaborazione di terze persone, appartenenti o meno allo Studio tecnico di cui sia titolare, quando si tratta di svolgere compiti che non implichino la soluzione di problemi tecnici e che, come tali, richiedano la presenza personale del professionista.

Osserva il Tribunale che al direttore dei lavori è richiesta in via principale una attività di vigilanza e di controllo dell'operato dell'impresa appaltatrice, del cui operato esecutivo di norma non risponde. Si tratta a ben vedere, di una attività preminentemente di coordinamento tra l'operato dell'impresa e l'oggetto contrattuale dell'appalto, nonché di verifica dell'esatta realizzazione di quanto progettato.
Come poi ha esattamente rilevato la difesa dell'attore, il direttore dei lavori non assume nei confronti del committente una obbligazione di risultato, ma unicamente una obbligazione di mezzi, che può essere svolta anche attraverso una non continua e permanente presenza sul cantiere da parte del professionista. Neppure può ritenersi preclusa la possibilità per il professionista di avvalersi della collaborazione di terze persone, appartenenti o meno allo Studio tecnico di cui sia titolare, quando si tratta di svolgere compiti che non implichino la soluzione di problemi tecnici e che, come tali, richiedano la presenza personale del professionista. 
Deve dunque convenirsi che al progettista e direttore dei lavori ... spetta il compenso per la prestata attività, così come richiesta attraverso la fatturazione contestata, indipendentemente dal ritardo verificatosi nella conclusione dei lavori appaltati e dall'esistenza dei vizi dell'opera come denunciati dai committenti, nessuna prova essendo emersa che sia il ritardo che i vizi, ove effettivamente sussistenti, siano ricollegabili ad omissioni o a colpa dell'arch. ... (TRIBUNALE di Siena, sentenza 09.02.2011 n. 50).

APPALTI - ENTI LOCALI: G.U. 08.02.2011 n. 31 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato).

APPALTI: Valida l’aggiudicazione dell’appalto anche se il DURC prodotto è incompleto (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell'affidamento all'esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica.
Nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell'affidamento all'esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica.
Pertanto, nel caso di specie, considerati i ridotti margini di profitto indicati dalla stessa ricorrente (contenuti nell'ordine di circa 7.000 euro) - non può dubitarsi che il servizio pubblico locale oggetto della deliberazione impugnata sia privo di rilevanza economica.
Sicché, tenuto conto delle caratteristiche del servizio e delle sue modeste dimensioni, deve ritenersi che il consiglio comunale, ai sensi dell'art. 113-bis del Tuel, avesse il potere di preferire la formula della gestione diretta rispetto a quella dell'affidamento a soggetti esterni all'amministrazione. In effetti, in un comune, come quello di specie, di non eccessiva grandezza, il servizio di illuminazione votiva cimiteriale richiede, di regola, l'impegno periodico di una persona (o al massimo due) e una spesa annua non rilevante.
In un tale contesto, oltre tutto, il procedimento di indizione di una gara pubblica finirebbe per comportare un costo, in termini di impiego di risorse umane e strumentali, ben maggiore rispetto a quello conseguente alla gestione diretta del servizio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1077 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell’affidamento all’esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica.
L’articolo 113-bis del testo unico degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, stabilisce che –con riguardo ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica– oltre all’affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali e società a capitale interamente pubblico (comma 1, lett. a, b, e c), “è consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1” (comma 2).
Come ha sottolineato il Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, proprio con riferimento ad un servizio di illuminazione votiva, sez. V, 26.01.2011, n. 552), nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell’affidamento all’esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica (sez. V, 04.05.2004, n. 2726) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza  04.02.2011 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca di una procedura negoziata a causa del ritiro della copertura finanziaria da parte dell'ente comunale, senza previa comunicazione dell'avvio del procedimento.
Nel caso di revoca d'ufficio di un atto endoprocedimentale inserito in una gara d'appalto non è richiesta alcuna comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi ritenere la stazione appaltante obbligata al rispetto delle garanzie partecipative solo quando l'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto l'aggiudicazione definitiva, in ragione della posizione di vantaggio, che solo quest'ultima costituisce in capo all'impresa aggiudicataria.
Gli atti endoprocedimentali, avendo effetti instabili ed interinali, non sono, infatti, idonei a generare nei partecipanti una posizione consolidata di vantaggio, con la conseguenza che sull'Amministrazione, la quale intende esercitare il potere di autotutela, incombe un onere di motivazione fortemente attenuato circa le ragioni di interesse pubblico, che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi, in base ai quali si ritiene di non dare corso ulteriore al procedimento.
Nel caso di specie, il ritiro da parte del comune della copertura finanziaria, necessaria per coprire le spese conseguenti all'affidamento del servizio, prima della celebrazione della gara e, dunque, in una fase, nella quale non era stato adottato alcun provvedimento di aggiudicazione neppure provvisorio, va qualificato come atto endoprocedimentale, con il quale l'amministrazione non ha annullato in autotutela una aggiudicazione, ma ha "interrotto" la procedura di gara, con conseguente esclusione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del relativo procedimento.
Ne deriva, altresì, che non vi era necessità di una motivazione "rafforzata", che si soffermasse sui profili di illegittimità dell'atto e sulle ragioni di interesse pubblico sottostanti al ritiro, dovendosi, il provvedimento impugnato ritenere adeguatamente giustificato dal riferimento al venir meno della copertura finanziaria dell'appalto, esistente al momento della indizione della gara.
Peraltro, la mancanza della copertura finanziaria rende doveroso il ritiro degli atti di indizione della gara, che rappresenta l'unico strumento utilizzabile dall'amministrazione per evitare l'affidamento di un appalto e la successiva stipulazione del contratto in assenza della necessaria copertura finanziaria (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 04.02.2011 n. 210 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Condanne riportate dai concorrenti - Valutazione - Non compete al soggetto partecipante ma alla stazione appaltante - Obbligo di indicare tutte le condanne riportate.
Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun "filtro" e omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n. 740), e ciò indipendentemente dall’inserimento dell’obbligo in una specifica clausola del bando e/o del disciplinare di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.02.2011 n. 782 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Associazione temporanea di imprese - Verifica dei requisiti di accesso alla gara - Requisiti di idoneità tecnica - Dimostrazione - Sommatoria dei mezzi e delle qualità delle singole imprese raggruppate - Possibile - Salvo diversa previsione del bando di gara.
Ove la legge di gara non preveda una soglia minima quantitativa per ciascuna impresa facente parte di un'ATI, il possesso dei requisiti oggettivi di idoneità tecnica può essere dimostrato facendo riferimento alla sommatoria dei mezzi e delle qualità delle singole imprese del raggruppamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.02.2011 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAvvalimento.
L’avvalimento di garanzia, figura nella quale l’impresa ausiliaria mette in campo la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria avvalente, può essere ontologicamente ammessa solo in relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari, come nel caso del volume di affari o del fatturato, ma non per requisiti di indole soggettiva, quali l’esperienza pregressa in un dato settore.
E’ quanto affermato dal TAR Campania-Napoli, Sez. I, nella sentenza 02.02.2011 n. 644, ove viene ben chiarito l’alveo applicativo dell’avvalimento, anche attraverso un’anticipazione delle disposizioni normative contenute nel nuovo Regolamento attuativo.
Il Tar Campania, con la sentenza in esame, interviene in tale delicato dibattito, attraverso un preciso percorso argomentativo.
In primo luogo, il Tar ricorda che l'istituto dell' avvalimento, di origine comunitaria, si delinea quale strumento in grado di consentire la massima partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche, consentendo alle imprese, non in possesso dei richiesti requisiti tecnici o economici, di sommare, esclusivamente per la gara in corso, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese. Ovviamente, il ricorso all'avvalimento non determina il trasferimento definitivo dei requisiti dell'impresa ausiliaria a quella avvalente, ma, al contrario, la loro cessione ai soli fini della partecipazione alla gara.
Dunque, l’avvalimento non implica alcun effetto permanente: “In caso di avvalimento, l'impresa ausiliata non potrà fruire dei requisiti fatti oggetto di prestito in altre future gare e ciò a conferma del carattere non permanente dell'istituto, il quale esplica i propri effetti singolarmente”.
Il Tar Campania evidenzia che l’istituto dell’avvalimento è integralmente animato da un chiaro principio di favor verso la partecipazione alle gare, in virtù del quale il concorrente, per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche nonché il possesso dei mezzi necessari all'esecuzione del contratto, può fare riferimento alla capacità ed ai mezzi di uno o più soggetti diversi, ai quali conta di ricorrere. Conseguentemente, deve sempre essere consentito ai partecipanti a procedure concorsuali, al fine di dimostrare il possesso dei requisiti tecnici, economici ed organizzativi di partecipazione, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli intercorrenti con questi ultimi.
Venendo alla concreta questione, cioè la possibilità di ricorrere all’avvalimento per il requisito dell’esperienza quinquennale, i giudici amministrativi campani prendono atto che esso consiste in una “condizione soggettiva, del tutto disancorata dalla messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali”. Il Tar ritiene che il punto essenziale della problematica sia proprio questo: il requisito dell’esperienza quinquennale pregressa non sembra avere apprezzabili collegamenti con le “risorse”, che vengono trasferite dall’impresa ausiliaria a quella avvalente e che costituiscono il punto nodale dell’avvalimento.
In merito il Tar compie un’anticipazione di riferimento alle disposizioni normative contenute nel nuovo Regolamento attuativo del Codice, non ancora in vigore, affermando che “la centralità della messa a disposizione delle risorse all’interno del sinallagma, tipizzante il contratto di avvalimento, è peraltro ribadita dall’articolo 88 del Regolamento di attuazione del Codice dei Contratti (d.P.R. n. 207 del 05.10.2010), che prescrive l’indicazione puntuale ed analitica delle risorse e dei mezzi prestati”.
Si tratta, invero, di un punto molto importante. Infatti, il richiamato articolo 88 del nuovo Regolamento completa la disciplina del Codice, ponendo enfasi sull’elemento dell’imprestito di risorse, oltre che di requisiti, quale profilo fondante dell’avvalimento. Precisamente, l’articolo 88 stabilisce che il contratto di avvalimento, ai fini della qualificazione in gara, deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente i seguenti elementi:
a) l’oggetto, cioè le risorse ed i mezzi prestati in modo determinato e specifico;
b) la durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell’avvalimento.
Declamata la centralità dell’elemento “risorse” nell’ambito dell’avvalimento, il Tar Campania perviene ad una chiara conclusione: “esclusa l’ipotesi dell’avvalimento operativo, di portata generale, la fattispecie in esame è da ricondurre al cosiddetto avvalimento di garanzia, figura nella quale l’ausiliaria mette in campo la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria ausiliata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto”.
Tuttavia, secondo i giudici amministrativi, l’avvalimento di garanzia incontra limiti nell’ordinamento, in ragione della sua peculiare funzione di estensione della base patrimoniale della responsabilità dell’esecuzione del contratto. Di conseguenza, tale figura può trovare legittimo riconoscimento solo in relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari, come nel caso del volume di affari o del fatturato. In questa ipotesi l’avvalimento di garanzia dispiega una apprezzabile funzione, nel senso di assicurare alla stazione appaltante un operatore economico, che goda di una complessiva solidità finanziaria, come dimostrato da recente giurisprudenza in tema di capitale sociale minimo.
Pertanto, al di fuori di tale ipotesi, cioè dell’esistenza di un chiaro collegamento con le risorse fornite dall’impresa ausiliaria all’impresa avvalente, “la messa a disposizione di requisiti soggettivi snatura e stravolge l’istituto dell’avvalimento per piegarlo ad un logica di elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara” (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura negoziata senza pubblicazione del bando quando non sia stata svolta alcuna attività qualificabile in termini di indagine di mercato e non sia stato dimostrato il presupposto dell’unicità della prestazione.
La procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara costituisce una deroga al normale principio di concorrenzialità che domina la materia degli appalti pubblici e pertanto i casi in cui essa è legislativamente consentita sono tassativi e da interpretarsi restrittivamente, con onere dell'Amministrazione di motivare espressamente la sussistenza dei presupposti giustificativi (Giurisprudenza costante: v. per tutte Corte di Giustizia CE, 08.04.2008, n. 337; I, 02.06.2005, n. 394; II, 13.01.2005, n. 84; I, 14.10.2004, n. 340; II, 14.09.2004, n. 385; V, 10.04.2003, n. 20).
I presupposti per il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara, per l'unicità della prestazione, ricorrono soltanto quando si tratti di qualità talmente particolari dell'impresa da farla apparire, sia sotto il profilo delle maestranze altamente specializzate, sia per gli strumenti tecnologici di cui dispone, sia per il prodotto o il servizio offerto, come l'unica in grado di eseguire un'opera o una prestazione dalle caratteristiche tecniche assolutamente particolari, sì che l'art. 57, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 163 del 2006 trova applicazione in casi di prestazioni infungibili o rese in posizioni monopolistiche (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2728 del 2000 TAR Lazio-Roma, Sez. III, 16.01.2010, n. 286).
Ai fini della legittimità del ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara è onere dell’amministrazione individuare le caratteristiche esclusive del servizio con estremo rigore ed ampiezza descrittiva in modo da poter dimostrare l’inutilità o comunque l’impossibilità di un confronto concorrenziale il cui esito sarebbe pressoché scontato a priori perché solo un operatore è in grado di assicurare la prestazione richiesta (cfr. ad es., TAR Lazio n. 286/2010).
Presupposto di ciò è la preliminare individuazione dell’oggetto della prestazione da rendere, e non del macchinario che si ritiene più adatto, accompagnata da una preventiva indagine di mercato, da svolgersi all’evidenza ex ante non ex post (cfr., ex multis, TAR Lazio-Roma, Sez. III, 11.11.2009, n. 11069 e Cons. Stato, Sez. V, 31.12.2007, n. 6797) da cui risulti l’unicità dell’operatore in grado di svolgere quella prestazione (non certo quale sia quello che la svolge nel modo reputato migliore).
E’ illegittima una procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara per la fornitura di un impianto di trattamento e valorizzazione di rifiuti, ove:
a) non sia stata svolta alcuna attività qualificabile in termini di indagine di mercato, la quale presuppone sia il contattare un certo numero di operatori di mercato che l’acquisire gli elementi in ordine ai relativi prodotti (nella specie vi era stata solo un’indagine tecnica interna in cui l’unico macchinario esaminato era quello prescelto, senza l’indicazione di elementi acquisiti anche solo informativi in ordine ad altri eventuali analoghi macchinari, anche solo per evidenziarne l’incapacità a svolgere quella prestazione);
b) non sia stato dimostrato il presupposto dell’unicità della prestazione (nella specie l’approfondimento tecnico -parziale e non di mercato- posto a fondamento della determina analizzava l’unicità del macchinario prescelto, ma non l’unicità della prestazione da svolgere) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Liguria, Sez. II, sentenza 02.02.2011 n. 191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca dell'aggiudicazione provvisoria per mancanza del requisito di regolarità fiscale, sanato dalla concorrente soltanto successivamente all'adozione del provvedimento.
E' legittima la revoca di aggiudicazione di una gara nei confronti di un concorrente, in relazione al quale sia stata accertata la mancanza del requisito di regolarità fiscale, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, in quanto la regolarizzazione è avvenuta solo all'indomani del provvedimento di aggiudicazione provvisoria, e non poteva legittimamente integrare, in capo all'impresa, il requisito di partecipazione richiesto dalla legge.
Il requisito di regolarità contributiva e fiscale prescritto è indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì ai fini dell'ammissione alla gara; ne consegue l'obbligo, in capo all'impresa concorrente, di regolarizzare la propria posizione fin dalla presentazione della domanda, e mantenerla tale per tutto lo svolgimento della gara, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo delle obbligazioni previdenziali e tributarie.
Nel caso di specie, non ha rilievo che la cartella esattoriale sia divenuta definitiva alla scadenza del termine utile per proporre ricorso, dopo la presentazione dell'offerta ma prima dell'adozione del provvedimento di esclusione, giacché la ratio della norma, che impone l'esclusione nelle sole situazioni di irregolarità fiscale "definitivamente accertate", è volta a garantire che l'impresa non subisca le conseguenze di procedure di accertamento tributario o di riscossione erroneamente intraprese nei suoi confronti (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 01.02.2011 n. 213 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

gennaio 2011

APPALTI: TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI NELLE COMMESSE PUBBLICHE (Art. 3, Legge 13.08.2010 n. 136 e s.m.) (ANIE, linee guida gennaio 2011).

LAVORI PUBBLICI: SOA - Attività di attestazione nei confronti di imprese certificate dalle stesse SOA - Divieto - Art. 8, c. 4, L. n. 109/1994 - Modifiche ex art. 7 L. n. 166/2002 - Caducazione del divieto - Esclusione.
Anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 8, comma 4, della legge n. 109 del 1994 dall’art. 7 della legge n. 166 del 2002, non è venuto meno il divieto per le SOA di svolgere attività di attestazione nei confronti di imprese certificate dalle stesse SOA o da società da queste controllate.
La circostanza che la legge non preveda più il divieto per le società di certificazione della qualità di svolgere anche attività di qualificazione con riferimento alla stessa impresa non significa affatto che le società di certificazione possano ora incondizionatamente anche attestare nell’ambito dei lavori pubblici senza alcun limite soggettivo.
La riforma disposta nel 2002 ha invece comportato soltanto che le società di certificazione non possono più essere autorizzate a qualificare soggetti esecutori di lavori pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.01.2011 n. 696 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non è necessario rendere la dichiarazione relativa ai requisiti di cui all'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, anche con riferimento ai procuratori, nell'ipotesi di società di capitali.
Ai sensi dell'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, rientrano nel novero dei requisiti per la partecipazione a gare d'appalto, da un lato, l'assenza di procedimenti di prevenzione pendenti o di cause ostative di cui all'art. 10 della legge n. 575/1965; dall'altro, la mancanza di condanne definitive per reati incidenti sull'affidabilità morale dell'impresa; per le società di capitali, la norma si riferisce ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o al direttore tecnico, mentre nulla viene stabilito a proposito dei procuratori che, in quanto tali, non possono ritenersi titolari della legale rappresentanza dell'impresa, ferma restando la rilevante differenza tra poteri di gestione e funzione rappresentativa, per cui gli stessi non possono ritenersi destinatari della richiamata disposizione dell'art. 38.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale, l'estensione ai procuratori dell'obbligo di dichiarazione in merito ai requisiti di cui alla citata disposizione normativa, sussiste in virtù della verifica sostanziale dell'entità dei poteri a questi conferiti, tali da imporne la qualifica di amministratori di fatto.
Tuttavia, l'esistenza di tale ulteriore condizione in capo al procuratore è una circostanza di fatto che deve costituire oggetto di prova, nonché di specifica allegazione da parte di chi invochi, come nel caso di specie, la carenza della dichiarazione di cui all'art. 38 (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 597 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Partecipazione alle procedure di affidamento - Requisiti di ordine generale - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Destinatari della prescrizione - Società di capitali - Amministratori muniti di poteri di rappresentanza - Fondamento - Procuratori - Esclusione.
L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 tra i requisiti di ordine generale per la partecipazione a procedure di affidamento di appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture, alle lettere b) e c) stabilisce, da un lato l’assenza di procedimenti di prevenzione pendenti o di cause ostative ai sensi dell’art. 10 della legge 31.05.1965 n. 575, dall’altro la mancanza di condanne definitive per categorie di reati ritenuti fortemente incidenti in senso negativo sull’affidabilità morale dell’impresa; in ordine alle persone fisiche cui riferire tali requisiti, per le società di capitali la norma si riferisce ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o al direttore tecnico, mentre nulla viene stabilito a proposito dei procuratori.
Costoro, in quanto tali, non possono ritenersi anche titolari della legale rappresentanza dell’impresa, ferma restando la sostanziale differenza tra poteri di gestione e funzione rappresentativa, per cui non possono ritenersi destinatari dalla richiamata disposizione dell’art. 38 (TAR Campania, I Sezione, 07.06.2010 n. 12674) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 597 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILa disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 va interpretata nel senso che l’omissione o la non corrispondenza alla realtà sottostante di una dichiarazione resa ai sensi della precitata disposizione non comportino ex se l’esclusione dalla gara dell’impresa interessata quando non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione, riconoscendosi la necessità di assicurare che le ipotesi di esclusione vengano ispirate al canone della tassatività e che le relative previsioni rispondano ad effettive esigenze di interesse pubblico a fronte di inequivoche previsioni normative.
L'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 impone non già la produzione di specifica documentazione attestante la mancanza della causa di esclusione indicata (l’aver cioè commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana), ma lo status soggettivo del “non trovarsi” in tale situazione; solo il positivo avveramento di tale situazione impone, cioè, l’esclusione dalla gara.

Alla stregua della più avveduta e recente giurisprudenza del Supremo Consesso (cfr. Cons. di Stato, sez.VI, 22.02.2010. n. 1017), in osservanza degli apicali principi del favor partecipationis e di tutela dell’affidamento, va rimarcato che la disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 va interpretata nel senso che l’omissione o la non corrispondenza alla realtà sottostante di una dichiarazione resa ai sensi della precitata disposizione non comportino ex se l’esclusione dalla gara dell’impresa interessata quando non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione, riconoscendosi la necessità di assicurare che le ipotesi di esclusione vengano ispirate al canone della tassatività e che le relative previsioni rispondano ad effettive esigenze di interesse pubblico a fronte di inequivoche previsioni normative.
Tanto alla luce della considerazione che la disposizione richiamata (art. 38 cit.) impone non già la produzione di specifica documentazione attestante la mancanza della causa di esclusione indicata (l’aver cioè commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana), ma lo status soggettivo del “non trovarsi” in tale situazione; solo il positivo avveramento di tale situazione impone, cioè, l’esclusione dalla gara (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 31.01.2011 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla sussistenza della giurisdizione del g.o. per la controversia inerente il mancato assolvimento di obbligazioni negoziali tra le parti di un rapporto concessorio avente ad oggetto la gestione di una piscina comunale.
Gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i beni del patrimonio indisponibile degli enti locali e, in particolare, giacché finalizzati a soddisfare l'interesse della collettività alle discipline sportive, sono ascrivibili ai beni destinati ad un pubblico servizio, onde gli stessi possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati solo mediante concessione amministrativa, quale è quella in cui il privato gestisce l'impianto natatorio percependo il corrispettivo direttamente dagli utenti e corrispondendo un canone di concessione all'Amministrazione comunale, secondo lo schema tipico della concessione di servizio pubblico.
A seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sent. n. 204/2004), l'ambito dei pubblici servizi è oggetto di giurisdizione del giudice amministrativo solo se in esso l'Amministrazione agisce esercitando il suo potere di supremazia in connessione funzionale con la tutela dell'interesse pubblico affidato alle sue cure, non quando la lite, vertendo sulla mera inadempienza di singole prestazioni negoziali, riguarda unicamente il rapporto convenzionale delle parti e le reciproche posizioni di diritto e di obbligo -anche in vista dell'accertamento della responsabilità per danni del debitore inadempiente (sia questo il soggetto pubblico o il soggetto privato)-, con la conseguenza che restano assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie, relative a situazioni di diritto soggettivo, in cui l'Amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché le stesse scaturiscano da rapporti di tipo.
Poiché, nel caso di specie, le domande giudiziali delle parti sono nella circostanza fondate sul mancato assolvimento di precise obbligazioni negoziali -l'una adducendo il mancato pagamento del canone di concessione e delle spese relative a varie utenze da parte della ditta che aveva assunto le gestione del bene e relative strutture e l'altra pretendendo dall'ente concedente il risarcimento del danno conseguente all'inadempienza dell'obbligo di cura della manutenzione straordinaria dell'impianto natatorio, e poiché le pronunce di incostituzionalità producono i loro effetti anche sui giudizi pendenti, entrambe le domande giudiziali si rivelano inammissibili per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto relative a posizioni di diritto soggettivo devolute alla cognizione del giudice ordinario (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 30 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTILa valutazione (negativa) delle offerte operata da una commissione di gara è espressione di un’ampia discrezionalità che impinge nel merito dell’azione amministrativa e come tale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salve le ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o di travisamento dei fatti.
Il Collegio non può non richiamare il consolidato principio per cui la valutazione (negativa) delle offerte operata da una commissione di gara è espressione di un’ampia discrezionalità che impinge nel merito dell’azione amministrativa e come tale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salve le ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o di travisamento dei fatti (ex plurimis, Consiglio Stato, sez. V, 29.10.2009, n. 6688) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Controllo societario e partecipazione alle gare.
Devono essere escluse le imprese che si trovano in una situazione di controllo effettivo, anche qualora non sussistano quelle specifiche ipotesi riconducibili allo schema del codice civile.

Questo il principio enunciato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza 28.01.2011 n. 673, che ancora una volta si è pronunciato sull’annosa questione della partecipazione alle gare per le imprese che presentano legami tali da alterare le normali regole della concorrenza.
Nel caso in esame, relativo ad una gara per l’affidamento dei lavori di pavimentazione stradale, due imprese concorrenti erano state escluse “in quanto esistente uno stretto collegamento tra le due società, tale da far ritenere unico il centro decisionale e/o di interesse comune.”
Nella specie l’amministrazione contestava:
- Il collegamento familiare tra i vari componenti delle due società;
- L’intreccio societario desumibile dagli statuti;
- Le modalità di invio dei plichi contenenti le offerte, spediti dallo stesso ufficio postale, alla stessa data e ora e con numeri di protocollo immediatamente successivi.
Il provvedimento della stazione appaltante, oggetto di impugnazione, era stato tuttavia confermato dai giudici di prime cure che non avevano ritenuto attendibili le censure di parte ricorrente, la quale aveva sostenuto: “l’esclusione dalle gare d’appalto può essere disposta solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti.”
Tali argomentazioni, riproposte in sede di appello, non sono state comunque considerate valide.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, stabilito che: “Il persistente riferimento ad un "unico centro decisionale", cui siano imputabili le diverse offerte, a prescindere dal controllo e collegamento di carattere presuntivo legale e "documentale", di cui all'articolo 2359 del codice civile, quale causa di esclusione, costituisce la riprova che il legislatore ha inteso allargare la disciplina codicistica, rilevante solo a determinati effetti, appunto privatistici (ad esempio, per il regime delle responsabilità degli impegni assunti dalle varie società), preferendo una soluzione sostanziale e non formale, laddove consente l'esclusione dalle gare d’appalto di concorrenti societari che siano tra loro in un rapporto di effettivo controllo, ancorché realizzato attraverso ipotesi non riconducibili allo schema della norma del codice civile.
Sicché, è sufficiente la presenza di significativi elementi rivelatori di un collegamento materiale -a prescindere dai fenomeni di votazione assembleare- tra imprese, perché sorga l'onere, in capo all'amministrazione, di verificare se esso sia stato tale da alterare il normale, imparziale e concorrenziale meccanismo della gara.
D'altronde, ciò è coerente anche con il sistema disegnato dalla norma del codice civile, laddove essa, prevedendo semplicemente una presunzione nell'unica ipotesi di collegamento rilevante, individuata attraverso i meccanismi di partecipazione assembleare, non esclude che vi possano essere altre forme di collegamento o controllo societario, in concreto idonee ad alterare il meccanismo di gara (cfr. al riguardo, Cons. St., sez. V, 24.08.2010, n. 5923).

La riconducibilità delle offerte ad unico centro decisionale, determina in capo alla stazione appaltante l’onere di porre in essere tutti quelli accertamenti idonei a verificare che non vi sia stata una alterazione della par condicio tra i concorrenti.
Tale verifica si inserisce all’interno di una serie procedimentale progressiva che deve avvenire nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’articolo 97 della Costituzione (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul legame familiare tra società concorrenti in una medesima gara d'appalto.
Ai sensi dell'art. 34, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, non possono partecipare alla medesima procedura imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 c.c., aggiungendo a tale ipotesi quella relativa ad offerte imputabili ad un unico centro decisionale.
La fattispecie normativa citata ricorre allorquando sussista una situazione di collegamento sostanziale, desumibile da univoci elementi individuati in concreto dalla stazione appaltante, dai quali emerga un rapporto tra società, tale da alterare il libero svolgimento della gara nel rispetto della par condicio e dei principi di trasparenza ed efficacia delle procedure di aggiudicazione. Il riferimento ad un unico centro decisionale consente l'esclusione di concorrenti che siano tra loro in un rapporto di effettivo controllo, ancorché realizzato attraverso ipotesi non riconducibili allo schema civilistico.
Pertanto, è sufficiente la presenza di significativi indici rivelatori di un collegamento materiale, affinché sorga l'onere, in capo alla stazione appaltante, di verificare se esso sia stato tale da alterare il normale meccanismo di gara. Il principio sostanzialistico contenuto nel citato art. 34 comporta la possibilità, per le stazioni appaltanti, di procedere ad una verifica più approfondita circa le relazione di collegamento fra i partecipanti alla gara.
In particolare, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'esistenza di un legame familiare tra imprese concorrenti, ove accompagnato da elementi di oggettiva partecipazione societaria, costituisce un'ipotesi di concentrazione del potere decisionale in capo ad un unico centro di interessi (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 673 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIGare, parola alle regioni. Spazio a regole ad hoc sulle aggiudicazioni. Per le sezioni unite gli enti possono stabilire la necessità di un successivo contratto.
Una legge regionale può derogare alla regola generale per cui l'aggiudicazione di una procedura di gara equivale a stipula del contratto; è quindi legittimo, con legge regionale, differire ad un momento successivo la competenza dal giudice ordinario, rispetto alla regola stabilita dalla legge statale.
E' quanto afferma la sentenza 11.01.2011 n. 391 della Corte di Cassazione, Sezioni unite, che decide su una questione di riparto di giurisdizione, fra giudice ordinario e giudice amministrativo.
Veniva infatti eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto ad una controversia sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, sostenendosi che la deliberazione di aggiudicazione definitiva di un compendio immobiliare,venduto all'asta pubblica, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza della Corte di appello di Bologna, non equivaleva a contratto di compravendita.
Il collegio bolognese aveva sostenuto che il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale a tutti gli effetti al contratto, a norma del rd n. 2440 del 1923, art. 16, e che quindi la posizione dell'acquirente, fino all'aggiudicazione è di interesse legittimo, mentre diviene di diritto soggettivo successivamente all'aggiudicazione, stante la suddetta equiparazione tra aggiudicazione e contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.
La Cassazione era quindi chiamata a decidere se il contratto di compravendita dovesse ritenersi concluso per effetto della sola aggiudicazione, come sostenuto dalla sentenza impugnata, in applicazione del rd n. 2440 del 1923, art. 16, sulla contabilità di stato, oppure se fosse necessario un successivo scambio di volontà e conclusione di un formale contratto, come prevede l'articolo 74 della legge regionale dell'Emilia Romagna n. 22 del 1980. Si trattava quindi di ricostruire i principi generali dettati dalla normativa statale, di verificare la natura di tale normativa e di rapportarli alla norma regionale.
Prima di entrare nel merito, la Corte ricorda che la cognizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene pienamente operativa nella successiva fase contrattuale afferente l'esecuzione del rapporto, fase aperta dalla stipula, nella quale si è entrati a seguito della conclusione -con l'aggiudicazione– della fase pubblicistica.
Nel merito dei rapporti fra norma statale e norma regionale, i giudici affermano che la legge di contabilità dello Stato del 1923 (la 2440), all'articolo 16, stabilisce che i i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono per ogni legale effetto al contratto. Ma tale disposizione, dicono i giudici, ha natura di «norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l'aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sé la conclusione dell'accordo».
La Cassazione argomenta che la norma statale, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, «può essere derogate da una norma regionale nell'ambito di una materia, la cui competenza appartenga alla regione». Occorre quindi verificare se nell'ambito in cui incide il contratto vi sia una competenza normativa regionale.
La Corte, nel caso di specie, si esprime positivamente in quanto nelle materie concorrenti, tra competenza legislativa dello Stato e quella delle regioni, è indicata la «tutela della salute», con la conseguenza che spetta allo stato fissare i principi fondamentali, mentre alle regioni compete dettare la disciplina attuativa di tali principi, con l'autonomia e l'autodeterminazione che, nel disegno costituzionale, ad esse sono state riconosciute.
I giudici da ciò fanno discendere che la disciplina in materia di conclusione dei contratti, risultando accessoria rispetto all'individuazione delle linee fondamentale dell'assistenza sanitaria e della tutela della salute (che spettano allo stato) ben può essere oggetto di formazione regionale (articolo ItaliaOggi del 28.01.2011 - link a www.ecostampa.com).

APPALTI SERVIZIClausola riassorbimento personale.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale, di cui all’articolo 1322 del codice civile, dal momento che determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre, al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal Legislatore.
E’ quanto stabilito dal TAR Piemonte, Sez. I, nella sentenza 27.01.2011 n. 114, ove viene affrontata una peculiare questione, quale quella della clausola di riassorbimento del personale del gestore uscente, oggetto di una non irrilevante diffusione nella concreta prassi delle stazioni appaltanti.
Invero, i reali ostacoli alla legittimità della clausola di riassorbimento derivano proprio dai principi declinati dall’articolo 2, comma 1°, del Codice dei contratti pubblici , oltre che da quelli consacrati in Costituzione.
Infatti, la clausola di riassorbimento del personale dell’impresa uscente si palesa pienamente contrastante con il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica. L’articolo 41, comma 1°, della vigente Carta costituzionale, stabilisce che l'iniziativa economica privata è libera. Si tratta di un postulato della massima importanza, che costituisce, senza dubbio, il fondamento primo dell’economia di mercato.
Orbene, la contestata clausola viola l’indicato principio sotto un duplice aspetto. In primo luogo, per quanto concerne l’aspetto generale di libertà di iniziativa economica, cioè libertà delle scelte organizzative e gestionali, che costituiscono un ineludibile contraltare al principio del rischio di impresa. Orbene, l’imprenditore deve essere libero, nel rispetto dei limiti legalmente previsti, di assumere personale, che risponda a specifici requisiti di professionalità. Il voler imporre l’assunzione obbligatoria di personale di altra azienda costituisce una ingiustificata e pericolosa intrusione nel suo ambito di libertà di scelta organizzativa.
In secondo luogo, il principio di libera iniziativa economica viene violato per quel che riguarda l’aggravamento economico dell’iniziativa medesima. In altri termini, la clausola di riassorbimento impone degli oneri economici, che si manifestano gravosi ed alteranti l’equilibrio economico dell’azienda. In buona sostanza, il vincitore della gara deve essere libero di poter assumere o non assumere altro personale, in conseguenza del nuovo appalto o concessione. Infatti, è ben possibile che il vincitore abbia personale, momentaneamente e parzialmente sotto-occupato, che troverà pieno utilizzo proprio con la nuova concessione.
Occorre, poi, tener conto del principio di libera concorrenza, di chiara derivazione comunitaria ed involgente l’intero settore dei pubblici contratti. Obiettivo fondamentale della Comunità europea è, ai sensi dell’articolo 2 del Trattato di Roma, la creazione di un’Unione economica e, ancor prima, di un mercato comune, da intendersi come vero e proprio “mercato interno” nell’accezione propria dell’articolo 14 del Trattato medesimo. Un mercato, cioè, in cui sia effettivamente ed efficacemente assicurata la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Venendo al settore dei pubblici contratti e ripercorrendo le novità introdotte dal Codice e le trasformazioni indotte dalle direttive comunitarie, sembra emergere un dato ben chiaro: la disciplina degli contratti pubblici si presenta adesso, alla stregua di una rinnovata concezione dell’interesse pubblico, quale strumento funzionale al mercato, come passaggio obbligato per garantire la piena operatività del confronto concorrenziale, inteso quale valore da promuovere, oltre che da tutelare.
Competitività e trasparenza dei mercati costituiscono, infatti, un binomio inscindibile nel consentire alle Pubbliche autorità di acquistare beni e servizi e di realizzare opere a prezzi più bassi e di qualità migliore, con una consistente semplificazione dei processi di acquisto e, dunque, con una benefica riduzione dei costi amministrativi e delle altre inefficienze del settore. Pertanto, la presenza della clausola di riassorbimento, quale clausola palesemente alterante l’imprescindibile valutazione dell’interesse economico, che ogni impresa deve liberamente effettuare, costituisce una chiara violazione del principio di libera concorrenza.
Orbene, la violazione del principio di libera concorrenza cagiona, quasi sempre, un’eguale violazione del principio di economicità, che costituisce un’articolazione del principio costituzionale di buona amministrazione dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Tale principio impone alla Pubblica amministrazione di perseguire la realizzazione del massimo risultato con il minor dispendio di mezzi e, quindi, l’adozione, di procedure, volte ad individuare offerte convenienti.
Quindi, la presenza della clausola di riassorbimento ha l'effetto di alterare il percorso logico e, quindi, il connesso calcolo di convenienza economica, che l'impresa segue nella formulazione dell'offerta. L'impresa partecipante alla gara effettua, sulla base anche delle clausole contenute nel bando, una valutazione di convenienza relativa alla partecipazione alla gara ed al contenuto dell'offerta. Inoltre, l'impresa medesima elabora l'offerta, inserendovi le condizioni che essa reputa migliori. A ben vedere, è proprio con la formulazione dell'offerta che l'impresa manifesta la sua efficienza, la sua capacità di stare sul mercato, in altre parole la sua concorrenzialità. Pertanto, da quanto detto, emerge, chiaramente, che la clausola di riassorbimento ha l'effetto di distorcere le capacità di concorrenzialità dell'impresa efficiente, a vantaggio di quelle meno efficienti.
Infine, occorre prestare la massima attenzione all’illegittima creazione di un favor per l’impresa uscente, che viene determinato dalla clausola in esame. L’articolo 97 della Costituzione stabilisce che l’azione amministrativa deve esplicarsi secondo sicuri canoni di imparzialità. In ossequio a tale principio, l’attività amministrativa deve esplicarsi senza dar luogo ad alcuna discriminazione.
Orbene, la clausola di riassorbimento si presenta come palesemente avvantaggiante, in quanto favorisce l’impresa uscente in base ad una banale, ma solido ragionamento: l’impresa uscente parteciperà alla gara e formulerà la propria offerta, non subendo alcuna coartazione della propria libertà organizzativa, in quanto i dipendenti da riassorbire sono già propri. In tal modo, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione sono palesemente vulnerati (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l'intervento in autotutela di tipo caducatorio sia basato su una valutazione di convenienza economica.
La Sezione condivide il principio per cui l'amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l'intervento in autotutela di tipo caducatorio sia basato su una valutazione di convenienza economica (TAR Lazio Roma, sez. II, 09.11.2009, n. 10991; TAR Lombardia Milano, sez. III, 02.05.2006, n. 1108).
Nel caso di specie, la facoltà dell’amministrazione di non procedere alla aggiudicazione dell’appalto per ragioni di convenienza economica è stata prevista direttamente nella legge di gara ed è stata esercitata correttamente dalla stazione appaltante attraverso un provvedimento che il collegio reputa congruamente motivato.
In particolare, non appare irragionevole l’aver ritenuto che l’esiguo ribasso offerto dall’unica concorrente rimasta in gara fosse facilmente migliorabile in una nuova procedura, essendo detto ribasso assai prossimo allo zero.
Né appare illegittimo che tale previsione sia stata desunta anche dalla percentuale di ribasso offerta nella gara appena espletata dal concorrente escluso, dal momento che la predetta esclusione, motivata da ragioni meramente formali, non impediva alla stazione appaltante di assumere quella stessa offerta come semplice elemento di fatto, sintomatico dell’esistenza di una disponibilità del mercato ad offrire prezzi più convenienti.
E' quindi irrilevante che negli anni passati la ricorrente si fosse aggiudicata il servizio offrendo percentuali di ribasso non dissimili da quella ritenuta incongrua dall’amministrazione nella procedura annullata, dal momento che la nuova procedura aveva evidenziato l’esistenza di una diversa propensione del mercato: confermata, del resto, dal ribasso del 15 % con cui la stessa ricorrente si è aggiudicata la nuova procedura negoziata (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIL’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., giacché determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal legislatore.
L’obbligo imposto all’impresa aggiudicataria della nuova gara di mantenere in servizio i medesimi autisti già assunti dal gestore uscente integra un’evidente violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., giacché determina, in via unilaterale, l’imposizione di un vincolo a contrarre al di fuori dei casi tassativamente tipizzati dal legislatore (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 27.01.2011 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Giudizio di responsabilità amministrativa – Rapporto con altri giudizi - Rapporto con il giudizio civile attivato per gli stessi fatti - Sospensione del processo di responsabilità in attesa della definizione di quello civile – Non necessità.
Responsabilità amministrativa – Elementi – Colpa grave – Direttore dei lavori e progettista di opera pubblica – Palesi difformità dell’opera eseguita rispetto al progetto appaltato - Sussistenza.

Attesa l'autonomia del giudizio amministrativo-contabile, va esclusa la necessità, da parte della Corte dei conti di sospendere il giudizio, in attesa della definizione di quello instaurato in sede civile da un Comune per la restituzione delle somme indebitamente corrisposte ad una ditta appaltatrice; peraltro, eventuali somme recuperate in sede civile, in caso di esito favorevole del predetto giudizio, potranno eventualmente essere fatte valere in sede esecutiva di quello contabile. (1)
Nel caso di opera pubblica eseguita in difformità rispetto al progetto appaltato, con ingiustificato aumento di costi, non appare idonea ad escludere la colpa grave del funzionario direttore dei lavori e responsabile del procedimento, la scusante della difficoltà dell’opera e la circostanza che la stessa sia stata realizzata in luoghi difficilmente raggiungibili, a fronte di carenze nello svolgimento dell’incarico, rivelatesi macroscopiche (vistosa discordanza fra i lavori effettuati e quelli indicati nel progetto; contabilizzazioni particolarmente approssimative) e che quindi non sarebbero potute sfuggire ad un direttore dei lavori che avesse usato la benché minima diligenza, tanto più che era stato anche il progettista dell’opera.
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(1) Giurisprudenza pacifica: v. nello stesso senso, ex plurimis, Corte dei conti, Sez. II app., 13.05.2008, n. 149; Sez. III app., 10.09.2003, n. 392; Sez. reg. Lombardia, 17.03.2009, n. 156; Sez. reg. Abruzzo, 07.02.2008, n. 49; Sez. reg. Sardegna, 09.08.2007, n. 869. Cfr., inoltre, nello stesso senso, per i rapporti con il giudizio penale, Sez. app. Sicilia, 20.07.2010, n. 189; Sez. I app., 19.03.2010, n. 195; id., 05.05.2006, n. 104 (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz. d'appello, sentenza 27.01.2011 n. 52 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICINessuna scusante per il dipendente che diventa direttore dei lavori.
Il dipendente che svolge il compito di direttore dei lavori ha il dovere di vigilare sulla corretta esecuzione da parte della impresa aggiudicataria. Egli risponde direttamente, in termini di maturazione di responsabilità amministrativa, nel caso in cui i lavori non siano stati eseguiti per come previsto dal capitolato e non ha evidenziato tali inadempienza. Non può invocare come scusante né la scarsa esperienza, né la difficoltà di accesso ai luoghi in cui i lavori sono stati eseguiti, né il sommarsi dell'incarico di direttore lavori e responsabile del procedimento.
Sono questi i principi dettati dalla II Sez. giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti del Lazio nella sentenza 27.01.2011 n. 52, con cui è stata disposta la condanna di un dipendente di ufficio tecnico comunale direttore di lavori che non ha vigilato adeguatamente sul corretto svolgimento degli stessi in relazione alle prescrizioni dettate dal capitolato.
Ovviamente i danni maturano anche nel caso in cui il finanziamento dell'opera è stato disposto da un'altra pubblica amministrazione, tanto più nel caso in cui la stessa si rivalsa sul comune tagliando il finanziamento in relazione ai lavori non effettivamente svolti. Siamo in presenza di un principio che ascrive direttamente alla responsabilità del dipendente i danni che si sono determinati a seguito della sua condotta quale direttore dei lavori.
In altri termini, per i magistrati contabili costituisce una colpa grava la violazione dei normali doveri di ufficio ovvero della ordinaria diligenza e competenza tecnica che il dipendente deve dimostrare di possedere e deve concretamente esercitare a tutela dell'interesse dell'amministrazione alla puntuale e corretta esecuzione dei lavori da parte dell'impresa aggiudicataria.
Il fatto che lo stesso abbia sommato la responsabilità del procedimento e la direzione dei lavori non costituisce una ragione che possa essere invocata per escludere la colpa grave, mentre se ne è tenuto conto nell'ambito del potere riduttivo della sanzione.
La sentenza aggiunge che «non appare idonea ad escludere la colpa grave la scusante della difficoltà dell'opera e la circostanza che la stessa sia stata realizzata in luoghi difficilmente raggiungibili, in quanto le carenze nello svolgimento dell'incarico di direttore dei lavori, relative sia alla tenuta della documentazione, sia al controllo e alla verifica dell'esecuzione delle opere da parte della ditta appaltatrice appaiono macroscopiche. Infatti, come emerge dagli analitici rilievi effettuati dagli ispettori regionali, nonché dai successivi accertamenti svolti dalla guardia di finanza su incarico del giudice territoriale, la discordanza fra i lavori effettuati e quelli indicati nel progetto e le relative contabilizzazioni era particolarmente vistosa e non potevano sfuggire ad un direttore dei lavori che avesse usato la benché minima diligenza, tanto più che era stato anche il progettista dell'opera».
La sentenza chiarisce infine «che la presunta illegittimità della nomina del medesimo a responsabile del procedimento non appare rilevante nella fattispecie sia perché il medesimo ha accettato e svolto l'incarico, sia perché il fatto produttivo del danno riguarda in modo specifico le sue competenze di direttore dei lavori» (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'indizione della gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale con congruo anticipo rispetto alla scadenza della concessione.
Sulla legittimità della scelta di un comune di accollarsi il pagamento degli oneri spettanti al gestore uscente.

L'art. 14, c. 7, del D.Lgs. 23.5.2000 n. 164, sancisce che "gli enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio". La norma pone, dunque, come principio che le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas siano avviate con anticipo rispetto alla scadenza delle concessioni in essere. Il legislatore, peraltro, si è limitato a prevedere, a tal fine, il rispetto di un termine minimo, "non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento", consentendo agli enti locali di attivarsi anche prima della scadenza del termine anzidetto. D'altra parte, tanto più la gara è indetta con anticipo, tanto minore sarà il rischio che il nuovo affidamento possa slittare nel tempo.
Un congruo anticipo nell'indire la gara si risolve in più tempo a disposizione per gestire il procedimento e il contenzioso derivante, quindi aumenta la possibilità che alla scadenza in questione sia già individuato con certezza il soggetto pronto ad assumere la gestione e si evitino fenomeni di prorogatio.
L'art. 14, c. 1, del D.Lgs. n. 164/2000, sancisce che il servizio di distribuzione del gas è affidato mediante gare per periodi non superiori a dodici anni con l'effetto che i partecipanti alle gare sono tenuti, in ragione della durata dell'affidamento, a formulare le offerte sulla base di una valutazione di lungo periodo (tredici anni almeno tenuto conto del termine minimo di un anno previsto dall'art. 14, c. 7, del D.Lgs. n. 164/2000) tenendo conto di tutti i parametri, economici e gestionali del servizio.
La scelta del Comune di accollarsi il pagamento degli oneri spettanti al gestore uscente, non ostacolata dal dato normativo, è giustificata sia dalla ricaduta positiva sul margine di profitto dei concorrenti che favorisce la più ampia partecipandone, sia, soprattutto, dalla cogente esigenza di attivare tempestivamente le procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione dei nuovi aggiudicatari, procedure altrimenti paralizzate, con chiara violazione del disposto normativo al riguardo, dal contenzioso insorto con i gestori uscenti e dalla conseguente impossibilità di accollare ai vincitori delle gare, un onere economico non definito (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 581 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIE' legittimo avviare, prima di un anno dalla scadenza, la procedura di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del Gas.
L'art. 14, comma 7, del D.Lgs. 23.05.2000 n. 164 sancisce che "gli enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio".
La norma pone, dunque, come principio che le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas siano avviate con anticipo rispetto alla scadenza delle concessioni in essere. Il legislatore, peraltro, si è limitato a prevedere, a tal fine, il rispetto di un termine minimo, "non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento", consentendo agli enti locali di attivarsi anche prima della scadenza del termine anzidetto.
Questo è il caso sottoposto all’attenzione del collegio dei giudici amministrativi chiamati a vagliare la posizione assunta dai colleghi del Tar di Brescia.
Un comune, avente in essere un contratto con una società per la distribuzione del Gas, ha avviato, tre anni prima della s cadenza del contratto suddetto, le procedure per individuare il nuovo affidatario. Tale scelta è stata posta in discussione dall’attuale gestore del servizio che, sulla base della disposizione di cui al comma 7 dell’art. 14, ha sostenuto l’illegittimità di una tale determinazione in quanto suscettibile di pregiudicare i partecipanti alla gara, impedendo loro di presentare offerte consapevoli.
I giudici di Palazzo Spada non hanno condiviso le perplessità di parte ricorrente e aderendo alla posizione espressa dai colleghi del Tar, hanno invece sostenuto la congruità del tempo preso dall’amministrazione e ne hanno sottolineato la conformità al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Parimenti legittima è stata considerata la previsione del bando di gara con la quale è stata presa in considerazione la possibilità di un affidamento anticipato del servizio per l'ipotesi in cui fosse stato modificato il regime transitorio del D.Lgs. n. 164/2000, consentendosi agli enti affidanti di sciogliere i rapporti concessori in essere prima del 31.12.2009.
A dispetto di quanto sostenuto dalla società ricorrente secondo cui ciò avrebbe introdotto una forte indeterminatezza circa la decorrenza del nuovo rapporto che non avrebbe consentito alla medesima di formulare la propria offerta con piena cognizione delle condizioni di affidamento, i giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto la previsione del bando neutra e priva di concreta lesività limitandosi ad imporre all'aggiudicatario il rispetto di una eventuale, ipotetica normativa sopravvenuta: in sostanza come appunto rilevato dal Tar la previsione obbliga il concessionario a fare: “...quanto in futuro sarà previsto dalla legge” (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 581 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISottoscrizione offerta.
La sottoscrizione dell’offerta si configura come lo strumento idoneo a renderne nota la paternità dell’atto ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà e non può ritenersi equivalente ad essa l’apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene.

E’ quanto affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 25.01.2011 n. 528, ove, confermando un solido orientamento, si perviene, correttamente in ragione delle diverse funzioni, a negare la possibilità di equivalenza fra la sottoscrizione dell’offerta e la sottoscrizione apposta sui lembi sigillati del plico di offerta.
I giudici amministrativi di appello ricordano che la sottoscrizione di un atto o di un documento, in linea generale, esplica diverse funzioni. In primo luogo, va osservato che la sottoscrizione di un documento costituisce lo strumento, mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento medesimo. Da un punto di vista sostanziale, la sottoscrizione, comunemente intesa come scrittura manuale del proprio nome e cognome in calce ad un documento, consente di risalire alla paternità dell’atto e di ricondurre al suo autore tutti gli effetti, che l’ordinamento indirizza verso la sfera giuridica dello stesso. I principi di trasparenza ed imparzialità, giustamente operanti e dominanti nelle gare pubbliche, esigono che sia certa ed inequivoca l’imputazione dell’offerta e di qualsiasivoglia altra documentazione al soggetto concorrente.
Dunque, in considerazione del fatto che la sottoscrizione è elemento essenziale della dichiarazione, la sua mancanza, anche su una sola delle parti indispensabili costituenti l’offerta, o altro documento dichiarativo, intesa quale manifestazione di volontà negoziale, inficia la validità della medesima. In secondo luogo, il CdS fa osservare che la certa e sicura riconducibilità di tutti gli elementi costitutivi l’offerta, anche di quelli che possano apparire prima facie non essenziali o puramente formali, al soggetto autore, garantisce la serietà e l’affidabilità dell’offerta medesima, intesa quale dichiarazione del partecipante alla gara, finalizzata alla costituzione di un rapporto contrattuale.
Infine, la sottoscrizione esplica una funzione di chiusura e di immodificabilità del documento, in modo tale da non consentire riaperture di ulteriori trattative negoziali. Da tale considerazione, consegue l’ammissibilità delle correzioni, contenute in un’offerta, purché espressamente confermate con specifica sottoscrizione a margine.
Oltre tali funzioni, i giudici amministrativi di appello pongono enfasi su di un corollario delle funzioni medesime: l’effetto di vincolo. In altri termini, con la sottoscrizione di un atto, di un’offerta, il soggetto si obbliga, si vincola a rispettare il preciso contenuto della manifestazione di volontà esternalizzata e scritta. Ciò comporta, tenuto conto del naturale “formalismo” insito nelle procedure di gara, la necessarietà della sottoscrizione dell’offerta, affinché si possa considerare il soggetto sottoscrittore come puntualmente obbligato a rispettare e ad adempiere tutto quanto ciò che precede la sottoscrizione medesima.
Al riguardo, non è privo di rilievo ed, anzi, assume un ruolo decisivo, il chiaro tenore letterale dell’illustrata disposizione normativa contenuta nell’articolo 74, comma 1°: le offerte debbono essere sottoscritte, manualmente o digitalmente. Dunque, una sottoscrizione deve esserci, in quanto richiesta espressamente da una inequivoca disposizione e deve sussistere indipendentemente da un’espressa previsione del bando di gara. La previsione normativa risponde ad ovvie esigente di pubblica certezza, per cui non può che assumere valenza di norma imperativa, con sua immediata ed assoluta applicabilità, a prescindere dalle regole di gara, in ragione del noto principio dell’eterointegrazione precettiva.
Acclarata la necessarietà legale della sottoscrizione dell’offerta, il Consiglio di Stato perviene ad affrontare il problema della sua eventuale surrogabilità, cioè se sia possibile considerare come equivalente (alla sottoscrizione dell’offerta) la sottoscrizione apposta sui lembi sigillati del plico di offerta. Al riguardo, i giudici amministrativi di appello pongono in risalto le diverse funzioni espletate dalle due sottoscrizioni, che non possono essere non tenute in differenziazione.
Precisamente, la sottoscrizione dell’offerta, imposta dal Codice, assolve alle illustrate funzioni: imputazione di paternità dell’atto; garanzia di serietà ed affidabilità; chiusura ed immodificabilità del documento; effetto di vincolo. Viceversa, la sottoscrizione apposta sui lembi di chiusura del plico di offerta esplica una ben diversa funzione: garantire la segretezza dell’offerta e l’integrità del plico di offerta. Come si può ben vedere, si tratta di differenti funzioni, cioè di diverse “esigenze pubbliche da soddisfare”.
Da un lato, vi è la problematica della paternità dell’atto e dei connessi vincoli; dall’altro, vi è l’esigenza di assicurare la segretezza e, soprattutto, l’integrità del plico di offerta. In presenza di tale netta diversità di funzioni, il Consiglio di Stato ritiene che non sia possibile alcuna forma di surrogazione o di equipollenza. Ciò, in aderenza, fra l’altro, ad una propria giurisprudenza (CdS, sez. V, n. 364/2004 e sez. IV, n. 1832/2010), ove si è negata la possibilità di sostituire la mancante sottoscrizione con il timbro dell’impresa e la fotocopia del documento di identità del titolare della medesima (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Art. 38 d.lgs. 163/2006, niente dichiarazione per i procuratori.
Il Consiglio di Stato afferma che, ai fini della dichiarazione di cui all'art. 38 del Codice Appalti, i procuratori, benché dotati di ampi poteri, non possono essere assimilati agli amministratori della società. L'ennesimo giro di valzer, visto che al riguardo, la giurisprudenza ha espresso anche soluzioni opposte.
L’interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai soggetti per i quali la dichiarazione deve essere resa è stata oggetto di diversi orientamenti giurisprudenziali, fra i quali permane un contrasto.
L’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento, per le società di capitali, agli “amministratori muniti del potere di rappresentanza”.
Secondo una parte della giurisprudenza, per l’individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di "amministratori muniti di poteri di rappresentanza", occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16.11.2010 n. 8059; VI, 08.02.2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell’art. 38 cit., fanno rientrare sia i "soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario", sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito alla necessità di effettuare una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative, derivando –in assenza di più restrittive clausole di gara– l’effetto di esclusione dalla procedura solo dal mancato possesso dei requisiti, e non dalla omissione o incompletezza della dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010, n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n. 379).
Il Collegio ritiene di dover aderire –per le considerazioni di seguito esposte- alla seconda tesi, che limita l’applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali.
Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.
I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza –di diritto comune- della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/06 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l’applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.
Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori.
Peraltro, anche l’applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all'amministratore.
Si deve, quindi, prendere atto che l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 -nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione- fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l’obbligo ai procuratori.
La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l’obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2011 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIL'ente può annullare l'accordo se l'impresa alza il prezzo.
In un appalto, se l'impresa ha dichiarato di avere studiato il progetto e di ritenerlo realizzabile al prezzo offerto e, alla consegna dei lavori, eccepisce carenze progettuali e chiede varianti, la stazione appaltante è legittimata a risolvere il contratto per venire meno dell'obbligo di lealtà contrattuale.

È quanto ha affermato il Tar Sardegna, con la sentenza 25.01.2011 n. 51 della II sezione, in una vicenda in cui, a seguito dell'aggiudicazione di un appalto di lavori, consegnati «sotto le riserve di legge», l'impresa aggiudicataria aveva immediatamente evidenziato al responsabile del procedimento e al direttore dei lavori varie difficoltà operative conseguenti a quelle che erano state presentate come carenze progettuali.
Il responsabile del procedimento provvedeva a revocare l'aggiudicazione sul presupposto che la ricorrente avesse violato il principio di buona fede. L'aggiudicatario aveva infatti sottoscritto una dichiarazione nella quale attestava di avere effettuato uno studio approfondito del progetto a seguito del quale tale progetto ben poteva essere realizzato per il prezzo corrispondente all'offerta presentata.
I giudici dichiarano legittima la risoluzione del rapporto, non prima di avere peraltro sottolineato come si trattasse di una questione relativa alla fase di esecuzione del contratto e, quindi, di vicenda alla quale applicare i principi civilistici.
In particolare, dicono i giudici, l'aggiudicatario aveva visto risolto il contratto da parte della stazione appaltante a seguito dell'inadempimento concretizzatosi nel non avere iniziato prontamente i lavori a seguito della consegna in pendenza di stipula contrattuale e nell'aver sollevato «pretestuose eccezioni in ordine alla realizzabilità del progetto esecutivo posto a base di gara, pretendendo, in sostanza, modifiche progettuali mediante l'approvazione di una perizia di variante».
Nel caso concreto i giudici riconoscono del tutto sleale il comportamento dell'aggiudicataria che ha messo in discussione le scelte progettuali facendo prevalere propri valutazioni rispetto a quelle della stazione appaltante e ciò prima ancora di iniziare i lavori.
Pertanto i giudici affermano che, se prima ancora di iniziare i lavori, l'impresa chiede la modifica del progetto che in sede di gara era stato oggetto di «studio approfondito» ed era stato ritenuto «adeguato e realizzabile per il prezzo corrispondente all'offerta presentata», e inoltre chiede nuove risorse finanziarie e si riserva di contabilizzare i «gravi e ingiustificati oneri finanziari», essa viola «l'obbligo di leale condotta che deve presiedere sia all'esecuzione del contratto che alla sua formazione e interpretazione» (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per violazione dell'obbligo di allegare una copia del documento d'identità all'offerta economica.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, in violazione di una clausola contenuta nel bando di gara, abbia omesso di allegare copia del documento di identità all'offerta economica presentata in sede di gara, e ciò anche nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, tale copia sia stata prodotta all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa, in quanto, a fronte del chiaro ed inequivoco disposto letterale del disciplinare di gara, l'Amministrazione è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella lex specialis, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine alla rilevanza dell'adempimento.
La richiesta di allegare il documento di identità all'offerta economica non si risolve in un mero formalismo, in quanto è diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, il nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad un determinato concorrente; pertanto, tale clausola non può dirsi illogica né sproporzionata, in quanto trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare un interesse apprezzabile dell'Amministrazione, dando certezza circa la provenienza della dichiarazione; d'altro canto, essa si limita ad imporre ai partecipanti uno sforzo minimo, e, dunque, proporzionato rispetto all'interesse pubblico perseguito (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.01.2011 n. 478 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L. Bellagamba, La tracciabilità dei flussi finanziari dopo la L. 217/2010 (Non si applica quando la pubblica Amministrazione jure privatorum utitur – Si applica per l’affidamento degli incarichi di collaborazione – L’impiego di contante per la pubblica Amministrazione) (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: Il favor partecipationis quale limite al potere di predeterminazione dei requisiti di ammissione (link a www.mediagraphic.it).

LAVORI PUBBLICI: L’affidamento dei lavori pubblici in Italia: problemi e possibili soluzioni secondo la Banca d’Italia.
Il settore degli appalti pubblici italiano è esposto in misura considerevole ai rischi di collusione, corruzione e rinegoziazioni successive con gli aggiudicatari dei contratti. Carenze sono, inoltre, presenti sul piano della progettazione degli interventi. Tutto ciò nonostante le numerose riforme che hanno interessato il settore negli ultimi anni.
Questi, in sintesi, i risultati di un’analisi del sistema dei contratti pubblici effettuata dalla Banca d’Italia e i cui risultati sono riportati nella pubblicazione “L'affidamento dei lavori pubblici in Italia: un'analisi dei meccanismi di selezione del contraente”.
Nella pubblicazione l’istituto esegue l’analisi delle diverse procedure di gara e dei diversi criteri di aggiudicazione evidenziandone le criticità ed i rischi associati. Banca d’Italia, tuttavia, non si limita a criticare il sistema degli appalti ma propone delle soluzioni, derivate dalla letteratura internazionale, per tentare di contenere e/o contrastare le problematiche evidenziate (rischio di mancato completamento dell’opera, collusione, fenomeni di corruzione, etc.).
Le indicazioni provenienti dalla letteratura economica e i confronti internazionali suggeriscono che miglioramenti potrebbero provenire da:
1- l'eliminazione del ricorso a meccanismi di esclusione automatica delle offerte anomale, che ridurrebbe i rischi di collusione tra gli offerenti;
2- un accentramento delle valutazioni di anomalia delle offerte in capo a stazioni appaltanti di maggiori dimensioni e un innalzamento degli importi delle garanzie fideiussorie prestate dai soggetti aggiudicatari, che ridurrebbero i rischi di rinegoziazioni successive e di mancato completamento dell'opera;
3- un rafforzamento delle misure di contrasto ai fenomeni di corruzione, specie per quanto attiene ai controlli relativi alla sub-contrattazione;
4- una maggiore standardizzazione progettuale e, per gli appalti più complessi, il ricorso al dialogo competitivo (link a www.acca.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti di forniture e servizi: prova della capacità economica e finanziaria.
E’ legittima la clausola del bando di gara che richiede, al fine della dimostrazione della capacità economica e finanziaria, la produzione dei bilanci in attivo regolarmente approvati con riguardo all’ultimo triennio.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 21.01.2011 n. 426, nell’ambito di un appalto di servizi socio educativi – assistenziali il cui disciplinare di gara richiedeva “la produzione dei bilanci in attivo regolarmente approvati con riguardo al triennio 2005-2007.”
Tale previsione infatti non contrasta con l’art. 41 del codice dei contratti “che non fornisce alcuna indicazione in ordine all’ambito temporale di riferimento delle scritture contabili; per altro verso si spiega, sul piano logico, con l’esigenza di assicurare l’acquisizione, per tutti i soggetti partecipanti e con riferimento al medesimo periodo triennale, di bilanci regolarmente approvati e depositati alla stregua della disciplina civilistica di riferimento (cfr. artt. 2364 e segg., che stabiliscono in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, il termine massimo per la convocazione dell’assemblea ordinaria ai fini dell’assolvimento del predetto obbligo).
La giurisprudenza, si veda ad esempio la sentenza del Tar Roma, 17.02.2011, n. 2505, nell’ambito di una gara di appalto per la fornitura di materiale medico, ha altresì ribadito che l’art. 41 del codice permette ai concorrenti che siano impossibilitati a presentare la documentazione attestante il requisito economico - finanziario richiesto dalla lex specialis di allegare altri documenti.
E’ tuttavia “onere del concorrente impossibilitato a presentare la documentazione attestante il requisito richiesto dal bando, indicare i "giustificati motivi" dell’impedimento e, nel contempo, allegare "qualsiasi altro documento" idoneo a dimostrare la propria capacità economico-finanziaria; ove infatti si fosse avvalso della facoltà prevista dal comma terzo del citato articolo 41 –la cui applicabilità non è certo esclusa dal suo mancato richiamo da parte del bando di gara, che deve intendersi automaticamente integrato dalle disposizioni di legge, disciplinanti la procedura– la stazione appaltante avrebbe, a sua volta, avuto l’obbligo di valutare la capacità del concorrente in base alla documentazione "alternativa" presentata.”
E’ legittimamente escluso pertanto il concorrente che non produca alcuna documentazione alternativa, limitandosi a richiamare l’art. 41 del codice. La stazione appaltante da parte sua non può, in mancanza di alcuna giustificazione, sollecitare un successivo completamento documentale, che si risolverebbe inevitabilmente “nella produzione di un documento nuovo e diverso rispetto a quelli depositati a corredo della domanda di partecipazione alla procedura”, in assoluta violazione del principio della par condicio tra i concorrenti (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’esclusione dalla gara per gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti è motivata congruamente col richiamo alle stesse.
La ditta individuale in causa aveva partecipato alla gara a procedura aperta per l’affidamento dei lavori di “sistemazione parziale della viabilità nell’area cimiteriale in ampliamento” ed è stata esclusa dalla stessa, ai sensi dell’art. 38, I comma, lett. f) del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, perché, in qualità di capogruppo di un’ATI, era stata oggetto di risoluzione in danno di un precedente contratto, relativo ai lavori di realizzazione delle infrastrutture idriche e fognanti della zona industriale del Comune in causa, tale risoluzione, dovuta a grave inadempimento dell’appaltatore, è stata considerata tale da far venir meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante stante anche il breve lasso di tempo intercorso dal provvedimento di risoluzione succitato.
Il TAR, sostiene la ditta ricorrente, ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento impugnato, mediante mero richiamo alle inadempienze intervenute, alla risoluzione contrattuale ed al giudizio civile in corso, senza considerare che l’art. 38, I c., lettera f), del D.Lgs. n. 163 impone che l’esclusione sia assistita non da una semplice motivazione ma da una “motivata valutazione” della stazione appaltante; nel caso di specie l’Amministrazione avrebbe inadeguatamente motivato nel senso sopra indicato, senza operare, previa adeguata istruttoria, alcuna valutazione circa la gravità e importanza delle negligenze e delle inadempienze, nonché circa la incidenza delle infrazioni sul piano della persistente inaffidabilità del concorrente e senza tenere conto del lasso di tempo trascorso dall’adozione dell’atto di risoluzione (che non sarebbe breve ma di circa tre anni), della assenza di recidive e della instaurazione di una azione giudiziaria al riguardo da parte della parte appellante (ancora pendente).
Osserva al riguardo il Consiglio di Stato che, a ragione, il TAR ha ritenuto legittima la giustificazione dell’esclusione, giacché l’impresa, quale contraente, era incorsa in gravi inadempienze, tanto che l’Amministrazione aveva dovuto risolvere il contratto (con espressa valutazione collegantesi alla pregressa vicenda negoziale pienamente a conoscenza dell’istante) rilevando l’inconsistenza di ogni rilievo in ordine ad una mancata o superficiale considerazione della situazione e ad una carente motivazione.
Invero, in virtù dell'articolo 38, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 "sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante".
Tale disposizione, nel precludere la partecipazione alle gare d'appalto alle imprese che si sono rese responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti contratti (denotando ciò un'inidoneità "tecnico-morale" a contrarre con la P.A.), fissa il duplice principio che la sussistenza di tali situazioni ostative può essere desunta da qualsiasi mezzo di prova e che il provvedimento di esclusione deve essere motivato congruamente (Consiglio di Stato, V, 27.01.2010 n. 296).
Per procedere alla esclusione in questione è necessario quindi che sia fornita un'adeguata prova dell'inadempimento e che lo stesso rilevi sul piano del venir meno dell'affidabilità dell'impresa nei confronti della Amministrazione e, ai fini della sussunzione nell'ipotesi prevista dall'articolo 38, comma 1, lettera f), del codice dei contratti pubblici, occorre ricordare ulteriormente che quest'ultima postula, alternativamente, una grave negligenza o malafede nell'esecuzione di uno specifico contratto con la medesima stazione appaltante oppure un grave errore nell'esercizio della attività professionale.
La gravità deve essere peraltro idonea ad influire sull'interesse (pubblico) dell'Amministrazione a stipulare un nuovo contratto con l'impresa privata; non a liberarsi dal precedente rapporto, come nel caso della risoluzione. Ne consegue che la gravità della generica negligenza o dell'inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all'affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre, ex ante, nell'impresa cui decide di affidare l'esecuzione di un nuovo rapporto contrattuale.
Quindi la valutazione assume un aspetto più soggettivo (di affidabilità) che oggettivo (il pregiudizio al concreto interesse all'esecuzione della specifica prestazione inadempiuta). Non a caso, l'articolo 38, comma 1, lett. f), in questione, include presupposti espressamente soggettivi (la malafede) oppure avulsi dallo specifico rapporto contrattuale (il grave errore nell'attività professionale), ma comunque idonei ad incidere sull'affidabilità dell'impresa privata e, quindi, sull'immagine della stessa agli occhi della stazione appaltante.
L'esclusione dalla gara pubblica per i motivi che interessano non ha quindi carattere sanzionatorio, essendo viceversa prevista a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico.
Alle formulate considerazioni consegue che, al fine del decidere, non assume alcun rilievo la contestazione da parte della impresa della suddetta valutazione amministrativa, posto che l'esigenza soddisfatta dalla richiamata previsione nel delineare la causa di esclusione è salvaguardare l'elemento fiduciario, scalfito in presenza di un giudizio formulato dall'Amministrazione circa la grave negligenza dell'aspirante partecipante (Consiglio Stato, sez. V, 27.01. 2010, n. 296).
Peraltro, la mancanza di ulteriori parametri da parte del legislatore dimostra la volontà di riconoscere in capo alla stazione appaltante un ampio spazio discrezionale nella valutazione circa la sussistenza o meno del requisito di affidabilità, perciò non possono essere condivisi i limiti e le interpretazioni restrittive proposte dalla parte appellante.
L'esclusione non può essere impedita per la semplice circostanza che la inadempienza è stata commessa da lungo tempo o per la non rilevante gravità e importanza della stessa, trattandosi di elementi che non incidono in modo determinante sulla qualificazione della commessa inadempienza, nell’ambito della valutazione della rilevanza sull'affidabilità della impresa concorrente; perciò non esiste nessun particolare onere da parte della stazione appaltante di pronunciarsi in modo specifico su tali circostanze quando venga comunque raggiunto un ragionevole convincimento, debitamente esplicitato, circa la mancanza del requisito di affidabilità, cui consegua la necessità di escludere la ditta partecipante (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.01.2011 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'importo limitato dei lavori e dei servizi giustifica l’adozione delle forme procedurali semplificate e accelerate proprie del cottimo fiduciario, tra cui in particolare la riduzione della pubblicità dell’appalto e la limitazione del numero di imprese ammesse al confronto. L'amministrazione aggiudicatrice è però tenuta a compilare la lista delle imprese da invitare al confronto nel rispetto dei principi generali di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, tutti richiamati nell’art. 125, comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti, deve condurre la procedura sulla base dei medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto analoghi lavori o servizi sulla base di procedure negoziate l’amministrazione aggiudicatrice può legittimamente decidere di favorire l’ingresso di altri soggetti escludendo dagli inviti, per un certo periodo, gli affidatari pregressi. Il principio di rotazione risulta ancora più stringente per l’amministrazione aggiudicatrice quando la situazione di mercato in un determinato contesto economico sia caratterizzata dalla presenza di numerose imprese potenzialmente idonee e interessate all’appalto. In questo caso la rotazione può essere applicata non solo ai precedenti affidatari ma anche ai soggetti che abbiano partecipato alle procedure negoziate senza conseguire l’appalto.

L'importo limitato dei lavori e dei servizi giustifica (qualora non vi sia stato artificioso frazionamento dell’appalto) l’adozione delle forme procedurali semplificate e accelerate proprie del cottimo fiduciario, tra cui in particolare la riduzione della pubblicità dell’appalto e la limitazione del numero di imprese ammesse al confronto. L'amministrazione aggiudicatrice è però tenuta a compilare la lista delle imprese da invitare al confronto nel rispetto dei principi generali di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, tutti richiamati nell’art. 125, comma 11, del Dlgs. 163/2006 e, parimenti, deve condurre la procedura sulla base dei medesimi criteri.
Quando vi sono imprese che hanno già svolto analoghi lavori o servizi sulla base di procedure negoziate l’amministrazione aggiudicatrice può legittimamente decidere di favorire l’ingresso di altri soggetti escludendo dagli inviti, per un certo periodo, gli affidatari pregressi. Il principio di rotazione risulta ancora più stringente per l’amministrazione aggiudicatrice quando la situazione di mercato in un determinato contesto economico sia caratterizzata dalla presenza di numerose imprese potenzialmente idonee e interessate all’appalto. In questo caso la rotazione può essere applicata non solo ai precedenti affidatari ma anche ai soggetti che abbiano partecipato alle procedure negoziate senza conseguire l’appalto.
Nello specifico l’applicazione del principio di rotazione appare giustificata, in quanto la ricorrente è stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario e in un caso è risultata anche aggiudicataria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne che, in relazione alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, non sia manifestamente illogica, arbitraria ovvero macroscopicamente viziata da travisamento di fatto, con la conseguenza che il giudice amministrativo non può sostituire con proprie scelte quelle operate dall'Amministrazione (cfr. da ultimo: TAR Liguria, sez. II, 03.02.2010, n. 233 e n. 237; Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7259 e 16.02.2009, n. 837; idem, sez. IV, 08.06.2007, n. 3103; TAR Campania, Salerno, sez. I, 19.06.2009, n. 3300) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.01.2011 n. 129 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
La norma contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f), del Codice dei Contratti, nel prevedere quale requisito di partecipazione alla gara che il concorrente non abbia commesso “grave negligenza o malafede” nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante ovvero un “errore grave” nell’esercizio della propria attività professionale, non può essere estesa in via interpretativa a soggetti giuridici diversi (quand’anche collegati) da quello che abbia concretamente presentato la domanda di partecipazione e abbia reso la dichiarazione prevista dalla suddetta norma, essendo quest’ultima di natura eccezionale, e quindi di stretta interpretazione.

E’ principio condiviso quello per cui in materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione (da ultimo, Consiglio Stato, sez. V, 15.11.2010, n. 8044; Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2010, n. 6550; Consiglio Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213).
Da tale principio consegue che la norma contenuta nell’art. 38, comma 1, lettera f), del Codice dei Contratti, nel prevedere quale requisito di partecipazione alla gara che il concorrente non abbia commesso “grave negligenza o malafede” nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante ovvero un “errore grave” nell’esercizio della propria attività professionale, non può essere estesa in via interpretativa a soggetti giuridici diversi (quand’anche collegati) da quello che abbia concretamente presentato la domanda di partecipazione e abbia reso la dichiarazione prevista dalla suddetta norma, essendo quest’ultima di natura eccezionale, e quindi di stretta interpretazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 33 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Responsabilità - Danno alla concorrenza - Definizione
La violazione delle regole della concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi tutelati dagli artt. 41 e 97 Cost. e dalla L. 241/1990, realizza un vulnus all’obbligo di servizio del funzionario preposto alla gestione della procedura concorsuale e, cioè, il c.d. “danno alla concorrenza”.
Ciò in quanto i valori dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività amministrativa rappresentano, ormai, i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione a essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale a oggetto pubblico.
Appalti pubblici - Lavori di completamento di una precedente opera (secondo lotto) - Unicum inscindibile dalla primigenia parte.
Qualora i lavori oggetto di un appalto pubblico concernano il mero completamento di una precedente opera, trattandosi di un secondo lotto, essi devono essere considerati un unicum inscindibile con quelli di cui alla primigenia parte, sia ai fini della determinazione della soglia di rilevanza comunitaria, sia -conseguentemente- in ordine all’eventuale ammissibilità del ricorso alla trattativa privata, in base a quanto previsto dall’art. 24,L. 109/1994 (ora confluito nell’art. 57, Dlgs. 163/2006).
Appalti pubblici - Responsabilità dei dirigenti - Nel caso di attuazione dell’illegittimo indirizzo della Giunta - Sussiste.
Ai sensi dell’art. 107 del Dlgs 267 del 2000, spettano ai dirigenti la direzione degli uffici e servizi, nonché tutti i compiti compresa l’adozione di atti amministrativi, tra cui la responsabilità delle procedure di appalto e di concorso.
Non vale, quindi, a escludere la responsabilità del funzionario posto al vertice del pertinente settore comunale la circostanza di essersi costui limitato a seguire l’illegittimo indirizzo dato in proposito dalla Giunta con apposito atto generale, potendo quest’ultimo soltanto fungere da indicazione di massima, giammai peraltro prevalente sul contrario dettato legislativo (massima tratta da Diritto e Pratica Amministrativa n. 5/2011 - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Abruzzo, sentenza 20.01.2011 n. 23 - - link a www.corteconti.it).
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ATTENZIONE: celarsi dietro al paravento "... me l'ha detto la Giunta (o Sindaco che sia)" non serve a niente!!
Dare attuazione ad un illegittimo indirizzo da parte della Giunta Comunale non mette al riparo da ipotetici danni da pagare di tasca propria.
E' proprio il caso di ricordare il detto popolare: "Uomo avvisato mezzo salvato!!".

APPALTILavori pubblici, la giunta non salva il dirigente. Aggiudicazioni. Gli atti dell'esecutivo non sono un'esimente in caso di lesione della concorrenza.
Matura responsabilità contabile a carico del responsabile dei lavori pubblici che non rispetta nelle procedure di aggiudicazione il principio della tutela della concorrenza. In tal caso egli arreca un duplice danno: priva l'ente dei risparmi che possono derivare dal rispetto di tale principio e arreca un nocumento ai privati. E non costituisce esimente dal maturare della responsabilità né ragione di riduzione il fatto che abbia seguito direttive impartite dalla giunta.
Questi i principi affermati dalla sentenza 20.01.2011 n. 23 della sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i valori dell'economicità, dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico».
E ancora, «simile confronto è ancor più necessario oggi che i basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli articoli 81 e seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall'ammontare delle commesse pubbliche».
Circa il danno provocato all'ente ... (articolo Il Sole 24 Ore 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Mancata indicazione preventiva dei costi di sicurezza - Incompletezza dell’offerta - Natura costituzionale degli interesse protetti.
La violazione della norma primaria che impone l’indicazione preventiva dei costi di sicurezza rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente importante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti, ed impedisce alla Stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa (in termini Cons. Stato, Sez. V, 23.07.2010, n. 4849) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 17 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: In sede di occupazione d’urgenza l’intervento deve essere motivato congruamente.
Occorre evidenziare come la norma in questione, ossia l’art. 22-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, come introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 27.12.2002 n. 302, prevede, al comma I, che “Qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 20, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari”.
Accanto a tale previsione generale, l’urgenza è inoltre prevista direttamente dalla norma per gli interventi di cui alla legge 21.12.2001, n. 443, e quindi in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici, e qualora il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.
Nel caso in esame, la giurisprudenza formatasi in relazione alle modalità applicative dell’art. 22-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 si è consolidata nel senso che l’onere motivazionale dell’amministrazione si debba estendere alle oggettive ragioni che denotano la supposta urgenza, in modo che una puntuale analisi dei presupposti può essere esclusa solo qualora evincibile da altri elementi del procedimento.
Pertanto, perché possa legittimamente farsi luogo ad occupazione di urgenza ai sensi dell'art. 22-bis, d.P.R. 08.06.2001 n. 327, occorre che l'amministrazione motivi congruamente in ordine alle oggettive ragioni che denotano la conclamata urgenza dell'intervento, potendo tale obbligo motivazionale escludersi nei soli casi in cui questa risulti in re ipsa dalla natura stessa dell'intervento (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 22.05.2008, n. 2459) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.01.2011 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L’affidamento in concessione del servizio di gestione della piscina comunale costituisce servizio pubblico locale.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’affidamento in concessione del servizio di gestione della piscina comunale costituisce servizio pubblico locale (Cons. Stato, Sez. V, 06.12.2007, n. 6276), nel senso di servizio riservato in via esclusiva all’Amministrazione per la produzione di beni e servizi con rilievo anche sotto il profilo della promozione sociale, e della salute pubblica, trattandosi di attività oggettivamente funzionale a consentire a qualunque interessato lo svolgimento di attività sportiva (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 12.11.2009, n. 5021).
E’ noto come, ai sensi dell’art. 30 dello stesso corpus normativo, in conformità della disciplina comunitaria, «salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi».
Né si può invocare un’applicazione analogica dell’art. 37, comma 9, del codice dei contratti pubblici, in quanto, così opinando, l’intera disciplina verrebbe ad essere estesa alle concessioni di servizi (Cons. Stato, Sez. V, 13.07.2010, n. 4510).
Del resto, l’avviso pubblico si limita a recepire l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente i requisiti di ordine generale, che nulla ha a che vedere, dal punto di vista funzionale (e salve, ovviamente, le esigenze di raccordo per quanto concerne la disciplina delle cause di esclusione), con le modalità di “partecipazione associata” cui fa riferimento l’art. 37 (TAR Umbria, sentenza 19.01.2011 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ordine di trattazione dei ricorsi, impugnabilità del bando, immodificabilità soggettiva del concorrente e a.t.i. sovrabbondanti: deciderà l'Adunanza Plenaria.
A distanza di pochi giorni dall’ordinanza n. 14, del 05.01.2011 della Quarta sezione del Consiglio di Stato (in tema di D.I.A.), un altro pacchetto di problematiche di grande rilievo è stato deferito, questa volta dalla Sesta Sezione, all’Adunanza Plenaria.
Sono tre i gruppi di questioni individuati nell’ordinanza di rimessione 18.01.2011 n. 351:
a) ai sensi dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (“Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria”):
- quanto alla questione di ordine di esame di ricorso principale e incidentale in caso di contenzioso su gare di appalto quando tutti i concorrenti siano in giudizio ricorrenti principali (i concorrenti diversi dall’aggiudicatario) o incidentale (l’aggiudicatario);
b) ai sensi dell’art. 99, co. 5, c.p.a. (“Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio”):
- quanto alla questione dell’ambito dell’onere di impugnazione immediata del bando di gara e della legittimazione all’impugnazione del medesimo e a quella dei limiti di ammissibilità di un’a.t.i. sovrabbondante;
c) ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a. (“se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali”):
- quanto alla modificabilità o meno "per riduzione" della compagine organizzativa di a.t.i. e consorzi in corso di gara; alla necessità o meno che le imprese del settore che impugnino gli atti di una procedura senza bando cui non hanno partecipato, dimostrino il possesso dei requisiti di partecipazione a quella gara.
L’ordinanza di rimessione trae spunto da una gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e della progettazione relativo a interventi di trazione elettrica.
Tre i classificati: il secondo impugnava l’aggiudicazione; l’aggiudicatario proponeva ricorso incidentale contro il secondo; quest’ultimo, per fondare il proprio interesse strumentale al ricorso e alla rinnovazione della gara, proponeva con motivi aggiunti censure contro l’ammissione in gara della terza classificata, che a sua volta passava al contrattacco, contestando l’ammissione delle prime due, le quali reagivano con distinti ricorsi incidentali.
Insomma: tre concorrenti, tutti contro tutti.
All’esito dell’articolato giudizio di primo grado, di fatto restava in piedi l’aggiudicazione in favore della prima classificata.
1) La prima questione attiene all’ordine di esame dei ricorsi principali e dei ricorsi incidentali, non già in termini generali, ma solo nel limitato caso di gare di appalto in cui i concorrenti ammessi tendono ad escludersi a vicenda al fine di pervenire alla rinnovazione della gara.
Questione già oggetto di pronuncia da parte della Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 10.11.2008 n. 11) con riferimento al caso di due soli concorrenti, ma con principi che sono estensibili anche al caso di gara con tre o più concorrenti ammessi.
La soluzione sinora accolta fa leva sulla nozione di interesse strumentale al ricorso e sul principio di imparzialità del giudice e parità delle parti, principi che prevarrebbero sulle regole ordinarie relative all’ordine di trattazione delle questioni.
Ritiene peraltro che il sistema elaborato dalla giurisprudenza in materia di contratti della p.a., oltre a favorire una litigiosità esasperata –e il caso in esame ne sarebbe un esempio illuminante–, da una parte, non garantisca la soddisfazione dell’interesse primario del concorrente (l’aggiudicazione dell’appalto); dall’altra, renderebbe estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica.
Quindi, la materia meriterebbe un ripensamento perché a fronte dell’interesse strumentale dei concorrenti, a dir poco ipotetico, verrebbero invece sacrificati l’interesse pubblico, indubbio e attuale, all’esecuzione dell’opera (quantomeno all’esecuzione in tempi ragionevoli come auspicato e preteso in tutti i modi dal legislatore) e l’interesse del privato beneficiario dell’aggiudicazione sia pure illegittima.
2) Una seconda questione riguarda l’ammissibilità o meno della legittimazione ad impugnare il bando in capo ad un’impresa che abbia scelto di partecipare alla gara.
Viene posto in dubbio se sia corretto riconoscere la legittimazione ad impugnare il bando in capo a chi abbia partecipato alla gara (la giurisprudenza addirittura afferma la necessità, di regola e salvo limitate eccezioni, di presentare domanda di partecipazione alla gara per poterne impugnare il bando; cfr. Cons. St., ad. plen., 23.01.2003 n. 1).
La risposta negativa proposta dalla Sesta Sezione, in difformità dell’indirizzo consolidato, non sarebbe espressione di una logica sanzionatoria e formalistica, ma al contrario sarebbe ispirata al rispetto del principio di buona fede, di ovvia applicazione nelle trattative contrattuali fra privati e stranamente disatteso in rapporti che più degli altri lo esigerebbero.
3) Una terza questione, in teme di avvalimento, riguarda l’eccepito difetto di requisiti di qualificazione dell’impresa ausiliaria di cui si è avvalsa l’a.t.i. aggiudicataria, risultata priva di alcuni requisiti richiesti dall’art. 38 codice contratti.
si interroga circa le conseguenze della eventuale declaratoria di inammissibilità dell’avvalimento.
L’aggiudicatario, richiamato un orientamento interpretativo che ammette deroghe al principio di immodificabilità soggettiva del concorrente in caso di venir meno del raggruppamento o del consorzio (orientamento estendibili anche all’ipotesi del venir meno dell’impresa ausiliaria), si era difeso sostenendo la possibilità di modificare la propria compagine organizzativa –per riduzione– offrendo le restanti componenti dell’a.t.i. i requisiti che l’impresa ausiliaria non poteva più prestare.
L’interpretazione più restrittiva del divieto di modificazione previsto dall’art. 37, co. 9, del codice dei contratti pubblici, è stata di recente condivisa proprio dalla Sesta sezione, ma con puntualizzazioni che già comportano un contrasto di giurisprudenza.
Da qui l’esigenza di rimettere in discussione in radice il principio dell’ammissibilità di modifiche della compagine organizzativa del concorrente in corso di gara, affermato, sia pure con diverse sfumature, da alcune decisioni.
4) Ma almeno un’altra importante questione viene rimessa all’Adunanza Plenaria, sullo sfondo della tutela della concorrenza, circa la legittimità di a.t.i. sovradimensionate.
Viene ricordato che in taluni casi concreti l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e la giurisprudenza hanno ritenuto illecita, sul piano del diritto di concorrenza, la costituzione ex ante di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza reale rispetto ai requisiti previsti dai bandi di gara, inserendosi in un più complesso contesto collusivo caratterizzato dall’esistenza di intese a monte rappresentate da accordi puntuali e "macroaggregazioni" aventi quale loro oggetto esplicito la disciplina del comportamento delle imprese per fini anticoncorrenziali più che per la finalità sinergica volta al miglioramento dell’offerta (Cons. St., sez. VI, 09.04.2009 n. 2203).
Anche tale questione merita, ad avviso della Sezione, un approfondimento per valutare se sia il caso di pervenire ad un divieto generalizzato, pur in difetto di espressa previsione nell’art. 38 codice appalti, ovvero di riconoscere in capo alla stazione appaltante il potere di escludere dalla gara un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un palese artificio in danno della concorrenza eventualmente previa espressa previsione in tal senso nel bando di gara.
Si è così cercato di sintetizzare il contenuto di questa importantissima ordinanza, la cui ricchezza di argomentazioni e sfumature merita un più attento e completo esame, anche perché le possibili implicazioni pratiche appaiono sin d’ora notevoli (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Deve impugnarsi immediatamente solo la clausola del bando univocamente lesiva.
E' illegittima la esclusione dalla partecipazione ad una gara motivata esclusivamente sulla base di un divieto non assistito dalla relativa sanzione in quanto contrastante con i principi di favor partecipationis e della tassatività delle cause di esclusione, le quali devono risultare chiaramente dal bando.
Quando l'impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione.
Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell'aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile

E' noto il principio giurisprudenziale, anche di recente ribadito dalla Sezione, secondo cui vi è necessità di immediata impugnazione della clausola del bando lesiva solo ove questa precluda in maniera definitiva ed univoca la partecipazione alla gara, ma non nel caso in cui la stessa clausola sia ambigua (Cons. Stato, V 15.10.2010 n. 7515).
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Si richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è illegittima la esclusione dalla partecipazione ad una gara motivata esclusivamente sulla base di un divieto non assistito (come nel caso di specie) dalla relativa sanzione in quanto contrastante con i principi di favor partecipationis e della tassatività delle cause di esclusione, le quali devono risultare chiaramente dal bando (Cons. Stato, V, 11.12.2007 n. 6410).
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E' preferibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui quando l'impresa partecipante ad una gara pubblica ottiene il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione, ovvero per la semplice perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (Cons. Stato , sez. IV, 07.09.2010, n. 6485).
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Quanto alla lamentata perdita di chance la Sezione ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che limita il criterio presuntivo del 10%, invocato dalla appellante, facendo applicazione del principio dell'aliunde perceptum, quale strumento per evitare indebite locupletazioni da parte del danneggiato, secondo il quale il mancato guadagno può essere risarcito per intero, se e in quanto l'impresa sarebbe stata aggiudicataria della gara e possa nel contempo documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi. Laddove tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1666/2008).
L'onere di provare l'assenza dell'aliunde perceptum grava sull'impresa dovendosi ritenere che l'imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente un'attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte per tutto il tempo della gara e sino alla mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili.
Poiché l'appellata non ha fornito prova al riguardo, né presentando la offerta economica, né documentando un'inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici, deve concludersi che essa abbia ragionevolmente riadoperato le proprie risorse per lo svolgimento di attività analoghe, con la necessità della riduzione dell'importo a base d’asta al 50%, secondo un criterio di riduzione in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Questa cifra va a sua volta divisa per il numero dei partecipanti alla gara (Sez. VI, 09.03.2007, n. 1114; sez. VI, 09.11.2006 n. 6607; Sezione VI, 25.07.2006, n. 4634; sez. V 24.10.2002 n. 5860)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.01.2011 n.  329 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas che attribuisce un valore preponderante all'elemento economico.
E' da ritenere legittima, anche sotto il profilo della ragionevolezza, la clausola di un bando di gara che assegna un valore preponderante, ai fini della selezione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, all'elemento economico, in quanto dal dettato normativo di cui all'art. 14, c. 6, del d.lgs. n. 164/2000, si evince che il legislatore non ha predeterminato il valore ponderale da attribuire, rispettivamente, all'elemento qualità ed all'elemento prezzo delle offerte per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, lasciando spazio alla discrezionalità della P.A., da esplicare alla luce degli interessi da perseguire e delle circostanze specifiche della singola procedura in relazione alle condizioni della rete.
D'altra parte, la scelta di attribuire il peso di due terzi circa all'elemento economico non appare irragionevole né sproporzionata, in quanto, da un lato, l'elemento qualitativo non viene marginalizzato in modo da perdere ogni rilievo al fine di influenzare la scelta dell'aggiudicatario; d'altro canto, il riconoscimento di un rilievo significativo al dato economico è giustificato dalla decisione della stazione appaltante di farsi integralmente carico dell'onere di rimborso spettante al gestore uscente, ai sensi dell'art. 14, c. 8, del d.lgs. n. 164/2000, esonerando così i partecipanti dall'obbligo di sostenere il relativo costo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2011 n. 224 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Elementi di valutazione - Punteggio numerico - Sufficienza - Presupposti.
Il solo punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa può essere ritenuto idoneo a configurare motivazione sufficiente quando i prefissati criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo, siano estremamente dettagliati; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo, quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 16.06.2010 n. 3806 e 11.05.2007 n. 2355, nonché 09.04.2010 n. 1999, richiamata dall’appellante) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2011 n. 222 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI:  Procedura di verifica dell'offerta anomala - Richiesta di giustificazioni e convocazione dell'offerente - Necessità del preavviso di tre giorni prima della convocazione - Principio di effettività del contraddittorio - Necessità del coinvolgimento del concorrente alla verifica delle dinamiche procedimentali.
Il procedimento di verifica dell'anomalia trova compiuta disciplina nell'art. 88 del D.Lgs. n. 163/2006 che, al comma 1, prescrive che la Stazione appaltante, in relazione agli aspetti criticamente rilevati, procede con richiesta di giustificazioni scritte, reiterando la richiesta, ai sensi del successivo comma 1-bis "ove non le ritenga sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta".
In ogni caso, ai sensi del comma 4 della medesima norma, "prima di escludere l'offerta ritenuta eccessivamente bassa, la stazione appaltante convoca l'offerente con anticipo non inferiore a tre giorni lavorativi e lo invita a indicare ogni elemento che ritenga utile". Nella fattispecie concreta la descritta scansione procedimentale non trova riscontro nell'operato della stazione appaltante, che ha assunto a presupposto del provvedimento di revoca profili del tutto estranei al contraddittorio scritto, omettendo quello orale con grave lesione del diritto alla difesa della ricorrente.
Come ripetutamente affermato in giurisprudenza, il principio di effettività del contraddittorio impone all'opposto un pieno coinvolgimento dell'impresa assoggettata a verifica nelle dinamiche procedimentali caratterizzanti tale delicata fase affinché, in vista della difesa delle proprie posizioni, abbia piena consapevolezza di tutti gli elementi critici rilevati e dei parametri di raffronto che l'organo preposto intende utilizzare nell'esercizio del proprio sindacato (ex multis, TAR Piemonte, Sez. I, 19.04.2010, n. 1951) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Costituisce erronea applicazione dell'articolo 83 del D.Lgs. n. 163 del 2006, ed è pertanto illegittima, la riscontrata commistione realizzata dalla lex specialis tra requisiti soggettivi di partecipazione alla gara ed elementi oggettivi di valutazione dell'offerta.
Una tale circostanza, in particolare, trova verificazione qualora elementi di valutazione specificati nel disciplinare concernono caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, afferenti alla maturata esperienza pregressa ed al suo livello di capacità tecnica e specializzazione professionale, e dunque ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, quali criteri di ammissione alla stessa, e non già in sede di valutazione dell'offerta.

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Ritenuta, nel merito, la fondatezza della censura intesa a lamentare l’illegittima commistione, realizzata dall’impugnata lex specialis, tra i requisiti soggettivi di ammissione ed i criteri oggettivi di valutazione delle offerte, relativamente alla previsione delle “norme di partecipazione” secondo cui “il progetto sarà valutato dalla Commissione Giudicatrice sulla base dei seguenti elementi: (…) 4. certificazione di qualità: Max 3 punti (1 punto per ogni certificazione)”;
Evidenziato infatti che “la certificazione di qualità è preordinata ad assicurare, in funzione della garanzia qualitativa di un determinato livello di esecuzione dell’intero rapporto contrattuale, l’idoneità dell’impresa ad effettuare la prestazione secondo il livello medesimo, accertata da un organismo esterno qualificato (organismo di certificazione) e secondo parametri rigorosi definiti a livello europeo, mediante attestazione che il prodotto, processo produttivo o servizio, risulta conforme ai requisiti fissati da norme tecniche, garantendone la validità nel tempo attraverso adeguata attività di sorveglianza” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.10.2005, n. 5800);
- Rilevato quindi che la certificazione di qualità attiene all’accertamento dell’idoneità tecnico-organizzativa di un’impresa, misurata secondo standards qualitativi di carattere oggettivo, e non alla rispondenza dell’offerta, nei suoi contenuti tecnici, alle esigenze perseguite dalla stazione appaltante mediante l’indizione della gara;
- Evidenziato quindi che l’illustrato contenuto della lex specialis, realizzando “la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione ed elementi oggettivi di valutazione dell’offerta che si verifica quando elementi di valutazione specificati nel disciplinare riguardano caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, che afferiscono all’esperienza pregressa maturata dalla concorrente ed al suo livello dì capacità tecnica e specializzazione professionale, ovvero ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, e quindi solo quali criteri di ammissione alla stessa e non di valutazione dell'offerta, costituisce erronea applicazione dell’articolo 83 del d.lgs. 163 del 2006” (cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 14.07.2010, n. 1887);
- Ritenuto che la contestata previsione della lex specialis, sebbene correlata all’attribuzione di un punteggio non particolarmente rilevante nella complessiva articolazione dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica (3 punti su complessivi 50), sia nondimeno suscettibile di condizionare ex ante le modalità di formulazione dell’offerta da parte delle imprese concorrenti, rivelando in tal modo diretta e concreta attitudine lesiva, tale da legittimare l’impugnazione immediata della disciplina di gara;
- Ritenuta, peraltro, la fondatezza del ricorso anche nella parte in cui viene dedotta l’illegittimità della clausola in virtù della quale, ai fini della valutazione dell’offerta tecnica, viene prevista l’attribuzione di un punteggio variabile in relazione al “numero di automezzi di proprietà o in leasing che verranno utilizzati a supporto del personale che sarà in servizio”, ed in particolare di 5 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 5 fino a 10 automezzi, di 10 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 10 fino a 20 automezzi, di 15 punti in relazione ad una previsione di utilizzo di 20 fino a 30 automezzi, e di un massimo di 20 punti in corrispondenza di una previsione di utilizzo di 30 o più automezzi;
- Evidenziato invero che l’articolazione del punteggio in relazione al suddetto parametro risulta affetta dai lamentati vizi di illogicità e non proporzionalità, ove si consideri che l’allegato B del bando prevede, ai fini dell’espletamento del servizio di vigilanza, l’impiego contestuale di non più di circa 11 operatori complessivi;
- Ritenuto che, anche rispetto alla suddetta previsione ed a fortiori, sussiste la facoltà di impugnazione immediata della lex specialis, incidendo essa sulle modalità di formulazione dell’offerta da parte delle imprese concorrenti, le quali sarebbero costrette, al fine di aumentare le loro chances di aggiudicazione dell’appalto, a mettere a disposizione della stazione appaltante, ai fini dello svolgimento del servizio de quo, un numero sproporzionato di automezzi, sottraendoli alla restante gestione aziendale o comunque garantendosene -mediante acquisto o in altro modo- la disponibilità;
- Ritenuta l’irrilevanza, da quest’ultimo punto di vista, della circostanza relativa alla presentazione dell’offerta da parte dell’impresa ricorrente (cfr. nota prot. n. 3355 del 29.4.2009, allegata alla produzione difensiva dell’amministrazione intimata del 06.05.2009), non potendo escludersi che l’offerta suddetta sia stata formulata sul presupposto della illegittimità (e, quindi, senza tenerne conto) delle menzionate previsioni della lex specialis, e comunque essendo innegabile l’interesse della ditta suindicata, sulla scorta delle considerazioni precedentemente svolte in ordine alla lesività immediata delle prescrizioni impugnate, a partecipare alla gara dopo che queste ultime siano state espunte dalla relativa disciplina regolatrice;
- Ritenuto, invece, che la domanda di annullamento non possa essere accolta relativamente alla previsione di attribuzione di 5 punti in relazione al possesso dei certificati inerenti il servizio di vigilanza rilasciati al personale che le imprese concorrenti intendono utilizzare per l’espletamento del servizio, atteso che essa, concernendo i requisiti professionali posseduti dai soggetti che erogheranno concretamente il servizio di vigilanza, afferisce direttamente alle modalità qualitative di svolgimento della prestazione (e non alla complessiva idoneità tecnico-organizzativa del concorrente);
- Ritenuta la sussistenza, in capo alla stazione appaltante ed in conseguenza della presente sentenza, dell’onere di indire un nuovo procedimento di gara, ponendo a fondamento dello stesso una lex specialis emendata dai vizi riscontrati ...
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici [Nota di premessa: questa elaborazione sostituisce un precedente documento prodotto in data 07.09.2010, assorbendo gli elementi di innovazione normativa dettati dal d.l. n. 197/2010 e dalla sua legge di conversione (n. 217/2010) e le interpretazioni rese dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici con le determinazioni n. 8/2010 e n. 10/2010] (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Guida pratica per i contratti pubblici di servizi e forniture (a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato Generale):
- Vol. 2° - L’evidenza pubblica;
- Vol. 1° - Il mercato degli appalti (N.B.: la stesura del volume è precedente all’approvazione del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti da parte del Consiglio dei Ministri il 18.06.2010. Il testo pertanto sarà aggiornato a cura degli autori nelle parti interessate dalle disposizioni di dettaglio contenute nel Regolamento).

APPALTI: La richiesta di traduzione giurata non costituisce onere aggiuntivo.
Con sentenza 14.01.2011 n. 325 il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, ha riconosciuto la legittimità del provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante, nei confronti di una società che aveva fornito documentazione in lingua straniera non corredata da apposita traduzione giurata in lingua italiana.
In particolare la società ricorrente aveva preso parte ad una gara relativa all’affidamento del “Servizio di manutenzione della segnaletica orizzontale e verticale” presentando una documentazione, attestante i requisiti (capacità economica-finanziaria e tecnica) posseduti da una sua ausiliaria, in lingua inglese e non accompagnata da traduzione giurata.
La ricorrente censurava il provvedimento di esclusione sotto vari profili ritenendolo illegittimo in quanto:
1) la mancata produzione di traduzione giurata non era prevista dalla regole di gara a pena di esclusione e, in ogni caso, non configurava un vizio sostanziale attinente la sussistenza dei requisiti di capacità tecnica, ma mera irregolarità formale;
2) l’obbligo di presentazione della traduzione giurata creava per le imprese straniere un onere aggiuntivo e una disparità di trattamento rispetto alle imprese italiane.
Il TAR Roma ha rigettato il ricorso richiamando importanti principi in merito al valore che assume la traduzione in lingua italiana certificata, nell’ambito di una gara d’appalto pubblico.
Ed infatti il giudice amministrativo ha evidenziato come la presentazione di certificazioni (concernenti i requisiti di qualificazione di una società ex art. 42 d.lgs. 163/2006) in lingua straniera (inglese nel caso in questione) non accompagnate della traduzione ufficiale in italiano equivale alla mancata produzione degli stessi “Tuttavia è bene ricordare che la giurisprudenza ha ritenuto che “la produzione di atti non accompagnati dalla traduzione ufficiale equivale alla non produzione degli stessi, in quanto impedisce alla stazione appaltante di avere immediata, diretta e certa contezza delle referenze relative alla capacità tecnico-economica dei concorrenti” (TAR Lazio, Sez. III-ter, 25.03.2003, n. 2565). D’altro canto, anche se la Commissione avesse avuto padronanza della lingua straniera, solo la traduzione giurata avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di corrispondenza tra la documentazione prodotta in lingua originale ed il suo significato.
In proposito il Collegio ritiene, conformemente all’orientamento del Giudice delle Leggi, che in varie occasioni ha statuito che la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato, da usare obbligatoriamente, salve le espresse deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, nell’ambito delle funzioni esercitate dai pubblici uffici (Corte costituzionale 11.02.1982, n. 28).
”.
Secondariamente ha chiarito come il “principio di reciprocità” debba essere inteso nel senso di garantire all’impresa straniera il trattamento giuridico analogo a quello di cui si chiede di poter beneficiare in Italia, ma non può essere in alcun modo inteso come facoltà di fornire una certificazione non tradotta nella lingua dichiarata come ufficiale nel bando di gara “Quanto, poi, al principio di reciprocità, cui le ricorrenti fanno ripetutamente riferimento, il Collegio rileva che esso va inteso nel senso che all’impresa straniera che partecipi ad una gara va garantito il trattamento giuridico analogo a quello di cui si chiede di poter beneficiare in Italia (TAR Lazio, Roma III-bis, 28.03.2007, n. 2671); in nessun modo esso può essere inteso come facoltà di fornire certificazione non tradotta nella lingua dichiarata come ufficiale nel bando di gara. Ciò, peraltro, non costituisce un onere aggiuntivo, ma è condizione per assicurare la libera circolazione dei servizi in tutti i paesi europei e la massima partecipazione degli operatori economici. ”.
In conclusione, la sentenza in oggetto, pur non innovando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in merito al valore della traduzione giurata, esplica in modo chiaro e preciso le ragioni che legittimano l’esclusione da una gara pubblica di quelle imprese che non assolvono a tale adempimento (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente per aver presentato la documentazione relativa al possesso dei requisiti di qualificazione redatta in lingua straniera non accompagnata da una traduzione giurata.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia presentato la documentazione relativa al possesso dei requisiti di qualificazione redatta in lingua straniera, omettendo, tuttavia, di allegarvi una traduzione giurata in lingua italiana, in quanto secondo consolidata giurisprudenza, al fine di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche acclarate nelle certificazioni concernenti i requisiti richiesti dal bando di gara, qualora il loro originale sia stato formato in lingua straniera, è necessario che le predette certificazioni siano accompagnate dalla traduzione in lingua italiana giurata.
Per pacifica giurisprudenza, la presentazione di atti non accompagnati dalla traduzione ufficiale equivale alla non produzione degli stessi, in quanto ciò impedisce alla stazione appaltante di avere immediata, diretta e certa contezza delle referenze relative alla capacità tecnico-economica dei concorrenti.
D'altro canto, anche se la commissione avesse avuto padronanza della lingua straniera, soltanto la traduzione giurata avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di corrispondenza tra la documentazione prodotta in lingua originale ed il suo significato, e ciò, peraltro, conformemente all'orientamento della Corte costituzionale, secondo cui la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato, da usare obbligatoriamente, salve le espresse deroghe disposte a tutela di gruppi linguistici minoritari, nell'ambito delle funzioni esercitate dai pubblici uffici.
Inoltre, grava sull'impresa partecipante l'onere di porre la stazione appaltante nella migliore condizione per poter prontamente verificare il contenuto dei documenti prodotti (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 14.01.2011 n. 325 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' illegittimo il provvedimento di esclusione del concorrente nei confronti del quale, accertata l'irregolarità nel pagamento di una cartella esattoriale, la stessa non sia stata debitamente notificata allo stesso.
Nel caso di specie, la cartella non risultava debitamente notificata al destinatario-concorrente, in quanto consegnata con la dicitura “altri conviventi” presso la sede, sicché il procedimento di notifica non si era perfezionato stante la mancata prova dell’invio della raccomandata con ricevuta di ritorno, prescritta dall’art. 60 del DPR n. 600/1973.
E’ da condividersi il rilievo secondo cui le modalità di notifica della cartella esattoriale di cui sopra non risultano idonee e sufficienti per affermare con certezza l'avvenuta conoscenza da parte della ricorrente della cartella di cui è questione alla data della notifica della stessa a mani di persona qualificatasi, in assenza del destinatario, persona addetta al ritiro.
In detta evenienza, infatti, si impone che della avvenuta consegna a persona diversa dal destinatario, quest'ultimo sia informato con raccomandata. Il che, nel caso di specie, non è avvenuto, dovendosi ritenere veritiera la dichiarazione resa in ordine al requisito di regolarità contributiva (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 201 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTIDichiarazione ai sensi dell'art. 38 del D.lgs. 163/2006 - Società per azioni - Necessità che i soggetti tenuti alla dichiarazione siano dotati di poteri di rappresentanza della società - Sussistenza di poteri sostanziali - Rilevanza - Limiti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D. L.vo n. 163/2006, con riferimento alla società per azioni, individua i soggetti tenuti a rilasciare la prescritta dichiarazione negli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o nel direttore tecnico.
Nonostante la specifica previsione normativa, parte della giurisprudenza, ispirata dalla ratio sottesa alla norma di verificare la affidabilità complessivamente considerata dell'operatore economico che andrà a stipulare il contratto di appalto con la stazione appaltante individuando coloro che effettivamente "sono in grado di manifestare all'esterno al volontà dell'azienda" (Cons. Stato, Sez. V, n. 375/2009), ha ricercato, in via interpretativa, di ampliare l'ambito di applicazione della disposizione includendo nel novero dei necessari dichiaranti anche soggetti che, pur non ricoprendo le specifiche cariche indicate, siano, tuttavia, titolari di ampi poteri decisionali tali da consentire di determinare gli indirizzi di gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato orientamento occorrerebbe "avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata" (detto indirizzo, peraltro tuttora non consolidato, non torna in ogni caso applicabile al caso di specie alla luce dell'espressa dichiarazione che i soggetti in questione erano privi di ogni potere di rappresentanza, essendo soltanto titolari del potere di sottoscrizione dei documenti di gara, che è competenza obiettivamente diversa da quella di colui che sia, in sede di gara, titolare del potere di agire e di disporre) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVerifica sulla congruità dell'offerta anomala - Necessità del contraddittorio con l'offerente - Limiti delle giustificazioni - Divieto di trasformare l'offerta originaria in un quid diverso attraverso le giustificazioni - Divieto di rimodulazione delle voci di costo al solo scopo di armonizzare la struttura dell'offerta al ribasso formulato.
In sede di verifica della congruità dell'offerta presentata in una gara d'appalto di lavori pubblici, il principio del contraddittorio successivo (come imposto dalle regole comunitarie interpretate dalla Corte di giustizia con la sentenza 27.11.2001 n. 285) mira a consentire un fisiologico arricchimento degli elementi dedotti in origine e quindi incontra un limite nel divieto -immanente al sistema- di trasformazione dell'offerta originaria in un quid sostanzialmente nuovo o diverso per mezzo delle ulteriori giustificazioni (Cons. Stato, Sez. V, 11.04.2006, n. 2021).
E' noto al Collegio quell'indirizzo della giurisprudenza che ritiene, entro certi limiti, possibile l'aggiustamento delle varie componenti dell'offerta (Cons. St., sez. VI, 21.05.2009, n. 3146), restando in ogni caso fermo che: a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lascia le voci di costo invariate; b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo trova il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha, infatti, precisato che il subprocedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (Cons. St., sez. V, 12.03.2009, n. 1451). E' dunque incontestato che non si può consentire che, in sede di giustificazioni, vengano rimodulate le voci di costo al solo scopo di armonizzare la struttura dell'offerta con l'importo derivante dal ribasso formulato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 65 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di un appalto del servizio di gestione dell'asilo nido comunale ad una società cooperativa sociale consortile costituita da due gruppi di cooperative.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione di un appalto del servizio di gestione dell'asilo nido comunale, adottato da una stazione appaltante nei confronti di una società cooperativa consortile costituita da due gruppi di cooperative in quanto, nel caso di specie, trattasi di un consorzio di cooperative c.d. di "secondo grado", cui si applica l'art. 27 del d.lgs. C.P.S. n. 1577/1947, in quanto tale ammesso a partecipare alle gare di appalto per l'affidamento di pubblici servizi, ai sensi dell'art. 34, lett. b), del d.lgs. n. 163/2006.
Né a diversa conclusione può condurre la presenza, tra i soggetti partecipanti al consorzio, di una società per azioni, giacché tale evenienza è espressamente prevista dalla legge, che, all'art. 8 l. n. 381/1991, prevede che la base sociale dei consorzi rientranti nel suo stesso ambito di applicazione possa essere formata, ancorché in misura inferiore al trenta per cento, anche da soggetti diversi da cooperative sociali.
Nel caso di specie, la partecipazione, con un'incidenza minima sul capitale sociale, di una società per azioni non può, quindi, precludere la qualificabilità di detta struttura consortile quale consorzio di cooperative, come tale legittimato alla partecipazione in proprio alle gare pubbliche.
Peraltro, nella fattispecie in esame, è incontestato che il possesso dei requisiti generali in ordine alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell'ordine pubblico e di idoneità morale, siano stati dichiarati e verificati non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate designate esecutrici del servizio, così come ritenuto necessario dalla giurisprudenza; mentre, in ordine ai soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, gli stessi sono stati correttamente ritenuti cumulabili in capo al consorzio (TAR Lombardia-Brescia Sez. II, sentenza 14.01.2011 n. 51 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di una ATI da una gara per l'affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in quanto la mandante risultava affidataria diretta di servizi pubblici locali diversi da quello posto in gara.
Il testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del d.l. n. 135/2009, consente alla società titolare di affidamento diretto di individuare la gara oggetto di deroga su tutto il territorio nazionale, anziché nel solo contesto territoriale interessato dall'affidamento in essere.

E' legittima l'esclusione di una ATI costituenda dalla procedura di gara, indetta da un Consorzio Obbligatorio di Comuni, avente ad oggetto l'appalto dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani in ottantaquattro comuni della provincia, in quanto la mandante era partecipata al 49,5% da una S.p.a. la quale, a sua volta, era titolare di affidamenti diretti del servizio di distribuzione del gas naturale in molteplici comuni. Tali affidamenti, disposti senza procedura di gara, erano, infatti, suscettibili di attribuire vantaggi competitivi all'affidataria e costituivano, pertanto, presupposto per l'applicazione del divieto di partecipazione nei confronti della società partecipata, previsto dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008.
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La ratio sottesa alle disposizioni normative di cui agli artt. 113, c. 6 del T.U.E.L. e 23-bis, c.9, del d.l. n. 112/2008, convertito in l.n. 133/2008 (nel testo vigente al momento della pubblicazione del bando nel caso di specie) era quella di evitare che le società titolari di affidamenti diretti, quindi operanti in un mercato protetto, potessero operare con enti diversi da quelli di riferimento e introdurre meccanismi di alterazione della concorrenza derivanti dai privilegi di cui esse godono. Il legislatore, peraltro, ha ritenuto di dettare regole transitorie che contemplavano la possibilità di partecipare alle "prime gare" aventi ad oggetto i servizi forniti da tali società. La deroga era finalizzata ad evitare un'ingiustificata dissipazione delle risorse investite nelle società già affidatarie dirette di servizi pubblici locali e di tutelare l'affidamento generato in capo alle stesse. Tenendo conto di tali finalità e della natura derogatoria, quindi eccezionale, delle disposizioni normative in esame, le stesse vanno interpretate in senso letterale, circoscrivendone conseguentemente l'applicazione alla possibilità di partecipare alla prima gara successiva per chi svolgeva in affidamento diretto il medesimo servizio.
Pertanto, nel caso di specie, è corretta la determinazione assunta dalla stazione appaltante e l'infondatezza della tesi di parte ricorrente che pretende di riferire la nozione di "prima gara" a tutte le procedure competitive indette per la prima volta, anche da enti diversi da quelli presso i quali operava l'affidatario diretto. Quest'ultima interpretazione, peraltro, non sarebbe consentita neppure dal testo novellato dell'art. 23-bis, c. 9, come sostituito dall'art. 15, c. 1, lett. d), del d.l. n. 135/2009, secondo il quale "i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti".
Il nuovo dettato normativo, comunque inapplicabile ratione temporis alla procedura di gara, ha innovato la disciplina previgente nel senso di conferire una particolare facoltà di scelta alla società titolare di affidamento diretto la quale può ora individuare la gara oggetto di deroga su tutto il territorio nazionale, anziché nel solo contesto territoriale interessato dall'affidamento in essere.
La disposizione medesima, invece, non può essere interpretata come se contemplasse la possibilità di partecipare a tutte le prime gare indette da ciascun ente su tutto il territorio nazionale, giacché tale approccio ermeneutico, oltre a contrastare con la delineata ratio dell'art. 23-bis (anche nella nuova versione), svuoterebbe di reale significato il divieto di partecipazione posto in linea di principio dalla norma (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 26 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Variazioni migliorative in sede di offerta.
E’ insito nella scelta del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, anche in presenza di un progetto definitivo posto a base di gara, sia consentito alle imprese proporre le variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dal bando, per non ledere la par condicio (cfr. C.S., sezione IV, dec. 11.02.1999 n. 149).
In particolare (cfr. C.S., sezione V, dec. 19.02.2003 n. 923), si ammettono varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell'opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell'oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.; risulta inoltre essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l'offerente dia contezza delle ragioni giustificanti l'adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l'efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata.
Offerta economicamente più vantaggiosa - Offerta tecnica - Punteggio - Discrezionalità della commissione - Art. 83 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di specificazione dei criteri per la valutazione delle offerte, secondo quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'art. 83, comma 4, d.lgs. n. 163/2006, lascia ampia discrezionalità alla commissione nella suddivisione del punteggio da attribuire agli elementi costituenti l'offerta tecnica, secondo i criteri predefiniti nel bando di gara: tale discrezionalità tecnico-amministrativa non potrebbe essere oggetto di sindacato giurisdizionale se non in presenza di macroscopiche irrazionalità e/o incongruenze, tali non essendo la parziale riproduzione di alcuni dei punti messi in evidenza dai criteri generali di valutazione espressi dal bando, laddove la incongruità invece sarebbe stata evidente se la commissione, nell'elaborare i sottocriteri, si fosse discostata completamente dal bando (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.01.2011 n. 171 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità delle disposizioni di un bando di gara che prevedano la possibilità, per la commissione giudicatrice, di operare in composizione ridotta, e non con il "plenum" dei suoi componenti.
Sono legittime le disposizioni di un bando di gara che prevedano la possibilità, in capo ad una commissione giudicatrice, di svolgere la propria attività non in qualità di "collegio perfetto", in sede plenaria, bensì in composizione ridotta. Secondo consolidata giurisprudenza, la caratteristica del c.d. "collegio perfetto" riposa sulla circostanza che esso debba operare con il plenum dei suoi componenti, nelle fasi in cui l'organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali, ovvero ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l'esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale.
Tuttavia, tale modalità operativa si giustifica, in assenza di una norma che espressamente disponga in tal senso, quando i componenti designati non si distinguono in base alla rispettiva formazione professionale, ma si qualificano quali esperti del settore o della materia cui fa riferimento l'oggetto del procedimento selettivo. Ossia, quando i singoli componenti non rivestano la funzione di rappresentanti di interessi esterni all'amministrazione procedente.
Pertanto, non v'è quella eterogeneità di provenienza, esperienza, possesso di titoli, che avrebbe potuto giustificare l'attribuzione in via ermeneutica della qualifica di "collegio perfetto" alla commissione, in quanto formato da soggetti portatori di distinte e non sovrapponibili esperienze, la cui necessaria contemporanea compresenza garantisce lo svolgimento dei lavori della commissione.
In carenza di tale elemento, la scelta di prevedere la possibilità che la commissione renda il proprio parere pur in assenza del plenum dei propri componenti è da ritenersi legittima e non distorsiva della par condicio dei concorrenti (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.01.2011 n. 19 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' illegittima l’esclusione dalla gara per omessa indicazione nella domanda di partecipazione l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), come prescritto dal bando di gara.
È illegittima l’esclusione da una gara d’appalto dell’impresa che abbia omesso di indicare nella domanda di partecipazione l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), come prescritto dal bando di gara, che prevedeva l’indicazione a pena di esclusione di varie forme di ricezione delle comunicazioni.
La clausola del bando di gara che impone la contestuale disponibilità di più forme di ricezione concernenti le comunicazioni di gara (ossia domicilio, fax e posta elettronica certificata) si pone in contrasto con la previsione generale di cui all’art. 79 d.lgs 163/2006, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 53 del 2010, il quale individua mezzi alternativi (e non cumulativi) di comunicazione.
La richiamata clausola, che ai fini della comunicazioni di cui agli art. 11 e 79, richiede l’indicazione necessaria della posta elettronica certificata, oltre il domicilio e il fax, appare eccessiva anche alla luce dei principi generali di cui all’art. 77 del d.lgs 163/2006 in base al quale “il mezzo di comunicazione scelto (tra stazione appaltante e operatore economico) deve essere comunemente disponibile, in modo da non limitare l’accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione” e “gli strumenti da utilizzare per comunicare per via elettronica, nonché le relative caratteristiche tecniche, devono essere di carattere non discriminatorio, comunemente disponibili al pubblico e compatibili con i prodotti della tecnologia dell’informazione e della comunicazione generalmente in uso”; in questa prospettiva la necessità che l’indirizzo di posta elettronica avesse natura certificata, a pena di esclusione, non appare requisito ragionevolmente necessario posto che comunque la stazione appaltante era in possesso di tutti i dati necessari (domicilio, fax, posta elettronica) per inviare comunicazioni alla ricorrente, anche con effetto legale (certezza dell’invio e della ricezione).
La previsione risulta infine eccessivamente onerosa anche alla luce della normativa di settore (cfr. art. 16 d.l. 185/2008, così come convertito con legge 2/2009) che impone alle società già operanti di munirsi di un indirizzo Pec solo da novembre 2011, trattandosi di un mezzo di comunicazione d all’utilizzo ancora non generalizzato (massima tratta da www.entilocali.provincia.le.it - TAR Puglia-Lece, Sez. III, sentenza 13.01.2011 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla interpretazione di "gara" ai fini dell'art. 15, c. 9, d.lvo n. 164/2000, in materia di prosecuzione delle gestione in essere del servizio pubblico di distribuzione del gas.
Il servizio pubblico di distribuzione del gas resta soggetto alla disciplina del d.lgs. 164/2000 e dell'articolo 46-bis del d.l. 159/2007. La definizione degli ambiti per la distribuzione del gas non è sufficiente per l'indizione delle gare (di ambito).

Una interpretazione comunitariamente orientata del presupposto considerato dall'art. 15, c. 9, del D.Lgs. n. 164/2000, in materia di prosecuzione delle gestione in essere del servizio pubblico di distribuzione del gas, conduce a ritenere che l'elemento qualificante di una "gara", sia la predefinizione e comunicazione ai potenziali interessati delle regole della competizione (nella forma, quanto meno, dei contenuti delle offerte e dei relativi criteri di valutazione), unica seria garanzia che la scelta del contraente privato rispetti i principi di imparzialità e parità di trattamento, a tutela della concorrenza e del mercato, e presupposto indispensabile della sua sindacabilità in sede giurisdizionale. D'altra parte, la proroga dodecennale degli affidamenti in essere si giustifica in quanto si tratti di affidamenti intervenuti sulla base di regole quanto meno analoghe a quelle che dovranno essere seguite per i nuovi, aventi la medesima durata massima. Nel caso di specie, mancando questo minimum, sotto il profilo della predefinizione delle regole della competizione, e, più in generale, sotto quello della imparzialità e parità di trattamento nella scelta, occorre concludere che si sia in realtà trattato di un affidamento diretto.
Mentre in linea di principio la disciplina generale in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica prevale anche su quelle di settore con essa incompatibili (c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. 112/2008, convertito in l. 133/2008), ciò non accade relativamente alla distribuzione del gas naturale, per la quale continuano ad applicarsi integralmente il d.lgs. 164/2000 e l'art. 46-bis del d.l. 159/2007.
La definizione degli ambiti non è sufficiente per l'indizione delle gare (di ambito), posto che, non avendo la legge individuato un'autorità competente all'espletamento della gara, occorrerà comunque che gli enti locali ricompresi negli ambiti si organizzino (mediante accordi) per gestire la procedura; senza contare che l'art. 46-bis, c. 3, del d.l. 159/2007, prevede comunque, per l'espletamento della gara, un termine di due anni dall'individuazione degli ambiti. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, altresì, affermato che "… pur essendo certamente auspicabile, sotto il profilo dell'efficienza delle gestioni, l'espletamento di gare sulla base di ambiti territoriali minimi, l'interpretazione orientata a sostenere il blocco delle gare fino alla determinazione di detti ambiti si ponga in contrasto con il principio comunitario di concorrenza, la cui attuazione, attraverso un atto ministeriale potrebbe essere rinviata ad un futuro incerto, con il rischio di ritardare ulteriormente il completamento del processo di liberalizzazione del settore del gas" (TAR Umbria, sentenza 13.01.2011 n. 1 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per carenza della regolarità contributiva in corso di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente privo del requisito di regolarità contributiva, che pur abbia provveduto a sanare detta carenza, ma successivamente alla data all'uopo indicata dal bando, in quanto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la mancanza del predetto requisito alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, non è sanato dall'eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle reciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non, invece, anche nei confronti dell'amministrazione appaltante deputata ad accertare la sussistenza del requisito della regolarità contributiva ai fini dell'ammissione alla gara.
Un'acquisizione tardiva della correttezza contributiva non esclude l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di disporre l'esclusione dell'impresa inadempiente, pena una palese violazione del principio di par condicio tra i concorrenti, in quanto, diversamente, si consentirebbe ad un soggetto carente dei requisiti prescritti dal bando -quale, come nel caso di specie, la correttezza contributiva- di sanare ex post tale mancanza, con evidente disparità di trattamento nei confronti di quelle imprese, che, conformemente alle disposizioni normative, erano in possesso di quei requisiti alla data indicata dal regolamento di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.01.2011 n. 104 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIVerifica dei requisiti di partecipazione ex art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 - Mancata dimostrazione da parte dell'impresa concorrente - Effetto - Esclusione automatica - Legittima.
La fase di verifica dei requisiti di partecipazione anteriore all'apertura delle buste contenenti le offerte, disciplinata dall'art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, reca in sé un automatismo in virtù del quale, se non è comprovato da parte dell'impresa il possesso dei requisiti previsti dalla lex specialis, attraverso la produzione della pertinente documentazione, l'Amministrazione è tenuta a disporre l'esclusione della stessa e il relativo provvedimento assume la natura di atto vincolato, specie qualora l'Amministrazione abbia consentito all'impresa di fornire chiarimenti e integrazioni documentali (Nella fattispecie, l'impresa è stata esclusa per non avere dimostrato il possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria richiesti dal disciplinare di gara) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 33 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Aggiudicazione provvisoria - Atto preparatorio all'aggiudicazione definitiva - Non sussiste l'onere di impugnazione immediata - Revoca dell'aggiudicazione provvisoria - Insussistenza dell'onere di impugnazione immediata.
2. Aggiudicazione definitiva - Necessità di comunicazione individuale - Decorrenza del termine per l'impugnazione dalla comunicazione individuale.

1. Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento, bensì quello preparatorio, che produce solo effetti prodromici e, di conseguenza, non vi è un onere di immediata impugnazione della stessa (C.S. Sez. VI 20.02.2008 n. 588). Parimenti non vi può essere alcun onere di immediata impugnazione dell'atto amministrativo che rimuova la predetta aggiudicazione provvisoria, contestualmente rimettendo gli atti alla Commissione di gara per effettuare una nuova valutazione delle offerte, all'esito della quale potrebbe peraltro, in astratto, confermarsi la posizione del precedente aggiudicatario, addirittura con un punteggio maggiore.
Da quanto precede consegue l'insussistenza di un onere di immediata impugnazione della revoca dell'aggiudicazione provvisoria, atteso che la lesività di tale provvedimento si è consolidata solo in occasione dell'adozione della successiva delibera di aggiudicazione definitiva a favore della controinteressata.
2. Costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui la conoscenza del provvedimento di aggiudicazione definitiva non può essere ricondotta alla data di pubblicazione dello stesso, sussistendo un onere per le stazioni appaltanti di portare gli esiti delle procedure di gara a conoscenza dei concorrenti per mezzo di apposite comunicazioni. Essendo richiesta la comunicazione individuale dell'atto di aggiudicazione, il termine per l'impugnazione non può farsi decorrere dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione (C.S. Sez. VI 25.01.2008 n. 213).
L'eccezione di tardività del ricorso principale deve essere pertanto scrutinata alla luce della comunicazione effettuata dalla stazione appaltante, e ricevuta dalla ricorrente e dei contatti successivamente intercorsi tra la ricorrente principale e la stazione appaltante (fattispecie precedente all'art. 79, comma 5, lett. a, del Codice dei Contratti così come modificato dal D.lgs. 53/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAffidamento diretto di servizi pubblici locali - Sono soggetti legittimati all'impugnazione coloro che sono lesi dall'atto - Decorrenza del termine per l'impugnazione dalla conoscenza piena dell'atto - Insufficienza della pubblicazione sull'albo pretorio per la decorrenza del termine.
Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 21 della L. 06.12.1971, n. 1034 e degli artt. 1 e 2 del R.D. 17.08.1907, n. 642, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che debbono considerarsi soggetti interessati non soltanto quelli che risultano nominativamente contemplati nell'atto, ma anche coloro che possano essere individuati come soggetti sulle cui posizioni l'atto specificamente incida in modo svantaggioso (cfr. Consiglio di Stato, IV Sezione, 20.05.1996, n. 625).
Tanto premesso, ritiene il Collegio che nella materia in esame, concernente le scelte organizzatorie dell'Amministrazione comunale per la gestione dei servizi pubblici, il termine per l'impugnativa da parte dei soggetti che si ritengano lesi dall'affidamento diretto degli stessi inizi a decorrere, in difetto di comunicazione individuale, dalla data della loro piena cognizione e non dalla loro pubblicazione.
Diversamente opinando, l'azione giurisdizionale dei potenziali aspiranti alla procedura di evidenza pubblica per la scelta del gestore dei servizi pubblici verrebbe di fatto frustrata attraverso oneri di attivazione del tutto inesigibili, presupponendo una penetrante osservazione di tutta l'attività politico amministrativa dell'Ente locale, attraverso il sistematico esame di tutte le delibere affisse all'albo (TAR Napoli Campania sez. IV 07.11.2003 n. 13382) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La disposizione di cui all'art. 16, c. 4, R.D. n. 2440/1923 (l. di contabilità di Stato), secondo cui i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono per ogni legale effetto al contratto, è derogabile da una norma regionale.
Il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, c. 4, statuisce che: "I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto".
Sennonché il verbale di aggiudicazione di una licitazione privata non necessariamente equivale a ogni effetto legale al contratto, perché l'art. 16 della legge di contabilità dello Stato (R.D. 18.11.1923, n. 2440) è norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l'aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sé la conclusione dell'accordo.
A maggior ragione quindi questa norma, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, può essere derogate da una norma regionale nell'ambito di una materia, la cui competenza appartenga alla regione (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 11.01.2011 n. 391 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it)

APPALTI: E' illegittima l'esclusione di un concorrente da una gara di appalto per ragioni di inadempimento delle prescrizioni formali di gara quando le stesse prescrizioni formali siano state formulate in modo del tutto impreciso ed equivoco.
L’esclusione di un concorrente da una gara di appalto per ragioni di inadempimento delle prescrizioni formali di gara è senz’altro doverosa ed automatica soltanto quando tali prescrizioni formali risultano indicate (nel bando o nella lettera di invito o anche nel capitolato speciale di appalto) in modo del tutto chiaro e la relativa violazione risulti sanzionata in modo altrettanto chiaro ed esplicito a pena di esclusione; non, invece,quando le stesse prescrizioni formali siano state formulate in modo del tutto impreciso ed equivoco e comunque senza la previsione esplicita della sanzione della automatica esclusione dalla gara, in caso di violazione.
In questo caso, il Capitolato speciale di appalto, proprio con riferimento alle prescrizioni formali di cui alla busta “C” contenente l’offerta economica, non precisava affatto –a proposito delle firme da apporre su detta offerta e sulla relativa documentazione– che tali firme dovevano essere apposte su ogni foglio, a pena di esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 78 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla non applicabilità del divieto di partecipazione a gare d'appalto, imposto dall'art. 13 del D.L. n. 223/2006, alle società miste, partecipate da soggetti pubblici e privati.
Il divieto di partecipazione a gare d'appalto, previsto dall'art. 13, commi 1 e 2 del D.L. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani 1), per le società c.d. strumentali, non si applica, anche con riferimento alle c.d. "società miste", vale a dire quelle che, come nel caso di specie, non presentano, quale oggetto sociale esclusivo, lo svolgimento dei servizi pubblici locali, in quanto le citate tipologie societarie presentano differenti caratteristiche giuridiche e diverso modello organizzativo, anche con riguardo alla finalità della speciale disciplina limitativa di cui al citato art. 13, ossia di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori.
Pertanto, mentre i divieti e gli obblighi imposti dai citati commi del predetto art. 13 trovano giustificazione per le società c.d. strumentali, non altrettanto ragionevole appare l'applicazione della stessa anche per quelle società c.d. "miste", partecipate da soggetti pubblici e privati le quali, pur non avendo un oggetto sociale esclusivo circoscritto alla sola operatività con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti e, quindi, svolgendo sia servizi pubblici locali, sia altri servizi e forniture di beni a favore degli enti pubblici e privati partecipanti nonché a favore di altri enti o loro società o aziende pubbliche e private, operano comunque nel pieno rispetto delle regole di concorrenza imposte dal mercato, nonché di quelle previste per le procedure di affidamento dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2011 n. 77 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Oggetto: Accesso a fatture di pagamento e documenti di regolarità contributiva di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici.
L’ente civico istante espone che una società cooperativa aveva chiesto il rilascio delle determinazioni di aggiudicazione, delle fatture di pagamento e relativi documenti unici di regolarità contributiva (cd durc) delle imprese affidatarie di appalti di lavori comunali dall'01.05.2010 in poi. Pur confermando l’accessibilità alle determine di aggiudicazione (trattandosi peraltro di atti pubblici), l’amministrazione manifesta a questa Commissione alcune perplessità sulla ostensione delle fatture e relativi “durc”, stante la particolarità del tipo di informazioni richieste.
Non risultando se la società istante abbia partecipato o meno alle procedure di appalto di lavori e servizi cui afferiscono i documenti richiesti, la Commissione ritiene che la questione prospettata vada risolta alla stregua del doppio regime del diritto di accesso (previsto per il cittadino residente e non) dalla legge n. 241/1990 e dal d.lgs. n. 267/2000.
Qualora l’istanza di accesso provenga da un concorrente alle gare di appalto, il partecipante ad un procedimento ha pieno diritto ad accedere agli atti dello stesso procedimento ai sensi dell’art. 10, legge n. 241/1990, senza necessità di dimostrare la titolarità di un interesse diretto e concreto e senza che la sua istanza sia motivata, trattandosi di c.d. accesso endoprocedimentale. L’unico limite all’accesso è previsto dall’art. 24 della citata legge per i documenti relativi a “interessi industriali e commerciali” (come peraltro confermato, in materia di procedimenti ad evidenza pubblica, dall’art. 13 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti pubblici), fatta salva comunque la prevalenza dell’accesso ogniqualvolta la conoscenza dei documenti sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Se invece l’istanza sia presentata da soggetto estraneo alla procedura, opera l’accesso cd “esoprocedimentale” riconosciuto dall’art. 10, co. 1, d.lgs. n. 267/2000 ai cittadini residenti ed alle ditte, aventi o meno personalità giuridica, con sede legale nel territorio comunale. Infatti, la richiamata disciplina sancisce espressamente, ed in linea generale, per i cittadini (ed analogamente per le società, enti o associazioni) residenti (o aventi sede nel comune) il principio della pubblicità di tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto stabilito dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese.
Nella specie, poiché la società istante ha sede nel Comune (e dunque non rileverebbe l’eventuale difetto di motivazione dell’istanza) e non pare davvero che la documentazione richiesta contenga davvero segreti tecnici e commerciali (e cioè fatture di pagamento e attestazioni di regolarità nell’assolvimento degli obblighi legislativi nei confronti degli enti previdenziali), l’istanza di accesso deve essere accolta (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'11.01.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un'impresa cessionaria del ramo d'azienda, per omessa dichiarazione in ordine alla posizione del cedente.
In materia di procedure ad evidenza pubblica, le clausole di esclusione poste dal bando di gara in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute, restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare la par condicio dei concorrenti, nonché l'esigenza della più ampia partecipazione.
Inoltre, al fine di integrare i requisiti di partecipazione, a prescindere da un'espressa previsione del bando, sono riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari di un ramo d'azienda, i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività propria del ramo ceduto.
Manca nel Codice dei contratti (d.lvo 12.04.2006 n. 163) una norma, con effetto preclusivo, che preveda, in caso di cessione d'azienda antecedente alla partecipazione alla gara, un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ad i requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici, in quanto l'art. 51 del Codice dei contratti si occupa della sola ipotesi di cessione successiva alla aggiudicazione della gara.
Ne discende che, in assenza di tale norma, e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì invece una successione nelle posizioni attive e passive relative all'azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, è da ritenersi illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa cessionaria del ramo d'azienda, per omessa dichiarazione in ordine alla posizione del cedente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 10.01.2011 n. 12 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIDecisioni della Commissione giudicatrice - Discrezionalità tecnica - Cognizione piena del G.A. - Estensione non solo ai fatti ma anche ai giudizi della Commissione giudicatrice.
Una volta distinta l'area della discrezionalità tecnica da quella del merito amministrativo (sull'esempio di Cons. St., sez. IV, n. 601/1999), e riconosciuto nel primo caso al giudice amministrativo l'accesso diretto ai fatti in contestazione (anche attraverso i mezzi di prova e l'ausilio di un consulente tecnico, ove necessario), non vi sono ragioni valide per escludere una cognizione piena non solo sulle modalità (di formazione), ma anche sull'attendibilità dei giudizi e degli apprezzamenti espressi dalla commissione giudicatrice nell'ambito di una gara di appalto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 10.01.2011 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAVVALIMENTO.
Ogni impresa, operante in un determinato settore, ha un interesse tutelato a contestare l’illegittima indizione di una procedura negoziata, atteso che la mancata, ma dovuta, indizione di una procedura aperta lede il suo interesse sostanziale a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure. A tal riguardo, non assume rilievo il fatto che l’impresa ricorrente non possieda i requisiti tecnici e finanziari per partecipare alla gara, dal momento che l’impresa medesima potrebbe partecipare, pur essendone priva, avvalendosi dei requisiti di imprese diverse.

E’ quanto affermato dal Tar Abruzzo-L’Aquila, nella sentenza 10.01.2011 n. 3, ove vengono fornite alcune importanti precisazioni, relative agli effetti dell’istituto dell’avvalimento in merito ad un importante tema processuale: l’impugnazione di una procedura negoziata, in assenza dei necessari presupposti di legge.
Come noto, costituisce principio generale, sancito dall'articolo 100 del codice di procedura civile, applicabile anche al processo amministrativo, quello secondo il quale costituisce condizione per l'ammissibilità dell'azione, oltre alla titolarità di una situazione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo (legittimazione a ricorrere), anche la sussistenza dell'interesse a ricorrere, inteso quest'ultimo, non come idoneità astratta dell'azione a realizzare il risultato perseguito ma, più specificamente, come interesse proprio e concreto del ricorrente al conseguimento di un'utilità o di un vantaggio (materiale o, in certi casi, morale) a mezzo del processo amministrativo. Vale a dire, nell'ottica di un processo di stampo impugnatorio–annullatorio, quale quello amministrativo, la sussistenza di un interesse all'eliminazione del provvedimento, che il ricorrente ritiene lesivo della propria sfera giuridica.
Per quanto concerne l’indizione di una trattativa privata (ora procedura negoziata), da tempo la giurisprudenza ammette la possibilità di censurarne l’illegittima attivazione, da parte delle imprese “operanti nel settore”.
Tale possibilità, da un punto di vista sostanziale deve essere ricollegata al fatto che le procedure negoziate hanno pienamente conservato all’interno del Codice dei contratti pubblici la loro originaria natura eccezionale. Infatti, il comma 4°, dell’articolo 54, stabilisce che le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti pubblici mediante una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara, solo “nei casi e alle condizioni specifiche espressamente previste”, cioè solo in presenza delle peculiari e straordinarie ipotesi, espressamente e tassativamente, previste dal Codice medesimo, agli articoli 56 (procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara) e 57 (procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara).
Sopravvenuto il Codice, si è evidenziata ancor più la sua natura derogante: “La trattativa privata, oggi definita procedura negoziata nelle direttive comunitarie e negli atti nazionali di recepimento, è un criterio di selezione dei concorrenti di tipo eccezionale perché la necessità di tutelare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, imparzialità e buon andamento impongono il ricorso alle procedure aperte o ristrette e la procedura negoziata, come si evince dal confronto tra il quarto e il secondo comma dell'art. 54, d.lgs. n. 163 del 2006, può essere utilizzata solo nei casi specifici in cui la legge lo preveda espressamente” .
Dunque, da un punto di vista sostanziale, una procedura negoziata può essere contestata, nella sua indizione, in ragione della carenza dei necessari presupposti di legge. Ma, chi può effettuare tale censura?
A questa domanda, come già anticipato, la giurisprudenza, da tempo , ha risposto indicando un soggetto non molto definito: l’operatore economico del settore. Tale posizione è rimasta del tutto immutata anche recentemente: “Qualora una stazione appaltante decida di procedere alla stipulazione di un contratto con un determinato imprenditore a seguito di procedura negoziata, va riconosciuta la legittimazione a ricorrere, avverso la decisione suddetta, agli altri operatori economici del settore, poiché titolari di un interesse strumentale alla effettuazione della gara, in quanto aspiranti partecipanti alla stessa”.
In altri termini, gli imprenditori, che svolgono la propria attività nel medesimo ambito economico, cui si riferisce l'oggetto dell'appalto posto in gara, vantano un interesse qualificato ad impugnare il provvedimento di affidamento diretto o tramite procedura negoziata. Qualora la stazione appaltante si determini a concludere un contratto mediante procedura negoziata con un determinato imprenditore, si incide, infatti, in senso sfavorevole sulle posizioni soggettive degli altri imprenditori operanti nel medesimo settore, che sono, perciò, portatori di un interesse alla possibile conclusione del medesimo contratto, con conseguenze negative sulla libera concorrenza.
Gli aspiranti partecipanti alla gara, rimasti esclusi dalla procedura negoziata, ben potranno, pertanto, proporre ricorso giurisdizionale, in quanto titolari dell’interesse strumentale ad ottenere l'annullamento dell'affidamento diretto ed a far seguire l'indizione di una gara aperta o ristretta, quali modelli generali di scelta del contraente. Quindi, per poter contestare l’illegittima indizione di una procedura negoziata, l’impresa deve almeno dimostrare di operare in un dato settore, pur se, come avvertito da attenta giurisprudenza, non è necessario che l’impresa dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e finanziari, occorrenti per poter partecipare alla gara.
Con la sentenza in esame, si perviene ad un importante sviluppo concettuale: non si parla più di impresa di settore, in quanto grazie all’avvalimento il problema dell’appartenenza ad un dato settore economico, quale presupposto legittimante il ricorso, perde di interesse. Potendo l’impresa avvalersi dei requisiti di altro operatore economico, non è necessario che appartenga ad un dato settore e, dunque, può impugnare l’illegittima indizione di una negoziata, prescindendo dall’appartenenza medesima (commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare la scelta della p.a. di non procedere all'indizione di una procedura di gara pubblica.
Sulle condizioni che devono sussistere affinché si possa far ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

Ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare anche la scelta della p.a. di non procedere all'indizione di una procedura di gara pubblica a tutela del principio della libera concorrenza e del criterio di effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, atteso che la mancata indizione di una procedura di evidenza pubblica lede il suo interesse sostanziale a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure.
Il ricorso alla procedura senza pubblicazione del bando di gara di cui all'art. 57 c. 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 trova fondamento nella presenza di circostanze eccezionali che non consentano l'indugio degli incanti e della licitazione privata, a condizione però che l'estrema urgenza risulti da eventi imprevedibili per la stazione appaltante e non dipenda da un ritardo nell'attivazione dei procedimenti ad essa imputabile e solo quando l'estrema urgenza non sia compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara (TAR Abruzzo, Sez. I, sentenza 10.01.2011 n. 3 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: RIEPILOGO DISCIPLINA SULLA TRACCIABILITA’ DEI PAGAMENTI (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: NUOVO REGOLAMENTO DEI CONTRATTI PUBBLICI DPR 05/10/2010 N. 207 (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia svolto, in precedenza, servizi analoghi ma non identici a quelli richiesti dal bando.
Sulla portata del significato da attribuire al termine "servizio analogo", ai fini dell'aggiudicazione di una gara d' appalto.

E' illegittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia svolto, nel triennio precedente, servizi aventi ad oggetto prestazioni simili ma non identiche a quelle prescritte dal bando di gara.
Nel caso di specie, la lex specialis richiedeva la stipulazione di contratti sottoscritti direttamente con strutture sanitarie pubbliche o private, laddove l'impresa concorrente, invece, ha svolto analoghi servizi per una società fornitrice, a sua volta, delle predette strutture.
Ai sensi della direttiva 2004/18/CE, è inaccettabile la decisione di valorizzare soltanto contratti stipulati direttamente con Aziende sanitarie pubbliche e private. peraltro, posto che il bando richiedeva un fatturato minimo per servizi analoghi e non "identici", prestati in strutture sanitarie pubbliche o private, la stazione appaltante era tenuta ad ammettere alla competizione tutti i soggetti capaci di dimostrare l'acquisizione della necessaria esperienza, a prescindere dal titolo giuridico sottostante, e ciò a tutela del principio del favor partecipationis.
Sul punto va richiamata anche la giurisprudenza interna, avallata dagli artt. 41 e 42 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui un prestatore ben può comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara di appalto pubblico di servizi, facendo riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi: unica condizione posta dal giudice comunitario è la prova dell'effettiva disponibilità dei mezzi necessari all'esecuzione dell'appalto, attraverso l'attestazione di rapporti giuridici idonei, spettando poi, al giudice nazionale, valutare la correttezza di tale dimostrazione.
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Ai fini della dimostrazione della capacità tecnica ed in particolare nella scelta del fatturato minimo da provare, rientra nella discrezionalità dell'amministrazione aggiudicatrice stabilire quali, tra le modalità elencate dal bando, siano utili nelle singole procedure di gara, a seconda della natura, quantità ed utilizzo dei servizi o delle forniture. Tuttavia, una volta scelto un particolare requisito, ne deve essere data un'interpretazione ampia, per non creare un'eccessiva compressione della concorrenza.
L'art. 42, c. 1, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006, interpretato coerentemente con i principi comunitari, non limita la possibilità di partecipazione ai soli soggetti economici che abbiano già prestato i medesimi servizi o forniture.
Il concetto di "servizio analogo" va inteso non già come identità, bensì come similitudine tra le prestazioni richieste, considerando che l'interesse pubblico sottostante non è la creazione di una riserva a favore degli imprenditori già presenti sul mercato, ma l'apertura del mercato attraverso l'ammissione alle gare di tutti i concorrenti per i quali si possa raggiungere un giudizio complessivo di affidabilità.
E ciò tanto più nell'ipotesi in cui sorgano dubbi in ordine alla portata di una regola di gara, laddove è preferibile un'interpretazione volta a tutelare la più ampia partecipazione delle imprese alla gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.01.2011 n. 23 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'Amministrazione ha il potere di annullare l'aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza di adeguate esigenze di interesse pubblico.
L’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto (cfr. fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. V, 09.04.2010, n. 1998).
Infatti, anche se nei contratti della Pubblica amministrazione l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l'individuazione dell'offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all'Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n. 17) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTIL’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio determina l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto.
Dopo aver affidato al responsabile dell’Ufficio Ambiente l’incarico di reperire sul mercato proposte per lo sfruttamento dell’energia eolica e fotovoltaica, la Giunta del Comune in causa decideva di aderire ad una proposta pervenuta dalla società appellante e incaricava il Responsabile dell’Ufficio Ambiente per la sottoscrizione del contratto: lo stesso affidava a trattativa privata l’incarico a quest’ultima e lo stesso giorno veniva sottoscritta anche la relativa convenzione.
Tuttavia, il Comune, dopo aver provveduto alla sostituzione del Responsabile del Servizio Ambiente comunicava alla società l’annullamento di tutti gli atti relativi alla richiamata procedura di affidamento, ivi compresa la convenzione già sottoscritta. Il Comune, ricevute le osservazioni della parte, procedeva quindi all’annullamento degli atti avendo ritenuto che il precedente Responsabile del Servizio Ambiente, avesse a suo tempo operato in totale carenza di poteri e al di fuori degli indirizzi stabiliti dalla Giunta comunale.
Secondo l’appellante il Comune non poteva recedere da un contratto già sottoscritto, ma, i giudici del Consiglio di Stato ricordano che nella fattispecie non può parlarsi di recesso unilaterale dal contratto ma di caducazione del contratto a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione. Infatti, l’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto.
La stessa quinta Sezione, in relazione al possibile esercizio in materia dei poteri autotutela, ha affermato che, anche se nei contratti della Pubblica amministrazione l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l'individuazione dell'offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all'Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione a adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire un’adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (Consiglio Stato, sez. V, 10.09.2009, n. 5427; sez. V, 07.01.2009, n. 17).
E l'Amministrazione ha il potere di annullare l'aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza ovviamente di adeguate esigenze di interesse pubblico.
In tale evenienza e in virtù della stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come nella specie, l'annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti, il contratto non ha un’autonomia propria ed è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato restando “caducato” a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr. per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza plenaria, 30.07.2008 n. 9, secondo cui l'annullamento del l'aggiudicazione determina un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell'amministrazione, il cui contenuto non può prescindere dall'effetto caducatorio del contratto stipulato) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla discrezionalità della stazione appaltante in ordine alla scelta relativa alle modalità di strutturazione della legge di gara.
Con riferimento al criterio di aggiudicazione, l'art. 81, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, coerentemente con la normativa e la giurisprudenza comunitaria, laddove dispone che nei contratti pubblici, la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, lascia intendere che, esistendo una perfetta equivalenza tra i due sistemi, la scelta dell'uno o dell'altro è rimessa alla libera determinazione dell'amministrazione, con l'unico limite di far ricadere tale scelta su quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto, al fine di selezionare la migliore offerta, e di garantire la qualità delle prestazioni ed il rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, ai sensi dell'art. 2 del citato d.lgs. 163/2006, con cui il legislatore nazionale ha recepito la direttiva n. 2004/18/CE.
Tale assunto trova conferma in numerose pronunce del giudice comunitario e nazionale, secondo cui rientra nei poteri discrezionali della stazione appaltante operare la scelta in ordine alle modalità di strutturazione della legge di gara, in base alle caratteristiche dell'appalto, avendo di mira la garanzia della libera concorrenza e la selezione della migliore offerta.
In relazione alle caratteristiche dei prodotti oggetto di fornitura tale predicato si traduce, nel caso di scelta del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, nella necessità di identificare compiutamente i prodotti desiderati, senza per questo limitarli ad una marca o ad un brevetto specifico.
Il criterio di aggiudicazione basato sul prezzo, che favorisce un più corretto svolgimento del processo competitivo, appare conforme alle previsioni di cui agli artt. 81 e 82 del d.lgs. n. 163/2006, laddove non vi siano dubbi sulle caratteristiche qualitative del bene posto a gara, atteso che la puntuale individuazione dell'oggetto della fornitura appare di per sé in grado di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza.
Viceversa, è illogica la scelta del criterio del prezzo più basso qualora la legge di gara attribuisca rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta. In tali casi, la pluralità di elementi presi in considerazione dalla lex specialis si pone in contrasto con l'unicità del criterio del prezzo più basso, comportando la violazione delle suddette disposizioni (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.01.2011 n. 1 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità del recesso, da parte di un'amministrazione comunale, di un contratto già sottoscritto, per caducazione dello stesso a seguito dell'annullamento degli atti che ne hanno determinato la stipulazione.
E' legittimo l'operato di un'Amministrazione comunale che, successivamente alla sottoscrizione di un contratto con l'affidatario di un appalto aggiudicato a seguito di trattativa privata, abbia receduto dalla stesso, successivamente all'annullamento degli atti che ne hanno determinato la stipulazione, in quanto, in siffatta ipotesi, non può parlarsi di recesso unilaterale dal contratto, bensì di caducazione dello stesso.
Infatti, l'accertata illegittimità della procedura di affidamento di un'opera o di un servizio da parte di una P.A. determina anche l'inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto. Secondo costante giurisprudenza, in relazione al possibile esercizio in materia dei poteri autotutela, anche se nei contratti della P.A. l'aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna il momento dell'incontro tra la volontà della stessa amministrazione e quella del privato di concludere il contratto, non è tuttavia precluso alla stazione appaltante di procedere, successivamente e con richiamo ad un concreto interesse pubblico, all'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento, che impegna la P.A. ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l'obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che giustificano il provvedimento di autotutela.
In virtù della stretta consequenzialità tra l'aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l'annullamento giurisdizionale, ovvero, come nel caso di specie, l'annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti.
Infatti il contratto non ha una autonomia propria, pertanto è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è collegato, restando "caducato" a seguito dell'annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.01.2011 n. 11 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Subappalto, nolo, cottimo, fornitura con posa in opera: tutti i chiarimenti e gli adempimenti.
Con la Legge n. 136/2010 il Governo ha approvato il "Piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia". La nuova legge ha fornito lo spunto agli autori dell'articolo "I subaffidamenti e la nuova legge antimafia" pubblicato sul sito della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena.
Gli autori dell’articolo effettuano un’approfondita analisi di tutte le tipologie di sub-affidamenti possibili:
- subappalto;
- subappalto "a cascata";
- Fornitura con posa in opera;
- nolo a freddo;
- nolo a caldo;
- cottimo.
Per ciascuna tipologia sono illustrati i riferimenti normativi, le peculiarità, la corretta applicazione e anche alcuni possibili meccanismi utilizzati per aggirare la normativa.
L'articolo illustra inoltre gli obblighi del subappaltatore, le modalità di richiesta delle autorizzazioni e le sanzioni previste, concludendo con un approfondimento sugli obblighi introdotti dalla nuova normativa antimafia (L. 136/2010).
In particolare gli autori si soffermano su:
- Tracciabilità dei flussi finanziari (art. 3);
- Identificazione dei lavoratori (art. 5 -le tessere di riconoscimento degli addetti nei cantieri devono riportare anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione);
- Identificazione dei mezzi di trasporto nei cantieri (art. 4 - la bolla di consegna del materiale impiegato nei cantieri deve indicare il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi adibiti al trasporto) (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Le novità del Codice dell’Ambiente per i cantieri illustrate dall’ANCE.
Con il D.Lgs. 205/2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10.12.2010, sono state apportate importanti modifiche alla Parte Quarta del Codice dell'Ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Per quanto attiene ai cantieri BibLus-net ha già evidenziato (cfr. newsletter n. 216) che:
- in materia di terre e rocce da scavo continuano ad applicarsi le disposizioni dell'articolo 186 del D.Lgs. n. 152/2006. Si precisa, inoltre, che la procedura non si applica (art. 185, comma 1, lett. c) al “suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale scavato nel corso di attività di costruzione, riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato scavato”;
- coloro i quali intendono trasportare i propri rifiuti non pericolosi, senza aderire su base volontaria al SISTRI, a seguito delle modifiche introdotte, dovranno dotarsi di un registro di carico e scarico per ogni cantiere.
Per approfondire le principali novità per il settore delle costruzioni l'ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) ha realizzato una nota esplicativa.
Con l'occasione BibLus-net ricorda che il testo originario del Codice ambiente è stato oggetto di consistenti modifiche attraverso quattro provvedimenti “correttivi”:
- D.Lgs. 284/2006 (I correttivo) che aveva disposto la proroga dell’operatività delle Autorità di Bacino e la soppressione dell’Autorità di Vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti;
- D.Lgs. 4/2008 (II correttivo) che ha modificato la parte terza e quarta del Codice, in particolare le norme sugli scarichi idrici, la definizione di rifiuto e la disciplina delle materie prime secondarie, dei sottoprodotti e delle terre e rocce da scavo;
- D.Lgs. 128/2010 (III correttivo) che ha rivisto la parte prima (riconoscimento dello sviluppo sostenibile fra gli obiettivi della tutela dell’ambiente), la parte seconda (autorizzazioni ambientali) e quinta (nozione di impianto e di stabilimento);
- D.Lgs. 205/2010 (IV correttivo) che attua la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti, detta le disposizioni sanzionatorie del Sistri, aggiorna la definizione di sottoprodotto e detta gli obiettivi di riciclaggio da raggiungere entro il 2020 (link a www.acca.it).

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