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AGGIORNAMENTO AL 27.05.2014 |
ã |
dite
la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
R. Lasca,
L'ESATTO AMBITO SOGGETTIVO ED OGGETTIVO D'APPLICAZIONE DELLE
REGOLE SULLA TRASPARENZA (L. 190/2012 e D.Lgs. 33/2013) agli
enti-extra PP.AA. in senso stretto - Orientamento
di sintesi coordinata (e creativa) secondo la Circolare DFP
n. 1/2014 (26.05.2014). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Capannoni industriali, ecco il nuovo modello unico.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.M. 18.04.2014
finalizzato alla semplificazione della trasmissione agli
organi di vigilanza delle informazioni relative alla
sicurezza dei lavoratori in caso di costruzione di edifici o
locali adibiti a lavorazioni industriali.
Nello specifico, il provvedimento individua le informazioni
richieste dall'articolo 67 del Testo Unico (D.Lgs. 81/2008),
introducendo un modello unico valido su tutto il territorio
nazionale da utilizzare nei luoghi di lavoro con la presenza
di più di tre lavoratori, in caso di interventi di nuova
costruzione, ampliamento o ristrutturazione di edifici da
adibire a lavorazioni industriali.
Da sottolineare che in precedenza non era previsto un
modello unico, per cui il cittadino o l’impresa doveva
utilizzare, di volta in volta, la modulistica prevista dal
singolo organo di vigilanza.
In allegato all’articolo, il Decreto e il modello unico di
trasmissione dei dati in formato editabile
(22.05.2014 - link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
LINEE GUIDA PER LA PREDISPOSIZIONE
DELLE CONVENZIONI DI CONCESSIONE E GESTIONE (ANCE,
maggio 2014). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 22 del 27.05.2014, "Approvazione
definitiva dei criteri e dei parametri per l’individuazione
e la classificazione dei piccoli comuni non montani, ai
sensi dell’art. 2 della legge regionale 05.05.2004, n. 11"
(deliberazione
G.R. 23.05.2014 n. 1865). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 22 del 26.05.2014, "Aggiornamento
Albo regionale delle imprese boschive (l.r. 31/2008, art.
57)" (decreto
D.S. 22.05.2014 n. 4282). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 23.05.2014, "Terzo
aggiornamento 2014 dell’elenco degli enti locali idonei
all’esercizio delle funzioni paesaggistiche (l.r. 12/2005,
art. 80)" (decreto
D.G. 19.05.2014 n. 4179). |
EDILIZIA PRIVATA:
MODELLO UNICO NAZIONALE PER LA NOTIFICA AI SENSI
DELL’ARTICOLO 67 DEL D. LGS. N. 81/2008 A SEGUITO DI
INTERVENTO EDILIZIO (esclusi i cantieri temporanei e mobili
– Titolo IV del d.lgs. n. 81/2008) (Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali e Ministero per la Semplificazione
e la Pubblica Amministrazione,
decreto
18.04.2014). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Questioni interpretative in materia di IRPEF
prospettate dal Coordinamento Nazionale dei Centri di
Assistenza Fiscale e da altri soggetti (Agenzia delle
Entrate,
circolare 21.05.2014 n. 11/E).
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INDICE
1. QUESTIONI IN MATERIA DI REDDITI
1.1 IMU-IRPEF – Applicazione dell’effetto di sostituzione
per il 2013 - 1.2 IMU-IRPEF – Immobili situati nel medesimo
comune dell’abitazione principale - 1.3 Canoni di locazione
non riscossi - 1.4 Sisma Emilia-Romagna – Contributo
autonoma sistemazione - 1.5 Redditi esteri ed applicazione
delle retribuzioni convenzionali
2. SPESE SANITARIE
2.1 Detraibilità spese per osteopata - 2.2 Detraibilità
spese per biologo nutrizionista
3. INTERESSI PASSIVI PER MUTUI
3.1 Acquisto di immobili da accorpare catastalmente - 3.2
Mutuo per la costruzione abitazione principale – Coniuge a
carico - 3.3 Immobili inagibili per il sisma dell’Abruzzo
4. RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO
4.1 Familiare convivente e documentazione - 4.2 Lavori di
ristrutturazione su parti comuni ed immobile di proprietà
del coniuge incapiente - 4.3 Ripartizione delle spese in
assenza di condominio - 4.4 Spese sostenute mediante
finanziamento - 4.5 Bonifico con causale errata - 4.6
Acquisto box pertinenziale
5. ACQUISTO MOBILI ED ELETTRODOMESTICI
5.1 Interventi che consentono la fruizione del bonus - 5.2
Bonus mobili e acquisto box pertinenziale - 5.3 Bonus mobili
e pagamento mediante bonifico - 5.4 Pagamento mediante
bancomat e carta di credito - 5.5 Acquisto mobili all’estero
- 5.6 Data di acquisto mobili e grandi elettrodomestici -
5.7 Importo complessivo ammissibile alla detrazione
6. RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA
6.1 Interventi eseguiti da ditte individuali o società su
immobili strumentali presso i quali è svolta l'attività
7. ALTRE QUESTIONI
7.1 Compatibilità tra deduzione per abitazione principale e
detrazione “inquilini” - 7.2 Detraibilità spese per diverse
forme di asili nido - 7.3 Detrazioni e deduzioni per
erogazioni liberali a ONLUS - 7.5 Agevolazioni per disabili
– Furto del veicolo - 7.6 Agevolazioni per i disabili –
Acquisto di veicoli |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Realizzazione di edifici industriali:
individuate le informazioni da inviare all’organo di
vigilanza (ANCE Bergamo,
circolare 23.05.2014 n. 108). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Controllo tecnico in corso d’opera (ANCE
Bergamo,
circolare 23.05.2014 n. 107). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Autorizzazione paesaggistica per gli interventi
di lieve entità di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 09.07.2010, n. 139 (art. 4 "Semplificazioni
procedurali") - Natura obbligatoria e non vincolante del
parere del Soprintendente (MIBAC Veneto,
circolare 22.05.2014 n. 31/2014). |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Articolo 2, comma 3, del decreto-legge
31.08.2013, n. 101, convertito con modificazioni nella legge
30.10.2013, n. 125 – Disposizioni applicative in materia di
pensionamenti per posizioni soprannumerarie o eccedentarie
(INPS, Direzione Centrale Previdenza Gestione ex Inpdap,
messaggio 21.05.2014 n. 4834 - link a www.inps.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Oggetto: Nuovo codice deontologico ingegneri
(Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 14.05.2014 n. 375). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Oggetto: Competenze dei Dottori Agronomi e dei Dottori
Forestali in materia di Pianificazione e studi propedeutici
- Note di indirizzo (Consiglio dell'Ordine Nazionale dei
Dottori Agronomi ed ei Dottori Forestali,
circolare 01.12.2010 n. 31/2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
CONDOMINIO:
D. de Paolis,
Assemblee condominiali. Tabella completa ed aggiornata delle
maggioranze per deliberare (Bollettino di
Legislazione Tecnica n. 5/2014). |
ENTI LOCALI: M.
Gerardo,
Corollari della società in house: esclusione dal
fallimento ed applicazione della normativa organizzatoria
relativa al socio pubblico. In specie, ove l’ente ausiliato
sia una P.A., patrocinio dell’Avvocatura dello Stato -
TRIBUNALE DI NAPOLI, VII SEZ. CIV., DECRETO 09.01.2014,
N.R.R.FALL. 1097/13
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Esclusione dal
fallimento delle società in house. - 3. Ulteriori corollari
della qualificazione della società in house, quale mero
patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto
soggetto giuridico. - 4. (segue) In specie: rappresentanza e
difesa in giudizio delle società in house aventi quale
azionista un Amministrazione Statale. |
APPALTI: M.
Romeo,
Indirizzi giurisprudenziali in tema di revoca della gara
d’appalto e responsabilità precontrattuale della P.A. -
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V, SENTENZA 15.07.2013 N. 3831
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. La revoca della gara d’appalto. - 2.
Legittimità della revoca e responsabilità
dell’amministrazione. - 3. Elementi distintivi della
responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione. - 4. Considerazioni conclusive. |
APPALTI:
G. Guccione, Azione
generale di arricchimento nei confronti della P.A. e
problematiche sulla determinazione del quantum
indennizzabile - CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA
07.06.2013 N. 3133
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Inquadramento generale
dell'istituto - 3. L’accertamento della misura
dell’arricchimento dovuto
|
ATTI AMMINISTRATIVI: A.
Contaldo e M. Gorga,
Le notifiche nel processo civile telematico alla luce dei
più recenti decreti ministeriali
(Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014).
---------------
SOMMARIO: 1. Le notifiche nel processo civile
telematico: le prime previsioni normative. - 2. Il regime
delle comunicazioni e delle notifiche telematiche nel
processo civile. - 3. Le notifiche a mezzo posta elettronica
ex art. 149-bis c.p.c. - 3.1 Le notifiche tramite PEC alla
luce del Decreto ministeriale 03.04.2013 n. 48. - 3.2 Gli
indirizzi PEC utilizzabili per le notifiche. - 4. Le
pronunce di merito e di legittimità in tema di notifiche
telematiche nel processo civile. |
CONSIGLIERI COMUNALI:
A. Cordasco e R. Gai ,
L’ACCESSO AGLI ATTI DEI CONSIGLIERI COMUNALI: L’ART. 43 DEL
D.LGS. 18.08.2000, N. 267 (TESTO UNICO DEGLI ENTI LOCALI) E
LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
E’ illegittimo il diniego espresso da un Comune in ordine
ad una istanza ostensiva avanzata da alcuni Consiglieri
comunali avente ad oggetto la richiesta di copia di alcune
deliberazioni della Giunta municipale, che sia motivato con
riferimento alla esigenza di assicurare la riservatezza dei
dati contenuti in tali deliberazioni e il diritto alla
privacy dei terzi.
Infatti, in sede di accesso di cui dispongono i Consiglieri
comunali e provinciali, tale esigenza è salvaguardata
dall’art. 43, co. 2, del d.lgs. 18.8.2000 n. 267, laddove
viene previsto che i Consiglieri stessi sono tenuti al
segreto in caso accedano ad atti che incidono sulla sfera
giuridica e soggettiva di terzi; il diritto del Consigliere
comunale o provinciale ad avere dall’Ente tutte le
informazioni che siano utili all’espletamento del mandato
non incontra, conseguentemente, alcuna limitazione derivante
dalla loro natura riservata, in quanto il Consigliere è
vincolato all’osservanza del segreto (Cds, V, 11.12.2013, n.
5931).
--------------
Sommario: 1. L’accesso agli atti del Consigliere
comunale quale diritto speciale e differenziato. - 2. Le
modalità ed i limiti all’esercizio dell’accesso, con
particolare riferimento alla tutela della riservatezza. |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Rossi, LA
MEDIAZIONE CIVILE DOPO IL DECRETO “DEL FARE” NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
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Con il decreto “del fare” (d.l. n. 69/2013 convertito in
l. n. 98/2013) l’obbligatorietà della mediazione civile e
commerciale torna a essere condizione di procedibilità in
relazione a numerose controversie. Riflessioni sulla
mediazione nella Pubblica Amministrazione.
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Sommario: 1. Il d.lgs. del 04.03.2010 n. 28 come
modificato dalla l. n. 98/2013 di conversione del d.l. n.
69/2013. - 2. La mediazione nella Pubblica Amministrazione.
Il testo della circolare n. 9/2012. - 3. Riflessioni sulla
mediazione nella Pubblica Amministrazione dopo il Decreto
“del Fare”. |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
M. C. Agnello,
LA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA
PROVVEDIMENTO ILLEGITTIMO
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
La natura della responsabilità, il requisito soggettivo:
rimproverabilità dell’amministrazione, la gravità del vizio,
la quantificazione del risarcimento del danno patrimoniale e
non patrimoniale e la perdita di chance.
---------------
Sommario: 1. Aspetti generali. - 2. Le questioni
di diritto: la natura della responsabilità della pubblica
amministrazione verso un tertium genus. - 3. La
rimproverabilità dell’amministrazione e l'individuazione
dell'errore scusabile. - 4. I profili risarcitori e
probatori. |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Asprone e A. Magliulo,
LE AZIONI ESPERIBILI DAI TERZI CONTROINTERESSATI IN MATERIA
DI SCIA ALLA LUCE DEGLI ULTIMI APPRODI NORMATIVI E
GIURISPRUDENZIALI
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Segnalazione certificata di inizio attività, SCIA. Il
delicato aspetto controverso, connesso alla questione
relativa alla natura giuridica e i termini entro cui
proporre tale azione.
-----------------
Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e
giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. - 2.
Considerazioni conclusive. |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
M. Dell'Unto,
LINEE GUIDA SU PROGRAMMAZIONE, PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE
DEL CONTRATTO NEI SERVIZI E NELLE FORNITURE
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Determinazione n. 5 del 6.11.2013 dell’Autorità per la
vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture: Indicazioni sulla programmazione, progettazione
ed esecuzione dei contratti pubblici.
---------------
Sommario: Sommario: 1. Premessa. - 2.
Programmazione. - 2.1. Contenuto della programmazione. -
2.2. Iter procedurale. - 3. Progettazione. - 3.1. Contenuto
della progettazione. - 3.2. Soggetti incaricati. - 3.3.
Garanzie e verifiche. - 4. Esecuzione del contratto. - 4.1.
Responsabile del procedimento e Direttore dell’esecuzione. -
4.2. Compiti del Direttore dell’esecuzione. - 4.3. La
corretta esecuzione della prestazione e le penali. - 4.4
Immodificabilità del contratto. Le varianti. - 5. Modifiche
soggettive del raggruppamento in corso di esecuzione. |
LAVORI PUBBLICI: S.
Napolitano,
QUALE GIURISDIZIONE PER LE CONTROVERSIE INERENTI LE
CONCESSIONI DI COSTRUZIONE DI OPERE PUBBLICHE?
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e
devoluzione al giudice ordinario. Sulla compromettibilità in
arbitri delle controversie in materia di concessioni di
costruzione e gestione di opere pubbliche.
---------------
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Considerazione
conclusive. |
AUTORITA' VIGILANZA
CONTRATTI PUBBLICI |
EDILIZIA PRIVATA: In gara nonostante il concordato.
Avcp: in assenza del decreto di ammissione.
Le imprese di costruzioni che hanno fatto domanda di
concordato preventivo con continuità aziendale, ma ancora
non hanno ricevuto il decreto di ammissione, possono
partecipare alle gare, autorizzate dal tribunale, eseguire i
contratti e conseguire attestati Soa.
È quanto precisa l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con la
determinazione
23.04.2014 n. 3 che segue il
comunicato n. 68 del 29.11.2011.
In particolare l'Autorità precisa che al di fuori dei
confini indicati dal citato articolo 186-bis, le imprese
sottoposte a concordato preventivo «ordinario» rientrano
nell'operatività della causa ostativa prevista dall'art. 38,
comma 1, lett. a), del Codice, con conseguente incapacità di
conseguire l'attestazione in forza del rinvio contenuto
nell'art. 78 del dpr n. 207/2010 ai requisiti di carattere
generale previsti per la partecipazione alle gare.
Invece per le imprese già qualificate, sottoposte a
concordato preventivo «ordinario», l'Autorità chiarisce che
sono soggette ai procedimenti di decadenza dell'attestazione
per sopravvenuta perdita del requisito di ammissione alla
gara di ordine generale. Inoltre la causa ostativa in caso
di concordato preventivo «ordinario» si precisa che decorre
dalla domanda di ammissione al concordato, e cessa con il
decreto di omologazione del concordato preventivo ai sensi
dell'articolo 180 della legge fallimentare.
La determina afferma inoltre che la presentazione della
domanda di ammissione al concordato preventivo con le
caratteristiche proprie del concordato «con continuità
aziendale», non comporta la decadenza dell'attestazione di
qualificazione, perché impedisce la risoluzione dei
contratti in corso e consente, previa autorizzazione del
Tribunale, la partecipazione alle procedure di affidamento
di contratti pubblici. Inoltre la domanda di ammissione non
impedisce la verifica triennale o il rinnovo (per le imprese
attestate) o il conseguimento dell'attestazione di
qualificazione (per le imprese non attestate).
Occorre però che la Soa proceda a monitorare lo svolgimento
della procedura concorsuale in atto e a verificare il
mantenimento del requisito con l'intervenuta ammissione al
concordato preventivo con continuità aziendale. Dopo
l'emissione del decreto di ammissione alla procedura di
concordato preventivo con continuità aziendale, le imprese,
dice la determina, possono dimostrare il possesso del
requisito di ordine generale precisando chele prescrizioni
di cui all'art. 186-bis, comma 5 l.f. sono espressamente
riferite alla sola fase di gara
(articolo ItaliaOggi del 20.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni
contenute nell’art. 38, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n.
163/2006 afferenti alle procedure di concordato preventivo a
seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 186-bis della
legge fallimentare (concordato con continuità aziendale).
L’art. 186-bis della legge
fallimentare, che disciplina il concordato preventivo con
continuità aziendale, prevede, tra l’altro, al ricorrere di
determinate condizioni, la prosecuzione dei contratti
stipulati con pubbliche amministrazioni. L’introduzione di
tale fattispecie ha comportato la modifica dell’articolo 38,
comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 163/2006, confermando tra
le cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure
di affidamento l’assoggettamento dell’impresa ad una
procedura di concordato preventivo, ma facendo salvo il caso
del concordato preventivo con continuità aziendale.
Al di fuori dei confini indicati dall’articolo 186-bis,
della legge fallimentare, le imprese sottoposte a concordato
preventivo “ordinario” rientrano nell’operatività della
causa ostativa prevista dall’art. 38, comma 1, lett. a), del
D.Lgs. n. 163/2006, e non possono partecipare alle gare né
conseguire l’attestazione di qualificazione e, ove già
qualificate, sono soggette ai procedimenti ex art. 40, comma
9-ter del D.Lgs. n. 163/2006, di decadenza dell’attestazione
per sopravvenuta perdita del requisito di cui all’art. 38,
comma 1, lett. a), del medesimo D.Lgs. La causa ostativa
decorre dalla domanda di ammissione al concordato preventivo
“ordinario”, e cessa con il decreto di omologazione del
concordato preventivo ai sensi dell’articolo 180 della legge
fallimentare.
Il cd. “concordato in bianco”, riconosce al debitore la
facoltà di depositare, presso la cancelleria del Tribunale
competente, un ricorso per l'ammissione alla procedura di
concordato preventivo, riservandosi di produrre
successivamente, nel termine fissato con decreto dal
giudice, la proposta e il piano concordatario e i documenti
previsti dall'articolo 161, della legge fallimentare.
Detta fattispecie non risulta idonea a permettere la
prosecuzione dell’attività e costituisce causa ostativa per
la qualificazione nonché presupposto per la soggezione
dell’impresa al procedimento ex art. 40, comma 9-ter del
D.Lgs. n. 163/2006, per perdita del corrispondente
requisito. La presentazione della domanda di ammissione al
concordato preventivo con continuità aziendale, consente,
previa autorizzazione del Tribunale, la partecipazione alle
procedure di affidamento di contratti pubblici e non
comporta la decadenza dell’attestazione di qualificazione.
In tale ipotesi, la domanda di ammissione non costituisce
elemento ostativo ai fini della verifica triennale o del
rinnovo (per le imprese attestate) o del conseguimento
dell’attestazione di qualificazione (per le imprese non
attestate), fermo restando l’obbligo della SOA di monitorare
lo svolgimento della procedura concorsuale in atto e di
verificare il mantenimento del requisito con l’intervenuta
ammissione al concordato preventivo con continuità
aziendale. Successivamente al decreto di ammissione alla
procedura di concordato preventivo con continuità aziendale,
le imprese possono dimostrare il possesso del requisito di
cui all’art. 38, c. 1, lett. a), in sede di rilascio
dell’attestazione di qualificazione, con la precisazione che
le prescrizioni di cui all’art. 186-bis, comma 5, della L.F.
sono espressamente riferite alla sola fase di gara. |
QUESITI & PARERI |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Consigliere e socio liquidatore.
Quesito
Sussiste la causa di incompatibilità di cui all'art. 63,
comma 1, n. 6), del decreto legislativo 18.08.2000, n.
267, nei confronti di un consigliere comunale che svolge
l'incarico di socio liquidatore di una società a
responsabilità limitata, debitrice dell'ente per mancato
pagamento di oneri di urbanizzazione primaria?
Risposta
Come precisato dalla giurisprudenza, le cause
d'incompatibilità di cui alla norma citata, ascrivibili al
novero delle c.d. incompatibilità d'interessi, hanno la
finalità di impedire che possano concorrere all'esercizio
delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di
interessi configgenti con quelli del comune o i quali si
trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere
l'imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20.02.1997, n. 44; Id, sentenza 24.06.2003, n. 220).
Nel caso di specie potrebbe sorgere il dubbio che possa
configurarsi una situazione di conflitto d'interessi
riconducibile alla prima delle due ipotesi contemplate nel
menzionato art. 63, comma 1, n. 6), i cui presupposti sono
l'esistenza di un debito liquido ed esigibile nei confronti
dell'ente da parte di colui che intende candidarsi o è stato
eletto consigliere comunale e la formale messa in mora di
quest'ultimo.
In merito, la normativa vigente in materia di
società a responsabilità limitata, con specifico riferimento
ai profili della responsabilità per debiti e della fase di
liquidazione, dispone quanto segue. In relazione al primo
profilo, rileva quanto previsto dall'art. 2462 del codice
civile, ai sensi del quale «nella società a responsabilità
limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la
società con il suo patrimonio. In caso di insolvenza della
società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in
cui l'intera partecipazione è appartenuta a una sola
persona, questa risponde illimitatamente quando i
conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto
previsto dall'art. 2464, o fin quando non sia stata attuata
la pubblicità prescritta dall'art. 2470».
Tale tipo di
società si configura, quindi, come un soggetto a sé stante,
dotato di autonomia patrimoniale perfetta e con i soci che
rispondono delle obbligazioni sociali limitatamente alla
propria quota. Durante la fase della liquidazione, la
normale attività societaria entra in uno stato di
sospensione e si provvede precipuamente a commutare in
denaro gli elementi patrimoniali esistenti, ad estinguere le
passività e a ripartire l'eventuale attivo residuo tra i
soci.
Il dominus di tale fase è appunto il liquidatore, il
quale è tenuto a porre in essere le operazioni puntualmente
indicate dalla disciplina di settore, nel rispetto dei
criteri stabiliti dai soci nella delibera di nomina o, in
difetto, dal Tribunale. In particolare, il liquidatore deve
adempiere ai propri doveri con la professionalità e la
diligenza richieste dalla natura dell'incarico ed è
responsabile per i danni derivanti dall'inosservanza di tali
doveri secondo le norme dettate in tema di responsabilità
degli amministratori (cfr. artt. 2487 seguenti del codice
civile).
Il delineato regime patrimoniale e liquidatorio applicabile
alle società a responsabilità limitata induce a ritenere
che, nell'ipotesi in esame, non sussista la causa
d'incompatibilità di che trattasi, in quanto debitrice
dell'ente è una persona giuridica autonoma e distinta dal
socio liquidatore, che riveste la carica di consigliere
comunale (cfr., per un'ipotesi analoga, Corte di cassazione,
sezione I, sentenza 29.05.1972, n. 1685, che ha escluso
l'esistenza d'incompatibilità nei confronti dei soci e
amministratori di una cassa rurale avente natura di società
operativa a responsabilità limitata ne caso di lite pendente
tra il comune e la società medesima)
(articolo ItaliaOggi del 23.05.2014). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE:
Incentivi per la progettazione e la realizzazione di lavori
pubblici.
Secondo il prevalente orientamento delle
Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, gli
incentivi per la progettazione e la realizzazione di lavori
pubblici non potrebbero essere riconosciuti per le attività
assimilabili ai lavori svolti in economia (quali la
sostituzione di infissi e i lavori di tinteggiatura presso
gli edifici comunali), mentre parrebbero incentivabili tutti
i lavori di manutenzione che richiedono la predisposizione
di elaborati progettuali, redatti ai sensi della normativa
vigente.
Il Comune, alla luce dei pareri resi dalla Corte dei conti
ed, in particolare, dalle Sezioni regionali di controllo per
la Toscana (deliberazione n. 293/2012) e per la Lombardia
(deliberazione n. 442/2013), in materia di incentivi per la
progettazione e la realizzazione di lavori pubblici,
richiede chiarimenti in ordine alla corretta applicazione
delle previsioni contenute nell'art. 11, comma 1, della
legge regionale 31.05.2002, n. 14 e della propria disciplina
regolamentare in materia [1].
Nello specifico, l'Ente intende conoscere se il predetto
incentivo possa essere riconosciuto con riferimento alle
seguenti fattispecie:
a) per le attività assimilabili ai lavori svolti in
economia, quali la sostituzione di infissi e i lavori di
tinteggiatura presso gli edifici comunali;
b) per le opere di straordinaria manutenzione che non
richiedono la redazione del progetto esecutivo;
c) per le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria
delle strade e dei marciapiedi, che richiedono
l'approvazione del progetto.
Sentito il Servizio lavori pubblici della Direzione centrale
infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale,
lavori pubblici, università, si esprimono le seguenti
considerazioni.
Occorre, anzitutto, chiarire che esula dai compiti
istituzionali di questo Ufficio valutare la legittimità
delle norme di cui l'Ente si è dotato e/o fornirne
un'interpretazione, che rimane, ovviamente, di esclusiva
competenza dell'amministrazione che le ha elaborate.
Pertanto, le problematiche esposte nel quesito verranno
affrontate esaminando le indicazioni interpretative reperite
al riguardo, ancorché esse facciano riferimento alla
disciplina nazionale, recata dall'art. 92, comma 5
[2], del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, che risulta -per i
profili che qui rilevano- non dissimile da quanto previsto
dall'art. 11, comma 1 [3],
della L.R. 14/2002, che disciplina l'istituto degli
incentivi per la progettazione e la realizzazione di lavori
pubblici in questo territorio regionale.
I pareri della Corte dei conti citati dal Comune si
inseriscono in un filone interpretativo, ormai consolidato,
che prende le mosse dalla considerazione che l'art. 92,
comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (come l'art. 11, comma 1, della
L.R. 14/2002) deroga ai generali princìpi di
onnicomprensività e determinazione contrattuale della
retribuzione del dipendente pubblico e, come tale,
costituisce un'eccezione che si presta a stretta
interpretazione e per la quale sussiste il divieto di
applicazione analogica.
Ciò posto, la Corte dei conti osserva che l'art. 90 del
D.Lgs. 163/2006, sia alla rubrica che al comma 1
[4], «fa
riferimento esclusivamente ai lavori pubblici» e l'art.
92, comma 1 [5],
«presuppone l'attività di progettazione nelle varie fasi,
expressis verbis come finalizzata alla costruzione
dell'opera pubblica progettata» [6].
Di conseguenza, secondo la Sezione regionale di controllo
per la Toscana, dovrebbero ritenersi esclusi dal novero
delle attività incentivabili:
- gli interventi, quali la sostituzione di infissi, che non
appaiono riconducibili alla materia dei lavori pubblici, ai
fini dell'applicazione dell'istituto incentivo, ma
assimilabili a lavori svolti in economia
[7];
- i lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria di
immobili comunali e di sistemazione della segnaletica
stradale [8].
La Sezione regionale per la Liguria sostiene, invece, che il
riconoscimento dell'incentivo per la progettazione «presuppone
necessariamente la presenza di lavori ed opere di
manutenzione straordinaria e non di semplice manutenzione
ordinaria, né di lavori in economia»
[9], ammettendo
pertanto l'incentivo anche per la manutenzione
straordinaria.
Si è altresì affermato che il beneficio in argomento non
potrebbe essere riconosciuto per «qualunque lavoro di
manutenzione ordinaria/straordinaria su beni dell'ente
locale, ma solo per lavori di realizzazione di un'opera
pubblica, alla cui base vi sia una necessaria attività di
progettazione» [10].
[11]
Da quanto fin qui rilevato, si evince che l'orientamento
della Corte dei conti non risulta univoco.
Appare, pertanto, necessario svolgere alcune considerazioni
e segnalare ulteriori interventi interpretativi, che possano
essere d'ausilio per valutare se, nelle fattispecie indicate
nel quesito, l'incentivo per la progettazione possa essere
attribuito.
L'affermazione della Corte, secondo la quale l'incentivo di
cui trattasi riguarderebbe solo l'attività di progettazione
«finalizzata alla costruzione dell'opera pubblica
progettata», non appare considerare che la norma di
riferimento (l'art. 92, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 e
l'art. 11, comma 1, della L.R. 14/2002) prevede, invece, che
l'entità della somma incentiva da accantonare, per il
successivo riparto tra il personale, è stabilita in
relazione all'importo posto a base di gara di un'opera 'o
di un lavoro'.
Va, inoltre, evidenziato che, con riferimento alla
previsione recata dall'art. 2 [12],
comma 1, primo periodo [13],
della legge 11.02.1994, n. 109 -ora contenuta nell'art. 3
[14],
comma 8 [15],
del D.Lgs. n. 163/2006- il Consiglio di Stato ha rilevato
che «Se il legislatore, con la l. 109/1994, ha eletto ad
oggetto del proprio intervento la più ampia categoria dei
'lavori pubblici', in luogo di quella dell' 'opera
pubblica', è proprio perché non viene presa tanto in
considerazione l'opera realizzata, bensì viene riqualificato
il lavoro che sull'opera è compiuto, cosicché, in
definitiva, vengono ad essere ricompresi nell'ottica
legislativa non solo i lavori che hanno dato luogo, mediante
un'opera di costruzione, ad un'opera o ad un impianto, ma
anche i lavori che si limitano ad avere l'opera o l'impianto
come oggetto dell'attività.» [16].
Occorre, poi, segnalare che l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp),
con deliberazione n. 76 del 19.10.2006, ha osservato che, ai
sensi del predetto art. 3, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006,
«il termine 'lavori' comprende le attività di
costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione,
restauro, manutenzione di opere, laddove per 'opera' si
intende il risultato di un insieme di lavori, che di per sé
esplichi una funzione economica o tecnica», mentre la
'manutenzione', come definita dall'art. 3, comma 1, lett.
n), del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010,
n. 207 [17],
«consiste nella combinazione di tutte le azioni tecniche,
specialistiche ed amministrative, incluse le azioni di
supervisione, volte a mantenere o a riportare un'opera o un
impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista
dal provvedimento di approvazione del progetto».
Ciò posto -e con riferimento al secondo quesito formulato
dall'Ente [18]-
si ricorda che l'art. 105 («Lavori di manutenzione»),
comma 1, del D.P.R. 207/2010, dispone che l'esecuzione dei
lavori «può prescindere dall'avvenuta redazione ed
approvazione del progetto esecutivo qualora si tratti di
lavori di manutenzione, ad esclusione degli interventi di
manutenzione che prevedono il rinnovo o la sostituzione di
parti strutturali delle opere» [19].
Facendo riferimento all'analoga disciplina previgente
[20],
l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha osservato
che «Ciò significa che i lavori di manutenzione ordinaria
e straordinaria, programmabili o di pronto intervento,
possono essere eseguiti sulla base del progetto definitivo»
[21],
rilevando che la norma conferma la «derogabilità della
disposizione relativa ai tre livelli progettuali
(preliminare, definitivo ed esecutivo) ogni qual volta la
differenza di definizione tecnica fra il progetto definitivo
e quello esecutivo, nella sostanza, non sussiste».
Però, puntualizza la predetta Autorità, «La disposizione
[...] non può essere intesa nel senso che nel caso dei
lavori di manutenzione non è mai obbligatorio redigere il
progetto esecutivo. Qualora, infatti, si tratta di lavori di
manutenzione straordinaria di un'opera, nella quale va
compresa anche la ristrutturazione, il recupero o la
trasformazione dell'opera, non si può prescindere
dall'obbligo di redigere il progetto esecutivo in quanto
sussiste certamente una differenza di livello di definizione
tecnica fra il progetto definitivo e quello esecutivo».
Per quanto fin qui rappresentato, sembrano incentivabili
tutti i lavori di manutenzione che richiedono la
predisposizione di elaborati progettuali, redatti ai sensi
della normativa vigente [22].
---------------
[1] Segnalando, in particolare, gli artt. 2, 7 e 8.
[2] «5. Una somma non superiore al due per cento
dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un
lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e
assistenziali a carico dell'amministrazione, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93,
comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con
le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione
decentrata e assunti in un regolamento adottato
dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e
gli incaricati della redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché
tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è stabilita dal
regolamento in rapporto all'entità e alla complessità
dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle specifiche
prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è
disposta dal dirigente preposto alla struttura competente,
previo accertamento positivo delle specifiche attività
svolte dai predetti dipendenti; limitatamente alle attività
di progettazione, l'incentivo corrisposto al singolo
dipendente non può superare l'importo del rispettivo
trattamento economico complessivo annuo lordo; le quote
parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte
dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale
esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero
prive del predetto accertamento, costituiscono economie. I
soggetti di cui all'articolo 32, comma 1, lettere b) e c),
possono adottare con proprio provvedimento analoghi
criteri.».
[3] «1. Una somma non superiore all'1 per cento dell'importo
posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 8, comma
6, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le
modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione
decentrata e assunti in un regolamento adottato
dall'amministrazione, tra il responsabile unico del
procedimento, gli incaricati della redazione del progetto,
del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del
collaudo, nonché tra quanti, tecnici e amministrativi, hanno
collaborato alla realizzazione dell'opera. La percentuale
effettiva, nel limite massimo dell'1 per cento, comprensiva
anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico
dell'amministrazione, da ripartirsi esclusivamente tra i
dipendenti, e le relative modalità di erogazione sono
stabilite dal regolamento in rapporto all'entità e alla
complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene
conto delle responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni da svolgere. Il regolamento
dell'amministrazione può stabilire un ulteriore incentivo
nella misura massima dell'1 per cento, qualora le attività
di responsabile unico del procedimento, le prestazioni
relative alla progettazione, al coordinamento della
sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, nonché
alla direzione dei lavori siano tutte espletate dagli uffici
di cui all'articolo 9, comma 1, lettere a), b) e c).
Limitatamente alle attività di progettazione, l'incentivo
corrisposto al singolo dipendente non può superare l'importo
del rispettivo trattamento economico complessivo annuo
lordo.».
[4] In ambito regionale, v. l'art. 9, comma 1, della L.R.
14/2002.
[5] V. l'analoga disposizione contenuta nell'art. 9, comma
12, della L.R. 14/2002.
[6] Sez. reg. di controllo per la Toscana, pareri
18.10.2011, n. 213, 13.11.2012, n. 293, 12.12.2012, n. 459 e
19.03.2013, n. 15, cui fanno riferimento, condividendo
l'assunto, la Sez. reg. di controllo per la Lombardia, con
pareri 72/2013, cit. e 442/2013, cit., la Sez. reg. di
controllo per la Liguria, con parere 10.05.2013, n. 24 e la
Sez. reg. di controllo per il Piemonte, con parere
16.01.2014, n. 8.
[7] Parere 293/2012, cit..
[8] Parere 459/2012, cit..
[9] Parere 24/2013, cit., nel quale si specifica che, per
lavori ed opere di manutenzione straordinaria, spetta al
regolamento dell'amministrazione procedente stabilire se la
corresponsione del beneficio debba essere, o meno,
necessariamente condizionata alla sussistenza di tutti i
vari gradi di progettazione (preliminare, definitiva ed
esecutiva).
[10] Corte dei conti -Sez. reg. di controllo per la
Lombardia, pareri 72/2013, cit. (concernente opere di
manutenzione ordinaria e straordinaria sugli immobili - di
carattere edile e relative agli impianti - e sulle strade
comunali) e 442/2013, cit. (concernente interventi di
manutenzione ordinaria delle strade pubbliche e loro
pertinenze, della segnaletica, ecc.); Sez. reg. di controllo
per il Piemonte, parere 8/2014, cit. (concernente i lavori
di manutenzione, eccettuati gli interventi che prevedono il
rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere).
[11] Si ricorda che la medesima conclusione era già stata
delineata dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
con determinazione n. 43 del 25.09.2000 che, con riferimento
alla questione della «sussistenza del diritto ai compensi in
caso di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che
non comportino la predisposizione di elaborati progettuali,
quali per esempio i lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria fatti eseguire su semplice richiesta di
preventivo e con determina di assegnazione e impegno di
spesa adottata dal responsabile del servizio», ha chiarito
che «l'assenza di qualsiasi elaborato progettuale
contrasterebbe con il principio che collega necessariamente
il diritto agli incentivi all'espletamento di un'attività di
progettazione».
[12] «Àmbito oggettivo e soggettivo di applicazione della
legge».
[13] «1. Ai sensi e per gli effetti della presente legge e
del regolamento di cui all'articolo 3, comma 2, si intendono
per lavori pubblici, se affidati dai soggetti di cui al
comma 2 del presente articolo, le attività di costruzione,
demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e
manutenzione di opere ed impianti, anche di presidio e
difesa ambientale e di ingegneria naturalistica. [...]».
[14] «Definizioni».
[15] «8. I 'lavori' di cui all'allegato I comprendono le
attività di costruzione, demolizione, recupero,
ristrutturazione, restauro, manutenzione, di opere. Per
'opera' si intende il risultato di un insieme di lavori, che
di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le
opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un
insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle di
presidio e difesa ambientale e di ingegneria
naturalistica.».
[16] Sez. V, sentenza 04.05.2001, n. 2518.
[17] Corrispondente a quella fornita, in precedenza,
dall'art. 2, comma 2, lett. l), del decreto del Presidente
della Repubblica 21.12.1999, n. 554.
[18] Volto a stabilire se risultino incentivabili le opere
di straordinaria manutenzione che non richiedono la
redazione del progetto 'esecutivo'.
[19] Ferma restando la necessità di predisporre il piano di
sicurezza e di coordinamento, con l'individuazione analitica
dei costi della sicurezza, non soggetti a ribasso.
[20] L'art. 19, comma 5-bis, della L. 109/1994.
[21] Determinazione n. 13/2004, cit..
[22] Corre peraltro l'obbligo di segnalare alcuni pareri
della Corte dei conti (Sez. regionale di controllo per la
Toscana, n. 15/2013, cit. e Sez. regionale di controllo per
la Lombardia, n. 442/2013, cit.) che sembrano «escludere dal
novero delle attività retribuibili con l'incentivo in
questione i lavori di manutenzione ordinaria, peraltro
finanziati con risorse di parte corrente del bilancio»
(14.05.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
PATRIMONIO: Permuta
di un’area di proprietà statale con area di proprietà
comunale (parere
04.03.2014 n. 98221 di prot. -
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Rimborso
spese legali ex art. 18 d.l. 67/1997 in relazione a
procedimento penale (parere
22.02.2014 n. 83052 di prot. -
Rassegna Avvocatura
dello Stato n. 1/2014). |
PUBBLICO IMPIEGO: Procedimento
disciplinare: termini e segreto istruttorio in pendenza di
procedimento penale per medesimi fatti illeciti (parere
14.02.2014 n. 68988 di prot. -
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2014). |
CORTE DEI CONTI |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE: L’incentivo alla progettazione non può venire
riconosciuto per qualunque lavoro di manutenzione
ordinaria/straordinaria su beni dell’ente locale ma solo per
lavori di realizzazione di un’opera pubblica alla cui base
vi sia una necessaria attività di progettazione.
Esulano, dunque, tutti quei lavori manutentivi per la cui
realizzazione non è necessaria l’attività progettuale
richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del d.lgs. n.
163/2006.
Al contrario, l’incentivo si ritiene erogabile qualora nel
corso dell'esecuzione di un'opera pubblica o lavoro si renda
necessario redigere, da parte del personale dipendente
dall’Ente, una perizia di variante e suppletiva con
incremento dell'importo dei lavori affidati, rientrante
negli ambiti consentiti dalla norma vigente, con esclusione
delle varianti determinate da errori di progettazione, con
la specificazione che l’incentivo stesso deve essere
correlato all’importo della perizia di variante.
Inoltre, “l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla
rubrica che al c. 1, fa riferimento esclusivamente ai lavori
pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di
progettazione nelle varie fasi come finalizzata alla
costruzione dell’opera pubblica progettata. A fortiori, lo
stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla
progettazione venga ripartito tra i dipendenti
dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto
e, dunque, è di palmare evidenza come il riferimento
normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile
solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una
procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla
realizzazione di un’opera di pubblico interesse”.
Si consideri, inoltre, che l’attività di progettazione, rilevante ai fini
del comma 5 dell’articolo 92, “si articola, nel rispetto dei
vincoli esistenti, preventivamente accertati, laddove
possibile fin dal documento preliminare, e dei limiti di
spesa prestabiliti, secondo tre livelli di successivi
approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed
esecutiva, in modo da assicurare:
a) la qualità dell'opera e la rispondenza alle finalità
relative;
b) la conformità alle norme ambientali e urbanistiche;
c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal
quadro normativo nazionale e comunitario”.
---------------
Con riferimento, infine, all’articolo 92, comma 6, del
decreto 163/2006, è sufficiente ricordare la recente
deliberazione 15.04.2014 n. 7 della Sezione delle Autonomie, a mente della quale
risulta “di palmare evidenza il
riferimento della definizione “atto di pianificazione
comunque denominato” alla materia dei lavori pubblici”, ritenendo di conseguenza “l’ambito applicativo della
stessa, apparentemente ampio ed indefinito, in realtà,
limitato esclusivamente all’attività progettuale e tecnico
amministrativa direttamente collegata alla realizzazione di
opere e lavori pubblici”.
La Sezione, pertanto, conclude affermando che “ai fini della
riconoscibilità del diritto al compenso incentivante, la
corretta interpretazione delle disposizioni in esame
considera determinante, non tanto il nomen juris attribuito
all’atto di pianificazione, quanto il suo contenuto
specifico, che deve risultare strettamente connesso alla
realizzazione di un’opera pubblica, ovvero quel quid pluris
di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di
pianificazione generale, che costituisce il presupposto per
l’erogazione dell’incentivo”.
---------------
Il sindaco del comune di Poirino, con nota n. 4278 del
18.03.2014, chiedeva all’adita Sezione l’espressione di un
parere in ordine alla corretta interpretazione dell’articolo
92, commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 163/2006.
In particolare, il Sindaco del comune di Poirino
formulava i seguenti quesiti:
- se sia riconoscibile l’incentivo previsto dalla citata
normativa per il caso di “esecuzione di lavori pubblici
da effettuarsi per il mero mantenimento e funzionamento del
patrimonio e demanio comunale e non si sia in presenza di
un’opera pubblica (ad esempio, la gestione del verde
pubblico)”;
- se l’incentivo nei casi sopra indicati (esecuzione
lavori pubblici manutentivi) sia o meno riconoscibile anche
alla figura del R.U.P., “indipendentemente dalla natura
dell’intervento manutentivo, ordinaria e/o straordinaria, e
indipendentemente dalla presenza o meno di una effettiva
fase di progettazione”;
- se per “progettazione” sia da intendersi
esclusivamente la realizzazione del progetto tecnico
(preliminare, definitivo, esecutivo) oppure se siano
assimilabili alla “progettazione” anche quegli atti
che comunemente vengono definiti “elaborati progettuali”,
quali la stima sommaria delle opere, l’elenco dei prezzi, il
capitolato speciale d’appalto, la bozza del contratto, il
piano di sicurezza, collaudi e certificati di regolare
esecuzione.
...
La questione posta dal comune di Poirino è già stata
affrontata dalla giurisprudenza contabile in modo esauriente
in numerosi precedenti: l’orientamento consolidato,
pertanto, è nel senso di ritenere indefettibile il
collegamento degli incentivi in esame ad un’attività
progettuale riferita alla realizzazione di un’opera pubblica
e non allo svolgimento di semplici lavori di manutenzione.
La norma riportata è stata oggetto di numerose pronunce
della Corte (cfr., fra le altre, Sezione Autonomie
delibera 13.11.2009 n. 16/2009, Sezione Veneto
parere 26.07.2011 n. 337, Sezione Lombardia
parere 06.03.2012 n. 57,
parere 30.05.2012 n. 259,
parere 06.03.2013 n. 72; inoltre,
parere 30.08.2012 n. 290 di questa Sezione),
segnalandosi da ultimo, di questa stessa Sezione,
parere 16.01.2014 n. 8 e
parere 17.03.2014 n. 44.
La giurisprudenza citata, dopo aver ricordato la preferenza
per l’attività di progettazione svolta all’interno
dell’amministrazione ed il principio di onnicomprensività
della retribuzione del pubblico dipendente,
ha rilevato come
l’art. 92, comma 5, del d.lgs. 163/2006 deroghi ai principi
di onnicomprensività e determinazione contrattuale della
retribuzione del dipendente pubblico e, come tale,
costituisca un’eccezione di stretta interpretazione per la
quale sussiste il divieto di analogia posto dall’art. 12
delle diposizioni preliminari al codice civile (in tal senso
Sezione Campania,
parere 07.05.2008 n. 7/2008, Sezione Umbria,
parere 09.07.2013 n. 119, Sezione Marche,
parere 04.10.2013 n. 67).
Come evincibile dalla lettera del comma, la legge pone
alcuni limiti per l’attribuzione del predetto incentivo,
rimettendone la disciplina concreta (“criteri e modalità”)
ad un regolamento interno assunto previa contrattazione
decentrata.
I punti fermi che il regolamento interno deve rispettare
(sull’impossibilità da parte del regolamento di derogare a
quanto previsto dalla legge o di attribuire compensi non
previsti, si rimanda al
parere 30.05.2012 n. 259 della Sezione Lombardia) paiono essere i seguenti:
- erogazione ai soli dipendenti espletanti gli incarichi
tassativamente indicati dalla norma (responsabile del
procedimento, incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del
collaudo, e loro collaboratori), riferiti all’aggiudicazione
ed esecuzione “di un’opera o un lavoro” (non, pertanto, per
un appalto di fornitura di beni o di servizi);
- ammontare complessivo non superiore al due per cento
dell’importo a base di gara. Di conseguenza la somma
concretamente prevista dal regolamento interno può essere
stabilita in misura percentuale inferiore;
- ancoramento del fondo incentivante alla base di gara (non
all’importo oggetto del contratto, né a quello risultante
dallo stato finale dei lavori).
Si deduce che
non appare
ammissibile la previsione e l’erogazione di alcun compenso
nel caso in cui l’iter dell’opera o del lavoro non sia
giunto, quantomeno, alla fase della pubblicazione del bando
o della spedizione delle lettere d’invito (cfr., per
esempio, l’art. 2, comma 3, del DM Infrastrutture n. 84 del
17/03/2008). Quanto detto non esclude che,
in sede di regolamento interno, al fine di ancorare
l’erogazione dell’incentivo a più stringenti presupposti,
l’amministrazione possa prevedere la corresponsione solo
subordinatamente all’aggiudicazione dell’opera;
- puntuale ripartizione del fondo
incentivante tra gli incarichi attribuibili (responsabile
del procedimento, progettista, direttore dei lavori,
collaudatori, nonché loro collaboratori), secondo
percentuali rimesse alla discrezionalità
dell’amministrazione, da mantenere, tuttavia, entro i binari
della logicità, congruenza e ragionevolezza
(cfr. Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici,
deliberazione 13.12.2007 n. 315,
deliberazione 22.06.2005 n. 70,
deliberazione 19.05.2004 n. 97-bis);
- devoluzione in economia delle quote del
fondo incentivante corrispondenti a prestazioni non svolte
dai dipendenti, ma affidate a personale esterno all'organico
dell'amministrazione. Obbligo che impone di prevedere
analiticamente nel regolamento interno, e graduare, le
percentuali spettanti per ogni incarico espletabile dal
personale, in maniera tale da permettere, nel caso in cui
alcune prestazioni siano affidate a professionisti esterni,
la predetta devoluzione
(si rinvia alla
deliberazione 13.12.2007 n. 315,
deliberazione 08.04.2009 n. 35,
deliberazione 07.05.2008 n. 18 e
deliberazione 02.05.2001 n. 150
dell’Autorità di vigilanza).
Pertanto, l’incentivo alla progettazione non può venire
riconosciuto per qualunque lavoro di manutenzione
ordinaria/straordinaria su beni dell’ente locale ma solo per
lavori di realizzazione di un’opera pubblica alla cui base
vi sia una necessaria attività di progettazione.
Esulano, dunque, tutti quei lavori manutentivi per la cui
realizzazione non è necessaria l’attività progettuale
richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del d.lgs. n.
163/2006.
Al contrario, l’incentivo si ritiene erogabile qualora nel
corso dell'esecuzione di un'opera pubblica o lavoro si renda
necessario redigere, da parte del personale dipendente
dall’Ente, una perizia di variante e suppletiva con
incremento dell'importo dei lavori affidati, rientrante
negli ambiti consentiti dalla norma vigente, con esclusione
delle varianti determinate da errori di progettazione, con
la specificazione che l’incentivo stesso deve essere
correlato all’importo della perizia di variante.
Inoltre, come è stato messo in luce dal
parere 13.11.2012 n. 293
della Sezione regionale di Controllo per la Toscana, “l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla
rubrica che al c. 1, fa riferimento esclusivamente ai lavori
pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di
progettazione nelle varie fasi come finalizzata alla
costruzione dell’opera pubblica progettata. A fortiori, lo
stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla
progettazione venga ripartito tra i dipendenti
dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto
e, dunque, è di palmare evidenza come il riferimento
normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile
solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una
procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla
realizzazione di un’opera di pubblico interesse”.
Si consideri, inoltre, che come previsto dall’articolo 93,
cod. contr., l’attività di progettazione, rilevante ai fini
del comma 5 dell’articolo 92, “si articola, nel rispetto dei
vincoli esistenti, preventivamente accertati, laddove
possibile fin dal documento preliminare, e dei limiti di
spesa prestabiliti, secondo tre livelli di successivi
approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed
esecutiva, in modo da assicurare:
a) la qualità dell'opera e la rispondenza alle finalità
relative;
b) la conformità alle norme ambientali e urbanistiche;
c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal
quadro normativo nazionale e comunitario”.
Con riferimento, infine, all’articolo 92, comma 6, del
decreto 163/2006, è sufficiente ricordare la recente
deliberazione 15.04.2014 n. 7 della Sezione delle Autonomie, a mente della quale
risulta “di palmare evidenza il
riferimento della definizione “atto di pianificazione
comunque denominato” alla materia dei lavori pubblici”, ritenendo di conseguenza “l’ambito applicativo della
stessa, apparentemente ampio ed indefinito, in realtà,
limitato esclusivamente all’attività progettuale e tecnico
amministrativa direttamente collegata alla realizzazione di
opere e lavori pubblici”.
La Sezione, pertanto, conclude affermando che “ai fini della
riconoscibilità del diritto al compenso incentivante, la
corretta interpretazione delle disposizioni in esame
considera determinante, non tanto il nomen juris attribuito
all’atto di pianificazione, quanto il suo contenuto
specifico, che deve risultare strettamente connesso alla
realizzazione di un’opera pubblica, ovvero quel quid pluris
di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di
pianificazione generale, che costituisce il presupposto per
l’erogazione dell’incentivo”.
D’altra parte, le conclusioni esposte risultano coerenti con
quanto esposto nella
delibera 13.11.2009 n. 16/2009 in
ordine alle modalità di copertura degli oneri derivanti
dall’attribuzione degli incentivi alla progettazione: essi,
infatti, sono qualificati spese di investimento e
finanziabili, alla luce di quanto disposto dall’art. 93,
comma 7, del Codice dei contratti, nell’ambito dei fondi
stanziati per la realizzazione dei singoli lavori negli
stati di previsione della spesa e nei bilanci delle stazioni
appaltanti
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 21.05.2014 n. 97). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE: Gli incentivi possono
essere corrisposti solo per remunerare la redazione di un
atto di pianificazione che, oltre ad essere affidato in via
esclusiva ai dipendenti dell’ente, risulti strettamente
connesso alla progettazione di un’opera pubblica.
Spetta naturalmente all’ente istante stabilire se, nel caso
concreto, l’atto di pianificazione soddisfi il predetto
requisito.
Quantunque la redazione del Piano di Governo del Territorio
possa comportare attività
ulteriori rispetto a quelle ordinariamente richieste dalla
predisposizione di un generico atto di pianificazione, solo
nel caso in cui tali attività si estrinsechino nella
progettazione di un’opera pubblica potrà farsi applicazione
dell’art. 92, comma 6, del codice dei contratti,
riconoscendo l’incentivo previsto al personale interno.
Con la nota sopra citata, a firma del Sindaco del comune di
Cantù (CO), si richiede un parere sull’applicazione
dell’art. 92, comma 6, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, riguardante il riconoscimento di incentivi ai
dipendenti dell’ente per la redazione di atti di
pianificazione.
Si chiede, in particolare, se sussistano i presupposti di
legge per l’applicazione dell’istituto previsto dalla
disposizione sopra richiamata al personale interno che abbia
direttamente redatto il Piano di Governo del Territorio.
Nella medesima nota si è ritenuto di evidenziare e
puntualizzare la specifica situazione riguardante la
redazione del PGT condotta dall’ente, ravvisandovi una
sostanziale differenza rispetto ad altri casi concernenti la
medesima questione già trattati in precedenti pareri resi
dalla Sezione.
A tal fine si rappresenta quanto di seguito riportato.
La redazione degli atti di pianificazione costituenti il PGT,
unitamente alla VAS, è stata svolta direttamente ed
esclusivamente da personale interno dell'Amministrazione, in
forza dello specifico incarico conferito dalla Giunta
Comunale.
Sul piano sostanziale, il PGT, così come redatto e
sviluppato, oltre a definire e disciplinare l'assetto
urbanistico ed edilizio dell'intero territorio comunale
mediante la puntuale elaborazione degli atti che lo
costituiscono, per come previsti dalla legge, è stato
redatto anche allo scopo di sviluppare in particolare la
dotazione di aree per la localizzazione di opere ed
attrezzature pubbliche e d'interesse generale, al fine di
sviluppare e riqualificare la "città pubblica" e quindi i
servizi d'interesse generale. A tale scopo il progetto
urbanistico non si è limitato a pianificare il territorio
mediante la sola classificazione urbanistica ma, altresì, è
stato sviluppato ed approfondito, individuando e
localizzando puntualmente ed analiticamente le opere
d'interesse pubblico e generale, finalizzate a riqualificare
e sviluppare la dotazione delle attrezzature pubbliche, e
pertanto il relativo contenuto specifico è totalmente
rivolto allo sviluppo della città pubblica, come già sopra
detto.
Oltre alla puntuale localizzazione delle opere ed
attrezzature pubbliche, l'atto di pianificazione:
- ha altresì individuato con precisione la destinazione
specifica per ogni area interessata dalla realizzazione
delle opere d'interesse pubblico e ne ha prefigurato la
modalità d'intervento; ha delineato, definito e declinato
gli obiettivi fondamentali, tutti orientati alla
valorizzazione e riqualificazione della città pubblica,
mediante la puntuale previsione e precisa localizzazione
delle aree da acquisire al patrimonio comunale per la
realizzazione delle opere d'interesse generale in
particolare per la realizzazione del dei parchi pubblici (in
attuazione della Legge n. 10 del 14/01/2013) e delle relative
connessioni infrastrutturali attrezzate;
- per ogni ambito di trasformazione urbanistica è stato
sviluppato un livello di approfondimento e di dettaglio,
individuando puntualmente l'ubicazione dell'area per servizi
ed attrezzature pubbliche e la relativa destinazione, sulla
base degli obiettivi fondamentali di sviluppo della città e
sulla base delle precise peculiarità individuate a seguito
dell'analisi urbanistica condotta per ogni ambito;
- è stato inoltre sviluppato il piano economico-finanziario
con l'analisi della sostenibilità economica e della
quantificazione economica, non per mera valutazione
generale, ma per ogni opera ed attrezzatura d'interesse
pubblico prevista, individuata e localizzata negli atti di
pianificazione costituenti il PGT, anche con riferimento
alla programmazione delle opere pubbliche.
...
Il quesito proposto richiede di fornire la corretta
interpretazione dell’art. 92, comma 6, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice dei
contratti pubblici) ove si dispone che “il trenta per cento
della tariffa professionale relativa alla redazione di un
atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con
le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al
comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice
che lo abbiano redatto”.
Si tratta di chiarire, in particolare, la natura delle
attività riconducibili alla nozione di “atto di
pianificazione comunque denominato” agli effetti del
riconoscimento al personale interno dell’ente dei c.d.
“incentivi per la progettazione”.
Questa Sezione, nei diversi pareri forniti in materia,
ha
sempre ritenuto di circoscrivere tale nozione ai soli atti
di pianificazione che siano strettamente connessi alla
progettazione di opere pubbliche, escludendo la possibilità
di corrispondere gli incentivi previsti dalla legge per la
redazione di atti di pianificazione di carattere generale,
privi dei predetti caratteri e rientranti, come tali, nelle
ordinarie mansioni richieste al personale dipendente
(Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
parere 06.03.2012 n. 57,
parere 30.05.2012 n. 259,
parere 23.10.2012 n. 440,
parere 06.03.2013 n. 72 e
parere 10.02.2014 n. 62).
Un’interpretazione restrittiva della disposizione in esame,
per la cui completa disamina si rinvia ai precedenti citati,
porta a sostenere che “ciò che rileva ai fini della
riconoscibilità del diritto al compenso incentivante non è
tanto il nomen juris attribuito all’atto di pianificazione,
quanto il suo contenuto specifico intimamente connesso alla
realizzazione di un’opera pubblica, ossia a quel quid pluris
di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di
pianificazione generale (piano regolatore o variante
generale) che costituisce, al contrario, diretta espressione
dell’attività istituzionale dell’ente per la quale al
dipendente è già corrisposta la retribuzione ordinariamente
spettante” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
parere 06.03.2013 n. 72).
Il predetto orientamento, condiviso dalla maggioranza delle
Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (tra le
varie: Sezione regionale di controllo per la Toscana,
parere 19.03.2013 n. 15; Sezione regionale di controllo
per il Piemonte,
parere 30.08.2012 n. 290) si
contrappone al diverso avviso, recentemente ribadito in seno
alla giurisprudenza contabile, volto, viceversa, ad
ammettere il diritto all’incentivo per la sola attività di
pianificazione a prescindere dall’eventuale collegamento con
la progettazione di un’opera pubblica (Sezione regionale di
controllo per il Veneto,
parere 22.11.2013 n. 361 e
parere 03.12.2013 n. 381).
La questione è stata recentemente sottoposta all’esame della
Sezione Autonomie della Corte dei conti, chiamata a
stabilire, a fronte del citato contrasto interpretativo, se
il diritto all’incentivo per la redazione di un atto di
pianificazione sussista solo nel caso in cui l’atto medesimo
sia collegato direttamente ed in modo immediato alla
realizzazione di un’opera pubblica, oppure se tale diritto
sussista anche nell’ipotesi di redazione di atti di
pianificazione generale ancorché non puntualmente connessi
alla realizzazione di un’opera pubblica.
La Sezione Autonomie, nel risolvere la questione di massima,
con la
deliberazione 15.04.2014 n. 7, ha ritenuto di aderire all’orientamento maggioritario
che riconosce di “palmare evidenza” il riferimento della
definizione “atto di pianificazione comunque denominato”
alla materia dei lavori pubblici, reputando l’ambito
applicativo della disposizione di legge, apparentemente
ampio ed indefinito, limitato esclusivamente all’attività
progettuale e tecnico amministrativa direttamente collegata
alla realizzazione di opere e lavori pubblici.
Si riportano di seguito le argomentazioni poste a fondamento
della predetta interpretazione rinviando al testo della
deliberazione citata per la completa disamina della
questione.
Si considera dirimente, innanzitutto, l’argomento che
attiene all’interpretazione sistematica delle disposizioni
in esame e che ha riguardo alla collocazione delle stesse (sedes
materiae) all’interno del Capo IV “Servizi attinenti
all’architettura ed all’ingegneria”- Sez. I “Progettazione
interna ed esterna e livelli di progettazione”- del Codice
dei Contratti ed al fatto che le stesse siano immediatamente
precedute dall’art. 90 rubricato “progettazione interna ed
esterna alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di
lavori pubblici“.
Disposizione quest’ultima che affida la progettazione
preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori agli Uffici
tecnici delle stazioni appaltanti o, in alternativa, a
liberi professionisti e che, al comma 6, limita la
possibilità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici di
ricorrere a professionalità esterne ai soli casi di carenza
in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di
rispettare i tempi della programmazione dei lavori, o,
infine, nell’ipotesi di lavori di speciale complessità. Il
successivo art. 91 disciplina le procedure di affidamento.
L’art. 92 rubricato “corrispettivi, incentivi per la
progettazione e fondi a disposizione delle stazioni
appaltanti" completa quanto disposto dai precedenti
articoli, mantenendosi nell’alveo della disciplina della
progettazione dei lavori pubblici.
Decisivo appare, nondimeno, l’argomento basato
sull’interpretazione funzionale della norma in esame.
Il citato art. 92 del codice dei contratti pubblici, ai
commi 5 e 6, esprime, in modo evidente, il favor legis per
l’affidamento a professionalità interne alle amministrazioni
aggiudicatrici di incarichi consistenti in prestazioni
d’opera professionale.
Pertanto, ove non ricorrano i presupposti previsti dalle
norme vigenti per l’affidamento all’esterno degli stessi, le
amministrazioni devono fare ricorso a personale dipendente,
al quale applicheranno le regole generali previste per il
pubblico impiego il cui sistema retributivo è basato, come è
noto, sui principi cardine di onnicomprensività della
retribuzione, sancito dall’art. 24, comma 3, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, nonché di definizione contrattuale delle
componenti economiche, fissato dal successivo art. 45, comma
1. In base a tali principi nulla è dovuto oltre il
trattamento economico fondamentale ed accessorio, stabilito
dai contratti collettivi, al dipendente che abbia svolto una
prestazione rientrante nei suoi doveri d’ufficio.
Il legislatore, con le disposizioni in parola, ha voluto
riconoscere agli Uffici tecnici delle amministrazioni
aggiudicatrici un compenso ulteriore e speciale, derogando
agli anzidetti principi.
In effetti, le previsioni contenute nell’art. 92, ai commi 5
e 6, appaiono evidentemente relative a due distinte ipotesi
di incentivazione ed a due distinte deroghe ai ricordati
principi, in quanto, in un caso, la deroga riguarda la
redazione del progetto, del piano della sicurezza, della
direzione dei lavori, del collaudo, da ripartire per ogni
singola opera o lavoro tra il responsabile del procedimento
e gli incaricati della redazione e nell’altro caso la deroga
riguarda la redazione di un atto di pianificazione comunque
denominato, da ripartire fra i dipendenti
dell’amministrazione che lo abbiano, in concreto, redatto,
entrambe riferite alla progettazione di opere pubbliche.
La norma deve essere considerata, dunque, di stretta
interpretazione, non suscettibile di applicazione in via
analogica, alla luce del divieto posto dall’art. 14 delle
disposizioni preliminari al codice civile, e neppure appare
possibile una lettura della definizione in essa contenuta
che attribuisca alla volontà del legislatore quanto dallo
stesso non esplicitato.
La funzione “incentivante” riconosciuta all’art. 92, comma
6, oltre a limitarne l’ambito di applicazione oggettivo nei
termini sopra riferiti, ne circoscrive l’applicazione
soggettiva al solo personale interno dell’ente, escludendo
implicitamente, come confermato nei precedenti pareri resi
dalla Sezione, che possano essere erogati speciali compensi
ai dipendenti che svolgono attività sussidiarie, strumentali
o di supporto alla redazione di un atto di pianificazione
che sia affidato ad un professionista esterno.
Tutto ciò premesso, questa Sezione, con riferimento alla
richiesta formulata, non può che ribadire il proprio
precedente e consolidato orientamento, confermato anche
dalla Sezione Autonomie, per cui gli incentivi possono
essere corrisposti solo per remunerare la redazione di un
atto di pianificazione che, oltre ad essere affidato in via
esclusiva ai dipendenti dell’ente, risulti strettamente
connesso alla progettazione di un’opera pubblica.
Spetta naturalmente all’ente istante stabilire se, nel caso
concreto, l’atto di pianificazione soddisfi il predetto
requisito che tuttavia non sembra emergere dalla descrizione
fornita contestualmente alla richiesta del presente parere.
Quantunque la redazione del Piano di Governo del Territorio
possa comportare, come nel caso di specie, attività
ulteriori rispetto a quelle ordinariamente richieste dalla
predisposizione di un generico atto di pianificazione, solo
nel caso in cui tali attività si estrinsechino nella
progettazione di un’opera pubblica potrà farsi applicazione
dell’art. 92, comma 6, del codice dei contratti,
riconoscendo l’incentivo previsto al personale interno
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 20.05.2014 n. 180). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Ritiene il
Collegio che la richiesta di parere
in ordine alla possibilità di riconoscere l’incentivo di cui
all’art. 92, comma 6, del Codice dei contratti ai dipendenti
che abbiano collaborato alla redazione di un piano
regolatore generale, non strettamente collegato alla
realizzazione nell’immediato di opere pubbliche, debba avere
risposta negativa.
Il Sindaco del comune di Formello (RM) ha inoltrato a questa
Sezione, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge 05.06.003 n. 131,
richiesta di parere riguardante la
possibilità di riconoscere l’incentivo alla progettazione di
cui all’art. 92, comma 6, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (in
seguito Codice dei contratti o Codice) ai dipendenti
comunali coinvolti nell’attività di redazione del Piano
Urbanistico Comunale Generale, in quanto attività
strumentale rispetto ai lavori pubblici “che il Comune dovrà
progettare e affidare nei prossimi anni”, e cioè anche in
relazione a procedure di aggiudicazione “ancora da
attivare”.
Il Sindaco richiedente ha ricordato al riguardo quella parte
della giurisprudenza della Corte dei conti in sede
consultiva che propende per il riconoscimento suddetto a
fronte di “procedure finalizzate alla realizzazione di opere
di pubblico interesse”.
Ha chiesto, altresì, di dare indicazioni sui criteri da
adottare per la quantificazione dell’incentivo evidenziando
le problematicità che emergerebbero se a tal fine si dovesse
far riferimento alla stima degli onorari relativi alle opere
pubbliche progettate con il piano urbanistico.
In particolare, le difficoltà di calcolo deriverebbero dal
fatto che l’attività di pianificazione urbanistica ha
carattere generale rispetto alle singole opere pubbliche
previste con lo strumento urbanistico; può essere svolta
anche molti anni prima della effettiva realizzazione delle
medesime opere pubbliche; non tiene conto delle varianti al
piano che potranno rendersi necessarie in sede di effettiva
realizzazione di opere pubbliche.
In pendenza della richiesta di parere presentata dal Comune
di Formello è intervenuta la deliberazione della Sezione
regionale di controllo per la Liguria n. 6/2014 del 21.01.2014 di remissione alla Sezione delle Autonomie di
questione di massima avente ad oggetto proprio
l’interpretazione del succitato art. 92, comma 6, del Codice
dei contratti.
Per tale ragione la Sezione regionale di
controllo per il Lazio nella camera di consiglio del 04.03.2014 ha deliberato di attendere la pronuncia della Sezione
delle Autonomie al fine di avere un quadro interpretativo di
riferimento chiaro per poter rendere il parere richiesto.
...
Come accennato, la Sezione delle Autonomie è stata di
recente investita della questione di massima relativa
all’interpretazione dell’art. 92, comma 6, del d.lgs. 12.04.2006,
n. 163 (in seguito Codice degli appalti pubblici o Codice),
in considerazione nella presente richiesta di parere, a
causa di un contrasto che si era delineato a tale riguardo
in sede di attività consultiva della Corte dei conti, e si è
pronunciata con
deliberazione 15.04.2014 n. 7.
La norma esaminata prevede la corresponsione di un incentivo
economico pari al trenta per cento delle tariffe
professionali ai dipendenti delle amministrazioni
aggiudicatrici che abbiano redatto atti di pianificazione
“comunque denominati”.
Detto incentivo, pacificamente, nella giurisprudenza
formatasi in sede di attività consultiva della Corte dei
conti è stato inteso come deroga al principio di
onnicomprensività delle retribuzioni e a quello di
definizione contrattuale delle relative componenti
economiche.
Tale deroga trova la sua ragion d’essere, da un lato, nella
valorizzazione del singolo dipendente, chiamato ad assumersi
responsabilità particolari connesse all’attività di
progettazione, e, dall’altro lato, nel risparmio economico
garantito all’amministrazione dal ricorso alle
professionalità già presenti al suo interno, invece che al
reclutamento sul mercato.
A fronte di tali particolari responsabilità del dipendente e
del menzionato risparmio dell’Amministrazione, il
legislatore ha ritenuto giustificato il riconoscimento ai
componenti degli uffici tecnici coinvolti di “una voce
straordinaria non riconducibile alla dinamica retributiva”
(Corte dei conti, Sezione delle Autonomie,
delibera 13.11.2009 n. 16/2009)
in misura percentuale minima rispetto al suo valore sul
mercato esterno (come accennato si tratta di una somma pari
a 30% della tariffa professionale per la redazione di un
“atto di pianificazione comunque denominato”).
Peraltro, la costruzione giuridica si pone in coerenza con
il divieto per le Amministrazioni dotate di personale
dipendente tecnicamente competente, di conferire incarichi
esterni, come codificato all’art. 7, comma 6, del d.lgs. n.
165/2001.
Stante la natura eccezionale delle disposizioni in tema di
incentivo di progettazione, la Corte dei conti, chiamata
spesso in sede consultiva a dirimere dubbi interpretativi
sulla disciplina della fattispecie, ha indicato un principio
generale di interpretazione in senso stretto delle norme di
riferimento, con divieto di interpretazione analogica, ai
sensi dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice
civile .
Tuttavia, come accennato in premessa, nonostante questo
punto di partenza condiviso, in sede di definizione
dell’esatto ambito di applicazione della disciplina con
specifico riguardo al tema degli “atti di pianificazione
comunque denominati” di cui all’art. 92, comma 6, del
Codice, chiamato in causa dal Comune di Formello nella
richiesta di parere, si erano delineati due orientamenti
interpretativi diversi, tali da giustificare la remissione
alla Sezione delle Autonomie di questione di massima ad
opera della Sezione di controllo per la Liguria, al fine di
ottenere una delibera di orientamento.
Infatti, a fronte di un’interpretazione maggioritaria che ha
inteso l’incentivo in considerazione come attribuibile ai
dipendenti pubblici nei soli casi di elaborazione di piani
urbanistici, o di varianti di piani, finalizzati alla
realizzazione di lavori pubblici ben definiti, si è
profilato una diversa interpretazione, secondo cui
l’incentivo sarebbe stato giustificato anche in presenza
della mera elaborazione di piani regolatori generali,
rispetto ai quali la progettazione delle opere pubbliche pur
presa in considerazione, si ponesse come successiva nel
tempo e non ancora definita in modalità e costi
Sul punto la Sezione delle Autonomie ha risolto la questione
di massima sottopostale in senso conforme all’orientamento
giurisprudenziale maggioritario già descritto sopra.
Infatti, afferma la Sezione delle Autonomie che
depongono a
favore di detta soluzione sia la collocazione sistematica
della disposizione, sia il dato storico relativo
all’evoluzione della disciplina degli incentivi di
progettazione, sia l’esame dei lavori preparatori in
Commissione parlamentare.
Quanto alla collocazione sistematica, osserva la Sezione
delle Autonomie che la norma si colloca nel Codice nella
parte II, Titolo I, Capo IV, dedicato ai “Servizi attinenti
all’architettura all’ingegneria”, alla Sezione I, intitolata
“Progettazione interna ed esterna. Livelli della
progettazione”. Si deve, quindi, ritenere sistematicamente
collocata nella sede della disciplina della progettazione di
lavori pubblici. Pertanto, conclude che la norma non include
tra le attività coperte da incentivo anche quelle di
pianificazione non attinenti (in via diretta) alla
progettazione di opere pubbliche.
Quanto al dato storico e ai lavori preparatori del testo,
osserva la Sezione delle Autonomie che la norma riproduce
disposizioni già contenute nella legge Merloni del 1994 in
materia di incentivi e spese di progettazione, ritenuta
riferibile alla progettazione di lavori pubblici in senso
stretto.
Alla luce delle conclusioni così raggiunte,
ritiene il
Collegio che la richiesta di parere del Comune di Formello
in ordine alla possibilità di riconoscere l’incentivo di cui
all’art. 92, comma 6, del Codice dei contratti ai dipendenti
che abbiano collaborato alla redazione di un piano
regolatore generale, non strettamente collegato alla
realizzazione nell’immediato di opere pubbliche, debba avere
risposta negativa.
In via consequenziale viene meno la seconda delle questioni
sottoposte ad esame, relativa alle modalità di calcolo di
detto incentivo (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio,
parere 19.05.2014 n. 56). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
I pareri (che l’art. 49 TUEL richiede espressamente
per l’adozione delle deliberazioni comunali che non siano
<mero atto di indirizzo>) non costituiscono requisiti di
legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, in
quanto sono preordinati all’individuazione sul piano
formale, nei funzionari che li formulano, della
responsabilità eventualmente in solido con i componenti
degli organi politici in via amministrativa e contabile,
così che la loro eventuale mancanza costituisce una mera
irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità
delle deliberazioni stesse.
Analogo indirizzo è stato seguito, in particolare, nel caso
di mancata acquisizione del parere contabile sugli atti
programmatori, la cui omissione non incide sulla validità
della deliberazione stessa, rappresentando al più una mera
irregolarità.
Chiarito il perimetro e la funzione dei pareri di regolarità
tecnica e contabile nel contesto dell’attività deliberativa
degli organi di indirizzo politico e di governo dell’Ente,
ne consegue che il mancato rilascio dei pareri prescritti
dall’art 49 del TUEL non avrebbe riflessi, comunque, sul
piano della legittimità della delibera.
---------------
Sono inammissibili i quesiti sulla modalità che deve essere
prevista e rispettata nelle deliberazioni aventi carattere
politico-programmatorio e sulle conseguenze giuridiche cui è
esposta l’Amministrazione nel caso in cui le delibere di
Giunta o di Consiglio non esplicitino i motivi di immediata
eseguibilità, in quanto, da un lato, nel regolare
l’attività deliberativa degli organi dell’Ente, essi
attengono a questioni che non sono finalizzate alla sana
gestione finanziaria dell’Ente, né al mantenimento degli
equilibri di bilancio, dall’altro, implicano
valutazioni sulle conseguenze di una non corretta
applicazione delle norme di legge in materia, che potrebbero
formare oggetto di eventuali iniziative dinanzi a questo o
ad altro plesso giudiziario.
---------------
1. Con la nota in epigrafe il Sindaco del Comune di
Montalbano Jonico espone quanto segue.
1.1 L’Amministrazione comunale ha manifestato la volontà di
portare a compimento, nell’interesse della collettività
amministrata, una serie di lavori pubblici. A tale scopo ha
conferito al Responsabile di Posizione Organizzativa
dell’Area tecnica l’incarico di predisporre, in base a
obiettivi strategici prefissati, una Piano di lavoro o <Piano
degli Obiettivi strategici> da far realizzare al
personale tecnico in servizio presso la struttura comunale.
Il predetto responsabile, in esecuzione dell’incarico, ha
predisposto il piano indicando il personale da utilizzare, i
tempi, gli adempimenti da effettuare per la realizzazione
degli obiettivi prestabiliti e la presumibile spesa
occorrente.
1.2 Per avviare l’iter amministrativo e tecnico,
l’Amministrazione è intenzionata a far proprio, sotto il
profilo politico e programmatico, il <Piano degli
Obiettivi strategici> come sopra predisposto, prendendo
preliminarmente atto dello stesso e successivamente ponendo
in essere le fasi procedimentali con l’adozione degli atti
presupposti e autorizzativi per la copertura della spesa
prevista.
1.3 A tal proposito, l’Amministrazione pone i seguenti
quesiti:
a) se la delibera di Giunta di semplice “presa d’atto”,
avendo natura politico-programmatoria e non già
provvedimentale di approvazione del <Piano>, e
neppure di impegno della relativa spesa, richieda
l’acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile
di cui all’art. 49, comma 1, del TUEL;
b) posto che per la dichiarazione di immediata eseguibilità
di una delibera di Giunta o di Consiglio occorre indicare,
anche sinteticamente, i motivi contingenti a corredo della
qualificazione del livello di necessità e di urgenza
attribuito dall’organo deliberante e attesi i presupposti
richiesti dall’art. 134, comma 4, del TUEL, si chiede: se
tale modalità deve essere anche prevista e rispettata nelle
deliberazioni aventi carattere politico-programmatorio, di
cui al precedente punto; a quali conseguenze giuridiche è
esposta l’Amministrazione nel caso in cui le delibere di
Giunta o di Consiglio non esplicitino i motivi di immediata
eseguibilità;
c) se per il finanziamento della spesa necessaria per
attivare il <Piano> in argomento è possibile
utilizzare economie di bilancio non vincolate e rivenienti
da spese per il personale non sostenute, in aggiunta alle
risorse dell’art. 14, CCNL 01.04.1999 per la retribuzione di
lavoro svolto al di fuori del normale orario di servizio.
...
... sono ammissibili i quesiti subb. a) e c), in quanto
miranti a ottenere chiarimenti in ordine ad aspetti
dell’azione amministrativa preordinati al corretto utilizzo
delle risorse pubbliche, mentre il quesito sub. b) è da
dichiararsi inammissibile in quanto, da un lato, nel
regolare l’attività deliberativa degli organi dell’Ente,
attiene a questioni che non sono finalizzate alla sana
gestione finanziaria dell’Ente, né al mantenimento degli
equilibri di bilancio, dall’altro, implica
valutazioni sulle conseguenze di una non corretta
applicazione delle norme di legge in materia, che potrebbero
formare oggetto di eventuali iniziative dinanzi a questo o
ad altro plesso giudiziario.
...
4. L’art. 49 del TUEL, come modificato dall’art. 3 del D.L.
n. 174/2012, prescrive che “Su ogni proposta di
deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non
sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere,
in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del
servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o
indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul
patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in
ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti
nella deliberazione. Nel caso in cui l'ente non abbia i
responsabili dei servizi, il parere è espresso dal
segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze. I
soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa
e contabile dei pareri espressi. Ove la Giunta o il
Consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al
presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel
testo della deliberazione”.
5. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale del
Giudice Amministrativo (da ultimo, Cons. St. sez. V, n.
1663/2014), i pareri (che l’art. 49 TUEL richiede
espressamente per l’adozione delle deliberazioni comunali
che non siano <mero atto di indirizzo>) non
costituiscono requisiti di legittimità delle deliberazioni
cui si riferiscono, in quanto sono preordinati
all’individuazione sul piano formale, nei funzionari che li
formulano, della responsabilità eventualmente in solido con
i componenti degli organi politici in via amministrativa e
contabile, così che la loro eventuale mancanza costituisce
una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la
validità delle deliberazioni stesse (Cons. St., sez. V,
n. 5012/2009; sez. IV, n. 3888/2008).
6. Analogo indirizzo è stato seguito, in particolare, nel
caso di mancata acquisizione del parere contabile sugli atti
programmatori, la cui omissione non incide sulla validità
della deliberazione stessa, rappresentando al più una mera
irregolarità (Cons. St., sez. IV, n. 351/2012).
7. Chiarito il perimetro e la funzione dei pareri di
regolarità tecnica e contabile nel contesto dell’attività
deliberativa degli organi di indirizzo politico e di governo
dell’Ente, ne consegue che –senza entrare nel merito della
natura della delibera di Giunta alla quale si riferisce il
Sindaco istante– il mancato rilascio dei pareri
prescritti dall’art 49 del TUEL non avrebbe riflessi,
comunque, sul piano della legittimità della delibera
(Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 15.05.2014 n. 79). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Con specifico riferimento al parere in merito
alle proposte di transazione, l’elemento da considerare al
fine di individuare i casi nei quali l’Organo di revisione
deve esprimere il proprio avviso è la competenza consiliare
a deliberare in merito alla conclusione della transazione, e
non la natura di quest’ultima.
In altri termini, non è
rilevante se l’Ente intenda procedere alla definizione di un
contenzioso giudiziale o stragiudiziale, quanto se, in
ordine all’atto conclusivo del procedimento, debba
pronunciarsi o meno il Consiglio, considerato che, come si è
visto sopra, il parere deve essere reso all’Organo
consiliare, il quale "è tenuto ad adottare i provvedimenti
conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione
delle misure proposte dall’organo di revisione.
La natura
del parere, funzionale allo svolgimento delle competenze
consiliari, evidenzia che l’obbligo riguarda principalmente
le proposte di transazione riferite a:
- passività in
relazione alle quali non è stato assunto uno specifico
impegno di spesa, vale a dire quelle che possono generare un
debito fuori bilancio nei casi previsti dalle lettere a), d)
ed e) dell’art. 194, comma 1, del TUEL; accordi che comportano
variazioni di bilancio;
- accordi che comportano l’assunzione
di impegni per gli esercizi successivi (art. 42, comma 2,
lett. i del TUEL);
- accordi che incidono su acquisti,
alienazioni immobiliari e relative permute (art. 42, comma
2, lett. l del TUEL).
Da ultimo occorre osservare che il TUEL all’art. 239, comma 6, prevede la possibilità che lo
Statuto dell’Ente possa prevedere “ampliamenti delle
funzioni affidate ai Revisori”.
Ferma restando la specifica
funzione di ausilio al Consiglio che si estrinseca con la
resa dei pareri nelle materie indicate sopra, l’Ente può
ampliare le competenze dell’Organo di revisione, anche
prevedendo attività ulteriori, ivi compresa la resa di
pareri in altre materie. In conclusione, i pareri
dell’Organo di revisione sono funzionali allo svolgimento
dei compiti del Consiglio e devono essere resi a
quest’ultimo nelle materie indicate nell’art. 239, comma 1,
lett. b), del TUEL, fra le quali è compresa quella riferita
alle “proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e
transazioni”.
---------------
La delimitazione, ad opera del
legislatore, dell’esplicazione dell’attività consultiva di
ausilio al Consiglio nelle materie di cui alla lett. b)
dell’art 239 TUEL non esclude, tuttavia, che l’ente possa
ampliare le competenze dell’Organo di revisione, anche
prevedendo attività ulteriori, ivi compresa la resa di
pareri in altre materie (tra cui le proposte di
transazioni nelle materie di competenza della Giunta e
nelle determinazioni dirigenziali), atteso che il comma 6
dell’art 239 prevede la possibilità che lo Statuto dell’ente
possa prevedere ampliamenti delle funzioni affidate ai
Revisori.
---------------
Il compenso dei revisori deve essere determinato entro i
limiti massimi indicati dall’art. 241, comma 1, d.lgs.
267/2000 e che, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo,
può essere aumentato dall’ente locale fino al limite massimo
del 20 per cento solo in relazione alle ulteriori funzioni
assegnate rispetto a quelle indicate nell’articolo 239 TUEL.
Il Sindaco del Comune di Statte chiede a questa Sezione un parere in merito
all’ambito applicativo del nuovo art. 239, comma 1, lett. b), n.
6, TUEL, come mod. dal d.l. 174/2012, che prevede che l’organo
di revisione dell’ente locale esprima un parere sulle
proposte di transazione.
Per una migliore comprensione del quesito, il Sindaco
precisa che:
- il revisore unico dei conti in attività presso l’ente
assolve i compiti di cui al d.lgs. 267/2000 art. 239;
- il dettato di quest’ultimo articolo è stato novellato dal
DL n. 174/2012 che prevede “per quel che qui interessa, al
comma 1 lett. b) n. 6, il compito di formulare, con le
modalità stabilite dal regolamento relativo, proposte di
transazione”;
- l’ente intende avvalersi dell’intervento del revisore
anche nelle proposte di transazione alla Giunta Comunale e
nelle determinazioni dirigenziali, poiché, a parere del
richiedente “l’innovazione ampia de jure, in ragione della
genericità della sua lettera, lo spettro operativo
dell’organo di revisione, in quanto rimanda al regolamento
solo la definizione delle modalità”.
Ciò posto, il Sindaco chiede:
1) se la lettura che l’ente propone della novella in
questione sia corretta;
2) se il compenso che attualmente si riconosce al Revisore
unico dei conti includa questa nuova funzione, poiché
derivante da una norma di legge e non da una scelta
discrezionale dell’ente.
...
Passando al merito della richiesta, il quesito n. 1 attiene
all’ampiezza delle materie in cui l’organo di revisione è
tenuto a rendere il parere obbligatorio sulle transazioni ai
sensi dell’art. 239, comma 1, lett. b, n. 6, TUEL mod. 174/2012.
Sul punto questa Sezione si è già pronunciata con
deliberazioni n. 181 del 28.11.2013 e n. 35 del 06.02.2014,
osservando: “Con specifico riferimento al parere in merito
alle proposte di transazione, l’elemento da considerare al
fine di individuare i casi nei quali l’Organo di revisione
deve esprimere il proprio avviso è la competenza consiliare
a deliberare in merito alla conclusione della transazione, e
non la natura di quest’ultima. In altri termini, non è
rilevante se l’Ente intenda procedere alla definizione di un
contenzioso giudiziale o stragiudiziale, quanto se, in
ordine all’atto conclusivo del procedimento, debba
pronunciarsi o meno il Consiglio, considerato che, come si è
visto sopra, il parere deve essere reso all’Organo
consiliare, il quale "è tenuto ad adottare i provvedimenti
conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione
delle misure proposte dall’organo di revisione”.
La natura
del parere, funzionale allo svolgimento delle competenze
consiliari, evidenzia che l’obbligo riguarda principalmente
le proposte di transazione riferite a: passività in
relazione alle quali non è stato assunto uno specifico
impegno di spesa, vale a dire quelle che possono generare un
debito fuori bilancio nei casi previsti dalle lettere a), d)
ed e) dell’art. 194, comma 1, del TUEL; accordi che comportano
variazioni di bilancio; accordi che comportano l’assunzione
di impegni per gli esercizi successivi (art. 42, comma 2,
lett. i del TUEL); accordi che incidono su acquisti,
alienazioni immobiliari e relative permute (art. 42, comma
2, lett. l del TUEL). Da ultimo occorre osservare che il
TUEL all’art. 239, comma 6, prevede la possibilità che lo
Statuto dell’Ente possa prevedere “ampliamenti delle
funzioni affidate ai Revisori”.
Ferma restando la specifica
funzione di ausilio al Consiglio che si estrinseca con la
resa dei pareri nelle materie indicate sopra, l’Ente può
ampliare le competenze dell’Organo di revisione, anche
prevedendo attività ulteriori, ivi compresa la resa di
pareri in altre materie. In conclusione, i pareri
dell’Organo di revisione sono funzionali allo svolgimento
dei compiti del Consiglio e devono essere resi a
quest’ultimo nelle materie indicate nell’art. 239, comma 1,
lett. b), del TUEL, fra le quali è compresa quella riferita
alle “proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e
transazioni” (n. 6).
Al fine di individuare, in concreto, se
l’atto debba essere preceduto dal parere dell’Organo di
revisione, non è rilevante la natura della transazione
(giudiziale o stragiudiziale) ma se si tratti di atto di
procedimento che deve concludersi con delibera del
Consiglio, rientrando fra le sue attribuzioni funzionali”
(deliberazione n. 181/2013/PAR).
Alle medesime conclusioni sono pervenute la Sezione
controllo per il Piemonte, nella delibera citata dal
richiedente (delibera n. 345/2013/SRCPE/PAR), e la Sezione
controllo per la Liguria nella delibera n. 5/2014 (SRCLIG/4/2014/PAR).
Entrambe le Sezioni regionali hanno condiviso
l’interpretazione che, con specifico riferimento alle
transazioni di cui all’art. 239, comma 1, lett. b), n. 6, TUEL,
circoscrive l’ambito nel quale l’Organo di revisione è
chiamato a rendere obbligatoriamente i pareri alle sole
transazioni che involgono profili di competenza del
Consiglio comunale.
La delimitazione, ad opera del legislatore,
dell’esplicazione dell’attività consultiva di ausilio al
Consiglio nelle materie di cui alla lett. b) dell’art 239
TUEL non esclude, tuttavia, che l’ente possa ampliare le
competenze dell’Organo di revisione, anche prevedendo
attività ulteriori, ivi compresa la resa di pareri in altre
materie (tra cui le proposte di transazioni nelle materie di
competenza della Giunta e nelle determinazioni
dirigenziali), atteso che il comma 6 dell’art 239 prevede la
possibilità che lo Statuto dell’ente possa prevedere
ampliamenti delle funzioni affidate ai Revisori.
Passando al quesito n. 2, relativo all’inclusione nel
compenso spettante al revisore anche della nuova funzione in
materia di pareri su transazioni, si osserva che il compenso
dei revisori deve essere determinato entro i limiti massimi
indicati dall’art. 241, comma 1, d.lgs. 267/2000 e che, ai
sensi del comma 2 del medesimo articolo, può essere
aumentato dall’ente locale fino al limite massimo del 20 per
cento solo in relazione alle ulteriori funzioni assegnate
rispetto a quelle indicate nell’articolo 239 TUEL
(Corte dei
Conti, Sez. controllo Puglia,
parere
17.04.2014 n. 88). |
NEWS |
LAVORI PUBBLICI: Lavori specialistici più liberi.
Qualificazione per le verifiche facilitata per due anni.
APPALTI/ Le novità in materia di gare contenute nel Piano
casa convertito in legge.
Meno vincoli per gli appalti di lavori specialistici, anche
se fra un anno verranno nuovamente riscritte le norme di
qualificazione; fatti salvi i bandi di gara approvati da
ottobre 2013 a fine aprile 2014; requisiti minimi per le
mandanti e le mandatarie anche negli appalti di forniture e
servizi; qualificazione per le verifiche dei progetti più
facile ancora per due anni.
Sono queste alcune delle principali novità contenute nel dl
47/2014 (Piano casa) convertito in legge, che è in attesa di
pubblicazione in G.U.. Per la disciplina dei lavori
specialistici il testo dell'articolo 12 del decreto
convertito in legge dal parlamento riformula le due
disposizioni regolamentari che disciplinano la materia e che
il Consiglio di Stato aveva bocciato e il dpr 30.10.2013 aveva annullato.
La disciplina che viene delineata, che riprende
integralmente il contenuto del dm infrastrutture del 24.04.2013, avrà valore per dodici mesi, periodo nel quale
si dovranno riscrivere i commi 2 degli articoli 107 e 109
del regolamento del Codice (Dpr 207/2010).
Per adesso quindi
le strutture, gli impianti e le opere speciali ai sensi
dell'articolo 37, comma 11, del Codice dei contratti
pubblici (cioè a qualificazione obbligatoria) sono le
seguenti: OG 11, OS 2-A, OS 2-B, OS 4, OS 11, OS 12-A, OS
13, OS 14, OS 18-A, OS 18-B, OS 21, OS 25, OS 30, OS 32.
Invece sono considerate opere “superspecialistiche” (cioè
con obbligo di subappalto o di costituzione di ATI verticale
fra impresa generale e impresa specializzata) le lavorazioni
relative alle categorie di opere generali individuate
nell'allegato A del dpr 207/2010, nonché le seguenti
categorie individuate nel medesimo allegato A: OS 2-A, OS
2-B, OS 3. OS 4, OS 5, OS 8, OS 10, OS 11, OS 12-A, OS 13,
OS 14, OS 18-A, OS 18-B, OS 20-A, OS 20-B, OS 21, OS 24, OS
25, OS 28, OS 30, OS 33, OS 34, OS 35. Queste lavorazioni
sono comunque subappaltabili ad imprese in possesso delle
relative qualificazione.
Importante è la norma che fa salvi
i bandi e gli avvisi di gara pubblicati dal 29.11.2013
(entrata in vigore del dpr 30.10.2013) e al 26.04.2014 (vigenza del dm infrastrutture del 24.04.2014),
nonché gli atti, i provvedimenti e i rapporti giuridici
sorti sulla base dei medesimi bandi e avvisi. La norma,
molto opportuna visto che nelle varie versioni dei decreti
“Salva Roma” i regimi applicabili erano diversi da quello
attuale, precisa che la salvezza riguarda i profili
concernenti la qualificazione richiesta per la
partecipazione alle procedure di affidamento.
Un importante intervento riguarda poi la disciplina dei
requisiti in caso di raggruppamento temporaneo di imprese, o
di consorzio: viene infatti abrogato il comma 13
dell'articolo 37 del codice dei contratti pubblici che,
soltanto per il settore dei lavori, prevedeva l'obbligo per
i concorrenti riuniti di eseguire le prestazioni nella
percentuale corrispondenti alla quota di partecipazione al
raggruppamento stesso.
La norma modifica anche l'art. 92 del
regolamento del codice, rendendo applicabile anche al
settore delle forniture e dei servizi la previsione per cui
la mandataria o capogruppo del raggruppamento temporaneo (e
una delle imprese consorziate, in caso di consorzio
ordinario) dovrà possedere almeno il 40% dei requisiti
previsti dal bando di gara, mentre le mandanti (e le altre
consorziate) dovranno documentare il possesso di almeno il
10% dei requisiti. Si ammette inoltre che le quote di
partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in
sede di offerta, possano essere liberamente stabilite entro
i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione
posseduti dall'associato o dal consorziato, logica
conseguenza dell'abrogazione del comma 13 dell'articolo 37
del Codice dei contratti pubblici.
Infine l'articolo 12 del decreto convertito in legge
stabilisce che per gli affidamenti di incarichi di verifica
dei progetti si possa per altri due anni (fino a giugno
2016) qualificarsi anche con i requisiti maturati nel
settore della progettazione e direzione dei lavori (la norma
toccata è l'articolo 357, comma 19, del dpr 207/2010
(articolo ItaliaOggi del 23.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il governo verso la stretta a case mobili e roulotte.
Il governo si impegna a rivedere la norma (articolo 10-ter)
del decreto casa (diventata ora legge) che cancella
l'obbligo del permesso di costruire per case mobili,
prefabbricati, camper o roulotte all'interno di strutture
ricettive all'aperto. Nonostante alcune sentenze del Tar,
del Consiglio di stato e della Cassazione abbiano stabilito
che, se l'insediamento è stabile e ha concreta incidenza sul
territorio, non si possa prescindere dal rilascio di
autorizzazioni urbanistico-edilizie e paesaggistiche.
Con l'articolo 10-ter del provvedimento «casa», si
allargano ulteriormente le maglie del Testo unico in materia
edilizia, con il rischio che sia favorita in tal modo
l'installazione di case mobili anche in aree vincolate senza
l'obbligo del permesso di costruire. Questo è quanto si
legge nell'ordine del giorno accolto il 20 maggio alla
camera (quando si discuteva dell'approvazione del decreto
casa) e sottoscritto da tutti i deputati del Partito
democratico.
L'articolo 3, comma 1, del dpr n. 380 del 2001 (come
integrato dall'articolo 41, comma 4, decreto del «fare»),
prevede che tra gli «interventi di nuova costruzione»
siano comunque da considerarsi anche «l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti
di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che
non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee
ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al
suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in
conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta
e il soggiorno di turisti» previsti dalla lettera e.5).
L'articolo 10-ter del decreto legge casa, interviene a
modificare l'articolo 41, comma 4, del decreto legge n. 69
del 2013, al fine di escludere, dal novero degli interventi
di nuova costruzione, i manufatti installati, con temporaneo
ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive
all'aperto, in conformità alla normativa regionale di
settore, per la sosta e il soggiorno di turisti
(articolo ItaliaOggi del 23.05.2014). |
VARI: Le spese per i lavori edilizi non incidono sul bonus mobili.
Decreto casa. Eliminato il vincolo di importo.
La definitiva
approvazione della legge di conversione del decreto
"casa-Expo" (Dl 47/14) ha consentito (dopo diversi tentativi
andati a vuoto) l'abrogazione di uno dei vincoli che
limitava, dal 1° gennaio scorso, la fruizione integrale del
"bonus mobili", consistente in una detrazione Irpef, in 10
quote annuali, del 50% dell'ammontare speso fino a 10mila
euro per l'acquisto di mobili, grandi elettrodomestici e
apparecchiature con etichetta energetica.
Il testo del decreto convertito, infatti, abroga il comma 2
dell'articolo 16 del Dl 63/2013, secondo cui le spese
agevolabili per questi acquisti non potevano essere
d'importo superiore a quelle sostenute per il lavoro di
recupero edilizio, che costituisce una delle condizioni
necessarie per accedere all'agevolazione.
La disposizione appena approvata aggiunge, esplicitamente,
che per tutto il periodo di applicazione (dal 06.06.2013
al 31.12.2014), le spese sostenute per gli arredi e
gli elettrodomestici sono computate «ai fini della fruizione
della detrazione di imposta, indipendentemente dall'importo
delle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione».
In
tal modo, l'abrogazione del vincolo introdotto dall'articolo
1, comma 139, lettera d), n. 3), della legge di stabilità
per il 2014 (Legge 147/2013) è esplicitamente retroattiva,
così da non ingenerare dubbi sulla assenza del "paletto" dal
01.01.2014 ad oggi. Si ricorda che il limite era stato
una prima volta abrogato dall'articolo 1, comma 2, del Dl
151/13, ma era "resuscitato" a seguito della mancata
conversione in legge del provvedimento. Grazie alla
definitiva approvazione del decreto "casa-Expo", la
situazione aggiornata riguardante la fruizione del bonus si
può così sintetizzare:
- è possibile per il contribuente effettuare spese agevolate
per l'acquisto dei mobili e degli elettrodomestici anche in
misura superiore a quelle sostenute (o da sostenere) per il
lavoro di recupero edilizio di cui all'articolo 16-bis Tuir,
purché entro il limite di 10mila euro;
- anche chi ha acquistato l'arredo in questi primi mesi del
2014, spendendo cifre superiori a quelle che ha sostenuto (o
intende sostenere) per il "bonus del 50%" in edilizia, potrà
fruire in Unico 2015 dell'intera detrazione sui mobili.
Il venir meno del limite per il 2014 aumenta le possibilità
anche per chi ha effettuato un primo acquisto di mobili e/o
elettrodomestici nel 2013, senza raggiungere il limite
massimo di 10mila euro. Attualmente, infatti, qualunque sia
l'importo dei lavori edili agevolati posto in essere,
risulta possibile incrementare l'acquisto degli arredi sino
al predetto importo massimo, senza ulteriori vincoli.
In proposito non bisogna dimenticare che l'ampiamento al
2014 della detrazione per i mobili (operato dalla legge di
stabilità) si pone in diretta continuità con la detrazione
vigente nel 2013, poiché spetta «nella misura del 50 per
cento delle spese sostenute dal 06.06.2013 al 31.12.2014» sempre entro i 10mila euro di plafond totale.
Va, tuttavia, ricordato che il collegamento tra "bonus
mobili" e "bonus 50%" sui lavori edili non si limitava al
vincolo ora abrogato, poiché il contribuente deve tuttora
fare attenzione a queste prescrizioni (Circolare 29/E/2013):
- i mobili acquistati devono essere "finalizzati all'arredo
dell'immobile oggetto di ristrutturazione";
- può fruire del bonus per gli arredi solo chi effettua
sull'immobile spese agevolabili ai sensi dell'articolo
16-bis Tuir (a partire dal 26.06.2012), collegamento che
l'Agenzia, nel corso di Telefisco (e nella recente Circolare
10/E/2014, paragrafo 7) ha ulteriormente ristretto
(obliterando il dato normativo) ai soli interventi edili di
livello non inferiore alla manutenzione straordinaria
(tranne che nei condomini).
È importante, infine, ricordare che gli acquisti dei
mobili/elettrodomestici non devono necessariamente seguire
le spese per il recupero edilizio, essendo invece
indispensabile che essi siano successivi alla data d'inizio
lavori di queste ultime, come risultante dalle eventuali
abilitazioni amministrative o comunicazioni richieste dalla
vigente legislazione edilizia o sanitaria ovvero, in
mancanza, dalla autocertificazione prodotta dal
contribuente (articolo Il Sole 24 Ore del
22.05.2014). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Gare «aperte» per i progettisti.
Appalti. L'annuncio dell'Autorità.
Il presidente
dell'Autorità di vigilanza sugli appalti, Sergio Santoro,
conferma il no a requisiti di gara troppo restrittivi per i
progettisti.
Rispondendo all'invito rivolto dal presidente
della commissione Lavori pubblici della Camera, Ermete Realacci (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri), Santoro
anticipa che il chiarimento arriverà a breve con la
determinazione sulle procedure di affidamento degli
incarichi professionali, cui l'Autorità lavora da mesi.
Il nodo da sciogliere è la contraddizione tra il Codice
degli appalti (articolo 41, comma 2), che vieta di
richiedere senza motivo requisiti di fatturato capaci di
limitare la concorrenza, e l'articolo 263 del regolamento
appalti (Dpr 207/2010) che al contrario impone alle stazioni
appaltanti di restringere l'accesso alle gare ai
professionisti capaci di esibire particolari requisiti di
fatturato (compreso tra due e quattro volte l'importo del
progetto) e organico.
Paletti che di fatto si tramutano in
una barriera di ingresso al mercato pubblico per i giovani
professionisti e gli studi meno strutturati. Per Santoro è
la norma del Codice ad avere la preminenza. Nella
determinazione, scrive il presidente dell'Autorità, «verrà
messo in rilievo che le stazioni appaltanti dovranno
applicare l'articolo 41, comma 2 del Codice, secondo cui
sono illegittimi i criteri che fissano senza congrua
motivazione limiti di accesso connessi al fatturato
aziendale». Dunque, stop alla richiesta di requisiti di
fatturato in modo automatico.
Soddisfatti architetti e ingegneri. «È un paradosso che una
norma capace di avere effetti così restrittivi sia discesa
dalla legge Merloni che aveva l'obiettivo di facilitare un
mercato della progettazione aperto e concorrenziale»,
commenta il presidente del Cni e della Rete delle
professioni tecniche, Armando Zambrano. «Apprezziamo
l'impegno: è un primo passo importante –dice Rino La Mendola, vicepresidente del Consiglio nazionale architetti–. Voglio sottolineare che questi princìpi vanno trasferiti
nella riforma degli appalti che scaturirà dall'obbligo di
recepire le direttive europee» (articolo Il Sole 24 Ore del
22.05.2014 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni con appoggio.
Comunque necessario il codice fiscale del condominio.
Una circolare dell'Agenzia delle entrate sulle principali
novità in materia di Irpef.
Per beneficiare della detrazione per i lavori di
ristrutturazione, in assenza di condominio costituito e di
amministratore designato, è necessario comunque il possesso
del codice fiscale del condominio, da indicare nel bonifico
di pagamento.
Questa una delle numerose risposte fornite
dall'Agenzia delle Entrate, con la
circolare
21.05.2014 n. 11/E di ieri in
materia di Irpef.
Imu. L'effetto sostitutivo del tributo locale (Imu-Irpef)
trova applicazione ogniqualvolta il contribuente abbia
provveduto al pagamento della prima e/o seconda rata o della
mini Imu, ma anche nel caso il tributo sia giuridicamente
dovuto ma non versato per effetto del riconoscimento di
detrazioni o perché di ammontare inferiore al minimo dovuto.
Nel caso in cui il contribuente risieda in un'unità a
destinazione abitativa di proprietà e nello stesso comune
possieda altra unità abitativa non locata, lo stesso dovrà
assoggettare a Irpef e addizionale tale ultimo immobile
nella misura del 50%, ancorché la propria dimora sia
costituita da un fabbricato rurale abitativo.
Locazioni. Nel caso in cui il contribuente possieda un
immobile locato, il canone assume rilevanza fino a quando il
contratto resta in vita e, solo a seguito di cessazione
della locazione, per scadenza naturale o per morosità del
conduttore, il reddito può essere determinato su base
catastale. In presenza di canoni non percepiti, gli stessi
non concorrono alla formazione del reddito complessivo del
proprietario ma solo da quando interviene una causa di
risoluzione del medesimo contratto, giacché gli stessi
devono essere comunque dichiarati fino alla realizzazione di
dette cause, con l'impossibilità di recuperare le imposte
assolte.
Spese sanitarie. La figura dell'osteopata non è annoverabile
tra le figure riconosciute dal dicastero della salute e, di
conseguenza, le prestazioni dagli stessi rese non consentono
la detrazione, ai sensi della lett. c), comma 1, art. 15,
dpr 917/1986 (Tuir). Al contrario, sono detraibili le spese
sostenute per le prestazioni rese dal biologo nutrizionista
perché, ancorché lo stesso non si qualifichi come medico o
sia inquadrabile tra le professioni sanitarie, di cui al dm
29/03/2001, la professione è stata inserita nel ruolo
sanitario del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Interessi passivi su mutuo. Il contribuente che stipula un
mutuo per l'acquisto di un'unità immobiliare adiacente alla
propria abitazione principale con l'obiettivo di accorparle,
può detrarre gli interessi passivi sostenuti, dopo la
realizzazione dell'accorpamento, ai sensi della lett. b),
comma 1, art. 15 del Tuir. In presenza di un contratto di
mutuo, contratto per la costruzione dell'abitazione
principale, la quota di interessi sostenuti dal coniuge
fiscalmente a carico non può essere detratta dall'altro
coniuge.
Ristrutturazione. In assenza di un condominio costituito e
di un amministratore e in presenza di un “condominio minimo”
(edificio con un numero non superiore a otto condomini) si
rende necessario, al fine di fruire del bonus per le parti a
comune, di cui all'art. 16-bis del Tuir, richiedere il
codice fiscale ed eseguire i relativi adempimenti previsti,
eseguendo i bonifici di pagamento con indicazione dello
stesso (circ. 57/E/1998). In presenza di bonifici eseguiti
con causale errata (riferimenti di natura tributaria), il
contribuente può beneficiare della detrazione, se rispetta
tutti gli altri adempimenti obbligatori; tale situazione è
confermata anche quando, in luogo dei riferimenti per le
spese di ristrutturazione sono stati indicati quelli per il
risparmio energetico o viceversa.
Bonus mobili. Nessuna detrazione se la spesa è stata
collegata all'acquisto di un box pertinenziale (circ.
35/E/2009), se il pagamento avviene tramite bonifico lo
stesso deve essere conforme a quello richiesto per la
ristrutturazione (bonifico tracciato) ma è possibile
eseguire il pagamento con carte di credito e/o di debito,
con conservazione dello scontrino “parlante” in luogo
della fattura, se lo stesso contiene la descrizione dei beni
acquistati
(articolo ItaliaOggi del 22.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Messaggio inps.
Esuberi p.a. in pensione anticipata.
Semaforo verde dell'Inps all'accesso al pensionamento per
gli esuberi della pubblica amministrazione.
Con il
messaggio
21.05.2014 n. 4234 l'Istituto di previdenza spiega anzitutto che
il dl 101/2013, così come convertito nella legge n.
125/2013, ha ampliato la platea dei destinatari dei
prepensionamenti per posizioni soprannumerarie, nel senso di
ricomprendere tutte le amministrazione pubbliche (ex art. 1,
comma 2, del dlgs n. 165/2001), quali, a titolo
esemplificativo, le regioni i comuni, le province, le
comunità montane, le aziende sanitarie locali, in tutti i
casi di eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o
finanziarie dell'amministrazione.
Gli indirizzi applicativi
sul ricorso all'istituto del prepensionamento sono contenuti
nella circolare n. 4/2014 del ministero per la
semplificazione e la pubblica amministrazione. Una volta
individuate le posizioni soprannumerarie, l'amministrazione
deve chiedere alla sede Inps, territorialmente competente in
base alla sede di servizio degli interessati, la
certificazione del diritto a pensione e la relativa
decorrenza.
Considerato che le amministrazioni devono
fissare preventivamente e motivatamente la tempistica di
assorbimento delle eccedenze, dando priorità al
pensionamento ordinario e applicando, senza necessità di
motivazione, l'art. 72, comma 11, del dl 112/2008, che
prevede la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro al
raggiungimento dei requisiti contributivi ante riforma Fornero,
la certificazione del diritto deve essere richiesta in tutti
i casi di prepensionamento, ossia nei casi in cui, in virtù
dell'esubero individuato, l'accesso al pensionamento è
consentito con i precedenti requisiti e a condizione che la
decorrenza del trattamento pensionistico sia entro il
31.12.2016.
L'Inps provvederà al rilascio delle relative certificazioni
nel termine di 30 giorni dall'invio degli elenchi del
personale da parte delle amministrazioni locali ovvero
richiede, nel medesimo termine, agli Enti le informazioni
utili per il completamento della posizione assicurativa
degli interessati
(articolo ItaliaOggi del 22.05.2014). |
VARI: Bonus arredi, regime allargato.
Il valore delle detrazioni potrà superare quello dei lavori.
Il via libera definitivo della Camera al Piano casa.
Cedolare secca al 10% in molti comuni.
Il bonus mobili dice addio alle restrizioni. È quindi
possibile usufruire della detrazione per le spese sostenute
per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici anche nel
caso in cui queste spese superino quelle sostenute per i
lavori di ristrutturazione. L'importo delle detrazioni andrà
ora solo incontro al limite dei 10 mila euro.
A mettere un punto su una questione che aveva già provato a
trovare spazio nel testo del dl salva-Roma bis (dl 151/2013
mai convertito), il via libera definitivo al Piano casa (dl
47/2014) arrivato ieri da Montecitorio, in tempo per la dead-line di conversione fissata il 27 maggio, dopo che lunedì
l'Aula aveva votato la fiducia al testo.
Nel dettaglio, la
disposizione ha trovato accoglimento nel corso dei lavori al
testo che si sono svolti nella Commissioni lavori pubblici e
territorio del Senato con un emendamento ad hoc presentato
dai relatori Franco Mirabelli (Pd) e Stefano Esposito (Pd).
Il nuovo meccanismo, instaurato attraverso l'aggiunta di un
comma all'art. 7 del dl, rubricato «Detrazioni fiscali Irpef
per il conduttore di alloggi sociali», prevede ora che,
fermo restando la possibilità di usufruire delle detrazioni
solo per chi ha effettuato la richiesta per ottenere le
agevolazioni previste per le ristrutturazioni edilizie, nel
caso in cui vengano acquistati mobili e grandi
elettrodomestici sia possibile portare in detrazione fino a
10 mila spalmati in 10 anni, attraverso quote costanti da
indicare in dichiarazione dei redditi (si veda ItaliaOggi
del 3, 5, 9 e 14.05.2014). Il tutto, a prescindere
dall'importo della ristrutturazione e per il periodo
compreso tra il 06.06.2013 al 31.12.2014.
Nel caso,
quindi, in cui un soggetto decida di effettuare una
ristrutturazione dell'importo complessivo di 4 mila euro e
acquisti mobili o elettrodomestici ad alta efficienza
energetica per 6 mila euro, le detrazioni concesse saranno 2
mila euro sul fronte delle spese per la ristrutturazione
(50% dei 4 mila) e 3 mila euro per il comparto dei mobili e
degli elettrodomestici.
Novità per la cedolare secca. Per il quadriennio 2014-2017,
nei maggiori comuni d'Italia, nei comuni ad emergenza
abitativa e nei comuni colpiti da calamità naturali negli
ultimi cinque anni, l'aliquota della cedolare secca passa
dal 15 al 10% per i contratti a canone concordato. Il regime
della cedolare, inoltre, viene esteso anche alle abitazioni
locate a cooperative edilizie per la locazione o a enti
senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti
universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia
all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione.
Tra le novità introdotte dal piano casa, arriva, inoltre, la
possibilità, a partire dal 29.03.2014, di inserire la
clausola di riscatto dell'unità immobiliare e le relative
condizioni economiche, nelle convenzioni che disciplinano le
modalità di locazione degli alloggi sociali. Il conduttore,
quindi, potrà imputare i corrispettivi pagati al locatore in
parte in conto del prezzo di acquisto futuro dell'alloggio e
in parte in conto affitto. In questi casi, ai fini Irap e
delle imposte sui redditi, i corrispettivi si considereranno
come canoni di locazione e, nei casi in cui questo sia
possibile, tali corrispettivi saranno parzialmente esentati
dalle imposte sui redditi e da Irap.
Ai fini fiscali,
inoltre, in caso di riscatto dell'unità immobiliare,
l'esercizio di competenza in cui si considerano conseguiti i
corrispettivi derivanti dalla cessione è quello in cui
avviene l'effetto traslativo della proprietà del bene
mentre, le eventuali imposte correlate agli acconti
costituiscono un credito di imposta (si veda ItaliaOggi del
15.05.2014).
L'esercizio del diritto di riscatto dell'immobile necessita,
però, del rispetto di alcune condizioni, la prime della
quali, pone il vincolo temporale dei sette anni. L'opzione,
infatti, non può essere esercitata prima di sette anni
dall'inizio della locazione e, solo ed esclusivamente, da
parte dei conduttori privi di altra abitazione di proprietà
adeguata alle esigenze del nucleo familiare. L'art. 8
rubricato «Riscatto a termine dell'alloggio sociale»,
stabilisce, inoltre, il divieto di rivendere l'immobile
prima dello scadere dei 5 anni.
Posto il rispetto di queste condizioni, il conduttore, fino
alla data del riscatto dell'alloggio sociale, ha la facoltà
di imputare i corrispettivi pagati al locatore: parte in
conto del prezzo di acquisto futuro dell'alloggio, parte in
conto affitto. Ai fini delle imposte sui redditi e
dell'Irap, i corrispettivi si considerano canoni di
locazione, anche se imputati in conto del prezzo di acquisto
futuro dell'alloggio, ricevendo lo stesso trattamento
fiscale.
Ai fini Irpef, infine, se ricorrono le condizioni, il
conduttore potrà usufruire della detrazione per canoni di
locazione prevista dall'art. 7. In quest'ultimo caso,
invece, ai fini Irap, le società di persone e gli
imprenditori individuali potranno portare in detrazione
anche i costi dei canoni di locazione di beni strumentali
(articolo ItaliaOggi del 21.05.2014). |
APPALTI: Imprese, crediti e debiti compensabili con tutte le p.a..
Compensazione a tutto campo fra crediti commerciali verso le
pubbliche amministrazioni e debiti fiscali delle imprese.
Fra gli emendamenti del Governo alla legge di conversione
del dl 66/2014, infatti, è stato inserito un correttivo che
estende tale possibilità all'intero settore pubblico,
superando le limitazioni attualmente previste dagli artt.
28-quater e 28-quinquies del dpr 602/1073.
L'art. 28-quater
prevede la possibilità di utilizzare i crediti non
prescritti, certi, liquidi ed esigibili per
somministrazione, forniture e appalti, in compensazione con
le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. Il
successivo art. 28-quinquies, invece, disciplina un analogo
meccanismo di compensazione dei medesimi crediti con le
somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa
tributaria e deflativi del contenzioso tributario.
Attualmente, entrambi gli istituti sono utilizzabili
esclusivamente per i crediti vantati nei confronti dello
Stato, degli enti pubblici nazionali, delle regioni, degli
enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale.
L'emendamento al dl 66, invece, ne estende il perimetro a
tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma
2, del dlgs 165/2001. Per effetto di tale modifica, la
compensazione si applicherà anche a tutte le amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, alle aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, alle
istituzioni universitarie, agli Istituti autonomi case
popolari, alle Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura e loro associazioni, a tutti gli enti pubblici
non economici regionali e locali ed alle agenzie
ministeriali di cui al decreto legislativo 30.07.1999, n.
300.
Fino alla revisione organica della disciplina di settore,
anche il Coni è considerato pubblica amministrazione e
quindi rientra nel perimetro della compensazione. In
pratica, quindi, tutti crediti per somministrazione,
forniture e appalti vantati nei confronti di soggetti che
utilizzano denaro pubblico potranno essere utilizzati per
abbattere le pretese del fisco nei confronti delle imprese
creditrici, ovviamente nei limiti consentiti e con le
modalità previste dalle due citate disposizioni.
La novità passa attraverso la modifica dell'art. 30 del dl
66, che già nella versione attualmente vigente ha rafforzato
il meccanismo della compensazione crediti commerciali/debiti
fiscali, in particolare mettendo a regime il meccanismo
previsto dall'art. 28-quinquies attraverso l'eliminazione
dell'inciso che in precedenza lo circoscriveva ai sili
crediti maturati al 31.12.2012. Nella stessa prospettiva,
agisce l'art. 40, che ha differito al 30.09.2013 il termine
di notifica delle cartelle esattoriali ai fini della
compensabilità con i crediti certificati
(articolo ItaliaOggi del 21.05.2014). |
VARI: Speciale immobili e fisco.
Dal frigo ai mobili, bonus «semplificato».
È legge il decreto casa - Sgravi anche oltre la spesa per
ristrutturazione, ma entro i 10mila euro.
Bonus mobili operativo,
dopo l'approvazione definitiva, ieri alla Camera del decreto
casa, che ha fatto seguito al voto di fiducia di lunedì. A
favore del decreto hanno votato 277 deputati della
maggioranza, 92 i no di M5S e Sel, mentre Fi e Fdi non hanno
partecipato al voto.
Molte novità –quelle più complesse
sull'edilizia sociale e sullo stanziamento di fondi statali– richiedono misure attuative. Per dispiegare a pieno i suoi
effetti, il Piano casa ha infatti bisogno di 9 decreti
ministeriali (alcuni di concerto con il Mef) oltre a
delibere del Cipe e intese in conferenza unificata. Altre
misure –come la cedolare secca (si veda articolo a fianco)
e il bonus mobili– hanno una ricaduta immediata, a partire
dall'entrata in vigore della legge di conversione.
La novità più importante riguarda la semplificazione
relativa al bonus mobili. La scadenza per lo sgravio è
fissata alla fine di quest'anno, ma la norma consente di
recuperare, entro i massimali consentiti, anche le spese
sostenute a partire dal 06.06.2013. La detrazione Irpef
del 50% per l'acquisto di arredi viene liberata da una serie
di vincoli: in sintesi, all'indomani della pubblicazione in
«Gazzetta Ufficiale» della legge di conversione, lo sconto
non sarà più legato all'ammontare della ristrutturazione e
potrà, eventualmente, anche superarlo.
Questo avviene per effetto dell'eliminazione di una modifica
portata dall'ultima legge di stabilità. Un'eliminazione che,
peraltro, recupera una misura già inserita nel decreto salva
Roma (Dl n. 151/2013), decaduto senza essere stato
convertito.
È utile, per fare ordine, riepilogare come funziona il bonus
in questa nuova versione. La prima condizione è che sia in
corso una ristrutturazione edilizia, per la quale siano
state chieste detrazioni. Coloro che ne fruiscono potranno
richiedere anche lo sconto del 50% per le ulteriori spese,
documentate e sostenute appunto dal 06.06.2013 al 31.12.2014, per l'acquisto di mobili, grandi
elettrodomestici, come frigoriferi e lavatrici, in classe
non inferiore alla A+ e forni di classe A. Dovrà trattarsi
di mobili nuovi.
Bisogna ricordare che per la ristrutturazione resta fermo il
limite massimo di spesa di 96mila euro. Mentre per il bonus
mobili il tetto massimo di spesa, ancora in vigore, è di
10mila euro. Inoltre, gli arredi dovranno servire l'unità
immobiliare alla quale è collegata la ristrutturazione. Una
nota importante: nei 10mila euro potranno essere conteggiate
anche le spese di trasporto e montaggio. Lo sconto,
comunque, andrà spalmato su più dichiarazioni dei redditi,
ripartendolo in dieci quote annuali di pari importo. E
dividendolo, eventualmente, tra tutti gli aventi diritto, ad
esempio nel caso in cui ci siano più proprietari.
A completare il quadro del nuovo bonus, poi, c'è una
precisazione significativa. L'articolo 7 del decreto appena
convertito, infatti, stabilisce che le spese per l'acquisto
di mobili e grandi elettrodomestici «sono computate, ai fini
della fruizione della detrazione di imposta,
indipendentemente dall'importo delle spese sostenute per i
lavori di ristrutturazione che fruiscono delle detrazioni».
Si tratta di una formulazione piuttosto oscura che sembra,
però, alludere a un chiarimento importante: le spese per gli
arredi andranno conteggiate separatamente da quelle per le
ristrutturazioni. E i relativi massimali (10mila e 96mila
euro) andranno calcolati in maniera indipendente.
All'indomani dell'approvazione sono già arrivate richieste
volte ad ampliare i benefici. «Rendere strutturale il
bonus sugli arredi» chiede il sottosegretario allo Sviluppo
economico, Simona Vicari. I costruttori dell'Ance vorrebbero
estendere alle imprese i benefici della cedolare secca
dell'affitto a riscatto». Legambiente lancia invece
l'allarme di possibili speculazioni consentite dalla
possibilità –anche questa immediatamente operativa– che
consente di non considerare una nuova costruzione strutture
abitative leggere collocate in strutture ricettive
all'aperto come campeggi o villaggi (articolo Il Sole 24 Ore del
21.05.2014). |
PATRIMONIO: L'Anas paga i danni anche se la nevicata è fortissima.
Strade bloccate. In dicembre caso non eccezionale.
Una nevicata, anche se
fortissima, non può essere considerata un evento
eccezionale. Quindi, l'ente proprietario della strada non
può invocare il caso fortuito e deve risarcire gli utenti
rimasti bloccati.
Lo ha stabilito il TRIBUNALE di Firenze,
con la sentenza 14.05.2014 sul caso di un
gruppo di persone rimaste bloccate (alcune anche per 36 ore)
sulla statale Tosco-Romagnola, durante la nevicata di metà
dicembre 2010 che mise in ginocchio l'area fiorentina.
Il Tribunale è partito dall'articolo 14 del Codice della
strada, che enuncia poteri e compiti degli enti proprietari
di strade, facendo loro carico di manutenzione, gestione,
pulizia e controllo tecnico dell'efficienza. Una
formulazione tanto generale da essere non di rado ritenuta
più come indicazione che come vero e proprio obbligo. I
giudici fiorentini, invece, l'hanno intesa come fonte di
responsabilità del custode (articolo 2051 del Codice
civile).
Ciò implica che all'utente basti dimostrare di aver subìto
il danno dalla cosa in custodia e che il custode possa
sottrarsi alla responsabilità solo se prova l'eccezionalità
e l'imprevedibilità dell'evento. E infatti è ciò che ha
fatto l'Anas, ma i giudici hanno ritenuto che a Firenze in
dicembre nessuna nevicata può essere ritenuta eccezionale,
tanto più che era stata prevista dalla Protezione civile.
Tutto ciò, secondo la sentenza, avrebbe dovuto quantomeno
far scattare un coordinamento tra Anas e gestori
dell'autostrada e della superstrada Firenze-Pisa, per
garantire che chi era bloccato sulla Tosco-Romagnola potesse
essere raggiunto tempestivamente. Ma così non è stato. Di
qui i risarcimenti (articolo Il Sole 24 Ore del
21.05.2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi nelle partecipate a rischio di danno erariale. La personalità giuridica della società decide la
giurisdizione. Professionisti e responsabilità. I limiti fissati dalle
decisioni della Corte dei conti.
Amministratori,
dipendenti e sindaci di società ed enti pubblici possono
rispondere davanti alla Corte dei conti di eventuali danni
arrecati all'impresa. La giurisdizione della Corte
contabile, con tutte le conseguenze che ne possono derivare,
è spesso sottovalutata –se non del tutto ignorata– dai
professionisti che assumono incarichi all'interno di tali
società ed enti. La circostanza non è di poco conto anche ai
fini di un'idonea copertura assicurativa professionale.
Nell'ultimo periodo, peraltro, la stessa giurisprudenza non
si è espressa in modo concorde nell'individuazione dei
limiti della giurisdizione contabile che è tuttora oggetto
di dibattito. Si tratta, infatti, di questione spesso
sollevata nei giudizi da parte dei difensori di
amministratori, sindaci, revisori e dipendenti che, a vario
titolo, vengono citati in giudizio dalle Procure erariali
per danni causati a società aventi veste di diritto privato,
che svolgono servizi pubblici e sono partecipate da
soci-amministrazioni pubbliche.
La giurisdizione della Corte dei conti, in tema di
responsabilità, si radica nel regio decreto n. 1214/1934,
articolo 13, per i danni arrecati all'erario da pubblici
funzionari nell'esercizio delle loro funzioni. Tali limiti
sono stati poi ampliati dalla legge n. 20/1994, che ha esteso
il giudizio contabile alla responsabilità di amministratori
e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad
amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di
appartenenza.
Nel 2013 ci sono state varie pronunce della Corte di Cassazione a
sezioni unite civili (sentenza
08.02.2013 n. 3038, n. 7374, n. 8352, n. 10299, n.
20075, n. 20696, n. 26283, n. 26936, n. 27489 e n. 27993)
che hanno ritenuto determinante per l'individuazione della
giurisdizione l'autonoma personalità giuridica della
società. Ne consegue che non è configurabile alcun rapporto
di servizio tra l'agente danneggiatore e l'ente pubblico
titolare della partecipazione, anche se totalitaria: il
danno è da considerare inferto soltanto al patrimonio della
società.
In questi casi la giurisdizione spetta al giudice ordinario,
con possibile attivazione attraverso l'esercizio delle
azioni previste dal Codice civile, ovviamente in dovrà
essere la società a rivestire la parte di attore nel
giudizio.
Le conclusioni cui giungono i giudici di legittimità si
basa, in buona sostanza, sull'autonoma personalità giuridica
della società e sull'assenza di un danno direttamente
arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, non
sussistendo così alcun danno erariale. I patrimoni dei due
soggetti restano distinti ed è quello della società –che
rimane un soggetto privato– che viene colpito e non quello
dei singoli soci, siano essi privati o pubblici. Questi
ultimi sono unicamente titolari delle proprie quote di
partecipazione e i loro conferimenti nella società sono
confusi e assorbiti nel patrimonio sociale.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto poi di
devolvere alla Corte dei conti anche i procedimenti sulla
responsabilità del concessionario privato di un pubblico
servizio, quando lo stesso sia investito di funzioni
obiettivamente pubbliche; in sostanza, quindi, ciò avviene
quando il concessionario può essere qualificato come un
organo indiretto dell'amministrazione (Cassazione n.
4112/2007).
Particolarmente delicata è invece la questione sulle società
in house. Le sezioni unite della Cassazione hanno confermato
la giurisdizione della Corte dei conti sull'azione diretta a
far valere la responsabilità degli organi sociali per danni
da essi cagionati al patrimonio di tali società, se sono
presenti tre fondamentali requisiti:
e la natura esclusivamente pubblica dei soci, cioè società
costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di
pubblici servizi, di cui non possono far parte soggetti
privati;
- l'esercizio dell'attività in prevalenza a favore dei soci
stessi: è comunque possibile che vi sia un'attività
ulteriore e accessoria, purché non comporti una
significativa presenza della società quale concorrente con
altre imprese sul mercato di beni o servizi della stessa
specie;
- l'assoggettamento a un controllo corrispondente a quello
esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici ("controllo
analogo"): l'ente pubblico partecipante deve avere il potere
di dettare le linee strategiche e le scelte operative della
società "in house", i cui organi amministrativi vengono
pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria
subordinazione gerarchica (articolo Il Sole 24 Ore del
21.05.2014). |
CONDOMINIO:
Cause con i vicini senza tribunale.
Mediazione obbligatoria ma l'assemblea deve autorizzare
l'amministratore.
Giustizia alternativa. Il ricorso a strumenti diversi
permette di saltare la trafila (e le spese) del contenzioso.
L'istituto della
mediazione serve a raggiungere un accordo ed evitare la lite
in Tribunale. È stato in via generale istituito in Italia
con il decreto legislativo 28/2010. Questa norma ne aveva
previsto l'obbligatorietà, prima di attivare un giudizio
avanti l'autorità giudiziaria (condizione di procedibilità),
per alcune materie, fra le quali le controversie relative al
condominio; tuttavia la Corte costituzionale con la sentenza
n. 272 del 2012 aveva dichiarato illegittimo tale obbligo
preventivo. Ora, con la legge 98/2013, per la materia
condominiale è stata reintrodotta l'obbligatorietà
preventiva del ricorso al mediatore e quindi l'istituto
diventa nuovamente essenziale per le divergenze
condominiali. Tuttavia è stata anche stabilita e disposta la
partecipazione obbligatoria di un avvocato che assista e
affianchi le parti, superando anche questo ostacolo.
L'accordo sottoscritto dagli stessi avvocati, oltre alle
parti, che ne garantiscono la regolarità formale,
costituisce per legge titolo esecutivo per l'espropriazione
forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione
degli obblighi di fare e non fare, e l'iscrizione di ipoteca
giudiziale. Il procedimento si deve concludere in 3 mesi, a
cui si contrapporrebbe come alternativa una vertenza
giudiziaria dai tempi indefinibili e dai costi decisamente
superiori.
L'obbligatorietà del tentativo di accordo bonario comporta
nuovamente l'improcedibilità del giudizio se non viene
concretamente attivato ed esperito, e interessante è la
recente pronunzia del Tribunale di Firenze (sezione II,
sentenza del 19/03/2014) che ha ritenuto come non verificata
la condizione se le parti non abbiano realmente avviato la
procedura di mediazione e almeno tentato di raggiungere
concretamente un accordo, non considerando sufficiente, come
talvolta avviene ed è previsto dal nuovo articolo 8 della
norma, la mera comparsa avanti il mediare per dichiarare di
non voler attivare il tentativo di accordo.
L'unico neo sta nel fatto che l'amministratore, non solo per
proporre un ricorso al mediatore (diversi sono gli Organismi
preposti: Consigli dell'Ordine Avvocati, Camere di
Commercio, Associazioni di categoria, eccetera) ma anche
solo per partecipare a un procedimento promosso contro il
condominio senza assumere ancora alcuna decisione, si debba
far autorizzare dall'assemblea (e sarebbe il minore dei
mali), ma con l'approvazione di una maggioranza
difficilmente raggiungibile (500 millesimi), che rischia di
vanificare in molti casi l'utilizzo delle strumento.
L'inconveniente è nato da una svista tra la Riforma del
condominio (articolo 71-quater del Codice civile, riformato
dalla legge 220/2012) e la normativa specifica della
mediazione obbligatoria (Dlgs 28/2010, modificato).
Peraltro la norma dell'articolo 71-quater prevede la
maggioranza qualificata (500 millesimi) per l'approvazione
di una proposta di mediazione, che è quella che solo il
mediatore può fare, ma tace sulle maggioranze prescritte per
approvare l'accordo spontaneamente raggiunto (articolo Il Sole 24 Ore del
20.05.2014). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Sul risarcimento del danno dall'inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento
amministrativo.
L’art. 2-bis l. 07.08.1990 n. 241,
afferma (comma 1) che le pubbliche amministrazioni (e gli
altri soggetti indicati) “sono tenuti al risarcimento del
danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell’inosservanza
dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento”.
Il successivo comma 1-bis, introdotto dall’art. 28 d.l. n.
69/2013, conv. in l. n. 98/2013, prevede, nei soli
procedimenti ad istanza di parte, e con esclusione delle
ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, il
riconoscimento di un indennizzo, nei modi e alle condizioni
successivamente stabiliti, in caso di inosservanza del
termine di conclusione del procedimento.
Come appare evidente, la norma di cui al comma 1 non collega
l’ipotesi risarcitoria al mero superamento del termine di
conclusione del procedimento amministrativo (senza che sia
intervenuta l’emanazione del provvedimento finale), ma pone
l’inosservanza del termine normativamente previsto come
presupposto causale del danno ingiusto eventualmente
cagionato “in conseguenza” dell’inosservanza dolosa o
colposa di detto termine.
Tale interpretazione, chiaramente desumibile dal dettato
normativo, è ulteriormente avvalorata dalla espressa
previsione del successivo comma 1-bis, con il quale il
legislatore ha voluto, per cassi determinati, prevedere (non
già il risarcimento del danno ma) il riconoscimento di un
indennizzo per i casi di inosservanza del termine di
conclusione del procedimento. In definitiva, l’inosservanza
del termine di conclusione procedimentale comporta:
- in generale, il risarcimento del danno ingiusto, qualora
–con dimostrazione del nesso di causalità– questo consegua
alla predetta inosservanza colposa o dolosa della pubblica
amministrazione;
- nei casi espressamente previsti, il riconoscimento di un
indennizzo, il titolo a ricevere il quale (nelle condizioni
previste dalla legge) sorge per il solo fatto del
superamento del termine e che –ove concorra con la distinta
obbligazione risarcitoria– è detratto dalla somme
complessivamente riconosciuta a tale ultimo titolo.
L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto
(rendendosi in tal modo superfluo l’esame delle proposte
eccezioni di inammissibilità), con conseguente conferma
della sentenza impugnata, con le integrazioni di motivazione
di seguito esposte.
L’art. 2-bis l. 07.08.1990 n. 241, afferma (comma 1) che le
pubbliche amministrazioni (e gli altri soggetti indicati) “sono
tenuti al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine
di conclusione del procedimento”.
Il successivo comma 1-bis, introdotto dall’art. 28 d.l. n.
69/2013, conv. in l. n. 98/2013, prevede, nei soli
procedimenti ad istanza di parte, e con esclusione delle
ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, il
riconoscimento di un indennizzo, nei modi e alle condizioni
successivamente stabiliti, in caso di inosservanza del
termine di conclusione del procedimento.
Come appare evidente, la norma di cui al comma 1 non collega
l’ipotesi risarcitoria al mero superamento del termine di
conclusione del procedimento amministrativo (senza che sia
intervenuta l’emanazione del provvedimento finale), ma pone
l’inosservanza del termine normativamente previsto come
presupposto causale del danno ingiusto eventualmente
cagionato “in conseguenza” dell’inosservanza dolosa o
colposa di detto termine.
Tale interpretazione, chiaramente desumibile dal dettato
normativo, è ulteriormente avvalorata dalla espressa
previsione del successivo comma 1-bis, con il quale il
legislatore ha voluto, per cassi determinati, prevedere (non
già il risarcimento del danno ma) il riconoscimento di un
indennizzo per i casi di inosservanza del termine di
conclusione del procedimento. In definitiva, l’inosservanza
del termine di conclusione procedimentale comporta:
- in generale, il risarcimento del danno ingiusto, qualora
–con dimostrazione del nesso di causalità– questo consegua
alla predetta inosservanza colposa o dolosa della pubblica
amministrazione;
- nei casi espressamente previsti, il riconoscimento di un
indennizzo, il titolo a ricevere il quale (nelle condizioni
previste dalla legge) sorge per il solo fatto del
superamento del termine e che –ove concorra con la distinta
obbligazione risarcitoria– è detratto dalla somme
complessivamente riconosciuta a tale ultimo titolo.
Ambedue le ipotesi, e segnatamente (per quel che interessa
nella presente sede) quella del risarcimento del danno
ingiusto, nel considerare l’inosservanza di un termine per
la conclusione di un procedimento, presuppongono appunto che
si verta nell’ambito di un procedimento amministrativo, non
potendo le norme applicarsi a casi di attività della
pubblica amministrazione diversa da quella
procedimentalizzata. Vale a dire a quella attività,
costituente procedimento amministrativo, caratterizzata
dalla presenza di un potere amministrativo da esercitare e
(di norma) destinata a concludersi con l’emanazione di un
provvedimento amministrativo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.05.2014 n. 2638 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il potere di pianificazione urbanistica, a
maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in
relazione agli interessi pubblici e privati coinvolti, così
come ogni potere discrezionale, non è sottratto al sindacato
giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare
conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli
obiettivi che essa, attraverso lo strumento di
pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza
delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed
interessi pubblici agli stessi immanenti.
L'onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede
di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in
cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente
circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere
generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili
generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette,
senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”, così
come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello
strumento urbanistico, non occorre controdedurre
singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e
opposizione.
Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare, con
considerazioni che devono intendersi riconfermate nella
presente sede: “le scelte urbanistiche, dunque, richiedono
una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti
di previsioni interessanti la pianificazione in generale
ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree
specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre
richiede una motivazione specifica una variante che
interessi aree determinate del PRG., per le quali
quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior
ragione in presenza di legittime aspettative dei privati),
non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di
un’area muta per effetto della adozione di un nuovo
strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e
complessiva definizione del territorio comunale.
In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la
destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno
di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo
che la motivazione non può riguardare ogni singola
previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo
criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle
scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento
urbanistico.
Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente
impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre,
di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo
appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un
nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva
valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e
delle esigenze medio tempore sopravvenute”.
L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con
conseguente conferma della sentenza impugnata, anche alla
luce delle ulteriori considerazioni esposte nella presente
sede ed integranti la sua motivazione.
Il Collegio deve innanzi tutto ribadire, nella presente
sede, principi già espressi dalla giurisprudenza in
relazione all’esercizio del potere di pianificazione
urbanistica ed alla natura della motivazione delle scelte in
tal modo effettuate.
Il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione
in considerazione della sua ampia portata in relazione agli
interessi pubblici e privati coinvolti, così come ogni
potere discrezionale, non è sottratto al sindacato
giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare
conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli
obiettivi che essa, attraverso lo strumento di
pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza
delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed
interessi pubblici agli stessi immanenti (Cons. Stato, sez.
IV, 10.05.2012 n. 2710).
Tanto affermato sul piano generale, occorre ricordare che
l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede
di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in
cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente
circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere
generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili
generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette,
senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”
(Cons. Stato, sez. IV, 03.11.2008 n. 5478), così come,
nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello
strumento urbanistico, non occorre controdedurre
singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e
opposizione (Cons. Stato, n. 2710/2012 cit.).
Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (Cons.
Stato, sez. IV, 08.06.2011 n. 3497), con considerazioni che
devono intendersi riconfermate nella presente sede: “le
scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più
o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni
interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area
determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche,
ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una
motivazione specifica una variante che interessi aree
determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva
diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di
legittime aspettative dei privati), non altrettanto può
dirsi allorché la destinazione di un’area muta per effetto
della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale,
che provveda ad una nuova e complessiva definizione del
territorio comunale.
In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la
destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno
di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo
che la motivazione non può riguardare ogni singola
previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo
criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle
scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento
urbanistico.
Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente
impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre,
di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo
appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un
nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva
valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e
delle esigenze medio tempore sopravvenute”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.05.2014 n. 2636 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ai sensi e per gli
effetti dell'art. 192 del D.Lgs. 152/2006, il proprietario
del terreno sul quale insistono rifiuti abbandonati è tenuto
a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo
smaltimento degli stessi ed al ripristino dello stato dei
luoghi in solido con il responsabile dell'abbandono e con i
titolari di diritti reali o personali di godimento
dell'area, solo se ad esso tale abbandono sia imputabile a
titolo di dolo o di colpa.
In ogni caso l'accertamento della responsabilità in merito
alla violazione del divieto di abbandono spetta al Comune e
deve essere effettuata in contraddittorio con i soggetti
interessati.
... per l'annullamento dei provvedimenti di diffida a
presentare un programma aggiornato per asporto e smaltimento
del terreno contaminato del 18 maggio e 06.04.2009.
...
Nel merito il ricorso è fondato.
Con riferimento al primo motivo osserva il Collegio che deve
ovviamente applicarsi la normativa in materia di abbandono
di rifiuti, in quanto i provvedimenti impugnati sono stati
emanati a conclusione di un procedimento avente per oggetto
"presenza di rifiuti abbandonati in loc. Ca' Brusa'", per
cui, ai sensi e per gli effetti dell'art. 192 del D.Lgs.
152/2006, il proprietario del terreno sul quale insistono
rifiuti abbandonati è tenuto a procedere alla rimozione,
all'avvio a recupero o allo smaltimento degli stessi ed al
ripristino dello stato dei luoghi in solido con il
responsabile dell'abbandono e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento dell'area, solo se ad esso
tale abbandono sia imputabile a titolo di dolo o di colpa.
In ogni caso l'accertamento della responsabilità in merito
alla violazione del divieto di abbandono spetta al Comune e
deve essere effettuata in contraddittorio con i soggetti
interessati (ex multis: Cons. St., sez. V, n. 935/2005 e
323/2005).
Nel caso di specie il comune non ha compiuto alcun
accertamento volto ad identificare i responsabili
dell'abbandono e tantomeno ha contestato la violazione in
contraddittorio con i soggetti interessati. Tutto ciò emerge
con chiarezza dalla semplice lettura dei provvedimenti
impugnati. Nella parte motiva dei provvedimenti impugnati il
dirigente del C.d.R. Ambiente parte dalla premessa di essere
venuto a conoscenza del fatto che nell'area dell'ex cava
denominata Ca' Brusa' vi era depositato un cumulo di mc. 761
di terre di fonderia solo con il deposito del progetto di
bonifica ai sensi dell'art. 249 D.Lgs. 152/2006 depositato
dall'arch. Scandola.
Risulta invece documentalmente provato che il Comune era a
conoscenza dell'abbandono nella cava delle terre di fonderia
ancora negli anni '90 e che il deposito del progetto di
bonifica richiamato era inserito all'interno di un
procedimento iniziato da anni e volto ad ottenere
l'autorizzazione ad un intervento, dapprima di discarica e
poi di recupero paesaggistico, interventi da sempre indicati
come necessari per la sostenibilità economica di una
bonifica dell'area.
Il Comune pertanto non solo non ha svolto alcuna istruttoria
volta ad individuare i responsabili dell'abbandono, ma è
giunto ad emettere i provvedimenti impugnati in assenza di
contraddittorio con i diretti interessati, senza spendere
sul punto due righe di motivazione, il tutto in palese
violazione di quanto statuito dall'art. 192 sopracitato.
Nel caso di specie, risulta comunque anche documentalmente
provato che nessuna responsabilità è addebitabile al sig.
Carmagnani per l'abbandono di rifiuti contestato, abbandono
che risale ad un periodo antecedente all'acquisto del
terreno da parte dello stesso e che nessuna istruttoria ha
svolto il Comune per ricercare i veri responsabili
dell'abbandono.
Vanno pertanto annullate le diffide che sono dirette a
costringere il ricorrente ad un "facere" e
precisamente la presentazione di un piano programma
aggiornato per l'asporto e lo smaltimento del terreno
contaminato, presentazione evidentemente considerata come
prima fase di un'operazione di smaltimento di rifiuti al
quale egli, come proprietario non responsabile
dell'abbandono, non è tenuto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.05.2014 n. 702 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 146 del d.lgs. 42/2004
delinea un sistema in cui, dopo la inutile scadenza
del termine assegnato al soprintendente per l’emissione del
parere, questo può ancora essere reso o conferito oralmente
nell’ambito di una conferenza di servizi che
l’amministrazione competente acquisisce il potere di indire,
con le ivi previste regole specifiche ed evidentemente
derogatorie rispetto al procedimento disciplinato dalla
normativa generale ex artt. 14 e segg. della l. 241/1990.
La conferenza dei servizi ex art. 146, c. 9, succitato è
infatti disciplinata dalla normativa speciale fissata da
tale norma e caratterizzata dal termine perentorio di 15
giorni per la conclusione dei suoi lavori, palesemente
inconciliabile con qualunque possibilità di applicazione
delle norme riguardanti la conferenza di servizi per così
dire “ordinaria”, caratterizzata da termini molto più
“rilassati”; invece il termine perentorio di cui sopra,
unito anche al termine ultimativo generale di 60 giorni ed
al più lungo termine iniziale previsto per la emissione del
parere del soprintendente dimostrano che nel caso di specie
non è applicabile la disciplina generale della conferenza di
servizi, il che deve valere, ovviamente, anche per l’ipotesi
in cui il parere, che intervenga in tale sede, abbia
contenuto negativo.
Se tale ipotesi si verifica non potrà quindi ad esso nemmeno
riconoscersi alcun valore predominante e/o paralizzante e
tale da far scattare il particolare meccanismo delineato
dall’art. 14-quater, c. 3^; il parere soprintendentizio
dovrà invece essere preso in esame dalla conferenza alla
pari con gli altri pareri istruttori delle altre
amministrazioni chiamate a parteciparvi ed avrà l’effetto di
richiedere una specifica valutazione e motivazione in
relazione al suo eventuale disattendimento, non diversamente
da quanto dovrà accadere per altre manifestazioni di
opinione, in ossequio alle generali regole di trasparenza
dell’azione amministrativa.
Se quindi deve ritenersi indubbia la perdita della natura
vincolante del parere espresso in sede di conferenza di
servizi è evidente che sarebbe illogico e contraddittorio
riconoscere perdurante natura di parere vincolante al parere
tardivamente espresso, se la conferenza di servizi non viene
convocata e anche quei termini vengono lasciati inutilmente
scadere.
Invero, se una siffatta situazione si verifica, si deve
riscontrare, anzitutto, che tutti i termini di legge
risultano violati, non solo quello per l’emissione del
parere del Soprintendente ma anche quello (ultimativo) di
sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del
soprintendente dettato dall’art. 9 per l’adozione “in ogni
caso" di una decisione da parte della competente
amministrazione (..”, l'amministrazione competente provvede
sulla domanda di autorizzazione.“).
Per tutte le considerazioni sopra esplicitate il Collegio
ritiene di dover necessariamente concludere che l’inutile
decorso dei 45 giorni di cui al comma 8 comporta la perdita
del potere della Soprintendenza di emettere un parere con
natura vincolante.
Il Collegio rileva anzitutto che la precedente sentenza di
questo TAR n. 1295/2013 si riferiva ad una situazione non
identica in punto di fatto, dato che, in tal caso, era
effettivamente intervenuta, dopo il tardivo parere
soprintendentizio, una nota comunale di trasmissione dello
stesso, che quindi implicava una volontà comunale di mancato
autonomo pronunciamento e di adesione al parere della
Soprintendenza.
Nel caso di specie, invece, si deve rilevare che, dopo
l’emissione del parere di cui si dibatte, il Comune non si è
ancora in alcun modo attivato, circostanza che il Collegio
ritiene tutt’altro che irrilevante per le ragioni
successivamente esposte.
Il Collegio non ignora la sentenza della VI sezione del
Consiglio di Stato n. 4914/2013 che ha affermato in buona
sostanza che, non avendo il Codice determinato che dopo la
scadenza del termine vi sia la perdita del potere di
pronunciarsi da parte dell’amministrazione, né previsto
alcuna ipotesi di silenzio qualificato o significativo, la
appellata sentenza del TAR Campania sezione di Salerno
andava dichiarata nulla, perché si era limitata ad affermare
la tardività del parere della Soprintendenza senza
ulteriormente esplicitare le ragioni della decisione né
esaminare il quadro normativo di riferimento.
Di fatto poi
la sesta sezione ha proceduto a tale esame ed ha affermato
che, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art.
146, comma 5, e 167, comma 5, del d.lgs. 42/2004, il potere
della Soprintendenza continua a sussistere. In particolare
il Consiglio di Stato ha affermato, con inciso collocato tra
parentesi, “tanto che un suo parere tardivo resta
comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e mantiene la
sua natura vincolante...” ed ha ulteriormente
specificato che la perentorietà del termine andava intesa
come riferita non alla sussistenza del potere o alla
legittimità dello stesso ma all’obbligo di concludere la
fase del procedimento.
E’ invero con riferimento a tale sviluppo del ragionamento
che il Collegio ritiene che l’analisi della normativa possa
invece condurre a differenti conclusioni e che quindi le
conclusioni sopra riportate meritino di essere
significativamente ripensate.
Nel caso di specie lo stesso atto impugnato richiama l’art.
146, c. 8, del d.lgs. 42/2004 ma, ad avviso del Collegio,
l’art 146 deve essere letto nel suo insieme e, in
particolare rileva il combinato disposto dei commi 5, 8 e 9
che, è bene ricordarlo, così dispongono: “5. Sull'istanza
di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione,
dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente
in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed
aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge,
ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all'articolo
143, commi 4 e 5. Il parere del soprintendente, all'esito
dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni
paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli
140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere
b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del
Ministero, su richiesta della regione interessata,
dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici,
assume natura obbligatoria non vincolante ed e' reso nel
rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano
paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni
dalla ricezione degli atti, decorsi i quali
l'amministrazione competente provvede sulla domanda di
autorizzazione….
…8. Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5,
limitatamente alla compatibilità paesaggistica del
progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità
dello stesso alle disposizioni contenute nel piano
paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui
all'articolo 140, comma 2, entro il termine di
quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Il
soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli
interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi
dell'articolo 10-bis della legge 07.08.1990, n. 241. Entro
venti giorni dalla ricezione del parere, l'amministrazione
provvede in conformità .
9. Decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo
del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il
prescritto parere, l'amministrazione competente può indire
una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente
partecipa o fa pervenire il parere scritto. La conferenza si
pronuncia entro il termine perentorio di quindici giorni. In
ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli
atti da parte del soprintendente, l'amministrazione
competente provvede sulla domanda di autorizzazione. Con
regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2,
della legge 23.08.1988, n. 400, entro il 31.12.2008, su
proposta del Ministro d'intesa con la Conferenza unificata,
salvo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto
legislativo 28.08.1997, n. 281, sono stabilite procedure
semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in
relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di
snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme,
comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e
20, comma 4 della legge 07.08.1990, n. 241 e successive
modificazioni.”
Pertanto la normativa delinea un sistema in cui, dopo la
inutile scadenza del termine assegnato al soprintendente per
l’emissione del parere, questo può ancora essere reso o
conferito oralmente nell’ambito di una conferenza di servizi
che l’amministrazione competente acquisisce il potere di
indire, con le ivi previste regole specifiche ed
evidentemente derogatorie rispetto al procedimento
disciplinato dalla normativa generale ex artt. 14 e segg.
della l. 241/1990; la conferenza dei servizi ex art. 146, c. 9,
succitato è infatti disciplinata dalla normativa speciale
fissata da tale norma e caratterizzata dal termine
perentorio di 15 giorni per la conclusione dei suoi lavori,
palesemente inconciliabile con qualunque possibilità di
applicazione delle norme riguardanti la conferenza di
servizi per così dire “ordinaria”, caratterizzata da termini
molto più “rilassati”; invece il termine perentorio di cui
sopra, unito anche al termine ultimativo generale di 60
giorni ed al più lungo termine iniziale previsto per la
emissione del parere del soprintendente dimostrano che nel
caso di specie non è applicabile la disciplina generale
della conferenza di servizi, il che deve valere, ovviamente,
anche per l’ipotesi in cui il parere, che intervenga in tale
sede, abbia contenuto negativo.
Se tale ipotesi si verifica
non potrà quindi ad esso nemmeno riconoscersi alcun valore
predominante e/o paralizzante e tale da far scattare il
particolare meccanismo delineato dall’art. 14-quater, c. 3^;
il parere soprintendentizio dovrà invece essere preso in
esame dalla conferenza alla pari con gli altri pareri
istruttori delle altre amministrazioni chiamate a
parteciparvi ed avrà l’effetto di richiedere una specifica
valutazione e motivazione in relazione al suo eventuale
disattendimento, non diversamente da quanto dovrà accadere
per altre manifestazioni di opinione, in ossequio alle
generali regole di trasparenza dell’azione amministrativa.
Se quindi deve ritenersi indubbia la perdita della natura
vincolante del parere espresso in sede di conferenza di
servizi è evidente che sarebbe illogico e contraddittorio
riconoscere perdurante natura di parere vincolante al parere
tardivamente espresso, se la conferenza di servizi non viene
convocata e anche quei termini vengono lasciati inutilmente
scadere. Invero, se una siffatta situazione si verifica, si
deve riscontrare, anzitutto, che tutti i termini di legge
risultano violati, non solo quello per l’emissione del
parere del Soprintendente ma anche quello (ultimativo) di
sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del
soprintendente dettato dall’art. 9 per l’adozione “in
ogni caso" di una decisione da parte della competente
amministrazione (..”, l'amministrazione competente provvede
sulla domanda di autorizzazione.“).
Ci si trova, pertanto,
in una situazione contraddistinta da una palese violazione
di termini perentori da parte di tutte le amministrazioni
interessate e questo pare al Collegio non possa giustificare
in alcun modo il “recupero”, da parte del parere
soprintendentizio di quella natura vincolante che aveva già
pacificamente perso se l’amministrazione competente avesse
proceduto nei termini ad indire conferenza di servizi ed
esso fosse stato reso in tale sede.
Per tutte le considerazioni sopra esplicitate il Collegio
ritiene di dover necessariamente concludere che l’inutile
decorso dei 45 giorni di cui al comma 8 comporta la perdita
del potere della Soprintendenza di emettere un parere con
natura vincolante.
Nel caso di specie non vi è alcuna possibilità di dubbio
circa la tardività di tale parere, che è infatti intervenuto
in data 17.12.2013 mentre gli atti erano stati ricevuti il
13.08.2013; anche tenendo conto della comunicazione dei
motivi ostativi (ricevuta in data 16.09.2013) e non
computando nei termini i dieci giorni concessi per la
presentazione di osservazioni, è ictu oculi evidente che
tutti i termini sono stati lasciati ampiamente scadere, sia
quello a disposizione del Soprintendente per l’emissione del
parere che quello fissato al Comune per indire una
conferenza dei servizi e quello finale e conclusivo dei
sessanta giorni per provvedere “in ogni caso”.
In tale
contesto è pertanto evidente che il tardivo parere della
Soprintendenza si colloca del tutto al di fuori del quadro
normativo e non può più rivestire natura di parere
vincolante (conforme la consolidata giurisprudenza del TAR
Puglia Lecce di cui vedasi da ultimo TAR Lecce (Puglia) sez.
I n. 252 del 24/01/2014 e anche TAR Trieste (Friuli-Venezia
Giulia) N. 343 del 03/09/2012).
Il Collegio ritiene quindi che il parere soprintendentizio
impugnato non abbia natura vincolante e che
l’amministrazione competente (nel caso di specie Il Comune
di San Michele al Tagliamento) abbia sicuramente l’obbligo
di concludere il procedimento valutando tale parere
istruttorio e la motivazione su cui lo stesso poggia alla
stregua e unitamente agli altri pareri istruttori acquisiti
nel corso del procedimento
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.05.2014 n. 698 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' la modalità della remunerazione il tratto
distintivo della concessione dall'appalto di servizi.
---------------
Sulla sussistenza della giurisdizione del G.O. relativamente
ad una controversia inerente alla pretesa perdita di
efficacia del contratto quale effetto dell'annullamento in
sede giurisdizionale di atti legati al rapporto negoziale.
---------------
Quando un operatore privato si assume i rischi della
gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente
sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di
canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione
per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione
il tratto distintivo della concessione dall'appalto di
servizi.
Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assuma
in concreto i rischi economici della gestione del servizio,
rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà
appalto quando l'onere del servizio stesso venga a gravare
sostanzialmente sull'amministrazione.
Nel caso di specie, la remunerazione spettante alla società
in conseguenza dell'affidamento consisteva unicamente nel
corrispettivo stabilito in sede di lex specialis -al
netto del ribasso di gara- a carico dell'amministrazione
comunale e non si accompagnava in alcun modo con ulteriori
forme di remunerazione direttamente o indirettamente
ricadenti sui fruitori finali sei servizi. Ne consegue che
l'affidamento operato dal Comune nei confronti della società
deve qualificarsi (non come concessione di servizi, bensì)
come appalto di servizi ai sensi del c. 10 dell'art. 3 del
decreto legislativo n. 163 del 2006.
----------------
Nell'ambito dell'attività negoziale della p.a. tutte le
controversie che attengono alla fase preliminare
-antecedente e prodromica alla stipulazione del contratto-
inerente alla formazione della sua volontà ed alla scelta
del contraente privato in base alle regole cd. dell'evidenza
pubblica, appartengono al G.A., mentre quelle che radicano
le loro ragioni nella fattispecie negoziale successiva che
dalla stipulazione del contratto contempla le vicende del
suo adempimento, e riguardano la disciplina dei rapporti che
dal contratto scaturiscono, sono devolute al G.O..
Con la sottoscrizione del contratto, inoltre, si instaura
tra le parti un vincolo negoziale iure privatorum
comportante che tutte le controversie attinenti alla sua
esecuzione devono ascriversi alla giurisdizione ordinaria
-configurabile quando si discuta sia della esistenza
giuridica delle obbligazioni gravanti su ciascuno dei
contraenti sia del come il contratto vada eseguito tra le
parti-; appartengono, invece, al G.A. tutte quelle
controversie che attengono alla fase preliminare
-antecedente e prodromica al contratto- inerente alla
formazione della volontà di contrarre da parte
dell'amministrazione (o del concessionario) ed alla scelta
del contraente privato in base alle regole cd. dell'evidenza
pubblica.
Pertanto, nel caso di specie, non può ritenersi attratta
alla giurisdizione del G.A. la presente controversia, in cui
non si fa questione della perdita di efficacia del contratto
con la s.r.l. conseguente all'annullamento
dell'aggiudicazione, bensì della diversa questione relativa
alla pretesa perdita di efficacia dello stesso quale effetto
dell'annullamento in sede giurisdizionale di atti legati al
rapporto negoziale che qui viene in rilievo da un asserito
vincolo di presupposizione (in particolare: si tratta
dell'annullamento dei provvedimenti con cui il Comune aveva
deciso di revocare l'affidamento in favore della 'Porto
di Tropea', di internalizzare il servizio e di concedere
a sé stesso l'area demaniale) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.05.2014 n. 2624 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle distanze tra i fabbricati va ricondotta
alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza
legislativa esclusiva dello Stato.
Deve però essere precisato che «i fabbricati insistono su di
un territorio che può avere rispetto ad altri –per ragioni
naturali e storiche– specifiche caratteristiche, [sicché] la
disciplina che li riguarda –ed in particolare quella dei
loro rapporti nel territorio stesso– esorbita dai limiti
propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi
pubblici», la cui cura è stata affidata alle Regioni, in
base alla competenza concorrente in materia di «governo del
territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione.
Dunque, se, in linea di principio, la disciplina delle
distanze minime tra costruzioni rientra nella competenza
legislativa statale esclusiva, alle Regioni è comunque
consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime
stabilite nella normativa statale, anche se unicamente a
condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di
soddisfare interessi pubblici legati al governo del
territorio.
Ne consegue che la legislazione regionale che interviene
sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è
legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di
carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi
precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto
complessivo ed unitario di determinate zone del territorio».
Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra
edifici, esulino, invece, da tali finalità, risultano
invasive della materia «ordinamento civile», riservata alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza
–statale in materia di «ordinamento civile» e concorrente in
materia di «governo del territorio»–, il punto di equilibrio
è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n.
1444 del 1968, che questa Corte ha più volte ritenuto dotato
di efficacia precettiva e inderogabile. Tale disposto
ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla
normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici
che formino oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle
distanze tra edifici sono consentite se inserite in
strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto
complessivo e unitario di determinate zone del territorio.
La questione
di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 6, lettera
g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 non è fondata,
nei sensi di seguito precisati.
La disciplina delle distanze tra i fabbricati va ricondotta
alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza
legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 6 del 2013,
n. 114 del 2012, n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del
2011). Deve però essere precisato che «i fabbricati
insistono su di un territorio che può avere rispetto ad
altri –per ragioni naturali e storiche– specifiche
caratteristiche, [sicché] la disciplina che li riguarda –ed
in particolare quella dei loro rapporti nel territorio
stesso– esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati
e tocca anche interessi pubblici» (sentenza n. 232 del
2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base
alla competenza concorrente in materia di «governo del
territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione.
Dunque, se, in linea di principio, la disciplina delle
distanze minime tra costruzioni rientra nella competenza
legislativa statale esclusiva, alle Regioni è comunque
consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime
stabilite nella normativa statale, anche se unicamente a
condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di
soddisfare interessi pubblici legati al governo del
territorio.
Ne consegue che la legislazione regionale che interviene
sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è
legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di
carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi
precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un
assetto complessivo ed unitario di determinate zone del
territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Le norme
regionali che, disciplinando le distanze tra edifici,
esulino, invece, da tali finalità, risultano invasive della
materia «ordinamento civile», riservata alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato. Nella
delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza –statale
in materia di «ordinamento civile» e concorrente in
materia di «governo del territorio»–, il punto di
equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9
del d.m. n. 1444 del 1968, che questa Corte ha più volte
ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile
(sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005; ordinanza n.
173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a
quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel
caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni planovolumetriche».
In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle
distanze tra edifici sono consentite se inserite in
strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto
complessivo e unitario di determinate zone del territorio
(sentenza n. 6 del 2013).
Tale principio è stato sostanzialmente recepito dal
legislatore statale con l’art. 30, comma 1, 0a), del
decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 09.08.2013, n. 98, che ha
inserito, dopo l’art. 2 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia – Testo A), l’art. 2-bis, a norma del quale
«Ferma restando la competenza statale in materia di
ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e
alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni
integrative, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e
regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del
Ministro dei lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444, e possono
dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli
insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli
riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi,
nell’ambito della definizione o revisione di strumenti
urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e
unitario o di specifiche aree territoriali».
La norma regionale impugnata dev’essere, dunque, scrutinata
alla luce dei suesposti princìpi. Essa s’inserisce in un
elenco di varianti ai piani vigenti alla data di entrata in
vigore della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, che, nel
quadro di una normativa transitoria applicabile nelle aree
industriali lucane, è previsto siano adottate e approvate
dal consiglio di amministrazione del Consorzio
territorialmente competente, in deroga alla normale
procedura regolata dai commi precedenti dello stesso art.
29, «anche su istanza degli operatori economici insediati
o che intendano insediarsi nell’area, […] previo
espletamento delle procedure di partecipazione per
osservazione di cui all’art. 9, comma 2, della legge
regionale 11.08.1999, n. 23».
Le varianti di cui alla disposizione regionale denunciata
attengono, dunque, a strumenti urbanistici mirati (come i
piani di area di sviluppo industriale), i quali producono, a
norma dell’art. 51, sesto comma, del d.P.R. 06.03.1978, n.
218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel
Mezzogiorno), «gli stessi effetti giuridici del piano
territoriale di coordinamento di cui alla legge 17.08.1942,
n. 1150». Tanto determina, per i Comuni ricadenti
nell’ambito del piano, l’obbligo di adeguare ad esso i
propri strumenti urbanistici [art. 6 della legge 17.08.1942,
n. 1150 (Legge urbanistica)].
Conseguentemente, ricorre nella specie quella finalizzazione
urbanistica dell’intervento regionale, intesa alla
costruzione di un assetto complessivo ed unitario di
determinate zone del territorio, che costituisce
l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa
regionale.
Peraltro, venendo in rilievo una competenza concorrente
riguardo ad una materia che, relativamente alla disciplina
delle distanze, interferisce con altra di spettanza
esclusiva dello Stato, non v’è dubbio che debbano essere
comunque osservati i principi della legislazione statale
quali «si ricavano dall’art. 873 cod. civ. e dall’ultimo
comma dell’art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, emesso ai
sensi dell’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942, n. 1150
(introdotto dall’art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765),
avente efficacia precettiva e inderogabile, secondo un
principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n.
230 del 2005).
Quindi, seppure il regime delle distanze ha la sua prima
collocazione nel codice civile, la stessa disciplina ivi
contenuta è poi precisata in ulteriori interventi normativi,
tra cui rileva, in particolare, il d.m. n. 1444 del 1968,
costituente un corpo unico con la regolazione codicistica.
Per tali ragioni d’ordine sistematico, l’esplicito richiamo
al codice civile contenuto nell’art. 29, comma 6, lettera
g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 deve essere
inteso come riferito all’intera disciplina civilistica di
cui il citato decreto ministeriale è parte integrante e
fondamentale.
Così interpretata, la disposizione regionale censurata
risulta pienamente rispettosa della competenza legislativa
esclusiva dello Stato nella materia civilistica dei rapporti
interprivati, appunto perché essa impone il rispetto del
codice civile e di tutte le disposizioni integrative dettate
in tema di distanze nell’ambito dell’ordinamento civile,
comprese quelle di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968
(Corte Costituzionale,
sentenza
21.05.2014 n. 134). |
CONSIGLIERI COMUNALI: La
giurisprudenza ricomprende costantemente, fra i soggetti
tenuti all’ostensione dei documenti amministrativi, pure
quelli con personalità giuridica di diritto privato che
siano gestori di pubblici servizi; essi devono garantire
l’accesso in relazione all’esercizio del pubblico servizio
loro affidato (quale è senz’altro lo smaltimento e il
trattamento dei rifiuti urbani svolto da Tecnocasic S.p.A.),
che come tale è riconducibile ad un interesse della
collettività.
Peraltro la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che
l’attività nei cui confronti deve essere garantito il
diritto di accesso non è solo quella di diritto
amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non
costituendo direttamente gestione del servizio, sia
collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità
derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa
conformazione pubblicistica.
---------------
Circa il diritto di accesso del consigliere comunale, di cui
al vigente art. 43, comma 2 del D.Lgs. n. 267/2000, com’è
noto, si tratta di un diritto che trova il suo presupposto
non nella generale previsione degli articoli 22 e seguenti
della L. n. 241/1990 relativa all’accesso del privato ai
documenti amministrativi, bensì nello specifico potere di
verifica e di sindacato che spetta ai membri del Consiglio,
in funzione del proprio mandato elettivo, sulla correttezza
e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale.
In particolare, il diritto di accesso riconosciuto ai
componenti degli organi rappresentativi degli enti
territoriali ha un’indole profondamente diversa da quella
che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti
amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini,
essendo sganciato dalla titolarità di un interesse diretto,
concreto ed attuale correlato all’esigenza di tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti: infatti, mentre in
linea generale il diritto di accesso è finalizzato a
permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti
per la tutela delle proprie posizioni soggettive
eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri degli
organi elettivi è strettamente funzionale all’esercizio del
proprio mandato, alla verifica e al controllo del
comportamento degli organi istituzionali decisionali
dell’ente territoriale, ai fini della tutela degli interessi
pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si
configura come peculiare espressione del principio
democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza
esponenziale della collettività.
In caso di diritto d’accesso azionato ai sensi dell’art. 43,
comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000 nei confronti del
consigliere comunale non può essere opposto il limite della
riservatezza dei terzi, essendo il consigliere comunque
tenuto al vincolo del segreto.
Con la seconda eccezione si deduce
l’inammissibilità del ricorso per non essere applicabile ai
due soggetti intimati l’art. 43, comma 2 del D. Lgs. n.
267/2000.
Anche questa eccezione non può essere accolta.
Essa si fonda sul fatto che il consigliere comunale non
potrebbe esercitare l’accesso nei confronti di Cacip e
Tecnicasic S.p.A. (di cui il Consorzio Cacip è socio unico)
perché il Comune di Capoterra detiene una limitata quota del
patrimonio sociale, senza considerare che il diritto di
accesso fatto valere dal Consigliere Magi si basa anche sul
diverso aspetto della gestione di un pubblico servizio da
parte di Tecnocasic S.p.A.
Al riguardo la giurisprudenza ricomprende costantemente, fra
i soggetti tenuti all’ostensione dei documenti
amministrativi, pure quelli con personalità giuridica di
diritto privato che siano gestori di pubblici servizi; essi
devono garantire l’accesso in relazione all’esercizio del
pubblico servizio loro affidato (quale è senz’altro lo
smaltimento e il trattamento dei rifiuti urbani svolto da
Tecnocasic S.p.A.), che come tale è riconducibile ad un
interesse della collettività (cfr. TAR Trentino Alto
Adige, sez. I, 12.10.2012, n. 305; TAR Sardegna,
sez. II, 29.11.2012, n. 1040).
Peraltro la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che
l’attività nei cui confronti deve essere garantito il
diritto di accesso non è solo quella di diritto
amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non
costituendo direttamente gestione del servizio, sia
collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità
derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa
conformazione pubblicistica (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 24.06.1999, n. 16; Cons. Stato, Sez. VI, 30.12.2005,
n. 7624; Cons. Stato, Sez. VI, 26.01.2006, n. 229;
TAR Sardegna, Sez. II, 11.02.2014, n. 114; TAR
Milano, Lombardia, Sez. IV, 28.06.2010, n. 2647; TAR
Roma, Lazio, Sez. III, 15.05.2012, n. 4381).
---------------
In termini generali il
Collegio richiama la giurisprudenza sul diritto di accesso
del consigliere comunale, di cui al vigente art. 43, comma 2
del D.Lgs. n. 267/2000, con riferimento ai profili
attinenti alla vicenda in esame.
Com’è noto, si tratta di un diritto che trova il suo
presupposto non nella generale previsione degli articoli 22
e seguenti della L. n. 241/1990 relativa all’accesso del
privato ai documenti amministrativi, bensì nello specifico
potere di verifica e di sindacato che spetta ai membri del
Consiglio, in funzione del proprio mandato elettivo, sulla
correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione
comunale.
In particolare, come precisato dalla Sezione con la sentenza
n. 1040 del 29.11.2012, il diritto di accesso riconosciuto
ai componenti degli organi rappresentativi degli enti
territoriali ha un’indole profondamente diversa da quella
che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti
amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini,
essendo sganciato dalla titolarità di un interesse diretto,
concreto ed attuale correlato all’esigenza di tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti: infatti, mentre in
linea generale il diritto di accesso è finalizzato a
permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti
per la tutela delle proprie posizioni soggettive
eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri degli
organi elettivi è strettamente funzionale all’esercizio del
proprio mandato, alla verifica e al controllo del
comportamento degli organi istituzionali decisionali
dell’ente territoriale, ai fini della tutela degli interessi
pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si
configura come peculiare espressione del principio
democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza
esponenziale della collettività.
In caso di diritto d’accesso azionato ai sensi dell’art. 43,
comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, come quello di cui si
tratta, nei confronti del consigliere comunale non può
essere opposto il limite della riservatezza dei terzi,
essendo il consigliere comunque tenuto al vincolo del
segreto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.10.2007, n. 5264;
TAR Liguria, sez. II, 05.03.2009, n. 280; TAR
Sardegna, sez. II, 29.11.2012, n. 1040).
In considerazione di tale orientamento, a cui il Collegio
aderisce, sono prive di rilevanza le argomentazioni della
difesa delle resistenti sulla necessità di differire
l’accesso, posto che nessuna esigenza di tutela della
riservatezza pare configurarsi, neppure astrattamente, né
con riferimento all’elenco del personale in servizio presso
la società, né con riferimento alle procedure selettive
svolte per l’assunzione.
Oltre a quanto unanimemente sostenuto dalla giurisprudenza
amministrativa sull’inopponibilità al consigliere comunale
del limite della riservatezza dei terzi, giova precisare che
in base all’articolo 17 del D.Lgs. n. 33/2013, le pubbliche
amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare annualmente
“l'elenco dei titolari dei contratti a tempo determinato”.
Sebbene ai sensi dell’art. 11, comma 2, del citato decreto
dall’ambito soggettivo della sua applicazione risultino
escluse le società partecipate e controllate, le quali,
dunque, attualmente non sono destinatarie di tali obblighi
informativi, non può negarsi che la previsione escluda in
radice la sussistenza di un problema sulla tutela della
riservatezza dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni in
parola e, segnatamente, di un diritto a non veder pubblicato
il proprio nome
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 20.05.2014 n. 360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla natura del subappalto.
Il subappalto costituisce una peculiare modalità di
esecuzione dell'appalto che, per poter operare, esige la
previa dichiarazione all'atto della partecipazione alla gara
senza condizionarne la legittima partecipazione.", operando
l'istituto in ambito civilistico ed, in ogni caso solo
eventuale.
E' proprio detta eventualità che impedisce al subappalto di
poter avere una funzione compensativa dei requisiti speciali
mancanti (TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis,
sentenza 19.05.2014 n. 5266 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Chi non sfrutta i volumi li perde.
Il Comune può ridurre l'edificabilità concessa se il verde
caratterizza la zona. Sentenza del
Tar Milano sul caso di chi costruisce solo in parte o rinvia
il completamento dell'opera.
Il Comune può ridurre la
capacità edificatoria di un'area, facendola passare da
intensiva a ville urbane e decongestionando così la zona.
Lo
sottolinea il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con la
sentenza 15.05.2014
n. 1281, relativa a un Comune che ha ampliato le zone a
verde privato dove prima si poteva edificare.
È una situazione diffusa: i proprietari di lotti edificabili
non ritengono di utilizzarli integralmente o diluiscono nel
tempo l'edificazione. Ciò può condurre ad una situazione di
fatto che prevale su quella prevista dal piano urbanistico.
Se la prevalenza di verde si consolida nel tempo, un
successivo piano urbanistico può diminuire l'edificabilità
lasciando il posto a costruzioni rade, che mantengano verde
privato e giardini originariamente non previsti.
Questo è
stato il caso di un proprietario milanese, che inizialmente
avrebbe potuto realizzare oltre 5mila metri cubi di edifici
ma che, per aver mantenuto l'area a verde privato (con un
comportamento comune ad altri proprietari) se l'è vista
riclassificare a villa urbana, perdendo l'edificabilità di
circa 4mila metri cubi. Il ragionamento del giudice
amministrativo parte dall'insindacabilità delle scelte di
pianificazione territoriale: sono contestabili solo
decisioni irrazionali o arbitrarie del Prg, che non
riflettano esigenze pubbliche.
Per cambiare destinazione di zona, basta il richiamo a
criteri generali di impostazione, desumibili dalla relazione
che accompagna il piano urbanistico. Nel caso specifico, il
Comune ha dato una spiegazione plausibile, partendo
dall'esistenza di alcune zone caratterizzate da presenza di
ville monofamiliari o bifamiliari con ampi spazi aperti di
pertinenza ad uso giardino privato. Un impianto mantenuto,
anche se non inizialmente voluto dai proprietari, che
avevano lasciato aree a giardino contando su
un'edificabilità già riconosciuta e sfruttabile in seguito.
Ma, quando la zona si è stabilizzata con spazi aperti e
giardini, ha acquisito prevalenza un certo pregio dei
luoghi, che il Comune ha voluto preservare.
Una scelta ritenuta razionale dal Tar. Se quindi vi è
un'utilizzabilità edificatoria solo parziale di un'area, è
possibile che il Comune adotti scelte di minore
edificabilità, tutte le volte che il privato dimostri
disisnteresse all'edificazione e che vi sia un decremento
generale di edificabilità. Diverso sarebbe il ragionamento
se il Comune fosse intervenuto durante il periodo di
validità di un piano urbanistico di dettaglio, la cui
esecuzione si può protrarre per almeno dieci anni: durante
tale periodo le destinazioni sono intoccabili, anche perché
ancorate al calibro delle opere di urbanizzazione (strade,
fogne, spazi comuni) nel frattempo realizzate.
In casi come quello deciso dal Tar milanese, il Comune non
dovrebbe nemmeno restituire l'Ici già incassata, in quanto
nelle precedenti previsioni di Prg esisteva la potenzialità
edificatoria e quindi esisteva il presupposto
dell'imposizione fiscale. Il Comune ha solo l'onere
(articolo 31, comma 20, della legge 289/2002) di comunicare
la nuova destinazione ed il nuovo valore ai fini della
fiscalità locale (articolo Il Sole 24 Ore del
21.05.2014). |
APPALTI:
Sul rispetto dei canoni di trasparenza e
pubblicità con riferimento al cottimo fiduciario.
Devono sempre applicarsi le regole della Comunità europea
sulla concorrenza e, in particolare, gli obblighi di parità
di trattamento e di trasparenza. I principi generali del
Trattato valgono anche per i contratti e le fattispecie
diverse da quelle concretamente contemplate; quali -oltre
alla concessione di servizi e beni pubblici- gli appalti
sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da
suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei
professionisti.
Se la questione del rispetto dei canoni di trasparenza e
pubblicità negli appalti sottosoglia è jus receptum
analoghe considerazioni valgono con riguardo alla specifica
procedura prescelta nel caso di specie: "il cottimo
fiduciario costituisce procedura annoverabile tra gli
appalti e, specificatamente, riconducibile -giusta
disposizione contenuta nell'art. 3, c. 4, del 163/2006-,
nell'ambito delle procedure negoziate. In quanto tale ad
esso si devono applicare norme e principi classici della
gara non potendosi escludere affatto l'applicazione dei
principi generali contrattuali -legalità, trasparenza e
parità di trattamento.
Analoghe espresse considerazioni sono state svolte
dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato
(Ad. Plen.), 31.07.2012, n. 31, secondo cui i principi di
pubblicità e trasparenza che governano la disciplina
comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici
comportano che, qualora all'aggiudicazione debba procedersi
col criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
l'apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica
dei documenti in esse contenuti vadano effettuate in seduta
pubblica anche laddove si tratti di procedure negoziate, con
o senza previa predisposizione di bando di gara, e di
affidamenti in economia nella forma del cottimo fiduciario,
in relazione sia ai settori ordinari che ai settori speciali
di rilevanza comunitaria (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.05.2014 n. 2501 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le stazioni appaltanti possono aggiudicare
contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara per ragioni di natura
tecnica: presupposti.
Ai sensi dell'art. 57, II c., lett. b), del codice dei
contratti, le stazioni appaltanti possono aggiudicare
contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara qualora "per ragioni di
natura tecnica…..il contratto possa essere affidato
unicamente ad un operatore economico determinato": ma è
altresì vero che di ciò esse devono dar conto con adeguata
motivazione nella determina a contrarre e, altresì,
individuano, se possibile, "gli operatori economici da
consultare sulla base di informazioni riguardanti le
caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e
tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei
principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona
almeno tre operatori economici, se sussistono in tale numero
soggetti idonei. Gli operatori economici selezionati vengono
contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto
della negoziazione, con lettera contenente gli elementi
essenziali della prestazione richiesta".
Trattasi, infatti, di procedura che, derogando all'ordinario
obbligo dell'Amministrazione di individuare il privato
contraente attraverso il confronto concorrenziale, riveste
carattere di eccezionalità e richiede un particolare rigore
nella individuazione ed apprezzamento dei presupposti che
possono legittimarne il ricorso di cui, peraltro, deve
essere data adeguata motivazione nella deliberazione o
determinazione a contrarre (art. 57, I c.), in modo da "scongiurare
ogni possibilità che l'amministrazione utilizzi situazioni
genericamente affermate, come un "commodus discessus"
dall'obbligo di esperire una pubblica procedura di selezione
che è la sola con carattere di oggettività e trasparenza. In
tali ambiti, l'obbligo motivazionale non deve atteggiarsi a
mera estrinsecazione di un apparato preconfezionato al solo
scopo di giustificare le scelte discrezionalmente operate
dall'Amministrazione, ma deve oggettivamente offrire
l'indicazione dei pertinenti presupposti legittimanti; e,
con essi, della presenza di un nesso di necessaria
implicazione causale, tale da imporre il ricorso
all'affidamento diretto" (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 14.05.2014 n. 633 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: E'
vero che per le emissioni odorigene in base alla normativa
nazionale vigente non è prevista la fissazione di limiti di
emissione né di metodi o di parametri idonei a misurarne la
portata, tuttavia ciò non significa che in sede di rilascio
delle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera non possano
essere oggetto di considerazione i profili attinenti alle
molestie olfattive al fine di prevenire e contenere i
pregiudizi dalle stesse causati.
Infatti l’art. 268, comma 1, alla lett. a), del Dlgs.
03.04.2006, n. 152 (che sul punto richiama l’art. 2 del DPR
24.05.1988, n. 203) fa proprio un concetto ampio di
inquinamento atmosferico che è definito come “ogni
modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione
nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con
caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo
per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure
tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi
legittimi dell'ambiente”, e alla lett. b), definisce come
emissione in atmosfera “qualsiasi sostanza solida, liquida o
gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare
inquinamento atmosferico e, per le attività di cui
all'articolo 275, qualsiasi scarico, diretto o indiretto, di
COV nell'ambiente”.
Pertanto anche se non è rinvenibile un riferimento espresso
alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi
ricomprese nella definizione di «inquinamento atmosferico» e
di «emissioni in atmosfera», poiché la molestia olfattiva
intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di
«pericolo per la salute umana o per la qualità
dell'ambiente», che di compromissione degli «altri usi
legittimi dell'ambiente», ed in sede di rilascio
dell’autorizzazione, dovendo essere verificato il rispetto
delle condizioni volte a minimizzare l’inquinamento
atmosferico (infatti per l’art. 296, comma 2, lett. a, del
Dlgs. 03.04.2006, n. 152, il progetto deve indicare le
tecniche adottate per limitare le emissioni e la loro
quantità e qualità), possono pertanto essere oggetto di
valutazione anche i profili che arrecano molestie olfattive
facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili.
E’ parimenti infondato il dedotto difetto di istruttoria
atteso che dal parere emergono gli elementi posti a
fondamento dell’atto impugnato, e la loro sufficienza a
sorreggere la legittimità delle determinazioni assunte.
Infatti la limitazione imposta alla capacità produttiva non
si fonda, come afferma la parte ricorrente con il terzo
motivo, sul superamento dei limiti quantitativi delle
emissioni, ma sulla presenza di gravi problematiche di
carattere olfattivo.
Rispetto a queste va osservato che è vero che per le
emissioni odorigene in base alla normativa nazionale vigente
non è prevista la fissazione di limiti di emissione né di
metodi o di parametri idonei a misurarne la portata,
tuttavia ciò non significa che in sede di rilascio delle
autorizzazioni alle emissioni in atmosfera non possano
essere oggetto di considerazione i profili attinenti alle
molestie olfattive al fine di prevenire e contenere i
pregiudizi dalle stesse causati.
Infatti l’art. 268, comma 1, alla lett. a), del Dlgs. 03.04.2006, n. 152 (che sul punto richiama l’art. 2 del DPR
24.05.1988, n. 203) fa proprio un concetto ampio di
inquinamento atmosferico che è definito come “ogni
modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione
nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con
caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo
per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure
tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi
legittimi dell'ambiente”, e alla lett. b), definisce come
emissione in atmosfera “qualsiasi sostanza solida, liquida o
gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare
inquinamento atmosferico e, per le attività di cui
all'articolo 275, qualsiasi scarico, diretto o indiretto, di COV nell'ambiente”.
Pertanto anche se non è rinvenibile un riferimento espresso
alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi
ricomprese nella definizione di «inquinamento atmosferico» e
di «emissioni in atmosfera», poiché la molestia olfattiva
intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di
«pericolo per la salute umana o per la qualità
dell'ambiente», che di compromissione degli «altri usi
legittimi dell'ambiente», ed in sede di rilascio
dell’autorizzazione, dovendo essere verificato il rispetto
delle condizioni volte a minimizzare l’inquinamento
atmosferico (infatti per l’art. 296, comma 2, lett. a, del Dlgs.
03.04.2006, n. 152, il progetto deve indicare le
tecniche adottate per limitare le emissioni e la loro
quantità e qualità), possono pertanto essere oggetto di
valutazione anche i profili che arrecano molestie olfattive
facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili (cfr.
Tar Friuli Venezia Giulia, 02.01.2013, n. 2; Tar Veneto,
Sez. III, 03.05.2011, n. 741; Tar Umbria, 10.01.2003, n. 10).
Nel caso all’esame risulta che l’Amministrazione ha preso
atto dei consistenti elementi offerti dal Comune (cfr. docc.
da 1 a 4 depositati in giudizio dal Comune di Ceggia), dalla
scuola media “G. Marconi” (cfr. doc. 3 depositato in
giudizio dalla Provincia dal quale risulta che sono stati
accusati sintomi quali il mal di testa, il mal di gola, il
bruciore alle narici e difficoltà respiratorie), dalla
cittadinanza (cfr. doc. 5 depositato in giudizio dal Comune
di Ceggia), e dalla polizia locale (cfr. docc. 6 e 7
depositati in giudizio dal Comune di Ceggia) circa
l’esistenza di numerose situazioni di disagio determinate
dalle emissioni odorigene degli impianti già nella
situazione preesistente, e ciò è sufficiente a dimostrarne
il carattere molesto e potenzialmente pericoloso.
In ragione di tali segnalazioni risulta che la Provincia,
quale primo atto istruttorio a seguito dell’istanza
presentata, in contraddittorio con la parte ricorrente, ha
dato avvio ad un monitoraggio delle emissioni odorigene, ad
una campagna di campionamento e ad uno studio per
l’ottimizzazione del sistema di abbattimento delle emissioni
Peraltro è stata la stessa Società ricorrente a farsi carico
del problema in quanto già nell’istanza del 04.07.2005,
ha affermato che “in linea di massima non è previsto il
funzionamento contemporaneo di tutte le linee di processo,
ma solamente di due delle tre linee in futuro presenti”.
In tale contesto con il provvedimento impugnato la Provincia
non ha definitivamente vietato l’esercizio contemporaneo
delle tre linee, ma ha disposto il temporaneo esercizio di
due sole di esse fino all’entrata a regime del progetto per
un nuovo impianto di abbattimento delle emissioni che
avrebbe dovuto essere presentato dalla Società ricorrente
dopo tre mesi dal rilascio dell’autorizzazione, ma che non
risulta ancora realizzato per l’inerzia della Società (la
Provincia infatti nelle proprie difese riferisce e documenta
-cfr. doc. 14 depositato in giudizio dalla stessa- che
solo in data 06.12.2011 è stata presentata un’istanza
volta alla modifica dell’autorizzazione per l’inserimento di
un sistema di deodorizzazione basato sul metodo ad
assorbimento su carboni attivi a valle dell’impianto di
abbattimento esistente).
Da quanto esposto emerge pertanto che vi è un fondamento
normativo che giustifica l’imposizione di limitazioni o
prescrizioni relative alle emissioni finalizzate alla
prevenzione o al contenimento delle molestie olfattive alla
luce della migliore tecnologia disponibile che non comporti
costi eccessivi, che ai fini istruttori i dati raccolti
circa il carattere molesto delle emissioni odorigene
risultano sufficienti senza che siano necessari ulteriori
accertamenti, e che la prescrizione di mettere in esercizio
contemporaneamente solo due delle tre linee fino alla messa
in opera di un adeguato sistema di abbattimento degli odori
generati dal ciclo produttivo, avendo carattere temporaneo
ed essendo in concreto esigibile dall’istante, non viola il
principio di proporzionalità.
In definitiva pertanto i provvedimenti impugnati si
sottraggono a tutte le censure proposte e il ricorso ed i
motivi aggiunti devono essere respinti
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 573 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: A
seguito dell’entrata in vigore della novella legislativa che
ha introdotto nel Codice dei contratti pubblici il principio
della tassatività delle cause di esclusione (comma 1-bis
aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46 del Codice), il
collegio ha abbandonato la tradizionale interpretazione,
secondo cui la mancata produzione della cauzione provvisoria
legittimerebbe l’esclusione dell’impresa concorrente dalla
gara nonostante la mancanza di una esplicita disposizione di
legge in tal senso, per aderire a una diversa lettura
dell’art. 75 del Codice, la cui formulazione letterale
–rendendo evidente l'intento di ritenere sanabile o
regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione
provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che
garantisce l'impegno più consistente della corretta
esecuzione del contratto e giustifica invece l'esclusione
dalla gara– non soltanto impedisce alla stazione appaltante,
alla luce della novella, di disporre l’esclusione dalla gara
dell’impresa concorrente che abbia presentato la cauzione di
importo inferiore a quello richiesto, ma impone la
regolarizzazione degli atti, ovvero l'integrazione della
cauzione insufficiente.
Poiché non vi sono ragioni per discostarsi da tale
indirizzo, peraltro confermato in grado d’appello, tanto
basta per accertare la legittimità dell’operato della
commissione giudicatrice.
---------------
La giurisprudenza ha chiarito come l'art. 38, co. 1, lett.
c), del D.Lgs. n. 163 del 2006, che richiede il possesso dei
requisiti di moralità in capo agli “amministratori muniti di
poteri di rappresentanza”, si riferisca a coloro che
assommino la titolarità del munus di amministrazione e, in
pari tempo, di poteri rappresentativi, ancorché settoriali.
---------------
Questa Sezione ha di recente statuito come la gara divisa in
lotti non possa considerarsi una gara unica, ma tante gare
quanti sono i lotti oggetto di aggiudicazione (a ogni lotto
corrisponde un diverso contratto e una diversa procedura.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, le controinteressate deducono la violazione dell’art. 75 D.Lgs.
n. 163/2006 e denunciano la scelta della commissione di gara
di consentire alla ricorrente principale di integrare la
cauzione provvisoria, prestata in misura dimezzata,
attraverso il rinnovo della certificazione ISO 9001:2008
allegata all’offerta, ma scaduta sin dal 17.02.2012.
3.2.1. Il motivo è infondato.
A seguito dell’entrata in vigore della novella legislativa
che ha introdotto nel Codice dei contratti pubblici il
principio della tassatività delle cause di esclusione (comma
1-bis aggiunto dal D.L. n. 70/2011 all’art. 46 del Codice),
il collegio ha abbandonato la tradizionale interpretazione,
secondo cui la mancata produzione della cauzione provvisoria
legittimerebbe l’esclusione dell’impresa concorrente dalla
gara nonostante la mancanza di una esplicita disposizione di
legge in tal senso, per aderire a una diversa lettura
dell’art. 75 del Codice, la cui formulazione letterale –rendendo evidente l'intento di ritenere sanabile o
regolarizzabile la mancata prestazione della cauzione
provvisoria, al contrario della cauzione definitiva, che
garantisce l'impegno più consistente della corretta
esecuzione del contratto e giustifica invece l'esclusione
dalla gara– non soltanto impedisce alla stazione
appaltante, alla luce della novella, di disporre
l’esclusione dalla gara dell’impresa concorrente che abbia
presentato la cauzione di importo inferiore a quello
richiesto, ma impone la regolarizzazione degli atti, ovvero
l'integrazione della cauzione insufficiente (si vedano
TAR Toscana, sez. I, 28.01.2013, n. 141).
Poiché non vi sono ragioni per discostarsi da tale
indirizzo, peraltro confermato in grado d’appello (cfr.
Cons. Stato, sez. III, 05.12.2013, n. 5781), tanto
basta per accertare la legittimità dell’operato della
commissione giudicatrice.
4. Con il primo motivo di ricorso principale, Conform si
duole della mancata esclusione del raggruppamento
controinteressato, per non avere IAL Toscana e Maia reso le
dichiarazioni ex art. 38, co. 1, lett. c), per il consigliere
d’amministrazione Massimo Maria Amorosini, la prima, e per
la vice presidente del consiglio d’amministrazione
Alessandra Bartolini, la seconda.
Sul punto, IAL Toscana sostiene che il consigliere Amorosini
non sarebbe titolare di alcun potere rappresentativo, da cui
la radicale insussistenza del vizio; e anche Maia, dal canto
suo, sottolinea come l’attribuzione statutaria al vice
presidente del c.d.a. delle mansioni, e non dei poteri, del
presidente equivalga ad escludere in capo alla signora
Bartolini la rappresentanza della società.
4.1. Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
La giurisprudenza ha chiarito come l'art. 38, co. 1, lett. c),
del D.Lgs. n. 163 del 2006, che richiede il possesso dei
requisiti di moralità in capo agli “amministratori muniti di
poteri di rappresentanza”, si riferisca a coloro che
assommino la titolarità del munus di amministrazione e, in
pari tempo, di poteri rappresentativi, ancorché settoriali
(cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 17.01.2014, n.
171; id., A.P., 16.10.2013, n. 23).
Lo statuto della
società IAL Toscana, all’art. 23, co. 2, stabilisce che in
caso di nomina del consiglio d’amministrazione, la
rappresentanza dell’ente spetti al presidente del c.d.a. ove
nominato, e, nell’ambito dei poteri loro conferiti, ai
consiglieri delegati, ove nominati; e, dalla documentazione
in atti, risulta in effetti che la forma amministrativa
adottata dalla società sia quella del consiglio
d’amministrazione munito di un presidente e di due
consiglieri non titolari di deleghe, di modo che nessuna
illegittimità può farsi discendere dall’assenza della
dichiarazione sui requisiti di moralità del consigliere
Amorosino, sprovvisto di poteri di rappresentanza (mentre la
dichiarazione resa dall’altro consigliere, Alessandra
Bianchi, è imposta in realtà dal ruolo di direttore tecnico
rivestito da costei, e non dal suo ruolo di componente
dell’organo gestorio).
4.1.1. Diversamente è a dirsi quanto alla vice presidente
del c.d.a. della cooperativa Maia. Lo statuto della società
stabilisce che, in caso di assenza o impedimento del
presidente del consiglio di amministrazione, titolare dei
poteri rappresentativi, “tutte le di lui mansioni spettano
al vice presidente”, con riguardo al quale –alla stregua
dell’orientamento costantemente seguito dalla Sezione–
vanno dunque rese le dichiarazioni inerenti il possesso dei
requisiti di moralità, senza che in contrario rilevi la
circostanza che l’esercizio di tali poteri debba
considerarsi potenziale e subordinato al verificarsi delle
ipotesi previste dallo statuto. Quel che interessa ai fini
della configurazione dell'obbligo di dichiarazione è la
titolarità del potere, e non il suo concreto esercizio, e
non vi è perciò dubbio che anche il vice presidente del
consiglio di amministrazione del società rientri nel novero
dei soggetti relativamente ai quali si pone l’onere
dichiarativo (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. V, 08.11.2012, n. 5693). Si è poi già detto
dell’inoperatività dell’istituto del “falso innocuo”, a
maggior ragione laddove la sanzione espulsiva sia
espressamente prevista dal bando, oltre che dalla legge.
Non giova, per altro verso, appellarsi alla distinzione fra
“mansioni” e “poteri” del presidente del c.d.a., prospettata
dalle controinteressate con riguardo alla terminologia
adoperata dallo statuto di Maia, posto che, a tacer d’altro,
l’esercizio delle “mansioni” elencate dallo statuto medesimo
(firma sociale di fronte a terzi e in giudizio, riscossione
di pagamenti e al rilascio di quietanze, nomina di avvocati
e procuratori nelle liti attive e passive) presuppone
logicamente e giuridicamente l’attribuzione dei
corrispondenti poteri rappresentativi.
4.2. Con il secondo motivo di cui all’atto introduttivo del
giudizio, viene lamentata l’inadeguatezza dei requisiti di
capacità tecnico-organizzativa offerti dalle controinteressate, le quali avrebbero indicato i medesimi
ricavi da servizi analoghi nel triennio precedente alla gara
quali requisito di partecipazione sia per il lotto n. 1, sia
per il lotto n. 2, di fatto duplicando il requisito
medesimo, anziché dimostrare di possederlo in misura pari
alla sommatoria dei requisiti minimi richiesti per ciascuno
dei lotti.
Replicano le controinteressate, nelle rispettive difese e
con il quarto motivo di ricorso incidentale, che in realtà
si sarebbe in presenza non di una gara unitaria suddivisa in
due lotti, ma di due distinte procedure di gara, sia pure
svolte in unico contesto: da ciò, l’inammissibilità della
censura, per non avere Conform partecipato alla gara per
l’affidamento del lotto n. 1, sulla quale essa non potrebbe
pertanto interloquire; e, comunque, la sua infondatezza,
appartenendo alla discrezionalità della stazione appaltante
la scelta dei requisiti minimi di partecipazione, e non
avendo la Provincia di Massa Carrara inteso stabilire il
preteso “divieto di duplicazione”.
4.2.1. Questa Sezione ha di recente statuito come la gara
divisa in lotti non possa considerarsi una gara unica, ma
tante gare quanti sono i lotti oggetto di aggiudicazione (a
ogni lotto corrisponde un diverso contratto e una diversa
procedura: cfr. TAR Toscana, sez. I, 11.07.2013, n.
1159). Non può pertanto dubitarsi che la partecipazione alla
gara fosse pertanto consentita anche per l’affidamento di un
singolo lotto, e che, in tale evenienza, il requisito di
capacità tecnico-professionale da possedere fosse quello
stabilito per il lotto prescelto dall’impresa concorrente.
Il bando di gara, peraltro, ammette espressamente la
partecipazione di uno stesso operatore economico alle
procedure di gara di entrambi i lotti, senza chiarire se in
questo caso la doppia partecipazione debba intendersi
subordinata al possesso cumulativo dei requisiti richiesti
per ciascun lotto. Tuttavia, un elemento dirimente vi è, ed
è rappresentato dal diverso contenuto dei servizi oggetto
dei due lotti, che implica l’impossibilità di spendere i
medesimi servizi pregressi indifferentemente nell’una o
nell’altra gara, l’“analogia” pretesa dal bando non potendo
essere genericamente riferita all’aver già operato nel
settore dei servizi per l’impiego, ma all’aver eseguito
prestazioni assimilabili a quelle specificamente previste
per ciascuno dei lotti, come si desume anche dai chiarimenti
forniti dalla Provincia in corso di gara.
4.2.2. In altri termini, l’utilizzo dei medesimi requisiti
di capacità tecnico-professionale è impedita dal non
coincidente oggetto delle due gare, ciascuna delle quali
esige il possesso di titoli autonomi e non sovrapponibili a
quelli richiesti dall’altra
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 749 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: In
difetto della copia del documento di identità del
sottoscrittore, la dichiarazione presentata manca dei
requisiti formali previsti dagli artt. 38 e 47 del D.P.R. n.
445/2000, trattandosi di adempimento inderogabile atto a
conferire legale autenticità alla sottoscrizione apposta in
calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia
all'autocertificazione.
Anche a volerne tralasciare le lacune contenutistiche, essa
è pertanto inidonea a produrre gli effetti tipici della
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà,
dovendosene dichiarare la giuridica inesistenza agli effetti
previsti dal regolamento, senza che la mancanza della
dichiarazione possa essere supplita attraverso l’esercizio
dei poteri generali di soccorso istruttorio di cui
l’amministrazione dispone a norma dell’art. 6 della legge n.
241/1990, a ciò ostando il necessario rispetto della par
condicio tra gli aspiranti alla carica elettiva.
Ciò posto, risulta dalla relazione del
Presidente del Conservatorio in data 08.06.2009, ed è
pacifico, che alla domanda presentata dal prof. Vismara il 05.06.2009 –ultimo giorno utile ai sensi del sopra citato
art. 3 del regolamento, essendo le elezioni stabilite per i
giorni dal 25 al 27 giugno– era allegata una dichiarazione
sostitutiva priva di autenticazione della firma, non
accompagnata della fotocopia del documento del
sottoscrittore, e contenente la generica affermazione del
possesso dei non meglio precisati requisiti di eleggibilità.
Solo a seguito di segnalazione, ad opera dello stesso
Presidente, dei vizi formali e sostanziali della domanda
così presentata il prof. Vismara ha presentato una nuova
dichiarazione sostitutiva in data 08.06.2009, questa
volta riferita al possesso dei requisiti professionali ed
all’assenza di precedenti disciplinari e penali, nonché di
situazioni di incompatibilità rilevanti ai sensi del
regolamento, e corredata di fotocopia del documento di
identità dell’interessato.
In difetto della copia del documento di identità del
sottoscrittore, la dichiarazione presentata dal prof.
Vismara il 05.06.2009 manca dei requisiti formali
previsti dagli artt. 38 e 47 del D.P.R. n. 445/2000,
trattandosi di adempimento inderogabile atto a conferire
legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla
dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia
all'autocertificazione (giurisprudenza univoca, fra le molte
cfr. Cons. Stato, sez. V, 26.03.2012, n. 1739; id., sez. VI,
02.05.2011, n. 2579).
Anche a volerne tralasciare le lacune contenutistiche, essa
è pertanto inidonea a produrre gli effetti tipici della
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà,
dovendosene dichiarare la giuridica inesistenza agli effetti
previsti dal regolamento, senza che la mancanza della
dichiarazione possa essere supplita attraverso l’esercizio
dei poteri generali di soccorso istruttorio di cui
l’amministrazione dispone a norma dell’art. 6 della legge n.
241/1990, a ciò ostando il necessario rispetto della par
condicio tra gli aspiranti alla carica elettiva.
Nessuna giustificazione ha, di conseguenza, l’iniziativa del
Presidente del Conservatorio, avallata dalla Commissione di
gara, di ammettere alla competizione elettorale il prof.
Vismara in virtù di una valutazione di stampo “politico”,
pur essendo cosciente dell’incompletezza dell’originaria
domanda di partecipazione, mancante di un elemento
indefettibile, e della tardività delle successive
integrazioni
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione degli
strumenti urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito
sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano
inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché
anche la destinazione data alle singole aree non necessita
di apposita motivazione, salvo che particolari situazioni
non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni.
E le uniche evenienze che richiedono una più incisiva e
singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali
sono rappresentate, pacificamente:
- dal superamento degli
standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968;
- dalla lesione
dell'affidamento qualificato del privato derivante da
convenzioni di lottizzazione o accordi di diritto privato
intercorsi con il Comune, o delle aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di
silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
- dalla
modificazione in zona agricola della destinazione di un'area
limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Di contro, nessuna aspettativa deriva dalla diversa
destinazione urbanistica pregressa della medesima area,
rispetto alla quale l’amministrazione conserva ampia
discrezionalità, ben potendo apportare modificazioni in
peius rispetto agli interessi del proprietario.
Va inoltre ricordato che, per giurisprudenza costante, le
osservazioni presentate dagli interessati all’interno del
procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici
assumono il valore di semplice apporto collaborativo, il cui
rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano.
È noto che, in forza dei principi da lungo tempo
invalsi nella materia, le scelte effettuate
dall'amministrazione nell'adozione degli strumenti
urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito sottratti
al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate
da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la
destinazione data alle singole aree non necessita di
apposita motivazione, salvo che particolari situazioni non
abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni; e le uniche evenienze che richiedono una più
incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici
generali sono rappresentate, pacificamente: dal superamento
degli standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968; dalla
lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante
da convenzioni di lottizzazione o accordi di diritto privato
intercorsi con il Comune, o delle aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di
silenzio rifiuto su una domanda di concessione; dalla
modificazione in zona agricola della destinazione di un'area
limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Di contro, nessuna aspettativa deriva dalla diversa
destinazione urbanistica pregressa della medesima area,
rispetto alla quale l’amministrazione conserva ampia
discrezionalità, ben potendo apportare modificazioni in peius rispetto agli interessi del proprietario.
Va inoltre
ricordato che, per giurisprudenza costante, le osservazioni
presentate dagli interessati all’interno del procedimento di
approvazione degli strumenti urbanistici assumono il valore
di semplice apporto collaborativo, il cui rigetto non
richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente
che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali poste a base
della formazione del piano (per tutte, cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 17.02.2012, n. 854; id., sez. IV, 16.11.2011, n. 6049; id., sez. IV, 29.12.2009, n. 9006)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 739 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche,
sancita dall'art. 143, comma 1, lett. a) e b), r.d.
11.12.1933 n. 1775, ha per oggetto, tra l'altro, i ricorsi
(.....) avverso i provvedimenti amministrativi adottati in
forza dell'art. 2 r.d. n. 523 del 1904 e che, pur se
promananti da autorità diverse da quelle preposte al
settore, sono caratterizzati dall'incidenza immediata e
diretta sulla materia delle acque pubbliche e, pur se volti
alla soddisfazione di interessi più generali o comunque
diversi rispetto a quelli più specifici, sottesi all'uso
delle acque pubbliche e all'autorizzazione delle opere
idrauliche, interferiscono inevitabilmente con questi ultimi
(nel caso di specie, la gravata ordinanza era volta ad
inibire e a reprimere la realizzazione degli interventi
contestati a distanza inferiore a dieci metri dalla sponda
del canale demaniale...., e un simile profilo integra una
situazione direttamente e immediatamente incidente sul
regime delle acque pubbliche, con conseguente attrazione
alla sfera di giurisdizione del tribunale Superiore delle
acque pubbliche, atteso il carattere inderogabile della
tutela delle acque demaniali correnti nei fiumi, canali e
scolatoi pubblici, basata sulla ragione pubblicistica di
assicurarne lo sfruttamento e il libero deflusso).
La Corte di Cassazione ha affermato che i "canali di scolo,
come disciplinati dal citato t.u., sono opere idrauliche
riguardanti pur sempre l'utilizzazione delle acque e la
risoluzione della relativa controversia coinvolge questioni,
non solo giuridiche, ma anche tecniche, inerenti ad acque
pubbliche".
Inoltre si è pure ritenuto che ai sensi dell'art. 143, lett.
a), r.d. 11.12.1933 n. 1775, rientra nella competenza del
tribunale superiore delle acque pubbliche l'impugnazione
dell'ordine di ripristino di un canale di scolo.
Il fatto che il fosso in questione non risulti formalmente
classificato tra le "acque pubbliche" non appare dirimente,
giacché, in un caso fortemente affine a quello dedotto nel
presente giudizio, il Tribunale superiore delle acque
pubbliche ha affermato che "Sussiste la giurisdizione del
tribunale superiore delle acque pubbliche, in rapporto anche
al più ampio concetto di acqua pubblica introdotto dalla l.
n. 36 del 1994, ove si tratti di corso d'acqua che, pur
raccogliendo acque di origine pluviale, non possa
considerarsi mera fognatura né raccolta di acque meteoriche
non convogliate o non identificabili come corpo idrico, per
cui, trattandosi di fosso (corso d'acqua minore) tombato in
area di pertinenza privata, spetta ai proprietari frontisti
(pur sotto la vigilanza, il controllo e la supervisione
dell'Autorità regionale competente per le opere idrauliche),
visto l'art. 12 r.d. n. 523 del 1904, intraprendere, anche
consorziandosi, le necessarie misure di ripristino, tutela e
difesa (innanzitutto delle rispettive proprietà)".
Il ricorrente è proprietario di un compendio
immobiliare sul quale scorre un fosso demaniale denominato
Fosso Bozzone.
Il dirigente del Comune di Massa, con determina n. 4129 del
18.11.2013, ravvisato un intenso rischio idraulico nel
reticolo idraulico relativo al suddetto fosso, ha ordinato
alla parte istante di adeguare la funzionalità del fosso
stesso, tra cui l’eliminazione della tombinatura.
Avverso tale provvedimento e gli atti connessi l’interessato
è insorto deducendo varie censure.
...
L’eccezione è fondata.
Ad avviso del Collegio la materia è devoluta alla
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
prevista dall'art. 143, comma 1, lett. a) e b), r.d. 11.12.1933 n. 1775.
In argomento la giurisprudenza ha costantemente affermato
che "La giurisdizione del tribunale superiore delle acque
pubbliche, sancita dall'art. 143, comma 1, lett. a) e b), r.d.
11.12.1933 n. 1775, ha per oggetto, tra l'altro, i
ricorsi (.....) avverso i provvedimenti amministrativi
adottati in forza dell'art. 2 r.d. n. 523 del 1904 e che,
pur se promananti da autorità diverse da quelle preposte al
settore, sono caratterizzati dall'incidenza immediata e
diretta sulla materia delle acque pubbliche e, pur se volti
alla soddisfazione di interessi più generali o comunque
diversi rispetto a quelli più specifici, sottesi all'uso
delle acque pubbliche e all'autorizzazione delle opere
idrauliche, interferiscono inevitabilmente con questi ultimi
(nel caso di specie, la gravata ordinanza era volta ad
inibire e a reprimere la realizzazione degli interventi
contestati a distanza inferiore a dieci metri dalla sponda
del canale demaniale...., e un simile profilo integra una
situazione direttamente e immediatamente incidente sul
regime delle acque pubbliche, con conseguente attrazione
alla sfera di giurisdizione del tribunale Superiore delle
acque pubbliche, atteso il carattere inderogabile della
tutela delle acque demaniali correnti nei fiumi, canali e
scolatoi pubblici, basata sulla ragione pubblicistica di
assicurarne lo sfruttamento e il libero deflusso)" (TAR
Campania Napoli, sez. VIII, sentenza 07.12.2009, n.
8602).
La Corte di Cassazione, sez. I civile, con sentenza 24.07.1981, n. 4787 ha affermato che i "canali di scolo,
come disciplinati dal citato t.u., sono opere idrauliche
riguardanti pur sempre l'utilizzazione delle acque e la
risoluzione della relativa controversia coinvolge questioni,
non solo giuridiche, ma anche tecniche, inerenti ad acque
pubbliche".
Inoltre si è pure ritenuto che ai sensi dell'art. 143, lett.
a), r.d. 11.12.1933 n. 1775, rientra nella competenza
del tribunale superiore delle acque pubbliche l'impugnazione
dell'ordine di ripristino di un canale di scolo (TAR
Molise, 30.01.2005, n. 41).
Il fatto che il fosso in questione non risulti formalmente
classificato tra le "acque pubbliche" non appare dirimente,
giacché, in un caso fortemente affine a quello dedotto nel
presente giudizio, il Tribunale superiore delle acque
pubbliche, nella sentenza n. 97 del 02.07.2003, ha
affermato che "Sussiste la giurisdizione del tribunale
superiore delle acque pubbliche, in rapporto anche al più
ampio concetto di acqua pubblica introdotto dalla l. n. 36
del 1994, ove si tratti di corso d'acqua che, pur
raccogliendo acque di origine pluviale, non possa
considerarsi mera fognatura né raccolta di acque meteoriche
non convogliate o non identificabili come corpo idrico, per
cui, trattandosi di fosso (corso d'acqua minore) tombato in
area di pertinenza privata, spetta ai proprietari frontisti
(pur sotto la vigilanza, il controllo e la supervisione
dell'Autorità regionale competente per le opere idrauliche),
visto l'art. 12 r.d. n. 523 del 1904, intraprendere, anche
consorziandosi, le necessarie misure di ripristino, tutela e
difesa (innanzitutto delle rispettive proprietà)" (TAR
Sicilia, Palermo, I, 31.03.2011, n. 592).
In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo, per essere
competente il Tribunale superiore della acque pubbliche
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 720 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
procedimento di giustificazione dell'offerta anomala si
propone di verificare la serietà di un'offerta già formulata
ed immutabile, ma non può essere utilizzato per consentire
aggiustamenti dell'offerta.
L’art. 87 del codice dei contratti pubblici stabilisce, in
tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, che “Le
giustificazioni possono riguardare, a titolo
esemplificativo:
a) l'economia del procedimento di costruzione, del processo
di fabbricazione, del metodo di prestazione del servizio;
b) le soluzioni tecniche adottate;
c) le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone
l'offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti, o
per prestare i servizi;
d) l'originalità del progetto, dei lavori, delle forniture,
dei servizi offerti;
f) l'eventualità che l'offerente ottenga un aiuto di Stato;
3. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a
trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla
legge o da fonti autorizzate dalla legge”.
Tuttavia, la verifica dell’anomalia di un’offerta di
appalto, ai sensi degli artt. 86 e 87 del codice dei
contratti pubblici, non può tradursi inammissibilmente in
una sorta di soccorso istruttorio ex post, allargato al
punto da consentire il completamento o la riformulazione
dell’offerta stessa.
La rideterminazione dell’offerta, ove consentita, si
tradurrebbe, infatti, in una oggettiva alterazione della
parità di condizione dei concorrenti, nonché in violazione
del principio di certezza delle situazioni giuridiche
sotteso alla immodificabilità della "lex specialis",
conseguendone che il bando di gara perderebbe la sua forza
cogente per i soggetti partecipanti, ai quali non è dato
interpretare e precisare il senso e la portata di quei
parametri di gara la cui immutabilità è posta a garanzia di
tutti indistintamente i partecipanti.
Solo nell’ipotesi in cui la commissione di gara riscontri
l’esistenza di errori materiali nella compilazione
dell'offerta, ictu oculi rilevabili e riconoscibili come
tali è data la possibilità all’offerente di emendarli in una
fase successiva del procedimento.
---------------
Il principio di immodificabilità dell'offerta, teso a
garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e
dall'altro, l'affidabilità del contraente, attiene non ad
ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e
tecnici essenziali della medesima.
Tali devono indubbiamente reputarsi la modifica o
l’aggiustamento delle giustificazioni delle singole voci di
costo che non trovino il loro fondamento in sopravvenienze
di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi,
o in originari e comprovati errori di calcolo.
Di tale problematica si è del resto resa conto la
stessa amministrazione la quale, in sede di giustificazione
dell'anomalia dell'offerta, ha instaurato con
l'aggiudicataria provvisoria un complesso contraddittorio
che ha determinato, tuttavia, un sostanziale mutamento
dell'offerta originaria.
E’ ben noto che il procedimento di giustificazione
dell'offerta anomala si propone di verificare la serietà di
un'offerta già formulata ed immutabile, ma non può essere
utilizzato per consentire aggiustamenti dell'offerta (Cons.
Stato sez. VI, 07.02.2012, n. 636).
L’art. 87 del codice dei contratti pubblici stabilisce, in
tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, che “Le
giustificazioni possono riguardare, a titolo
esemplificativo:
a) l'economia del procedimento di costruzione, del processo
di fabbricazione, del metodo di prestazione del servizio;
b) le soluzioni tecniche adottate;
c) le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone
l'offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti, o
per prestare i servizi;
d) l'originalità del progetto, dei lavori, delle forniture,
dei servizi offerti;
f) l'eventualità che l'offerente ottenga un aiuto di Stato;
3. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a
trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla
legge o da fonti autorizzate dalla legge”.
Osserva, tuttavia, il Collegio che la verifica dell’anomalia
di un’offerta di appalto, ai sensi degli artt. 86 e 87 del
codice dei contratti pubblici, non può tradursi
inammissibilmente in una sorta di soccorso istruttorio ex
post, allargato al punto da consentire il completamento o la
riformulazione dell’offerta stessa.
La rideterminazione dell’offerta, ove consentita, si
tradurrebbe, infatti, in una oggettiva alterazione della
parità di condizione dei concorrenti, nonché in violazione
del principio di certezza delle situazioni giuridiche
sotteso alla immodificabilità della "lex specialis",
conseguendone che il bando di gara perderebbe la sua forza
cogente per i soggetti partecipanti, ai quali non è dato
interpretare e precisare il senso e la portata di quei
parametri di gara la cui immutabilità è posta a garanzia di
tutti indistintamente i partecipanti (Cons. Stato, sez. V,
12.03.2009, n. 1451; TAR, Lazio, Latina, 29.07.2003, n. 660).
Solo nell’ipotesi in cui la commissione di gara riscontri
l’esistenza di errori materiali nella compilazione
dell'offerta, ictu oculi rilevabili e riconoscibili come
tali è data la possibilità all’offerente di emendarli in una
fase successiva del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 12.12.2005 n. 7035; TAR Puglia, Bari, sez. I, 28.10.2009, n. 2504).
---------------
Come più volte affermato
dalla giurisprudenza, il principio di immodificabilità
dell'offerta, teso a garantire, da un lato, la par condicio
fra i concorrenti, e dall'altro, l'affidabilità del
contraente, attiene non ad ogni aspetto della stessa, bensì
ai profili economici e tecnici essenziali della medesima (ex multis, Cons. Stato, sez. VI,
07.02.2012, n. 636).
Tali devono indubbiamente reputarsi la modifica o
l’aggiustamento delle giustificazioni delle singole voci di
costo che non trovino il loro fondamento in sopravvenienze
di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi,
o in originari e comprovati errori di calcolo
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 703 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Nel
provvedimento amministrativo la motivazione per relationem
corrisponde ad una tecnica motivazionale pienamente ammessa
dall'art. 3, l. 07.08.1990 n. 241, specie allorquando il
provvedimento sia preceduto da atti istruttori o da pareri e
purché l'interessato sia messo in grado di prenderne
visione.
Inoltre, non è inutile rammentare il consolidato principio
secondo cui le osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro
rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo
sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni
generali poste a base della formazione del piano regolatore
o della sua variante.
---------------
In sede di previsioni di zona di piano regolatore, la
valutazione dell'idoneità delle aree a soddisfare, con
riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi
urbanistici, rientra nei limiti dell'esercizio del potere
discrezionale rispetto al quale, a meno che non siano
riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è
neppure configurabile il vizio di eccesso di potere per
disparità di trattamento basata sulla comparazione con la
destinazione impressa agli immobili adiacenti.
La tesi è priva di fondamento.
Nel provvedimento amministrativo la motivazione per relationem corrisponde ad una tecnica motivazionale
pienamente ammessa dall'art. 3, l. 07.08.1990 n. 241,
specie allorquando il provvedimento sia preceduto da atti
istruttori o da pareri e purché l'interessato sia messo in
grado di prenderne visione (Cons. Stato sez. IV, 20.12.2013, n. 6169).
Inoltre, non è inutile rammentare il consolidato principio
secondo cui le osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro
rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo
sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni
generali poste a base della formazione del piano regolatore
o della sua variante (ex multis, Cons. Stato sez. IV, 18.11.2013, n. 5453; id., 24.05.2013, n. 2836).
---------------
La censura non ha pregio.
In primo luogo giova rammentare che, per pacifica
giurisprudenza, in sede di previsioni di zona di piano
regolatore, la valutazione dell'idoneità delle aree a
soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni,
specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti
dell'esercizio del potere discrezionale rispetto al quale, a
meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi
illogicità, non è neppure configurabile il vizio di eccesso
di potere per disparità di trattamento basata sulla
comparazione con la destinazione impressa agli immobili
adiacenti (tra tante, Cons. Stato, sez. IV, 06.08.2013, n.
4150; id. 21.04.2010, n. 2264)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Costituisce
principio interpretativo del tutto consolidato quello per
cui “le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione
degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di
merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità,
sicché anche la destinazione data alle singole aree non
necessita di apposita motivazione oltre quella che si può
evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-
discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso”.
E ciò salvo che particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Tuttavia, la lesione dell'affidamento qualificato del
privato può derivare, secondo l’elaborazione
giurisprudenziale, da convenzioni di lottizzazione, accordi
di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto
su una domanda di concessione, nonché dalla modificazione in
zona agricola della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
---------------
L'illegittimità del provvedimento impugnato è condizione
necessaria, ancorché non sufficiente, per accordare il
risarcimento del danno con la conseguenza che l'infondatezza
della domanda di annullamento comporta, inevitabilmente, il
rigetto di quella risarcitoria.
Il quarto motivo si appunta sulla carenza di
motivazione dell'atto impugnato con riferimento alla mancata
considerazione delle aspettative degli interessi dei privati
proprietari degli immobili siti tale zona.
La doglianza non coglie nel segno.
Costituisce principio interpretativo del tutto consolidato
quello per cui “le scelte effettuate dall'Amministrazione
nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di
fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione
data alle singole aree non necessita di apposita motivazione
oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di
ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell'impostazione del
piano stesso” (ex multis, Cons. Stato sez. IV, 18.11.2013, n. 5453; idem, 16.11.2011, n. 6049).
E ciò salvo che particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Tuttavia, la lesione dell'affidamento qualificato del
privato può derivare, secondo l’elaborazione
giurisprudenziale, da convenzioni di lottizzazione, accordi
di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto
su una domanda di concessione, nonché dalla modificazione in
zona agricola della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Cons.
Stato, sez. IV, 04.02.2014, n. 493; TAR Toscana,
sez. I, 07.11.2013, n. 1497).
Nessuna di tali situazioni di affidamento qualificato è
rinvenibile in capo alla ricorrente, conseguendone perciò
che, a carico dell'Amministrazione comunale, non sussisteva
alcun obbligo di motivare particolarmente la propria
decisione.
In ordine alla domanda risarcitoria è sufficiente osservare
che l'illegittimità del provvedimento impugnato è condizione
necessaria, ancorché non sufficiente, per accordare il
risarcimento del danno con la conseguenza che l'infondatezza
della domanda di annullamento comporta, inevitabilmente, il
rigetto di quella risarcitoria (Cons. Stato, sez. IV, 06.08.2013, n. 4150).
Per le considerazioni che precedono il ricorso va, pertanto,
rigettato
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 699 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni formulate dai proprietari interessati
costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione
degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non
richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano regolatore o della
sua variante.
Nella formazione dello strumento urbanistico generale
l'Amministrazione è titolare di un'ampia potestà
discrezionale per quanto concerne la programmazione degli
assetti del territorio, senza necessità di motivazione
specifica sulle scelte adottate e senza che l'obbligo
motivazionale venga imposto o mutato sulla base della mera
presentazione di osservazioni da parte dei privati.
---------------
Come è noto, in merito agli indirizzi di politica
urbanistica espressi negli strumenti generali di
pianificazione, le scelte dell'Amministrazione si
caratterizzano per la loro ampia discrezionalità in ordine
ai tempi e alle modalità di intervento sul proprio
territorio circa la destinazione di singole aree, in
funzione delle concrete possibilità operative che essa
soltanto è in grado di accertare.
---------------
La tardività delle osservazioni avverso uno strumento
urbanistico esclude ogni obbligo della p.a. di prenderle in
esame e motivare sul punto.
---------------
In sede di previsioni di zona di piano regolatore, la
valutazione dell'idoneità delle aree a soddisfare, con
riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi
urbanistici, rientra nei limiti dell'esercizio del potere
discrezionale rispetto al quale, a meno che non siano
riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è
neppure configurabile il vizio di eccesso di potere per
disparità di trattamento basata sulla comparazione con la
destinazione impressa agli immobili adiacenti.
---------------
Lo strumento giuridico della "perequazione urbanistica" è
finalizzato ad un'equa distribuzione dei diritti edificatori
in zone soggette a trasformazione urbanistica, ma non muta
in un diritto soggettivo del proprietario la sua aspettativa
a vedere conferita al proprio bene attitudine edificatoria
in forza della sua prossimità a talune altre zone dove la
pianificazione realizzata la attribuisce ai proprietari di
aree confinanti.
La soluzione perequativa tende ad attenuare gli impatti
discriminatori della pianificazione a zone, sia in funzione
di un meno oneroso acquisto in favore della mano pubblica
dei suoli da destinare a finalità collettive, sia per
conseguire un'effettiva equità distributiva della rendita
fondiaria, in coerenza con lo scopo della disciplina
urbanistica che non è la massimizzazione dell'aggressione
del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle
aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita
della popolazione che ivi risiede.
Come già rilevato da questo TAR “L'essenza della
perequazione urbanistica risiede nella contemporaneità tra
riconoscimento della capacità edificatoria ed imposizione
dell'onere di contribuire allo sviluppo della città pubblica
in modo che, laddove la pianificazione generale venga
attuata per comparti, sia indifferente per i proprietari la
collocazione all'interno del comparto destinato ad
infrastrutture pubbliche da cedere al Comune giacché tutti
dispongono del medesimo indice di edificabilità da
utilizzare nelle aree destinate a ricevere la cubatura
stabilita. L'attribuzione del medesimo indice edificatorio
alle proprietà inserite nel comparto implica che si tratti
di fondi con caratteristiche analoghe, sicché la
perequazione non può applicarsi fuori dalle aree soggette a
trasformazione urbanistica”.
La censura non ha pregio.
Giova rammentare, preliminarmente, il consolidato principio
secondo cui le osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro
rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo
sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni
generali poste a base della formazione del piano regolatore
o della sua variante (ex multis, Cons. Stato sez. IV, 18.11.2013, n. 5453; id., 24.05.2013, n. 2836).
Nella formazione dello strumento urbanistico generale
l'Amministrazione è titolare di un'ampia potestà
discrezionale per quanto concerne la programmazione degli
assetti del territorio, senza necessità di motivazione
specifica sulle scelte adottate e senza che l'obbligo
motivazionale venga imposto o mutato sulla base della mera
presentazione di osservazioni da parte dei privati.
Come rilevato in narrativa il Comune ha ritenuto di non
assegnare vocazione edificatoria all’area dei ricorrenti in
quanto il mantenimento della destinazione a verde privato
era finalizzato a "consegnare al territorio comunale gli
spazi pubblici più significativi per un equilibrato sviluppo
del territorio comunale".
Neppure può ritenersi illegittima l'affermazione secondo
cui, “pur possedendo tale area i requisiti necessari per una
trasformazione” nel senso auspicato dai ricorrenti ne veniva
sostanzialmente differita la sua destinazione edificatoria
nell'ambito delle previsioni di valenza ventennale del Piano
strutturale cui il vigente Regolamento urbanistico
conferisce solo una parziale attuazione.
Come è noto, in merito agli indirizzi di politica
urbanistica espressi negli strumenti generali di
pianificazione, le scelte dell'Amministrazione si
caratterizzano per la loro ampia discrezionalità in ordine
ai tempi e alle modalità di intervento sul proprio
territorio circa la destinazione di singole aree, in
funzione delle concrete possibilità operative che essa
soltanto è in grado di accertare (TAR Campania, Napoli,
sez. V, 03.06.2008, n. 5222).
Quanto poi all’osservazione presentata il 10.11.2008
con cui si motivava in ordine alla necessità di rinvenire
una nuova sede all’azienda dei ricorrenti va rilevato che
essa è pervenuta ben oltre il termine stabilito per il loro
inoltro, atteso che la pubblicazione sul BURT è avvenuta il
23.07.2008.
Recita, infatti, l’art. 17, co. 2, della l. reg. n. 1/2005:
“Il provvedimento adottato è depositato presso
l'amministrazione competente per sessanta giorni dalla data
di pubblicazione del relativo avviso sul Bollettino
ufficiale della Regione Toscana (BURT). Entro e non oltre
tale termine, chiunque può prenderne visione, presentando le
osservazioni che ritenga opportune”.
Come già rilevato da questo TAR "La tardività delle
osservazioni avverso uno strumento urbanistico esclude ogni
obbligo della p.a. di prenderle in esame e motivare sul
punto" (TAR Toscana, sez. I, 30.04.2009, n. 740).
Né può essere taciuto che le disposizioni della l.r. Toscana
n. 1/2005 in tema di rapporti fra piano strutturale e
regolamento urbanistico non sono poste a tutela delle
posizioni sostanziali dei privati e la loro ratio è quella
di meglio garantire l'ordinato sviluppo del territorio
stesso. Esse non prendono in esame le posizioni dei soggetti
privati con cui il potere pianificatorio entra in contatto e
tutelano quindi il generale, e non individualizzato,
interesse alla maggior efficienza della pianificazione
urbanistica, che è proprio dell'intera collettività, senza
essere riferibile a singoli soggetti (TAR Toscana, sez.
I, 20.06.2013, n. 992).
Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione
del principio di perequazione urbanistica, nonché della
disparità di trattamento realizzata attraverso la
possibilità di trasformazione urbanistica accordata dal
Regolamento impugnato ai proprietari di terreni limitrofi.
La censura è infondata.
Giova ricordare, in primo luogo, che in sede di previsioni
di zona di piano regolatore, la valutazione dell'idoneità
delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili
destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei
limiti dell'esercizio del potere discrezionale rispetto al
quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o
abnormi illogicità, non è neppure configurabile il vizio di
eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla
comparazione con la destinazione impressa agli immobili
adiacenti (Cons. Stato, sez. IV, 06.08.2013, n. 4150;
TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.12.2013, n. 3103).
Quanto alla perequazione urbanistica, l'art. 60 della l.reg. n. 1 del 2005, pur senza darne una definizione,
stabilisce che "La perequazione urbanistica è finalizzata al
perseguimento degli obiettivi individuati dagli strumenti
della pianificazione territoriale ed alla equa distribuzione
dei diritti edificatori per tutte le proprietà immobiliari
ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica”.
Lo strumento giuridico è dunque finalizzato ad un'equa
distribuzione dei diritti edificatori in zone soggette a
trasformazione urbanistica, ma non muta in un diritto
soggettivo del proprietario la sua aspettativa a vedere
conferita al proprio bene attitudine edificatoria in forza
della sua prossimità a talune altre zone dove la
pianificazione realizzata la attribuisce ai proprietari di
aree confinanti.
La soluzione perequativa tende ad attenuare gli impatti
discriminatori della pianificazione a zone, sia in funzione
di un meno oneroso acquisto in favore della mano pubblica
dei suoli da destinare a finalità collettive, sia per
conseguire un'effettiva equità distributiva della rendita
fondiaria, in coerenza con lo scopo della disciplina
urbanistica che non è la massimizzazione dell'aggressione
del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle
aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita
della popolazione che ivi risiede (Cons. Stato sez. IV, 10.02.2014, n. 616).
Come già rilevato da questo TAR “L'essenza della
perequazione urbanistica risiede nella contemporaneità tra
riconoscimento della capacità edificatoria ed imposizione
dell'onere di contribuire allo sviluppo della città pubblica
in modo che, laddove la pianificazione generale venga
attuata per comparti, sia indifferente per i proprietari la
collocazione all'interno del comparto destinato ad
infrastrutture pubbliche da cedere al Comune giacché tutti
dispongono del medesimo indice di edificabilità da
utilizzare nelle aree destinate a ricevere la cubatura
stabilita. L'attribuzione del medesimo indice edificatorio
alle proprietà inserite nel comparto implica che si tratti
di fondi con caratteristiche analoghe, sicché la
perequazione non può applicarsi fuori dalle aree soggette a
trasformazione urbanistica” (TAR Toscana, sez. I,
31.10.2012, n. 1752)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2014 n. 698 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
I "BINS" SONO BENI E NON IMBALLAGGI. Una recente
Sentenza del Tribunale di Roma, conferma le tesi del PolieCo.
Con la
recentissima
sentenza 08.04.2014 n.
8131 il TRIBUNALE di Roma, Sez. X, ha stabilito che
detti prodotti [“bins” o “grandi contenitori”
in polietilene] … hanno caratteristiche costruttive che non
sono compatibili con l’utilizzo di detti prodotti come mero
imballaggio.
Va osservato, quindi, come dall’analisi della struttura di
detto prodotto lo stesso è destinato come ausilio duraturo
all’attività dell’impresa all’interno del ciclo produttivo e
non al fine di garantire un idoneo trasporto della merce nel
circuito produttore/utilizzatore/consumatore. Per quanto
detto, considerato che i contenitori in oggetto non
costituiscono imballaggi.
Per tale ragione detti contenitori devono essere
assoggettati alla disciplina ambientale del Consorzio
PolieCo (art. 234 D.lgs. 152/2006) e non a quella del
Consorzio CONAI (art. 224 D.lgs. 152/2006), analogamente,
sotto il profilo contabile/fiscale devono essere considerati
quali beni strumentali (tratto da www.polieco.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se
a séguito del versamento del contributo di costruzione (a
mezzo di assegni bancari privi di intestazione) nelle mani
di funzionario (infedele) che si è poi appropriato della
relativa somma di denaro il cittadino (richiedente il
permesso di costruire) sia o meno tenuto a
corrispondere all’Amministrazione comunale quanto gli viene imputato
di non avere a suo tempo versato in tesoreria comunale.
La norma deroga al principio generale
stabilito dall’art. 1188 cod. civ., secondo cui il pagamento
è liberatorio solo se effettuato al creditore o al suo
rappresentante, ed è collegata all’istituto dell’apparenza
giuridica, configurabile solo se l’apparenza risulti
giustificata da circostanze univoche e concludenti
riferibili al creditore, sì da far sorgere nel debitore un
ragionevole affidamento, esente da colpa, sull’effettiva
sussistenza della facoltà apparente dell’accipiens di
ricevere il pagamento; in presenza di tale prova –a carico
del debitore–, incombe sul creditore l’onere di provare a
sua volta che il solvens non ignorasse la reale situazione
ovvero che l’affidamento dello stesso fosse determinato da
colpa.
Orbene, la peculiare situazione determinatasi nel caso di
specie –con il Responsabile dello Sportello Unico per
l’Edilizia del Comune di Zocca che ha incassato, senza
averne titolo, quanto dovuto dai ricorrenti per il
contributo di costruzione e ha poi distratto quella somma a
proprio profitto– integra un’ipotesi riconducibile alla
fattispecie di cui all’art. 1189 cod. civ. (“Il debitore che
esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in
base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere
stato in buona fede. Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto
alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole
stabilite per la ripetizione dell’indebito”), posto che i
ricorrenti adducono la loro buona fede circa le modalità di
versamento della somma di denaro spettante
all’Amministrazione comunale, e imputano alla stessa di
avere omesso di vigilare sulla condotta del funzionario,
colpevolmente favorendo la formazione di un legittimo
affidamento del privato in ordine alla regolarità di detta
condotta, oltretutto contraddistinta da numerosi episodi
analoghi.
La buona fede, in particolare, appare agevolmente
rinvenibile in un caso in cui il debitore, proprio per la
natura pubblica del soggetto che funge da controparte, ha
valide ragioni per ritenere che il comportamento di
quest’ultimo sia improntato a correttezza e al rispetto
della legalità, tenuto anche conto della circostanza che, a
norma dell’art. 180, comma 1, del «testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali» (d.lgs. n. 267/2000), la
“riscossione costituisce la successiva fase del procedimento
dell’entrata, che consiste nel materiale introito da parte
del tesoriere o di altri eventuali incaricati della
riscossione delle somme dovute all’ente”, sicché non appare
ragionevolmente esigibile dal cittadino comune la conoscenza
analitica dei soggetti di volta in volta autorizzati in tal
senso dall’Amministrazione comunale, e non è dunque
ascrivibile ai ricorrenti una insufficiente diligenza o
comunque un affidamento “colpevole” se essi hanno accolto la
richiesta di pagamento diretto rivolta loro da funzionario
che non aveva in realtà titolo all’incasso del denaro; né,
poi, è significativo che i due assegni bancari siano stati
consegnati al funzionario infedele senza l’indicazione
dell’intestatario –nel dichiarato presupposto che l’ufficio
comunale avrebbe in séguito provveduto ad integrarli in
parte qua–, in quanto la contestuale restituzione della c.d.
“scheda oneri” con il timbro “pagato” (situazione richiamata
anche dal giudice penale quale prassi osservata dal
funzionario infedele per ingannare gli interessati)
rappresentava circostanza in sé convincente, secondo un
parametro di diligenza media, della correttezza della
procedura in atto e dell’incasso della somma da parte
dell’ente, in un contesto ambientale riconducibile alla
medesima Amministrazione ed in relazione ad un funzionario
investito della funzione di Responsabile dello Sportello
Unico per l’Edilizia, quindi in condizioni che
ragionevolmente escludevano la sussistenza di motivi per
dubitare della liceità della condotta dell’interlocutore
pubblico.
Quanto, poi, alla responsabilità del creditore nel
determinarsi delle circostanze univoche e concludenti che
hanno dato luogo all’insorgere della situazione apparente
per il privato, si presenta decisiva la circostanza che il
comportamento illecito del funzionario si sia svolta
all’interno della sfera di sorveglianza dell’Amministrazione
e in occasione dell’esercizio dei compiti a lui assegnati,
con la conseguenza che l’omessa adozione di misure
organizzative adeguate, e quindi l’insufficienza dei
controlli, ha favorito la condotta ingannevole del
funzionario nonché il legittimo convincimento del privato,
derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto
rispecchiasse la realtà giuridica.
Di qui la fondatezza della pretesa dei ricorrenti a vedersi
dichiarare liberati dall’obbligo di pagamento di una somma
di denaro che l’Amministrazione comunale assume ancora
dovuta, posto che il pregresso pagamento nelle mani del
funzionario infedele –in virtù del principio dell’apparenza
giuridica– aveva determinato l’estinzione dell’obbligazione
e la necessità che l’ente locale si rivalesse a quel punto
sul proprio dipendente.
Con permessi di costruire n. 22 del 15.07.2005
e n. 6 del 29.03.2006 il Comune di Zocca assentiva ai
ricorrenti la realizzazione di opere di “costruzione di
nuovo fabbricato ad uso civile abitazione”. Successivamente,
avendo accertato che il relativo contributo di costruzione
era stato solo in parte versato in tesoreria comunale (per
l’importo di € 7.555,17) e che residuava la somma
complessiva di € 48.362,96 (comprensiva anche degli
interessi legali e dei diritti di segreteria),
l’Amministrazione disponeva di provvedere al recupero di
quanto ancora dovuto (v. determinazione n. 5.047 del 05.06.2013, a firma della Responsabile del Servizio
Autonomo di Verifica delle pratiche edilizie pregresse) e
richiedeva quindi ai ricorrenti il pagamento di detta somma
(v. nota prot. n. 4816/2013 del 05.06.2013).
Avverso tali atti hanno proposto impugnativa gli
interessati.
Assumono non dovuta la somma richiesta loro, in
quanto a suo tempo versata a mezzo di assegni bancari
consegnati al Responsabile dello Sportello Unico per
l’Edilizia, secondo le modalità da questi indicate, e
pertanto entrata nella disponibilità del Comune di Zocca,
mentre la circostanza –accertata in sede penale con la
qualificazione del fatto come “peculato”– che il
funzionario avesse distratto il denaro a proprio favore non
poteva farne ricadere le conseguenze su chi era da ritenersi
estraneo a fatti interni all’ente locale; denunciano,
ancora, l’omessa considerazione che, in virtù del vincolo di
immedesimazione organica che lega l’Amministrazione ai
propri dipendenti, l’operato illecito di questi è imputabile
all’ente da cui dipendono, sicché il Comune di Zocca deve
rispondere anche della condotta del funzionario che, in
presenza del rapporto di “necessaria occasionalità” tra le
sue incombenze e l’attività compiuta, si è appropriato di
denaro destinato alle casse comunali; invocano, ancora, il
principio per cui il terzo può essere chiamato a subire le
conseguenze dell’operato illecito del funzionario infedele
solo nel caso di accordo fraudolento con il funzionario
medesimo o di sua condotta negligente, mentre nel caso di
specie essi hanno legittimamente confidato nella regolarità
dei versamenti effettuati, a fronte delle circostanze di
fatto in cui si è svolta la vicenda e della stessa astratta
possibilità che la riscossione fosse eseguita da soggetti
diversi dal tesoriere, così come previsto dalla normativa in
materia; lamentano, infine, che non si sia tenuto conto
dell’omessa vigilanza del Comune di Zocca sulla condotta del
funzionario infedele –responsabile di numerosi ammanchi–,
tanto da consolidarsi legittimamente nei cittadini
l’incolpevole affidamento circa la regolarità del modus
operandi poi rivelatosi illecito e da risultare l’ente
locale corresponsabile dei danni subiti dall’illecito
comportamento del proprio dipendente.
Di qui la richiesta di
annullamento degli atti impugnati, nonché di condanna
dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni e
alla restituzione dell’importo versato in eccedenza (€
6.381,14), con interessi legali e rivalutazione monetaria.
...
Il Collegio è chiamato ad accertare se, a séguito del
versamento del contributo di costruzione (a mezzo di assegni
bancari privi di intestazione) nelle mani di funzionario che
si è poi appropriato della relativa somma di denaro –sì da
patteggiare successivamente in sede penale per il reato di
“peculato”–, i ricorrenti siano o meno tenuti a
corrispondere all’Amministrazione quanto viene loro imputato
di non avere a suo tempo versato in tesoreria comunale.
Come è noto, l’art. 1189 cod.civ., che riconosce efficacia
liberatoria al pagamento effettuato dal debitore in buona
fede a chi appare legittimato a riceverlo, si applica, per
identità di ratio, sia all’ipotesi di pagamento effettuato
al creditore apparente, sia all’ipotesi in cui il pagamento
viene effettuato a persona che appaia autorizzata a
riceverlo per conto del creditore effettivo, ove
quest’ultimo abbia determinato o concorso a determinare
l’errore del solvens, facendo sorgere nel soggetto in buona
fede una ragionevole presunzione circa la rispondenza alla
realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens (v. tra le
altre, Cass. civ., Sez. II, 13.09.2012 n. 15339).
La
norma deroga al principio generale stabilito dall’art. 1188 cod. civ., secondo cui il pagamento è liberatorio solo se
effettuato al creditore o al suo rappresentante, ed è
collegata all’istituto dell’apparenza giuridica,
configurabile solo se l’apparenza risulti giustificata da
circostanze univoche e concludenti riferibili al creditore,
sì da far sorgere nel debitore un ragionevole affidamento,
esente da colpa, sull’effettiva sussistenza della facoltà
apparente dell’accipiens di ricevere il pagamento; in
presenza di tale prova –a carico del debitore–, incombe
sul creditore l’onere di provare a sua volta che il solvens
non ignorasse la reale situazione ovvero che l’affidamento
dello stesso fosse determinato da colpa.
Orbene, la peculiare situazione determinatasi nel caso di
specie –con il Responsabile dello Sportello Unico per
l’Edilizia del Comune di Zocca che ha incassato, senza
averne titolo, quanto dovuto dai ricorrenti per il
contributo di costruzione e ha poi distratto quella somma a
proprio profitto– integra un’ipotesi riconducibile alla
fattispecie di cui all’art. 1189 cod. civ. (“Il debitore che
esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in
base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere
stato in buona fede. Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto
alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole
stabilite per la ripetizione dell’indebito”), posto che i
ricorrenti adducono la loro buona fede circa le modalità di
versamento della somma di denaro spettante
all’Amministrazione comunale, e imputano alla stessa di
avere omesso di vigilare sulla condotta del funzionario,
colpevolmente favorendo la formazione di un legittimo
affidamento del privato in ordine alla regolarità di detta
condotta, oltretutto contraddistinta da numerosi episodi
analoghi.
La buona fede, in particolare, appare agevolmente
rinvenibile in un caso in cui il debitore, proprio per la
natura pubblica del soggetto che funge da controparte, ha
valide ragioni per ritenere che il comportamento di
quest’ultimo sia improntato a correttezza e al rispetto
della legalità, tenuto anche conto della circostanza che, a
norma dell’art. 180, comma 1, del «testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali» (d.lgs. n. 267/2000), la
“riscossione costituisce la successiva fase del procedimento
dell’entrata, che consiste nel materiale introito da parte
del tesoriere o di altri eventuali incaricati della
riscossione delle somme dovute all’ente”, sicché non appare
ragionevolmente esigibile dal cittadino comune la conoscenza
analitica dei soggetti di volta in volta autorizzati in tal
senso dall’Amministrazione comunale, e non è dunque
ascrivibile ai ricorrenti una insufficiente diligenza o
comunque un affidamento “colpevole” se essi hanno accolto la
richiesta di pagamento diretto rivolta loro da funzionario
che non aveva in realtà titolo all’incasso del denaro; né,
poi, è significativo che i due assegni bancari siano stati
consegnati al funzionario infedele senza l’indicazione
dell’intestatario –nel dichiarato presupposto che l’ufficio
comunale avrebbe in séguito provveduto ad integrarli in
parte qua–, in quanto la contestuale restituzione della
c.d. “scheda oneri” con il timbro “pagato” (situazione
richiamata anche dal giudice penale quale prassi osservata
dal funzionario infedele per ingannare gli interessati)
rappresentava circostanza in sé convincente, secondo un
parametro di diligenza media, della correttezza della
procedura in atto e dell’incasso della somma da parte
dell’ente, in un contesto ambientale riconducibile alla
medesima Amministrazione ed in relazione ad un funzionario
investito della funzione di Responsabile dello Sportello
Unico per l’Edilizia, quindi in condizioni che
ragionevolmente escludevano la sussistenza di motivi per
dubitare della liceità della condotta dell’interlocutore
pubblico.
Quanto, poi, alla responsabilità del creditore nel
determinarsi delle circostanze univoche e concludenti che
hanno dato luogo all’insorgere della situazione apparente
per il privato, si presenta decisiva la circostanza che il
comportamento illecito del funzionario si sia svolta
all’interno della sfera di sorveglianza dell’Amministrazione
e in occasione dell’esercizio dei compiti a lui assegnati,
con la conseguenza che l’omessa adozione di misure
organizzative adeguate, e quindi l’insufficienza dei
controlli, ha favorito la condotta ingannevole del
funzionario nonché il legittimo convincimento del privato,
derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto
rispecchiasse la realtà giuridica.
Di qui la fondatezza della pretesa dei ricorrenti a vedersi
dichiarare liberati dall’obbligo di pagamento di una somma
di denaro che l’Amministrazione comunale assume ancora
dovuta, posto che il pregresso pagamento nelle mani del
funzionario infedele –in virtù del principio dell’apparenza
giuridica– aveva determinato l’estinzione dell’obbligazione
e la necessità che l’ente locale si rivalesse a quel punto
sul proprio dipendente.
Pertanto, nei termini indicati il
ricorso va accolto, con conseguente annullamento degli atti
impugnati; in ragione di ciò, va anche condannata
l’Amministrazione comunale alla restituzione della somma a
suo tempo versata in eccedenza dagli interessati, avendo i
permessi di costruire n. 22/2005 e n. 6/2006 allora
quantificato in € 54.369,12 l’importo complessivo dovuto e
avendo ora il Comune di Zocca rideterminato quell’importo in
€ 48.028,67, con l’effetto di dover essere resa ai
ricorrenti la somma di € 6.340,45, con l’aggiunta degli
interessi legali dalla domanda giudiziale (data di
notificazione del ricorso) al saldo –dovendosi presumere
per il calcolo erroneo la buona fede dell’accipiens in
assenza di prova contraria–, mentre non compete la
rivalutazione monetaria trattandosi di pagamento di indebito
oggettivo ex art. 2033 cod.civ. (v., ex multis, TAR Sicilia,
Catania, Sez. I, 28.06.2013 n. 1921) e difettando
d’altronde la dimostrazione dell’eventuale maggior danno
subito. Va respinta, infine, la domanda di risarcimento dei
danni, nessuna prova essendo stata fornita in tal senso dai
ricorrenti.
Un’ultima questione è legata all’invocata declaratoria di
inammissibilità in parte qua del ricorso, eccezione
sollevata da tre funzionari comunali che lamentano di essere
stati indebitamente evocati in giudizio e che in ragione di
ciò chiedono la condanna dei ricorrenti per responsabilità
aggravata ex art. 96 cod. proc. civ. e per avere agito
temerariamente in giudizio ex art. 26 cod. proc. amm.
In
realtà, se è vero che la persona fisica autrice del
provvedimento amministrativo impugnato non è un
controinteressato perché carente del requisito sostanziale
della titolarità di una posizione giuridica di vantaggio
scaturente da quel provvedimento (v., ex multis, TAR
Basilicata 26.10.2007 n. 650), non si ravvisa tuttavia
la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art.
96 cod. proc. civ. e dell’art. 26 cod. proc. amm., in quanto
nessuna domanda giudiziale è stata proposta nei confronti
dei tre funzionari comunali, sicché la mera notificazione
del ricorso –evidentemente fatta ad abundantiam e in via
prudenziale– ben avrebbe potuto essere ignorata da chi era
consapevole di vantare al più un interesse di fatto al
rigetto del ricorso
(TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 04.04.2014 n. 380 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Le ordinanze sindacali contingibili e d'urgenza
in materia di igiene e sanità pubblica, ex art. 54 d.lgs.
267/2000, sono atti pacificamente rientranti nella
competenza del sindaco e sottratti, in ragione del loro
carattere cautelare e urgente, all’obbligo della previa
comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n.
241 del 1990.
---------------
E' legittima l'adottata ordinanza sindacale (per la
rimozione di una copertura in eternit) poiché sussistono in
concreto i presupposti della contingibilità e urgenza, posto
che l'accertato (da parte dell'Azienda Sanitaria) rischio di
dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente,
eziologicamente riconducibile allo stato di conservazione,
alla friabilità e all'estensione dei pannelli, per di più
collocati in area aperta al pubblico, assumeva i requisiti
di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza (intesa
come impellente necessità di provvedere al fine di non
pregiudicare l'interesse pubblico, che può essere
definitivamente danneggiato con il trascorrere del tempo)
richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per la
legittima adozione del provvedimento contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da
considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente
qualificata (come pure evincibile dalla valutazione
specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto
impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere
dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche
dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di
cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata
alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla
giurisprudenza, per cui le norme in materia di
partecipazione procedimentale vanno interpretate non in
senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e
oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al
rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non
può annullare il provvedimento per vizi formali che non
abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi,
allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato.
---------------
Appare condivisibile, in termini più generali, l’indirizzo
operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia
con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale
chiaramente orientato all'obiettivo primario della
progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il
quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in
eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di
accurate valutazioni tecnico-scientifiche, unicamente
laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti
atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona
manutenzione del manufatto.
Sul piano formale il provvedimento si sottrae a
tutti i rilievi contenuti in ricorso inerenti la legittimità
dell’iter procedimentale che ha condotto all’adozione
dell’ordinanza contingibile.
Innanzitutto, vanno respinte le tre censure (a, d, e)
riferite alla qualificazione giuridica dell’atto impugnato,
alle garanzie partecipative che ad esso si correlano e alla
competenza ad adottarlo da parte del sindaco.
Le deduzioni svolte sul punto dai ricorrenti, infatti, si
pongono in termini dissonanti rispetto al pacifico
orientamento giurisprudenziale che ascrive tale tipologia di
provvedimenti alla categoria delle ordinanze sindacali
contingibili e d'urgenza in materia di igiene e sanità
pubblica, ex art. 54 d.lgs. 267/2000. Si tratta di atti
pacificamente rientranti nella competenza del sindaco e
sottratti, in ragione del loro carattere cautelare e
urgente, all’obbligo della previa comunicazione di avvio del
procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990 (Cons. St, sez.
II, 28.04.2004, n. 3444; TAR Pescara sez. I, 13.04.2010, n. 433; TAR Basilicata sez. I, 21.06.2012, n. 296; Cons. St., sez. V, 19.09.2012, n. 4968;
TAR Bari sez. I, 01.08.2013, n. 1217).
Con specifico riguardo al caso in esame, la sussistenza in
concreto del presupposto del danno grave e imminente per
l’incolumità pubblica risulta esplicitata nel provvedimento,
sia attraverso un diretto riferimento allo scadente stato di
conservazione delle lastre, e quindi al livello medio di
esposizione alla fibre di amianto; sia per relationem agli
accertamenti tecnici condotti dall’ARPA.
Essa non è contraddetta, peraltro, dal fatto che siano stati
concessi 12 mesi per l’esecuzione dell’intervento di
rimozione. Nel calibrare i tempi di esecuzione,
l’amministrazione ha infatti dovuto contemperare l’urgenza
dell’opera di messa in sicurezza con la necessità di
concedere un termine congruo e tecnicamente proporzionato ai
tempi dell’autorizzazione e della realizzazione
dell’intervento, tenuto anche conto dell’entità della
superficie da bonificare (4500 mq) e dei necessari
protocolli procedurali imposti dalla normativa vigente in
materia.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, inoltre,
sussistevano in concreto i presupposti della contingibilità
e urgenza, posto che l'accertato (da parte dell'Azienda
Sanitaria) rischio di dispersione delle fibre di amianto
nell'ambiente, eziologicamente riconducibile allo stato di
conservazione, alla friabilità e all'estensione dei
pannelli, per di più collocati in area aperta al pubblico,
assumeva i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità
nonché di urgenza (intesa come impellente necessità di
provvedere al fine di non pregiudicare l'interesse pubblico,
che può essere definitivamente danneggiato con il
trascorrere del tempo) richiesti dalla legge e dalla
giurisprudenza per la legittima adozione del provvedimento
contingibile e urgente.
Alla luce dei citati presupposti e
di un'urgenza da considerare quindi, ad avviso del collegio,
sufficientemente qualificata (come pure evincibile dalla
valutazione specificamente resa dal Sindaco, sul punto,
nell'atto impugnato) legittimamente si è ritenuto di
prescindere dall'effettuazione delle modalità partecipative
tipiche dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i
canoni di cui alla legge n. 241/1990 (art. 7).
A questo riguardo trova adeguati margini applicativi al
caso di specie anche la disposizione di cui all'art. 21-octies della legge 241/1990, se solo si considera, per un
verso, che le parti resistenti hanno fornito adeguata
dimostrazione che il tenore dell’atto impugnato non sarebbe
mutato in caso di regolare comunicazione dell'inizio del
procedimento, stante l’inconferenza dei rilievi critici
sollevati sul punto dei ricorrenti.
Per altro verso,
l’affermazione secondo cui il contraddittorio con la parte
privata avrebbe consentito di selezionare meglio la
soluzione operativa da adottare, è contraddetta dal fatto
che neppure in sede processuale i ricorrenti hanno allegato
concreti elementi -inerenti il grado di efficacia e di
onerosità dei diversi interventi contemplati dalla
letteratura scientifica- dai quali possa desumersi
l’effettiva maggiore vantaggiosità delle misure di bonifica
tralasciate rispetto a quelle prescelte
dall’amministrazione.
Pertanto, anche sotto il profilo della scelta (certamente
connotata da margini di discrezionalità) dei rimedi da
adottare al fine di scongiurare il temuto danno alla salute,
la parte ricorrente non ha provato di aver risentito un
concreto pregiudizio dall’omesso esercizio delle facoltà
partecipative.
D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata
alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla
giurisprudenza, per cui le norme in materia di
partecipazione procedimentale vanno interpretate non in
senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e
oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al
rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non
può annullare il provvedimento per vizi formali che non
abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi,
allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato (Cons. Stato Sez. IV, 29.01.2014, n. 449; 31.01.2012, n. 480).
---------------
I ricorrenti assumono,
ancora, la presunta violazione del principio di
proporzionalità nella scelta dell'amministrazione di imporre
l'intervento di bonifica "più oneroso" -la rimozione della
copertura- "esistendo tecnicamente altre modalità di
intervento egualmente idonee, in astratto, a tutelare
l'interesse pubblico".
Tuttavia -al di là del fatto che, come già esposto, non è
stato allegato alcun elemento di stima dei costi di
interventi alternativi, in comparazione con quello qui
contestato, dal quale possa desumersi l’effettiva maggiore
gravosità della bonifica imposta- appare condivisibile, in
termini più generali, l’indirizzo operativo fatto proprio
dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro
legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato
all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del
materiale amianto, secondo il quale la conservazione di
alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi
tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni
tecnico-scientifiche, unicamente laddove sussista una
contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni
aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del
manufatto.
Ebbene, nessuna di dette circostanze è stata
riscontrata nel caso di specie, tenuto conto dell’accentuata
condizione di danneggiamento della copertura e della sua
considerevole superficie, fattori ai quali corrisponde -in
misura proporzionale– un altrettanto elevato rischio di
esposizione agli agenti atmosferici e di conseguente
dispersione del materiale pernicioso per la salute.
In conclusione, tutte le considerazioni sin qui esposte
denotano l’assenza di profili di irragionevolezza o
illogicità nelle valutazioni espresse dagli organi
consultivi compulsati ai fini dell'accertamento della
sussistenza del pericolo per la salute pubblica e della
conseguente individuazione degli opportuni rimedi.
Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 20.03.2014 n. 480 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quanto
al concetto di “sagoma”, essa è da intendersi, secondo
l’insegnamento giurisprudenziale, come la conformazione
planivolumetrica della costruzione ed il suo perimetro
considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il
contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le
strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti.
Risulta quindi rilevante, alla luce della normativa
applicabile nel presente giudizio, il concetto di “sagoma”,
giacché la sua modificazione comporta, con riferimento agli
interventi di demolizione e ricostruzione, il passaggio
dall’istituto della <ristrutturazione edilizia> a
quello della <sostituzione edilizia>.
Quanto al concetto di “sagoma”, essa è da intendersi,
secondo l’insegnamento giurisprudenziale, come la
conformazione planivolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti (cfr. Cons. Stato, Sez. 6^, 15.03.2013, n. 1564;
Corte cost. 23.11.2011, n. 309; Cass. Pen., sez. 3^,
09.10.2008, 38408 e 06.02.2001, n. 9427).
Avendo riguardo a tale concetto non par dubbio che nella
specie l’edificio progettato e autorizzato con il
provvedimento gravato comporti, rispetto a quello demolito,
una modificazione di sagoma, risultando ciò dagli elaborati
progettuali versati in atti e dagli stessi rilievi delle
parti negli atti di giudizio. In particolare è evidente il
diverso disegno e le diverse caratteristiche che il nuovo
edificio assume rispetto al vecchio se si tiene conto del
passaggio da una copertura tradizionale a falde inclinate ad
una copertura del nuovo edificio con andamento
semicircolare, delle modifiche degli aggetti e dei prospetti
e scale di accesso (ammesse anche dalla controinteressata),
del rialzamento del colmo della copertura di 80 cm misurati
esternamente (ammesso dalla controinteressata).
La diversità di sagoma, con riferimento al primo piano, è
stata accertata anche nella svolta verificazione (pagg. 16 e
19 della relazione finale; il verificatore, con riferimento
al primo piano, afferma che è stato totalmente reimpostato “cambiandone
completamente perimetro e sagoma”), il che conforta le
svolte considerazioni. Ne discende che la “sagoma”
del nuovo progettato edificio, da valutarsi come intervento
unitario, è sicuramente variata, il che esclude la sua
riconducibilità alla <ristrutturazione edilizia> e il
suo qualificarsi come <sostituzione edilizia>, il che
comporta la configurazione dell’intervento stesso come nuova
costruzione e non già come intervento sostanzialmente
conservativo della pregressa edificazione, con le
conseguenze che ne discendono (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza
23.01.2014 n. 156 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Edifici fatti a tappe comunque demoliti.
Stop ai lavori che impediscono la vista mare.
Stop ai lavori del vicino di casa che «impallano» la veduta
sul mare, anche se l'intervento di demolizione e successiva
riedificazione avviene con la tecnica del «cuci e scuci»,
che comporta tappe progressive: si tratta comunque di una
nuova costruzione. Soltanto il decreto del fare ha
cancellato il vincolo del rispetto della sagoma nelle
ristrutturazioni edilizie, ma non si applica alle opere
preesistenti.
È quanto emerge dalla
sentenza
23.01.2014 n. 156,
pubblicata dal TAR Toscana, Sez. III.
Tecnica irrilevante.
Accolto il ricorso del confinante secondo cui è illegittimo
il permesso di costruire rilasciato per l'edificio che gli
ha tolto la vista sul panorama marino. E in effetti la
sagoma del fabbricato risulta cambiata e, nella specie, non
si applicano le novità introdotte dal decreto legge 69/2013:
non può essere retroattiva la disposizione con cui il
legislatore ha espunto il riferimento alla sagoma
dall'articolo 3, comma 1, lettera d), del Testo unico
sull'edilizia.
La demolizione e riedificazione del
fabbricato deve comunque essere considerata una nuova
costruzione ai fini del titolo abilitativo, al di là della
tecnica utilizzata, che pure non prevede un abbattimento
integrale ma solo parziale del manufatto.
Orecchia galeotta.
Nella specie che l'edificio in
costruzione è più alto di ben due metri e mezzo rispetto a
quello demolito. In particolare risultano evidenti il
diverso disegno e le differenti caratteristiche che il nuovo
fabbricato assume rispetto al vecchio. E ciò specie se si
tiene conto del passaggio dalla copertura tradizionale a
falde inclinate a una copertura del nuovo manufatto con
andamento semicircolare; senza dimenticare le modifiche ad
aggetti, prospetti e scale di accesso.
Nessun dubbio,
dunque, che sia cambiata la sagoma: nella nozione ai fini
normativi rientrano la conformazione della costruzione e il
suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale,
vale a dire il contorno che viene a assumere l'edificio,
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti. Galeotta in particolare fu l'«orecchia», cioè le
opere dalla forma ondulata realizzate sulla terrazza fronte
mare al piano sopraelevato. Insomma: il permesso di
costruire è annullato. Spese compensate
(articolo ItaliaOggi del 20.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza ha ben ritenuto compatibile
l’utilizzo del metodo <cuci e scuci> con la sussistenza, in
termini giuridici, all’esito della progressiva sostituzione
delle pareti dell’edificio preesistente, di un intervento di
nuova costruzione.
Deve solo essere aggiunto, in punto di qualificazione
dell’intervento edilizio de quo, che il Collegio non
ritiene che le conclusioni raggiunte al precedente punto 14
debbano essere modificate ove anche si prenda in
considerazione, secondo le prospettazioni delle parti
resistenti, che la tecnica utilizzata per la demolizione e
ricostruzione è stata quella del c.d. <cuci e scuci>,
consistente non già ad una integrale demolizione
dell’esistente seguita da successiva ricostruzione ma da una
progressiva demolizione e contestuale ricostruzione, per
parti, dell’edificio medesimo; a prescindere dal rilievo se
la demolizione sia in effetti avvenuta in modo integrale
unitario (come la svolta verificazione sembra suggerire) o
per parti progressive, non pare comunque che la tecnica
utilizzata possa venire ad incidere sulla tipologia di
intervento effettivamente realizzato e sulla sua conseguente
qualificazione giuridico-edilizia, avendo la giurisprudenza
ben ritenuto compatibile l’utilizzo del metodo <cuci e
scuci> con la sussistenza, in termini giuridici,
all’esito della progressiva sostituzione delle pareti
dell’edificio preesistente, di un intervento di nuova
costruzione (TAR Veneto, sez. 2^, 27.07.2009, n. 2226) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza
23.01.2014 n. 156 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
diversa oggettiva localizzazione del fabbricato su una
porzione dell’area di sedime diversa da quella individuata
in occasione del rilascio del titolo autorizzatorio non può
essere semplicemente ricondotta ad una difformità parziale,
bensì deve essere qualificata come variazione essenziale,
così come definita dall’art. 8, lettera c), della legge n.
47/1985 e dall’art. 92, comma 3, lettera c), della legge
regionale 61/1985.
Va, quindi, condiviso e confermato l’orientamento
interpretativo richiamato dalla difesa del Comune, già
manifestato da questo Tribunale, per cui la modifica della
localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo
spostamento del fabbricato in un’area pressoché diversa da
quella prevista all’atto del rilascio del titolo edilizio,
costituisce una variante essenziale, in quanto profilo che
può condizionare la compatibilità dell’intervento con i
parametri urbanistici e le connotazioni dell’area.
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E' costante l’orientamento giurisprudenziale in base al
quale in sede di sanatoria o di condono di un manufatto
abusivo risulta ininfluente l'epoca in cui è sorto il
vincolo, purché questo sia ancora in essere alla data in cui
deve essere valutata la domanda di sanatoria, sicché detta
regola vale anche per le opere eseguite anteriormente
all'apposizione del vincolo stesso.
Invero, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie in
sanatoria, la valutazione della compatibilità
dell’intervento con il vincolo deve essere effettuata in
relazione all'esistenza del vincolo al momento in cui deve
essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere
dall'epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto,
atteso che tale valutazione corrisponde all'esigenza di
vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei
manufatti realizzati abusivamente.
Atteso che la richiesta di sanatoria è stata presentata nel
2006 e quindi in un’epoca in cui il vincolo già era
esistente, trattandosi di opera implicante incremento di
superficie e di volume e quindi non rientrante nell’ambito
delle ipotesi in cui è eccezionalmente consentito -in base
ai commi 4 e 5 dell’art. 167 D.lgs. 42/2004- il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, il diniego
del comune è legittimo.
... per l'annullamento del provvedimento comunale 24/07/1997
n. 16/1997 di demolizione opere edili;
...
Invero, come è dato rilevare dai riscontri effettuati
dall’amministrazione e soprattutto dalla visione delle
planimetrie, l’edificio realizzato sulla base della
concessione n. 783/1984 doveva essere localizzato in una
posizione più arretrata rispetto a quella rilevata, mentre
risulta sopravanzato in direzione nord di ben 60 ml.
In tal modo, benché, come riportato testualmente nella
concessione edilizia 783/1984 (cfr. doc. 6 del Comune), la
costruzione avrebbe dovuto interessare unicamente il mappale
n. 27, nella realtà il suddetto mappale è stato coinvolto
nell’intervento in minima parte, risultando la quasi
totalità del fabbricato posizionata sui diversi mappali 300
e 25, entrambi proiettati in direzione nord verso il
cimitero (cfr. doc. 5 Comune).
Ne consegue che, anche tenendo conto delle diverse e
maggiori dimensioni del fabbricato in termini di superficie
e volumetria rispetto a quanto autorizzato (in tal senso le
stesse misurazioni contenute nella domanda di sanatoria
dimostrano tali incrementi), la diversa oggettiva
localizzazione del fabbricato su una porzione dell’area di
sedime diversa da quella individuata in occasione del
rilascio del titolo autorizzatorio, non può, come auspicato
da parte ricorrente, essere semplicemente ricondotta ad una
difformità parziale, bensì deve essere qualificata come
variazione essenziale, così come definita dall’art. 8,
lettera c), della legge n. 47/1985 e dall’art. 92, comma 3,
lettera c), della legge regionale 61/1985.
Va, quindi, condiviso e confermato l’orientamento
interpretativo richiamato dalla difesa del Comune, già
manifestato da questo Tribunale, per cui la modifica della
localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo
spostamento del fabbricato in un’area –come nel caso in
esame– pressoché diversa da quella prevista all’atto del
rilascio del titolo edilizio, costituisce una variante
essenziale, in quanto profilo che può condizionare la
compatibilità dell’intervento con i parametri urbanistici e
le connotazioni dell’area: ed il caso in esame è la prova
della rilevanza del rispetto di tali parametri, proprio in
considerazione della necessità di rispettare il vincolo
cimiteriale, di modo che lo spostamento in avanti e verso
nord, in direzione del cimitero, avrebbe evidentemente
costituito, laddove correttamente rappresentato, una causa
di impedimento al conseguimento della concessione edilizia.
Invero, nonostante che nella planimetria allegata al
permesso di costruire il fabbricato venisse posizionato al
di fuori del limite della fascia di rispetto cimiteriale, in
realtà questo è stato poi localizzato in un’area che
all’epoca della sua realizzazione era pacificamente
considerata rientrante nella fascia di inedificabilità per
la presenza nelle vicinanze del cimitero.
Sul punto –passando così ad affrontare la questione relativa
alla sanabilità dell’abuso- è agevole desumere dall’esame
del documento n. 7 del Comune i diversi momenti storici nei
quali è stata prevista la diversa estensione del vincolo
cimiteriale.
Orbene, sicuramente sino al 1998 (anche fosse il 1997 la
questione non muterebbe, dovendosi fare riferimento
all’epoca di costruzione del capannone ed in base
all’accatastamento del 1989 l’edificio “G” risulta già
esistente) il fabbricato insisteva in area coperta dal
vincolo di rispetto cimiteriale, solo successivamente
eliminato.
Ne consegue che al momento della realizzazione del
fabbricato “G” l’area di sedime realmente interessata
dall’intervento era compresa nell’ambito della fascia di
rispetto cimiteriale.
Sulla base di questo dato oggettivo, il quale conferma che
al momento della realizzazione dell’opera questa risultava
illegittimamente posizionata in una area non edificabile,
non è possibile il conseguimento della sanatoria ex art. 36
del D.P.R. 380/2001 per mancanza della cd. “doppia
conformità”, ossia la conformità alle prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti al momento della
realizzazione dell’opera e quelle vigenti al momento in cui
è stata richiesta la sanatoria.
Il dato così rilevato assume rilevanza dirimente rispetto ad
ogni altra considerazione circa la pretesa illegittimità del
provvedimento che ha denegato la sanatoria, in quanto, come
correttamente ritenuto nel provvedimento di diniego, le
variazioni apportate all’originaria licenza costituiscono
variazione essenziale rispetto all’originaria licenza e
mancano del requisito della doppia conformità sia al momento
della realizzazione che al momento dell’istanza.
A tale, si ripete, dirimente profilo, che è sufficiente a
sorreggere il provvedimento di diniego, si aggiunge
l’ulteriore aspetto evidenziato nel provvedimento impugnato
e cioè l’impossibilità del rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica.
Sul punto va ricordato che dal 1999 tutto il territorio di
Monfumo è soggetto a vincolo paesaggistico, per cui, in base
alla normativa oggi vigente in materia di rilascio delle
autorizzazioni per interventi da eseguirsi in ambiti
protetti, comunque non sarebbe consentito ottenere
un’autorizzazione a sanatoria.
A tale riguardo è costante l’orientamento giurisprudenziale
in base al quale in sede di sanatoria o di condono di un
manufatto abusivo risulta ininfluente l'epoca in cui è sorto
il vincolo, purché questo sia ancora in essere alla data in
cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, sicché
detta regola vale anche per le opere eseguite anteriormente
all'apposizione del vincolo stesso (Cons. Stato, sez. IV,
18.09.2012, n. 4945; sez. VI, 27.11.2012, n. 5984).
Invero, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie in
sanatoria, la valutazione della compatibilità
dell’intervento con il vincolo deve essere effettuata in
relazione all'esistenza del vincolo al momento in cui deve
essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere
dall'epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto,
atteso che tale valutazione corrisponde all'esigenza di
vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei
manufatti realizzati abusivamente.
Atteso che la richiesta di sanatoria è stata presentata nel
2006 e quindi in un’epoca in cui il vincolo già era
esistente, trattandosi di opera implicante incremento di
superficie e di volume e quindi non rientrante nell’ambito
delle ipotesi in cui è eccezionalmente consentito -in base
ai commi 4 e 5 dell’art. 167 D.lgs. 42/2004- il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, l’inciso
contenuto nel provvedimento impugnato risulta corretto.
Né sussistono gli ulteriori profili di illegittimità
denunciati per quanto riguarda il preteso contrasto fra
quanto anticipato in sede di comunicazione dei motivi
ostativi e quanto poi concluso nel provvedimento finale.
Invero, anche alla luce delle osservazioni rese dalla
ricorrente a seguito della comunicazione ex art. 10-bis, si
evince che la stessa è stata posta nelle condizioni di
comprendere appieno i motivi ostativi al rilascio del tiolo
a sanatoria, in ordine alla doppia conformità ed alla
sussistenza del vincolo, essendo le problematiche relative
all’intervento argomento ben conosciuto e ampiamente
dibattuto fra privato ed amministrazione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.12.2013 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 21.05.2014 |
ã |
L'INTERROGATIVO DELLA SETTIMANA: può il
tecnico comunale "diplomato" redigere
il Regolamento Edilizio?? |
Sgombriamo subito dal campo ogni possibile equivoco
su false aspettative: ancorché sia stato equiparato,
il regolamento edilizio, a strumenti urbanistici a
carattere pianificatorio generale, l'incentivo alla
progettazione (interna) non spetta giusta la
recentissima pronuncia della Corte dei Conti, Sez.
Autonomie,
deliberazione 15.04.2014 n. 7, con la quale è
stata posta la parola "FINE" al contrasto interpretativo della
norma di specie tra le varie Sezioni regionali di
controllo.
Ciò premesso, ci è pervenuto un quesito circa la
legittimità -o meno- della deliberazione consiliare
di approvazione del Regolamento Edilizio redatto a
firma del tecnico comunale diplomato e non laureato.
Ebbene, abbiamo cercato qua e là e di
giurisprudenza/dottrina sull'argomento non abbiamo
trovato nulla, se non alcuni quesiti cui ha risposto
la Regione Friuli Venezia Giulia, dai cui riscontri
emerge chiaramente l'invocata risposta e cioè:
Atteso che la stesura del regolamento edilizio
comunale si configura quale attività finalizzata
alla redazione di atto regolamentare caratterizzato
da rilevante complessità (per la cui realizzazione
sono richieste conoscenze di natura
giuridico-normativa, nonché tecnico-specialistica),
si ritiene
che tale attività rientri tra le mansioni e
competenze riconducibili alla declaratoria peculiare
della categoria D.
Inoltre, essendo stato equiparato, il regolamento
edilizio, a strumenti urbanistici a carattere
pianificatorio generale, pare che
la redazione dello
stesso debba essere riservata a soggetti muniti di
idoneo titolo di laurea tecnica e che abbiano
superato l'esame di abilitazione professionale.
Se qualcuno è a conoscenza di qualche contributo
giurisprudenziale/dottrinario sull'argomento è
cortesemente invitato di inviarcelo (all'indirizzo
info.ptpl@tiscali.it) che sarà prontamente
pubblicato a vantaggio di tutti.
Qui sotto è riportato tutto ciò che -al momento-
abbiamo reperito sull'argomento.
21.05.2014 - LA SEGRETERIA PTPL |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE:
Personale degli enti locali. Regolamento edilizio comunale e
incentivo.
Ritenendo equiparato, il regolamento
edilizio, a strumenti urbanistici a carattere pianificatorio
generale, l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha
ritenuto possibile, anche per la redazione del medesimo, il
riconoscimento, ai dipendenti interessati, del compenso
previsto dalla legislazione vigente per la redazione degli
atti di pianificazione.
Vanno tuttavia tenute presenti le precisazioni desumibili
dai pareri della Corte dei Conti (sez. Reg. controllo
Lombardia 57/2012 e 259/2012).
Il Comune chiede se sia ammissibile attribuire il compenso
incentivante previsto dall'art. 92, comma 6
[1], del
d.lgs. n. 163/2006 (codice contratti), per la revisione del
regolamento edilizio, in relazione ad alcune recenti
pronunce della Corte dei conti Lombardia
[2].
L'Ente ritiene, infatti, che la revisione del regolamento
edilizio non possa essere assimilata ad una attività diretta
alla 'redazione di un atto di pianificazione', ma
bensì sia qualificabile come attività variamente
sussidiaria, rientrante tra le competenze proprie del
personale dipendente appartenente all'area tecnica.
Conseguentemente, non sembrerebbe possibile attribuire alcun
compenso per lo svolgimento di detta attività, in quanto,
violando il dettato normativo e il principio di
onnicomprensività del trattamento economico del pubblico
dipendente, si potrebbe configurare una responsabilità di
natura contabile/amministrativa in capo a chi disponesse in
tal senso.
Occorre, anzitutto, ricordare che lo scrivente si è già
espresso sulla questione prospettata con un precedente
parere [3],
in cui si osservava che il regolamento edilizio comunale è
stato in alcune occasioni equiparato per natura, funzione e
grado di incidenza, a strumenti urbanistici a carattere
pianificatorio generale, come il programma di fabbricazione
o il piano regolatore generale «in considerazione
dell'idoneità di tale strumento a disciplinare l'attività
costruttiva in tutto il territorio comunale, al pari dei
suddetti atti di pianificazione urbanistica».
[4]
Ancorché il regolamento edilizio comunale trovi la propria
disciplina nel contesto delle disposizioni concernenti la
materia edilizia [5]
e possieda contenuti e caratteristiche distinte da quelle
riconducibili allo strumento urbanistico
[6], in tale sede
si era preso atto dell'equiparazione sopra riportata.
Inoltre, con riferimento alla questione specifica della
possibilità di riconoscere l'incentivo di cui all'art. 11,
comma 3, della L.R. n. 14/2002 per la redazione del
regolamento edilizio, si era, in detto contesto,
rappresentato che l'Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, con la determinazione n. 43/2000,
nell'interpretare la dizione 'atto di pianificazione
comunque denominato', contenuta nell'art. 18, comma 2,
della legge 11.02.1994, n. 109, ha ritenuto che, in detta
fattispecie, «possano ricomprendersi, oltre che i vari
tipi di atti di pianificazione, anche quegli atti a
contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti
edilizi, che accedono alla pianificazione, purché completi e
idonei alla successiva approvazione da parte degli organi
competenti».
Considerato che la formulazione dell'art. 11, comma 3, della
l.r. 14/2002, è identica a quella utilizzata dal legislatore
nazionale, si era pervenuti pertanto ad una conclusione
positiva in merito alla erogazione del relativo incentivo,
reputando valide anche nell'ambito degli enti territoriali
della nostra Regione le predette considerazioni.
Premesso un tanto, preliminarmente si ritiene doveroso
richiamare l'attenzione dell'Ente sul fatto che, nel
frattempo, sono intervenute sia disposizioni a livello
legislativo, che orientamenti giurisprudenziali, improntati
a regolamentare un severo contenimento della spesa pubblica.
In particolare, si osserva che l'art. 9, comma 2-bis, del
d.l. n. 78/2010 ha imposto un 'congelamento' delle
risorse decentrate dei pubblici dipendenti, impedendone
l'incremento oltre i limiti già stabiliti per l'anno 2010, a
decorrere dal 2011 e fino al 2013. La riduzione di tale
tipologia di spesa rappresenta uno specifico obiettivo
vincolato di finanza pubblica al cui rispetto devono
concorrere sia gli enti sottoposti al patto di stabilità che
quelli esclusi. La ratio del citato art. 9, comma
2-bis, del d.l n. 78/2010, convertito, con modificazioni,
nella l. n. 122 del 2010 è dunque quella di cristallizzare
al 2010 il tetto di spesa relativo all'ammontare complessivo
delle risorse presenti nei fondi unici che sono destinati al
trattamento accessorio del personale di ciascuna
amministrazione di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
165/2001.
Alla luce del quadro normativo di riferimento, la Corte dei
conti, Sezioni riunite in sede di controllo
[7], ha
rimarcato come la citata norma sia di stretta
interpretazione, sicché, in via di principio essa non possa
ammettere deroghe o esclusioni, in quanto la regola generale
voluta dal legislatore è quella di porre un limite alla
crescita dei fondi della contrattazione integrativa
destinati alla generalità dei dipendenti pubblici.
In tale sede la Corte dei conti ha osservato che le sole
risorse di alimentazione dei fondi da ritenere non
ricomprese nell'ambito applicativo della norma in argomento,
sono solo quelle destinate a remunerare prestazioni
professionali tipiche di soggetti individuati o
individuabili, che peraltro potrebbero essere acquisite
attraverso il ricorso all'esterno dell'amministrazione
pubblica con possibili oneri aggiuntivi per il bilancio
degli enti.
Al riguardo, si è precisato che detta caratteristica ricorre
per quelle risorse finalizzate a incentivare prestazioni
poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, in
quanto in tal caso si tratta di risorse correlate allo
svolgimento di prestazioni professionali specialistiche
offerte da personale qualificato in servizio presso
l'amministrazione pubblica.
Pertanto, ad avviso della Corte dei conti, Sezioni riunite,
fra le altre fattispecie, le sole risorse che affluiscono al
fondo, che siano destinate a compensare le attività poste in
essere per la progettazione di opere pubbliche e quelle
riservate all'erogazione dei compensi legati agli incentivi
per la progettazione devono ritenersi escluse dall'ambito
applicativo della norma in esame.
Inoltre, con specifico riferimento al contenuto delle
sentenze della corte dei conti Lombardia, richiamate
dall'Ente istante, si osserva che le medesime contengono
comunque puntualizzazioni e argomentazioni degne di
considerazione, ai fini di una corretta erogazione del
compenso di cui si discute, pur non riferendosi in concreto
alla fattispecie specifica della redazione del regolamento
edilizio.
La citata sezione della Corte dei conti [8]
ribadisce innanzitutto che, nel rispetto del principio di
onnicomprensività della retribuzione del pubblico
dipendente, nulla è dovuto, oltre al trattamento economico
fondamentale ed accessorio stabilito dai contratti
collettivi, al dipendente che ha svolto una prestazione che
rientra nei suoi doveri d'ufficio, anche se di particolare
complessità e più lautamente retribuita sul mercato
professionistico.
Per contro, la legge si riserva la possibilità di
disciplinare in modo diretto, qualitativamente o
quantitativamente, la struttura del trattamento economico,
nonché ulteriori specifici compensi, come nel caso dell'art.
92, comma 6, del Codice dei contratti pubblici.
In particolare, il Giudice contabile riconduce la predetta
norma ad uno di quei casi nei quali il legislatore,
derogando al principio dell'onnicomprensività del
trattamento economico, stabilisce speciali compensi,
eventualmente rinviando alla disciplina contrattuale e
regolamentare la definizione dei criteri di riparto.
Conseguentemente, si deve escludere che un ente locale, con
un proprio regolamento, possa fissare unilateralmente
specifici compensi, al di fuori di previsione di legge che a
ciò espressamente l'autorizzino, ovvero al di fuori della
disciplina fissata dalla contrattazione collettiva.
In special modo, la Corte dei conti sottolinea che gli
interventi del legislatore, in quanto derogatori,
costituiscono eccezioni e si prestano a stretta
interpretazione e per i quali sussiste il divieto di
analogia di cui all'art. 12 delle preleggi.
Alla luce di tali affermazioni, e nell'ambito dell'attuale
contesto normativo in cui si collocano, volto, in linea
generale, al contenimento della spesa pubblica, è opportuno
valutare, nel caso di specie, in cui è in programma la
revisione del regolamento edilizio, se tale attività (che si
è appreso, dalla documentazione inviata, consistere
nell'adeguamento del regolamento alle sopravvenute
disposizioni normative), per i suoi contenuti, e per
l'impegno qualitativo e quantitativo richiesto e per la
professionalità specifica necessaria, possa essere
ricondotta alla nozione di 'redazione' di un atto di
pianificazione (inteso come redazione di un progetto di
lavori [9])
come definito da dottrina e giurisprudenza.
Sulla base delle considerazioni riportate, per la Corte dei
conti, sezione regionale per la Lombardia, ne consegue che
comunque l'art. 92, comma 6, del codice contratti non
potrebbe costituire titolo per l'erogazione di speciali
compensi ai dipendenti che svolgono attività sussidiarie,
strumentali o di supporto alla redazione di atti di
pianificazione affidata a professionisti esterni.
Tale disposizione, infatti abilita (nella misura
autoritativamente fissata dalla legge) a riconoscere uno
speciale compenso, al di là del trattamento economico
ordinariamente spettante, solo in presenza dei due seguenti
elementi di fattispecie:
a) sul piano dell'oggetto, che la prestazione consista nella
diretta 'redazione di un atto di pianificazione', e
non in attività variamente sussidiarie che rientrano nei
doveri d'ufficio dei dipendenti, nel contesto dell'attività
di governo del territorio;
b) implicitamente, che la redazione dello stesso non sia
stata esternalizzata ad un professionista esterno.
In sostanza, la Corte dei conti esclude il diritto al
compenso di cui si discute nel caso in cui non si tratti di
redazione dell'atto di pianificazione, ma di 'specifici
compiti e funzioni assolti dal personale dipendente
dell'Ente in qualità di componenti del C.d. Ufficio di Piano',
quindi di compiti strumentali e comunque svolti nell'ambito
della specifica competenza istituzionale dell'ente di
governo del territorio, vale a dire in attività rientranti
nei doveri d'ufficio.
Parimenti, la citata sezione ritiene che l'estensione dei
compensi per la redazione di atti di pianificazione non
possa essere conseguita tramite l'esercizio della potestà
regolamentare, cui viene affidata, esclusivamente, la
fissazione di 'criteri e modalità' di ripartizione.
In conclusione, si ritiene che la possibilità di riconoscere
l'incentivo di cui trattasi, anche per la revisione del
regolamento edilizio, vada valutata ala luce dei parametri
esposti dalla Corte dei conti, ferme restando le specifiche
limitazioni di ordine finanziario sopra illustrate, tenendo
conto, nel caso di specie, dell'effettivo contenuto
dell'attività necessaria richiesta a tal fine.
---------------
[1] La norma, peraltro identica nella formulazione
all'art. 11, comma 3, della l.r. n. 14/2002, prevede che il
trenta per cento della tariffa professionale relativa alla
redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, con le modalità e dei criteri previsti in
regolamento, tra i dipendenti dell'amministrazione
aggiudicatrice che lo abbiano redatto.
[2] Cfr. sez. reg. di controllo per la Lombardia, pareri n.
57/2012 e n. 259/2012.
[3] Cfr. nota n. 15416 del 22.09.2010, consultabile sul sito
http://autonomielocali.regione.fvg.it.
[4] Così parere A.N.C.I. del 02.12.1997, che si esprime in
relazione a quesito concernente la possibilità di
qualificare come atto di pianificazione il regolamento
edilizio comunale, ai fini del riconoscimento degli
incentivi per la progettazione.
Si segnala che il predetto parere richiama Consiglio di
Stato, sez. V, sentenze 04.11.1977, n. 969 e 21.02.1994, n.
104 e Corte di cassazione 12.11.1975, n. 3810, il cui testo
non è risultato reperibile.
[5] Vale a dire l'art. 4 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, per il quale il regolamento
edilizio «deve contenere la disciplina delle modalità
costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle
normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di
sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze
degli stessi» e l'art. 7 della legge regionale 11.11.2009,
n. 9, secondo cui «Il regolamento edilizio disciplina, salvi
gli ulteriori contenuti prescritti dalle altre leggi di
settore aventi incidenza sulla materia edilizia e
igienico-sanitaria, le attività di costruzione e di
trasformazione fisica e funzionale delle opere edilizie
[...]».
[6] In quanto, mentre lo strumento urbanistico effettua la
suddivisione in 'zone' del territorio comunale, il
regolamento edilizio disciplina le 'modalità costruttive'
(disponendo, in particolare, in ordine alle altezze, alle
distanze dei fabbricati, all'ampiezza dei cortili e degli
spazi interni, all'aspetto dei fabbricati, ecc.) e possiede
carattere normativo.
[7] Cfr. n. 51/CONTR/11.
[8] Vedasi, in particolare, il parere n. 259/2012.
[9] Cfr. Corte dei conti, sez. reg. di controllo per la
Toscana, del. n. 213/2011/PAR
(31.07.2012 -
link a
www.regione.fvg.it). |
COMPETENZE
PROGETTUALI - URBANISTICA:
Personale degli enti locali. Regolamento edilizio.
Atteso che la stesura del regolamento
edilizio comunale si configura quale attività finalizzata
alla redazione di atto regolamentare caratterizzato da
rilevante complessità (per la cui realizzazione sono
richieste conoscenze di natura giuridico-normativa, nonché
tecnico-specialistica), si ritiene che tale attività rientri
tra le mansioni e competenze riconducibili alla declaratoria
peculiare della categoria D.
Inoltre, essendo stato equiparato, il regolamento edilizio,
a strumenti urbanistici a carattere pianificatorio generale,
pare che la redazione dello stesso debba essere riservata a
soggetti muniti di idoneo titolo di laurea tecnica e che
abbiano superato l'esame di abilitazione professionale.
Il Comune chiede se sia ammissibile attribuire ad un proprio
dipendente, sprovvisto di titolo di studio universitario
(trattasi di geometra), l'incarico di procedere alla
revisione del regolamento edilizio comunale, nonché se, per
lo svolgimento di tale attività, sia possibile riconoscere
l'incentivo di cui all'art. 11, comma 3, della legge
regionale 31.05.2002, n. 14, stante le indicazioni contenute
nella determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici n. 43 del 25.09.2000 [1].
Occorre, anzitutto, ricordare che il regolamento edilizio
comunale è stato in alcune occasioni equiparato per natura,
funzione e grado di incidenza, a strumenti urbanistici a
carattere pianificatorio generale, come il programma di
fabbricazione o il piano regolatore generale «in
considerazione dell'idoneità di tale strumento a
disciplinare l'attività costruttiva in tutto il territorio
comunale, al pari dei suddetti atti di pianificazione
urbanistica». [2]
Ancorché il regolamento edilizio comunale trovi la propria
disciplina nel contesto delle disposizioni concernenti la
materia edilizia [3]
e possieda contenuti e caratteristiche distinte da quelle
riconducibili allo strumento urbanistico
[4], in
considerazione dell'equiparazione sopra riportata, appare
necessario svolgere le seguenti, ulteriori, considerazioni.
Dalla lettura della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150,
della circolare del Ministero dei lavori pubblici 07.07.1954
[5], n.
2495 [6]
e della direttiva del Ministro dei lavori pubblici del
febbraio 1998 [7]
si evince che l'attività di pianificazione urbanistica si
avvale di competenze specializzate, tanto nell'ipotesi in
cui queste siano presenti all'interno dell'ufficio tecnico,
quanto ove si debba procedere all'affidamento dell'incarico
a liberi professionisti.
Anche se la legge 1150/1942 non individua una specifica
figura professionale alla quale affidare gli incarichi in
argomento, la circolare n. 2945/1954 chiarisce che gli
elaborati di progetto devono essere debitamente firmati da
un ingegnere o un architetto, iscritto all'Albo
professionale.
Successivamente, è stata istituita la laurea in urbanistica
ed è stato individuato l'ambito di attività del laureato in
tale disciplina, il quale opera nel settore pubblico e
privato anche attraverso l'elaborazione di piani urbanistici
e territoriali con relativi strumenti attuativi.
Più recentemente, con decreto del Presidente della
Repubblica 05.06.2001, n. 328, sono state apportate
modifiche ed integrazioni alla disciplina dei requisiti per
l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per
l'esercizio di talune professioni (quali quelle di
architetto, di ingegnere e di geometra), nonché alla
disciplina dei relativi ordinamenti ed è stata istituita
-tra le altre- la figura professionale del pianificatore,
con conseguente individuazione delle relative competenze,
elencate all'art. 16, comma 2 e comma 5, lett. b)
[8].
Pertanto, pare doversi ritenere che la redazione di
strumenti urbanistici costituisca attività riservata a
soggetti muniti di idoneo titolo di laurea e che abbiano
superato l'esame di abilitazione professionale
[9].
Ciò posto, va anche evidenziato che la giurisprudenza, in
generale, ha delimitato la competenza del geometra,
affermando, ad esempio, che: 'è pacifico che la redazione
di un piano di lottizzazione costituisce attività che
chiaramente richiede una competenza programmatoria in tale
settore, anche se si limita l'attività a opere di modesta
entità, e nonostante che la stessa sia posta in attuazione
delle previsioni dello strumento urbanistico generale. [...]
La redazione di un tale strumento concerne indubbiamente la
realizzazione di un complesso di opere che richiede una
visione d'insieme e pone problemi di carattere
programmatorio che indubbiamente postulano valutazioni
complessive che non rientrano nella competenza professionale
del geometra, così come definita dall'art. 16 del r.d.
11.02.1929 n. 274' [10].
Occorre, inoltre, considerare la questione posta anche sotto
un profilo di inquadramento professionale/contrattuale.
A tal proposito, infatti, si osserva che il comma 4
dell'art. 35 del CCRL del 07.12.2006 precisa che le
categorie di classificazione del personale degli enti locali
sono individuate mediante le declaratorie riportate
nell'allegato A al contratto medesimo, ove è descritto
l'insieme dei requisiti professionali necessari per lo
svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse.
Esaminando la declaratoria relativa alla categoria D, emerge
che i lavoratori inquadrati nella stessa svolgono attività
caratterizzate da 'elevate conoscenze
pluri-specialistiche (la base teorica di conoscenze è
acquisibile con il diploma di laurea o con il diploma di
laurea specialistico) ed un grado di esperienza pluriennale'.
Atteso che la stesura del nuovo regolamento edilizio si
configura quale attività finalizzata alla redazione di atto
regolamentare caratterizzato da rilevante complessità (per
la cui realizzazione sono richieste conoscenze di natura
giuridico-normativa, nonché tecnico-specialistica), tale
compito è riconducibile alle mansioni e competenze proprie
della declaratoria riferita alla categoria D.
Si ritiene opportuno, inoltre, riportare anche le ulteriori
considerazioni espresse dalla Regione Piemonte, in sede
consultiva [11].
In un parere la citata regione, infatti, ha rilevato come,
sulla base di quanto previsto dalla legislazione, dalla
contrattazione e dalla giurisprudenza, sia ormai consolidato
che gli enti locali, nel caso scegliessero di reclutare
personale idoneo a redigere strumenti urbanistici generali,
debbano prevedere nella pianta organica il profilo di
funzionario direttivo categoria D) e richiedere, per
l'accesso a tale profilo, il possesso di una delle seguenti
lauree:
- ingegneria;
- architettura;
- urbanistica;
- pianificazione territoriale e urbanistica;
- pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale,
oltre all'iscrizione negli appositi albi che ne consentano
l'esercizio della professione.
Pertanto, il personale assunto nella categoria C), pur se in
possesso del diploma di laurea specialistico, può svolgere
solo i compiti e le funzioni della categoria per la quale è
stato selezionato.
Per quanto concerne poi la seconda questione posta, si
rappresenta che l'Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, con la citata determinazione n. 43/2000,
nell'interpretare la dizione 'atto di pianificazione
comunque denominato', contenuta nell'art. 18, comma 2,
della legge 11.02.1994, n. 109, ha ritenuto che, in detta
fattispecie, «possano ricomprendersi, oltre che i vari
tipi di atti di pianificazione, anche quegli atti a
contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti
edilizi, che accedono alla pianificazione, purché completi e
idonei alla successiva approvazione da parte degli organi
competenti».
Considerato che la formulazione dall'art. 11, comma 3, della
l.r. 14/2002, è identica a quella utilizzata dal legislatore
nazionale, le predette considerazioni si reputano valide
anche nell'ambito degli enti territoriali della nostra
Regione, ferma restando la competenza del soggetto deputato
a redigere tale atto.
---------------
[1] «Incentivo per la progettazione ex art. 18 L.
109/1994 e successive modificazioni».
[2] Così parere A.N.C.I. del 02.12.1997, che si esprime in
relazione a quesito concernente la possibilità di
qualificare come atto di pianificazione il regolamento
edilizio comunale, ai fini del riconoscimento degli
incentivi per la progettazione.
Si segnala che il predetto parere richiama Consiglio di
Stato, sez. V, sentenze 04.11.1977, n. 969 e 21.02.1994, n.
104 e Corte di cassazione 12.11.1975, n. 3810, il cui testo
non è risultato reperibile.
[3] Vale a dire l'art. 4 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, per il quale il regolamento
edilizio «deve contenere la disciplina delle modalità
costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle
normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di
sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze
degli stessi» e l'art. 7 della legge regionale 11.11.2009,
n. 9, secondo cui «Il regolamento edilizio disciplina, salvi
gli ulteriori contenuti prescritti dalle altre leggi di
settore aventi incidenza sulla materia edilizia e
igienico-sanitaria, le attività di costruzione e di
trasformazione fisica e funzionale delle opere edilizie
[...]».
[4] In quanto, mentre lo strumento urbanistico effettua la
suddivisione in 'zone' del territorio comunale, il
regolamento edilizio disciplina le 'modalità costruttive'
(disponendo, in particolare, in ordine alle altezze, alle
distanze dei fabbricati, all'ampiezza dei cortili e degli
spazi interni, all'aspetto dei fabbricati, ecc.) e possiede
carattere normativo.
[5] In alcuni documenti recanti, invece, la data del
07.07.1957.
[6] «Formazione dei piani regolatori generali e particolari.
Istruzioni ministeriali».
[7] «Indirizzi operativi e chiarimenti di alcune norme della
Legge quadro dei Lavori pubblici e in merito al decreto
legislativo 17.03.1995, n. 157. Affidamento di incarichi
professionali in materia di urbanistica e paesaggistica
(categoria 12 della classificazione comune dei prodotti n.
867 contenuta nell'allegato 1 del Dlgs 157/1995)».
[8] Per tale nuova figura è comunque richiesta la laurea e
l'iscrizione all'albo professionale.
[9] Da una ricerca effettuata in merito ai requisiti
prescritti per l'affidamento esterno dell'incarico di
redazione del regolamento edilizio comunale, è emerso come i
relativi bandi di gara o gli schemi di incarico
professionale prevedano il possesso della laurea tecnica
specifica in architettura o ingegneria, unitamente alla
relativa abilitazione professionale ed iscrizione all'albo.
[10] Cons. di Stato, sez. IV, sentenza n. 4620 del 2001 e
TAR Piemonte-Torino, sez. I, sentenza 15.06.2010, n. 2839.
Si è inoltre sancito che, ad esempio, laddove un piano di
recupero presenti, nella sostanza, contenuti esclusivamente
edilizi senza coinvolgere aspetti pianificatori tipici della
programmazione urbanistica, lo stesso è identificabile come
uno strumento attuativo costituito attraverso valutazioni ed
elaborati tipici di un permesso di costruire ed avente ad
oggetto un'opera di modesta entità, che rientra senz'altro
nella competenza professionale del geometra
[11] Cfr. parere n. 137/2008, consultabile sul sito:
www.regionepiemonte.it/autonomie/consulenza/htm
(22.09.2010 -
link a
www.regione.fvg.it). |
COMPETENZE
PROGETTUALI - URBANISTICA:
Personale degli enti locali. Variante urbanistica e
regolamento edilizio.
Si ritiene che la redazione di varianti
urbanistiche possa essere redatta esclusivamente da
dipendenti laureati, in possesso della relativa
abilitazione, in relazione a quanto disposto dall'art.
32-bis della L.R. 52/1991 e dall'art. 9, c. 2, della L.R.14/2002.
Inoltre, si reputa che l'attività di stesura del regolamento
edilizio rientri tra le mansioni e competenze ascrivibili
alla declaratoria della categoria professionale D.
Il Comune ha chiesto di conoscere il parere del Servizio in
ordine ad alcune problematiche concernenti la redazione
delle varianti urbanistiche e del regolamento edilizio
comunale. In particolare, l'ente si è posto la questione se
tali atti possano essere redatti e sottoscritti da personale
tecnico/diplomato e/o da personale laureato in architettura,
ma non in possesso dell'abilitazione professionale.
Sentito, per le vie brevi, il Servizio Affari generali,
amministrativi e consulenza-pianificazione della Direzione
centrale pianificazione territoriale, energia, mobilità e
infrastrutture di trasporto, si espongono le seguenti
considerazioni.
Per quanto concerne la stesura di una variante urbanistica,
si osserva che l'art. 32-bis della legge regionale
19.11.1991, n. 52 fa espresso riferimento al 'professionista
incaricato della redazione della variante' e, pertanto,
tale attività, per la sua natura e complessità, appare
assimilabile all'attività di progettazione. A tal proposito,
l'art. 9, comma 2, della legge regionale 31.05.2002, n. 14
prescrive che i progetti redatti, tra gli altri, dagli
uffici tecnici delle stazioni appaltanti siano firmati da
dipendenti in possesso del titolo di abilitazione o
equipollente, ai sensi della normativa vigente in materia.
L'abilitazione cui fa riferimento la norma consiste nel
superamento dell'esame di Stato, che conferisce titolo
all'eventuale esercizio di una determinata libera
professione [1].
Dall'esame, inoltre, di quanto disposto all'art. 5, lett.
c), della legge 02.03.1949, n. 143 [2],
emerge come lo 'studio di piani regolatori di viabilità
ed edilizia urbana' rientri fra le prestazioni peculiari
riconducibili alla specifica competenza della
professionalità di ingegneri ed architetti.
Pertanto, non pare possibile prescindere dal possesso dei su
richiamati requisiti (personale laureato ed abilitato
[3]),
anche per la redazione delle varianti urbanistiche.
Per quanto concerne, poi, la competenza alla stesura del
regolamento edilizio, si ritiene opportuno fare riferimento,
al di là del titolo di studio posseduto, alla categoria
professionale di appartenenza del dipendente.
In particolare, il comma 4 dell'art. 25 del CCRL del
01.08.2002 precisa che le categorie dell'ordinamento
professionale del personale degli enti locali sono
individuate mediante le declaratorie riportate nell'allegato
E) al contratto medesimo, ove è descritto l'insieme dei
requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle
mansioni pertinenti a ciascuna di esse.
Esaminando la declaratoria relativa alla categoria D, emerge
che i lavoratori inquadrati nella medesima svolgono attività
caratterizzate da 'elevate conoscenze plurispecialistiche
(la base teorica di conoscenze è acquisibile con il diploma
di laurea o con il diploma di laurea specialistico) ed un
grado di esperienza pluriennale, con frequente necessità di
aggiornamento'. Tra le mansioni caratteristiche di tale
categoria è indicata, inoltre, 'la predisposizione di
schemi di atti e lo sviluppo di elaborazioni
amministrativo-contabili di rilevante complessità ed
ampiezza'.
Con riferimento alla natura del regolamento edilizio
comunale, tale atto è stato equiparato, per funzione e grado
di incidenza, a strumenti urbanistici a carattere
pianificatorio generale, come il programma di fabbricazione
o il piano regolatore generale [4],
in considerazione dell'idoneità di tale strumento a
disciplinare l'attività costruttiva in tutto il territorio
comunale, al pari dei suddetti atti di pianificazione
urbanistica.
Atteso che la redazione del regolamento edilizio si
configura, quindi, quale attività finalizzata alla stesura
di atto regolamentare caratterizzato da rilevante
complessità (per la cui realizzazione sono richieste
conoscenze di natura giuridico-normativa, nonché tecnico
specialistica), si reputa che tale attività rientri tra le
mansioni e competenze ascrivibili alla declaratoria
peculiare della categoria D.
---------------
[1] Vedasi, da ultimo, la disciplina introdotta dal
D.P.R. 05.06.2001, n. 328.
[2] 'Approvazione della tariffa professionale degli
ingegneri ed architetti'.
[3] Cfr. anche nota del 02.02.2005 del Consiglio Nazionale
degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori
(che si allega in copia), per quanto concerne l'ordinamento
della professione di architetto.
[4] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, n. 104 del 21.02.1994 e
parere ANCI del 02.12.1997
(25.08.2005 -
link a
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Pubblichiamo altri tre quesiti di cui due, di fatto,
risultano -ad oggi- superati in termini di spettanza
dell'incentivo alla progettazione e che, invece,
sono utili al fine dell'inquadramento urbanistico
del Regolamento Edilizio.
|
COMPETENZE PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Competenze Istruttore
tecnico - geometra.
Il
Comune di XXX dispone alle proprie dipendenze di n.
1 unità di personale, assunta con contratto
individuale di lavoro a tempo indeterminato
stipulato il 14.12.2007 nel profilo professionale di
"ISTRUTTORE TECNICO", categoria C., assegnata al
Servizio Urbanistica–Edilizia Privata, attualmente
non iscritta all’Ordine degli Ingegneri ed in
possesso dei seguenti titoli di studio:
- diploma di Geometra;
- diploma di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e
il Territorio.
Il Comune chiede, ai sensi dell’art. 79 della L.R.
05/12/1977, n. 56:
1) se detto personale possa progettare per il Comune
gli strumenti urbanistici generali ed esecutivi,
relative revisioni, varianti (strutturali, parziali)
e loro modifiche, come contemplati dalla vigente
Legge Regionale Urbanistica;
2) se per lo svolgimento di dette o talune di dette
prestazioni il dipendente debba necessariamente
essere iscritto all’Albo degli Ingegneri;
3) quali siano gli elaborati, previsti dall’art. 14,
comma 1, della Legge Regionale 56/1977 e s.m.i., che
eventualmente detto lavoratore NON è legittimato a
formare (Regione Piemonte,
parere n. 137/2008 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE - URBANISTICA:
Se i dipendenti
che abbiano predisposto e redatto un regolamento
edilizio possano concorrere alla ripartizione della
percentuale di legge quale incentivo alla
progettazione (interna).
Quesito
Il n. 2, c. 4, art. 13 della l. 17.05.1999 n. 144 afferma che
"il 30% della tariffa professionale relativa alla redazione
di un atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, con le modalità ed i criteri previsti nel regolamento di cui al c. 1, tra i dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto".
Ciò premesso, si chiede di sapere se i dipendenti che
abbiano predisposto e redatto un regolamento edilizio possano concorrere alla ripartizione della percentuale di cui
sopra.
Risposta
Il comma 2 dell'art. 18 della l. n. 109/1994, come sostituito
dall'art. 13 della l. 15.05.1999 n. 144, dispone che "il 30%
della tariffa professionale relativa alla redazione di un
atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con
le modalità ed i criteri previsti nel regolamento di cui al
comma 1, tra i dipendenti dell'amministrazione che lo
abbiano redatto". Il regolamento edilizio è stato peraltro
più volte equiparato, per natura e funzione e grado di
incidenza a strumenti urbanistici a carattere pianificatorio
generale come il programma di fabbricazione o il piano
regolatore generale (Cfr. CDS V, 04.11.1977 n. 969, Cass.
12.11.1975 n. 3810. Cass. III 02.12.1987, CDS V, 21.02.1994 n. 104)
in considerazione della idoneità di tale strumento a
disciplinare l'attività costruttiva in tutto il territorio
comunale al pari dei suddetti atti di pianificazione.
In
base ad una interpretazione lata della norma si potrebbe
quindi ritenere ammissibile l'utilizzazione del fondo
incentivo a favore dei dipendenti che hanno redatto il
regolamento edilizio evidenziandosi come tale strumento sia
espressione anch'esso del potere di "pianificazione" che
compete alla PA in materia urbanistica anche se tale
normativa non contenga direttamente documenti di
carattere strettamente grafico progettuale ma
potendosi tuttavia assimilare a questi
regolamentando in via generale ed organica intere
situazioni.
Va infatti comunque rilevato che, in
generale, la parte progettuale e quella tecnico-normativa di cui si compongono gli strumenti di
pianificazione urbanistica siano da ritenersi, in
via di principio, del tutto equiparabili e di pari
efficacia prescrittiva
(07.09.1999 -
tratto da
www.ancirisponde.ancitel.it). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE - URBANISTICA:
Se è possibile qualificare come atto di
pianificazione il regolamento edilizio comunale al
fine di percepire un importo previsto fino al 50 per
cento della tariffa professionale di un pari
incarico a professionista esterno.
Quesito
Al fine della costituzione del fondo interno da ripartire
tra il personale degli uffici tecnici di cui all'art. 6,
comma 13, Legge n. 127/1997, è possibile qualificare come atto
di pianificazione il regolamento edilizio comunale al fine
di percepire un importo previsto fino al 50 per cento della
tariffa professionale di un pari incarico a professionista
esterno?
Risposta
Il comma 1 dell'art. 18 della l. n. 109/1994, come sostituito
dal comma 13 dell'art. 6 della l. n. 127/1997, prevede che
"l'1 per cento del costo preventivato di un'opera o di un
lavoro ovvero il 50 per cento della tariffa professionale
relativa ad un atto di pianificazione generale,
particolareggiata o esecutiva sono destinati alla
costituzione di un fondo interno e da ripartire tra il
personale degli uffici tecnici dell'amministrazione
aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione,
qualora essi abbiano redatto direttamente i progetti o i
piani, il coordinatore unico di cui all'art. 7, il
responsabile del procedimento, e i loro collaboratori".
Lo
scopo della disposizione va, peraltro, individuato
nell'esigenza di incentivare lo sviluppo della
"progettualità" interna alle PA sia per quanto attiene
l'esecuzione delle oo.pp. sia, più in generale, per quanto
riguarda l'attività di "pianificazione" nei vari settori
pubblici (come quello urbanistico-edilizio) in cui la
stessa risulta necessaria.
Per quanto concerne, in
particolare, il regolamento edilizio comunale, si rileva che
tale normativa è stata più volte equiparata, per natura,
funzione e grado di incidenza a strumenti urbanistici a
carattere pianificatorio generale come il programma di
fabbricazione o il piano regolatore generale (Cfr. CDS V,
04.11.1977 n. 969; Cass. 12.11.1975 n. 3810; Cass. III
02.12.1987;
CDS V, 21.02.1994 n. 104) in considerazione della idoneità di
tale strumento a disciplinare l'attività costruttiva in
tutto il territorio comunale al pari dei suddetti atti di
pianificazione urbanistica.
Si potrebbe quindi ritenere che
anche il regolamento edilizio sia espressione del potere di
"pianificazione" che compete alle PA in materia urbanistica
anche se tale normativa può non contenere documenti di
carattere strettamente grafico-progettuale ma potendo
assimilarsi a questi tutti quegli elaborati che
regolamentino in via generale ed organica intere situazioni.
Va infatti comunque considerato che, in generale, la parte
progettuale e quella tecnico-normativa di cui si compongono
gli strumenti di pianificazione urbanistica sono da
ritenersi, in via di principio, del tutto equiparabili e di
pari efficacia prescrittiva
(02.12.1997 -
tratto da
www.ancirisponde.ancitel.it). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 20.05.2014, "Indirizzi
regionali in merito all’applicazione del regolamento
inerente l’autorizzazione unica ambientale (AUA)"
(deliberazione
G.R. 16.05.2014 n. 1840). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 19.05.2014 n. 114 "Testo
del decreto-legge 20.03.2014, n. 34, coordinato con la legge
di conversione 16.05.2014, n. 78, recante:
“Disposizioni urgenti per favorire il rilancio
dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti
a carico delle imprese”.".
---------------
Di interesse si legga:
►
Art. 4. - Semplificazioni in
materia di documento unico di regolarità contributiva |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: accesso dei Laureati Triennali ai Concorsi
Pubblici (Ordine degli Ingegneri di Bergamo,
nota 06.05.2014 n. 440 di prot.). |
DOTTRINA
E CONTRIBUTI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
L. Spallino,
Note sulla parità di genere nelle giunte comunali alla luce
della legge n. 56/2014
(20.05.2014 - link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Mariano,
La
cessione di cubatura (02.07.2010
- link a www.diritto.it).
---------------
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La posizione della
giurisprudenza. - 3 Le principali posizioni della dottrina.
- 3.1 Teoria della servitù. - 3.2 Teoria del diritto di
superficie. - 3.3 Teoria della rinunzia abdicativa. - 3.4
Teoria del negozio traslativo di un diritto reale. - 3.5
Teoria del negozio con effetti meramente obbligatori. - 4.
L’opponibilità della cessione ai terzi. - 5. La necessaria
correlazione tra atto privato e atto amministrativo nella
cessione di volumetria. Considerazioni conclusive. |
QUESITI & PARERI |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Relazione, niente sconti.
Sul fine mandato coinvolti tutti gli enti.
Nessuna esclusione per le situazioni antecedenti al dlgs
149/2011.
L'obbligo di redigere, secondo le modalità di cui al decreto
interministeriale del 26.04.2013, la relazione di fine
mandato, sussiste anche per i comuni i cui mandati siano
iniziati antecedentemente all'entrata in vigore dell'art. 4
decreto legislativo 06.09.2011, n. 149?
Nelle more dell'adozione del decreto interministeriale con
il quale sono stati approvati gli schemi tipo di relazione,
nelle diverse forme previste, l'art. 4 del decreto
legislativo n. 149/20111 è stato modificato, con dl n.
174/2012, proprio al fine di rendere immediatamente
applicabile la disposizione normativa, anche in caso di
mancata adozione del provvedimento interministeriale.
Peraltro, il comma 6 dell'art. 4 citato prevede rilevanti
sanzioni a carico degli amministratori, del responsabile del
servizio finanziario e del segretario generale, in caso di
inadempimento e di mancata pubblicazione nel sito
istituzionale dell'ente del documento. Ciò premesso, si
ritiene che l'obbligo si estenda anche alle amministrazioni
il cui mandato è iniziato prima dell'08.12.2012, data di
entrata in vigore del decreto legislativo di cui si sta
trattando
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Amministratori e spese in
giudizio.
È possibile rimborsare le spese e le competenze legali ad
amministratori comunali assolti in sede penale con sentenza
passata in giudicato «perché il fatto non costituisce
reato»?
Nell'ordinamento corrente non è possibile rinvenire norme
che prevedono la possibilità di rimborsare agli
amministratori locali le spese legali sostenute per giudizi
instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in
essere nell'esercizio delle proprie funzioni.
In passato, parte della giurisprudenza aveva ritenuto di
poter estendere in via analogica agli amministratori locali
la normativa che consente tale rimborso per i dipendenti
degli enti locali, sulla base dell'avverarsi di alcuni
presupposti, quali la sussistenza di una connessione con i
compiti d'ufficio dei fatti oggetto del processo penale, la
mancanza di conflitto di interessi con l'amministrazione di
appartenenza, nonché la conclusione del processo penale con
una sentenza di assoluzione.
Secondo altri indirizzi ermeneutici, la possibilità di tale
ricorso all'analogia nella materia in questione è preclusa.
Infatti, è stato ritenuto non pertinente il richiamo
all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando
emerga un vuoto normativo nell'ordinamento, vuoto che nella
specie non è apparso configurabile, atteso che il
legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina
per due situazioni non identiche fra loro, e tale diversità
non si presenta priva di razionalità, atteso che gli
amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma
sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non
all'ente) del loro operato (cfr: sent. Cass. civ. sez. I n.
12645 del 25/05/2010).
Anche la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Basilicata, con la sentenza n. 165 del 15.10.2012, ha
confermato tale orientamento, al quale ha aderito anche
questo ministero, escludendo un'interpretazione estensiva
della relativa disciplina prevista per i dipendenti e
ritenendo anche non condivisibile la tesi
dell'applicabilità, con il ricorso al procedimento
analogico, dell'art. 1720 del codice civile nella parte in
cui dispone che «il mandato deve inoltre risarcire i danni
che il mandatario ha subito a causa dell'incarico».
Da ultimo, nella specifica materia è intervenuta la Corte
dei conti, sezione regionale per il Veneto la quale, con il
parere reso in data 06.11.2013, ha ritenuto che debba
essere rimesso al prudente apprezzamento
dell'amministrazione ogni valutazione circa la sussistenza,
nel caso concreto, dei presupposti per procedere al rimborso
delle predette spese legali nei confronti dei propri
amministratori.
La scelta delle modalità con le quali applicare tale
beneficio, secondo la citata sezione regionale, rientra
nell'ambito dell'esercizio della discrezionalità
dell'amministrazione comunale e, pertanto, la decisione di
provvedere o meno al rimborso dovrà essere frutto di una
valutazione propria dell'ente medesimo, nel rispetto delle
previsioni legali e contrattuali, rientrante nelle
prerogative esclusive dei relativi organi decisionali,
trattandosi di ambito riservato alle scelte dell'ente che
deve osservare accorte regole di sana gestione finanziaria e
contabile.
Tuttavia, pur prendendo atto di detta recente pronuncia
della Sezione regionale per il Veneto della Corte dei conti,
questa amministrazione, in assenza di un dirimente
intervento legislativo, non ravvisa motivi per discostarsi
dal proprio precedente orientamento, sia in considerazione
dell'attuale situazione economica che induce ad adottare
ogni possibile misura contenitiva della spesa pubblica, sia
per l'ampio dibattito giurisprudenziale che, allo stato, non
sembra aver prodotto un indirizzo consolidato
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Parere in merito alla tutela dell’affidamento
del privato nel caso di abuso edilizio molto datato nel
tempo e mai contestato (Regione Emilia Romagna,
parere 12.05.2014 n. 201593 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Risposta a quesito interpretativo su
ristrutturazione con modifica di destinazione d’uso con
opere (Regione
Emilia Romagna,
parere 08.02.2013 n.
35234 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: parere sulla disciplina edilizia e urbanistica
dei dehors
(Regione Emilia Romagna,
parere
20.12.2011 n. 307880 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: risposta a quesito relativo al carattere abusivo
di un edificio costruito nel 1938 e
ricostruito nel 1948
(Regione Emilia Romagna,
parere
19.10.2011 n. 253784 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
E’ chiesto parere in merito all’applicabilità
della L.R. n. 20/2009, in sanatoria, nel caso di
interventi di ampliamento di edifici esistenti eseguiti in
assenza di titolo edilizio.
Il Comune richiedente, in particolare, segnala che, presso i
propri uffici, è stata presentata istanza di permesso di
costruire in sanatoria per “la realizzazione di un
ampliamento relativo alla chiusura di un terrazzo
trasformato in camera, utilizzando la L.R. 20/2009”.
Il Comune chiede, dunque, di sapere se “è possibile
utilizzare tale normativa regionale per la sanatoria di
abusi edilizi considerando che, se da una parte, l’art. 5
prevede una serie di limitazioni, dall’altra parte se il
proprietario provvedesse a demolire l’abuso edilizio
potrebbe poi richiedere, proprio ai sensi della L.R. 20/2009
la costruzione di quanto demolito ottenendone (nel rispetto
degli altri adempimenti di legge) il benestare. Pare,
dunque, di essere in una situazione simile alla cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale”.
Pur in assenza di specificazioni sul punto, si evince, dal
tenore del quesito formulato –in particolare nel riferimento
all’istituto della cosiddetta “sanatoria
giurisprudenziale”- come l’intervento abusivo realizzato
nel caso concreto non risulti verosimilmente conforme agli
strumenti urbanistici vigenti al momento della sua
realizzazione e neppure agli strumenti urbanistici vigenti
alla data attuale, stante la richiesta di applicazione della
L.R. n. 20/2009 (in sanatoria): è infatti la L.R. 20/2009
che consente interventi “in deroga” al P.R.G.; se
l’ampliamento fosse ammesso dal piano, ovviamente non si
porrebbe neppure il problema descritto dal Comune (Regione
Piemonte,
parere n. 156/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruzione in area agricola di una
strada di accesso a proprietà privata.
E’ chiesto parere in merito alla legittimità del rilascio di
permesso di costruire per la realizzazione, in area
agricola, di una strada di accesso a proprietà privata.
Il Comune richiedente segnala che in data 21.07.2008 è stata
presentata, presso i propri uffici, istanza di permesso di
costruire per la realizzazione di una “strada di accesso
alla proprietà e formazione di recinzione” in area
agricola di P.R.G.C., soggetta sia a vincolo paesaggistico
sia a vincolo idrogeologico.
Come precisato dal Comune, a
seguito di richiesta di ulteriori informazioni, la strada in
progetto consentirebbe l’accesso carraio –e non soltanto
pedonale, come consente l’attuale passaggio– ad un nucleo
costituito da alcuni fabbricati ad uso abitativo siti, come
detto, in area agricola di piano regolatore generale.
Il Comune segnala inoltre –dopo aver precisato che il “progetto
definitivo del nuovo P.R.G.I. è stato adottato con
D.C.C.M.M.R. n. 17 del 21.09.2006”- che “sia
nell’art. 41 delle N.T.A. del P.R.G.C. vigente che nell’art.
3.5.1 Aree E1 delle N.T.A. del PRGC adottato non è normata
la realizzazione delle opere di cui sopra, bensì la nuova
costruzione è intesa come realizzazione di fabbricati
accessori per la residenza ed attrezzature rurali-agricole,
ma non è trattata la realizzazione di strade e viali di
accesso alla proprietà”.
Il Comune precisa, infine, che, per quanto concerne il
P.R.G.C. adottato, l’intervento in questione sarebbe normato,
in particolare, dall’art. 3.5.6 delle N.T.A. contenente “norme
particolari per gli edifici esistenti nel territorio
agricolo adibiti ad usi extra-agricoli o abbandonati”.
Il Comune chiede, dunque, se “davanti ad un vuoto
normativo a livello locale in merito a tale intervento sia
legittimo autorizzare tali opere o se la mancata
regolamentazione nelle NTA del PRGC operanti nel Comune sia
presupposto legittimo per il diniego del permesso di
costruire”
(Regione Piemonte,
parere n. 109/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
CORTE DEI CONTI |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE: L’amministrazione
deve preliminarmente (tenendo in debita evidenza il
principio interpretativo affermato dalla Sezione centrale),
verificare se il “contenuto specifico” dell’atto di
pianificazione “Piano degli Interventi con il recupero e la
valorizzazione delle aree a vincolo decaduto e delle aree di
trasformazione delle frazioni”, sia “strettamente connesso
alla realizzazione di un’opera pubblica” e sia
caratterizzato da “quel quid pluris di progettualità
interna”.
Una volta che l’amministrazione (la sola che detiene le
informazioni utili per detto accertamento) avrà confermato
l’esistenza di detto necessario presupposto legittimante
l’attribuzione dell’incentivo, si tratterà di verificare
l’ampiezza del novero dei destinatari dello stesso. Ciò, in
quanto nel medesimo quesito si fa riferimento ad una platea
variegata di dipendenti dell’ente (urbanisti, avvocati,
agronomi, geologi, informatici, geometri, periti,
disegnatori) che, a diverso titolo e con diversi apporti
professionali, potrebbero contribuire alla redazione
dell’atto di pianificazione cui si riferisce il comune di
Rovigo.
Proprio richiamando il dato testuale
dell’articolo 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 emerge
chiaramente come la platea dei destinatari dell’incentivo
(incentivo da ripartire con criteri e modalità fissati ex
ante da apposito strumento regolamentare), possa essere
ampia atteso che vi si annoverano “….i dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano
redatto…”.
Sul punto, tuttavia, in relazione all’esigenza di fissare
criteri idonei atti ad individuare detti dipendenti, appare
necessario preliminarmente richiamare il già citato
parere n. 361/2013
di questa Sezione laddove si è affermato che nella stesura
di un documento di pianificazione debba necessariamente
attribuirsi “….alle specifiche
professionalità del personale tecnico la elaborazione di una
analisi che richiede una complessità superiore, frutto del
necessario, imprescindibile apporto di una pluralità di
professionalità”.
Va peraltro sottolineato che, secondo la prevalente
giurisprudenza la redazione di un piano di lottizzazione e,
in genere, di uno strumento di pianificazione urbanistica
costituisce attività che richiede una competenza specifica
in tale settore attraverso una visione di insieme e la
capacità di affrontare e risolvere i problemi di carattere
programmatorio.
Il Collegio, conclusivamente, ritiene che una volta valutato
e verificato il collegamento tra l’attività di
pianificazione e la successiva realizzazione dell’opera
pubblica, i soggetti destinatari dell’incentivo di cui
trattasi siano i dipendenti dell’ente, in possesso dei
requisiti abilitanti (previsti dalla vigente normativa) per
eseguire prestazioni professionali, seppur in quota parte,
funzionali alla redazione dell’ atto di pianificazione.
Dipendenti appositamente individuati ed incaricati dalla
stessa amministrazione con specifico provvedimento.
---------------
Il Sindaco del Comune di Rovigo, formula a questa Sezione
una richiesta di parere, ai sensi dell'articolo 7, comma 8,
della Legge 131/2003, in merito all’applicazione dei
compensi per atti di pianificazione ai sensi dell’art. 92,
comma 6, del D.Lgs. n.163/2006.
Il legale rappresentante dell’ente, chiede nello
specifico:
1) “Se la redazione di un "Piano degli Interventi con
il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo
decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni"
possa rientrare nel novero degli atti di pianificazione
comunque denominati previsti dalla norma".
2) "Se l'incentivo possa essere corrisposto oltre che
ai dipendenti in possesso delle specifiche competenze
tecniche professionali relative all'ingegneria e
all'architettura, anche a dipendenti che partecipino alla
redazione del piano a vario titolo (urbanisti, avvocati,
agronomi, geologi, informatici, geometri, periti,
disegnatori)”.
...
Venendo al merito, con il primo quesito il sindaco di Rovigo
chiede se la “redazione di un "Piano degli Interventi con
il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo
decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni"
possa rientrare nel novero degli atti di pianificazione
comunque denominati previsti dalla norma di cui all’articolo
92, comma 6 del Codice appalti".
La disposizione da ultimo citata prevede espressamente che “Il
trenta per cento della tariffa professionale relativa alla
redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, con le modalità ed i criteri previsti nel
regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto".
In questa sede giova evidenziare che la Sezione, con il
proprio
parere 26.07.2011 n. 337, nel dare risposta ad un
quesito sempre vertente sulla possibilità di corresponsione
del corrispettivo di cui trattasi in caso di pianificazione
urbanistica generale, aveva proceduto ad una attenta
ricostruzione dell’istituto contemplato dal richiamato comma
6. Si affermava, in detto parere che la pianificazione
urbanistica implica una complessa partecipazione
multispecialistica che porta ad allargare necessariamente le
figure professionali coinvolte (oltre a ingegneri,
architetti, urbanisti non possono mancare geologi,
economisti, esperti di mobilità e infrastrutture, ecc.).
La questione del rapporto tra la pianificazione comunque
denominata e l’attività di pianificazione contemplata
nell’articolo 92, comma 6, ha trovato, invece,
approfondimento nel recente
parere 22.11.2013 n. 361
della Sezione nella quale, tra l’altro e per quello che qui
interessa, si richiama anche la posizione assunta
dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP)
nell'atto
di segnalazione 25.09.2013 n. 4
sul significato che deve assumere la dizione letterale “atto
di pianificazione comunque denominato” utilizzata dal
legislatore nel richiamato comma 6.
In detto Atto si sottolineava come “….l’applicazione
della norma è particolarmente ampia al punto che possano
essere ritenuti assoggettati alla categoria di “atti di
pianificazione comunque denominati” i piani di
lottizzazione, i piani per insediamenti produttivi, i piani
di zona, i piani particolareggiati, i piani regolatori, i
piani urbani del traffico, e tutti quegli atti aventi
contenuto normativo e connessi alla pianificazione, quali i
regolamenti edilizi, le convenzioni, purché completi per
essere approvati dagli organi competenti, ribadendo la
considerazione, svolta nelle citate note precedenti, che “tali
atti afferiscono, sia pure mediatamente, alla progettazione
di opere o impianti pubblici o di uso pubblico, dei quali
definiscono l’ubicazione nel tessuto urbano"
(l’Autorità a tal fine richiamava anche le seguenti pronunce
rese in precedenza: determinazione n. 43 del 25/09/2000;
deliberazione del 13/06/2000;
parere sulla normativa 10.05.2010 - rif. AG-13/10
e
parere sulla normativa 21.11.2012 - rif. AG-22/12).
Il Collegio,
in relazione al primo quesito posto dal Sindaco del
comune di Rovigo ed alla luce di quanto evidenziato nei
richiamati pareri della Sezione (ai contenuto dei quali si
rinvia) e nell’Atto di segnalazione n. 47/2013 dell’Autorità
citato, ritiene che il redigendo “Piano
degli Interventi con il recupero e la valorizzazione delle
aree a vincolo decaduto e delle aree di trasformazione delle
frazioni", assumendo valenza pianificatoria nel senso
sopra richiamato, possa ben essere ritenuto quale “atto
di pianificazione comunque denominato”.
In relazione al secondo quesito vertente sulla
possibilità che “…l'incentivo possa essere corrisposto
oltre che ai dipendenti in possesso delle specifiche
competenze tecniche professionali relative all'ingegneria e
all'architettura, anche a dipendenti che partecipino alla
redazione del piano a vario titolo (urbanisti, avvocati,
agronomi, geologi, informatici, geometri, periti,
disegnatori)” preliminarmente deve essere risolta la
questione della spettanza dell’incentivo in oggetto nelle
ipotesi di pianificazione “comunque denominata”.
Sul punto, giova richiamare la posizione interpretativa già
assunta dalla Sezione con proprio
parere 22.11.2013 n. 361
sopra richiamato (citato nella richiesta di parere e che
l’ente mostra di ben conoscere).
In tale sede, questa Sezione, sul tema specifico relativo
alla possibilità offerta agli enti pubblici appaltanti
dall’articolo 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, di
corrispondere quale incentivo il trenta per cento della
tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di
pianificazione comunque denominato ai dipendenti che lo
abbiano redatto (con le modalità ed i criteri previsti nel
regolamento in materia approvato dall’Amministrazione),
aveva riconosciuto tale possibilità indipendentemente dal
collegamento dell’attività di pianificazione alla successiva
realizzazione di un opera pubblica.
Il Collegio, affermando dapprima che le mansioni di
pianificazione generali richiedono una attività
multidisciplinare che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge, conclusivamente aveva ritenuto che la
stessa modalità di commisurazione del compenso (collegato ad
una percentuale delle tariffe professionali e fissato dalla
norma in modo sensibilmente diverso rispetto a quello
stabilito per l’attività di progettazione dell’opera
pubblica ove la commisurazione è legata ad una percentuale
del valore dell’opera), sia indice dell’intenzione del
legislatore di attribuire la giusta retribuzione
all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere
dal suo collegamento con un’opera pubblica.
Tale posizione interpretativa, peraltro, consentiva di
attribuire piena effettività all’operatività della norma in
oggetto anche in considerazione del fatto che non
necessariamente all’attività di pianificazione consegue
nell’immediatezza una successiva attività di progettazione
prima e realizzazione poi, di un opera pubblica. L’assenza
di detti ultimi elementi renderebbe di fatto non operativa
la disposizione di cui trattasi nei casi, tutt’altro che
rari, di pianificazione generale ove la realizzazione
dell’opera pubblica può essere assente o procrastinata nel
tempo.
Sulla questione oggetto del parere di cui trattasi, si sono
espresse altre Sezioni regionali di controllo che hanno
assunto divergenti posizioni interpretative in
considerazione del fatto che la disposizione in oggetto
–riferendosi alle amministrazioni aggiudicatrici– avrebbe
ristretto la corresponsione dell’incentivo alle sole ipotesi
di pianificazione urbanistica direttamente collegata alla
realizzazione di opere pubbliche.
La Sezione di controllo della Liguria, alla luce degli
emersi contrasti interpretativi sollevava questione
interpretativa davanti alla Sezione delle Autonomie ai sensi
dell’articolo 6, comma 4, del d.l. 10.10.2012, n. 174. La
sezione ligure, infatti, con il
parere 21.01.2014 n. 6,
rimetteva al Presidente della Corte dei conti per il
successivo deferimento alla Sezione delle Autonomie una
questione di massima in relazione a cosa debba intendersi
per “atti di pianificazione comunque denominati”:
dizione, quest’ultima, contenuta nel citato comma 6,
dell’art. 92 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
In particolare si dibatteva se la stessa dizione dovesse
essere intesa nel senso che il diritto all’incentivo per la
redazione di un atto di pianificazione sussista solo nel
caso in cui l’atto medesimo sia collegato direttamente ed in
modo immediato alla realizzazione di un’opera pubblica,
ovvero se l’anzidetto diritto si configuri anche
nell’ipotesi di redazione di atti di pianificazione generale
(quali ad esempio la redazione di un piano urbanistico
generale o attuativo ovvero di una variante), ancorché non
puntualmente connessi alla realizzazione di un’opera
pubblica.
La Sezione delle Autonomie, con propria
deliberazione 15.04.2014 n. 7
di orientamento, dopo aver ricostruito le diverse e
contrastanti posizioni interpretative delle varie Sezioni
regionali ha preliminarmente affermato che le disposizioni
di cui ai commi 5 e 6 del citato art. 92 “…..esprimono,
in modo evidente, il favor legis per l’affidamento a
professionalità interne alle amministrazioni aggiudicatrici
di incarichi consistenti in prestazioni d’opera
professionale e, pertanto, ove non ricorrano i presupposti
previsti dalle norme vigenti per l’affidamento all’esterno
degli stessi, le amministrazioni devono fare ricorso a
personale dipendente, al quale applicheranno le regole
generali previste per il pubblico impiego; il cui sistema
retributivo è basato sui due principi cardine di
onnicomprensività della retribuzione, sancito dall’art. 24,
comma 3, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, nonché di
definizione contrattuale delle componenti economiche,
fissato dal successivo art. 45, comma 1. Principi alla luce
dei quali nulla è dovuto oltre il trattamento economico
fondamentale ed accessorio, stabilito dai contratti
collettivi, al dipendente che abbia svolto una prestazione
rientrante nei suoi doveri d’ufficio….”.
Nel prosieguo, la Sezione delle Autonomie ha poi ritenuto
che il legislatore “……con le
disposizioni in esame, ha voluto riconoscere agli Uffici
tecnici delle amministrazioni aggiudicatrici un compenso
ulteriore e speciale, derogando agli anzidetti principi. In
effetti, le previsioni contenute nell’art. 92, ai commi 5 e
6, appaiono evidentemente relative a due distinte ipotesi di
incentivazione ed a due distinte deroghe ai ricordati
principi, in quanto, in un caso, la deroga riguarda la
redazione del progetto, del piano della sicurezza, della
direzione dei lavori, del collaudo, da ripartire per ogni
singola opera o lavoro tra il responsabile del procedimento
e gli incaricati della redazione e nell’altro caso la deroga
riguarda la redazione di un atto di pianificazione comunque
denominato, da ripartire fra i dipendenti
dell’amministrazione che lo abbiano, in concreto, redatto,
entrambe riferite alla progettazione di opere pubbliche. La
norma deve essere considerata, dunque, norma di stretta
interpretazione, non suscettibile di applicazione in via
analogica, alla luce del divieto posto dall’art.14 delle
disposizioni preliminari al codice civile, e neppure appare
possibile una lettura della definizione in essa contenuta
che attribuisca alla volontà del legislatore quanto dallo
stesso non esplicitato (lex minus dixit quam voluit)”.
In relazione a quanto sopra richiamato, i giudici della
nomofilachia hanno conclusivamente ritenuto che ai “…...fini
della riconoscibilità del diritto al compenso incentivante,
la corretta interpretazione delle disposizioni in esame
considera determinante, non tanto il nomen juris attribuito
all’atto di pianificazione, quanto il suo contenuto
specifico, che deve risultare strettamente connesso alla
realizzazione di un’opera pubblica, ovvero quel quid pluris
di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di
pianificazione generale”,
che costituisce il presupposto per l’erogazione
dell’incentivo. “Pertanto, ove tale
presupposto manchi, non è possibile giustificare la deroga
ai principi cardine in materia di pubblico impiego di
onnicomprensività e di definizione contrattuale delle
componenti del trattamento economico, alla luce dei quali,
nulla è dovuto oltre al trattamento economico fondamentale
ed accessorio stabiliti dai contratti collettivi, al
dipendente che abbia svolto una prestazione rientrante nei
suoi doveri d’ufficio….”.
Alla luce di quanto da ultimo affermato dalla Sezione delle
Autonomie deve essere affrontata, dunque, la seconda
questione interpretativa posta dal Sindaco del comune di
Rovigo in merito all’ampiezza della platea dei destinatari
dell’incentivo di cui alla norma in oggetto.
A tal fine, come si è accennato,
l’amministrazione dovrà preliminarmente (tenendo in debita
evidenza il principio interpretativo affermato dalla Sezione
centrale), verificare se il “contenuto specifico”
dell’atto di pianificazione “Piano degli Interventi con
il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo
decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni”,
sia “strettamente connesso alla realizzazione di un’opera
pubblica” e sia caratterizzato da “quel quid pluris
di progettualità interna”.
Una volta che l’amministrazione
(la sola che detiene le informazioni utili per detto
accertamento) avrà confermato l’esistenza
di detto necessario presupposto legittimante l’attribuzione
dell’incentivo, si tratterebbe di verificare l’ampiezza del
novero dei destinatari dello stesso. Ciò, in quanto nel
medesimo quesito si fa riferimento ad una platea variegata
di dipendenti dell’ente (urbanisti, avvocati, agronomi,
geologi, informatici, geometri, periti, disegnatori) che, a
diverso titolo e con diversi apporti professionali,
potrebbero contribuire alla redazione dell’atto di
pianificazione cui si riferisce il comune di Rovigo.
Proprio richiamando il dato testuale
dell’articolo 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 emerge
chiaramente come la platea dei destinatari dell’incentivo
(incentivo da ripartire con criteri e modalità fissati ex
ante da apposito strumento regolamentare), possa essere
ampia atteso che vi si annoverano “….i dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto…”.
Sul punto, tuttavia, in relazione all’esigenza di fissare
criteri idonei atti ad individuare detti dipendenti, appare
necessario preliminarmente richiamare il già citato
parere 22.11.2013 n. 361
di questa Sezione laddove si è affermato che nella stesura
di un documento di pianificazione debba necessariamente
attribuirsi “….alle specifiche
professionalità del personale tecnico la elaborazione di una
analisi che richiede una complessità superiore, frutto del
necessario, imprescindibile apporto di una pluralità di
professionalità”.
Va peraltro sottolineato che, secondo la prevalente
giurisprudenza (cfr. TAR Brescia, sez. I, 29.10.2008 n.
1466, Cons. St. Sez. IV 03.09.2001 n. 4620) la redazione di
un piano di lottizzazione e, in genere, di uno strumento di
pianificazione urbanistica costituisce attività che richiede
una competenza specifica in tale settore attraverso una
visione di insieme e la capacità di affrontare e risolvere i
problemi di carattere programmatorio.
Il Collegio, conclusivamente, ritiene che
una volta valutato e verificato il collegamento tra
l’attività di pianificazione e la successiva realizzazione
dell’opera pubblica, i soggetti destinatari dell’incentivo
di cui trattasi siano i dipendenti dell’ente, in possesso
dei requisiti abilitanti (previsti dalla vigente normativa)
per eseguire prestazioni professionali, seppur in quota
parte, funzionali alla redazione dell’ atto di
pianificazione. Dipendenti appositamente individuati ed
incaricati dalla stessa amministrazione con specifico
provvedimento
(Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto,
parere 14.05.2014 n. 319). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE: In
ordine al controverso pronunciamento tra le varie sezioni
regionali di controllo, la Sezione
delle Autonomie con la deliberazione 15.04.2014
n. 7, il cui contenuto è vincolante per le
Sezioni regionali di controllo, ha
risolto la questione ritenendo <<di “palmare evidenza” il
riferimento della definizione “atto di pianificazione
comunque denominato” alla materia dei lavori pubblici>> e
considerando l’art. art. 926 d.lgs. 163/2006
<<norma di stretta applicazione non suscettibile di
applicazione analogica, alla luce del divieto posto
dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice
civile>>.
Ne consegue che l’incentivo relativo alla redazione di atti
di pianificazione può essere legittimamente riconosciuto per
le sole prestazioni strettamente connesse alla realizzazione
di un’opera pubblica e non per quelle rientranti
genericamente nella materia urbanistico–edilizia.
---------------
Il Sindaco del Comune di Andora ha inviato al Consiglio
delle Autonomie Locali una richiesta di parere inerente alla
corretta interpretazione dell’art. 92 d.lgs. 163/2006.
In particolare si chiede di sapere se sia corretto
estendere la possibilità di erogare l’incentivo costituito
dal 30% della tariffa professionale in presenza di redazione
di atti di pianificazione urbanistica. Ciò, soprattutto,
in considerazione dei diversi indirizzi, rispettivamente
estensivo ed espansivo, assunti dalle Sezioni Regionali di
controllo della Corte dei conti (con la sola eccezione della
Sezione di controllo del Veneto) e dell’Autorità di
Vigilanza sui Contratti Pubblici.
...
L’art. 926 d.lgs. 12.04.2006 n. 163 prevede che
<<il trenta per cento della tariffa professionale
relativa alla redazione di un atto di pianificazione
comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri
previsti nel regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti
dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto>>.
E’ stata più volte posta all’attenzione delle Sezioni
regionali di controllo la questione relativa
all’individuazione degli atti la cui predisposizione
consenta ai dipendenti pubblici di godere del compenso
aggiuntivo di cui sopra, con particolare riferimento alla
pianificazione negativa.
La giurisprudenza contabile
(C.d.C. Sez. contr. Campania
parere 10.07.2008 n. 14;
C.d.C. Sez. contr. Toscana
parere 18.10.2011 n. 213; C.d.C. Sez. contr.
Puglia
parere 16.01.2012 n. 1; C.d.C. Sez. contr.
Lombardia
parere 06.03.2012 n. 57;
parere 30.05.2012 n. 259) ha
costantemente affermato che si tratta di una interpretazione
eccezionale, in quanto derogativa al principio generale di
onnicomprensività delle retribuzioni pubbliche, come tale
non suscettibile di estensione analogica a settori diversi
da quello degli appalti.
Da ultimo C.d.C. Sez. contr. Piemonte
parere 30.08.2012 n. 290, la cui deliberazione è
oggetto della richiesta di parere in esame, ha ribadito che
lo scopo perseguito dal legislatore con l’art. 92 D.Lgs. è
quello di <<diminuire i costi delle attività collegate
alla progettazione delle opere pubbliche>> e che il
riferimento all’atto di pianificazione <<è da intendersi
limitato ad atti che abbiano oggetto la pianificazione
collegata alla realizzazione di opere pubbliche (ad es.
variante necessaria per la localizzazione di un’opera) e non
ad atti di pianificazione generale quali possono essere la
redazione del piano regolatore o di una variante generale>>,
ancorando il diritto ad ottenere il compenso incentivante <<alla
circostanza che la redazione dell’atto di pianificazione,
riferita ad opere pubbliche e non ad atti di pianificazione
del territorio, sia avvenuta all’interno dell’Ente>>.
La sopravvenienza di un diverso e contrapposto indirizzo
interpretativo espresso dalla Sezione regionale di controllo
del Veneto ha indotto questa Sezione, chiamata a rispondere
su analogo quesito sollevato dal Comune di Genova, a
rimettere al Presidente della Corte dei conti la valutazione
in ordine al deferimento della questione alla Sezione delle
Autonomie, circostanza poi verificatasi.
La citata Sezione
con la
deliberazione 15.04.2014 n. 7,
il cui contenuto è vincolante per le Sezioni regionali di
controllo ai sensi dell’art. 64 d.l. 10.10.2012
n. 174, conv. in l. 07.12.2012 n. 213, ha
risolto la questione ritenendo <<di “palmare evidenza” il
riferimento della definizione “atto di pianificazione
comunque denominato” alla materia dei lavori pubblici>>
e considerando l’art. art. 926 d.lgs. 163/2006 <<norma
di stretta applicazione non suscettibile di applicazione
analogica, alla luce del divieto posto dall’art. 14 delle
disposizioni preliminari al codice civile>>.
Ne consegue che l’incentivo relativo alla
redazione di atti di pianificazione può essere
legittimamente riconosciuto per le sole prestazioni
strettamente connesse alla realizzazione di un’opera
pubblica e non per quelle rientranti genericamente nella
materia urbanistico–edilizia
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 08.05.2014 n. 26). |
PATRIMONIO:
Sulla gratuità per
l'utilizzo di locali comunali alle associazioni o gruppi
no profit ad alta valenza sociale.
La deroga al principio generale di
redditività del bene pubblico può essere giustificata solo
dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente
svolta dal soggetto destinatario di tali beni.
A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire
che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come
attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va
accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le
finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto
le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività
che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a
disposizione.
La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento in
concreto dell’assenza di uno scopo di lucro
dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un
corretta gestione del bene pubblico di cui si intende
disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un
bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza
e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché
nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale.
Con la conseguenza che risulta rimessa esclusivamente alla
discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente, che
si assume la responsabilità della scelta, la verifica della
compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto
dispositivo, che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva
motivazione del provvedimento.
---------------
Il Sindaco del Comune di Curno, con nota prot. n.
4683 del giorno 24.04.2014, dopo aver premesso che:
- nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali di
sviluppo sociale delle categorie fragili, il Comune intende
prevedere tariffe agevolate (un euro all'ora) rispetto a
quelle ordinarie (oggi 30 all'ora) o la gratuità per
l'utilizzo di locali comunali alle associazioni o gruppi
no profit ad alta valenza sociale;
- in questo ambito è stato individuato come gruppo ad alta
valenza sociale il gruppo anziani e pensionati che svolge la
propria attività a favore degli anziani del comune di Curno
nell'area ricreativa, culturale e sportiva, per promuovere
la cura della salute e l'informazione medica, servizi di
solidarietà sociale verso le persone anziane non
autosufficienti e svolge percorsi di aggregazione della
popolazione anziana alla scopo di prevenire situazioni di
isolamento ed emarginazione;
- il gruppo anziani e pensionati è l'unica organizzazione
del territorio che offre sevizi gratuiti o con tariffe
calmierate agli anziani residenti in comune,
ha posto alla Sezione il seguente quesito: “se è da
ritenersi legittima tale intenzione della giunta comunale
per tutte le manifestazioni del gruppo anziani, come per
esempio gli auguri natalizi, ove non venga svolta alcuna
attività di natura commerciale”.
...
Il quesito oggetto della richiesta di parere del Comune di
Curno deve ritenersi inammissibile.
Il quesito, infatti, non investe una questione di rilevanza
generale, ma richiede alla Sezione di esprimere una
valutazione che attiene ad una attività gestionale
dell’Ente.
In proposito, si richiama il principio per cui le richieste
di parere devono avere rilevanza generale e non possono
essere funzionali all’adozione di specifici atti gestionali,
onde salvaguardare l’autonomia decisionale
dell’Amministrazione e la posizione di terzietà, nonché di
indipendenza, della Corte: è potere-dovere dell’Ente, in
quanto rientrante nell’ambito della sua discrezionalità
amministrativa, adottare le scelte concrete sulla gestione
amministrativo-finanziario-contabile, con le correlative
opportune cautele e valutazioni che la sana gestione
richiede.
Ad ogni modo, l’ente nell’adottare il provvedimento
gestionale potrà orientare la sua decisione ai principi
generali già espressi da questa Corte.
In particolare si ricorda come la Sezione regionale per il
Veneto (parere
05.10.2012 n. 716), ponendosi in linea di
continuità con quanto già affermato da questa Sezione (cfr.
in particolare
parere 13.06.2011 n. 349 e precedenti ivi
richiamati), ha chiaramente evidenziato come
la deroga al principio generale di redditività del
bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza
di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal
soggetto destinatario di tali beni. A questo proposito, il
Collegio ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o
meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a
conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in
concreto, verificando non solo lo scopo o le finalità
perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le
modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che
coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione.
[…] La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento
in concreto dell’assenza di uno scopo di lucro
dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un
corretta gestione del bene pubblico di cui si intende
disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un
bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza
e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché
nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale”.
Con la conseguenza che risulta rimessa
esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente
apprezzamento dell’ente, che si assume la responsabilità
della scelta, la verifica della compatibilità finanziaria e
gestionale dell’atto dispositivo, che dovrà risultare da una
chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 06.05.2014 n. 172). |
URBANISTICA: Sulla
corretta interpretazione dell’art. 31, comma 48, della legge
23.12.1998, n. 448 concernente la determinazione del
corrispettivo per la trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà.
Si deve ritenere che il comune, a far
data dall’entrata in vigore della legge di stabilità per il
2014, possa determinare il corrispettivo in parola sulla
base dei nuovi criteri di calcolo con la conseguente facoltà
di abbattere fino al 50 per cento l’importo corrispondente
al valore venale del bene già ridotto del 60 per cento.
Si deve viceversa escludere che il comune
possa rideterminare, sulla base dei medesimi criteri, i
corrispettivi calcolati in applicazione della normativa
previgente in modo da restituire l’eventuale eccedenza ai
privati.
La nuova disciplina del calcolo del
corrispettivo per la trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà, disponendo per
l’avvenire non fornisce alcun titolo giuridico per la
restituzione di somme legittimamente riscosse dall’ente in
relazione ad atti conformi alla legge che hanno già esaurito
la propria efficacia.
I provvedimenti con i quali l’ente faccia
applicazione dei nuovi criteri di calcolo stabiliti dalla
legge di stabilità per il 2014, in altri termini, non
possono legittimare alcuna pretesa al recupero di quanto
versato da parte dei cittadini che in precedenza abbiano già
aderito alla proposta comunale conseguendo il diritto di
proprietà.
Non vale nemmeno invocare, sotto questo
profilo, una pretesa disparità di trattamento scaturente
dall’applicazione della norma, che si rivela essere solo la
conseguenza di fatto di una diversa valutazione di interessi
operata direttamente dal legislatore nel definire i nuovi
criteri di calcolo e posto che il comune rimane comunque
libero di modulare la riduzione, legislativamente rimessa
alla propria discrezionalità, in maniera tale da allineare i
valori tra i corrispettivi attuali e quelli determinati in
base ai precedenti criteri.
---------------
Con la nota sopra citata, a firma del Sindaco del comune di
Paderno Dugnano (MI), si richiede un parere sulla
corretta interpretazione dell’art. 31, comma 48, della legge
23.12.1998, n. 448 concernente la determinazione del
corrispettivo per la trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà.
A tal fine si rappresenta quanto segue.
L’amministrazione comunale, a decorrere dal 2009, ha dato
attuazione alla disciplina normativa che consente la
trasformazione del diritto di superficie in diritto di
proprietà̀, calcolando il corrispettivo, a decorrere dal
mese di giugno 2011 (delibera Consiglio Comunale n. 50 del
28.06.2011), nella misura del 60 per cento del valore venale
del bene e conseguente riduzione del 40 per cento (secondo
l’art. 31, comma 48, della legge 23.12.1998, n. 448).
La legge 27.12.2013, n. 147, (legge di stabilità per il
2014), all’art. 1, comma 392, ha modificato l’art. 31, comma
48, della legge n. 448/1998 consentendo ai comuni di
abbattere il valore venale fino al 50 per cento.
L’ente, avvalendosi di questa facoltà̀, ha deliberato che il
corrispettivo per la trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà fosse determinato nei
termini seguenti:
• valore venale dell'area abbattuto del 50 per cento;
• ulteriore abbattimento 60 cento;
• detrazione degli oneri di concessione del diritto di
superficie, rivalutati sul base ISTAT dell'indice dei prezzi
al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificati
si tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e
quello di stipula dell'atto di cessione delle aree;
• verifica che il costo risultante non sia superiore a
quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente
in diritto di proprietà̀ al momento della trasformazione di
cui all’art. 31, comma 47, della legge n. 448/1998.
Si rappresenta inoltre che, da una prima valutazione fatta
dagli uffici, le stime redatte sulla base dei citati criteri
risultano essere inferiori di almeno il 30 per cento
rispetto a quelle redatte negli ultimi due anni sulla base
dei vecchi criteri, con la conseguenza che coloro i quali
nel recente passato hanno aderito alle proposte formulate
dal comune si troveranno in una condizione di evidente
disparità di trattamento rispetto a quanto aderiranno nel
futuro, pur avendo all'origine pagato identico corrispettivo
per il diritto di superficie.
Tutto ciò premesso, si chiede se sia legittimo procedere
alla restituzione a quanti hanno già pagato e perfezionato
l’atto di trasferimento di quanto corrisposto in più
rispetto alle nuove stime che saranno predisposte con
l'applicazione dei criteri dettati dalla legge di stabilità
per il 2014 e della delibera consiliare adottata.
...
L’art. 31, comma 45, della legge 23.12.1998, n. 448,
consente ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese
nei piani approvati a norma della legge 18.04.1962, n. 167,
ovvero delimitate ai sensi dell'articolo 51 della legge
22.10.1971, n. 865, già concesse in diritto di superficie ai
sensi dell'articolo 35, quarto comma, della medesima legge
n. 865 del 1971.
Il successivo comma 47 precisa che la trasformazione del
diritto di superficie in diritto di piena proprietà sulle
predette aree può avvenire a seguito di proposta da parte
del comune e di accettazione da parte dei singoli
proprietari degli alloggi, e loro pertinenze, per la quota
millesimale corrispondente, dietro pagamento di un
corrispettivo determinato ai sensi del comma 48.
Quest’ultimo, nella sua formulazione originaria, prevedeva
che il corrispettivo delle aree cedute in proprietà̀ fosse
determinato dal comune, in misura pari al 60 per cento di
quello determinato ai sensi dell’art. 5-bis, comma 1, del
decreto legge 11.07.1992 n. 333 convertito, con
modificazioni, dalla legge 08.08.1992, n. 359, escludendo la
riduzione del 40 per cento prevista dall’ultimo periodo
dello stesso comma, al netto degli oneri di concessione del
diritto di superficie, rivalutati sulla base della
variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi
tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e
quello di stipula dell'atto di cessione delle aree.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 348 del 2007 ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 5-bis, commi 1 e 2, del
decreto legge 11.07.1992, n. 333.
Sulla questione concernente il criterio di calcolo da
adottare per la determinazione del corrispettivo in
questione a seguito della declaratoria di incostituzionalità
delle disposizioni sopra richiamate, sono intervenute le
Sezioni riunite della Corte dei conti che, con la
deliberazione 14.04.2011 n. 22, hanno ritenuto
che il rinvio operato dall’art. 31, comma 48, dovesse
intendersi riferito ai vigenti criteri di calcolo
dell’indennità̀ di espropriazione, ovvero all’art. 37, commi
1 e 2, del DPR 08.06.2001, n. 327, come modificati dalla
legge 24.12.2007, n. 244, secondo cui l’indennità̀ di
espropriazione di un area edificabile è determinata nella
misura pari al valore venale del bene e quando
l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di
riforma economico-sociale, questa è ridotta del 25 per
cento.
L’art. 1, comma 392, della legge 27.12.2013, n. 147 (legge
di stabilità per il 2014) ha modificato il richiamato art.
31, comma 48, della legge n. 448/1998 il quale, nella
formulazione attualmente in vigore, stabilisce che “il
corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato
dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura
pari al 60 per cento di quello determinato attraverso il
valore venale del bene, con la facoltà per il comune di
abbattere tale valore fino al 50 per cento, al netto degli
oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati
sulla base della variazione, accertata dall'ISTAT,
dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai
e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati
versati i suddetti oneri e quello di stipula dell'atto di
cessione delle aree. Comunque il costo dell'area così
determinato non può essere maggiore di quello stabilito dal
comune per le aree cedute direttamente in diritto di
proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47”.
Alla luce dell’evoluzione del quadro normativo sopra
descritto si deve ritenere che il comune, a
far data dall’entrata in vigore della legge di stabilità per
il 2014, possa determinare il corrispettivo in parola sulla
base dei nuovi criteri di calcolo con la conseguente facoltà
di abbattere fino al 50 per cento l’importo corrispondente
al valore venale del bene già ridotto del 60 per cento.
Si deve viceversa escludere,
diversamente da quanto prospettato nella richiesta di parere
in esame, che il comune possa
rideterminare, sulla base dei medesimi criteri, i
corrispettivi calcolati in applicazione della normativa
previgente in modo da restituire l’eventuale eccedenza ai
privati.
La nuova disciplina del calcolo del
corrispettivo per la trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà, disponendo per
l’avvenire non fornisce alcun titolo giuridico per la
restituzione di somme legittimamente riscosse dall’ente in
relazione ad atti conformi alla legge che hanno già esaurito
la propria efficacia.
I provvedimenti con i quali l’ente faccia
applicazione dei nuovi criteri di calcolo stabiliti dalla
legge di stabilità per il 2014, in altri termini, non
possono legittimare alcuna pretesa al recupero di quanto
versato da parte dei cittadini che in precedenza abbiano già
aderito alla proposta comunale conseguendo il diritto di
proprietà.
Non vale nemmeno invocare, sotto questo
profilo, una pretesa disparità di trattamento scaturente
dall’applicazione della norma, che si rivela essere solo la
conseguenza di fatto di una diversa valutazione di interessi
operata direttamente dal legislatore nel definire i nuovi
criteri di calcolo e posto che il comune rimane comunque
libero di modulare la riduzione, legislativamente rimessa
alla propria discrezionalità, in maniera tale da allineare i
valori tra i corrispettivi attuali e quelli determinati in
base ai precedenti criteri
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 28.04.2014 n. 170). |
PATRIMONIO: Il Collegio ribadisce che l’indirizzo
politico-legislativo (che si è venuto affermando negli
ultimi anni) riconosce alla gestione del patrimonio
immobiliare pubblico una valorizzazione finalizzata
all'utilizzo dei beni secondo criteri privatistici di
redditività e di convenienza economica.
Il Comune non deve
perseguire, costantemente e necessariamente, un risultato
soltanto economico in senso stretto nell'utilizzazione dei
beni patrimoniali, ma, come ente a fini generali, deve anche
curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità
amministrata “l'ente locale rappresenta la propria
comunità, ne cura gli interessi, ne promuove lo sviluppo".
L'eventuale scelta di disporre di un
bene pubblico ad un canone di importo diverso da quello
corrispondente al suo valore di mercato, ad avviso della
Sezione deve avvenire a seguito di “un’attenta
ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici in
gioco, rimessa esclusivamente alla sfera discrezionale
dell’ente, in cui però deve tenersi nella massima
considerazione l’interesse alla conservazione ed alla
corretta gestione del patrimonio pubblico, in ragione della
tutela costituzionale di cui questo gode (art. 119, comma 6,
Cost.)”.
Altresì, “l’interesse
alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio
pubblico è da considerarsi primario anche perché espressione
dei principi di buon andamento e di sana gestione ed impone
all’ente di ricercare tutte le alternative possibili che
consentano un equo temperamento degli interessi in gioco,
adottando la soluzione più idonea ed equilibrata, che
comporti il minor sacrificio possibile degli interessi
compresenti”.
Naturalmente tale valutazione comparativa
tra i vari interessi in gioco nonché della verifica della
compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto
dispositivo, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità
ed al prudente apprezzamento dell’ente, che si assume la
responsabilità della scelta, e che dovrà risultare da una
chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.
---------------
Il Sindaco del Comune di Treviso, con la nota
indicata in epigrafe, ha posto alla Sezione un quesito in
ordine alle modalità di determinazione del canone dei beni
demaniali e patrimoniali dell’ente locale, affidati in
gestione alle associazioni di interesse collettivo nei campi
della cultura, dello sport e del sociale (come ad esempio,
palestre, campi sportivi, edifici).
A questo riguardo il Sindaco richiama il principio,
affermato dall’art. 2, comma 4, del Decreto legislativo
28.05.2010, n. 86, di massima valorizzazione funzionale dei
beni attribuiti al patrimonio dell’ente locale, a vantaggio
diretto o indiretto della collettività, ed anche il
principio di sussidiarietà verticale, in base al quale i
cittadini, idoneamente associati, possono essere destinatari
dell’esercizio di attività pubbliche, se queste vengono
svolte in maniera più economica, efficiente ed efficace
rispetto a quanto l’ente di riferimento possa garantire.
Per questo motivo, l’ente chiede se il solo modo
legittimo di procedere, in materia di valorizzazione del
proprio patrimonio, sia quello di sfruttare il bene in base
al valore di mercato, idoneamente periziato, o se sia
possibile impostare uno sfruttamento del bene patrimoniale
non sul valore di mercato, bensì su un valore più basso, in
considerazione delle finalità sociali, senza scopo di lucro,
delle associazioni di interesse collettivo alle quali l’ente
affiderebbe la gestione dei beni pubblici.
A questo proposito, il Sindaco richiama la norma di cui
all’art. 32, comma 8, della legge 23.12.1994, n. 724 che
dispone che “a decorrere dal 01.01.1995, i canoni annui
per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei
comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore,
determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei
beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di
mercato, fatti salvi gli scopi sociali”.
...
Passando al merito della questione, poiché nella richiesta
in argomento viene fatto un indistinto riferimento ai beni
demaniali e patrimoniali, la Sezione ritiene opportuno
ricordare preliminarmente che tali categorie di beni,
sebbene condividano l’attitudine ad essere utilizzati per
fini di pubblico interesse, hanno in realtà un regime
giuridico diverso.
Infatti, i beni demaniali (individuabili dalla lettura
combinata degli artt. 822 e 824 c.c.) hanno come loro
naturale e necessaria destinazione l’adempimento di una
pubblica funzione e sono, pertanto, assoggettati ad una
disciplina pubblicista; quelli patrimoniali, invece, si
suddividono in due ulteriori categorie: i beni patrimoniali
indisponibili (individuati dall’art. 826, commi 2 e 3, c.c.)
che, in quanto destinati ad un pubblico servizio, sono
sottoposti anch’essi alla disciplina pubblicistica; ed i
beni patrimoniali disponibili, categoria residuale, che sono
soggetti al regime giuridico proprio dei beni di diritto
privato, dal momento che realizzano l’interesse pubblico
solo in via strumentale ed indiretta, in virtù della
destinazione data ai redditi ricavati derivante (dai frutti
naturali o civili), facendoli concorrere in questo modo al
finanziamento della spesa pubblica.
Con riferimento in particolare agli enti locali, si fa
inoltre presente che la riforma del Titolo V della
Costituzione ha riconosciuto che gli enti territoriali hanno
un proprio patrimonio (art. 119 Cost., comma 7) e non solo
il demanio e che, a seguito del c.d “federalismo
demaniale”, attuato con il D.Lgs. 85/2010, è stata
prevista l’attribuzione a titolo non oneroso, ad ogni
livello di governo, di beni statali secondo dei criteri di
territorialità, di sussidiarietà, di adeguatezza, di
semplificazione e di capacità finanziaria. Con quest’ultimo
requisito si intende la capacità finanziaria dell’ente
territoriale al quale è trasferito il bene, di garantirne le
esigenza di tutela, di gestione e di valorizzazione. Proprio
con riferimento a questi beni statali così attribuiti, il
legislatore ha specificato che l’ente dispone del bene
nell’interesse della collettività, favorendone la “massima
valorizzazione funzionale”, secondo il principio
richiamato dal Sindaco di Treviso nel quesito.
La Sezione, infine, ricorda anche quanto previsto dall’art.
58 del decreto legge 25.06.2008, convertito dalla legge
03.08.2008, n. 133, che prescrive agli enti territoriali di
procedere al riordino e valorizzazione del proprio
patrimonio immobiliare attraverso l’adozione di appositi
piani di alienazione immobiliare, che vanno allegati ai
bilanci di previsione.
Da queste premesse si deduce che le varie forme di gestione
del patrimonio introdotte di recente dal legislatore sono
tutte finalizzate alla valorizzazione economica delle
dotazioni immobiliari dei vari enti territoriali, di volta
in volta coinvolti, nel senso che le diverse forme di
utilizzazione o destinazione dei beni in argomento devono
mirare all’incremento del valore economico delle dotazioni
stesse, onde trarne una maggiore redditività finale. Si
tratta, infatti, di gestire dinamicamente partite del
patrimonio immobiliare per potenziare le entrate di natura
non tributaria.
Queste osservazioni permettono al Collegio di indicare
alcuni principi rilevanti per il quesito posto dal Sindaco
di Treviso.
Infatti, l’ente, ai fini della possibilità di concedere la
disponibilità di un bene appartenente al suo patrimonio, a
delle condizioni diverse da quelle di mercato, in
considerazione delle peculiari finalità sociali perseguite
dal soggetto beneficiario (associazioni di interesse
collettivo senza fini di lucro), dovrà tener conto,
nell’ambito delle valutazioni da effettuare nell’esercizio
della sua esclusiva discrezionalità, di una serie di
principi che espongono di seguito.
Innanzitutto, indipendentemente dallo strumento giuridico
che verrà utilizzato per disporre del bene (provvedimento
amministrativo se si tratta di bene demaniale o appartenente
al patrimonio indisponibile; negozio di diritto privato se
si tratta di bene patrimoniale disponibile), l’atto di
disposizione dovrà comunque tener conto dell’obbligo di
assicurare una gestione economica dei beni pubblici, in modo
da aumentarne la produttività in termini di entrate
finanziarie.
Quest’obbligo rappresenta infatti una delle
forme di attuazione da parte delle pubbliche amministrazione
del principio costituzionale di buon andamento (art. 97
Cost.) del quale l’economicità della gestione amministrativa
costituisce il più significativo corollario (art. 1, L
241/1990 e s.i.m.). Ne consegue che, da un lato, l’azione
amministrativa deve garantire livelli ottimali di
soddisfazione dell’interesse pubblico generale attraverso
l’impiego di risorse proporzionate; dall’altro, deve
conseguire il massimo valore ottenibile dall’impiego delle
risorse a disposizione.
In questo senso si è espressa anche questa Sezione con la
delibera n. 33/2009/PAR che ha affermato, con riferimento
alla cessione gratuita di un immobile comunale, come questa
non possa considerarsi una modalità tipica di valorizzazione
del patrimonio proprio perché “non reca alcuna entrata
all’ente e costituisce un utilizzo non coerente con le
finalità del bene, ma addirittura una fonte di
depauperamento e, dunque, di danno patrimoniale per l’ente”.
La Sezione fa anche presente che il principio generale di
redditività del bene pubblico può essere mitigato o escluso
ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o
addirittura superiore rispetto a quello che viene perseguito
mediante lo sfruttamento economico dei beni.
A questo riguardo il Collegio richiama non solo quanto
previsto dall’art. 32, comma 8, della legge 23.12.1994, n.
724 (cui si fa espresso riferimento nella richiesta di
parere in questione) in ordine alla considerazione degli “scopi
sociali” che possono giustificare un canone inferiore a
quello di mercato per la locazione di beni del patrimonio
indisponibile dei comuni, ma anche la disposizione di cui
all’art. 32 della legge 07.12.2000, n. 383 che consente agli
enti locali di concedere in comodato beni mobili ed immobili
di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali,
alle associazioni di promozione sociale ed alle
organizzazioni di volontariato per lo svolgimento delle loro
attività istituzionali.
In questo caso la mancata redditività del bene è comunque
compensata dalla valorizzazione di un altro bene ugualmente
rilevante che trova il suo riconoscimento e fondamento
nell’art. 2 della Costituzione (in questo senso vedi anche
delibera della Sezione di controllo della Lombardia n.
349/2011).
La Sezione tuttavia ritiene rilevante evidenziare che
le
predette eccezioni si giustificano alla luce delle
particolari caratteristiche che rivestono i beneficiari di
tali disposizioni sulle quali si ritiene opportuno fare
delle chiare precisazioni.
Infatti, nelle norme sopra citate si fa riferimento ad una
categoria ben individuata di soggetti, quali organizzazioni
di volontariato ed associazioni di promozione sociale (art.
32, L 383/2000), secondo la definizione contenuta nell’art.
2 della L 383/2000 che comprende “le associazioni
riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i
loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di
svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o
di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della
libertà e dignità degli associati”.
D’altra parte, anche il beneficio previsto dall'art. 32,
comma 8, della L 724/1994, limitatamente ai canoni annui dei
beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni, in
considerazione degli “scopi sociali”, va letto, ad
avviso di questo Collegio, in riferimento a quanto previsto
dal comma 3 del medesimo articolo che esclude
dall’incremento dei canoni annui dei beni patrimoniali,
questa volta dello Stato, una serie di categorie di soggetti
(vedove o persone già a carico di dipendenti pubblici
deceduti per causa di servizio, ecc.) tra le quali sono
comprese anche le associazioni e fondazioni con finalità
culturali, sociali, sportive, assistenziali, religiose,
senza fini di lucro, nonché le associazioni di promozione
sociale, con determinati requisiti.
Dalla lettura delle norme in questione, risulta pertanto
evidente che la deroga alla regola della determinazione di
canoni dei beni pubblici secondo logiche di mercato di cui
alla citata norma, appare giustificata solo dall’assenza di
scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal
soggetto destinatario di tali beni.
A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire
che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come
attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va
accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le
finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto
le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività
che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a
disposizione, alla stessa stregua del parametro che viene
utilizzato, ad esempio, per valutare il carattere economico
o meno dei servizi pubblici locali.
La Sezione prende atto che attualmente la tradizionale
contrapposizione tra impresa e assenza di scopo di lucro ha
assunto contorni via via più sfumati, dal momento che viene
riconosciuta la possibilità di svolgere un’attività
economica organizzata anche da parte di soggetti diversi
dall’imprenditore, purché comunque destinata al fine della
produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità
sociale e diretta a realizzare finalità di interesse
generale. Ci si riferisce, in particolare, alla figura
dell’impresa sociale introdotta dal D.lgs. 155/2006;
tuttavia, anche in questo caso, il legislatore, oltre ad
indicare in modo tassativo i settori in cui i beni ed i
servizi prodotti o scambiati si considerano di utilità
sociale, fa dell’assenza d lucro l’elemento costitutivo
della figura (precisando, tra l’altro anche il divieto di
distribuzione, anche in forma indiretta, di utili o di
avanzi di gestione).
La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento in
concreto dell’assenza di uno scopo di lucro
dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un
corretta gestione del bene pubblico di cui si intende
disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un
bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza
e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché
nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale.
La Sezione ritiene, ancora che, ove la disposizione del bene
sia attuata con un provvedimento, la concessione ad un
soggetto di un’utilità a condizioni diverse da quelle
previste dal mercato, possa essere qualificata come
“vantaggio economico” ai sensi dell’art. 12 della legge
07.08.1990, n, 241 (vedi in questo senso la citata delibera
della Sezione Lombardia n. 349/2011). Tale norma, sotto la
rubrica “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”,
stabilisce che “la concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di
vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti
pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione
ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni
procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti,
dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse
devono attenersi”; poi, al secondo comma, aggiunge che “l'effettiva
osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1
deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli
interventi di cui al medesimo comma 1”.
Questa norma va letta anche con riferimento alla disciplina
introdotta di recente dall’art. 18 del decreto legge
22.06.2012, n. 183, con dalla legge 07.08.2012, n. 134, in
tema di amministrazione aperta, che disciplina in maniera
dettagliata il regime di pubblicità sulla rete internet
delle concessione di “sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione dei
corrispettivi…e comunque di vantaggi economici di qualunque
genere di cui all’articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241
ad enti pubblici e privati”; regime di pubblicità che, a
partire dal 01.01.2013, diventa una condizione legale di
efficacia, a determinate condizioni, del titolo legittimante
le concessioni stesse.
Se, invece, l’atto dispositivo è di diritto privato, si
raccomanda all’ente di garantire, comunque, un’adeguata
forma di pubblicità.
Il Comune dovrà, inoltre, redigere il relativo verbale di
consistenza dei luoghi al fine di accertare l’effettiva
consistenza dei beni, anche allo scopo della corretta
determinazione del canone dovuto. L’atto costitutivo del
diritto reale dovrà poi contenere il regime quanto più
dettagliato possibile delle rispettive obbligazioni, alla
luce dei sopra citati principi di massima valorizzazione del
bene e di trasparenza, prevedendo anche un obbligo di
rendicontazione periodica.
In conclusione, il Collegio ribadisce che l’indirizzo
politico-legislativo (che si è venuto affermando negli
ultimi anni) riconosce alla gestione del patrimonio
immobiliare pubblico una valorizzazione finalizzata
all'utilizzo dei beni secondo criteri privatistici di
redditività e di convenienza economica.
Aggiunge, tuttavia, il Collegio che il Comune non deve
perseguire, costantemente e necessariamente, un risultato
soltanto economico in senso stretto nell'utilizzazione dei
beni patrimoniali, ma, come ente a fini generali, deve anche
curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità
amministrata “l'ente locale rappresenta la propria
comunità, ne cura gli interessi, ne promuove lo sviluppo”
(art. 3, comma 2, D ).
L'eventuale scelta di disporre di un
bene pubblico ad un canone di importo diverso da quello
corrispondente al suo valore di mercato, ad avviso della
Sezione deve avvenire a seguito di “un’attenta
ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici in
gioco, rimessa esclusivamente alla sfera discrezionale
dell’ente, in cui però deve tenersi nella massima
considerazione l’interesse alla conservazione ed alla
corretta gestione del patrimonio pubblico, in ragione della
tutela costituzionale di cui questo gode (art. 119, comma 6,
Cost.)”, secondo il principio già affermato nella citata
delibera 33/2009/PAR di questa Sezione.
Nella stessa pronuncia viene inoltre ribadito che “l’interesse
alla conservazione ed alla corretta gestione del patrimonio
pubblico è da considerarsi primario anche perché espressione
dei principi di buon andamento e di sana gestione ed impone
all’ente di ricercare tutte le alternative possibili che
consentano un equo temperamento degli interessi in gioco,
adottando la soluzione più idonea ed equilibrata, che
comporti il minor sacrificio possibile degli interessi
compresenti”.
Naturalmente tale valutazione comparativa
tra i vari interessi in gioco nonché della verifica della
compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto
dispositivo, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità
ed al prudente apprezzamento dell’ente, che si assume la
responsabilità della scelta, e che dovrà risultare da una
chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento
(Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto,
parere 05.10.2012 n. 716). |
PATRIMONIO:
La decisione se procedere o meno alla stipula di apposita
convenzione con la locale associazione sportiva per la
gestione degli impianti sportivi di proprietà comunale -al
fine di consentire agli utenti amministrati (giovani atleti,
studenti ecc.) lo svolgimento dì attività sportiva nel
territorio comunale- attiene al merito dell’azione
amministrativa e rientra, ovviamente, nella piena ed
esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente.
---------------
in linea generale, si ricorda che la
concessione in uso gratuito di bene immobile, facente parte
del patrimonio disponibile di un ente locale, va qualificata
in termini di attribuzione di un “vantaggio economico” in
favore di un soggetto di diritto privato, anche se la
disciplina codicistica del negozio di comodato pone a carico
del comodatario le spese per l’utilizzo del bene (in
particolare, l’art. 1808 cod. civ., primo comma, recita che
<<il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese
sostenute per servirsi della cosa>>, il secondo comma
aggiunge, poi, che il comodatario <<ha diritto di essere
rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la
conservazione della cosa, se queste erano necessarie e
urgenti>>).
---------------
All’interno dell’ordinamento generale o nella disciplina di
settore degli enti territoriali non esiste alcuna norma che
ponga uno specifico divieto di concessione in uso gratuito
di beni facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente
locale.
In particolare, <<l’ente
locale nell’esercizio della discrezionalità in ordine alla
gestione del proprio patrimonio deve non solo evidenziare e
pubblicizzare le finalità pubblicistiche che intende
perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì
deve altresì verificare che l’utilità sociale perseguita
rientri nelle finalità a cui è deputato l’ente locale
medesimo>>.
Dunque, rientra nella sfera della
discrezionalità dell’ente locale la scelta sulle modalità di
gestione del proprio patrimonio disponibile e l’erogazione
di contributi, purché l’esercizio di detta discrezionalità
avvenga previa valutazione e comparazione degli interessi
della comunità locale, nonché previa verifica della
compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto
dispositivo.
D’altra parte, la natura pubblica o privata
del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale o
finanziaria <<è indifferente, purché detta attribuzione
trovi la sua ragione giustificatrice nei fini pubblicistici
dell’ente locale, posto che la stessa amministrazione
pubblica –in ragione del principio di sussidiarietà
orizzontale- opera ormai utilizzando, per molteplici
finalità (gestione di servizi pubblici, esternalizzazione di
compiti rientranti nelle attribuzioni di ciascun ente),
soggetti aventi natura privata. In quest’ottica, inoltre, la
legge n. 15 del 2005 che ha novellato la legge n. 241/1990
sui principi generali procedimento amministrativo, ha
affermato a chiare lettere che l’amministrazione agisce con
gli strumenti del diritto privato ogniqualvolta non sia
previsto l’obbligo di utilizzare quelli di diritto pubblico>>.
---------------
Il Sindaco del Comune di Verdello ha posto alla Sezione un
quesito del seguente tenore: <<L'amministrazione sta
valutando la possibilità di stipulare apposita convenzione
con la locale associazione sportiva per la gestione degli
impianti sportivi di proprietà comunale al fine di
consentire agli utenti amministrati (giovani atleti,
studenti ecc.) lo svolgimento dì attività sportiva nel
territorio comunale dato che la promozione dello sport e le
attività dì facilitazione della attività agonistica, a
livello dilettantistico, rientrano tra le finalità
istituzionali dell'ente locale>>.
In particolare, l’ente locale istante chiede di <<conoscere
se, alla luce delle recenti restrizioni legislative in tema
di riduzione dei costi della finanza pubblica:
1) il Comune possa concedere alla locale associazione
sportiva (unica presente in loco direttamente l'uso della
gestione degli impianti di proprietà comunale, degli arredi
e delle strutture dei locali senza alcun corrispettivo;
2) il Comune possa accollarsi, in tutto o in parte, gli
oneri inerenti le spese per l'energia elettrica, la
fornitura di acqua ed il riscaldamento derivanti dall'uso
dei locali da parte degli utenti, restando a carico della
associazione sportiva la gestione degli impianti e delle
strutture compresa la manutenzione ordinaria. Le tariffe per
l'utilizzo degli impianti e delle palestre, saranno
stabilite dall'amministrazione comunale mentre i proventi
derivanti dall'utilizzo o del subaffitto a terzi degli
impianti, resterebbero appannaggio della associazione
sportiva. Le spese, infine; di manutenzione straordinaria,
trattandosi di impianti di proprietà comunale, sono a carico
del Comune;
3) l'amministrazione inoltre dovrebbe accollarsi la
erogazione di un contributo annuale, a titolo di concorso
dell'ente, nelle spese per la manutenzione ordinaria degli
impianti e la gestione generale del centro sportivo;
4) il Comune possa concedere un ulteriore contributo da
finalizzare per la promozione e il sostegno delle attività e
per la promozione della pratica sportiva della popolazione e
ciò perché tali erogazioni contributive non sembrano in,
contrasto con il disposto dell'art. 12 della legge della L .
n. 241/1990, in ordine alla concessione di contributi,
atteso che la effettiva erogazione è comunque subordinata
alla stipulazione di una apposita convenzione; né sembra in
contrasto con l'art. 6, comma 9, D.L. n. 78/2010, in tema di
divieto di sponsorizzazioni, poiché l'erogazione dei
contributi di che trattasi, verrebbe concessa per promuovere
e facilitare l'accesso ai giovani della attività sportiva
dilettantistica nell'ambito delle finalità istituzionali
dell'ente>>.
...
In via preliminare la Sezione precisa che
la decisione se procedere o meno alla stipula di apposita
convenzione con la locale associazione sportiva per la
gestione degli impianti sportivi di proprietà comunale -al
fine di consentire agli utenti amministrati (giovani atleti,
studenti ecc.) lo svolgimento dì attività sportiva nel
territorio comunale- attiene al merito dell’azione
amministrativa e rientra, ovviamente, nella piena ed
esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente.
Inoltre, l’ente locale istante chiede di <<conoscere se,
alla luce delle recenti restrizioni legislative in tema di
riduzione dei costi della finanza pubblica:
1) il Comune possa concedere alla locale associazione
sportiva (unica presente in loco direttamente l'uso della
gestione degli impianti di proprietà comunale, degli arredi
e delle strutture dei locali senza alcun corrispettivo.
2) il Comune possa accollarsi, in tutto o in parte, gli
oneri inerenti le spese per l'energia elettrica, la
fornitura di acqua ed il riscaldamento derivanti dall'uso
dei locali da parte degli utenti, restando a carico della
associazione sportiva la gestione degli impianti e delle
strutture compresa la manutenzione ordinaria. Le tariffe per
l'utilizzo degli impianti e delle palestre, saranno
stabilite dall'amministrazione comunale mentre i proventi
derivanti dall'utilizzo o del subaffitto a terzi degli
impianti, resterebbero appannaggio della associazione
sportiva. Le spese, infine; di manutenzione straordinaria,
trattandosi di impianti di proprietà comunale, sono a carico
del Comune.
3) L'amministrazione inoltre dovrebbe accollarsi la
erogazione di un contributo annuale, a titolo di concorso
dell'ente, nelle spese per la manutenzione ordinaria degli
impianti e la gestione generale del centro sportivo;
4) il Comune possa concedere un ulteriore contributo da
finalizzare per la promozione e il sostegno delle attività e
per la promozione della pratica sportiva della popolazione e
ciò perché tali erogazioni contributive non sembrano in,
contrasto con il disposto dell'art. 12 della legge della L.
n. 241/1990, in ordine alla concessione di contributi,
atteso che la effettiva erogazione è comunque subordinata
alla stipulazione di una apposita convenzione; né sembra in
contrasto con l'art. 6, comma 9, D.L. n. 78/2010, in tema di
divieto di sponsorizzazioni, poiché l'erogazione dei
contributi di che trattasi, verrebbe concessa per promuovere
e facilitare l'accesso ai giovani della attività sportiva
dilettantistica nell'ambito delle finalità istituzionali
dell'ente>>.
Anche con riferimento a queste specifiche richieste occorre,
preliminarmente, osservare che il quesito non investe una
questione di rilevanza generale, ma richiede alla Sezione di
esprimersi sul contenuto di specifiche clausole da inserire
nella convenzione implicante una valutazione che attiene ad
una attività gestionale dell’Ente.
In proposito, si richiama
il principio per cui le richieste di parere devono avere
rilevanza generale e non possono essere funzionali
all’adozione di specifici atti gestionali, onde
salvaguardare l’autonomia decisionale dell’Amministrazione e
la posizione di terzietà, nonché di indipendenza, della
Corte: è potere-dovere dell’Ente, in quanto rientrante
nell’ambito della sua discrezionalità amministrativa,
adottare le scelte concrete sulla gestione
amministrativo-finanziario-contabile, con le correlative
opportune cautele e valutazioni che la sana gestione
richiede.
Ad ogni modo, l’ente nell’adottare il provvedimento
gestionale potrà orientare la sua decisione ai principi
generali che seguono.
Con riferimento ai punti nn. 1, 2 e 3 dell’istanza di
parere, in linea generale,
si ricorda che
la concessione in uso gratuito di bene immobile, facente
parte del patrimonio disponibile di un ente locale, va
qualificata in termini di attribuzione di un “vantaggio
economico” in favore di un soggetto di diritto privato,
anche se la disciplina codicistica del negozio di comodato
pone a carico del comodatario le spese per l’utilizzo del
bene (in particolare, l’art. 1808 cod. civ., primo comma,
recita che <<il comodatario non ha diritto al rimborso
delle spese sostenute per servirsi della cosa>>, il
secondo comma aggiunge, poi, che il comodatario <<ha
diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie
sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano
necessarie e urgenti>>).
Ne consegue che, nel caso di specie, viene in rilievo la
disciplina generale dei provvedimenti attributivi di
vantaggi economici contenuta nell’art. 12 della legge in
materia di procedimento amministrativo (L. 07.08.1990, n.
241). L’art. 12 cit., sotto la rubrica <<Provvedimenti
attributivi di vantaggi economici>>, stabilisce che <<la
concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono
subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste
dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui
le amministrazioni stesse devono attenersi>>; poi, al
secondo comma, aggiunge che <<l'effettiva osservanza dei
criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare
dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al
medesimo comma 1>>.
Chiarito che il provvedimento attributivo del vantaggio
economico in favore di soggetto di diritto privato deve
essere adottato nel rispetto dei principi generali dettati
dalla l. n. 241/1990, nonché delle norme regolamentari
dell’ente locale, occorre altresì evidenziare che
all’interno dell’ordinamento generale o nella
disciplina di settore degli enti territoriali non esiste
alcuna norma che ponga uno specifico divieto di concessione
in uso gratuito di beni facenti parte del patrimonio
disponibile dell’ente locale.
In particolare, come ha già ricordato questa Sezione, <<l’ente
locale nell’esercizio della discrezionalità in ordine alla
gestione del proprio patrimonio deve non solo evidenziare e
pubblicizzare le finalità pubblicistiche che intende
perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì
deve altresì verificare che l’utilità sociale perseguita
rientri nelle finalità a cui è deputato l’ente locale
medesimo>> (si
veda la delibera Lombardia/429/2010/PAR del 15.04.2010 con
riferimento al contratto di comodato e, più in generale, le
delibere Lombardia, 29/06/2006, n. 9, Lombardia 13/12/2007
n. 59, Lombardia 05/06/2008 n. 39 per l’erogazione di
contributi da parte degli enti locali in favore di soggetti
privati).
Dunque, rientra nella sfera della
discrezionalità dell’ente locale la scelta sulle modalità di
gestione del proprio patrimonio disponibile e l’erogazione
di contributi, purché l’esercizio di detta discrezionalità
avvenga previa valutazione e comparazione degli interessi
della comunità locale, nonché previa verifica della
compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto
dispositivo.
D’altra parte, la natura pubblica o privata
del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale o
finanziaria <<è indifferente, purché detta attribuzione
trovi la sua ragione giustificatrice nei fini pubblicistici
dell’ente locale, posto che la stessa amministrazione
pubblica –in ragione del principio di sussidiarietà
orizzontale- opera ormai utilizzando, per molteplici
finalità (gestione di servizi pubblici, esternalizzazione di
compiti rientranti nelle attribuzioni di ciascun ente),
soggetti aventi natura privata. In quest’ottica, inoltre, la
legge n. 15 del 2005 che ha novellato la legge n. 241/1990
sui principi generali procedimento amministrativo, ha
affermato a chiare lettere che l’amministrazione agisce con
gli strumenti del diritto privato ogniqualvolta non sia
previsto l’obbligo di utilizzare quelli di diritto pubblico>>
(così, Lombardia/429/2010/PAR del 15.04.2010).
Con riferimento al punto n. 4 dell’istanza di parere,
inoltre, si aggiunga che alla stregua del divieto di “spese
per sponsorizzazioni” introdotto dall’art. 6, comma 9,
d.l. n. 78/2010, questa Sezione ha valorizzato una nozione
lata di sponsorizzazione di matrice giuscontabile, in
coerenza con la ratio di riduzione degli oneri a
carico delle Amministrazioni e con finalità anti-elusive.
In sede consultiva, in merito all’obbligo di riduzione della
spesa per sponsorizzazioni ex art. 61, commi 6 e 15, del
d.l. n. 112/2008, ha infatti statuito che “il
termine sponsorizzazioni .. si riferisce a tutte le forme di
contribuzione a terzi alle quali possono ricorrere gli enti
territoriali per addivenire alla realizzazione di eventi di
interesse per la collettività locale di riferimento”
(delibera n. 2/2009). Dunque, il divieto di
spese per sponsorizzazioni ai sensi dell’art. 6, comma 9,
del d.l. 31.05.2010, n. 78, presuppone anche un vaglio di
natura telelogica.
Ciò che assume rilievo per qualificare una
contribuzione comunale, a prescindere dalla sua forma, quale
spesa di sponsorizzazione del tutto interdetta dopo
l’entrata in vigore del citato decreto, è la relativa
funzione. La spesa di sponsorizzazione presuppone la
semplice finalità di segnalare ai cittadini la presenza del
Comune, così da promuoverne l’immagine. Non si configura,
invece, quale sponsorizzazione il sostegno d’iniziative di
un soggetto terzo, rientranti nei compiti del Comune,
nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei
principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost.
In via puramente esemplificativa, il
divieto di spese per sponsorizzazioni non può ritenersi
operante nel caso di erogazioni ad associazioni che erogano
servizi pubblici in favore di fasce deboli della popolazione
(anziani, fanciulli, etc.), oppure a fronte di sovvenzioni a
soggetti privati a tutela di diritti costituzionalmente
riconosciuti, quali i contributi per il c.d. diritto allo
studio o contributi per manifestazioni a carattere
socio-culturale (et similia).
In sintesi, tra le molteplici forme di
sostegno all’associazionismo locale l’elemento che connota,
nell’ordinamento giuscontabile, le contribuzioni tutt’ora
ammesse (distinguendole dalle spese di sponsorizzazione
ormai vietate) è lo svolgimento da parte del privato di
un’attività propria del comune in forma sussidiaria.
L’attività, dunque, deve rientrare nelle competenze
dell’ente locale e viene esercitata, in via mediata, da
soggetti privati destinatari di risorse pubbliche piuttosto
che (direttamente) da parte di comuni e province,
rappresentando una modalità alternativa di erogazione del
servizio pubblico e non una forma di promozione
dell’immagine dell’Amministrazione.
Dunque, come ha già ricordato più volte questa Sezione, <<se
la finalità perseguita dal Comune con l’erogazione di un
contributo annuale alle Associazioni che operano sul
territorio è quella di sostenere le associazioni locale che
abbiano specifiche caratteristiche di collegamento con la
Comunità locale, risultanti sia dall’iscrizione nel Registro
locale che dallo svolgimento di attività e prestazioni in
favore della Comunità insediata sul territorio sul quale
insiste l’ente locale, si tratta di prestazione che non
rientra nella nozione di spesa per sponsorizzazione vietata
dall’art. 6, co. 9, del d.l. n. 78, conv. in l. n. 122 del
2010 e, come tale, ammissibile, nei limiti delle risorse
finanziarie dell’ente locale e nel rispetto dei vincoli di
finanza pubblica di carattere generale>>
(Lombardia/122/2011/PAR del 10.03.2011;
Lombardia/285/2011/PAR del 16.05.2011).
Tale profilo teleologico, idoneo ad
escludere la concessione di contributi dal divieto di spese
per sponsorizzazioni, deve essere palesato dall’ente locale
in modo inequivoco nella motivazione del provvedimento.
L’Amministrazione dovrà palesare i presupposti di fatto e
l’iter logico alla base dell’erogazione a sostegno
dell’attività svolta dal destinatario del contributo
(ovvero, dovrà evidenziare che il contributo viene erogato
per finalità effettivamente legate allo sviluppo sociale),
nonché l’erogazione dovrà essere rispondente ai criteri di
efficacia, efficienza ed economicità delle modalità
prescelte di resa del servizio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 13.06.2011 n. 349). |
NEWS |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Niente stop agli incentivi se il Durc è negativo.
Il Durc dice addio alla carta. Il dl n. 34/2014, infatti, ha
trasformato in versione telematica il documento unico di
regolarità contributiva. Perciò, ferma restando la validità
di quattro mesi, il documento unico di regolarità
contributiva si potrà scaricare da internet tagliando in
questo modo circa cinque milioni di certificazioni su carta.
Altra novità interessante è il diritto, per le imprese prive
di regolarità contributiva, di ricevere comunque le
agevolazioni. Tuttavia, prima di finire nelle casse
aziendali, gli incentivi salderanno le scoperture
contributive.
Per regolarità contributiva s'intende la correttezza nei
pagamenti e adempimenti previdenziali, assistenziali e
assicurativi (Inps e Inail, nonché casse edili nel caso di
imprese di tale settore) con riferimento ai tutti gli
obblighi ricadenti sull'intera situazione aziendale. Il Durc
è un certificato che attesta tale regolarità per un'impresa.
La regolarità contributiva (ossia il possesso del Durc da
parte dell'azienda) è richiesta in diversi casi: appalti,
lavori edili ecc. La Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1175,
della legge n. 296/2007) ha esteso tale vincolo anche ai
benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa
in materia di lavoro e legislazione sociale, fermo restando
il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali
nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali.
La legge n. 98/2013 (conversione del dl n. 69/2013) ha
previsto che alle erogazioni di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici, di
qualunque genere, compresi quelli di cui all'art. 1, comma
553, della legge n. 266/2005 (cioè i benefici e le
sovvenzioni comunitarie per la realizzazione
d'investimenti), da parte di pubbliche amministrazioni, per
le quali e «prevista» l'acquisizione del Durc, si applicano
«in quanto compatibili» le previsione del comma 3 dell'art.
31 della stessa legge.
Quest'ultima norma disciplina il c.d.
«intervento sostitutivo», vale a dire l'obbligo per le
pubbliche amministrazioni di trattenere dal pagamento da
fare a un'impresa non in regolarità contributiva, l'importo
corrispondente alle inadempienze evidenziate dal Durc. In
pratica è previsto che in presenza di un Durc negativo con
irregolarità nei versamenti dovuti a Inail, Inps o casse
edili, le stazioni appaltanti si sostituiscano all'impresa
debitrice (appaltatrice o subappaltatrice avente) e
procedano a pagare, in tutto o in parte, il debito
contributivo (a Inps, Inail o casse edili) trattenendo il
relativo importo dal corrispettivo dovuto in forza
dell'appalto.
La legge n. 98/2013, dunque, ha esteso l'utilizzo di questa
disciplina (l'intervento sostitutivo) prevedendone
l'applicazione «in quanto compatibile» anche alle
amministrazioni pubbliche che erogano contributi,
sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici
di qualunque genere per i quali sia «prevista»
l'acquisizione d'ufficio del Durc.
Il dl n. 34/2014 interviene proprio su questa norma della
legge n. 98/2013. Due le novità. La prima rende obbligatorio
il Durc a tutte le erogazioni di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziarie e vantaggi economici di
qualunque genere, compresi benefici e sovvenzioni Ue per la
realizzazione d'investimenti. La seconda rende obbligatoria
negli stessi casi l'intervento sostitutivo. La conseguenza
più interessante sembra quella a favore delle aziende. Fino
al 21 marzo, infatti, era previsto che in caso di Durc
negativo l'azienda non avesse diritto a incentivi per un
mese ovvero, in caso di Durc positivo, ne avesse diritto per
quattro mesi.
In altri casi, l'assenza di regolarità contributiva negava
addirittura l'accesso a un bando di assegnazione di
agevolazioni: è il caso, per esempio, dei finanziamenti
Inail (Isi). In questi due esempi, allora, le modifiche del
dl n. 34/2014 comportano che l'azienda è comunque e sempre
ammessa agli incentivi, cioè anche se in possesso di Durc
negativo. Però, con l'obbligatorietà dell'intervento
sostitutivo, Inps o Inail prima di erogare materialmente gli
incentivi, copriranno le scoperture contributive
(articolo ItaliaOggi Sette del
19.05.2014). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Via libera condizionato ai contratti decentrati. Gli
integrativi irregolari possono ancora essere pagati.
Pubblico impiego. La circolare del 12 maggio blocca le
misure del Dl salva-Roma.
Il primo tentativo di
risolvere le diffuse irregolarità dei fondi e dei contratti
decentrati negli enti locali, contenuto nell'articolo 4 del
Dl 16/2014, si scontra con un immediato stop da parte del
Governo. I motivi –specificati nella
circolare
12.05.2014 n. 60 di prot., firmata dai ministri per gli Affari regionali,
Maria Carmela Lanzetta, per la Semplificazione e la pubblica
amministrazione, Marianna Madia, e dell'Economia, Pier Carlo
Padoan– trovano origine nella «particolare complessità e
stratificazione della disciplina», con la conseguente
costituzione di un comitato temporaneo in Conferenza
unificata che dovrà fornire indicazioni operative anche
attraverso interventi normativi e direttive all'Aran.
Sembra evidente che il percorso prospettato richiederà molto
tempo, tanto è vero che viene introdotto un periodo di
sostanziale moratoria. Dietro al paravento della garanzia
dei servizi, si è colta l'occasione per sdoganare
(temporaneamente e salvo recupero) tutte le clausole
contrattuali vigenti, anche se evidentemente viziate.
Si tratta quindi di una sanatoria ex ante di tutti i
comportamenti adottati da oggi in poi e che trovano origine
nei contratti decentrati firmati prima della circolare. A
ben guardare, non si tratta di una semplice moratoria visto
che rimane l'obbligo di recupero, ma di un sostanziale
lasciapassare per i dirigenti che oggi sono chiamati ad
applicare contratti decentrati di dubbia legittimità.
L'obiettivo, neppure troppo velato, è quello di sollevare i
responsabili del personale dal rischio di danno erariale
derivante da colpa grave.
Perché proprio oggi è necessario garantire questa immunità?
Perché cominciano a far sentire i loro effetti i verbali
della Ragioneria dello Stato: è chiaro che un dirigente, a
fronte di illegittimità rilevate in sede ispettiva, non può
più far finta di niente e perpetrare comportamenti
consolidati. In caso contrario ne risponderebbe in prima
persona. Questo implica, quantomeno, la sospensione delle
clausole contestate con la conseguente riduzione dello
stipendio variabile per la generalità dei dipendenti.
Di cosa si tratta in pratica? Principalmente delle
progressioni orizzontali stratificate nel tempo e
riconosciute senza la necessaria selettività. Se a queste
aggiungiamo i compensi che, seppure previsti nel contratto
collettivo, sono stati male applicati (come rischio,
disagio, responsabilità) e quelli nati dalla fervida
fantasia che ha caratterizzato i tavoli della contrattazione
decentrata (ad esempio, indennità di sportello, servizi
aggiuntivi, indennità di chiamata, indennità di divisa) si
può arrivare tranquillamente a una riduzione dello stipendio
mensile del 20-30 per cento.
La situazione, già molto precaria, è stata ulteriormente
aggravata dall'innesto della riforma Brunetta che imponeva
la revisione dei contratti decentrati con l'obiettivo di
enfatizzare gli istituti incentivanti legati alla
performance. Riforma che, a distanza di anni e nonostante il
riverbero mediatico, è inascoltata anche nelle realtà più
grandi. L'inadempienza, troppo spesso sottovalutata,
travolge, al contrario, l'intero contratto decentrato
rendendo fin troppo facile la vita agli ispettori.
Ma per garantire tutto questo, è sufficiente una circolare,
seppure a firma di tre ministri? Difficilmente il dirigente
potrà soprassedere al testo normativo e ad anni di
giurisprudenza e orientamenti consolidati.
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Caos recupero sugli stipendi.
I limiti. Difficile rispettare la prescrizione di riprendere
le somme versate in base a clausole di dubbia legittimità.
La circolare
interministeriale 60 del 12 maggio autorizza il pagamento
delle indennità previste nei contratti decentrati vigenti,
anche di dubbia legittimità, ma necessarie per garantire i
servizi indispensabili. A due condizioni:
1- in via temporanea
2- e salvo recupero.
Già sulla temporaneità si nutrono forti dubbi: il lavoro del
comitato, che deve tendere a proporre soluzioni
interpretative uniformi dell'articolo 4 del Dl 16/2014,
appare alquanto arduo e, quindi, difficilmente risolvibile
nel breve periodo. Sul recupero, le perplessità diventano
quasi certezze in quanto sarà molto improbabile dar corso
alla previsione della circolare. Le possibilità sono due: la
riduzione del fondo per le risorse decentrate o la
restituzione da parte dei dipendenti.
Per quanto riguarda i fondi, il Dl 16/2014 rappresenta una
sorta di sanatoria per il passato, ma impone un
comportamento irreprensibile per il futuro. Per questo il
dirigente responsabile sarà obbligato a ricalcolare il suo
ammontare per riportarlo a quell'importo che risulta dalla
puntuale ricostruzione storica, sulla base di
interpretazioni prudenziali delle previsioni contrattuali.
L'operazione è tutt'altro che indolore: spesso vuol dire
eliminare somme considerevoli e, quindi, anche il fondo
risulta decurtato in modo sensibile.
Se sulla carta il sistema potrebbe anche funzionare, in
pratica ci sono grossi problemi. In molti casi le risorse
stabili del fondo sono appena sufficienti a garantire gli
utilizzi stabili (progressioni, comparto e retribuzione di
posizione), atteso che nei periodi di risorse abbondanti non
si sono lesinati gli incentivi stabili a scapito di quelli
variabili. Se a questi si aggiungono le risorse necessarie
per il pagamento di turni e reperibilità, quello che rimane
non è di certo sufficiente ad assorbire i recuperi. Ne
consegue che l'operazione sui fondi teorizzata dal Dl
salva-Roma potrebbe richiedere molti anni determinando
l'azzeramento della produttività e il sostanziale fallimento
del sistema.
L'alternativa potrebbe consistere nel recupero sugli
stipendi dei dipendenti. Pur volendo prescindere dal dettato
dello stesso Dl salva-Roma, l'esperienza insegna che
politicamente è molto difficile, se non impossibile, ridurre
sensibilmente e per lunghi periodi gli stipendi alla
generalità dei dipendenti. Stipendi fermi dal 2010 a seguito
del blocco dei contratti collettivi e che risentono del
contenimento dei fondi (articolo Il Sole 24 Ore del
19.05.2014). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Fine mandato, relazione alle sezioni regionali.
Bilanci. Servono istruzioni dalla Corte.
Cambiano le regole sulla
relazione di fine mandato dei sindaci: la legge 68/2014, di
conversione del Dl salva-Roma ter, rivedendo la disciplina
in materia, ha assegnato alla sezione regionale di controllo
il ruolo di destinatario "giudicante".
Il maggior problema è rappresentato dalla mancata
definizione del ruolo che andranno a svolgere in materia le
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Un
silenzio nei confronti del quale spetterà allo stesso
giudice contabile rimediare. Ciò in quanto ogni sezione
regionale dovrà necessariamente esprimersi, deliberando in
proposito, quantomeno in termini di rispetto o meno dei
tempi e delle procedure seguite dai Comuni.
Un dovere
ineludibile, considerata la ratio legislativa intesa a
riconoscere negli organi di giustizia erariale la migliore
garanzia sull'operato finale dei sindaci. Un tale
adempimento è peraltro dovuto, considerato lo stretto
rapporto di analisi che lega i "saldi" giuridici ed
economici, da rappresentare nel format ministeriale della
relazione di fine mandato, con gli adempimenti routinari
affidati alle sezioni regionali di controllo dall'articolo
148-bis del Tuel e dall'articolo 6, comma 2, del Dlgs n.
149/2011.
È necessario, quindi, che la sezione delle Autonomie approvi
rapidamente linee guida ad hoc, per determinare
comportamenti uniformi sul territorio nazionale.
Quanto auspicato è in linea con quanto sancito nell'articolo
6, comma 4, del Dl n. 174/2012 secondo cui «in presenza di
interpretazioni discordanti delle norme rilevanti per
l'attività di controllo o consultiva o per la risoluzione di
questioni di massima di particolare rilevanza, la sezione
delle Autonomie emana delibera di orientamento alla quale le
Sezioni regionali di controllo si conformano».
Ci si augura, pertanto, un chiarimento "filo istruttorio" su
questi punti: la definizione dei termini in relazione alla
loro perentorietà o meno; il limite che separa la mancata
presentazione dalla non conformità e/o dalla non esauriente
redazione della relazione; la necessità di chiarire se
l'obbligatorietà della sottoscrizione si estenda alla
certificazione e/o alla trasmissione, o anche –in termini
di sanzione economica– se questa vada posta a carico dei
soggetti tenuti alla redazione della relazione nell'ipotesi
di successiva mancata sottoscrizione della stessa da parte
del sindaco (articolo Il Sole 24 Ore del
19.05.2014). |
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Cresce il plafond degli incentivi destinati ai contratti di
solidarietà.
Tra le varie misure
contenute nel decreto legge 34/2014 a vantaggio delle
imprese, appaiono particolarmente interessanti i
provvedimenti con cui si interviene sulla disciplina del
documento unico di regolarità contributiva (Durc) e
sull'impianto a sostegno degli incentivi connessi ai
contratti di solidarietà (Cds).
Le due norme sono orientate da logiche ben chiare:
semplificazione e trasformazione per il Durc, destinato a
smaterializzarsi; rivisitazione della normativa riferita
alle agevolazioni per i contratti di solidarietà,
stanziamento di maggiori risorse per i relativi incentivi e
uniformazione della misura.
La rivisitazione del Durc è disciplinata dall'articolo 4 del
decreto, con cui il governo si prefigge di far rivivere un
progetto non nuovo: convertire il documento unico di
regolarità contributiva in una semplice interrogazione
online che ognuno, compresa l'impresa interessata, potrà
eseguire dal proprio computer.
La sua realizzazione passa, in pratica, attraverso
l'apertura delle banche dati in cui sono memorizzate le
informazioni che servono a controllare se un determinato
soggetto è in regola con i vari versamenti. Sarà possibile
verificare, in tempo reale, la posizione dei contribuenti
nei riguardi di Inps e Inail nonché, per le imprese
interessate, anche della Cassa edile. Al momento, in realtà,
si tratta soltanto di una previsione: sarà, infatti, un
decreto interministeriale (Lavoro-Economia) –la cui
emanazione è prevista entro 60 giorni dall'entrata in vigore
del Dl 34, avvenuta il 21.03.2014– a dettare le regole.
Una volta che l'impianto sarà funzionante, l'interessato
potrà controllare online la regolarità. L'esito varrà 120
giorni e le sue risultanze sostituiranno a ogni effetto il
Durc, in tutti i casi in cui lo stesso è previsto, ad
eccezione delle ipotesi di esclusione individuate dal
decreto. Saranno, altresì, eseguibili le verifiche disposte
in materia dal codice dei contratti pubblici. In tale ambito
è determinante acquisire informazioni relative ai soggetti
coinvolti che, se hanno commesso violazioni gravi
definitivamente accertate alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali, potranno essere
esclusi dalle gare di affidamento delle concessioni, degli
appalti e dei subappalti.
La norma, inoltre, aggiunge che dalla data di entrata in
vigore del decreto interministeriale di regolamentazione,
ogni disposizione di legge incompatibile con le previsioni
del decreto lavoro sarà abrogata.
Attualmente le stazioni appaltanti possono verificare online
il possesso dei requisiti di capacità generale e
tecnico-economica delle imprese. Il controllo si esegue
accedendo alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp)
operativa presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici (Avcp). Per rendere possibile lo scambio di
informazioni telematiche tra le stazioni appaltanti e le
imprese che vogliono partecipare a pubbliche gare d'appalto
di lavori, forniture e servizi, è stata realizzata una
piattaforma telematica denominata Avcpass. Previa
registrazione, il sistema permette alle stazioni
appaltanti/enti aggiudicatori l'acquisizione della
documentazione comprovante il possesso dei requisiti di
carattere generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario per l'affidamento dei contratti
pubblici; consente, inoltre, agli operatori economici di
inserire a sistema i documenti richiesti dalle procedure di
affidamento.
Nella delibera 111/2012, l'Autorità ha, tra l'altro,
affermato che nella documentazione comprovante il possesso
dei requisiti generali (articoli 38 e 39 del codice) figura
anche il Durc fornito dall'Inail. Stante, dunque, quanto
previsto dal Dl 34/2014, quando sarà pronto il decreto di
regolamentazione del Durc smaterializzato, il passaggio all'Avcpass
non dovrebbe più essere obbligatorio in quanto sarà
sufficiente l'interrogazione online.
Il decreto lavoro si interessa anche dei contratti di
solidarietà accompagnati da Cigs. La crisi economica che ha
coinvolto il nostro Paese in questi ultimi anni ha visto
crescere in maniera esponenziale il ricorso all'istituto del
contratto di solidarietà come possibile strumento per la
salvaguardia occupazionale.
Preso atto di questa realtà, con le nuove disposizioni si
prevede un piccolo ma interessante maquillage delle regole
inerenti l'accesso alle agevolazioni contributive a supporto
dei Cds, si aumenta (triplicandolo) il plafond per
finanziare gli incentivi e, parallelamente, si prevede
un'agevolazione con misura uniformata che non tiene più
conto delle diverse percentuali di riduzione dell'orario
contrattuale, né della collocazione territoriale delle
imprese (articolo Il Sole 24 Ore del 17.05.2014). |
APPALTI:
Nei comuni acquisti centralizzati.
Causa mafia.
Scioglimento dei comuni per mafia, si cambia: per quelli
«riabilitati» scatterà l'obbligo di realizzare centrali
uniche per acquisti e appalti. E un salto di qualità lo
faranno i segretari comunali, la cui figura (di controllo)
avrà «un senso» nell'assicurare la correttezza delle
procedure.
È Filippo Bubbico, viceministro all'interno, ad
anticipare i contenuti di un provvedimento in tempi stretti
all'esame del Cdm, nel corso di una visita effettuata ieri,
a Reggio Calabria.
Non manca molto alla messa in opera del restyling sullo scioglimento delle giunte in cui le
organizzazioni criminali hanno allungato i tentacoli,
condizionandone l'andamento e i servizi, giacché, riferisce,
«siamo nella fase conclusiva della concertazione», laddove
il Viminale da un lato ed il dicastero della giustizia
dall'altro «hanno già condiviso un testo. Ora aspettiamo il
passaggio conclusivo del Mef per gli aspetti relativi alla
copertura delle spese conseguenti, anche in relazione alle
innovazioni introdotte», quali, appunto, il vincolo di
canali unici per il controllo delle forniture, degli
incarichi e l'assegnazione delle concessioni per effettuare
i lavori pubblici.
Nuova vita, dunque, per gli enti su cui
le mafie hanno avuto influenza (il cui numero aumenta,
sottolinea nel capoluogo calabrese), mediante un iter di
«riabilitazione democratica», esteso anche ad «organismi
istituzionali e ai momenti decisionali propri delle
amministrazioni locali, a partire dalla gestione degli
appalti e dell'affidamento di commesse all'esterno».
Necessarie, secondo l'esponente governativo, «procedure di
qualità, di verifica costante sulla correttezza dei
procedimenti amministrativi, e occorre dare anche un senso
al ruolo ed alla funzione dei segretari comunali e
restituire anche momenti di controllo non sul merito delle
decisioni, ma sulla legittimità degli atti e anche il
controllo di natura contabile e di natura finanziaria».
E,
all'orizzonte, c'è anche la Carta dei diritti dei testimoni
di giustizia che, prosegue Bubbico, sarà stilata da una
commissione composta da sociologi, avvocati, magistrati e
funzionari del servizio centrale di Protezione, che nei
prossimi sei mesi rivaluterà strumenti per garantire loro
sicurezza e «risarcirli» per i disagi tollerati
(articolo ItaliaOggi del 17.05.2014). |
APPALTI: Fattura elettronica, il Senato chiede i codici solo dal 2015.
Dl Irpef. Emendamenti bipartisan.
Lavori in corso per
evitare che la partenza della fatturazione elettronica si
trasformi in un boomerang per i fornitori della Pa. Una
serie di emendamenti trasversali al decreto Irpef presentati
al Senato punta a prorogare e correggere le norme che
rischiano di bloccare i pagamenti nel caso in cui le nuove
fatture telematiche non contengano il Codice identificativo
di gara (Cig) e il Codice unico di progetto (Cup).
Come noto, il 6 giugno prossimo scatta l'obbligo
dell'utilizzo della fattura nei rapporti con ministeri,
agenzie fiscali ed enti di previdenza. Il Dl anticipa
inoltre al 31.03.2015 (dal 06.06.2015) l'obbligo per
forniture verso tutte le altre Pa. Ma un'altra delle novità
introdotte dal decreto, cioè l'obbligo per i fornitori di
inserire nelle fatture il Cig e il Cup, ha fatto scattare
nelle ultime settimane l'allarme delle imprese, dai più
piccoli ai più grandi fornitori della Pa.
Il problema è finito al centro di alcuni emendamenti che
mirano in prima battuta a rinviare l'obbligo di riportare i
codici dal 06.06.2014 al 31.03.2015 (in subordine, le
imprese propongono di spostarlo fino a 180 giorni dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione). E,
inoltre, secondo emendamenti analoghi presentati da Pd, Ncd,
Forza Italia e gruppo Per l'Italia, in assenza di codici la
Pa sono legittimate a non pagare solo se in precedenza
avevano comunicato queste informazioni ai fornitori.
Su questi aspetti ci sono stati diversi incontri a livello
tecnico, anche con Ragioneria dello Stato, Agenzia delle
entrate, Agenzia per l'Italia digitale e con gli altri
attori che partecipano al Forum italiano sulla fatturazione
elettronica. Il decreto introduce l'obbligo di prevedere nei
documenti digitali Cig e Cup con l'obiettivo, sollecitato
dalla Ragioneria, di avere in automatico un continuo
monitoraggio dell'avanzamento della spesa per singoli
progetti e unità organizzative. Un fine condivisibile,
secondo le stesse imprese, perché consentirebbe di avere
finalmente un quadro certo dei pagamenti arretrati e di
mettere fine al fenomeno dei debiti fuori bilancio.
Il
problema è rappresentato dai tempi, estremamente stretti per
chi ha già effettuato investimenti per adeguare i sistemi
informatici, e soprattutto dalla previsione del divieto di
pagamento da parte delle Pa in caso di mancato inserimento
dei codici. I fornitori potrebbero in realtà non disporne,
dal momento che la normativa di riferimento (relativa alla
tracciabilità finanziaria) ne prevede solo l'inserimento
nelle operazioni di pagamento da parte delle Pa ma non
dispone un esplicito obbligo di comunicarli ai fornitori.
Insomma: in assenza di modifiche, da giugno le imprese
potrebbero avere l'obbligo di mettere in fattura dati che
non hanno mai ricevuto e che per altro sono in già possesso
dei committenti (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2014). |
ENTI LOCALI - VARI: Autovelox, gli scatolotti sono ok.
Nessuna disposizione normativa impedisce ai comuni di
installare gli armadietti porta autovelox dove meglio
credono. Anche come semplici dissuasori. Purché ogni tanto
venga effettivamente realizzato qualche controllo di polizia
stradale ospitando un misuratore al loro interno. E nella
segnaletica di preavviso non vengano impiegati marchi che
trasformano il segnale in pubblicità.
Lo ha confermato il
Ministero dei trasporti con due distinti pareri nn. 1638 e
1870 rispettivamente dell'8 e 18.04.2014.
Nonostante le
diverse indicazioni del ministro Lupi il suo dicastero
continua a sostenere la legittimità di queste installazioni.
Almeno fin tanto che non intervenga una possibile modifica
normativa che potrebbe essere contenuta nell'imminente
decreto interministeriale sulle multe all'esame in questi
giorni della Conferenza stato-città. La questione dei finti
autovelox si è infiammata dopo una trasmissione televisiva
che ha evidenziato un impiego eccessivo di manufatti in
materiale plastico realizzato in alcuni comuni.
Il ministro
delle infrastrutture ha quindi preso posizione specificando
sul suo blog il 26 marzo scorso che «gli autovelox finti non
possono essere comprati e installati dai comuni. La
limitazione alla velocità è prevista con appositi cartelli,
previsti a livello europeo. Quei comuni che stanno
utilizzando questi finti autovelox se ne assumono la
responsabilità».
Con i due pareri in esame il suo dicastero
contraddice questa posizione in linea con i precedenti
orientamenti già espressi sul delicato tema negli ultimi
anni. I manufatti porta autovelox non devono essere
omologati o approvati e possono essere installati su
qualsiasi tratto di strada, specifica il Mit, nel rispetto
delle più elementari regole sulla sicurezza e dell'obbligo
dell'eventuale presenza degli agenti in caso di strada non
ammessa al controllo automatico.
Nessuna disposizione ne vieta l'uso anche come semplici
dissuasori, prosegue il ministero, «a condizione che
ospitino anche non continuativamente i dispositivi di
controllo della velocità dei veicoli». Attenzione però ai
segnali di avvertimento. L'uso di marchi registrati è
vietato e trasforma il segnale in pubblicità (articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Input a forme associative da risorse per i dipendenti.
In caso di trasferimento di personale da un comune a
un'unione di comuni, le risorse già quantificate sulla base
degli accordi decentrati e destinate nel precedente anno a
finanziare istituti contrattuali collettivi ulteriori
rispetto al trattamento economico fondamentale confluiscono
nelle corrispondenti risorse dell'unione.
Lo prevede l'art.
1, comma 114, della legge 56/2014 (c.d. legge Delrio), con
l'evidente obiettivo di agevolare il percorso di
costituzione delle forme associative che (insieme alla
convenzioni) dovranno svolgere, entro fine anno, quasi tutte
le funzioni fondamentali (restano fuori solo anagrafe, stato
civile e servizi elettorali) spettanti ai piccoli comuni.
Per la verità, la norma non distingue e, quindi, si applica
a tutte le unioni, comprese quelle di cui fanno o faranno
parte comuni con popolazione superiore alle soglie
demografiche sotto le quali scatta l'obbligo di gestione
associata (5.000 abitanti in pianura, 3.000 per quelli
appartenenti o appartenuti a comunità montane, salvo diversa
decisione assunta dalle regioni).
Viene così introdotta una modifica alla disciplina
contrattuale che regola il passaggio di personale dai comuni
alle unioni: in particolare, ad essere superata è la
disciplina di cui all'art. 13, comma 4, lett. a), del Ccnl
del 22/1/2004, in base alla quale, in sede di prima
applicazione, le unioni definiscono le risorse finanziarie
destinate a compensare le prestazioni di lavoro
straordinario e a sostenere le politiche di sviluppo delle
risorse umane e della produttività, relativamente al
personale assunto direttamente (anche per mobilità), sulla
base di un valore medio pro capite ricavato dai valori
vigenti presso gli enti aderenti per la quota di risorse
aventi carattere di stabilità e di continuità.
Relativamente
al personale temporaneamente messo a disposizione dai
medesimi comuni, invece, il Ccnl prevede un trasferimento di
risorse per il finanziamento degli istituti tipici del
salario accessorio e con esclusione delle progressioni
orizzontali, dagli stessi enti, in rapporto alla
classificazione dei lavoratori interessati e alla durata
temporale della stessa assegnazione; l'entità delle risorse
viene periodicamente aggiornata in relazione alle variazioni
intervenute nell'ente di provenienza a seguito dei
successivi rinnovi contrattuali.
La novella legislativa è sicuramente migliorativa, ma non
basta a risolvere tutte le problematiche che la costituzione
delle unioni pone rispetto al passaggio delle risorse umane
coinvolte nell'esercizio delle funzioni da trasferire. In
molti casi, infatti, il fondo per la contrattazione
decentrata delle costituende unioni rischia di non essere
abbastanza capiente per coprire tutte le esigenze del nuovo
ente e garantire l'ottimale riorganizzazione del personale.
L'ostacolo principale deriva dai restrittivi vincoli di
spesa previsti dalla legge statale, che al 31.12.2014
impone il blocco del fondo all'importo dell'anno 2010 (oltre
all'automatica riduzione dello stesso in misura
proporzionale alla riduzione del personale in servizio).
Per esemplificare quali criticità possano emergere nella
pratica, si pensi al caso di tre comuni di 4.500, 1.000 e
800 abitanti che intendano mettere in gestione associata le
funzioni relative alla polizia locale. Se l'ente più grande
ha cinque vigili che lavorano per turni, percependo la
relativa indennità, quest'ultima non potrà essere estesa
anche agli agenti degli altri due comuni se essi hanno (come
di norma accade nei piccoli comuni) un orario normale.
Quindi, il servizio dovrà essere completamente
riorganizzato, con non poche difficoltà
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
APPALTI: Codice degli appalti da abolire.
Sufficiente applicare le direttive europee disponibili.
Da Pinto (presidente Asmel) idea shock contro la corruzione
e per rilanciare l'economia.
L'idea è stata lanciata dal presidente Asmel, Francesco
Pinto, durante l'assemblea dell'associazione che raggruppa
1861 enti locali in tutt'Italia svoltasi presso la sede del
Tar Campania e che ha visto la presenza attiva di oltre 400
comuni.
Nel corso della tavola rotonda su «Appalti e
Legalità», cui hanno partecipato, tra gli altri, il
presidente dell'Avcp Santoro e quello del Tar Campania
Mastrocola, è stata proposta l'integrale e immediata
abolizione del Codice degli appalti.
Una ragnatela di norme (vedi riquadro) che rendono la vita
difficile, se non impossibile, alle stazioni appaltanti e
che, anziché contrastare corruttela e malaffare di fatto li
«coprono».
D'altra parte, l'integrale abolizione di questa giungla di
disposizioni, non creerebbe un vuoto normativo. Le stazioni
appaltanti sarebbero chiamate ad applicare le direttive
sugli appalti appena entrate in vigore a livello europeo, di
fatto già autoapplicative (cosiddette self-executive) senza
attendere il loro recepimento nella legislazione italiana,
previsto entro due anni. Si tratta di testi scritti in un
italiano fluente e già tradotti in inglese con gran
soddisfazione di operatori e investitori esteri che, come
noto, si tengono alla larga dal mercato italiano,
principalmente, a causa della farraginosità della nostra
normativa. Una miriade di precetti bizantini e prescrittivi
capaci di produrre solo deresponsabilizzazione e smarrimento
negli uffici acquisti.
La loro abolizione, assieme
all'introduzione delle nuove norme sulla centralizzazione
delle committenze, porterebbe gli uffici comunali, composti
per la stragrande maggioranza da persone perbene e motivate,
a impegnarsi solo sui risultati. In questo senso con Asmel
la possibilità di costituire centrali di committenza tra
comuni mediante «accordi consortili avvalendosi dei
competenti uffici» viene declinata lasciando ampia autonomia
agli stessi nei compiti da delegare alla centrale, che
possono essere limitati a «pezzi» dell'attività o prevedere
la delega completa. Esattamente come previsto dalle nuove
direttive europee che lasciano libere le stazioni appaltanti
di affidarsi alle centrali di committenza anche
limitatamente a funzioni «ausiliarie».
Una simile proposta è in grado di ridurre drasticamente il
contenzioso. Le statistiche dimostrano che esso è alimentato
per la gran parte proprio dalle intricatissime norme che
regolano le cosiddette «buste amministrative», e di dare una
forte accelerazione agli investimenti pubblici e privati.
Tenuto conto che il volume annuo degli appalti pubblici in
Italia ammonta a circa 100 miliardi di euro, pari a circa
l'8% del Pil, è sufficiente un'accelerazione della spesa nel
settore pari al 15 per cento annuo per raddoppiare il tasso
di crescita della nostra economia attualmente stimato per il
2015 nell'1,2%.
Di certo, una simile proposta andrà corredata dal
rafforzamento del ruolo di vigilanza sull'attività delle
Stazioni appaltanti già oggi svolto dall'Avcp in maniera
incisiva, ma che, liberata dai vari orpelli, avrà maggiori
poteri per perseguire i comportamenti dolosi. Nei comuni
andrà rafforzato, invece, il ruolo dei segretari comunali,
per affiancare gli uffici acquisti orfani della normativa di
riferimento.
---------------
Una ragnatela di norme.
Il Codice degli appalti è un testo di legge composto da 273
articoli, 1.560 commi e corredato da rinvii ad altre 148
norme di legge. Dal 2006, data di entrata in vigore, i suoi
articoli hanno subito modifiche per 563 volte senza contare
quelle entrate in vigore per un periodo limitato nei decreti
legge che poi non hanno trovato conversione.
Per la sua corretta applicazione occorre far riferimento
alle 6.155 pronunce dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici e dei tribunali amministrativi, che fanno
giurisprudenza e dunque obbligano di fatto le stazioni
appalti ad uniformarsi. Per non parlare delle migliaia di
pronunce emanate in «sede consultiva» dalle sezioni
regionali della Corte dei conti, che, come tutti sanno,
hanno un potere molto incisivo sull'azione dei pubblici
funzionari. Non basta, al Codice va aggiunto il Regolamento
attuativo, con i suoi 358 articoli e 1392 commi, e i
Regolamenti regionali, anch'essi con valore di legge.
Infine, le stazioni appaltanti sono chiamate anche a
uniformarsi alle intricate norme sulla privacy, sui
«protocolli di integrità», «patti di legalità», e sul
programma triennale anticorruzione, oltre a tutta la
normativa sui procedimenti amministrativi
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
VARI: Il bonus mobili torna «libero».
Via libera agli incentivi agli acquisti anche di valore
superiore alle ristrutturazioni.
Dal Parlamento. Approvato al Senato il decreto casa - Sì
alla cedolare secca nei Comuni interessati da stati di
emergenza.
Il decreto casa (47/2014)
rilancia il bonus mobili «libero», assegnato cioè a
prescindere dal valore della ristrutturazione a cui è
collegato, e allarga la cedolare secca ai Comuni che sono
stati coinvolti in stati di emergenza negli ultimi cinque
anni, promettendo anche entro un mese un nuovo elenco Cipe
con i centri ad alta intensità abitativa in cui si possono
scrivere contratti di locazione a canone concordato.
Si
perde invece per strada, nonostante i molti tentativi, l'Imu
al 4% sulle case affittate ad affitto calmierato,
caldeggiata dallo stesso ministro delle Infrastrutture,
Maurizio Lupi, che rappresenta il "padre" del provvedimento,
oltre all'intervento che avrebbe sbloccato stipendi dei
dipendenti e premi dei dirigenti nel Comune di Milano. A
Palazzo Marino, come nelle altre città, si dovranno
accontentare della sanatoria sugli integrativi fuori norma
(a Milano non sono arrivate ancora contestazioni, ma i
problemi ci sono) scritta nella circolare «salva-Roma»
quater diffusa mercoledì (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
Suona così il bilancio della legge di conversione del
decreto «casa-Expo» dopo il primo passaggio parlamentare,
che si è concluso ieri in Senato con l'approvazione, con 133
voti a favore e 99 contrari. Un bilancio che ha buone
probabilità di essere quello definitivo, dal momento che i
tempi per la conversione definitiva scadono il 28 maggio e
non offrono troppi spazi per modifiche alla Camera da far
ulteriormente ratificare da Palazzo Madama.
Le ultime novità sono state definite nelle sedute di martedì
e di ieri, dove sono state disattese una serie di
indicazioni della commissione Bilancio e sono stati
ripescati anche molti emendamenti bocciati dalle commissioni
riunite. Ecco le più rilevanti.
Anzitutto, la detrazione del 55% sugli acquisti di arredi
perde il tetto di spesa legato a quanto si è pagato per i
lavori di recupero edilizio. Resta quindi solo il tetto di
spesa a 10mila euro. Poi c'è la sanatoria dei «mini-canoni»
degli inquilini che hanno denunciato i proprietari per gli
affitti in nero e hanno sfruttato i grossi sconti offerti
dalla norma poi cancellata dalla sentenza 50/2014 della
Corte costituzionale: gli «effetti prodotti» da quella
regola vengono «fatti salvi fino al 31.12.2015», con
un intervento non proprio esemplare dal punto di vista
costituzionale.
Sul fronte affitti, il Fondo nazionale per il sostegno
all'accesso alle abitazioni in locazione e alla «morosità
incolpevole» servirà anche a rinegoziare i canoni esistenti
attraverso agenzie per l'affitto e ad aiutare anche chi è
colpito da sfratto per finita locazione, e non solo per
morosità.
Per liberare le case popolari dagli abusivi, il decreto
mette in campo parecchie norme, alcune approvate in ultima
battuta dall'Aula del Senato: quella che vieta gli allacci
di acqua, luce e gas a chi occuperà abusivamente una casa,
anche se vuota (viene cancellato il possibile effetto
retroattivo del provvedimento originale), e il divieto, per
almeno cinque anni, di iscriversi nella lista per le
aggiudicazioni delle case popolari. Novità anche per il
riscatto delle case ex Iacp: non sarà ammesso prima dei
sette anni di locazione, sarà limitato solo a chi non
possiede altro alloggio idoneo alla famiglia e non si potrà
rivendere la casa prima di altri cinque anni. Inoltre,
alloggi di housing sociale sono considerati tali anche
quando vengono locati (oltre che a famiglie in stato di
disagio sociale) a donne ospiti di centri anti violenza.
Infine, esce dal concetto di «nuova costruzione» (quindi non
serve più il permesso edilizio) l'installazione di manufatti
leggeri (prefabbricati, roulotte, camper, case mobili,
imbarcazioni usate come abitazioni o depositi) che siano
installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno
di strutture ricettive all'aperto. Sugli appalti è infine
ampliato a cinque anni il periodo per dimostrare i requisiti
per le attività di verifica dei progetti, sono fatti salvi
quelli messi a rischio dalle contraddizioni normative sui
lavori specialistici e viene eliminato il principio di
corrispondenza tra quote di partecipazione alle Ati e
percentuale di esecuzione dei lavori per i raggruppamenti di
imprese (articolo Il Sole 24 Ore del 15.05.2014). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Comuni, stipendi liberi a maggio e riforma in vista.
Pa. Diffusa la circolare «salva-Roma» quater.
Gli stipendi di maggio nei Comuni sono salvi, e i
dirigenti che danno il via libera sono al riparo da
contestazioni di nuovo danno erariali.
A difenderli c'è la
circolare
12.05.2014 n. 60 di prot.
tri-firmata (il ministro
dell'Economia Padoan, la collega degli Affari Regionali
Maria Carmela Lanzetta e la titolare della Pa Maria Anna
Madia) anticipata dal Sole 24 Ore di ieri e diffusa dalla
Funzione pubblica.
Con il «salva-Roma» quater, in verità un «salva-città», sono
infatti impossibili nuove contestazioni per dolo o colpa
grave a carico dei funzionari. L'applicazione degli
integrativi fuori linea potrà avvenire se viene considerata
inevitabile per «garantire la continuità dei servizi
necessari e indispensabili» dei Comuni, ma di fatto questa
condizione si può verificare sempre: basta guardare al
caso-principe, quello di Roma, dove i sindacati avevano già
programmato uno sciopero per lunedì prossimo e un blocco
degli straordinari che avrebbe paralizzato il Campidoglio
sotto elezioni.
Gli integrativi giudicati illegittimi dalla
Ragioneria generale potranno sopravvivere «in via temporanea
e salvo recupero», anche se proprio i recuperi sono uno dei
nodi più intricati nella querelle sui contratti: chiedere ai
dipendenti la restituzione di somme già erogate ovviamente
fa esplodere il conflitto, ma anche i tagli compensativi ai
fondi decentrati si traducono in molti casi
nell'impossibilità di continuare a pagare gli stessi
stipendi di prima, perché le risorse mancano.
Sul futuro immediato, del resto, le incognite rimangono
superiori alle certezze. Un «comitato temporaneo» composto
da Stato, Regioni e Comuni e insediato in Conferenza
Unificata dovrà fare «indicazioni operative nel più breve
tempo possibile» su come gestire la patata bollente dei
contratti integrativi fuori norma. Per farlo, potrà proporre
nuove «disposizioni normative» oppure indirizzi per «la
redazione di direttive all'Aran»: su questa seconda strada
gli ostacoli non sono pochi, anche perché la revisione dei
comparti pubblici prevista dalla riforma Brunetta non è mai
stata attuata, e quindi manca la cornice in cui avviare il
lavoro sulle nuove regole.
La mancata applicazione della riforma Brunetta rappresenta
più in generale uno degli inneschi che hanno fatto esplodere
la mina contratti. Le contestazioni della Ragioneria si
appuntano sulla distribuzione "a pioggia" delle voci che si
aggiungono al tabellare e al mancato adeguamento alla
riforma, che farebbe scattare la decadenza degli integrativi
a partire dal 1° gennaio scorso. Questa seconda ragione ha
prodotto contestazioni milionarie per danno erariale a
carico di alcuni dirigenti del Comune di Roma, ma la
situazione si ripresenta in molte altre città.
Per questa ragione Cgil, Cisl e Uil sostengono in una nota
congiunta diffusa ieri che la circolare «non basta a
risolvere una situazione potenzialmente esplosiva», perché
«in Toscana come in Veneto e in Emilia Romagna, a Roma come
a Parma e Salerno, si susseguono casi analoghi. Serve una
soluzione vera», concludono i sindacati, che passa
attraverso «il rilancio della contrattazione»
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.05.2014). |
APPALTI: Contratti pubblici.
Al setaccio le gare bandite prima del 12 maggio.
Entro il mese di agosto le stazioni appaltanti dovranno
verificare i dati delle gare bandite prima del 12 maggio
2014 e comunicare le informazioni alla banca dati delle
amministrazioni pubbliche che il Mineconomia avvierà a
ottobre; previste sanzioni disciplinari per i responsabili
del procedimento.
È quanto prevede l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici con il
comunicato del Presidente 08.05.2014, Sergio Santoro, che detta
nuove modalità operative di invio dei dati a carico delle
stazioni appaltanti.
Si tratta dei dati che devono
alimentare la Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap)
istituita in seno al ministero dell'economia con la legge n.
196/2009. L'Autorità precisa che dal 12.05.2014 le
amministrazioni dovranno obbligatoriamente indicare sul
sistema Simog (Sistema informativo monitoraggio gare), in
sede di creazione del Cig (codice identificativo gara), il
Cup (codice unico progetto) identificativo del progetto
nell'ambito del quale si colloca lo specifico appalto.
Inoltre si specifica che per tutti i contratti per i quali
alla data del 12.05.2014 risultino già trasmesse le
relative schede di aggiudicazione, il responsabile unico del
procedimento dovrà verificare che per le fattispecie per le
quali è necessaria l'acquisizione del Cup, quest'ultimo
risulti associato al Cig cui si riferisce, nell'ambito del
sistema Simog
(articolo ItaliaOggi del 14.05.2014). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Salvagente all'integrativo.
Verso una sanatoria dei contratti collettivi.
Circolare interministeriale dà le prime indicazioni agli
enti locali.
Verso una sanatoria dei contratti collettivi degli enti
locali.
La
circolare
12.05.2014 n. 60 di prot.
sottoscritta dai ministri Lanzetta, Madia e Padoan per
fornire indicazioni sull'applicazione dell'articolo 4 del dl
16/2014, convertito in legge 68/2014 (decreto «salva Roma»)
lascia intuire che questo potrà essere lo sbocco per
risolvere i problemi dei contratti decentrati di comuni,
regioni e province.
Come è noto, comuni come Roma, Firenze, Vicenza e Reggio
Calabria, per restare ai capoluoghi (ma moltissimi altri più
piccoli sono coinvolti), sono stati interessati da ispezioni
del Mef, che hanno riscontrato una serie di violazioni a
vincoli normativi e finanziari posti alla contrattazione
collettiva decentrata dalla legge e dai Ccnl.
Le relazioni degli ispettori impongono alle amministrazioni
di agire per il recupero delle somme che sarebbero state
spese oltre i limiti normativi.
Ma, le iniziative dei comuni stanno portando a reazioni
fortissime dei sindacati e dei lavoratori, come gli scioperi
che hanno paralizzato Roma in questi giorni.
La mini sanatoria contenuta nell'articolo 4 del dl 16/2014
si è rivelata inadeguata a risolvere i problemi della
contrattazione. Essa, per un verso, consente di non chiedere
indietro ai lavoratori degli enti locali le maggiori somme
percepite. Ma, per altro verso, impone di ridurre
drasticamente l'ammontare dei fondi destinati alla
contrattazione in un arco di tempo che appare essere cinque
anni. Troppo pochi: le decurtazioni ai fondi finirebbero,
così, per intaccare parti fisse degli stipendi, come
l'indennità di comparto o le progressioni verticali. Per
questa ragione, le organizzazioni sindacali si oppongono
all'applicazione dell'articolo 4, nonostante esso possa
rappresentare una via d'uscita per evitare contenziosi e gli
strali del Mef.
La circolare interministeriale prende atto della situazione,
rilevando che, al di là delle violazioni riscontrate, esiste
un problema posto «dalla particolare complessità e
stratificazione» delle norme e dei contratti. Per altro
aggravato, è da aggiungere, da un improprio esercizio di una
funzione di «pareristica» da parte dell'Aran, che con gli
anni ha attribuito alle disposizioni contrattuali
significati non espressi chiaramente dalle clausole, però
fatti propri dai servizi ispettivi.
I ministri, se da un lato annunciano la costituzione di un
«comitato temporaneo» per fornire indicazioni applicative
dell'articolo 4 del «salva Roma», dall'altro evidenziano
indirettamente la sostanziale poca utilità della misura
normativa applicata. Non a caso, la circolare 60/gab altro
non è se non un'ulteriore sanatoria temporanea extra ordinem.
Infatti, nelle more dei risultati dell'attività del comitato
istituito e delle direttive Aran sull'applicazione delle
norme e dei contratti, la circolare autorizza gli organi di
governo di regioni ed enti locali ad applicare il citato
articolo 4 del «salva Roma» solo parzialmente, nei limiti in
cui sia accettabile da sindacati e lavoratori. Non solo: i
ministri indicano agli organi di governo perfino di
applicare, sia pure «in via temporanea» le clausole
contrattuali integrative da ritenere in violazione dei
vincoli normativi, la cui attuazione risulti tuttavia
indispensabile per evitare scioperi e blocchi delle
attività, salvo successivo recupero delle somme
(illegittimamente) esborsate.
Risulta evidente che quella delineata dalla circolare è solo
una soluzione di ripiego, per altro in gran parte
contrastante con le previsioni dell'articolo 4 del «salva-Roma»,
finalizzata a stemperare le tensioni fortissime nei comuni
interessati dalle ispezioni
(articolo ItaliaOggi del 14.05.2014). |
PATRIMONIO: Decreto in G.U..
Immobili, p.a. riduca gli acquisti.
Da quest'anno, l'acquisto di immobili destinati ad attività
istituzionali della pubblica amministrazione deve sottostare
preventivamente alle principali regole di indispensabilità e
indilazionabilità dell'operazione. In pratica, l'acquisto
dell'immobile deve soddisfare il superiore interesse
pubblico e non può essere «allungato» nel tempo se questa
dilazione compromette eventuali obiettivi fissati dal
vertice dell'amministrazione pubblica. In relazione al
prezzo, poi, deve essere acquisito il parere di congruità
rilasciato dall'Agenzia del demanio.
Lo prevede il dm
Economia 14/02/2014, in G.U. del 12/05/2014, in relazione
alle disposizioni contenute all'art. 12, c. 1-bis, del dl
98/2011.
Pertanto, nel caso in cui le amministrazioni
pubbliche, tranne gli enti territoriali, previdenziali e
quelli del Servizio sanitario nazionale, comunicano alla
ragioneria generale dello stato il piano triennale di
investimento, come prevede il decreto attuativo delle
disposizioni sopra richiamate (il dm Economia 16/03/2012), il
responsabile del procedimento di ogni p.a. richiedente dovrà
contestualmente documentare l'indispensabilità e l'indilazionabilità
dell'operazione di acquisto.
Il primo requisito, precisa il
dm, attiene alla necessità di procedere in tal senso sia per
un obbligo giuridico che incombe all'amministrazione per il
perseguimento delle proprie finalità che per la tutela ed il
soddisfacimento dei superiori interessi pubblici. Il
secondo, attiene all'impossibilità di differire l'acquisto
senza compromettere il raggiungimento degli obiettivi
istituzionali. Entrambi tali requisiti si ritengono
soddisfatti nel caso in cui l'acquisto comporti effetti
finanziari ed economici positivi, così riscontrati
dall'organo di controllo interno o dal competente ufficio
della ragioneria.
Sull'iter di acquisto è necessario che si
pronunci l'Agenzia del demanio con l'attestazione di
congruità del prezzo. Documento, questo, che deve essere
acquisito prima della definizione delle operazioni e che
sarà rilasciato gratuitamente per le amministrazioni
indicate all'articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001,
mentre le restanti amministrazioni dovranno provvedere al
rimborso delle spese sostenute
(articolo ItaliaOggi del 14.05.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, il
Sistri cambia registro. Aggiornate le schede di movimentazione. Codice fiscale per
la ricerca anagrafica.
Per il Sistri aggiornata l'applicazione della scheda «area
movimentazione» e la sezione delle guide e dei documenti.
Ottimizzate le ricerche in anagrafica Sistri utilizzando
come chiave il codice fiscale per reperire la scheda
movimentazione.
È stata rilasciata la nuova relase
dell'applicazione movimentazione che rende disponibili le
funzioni relative alla memorizzazione del pin per la firma
dei documenti e la precompilazione delle schede in bianco
per la microraccolta.
Nella sezione manuali e guide sono
stati pubblicati gli aggiornamenti dei documenti relativi ai
trasportatori, ai produttori, ai recuperatori-smaltitori,
agli intermediari, alla regione Campania e microraccolta. Il
tutto è contenuto nel sito del ministero dell'ambiente
www.sistri.it. e aggiornato al 9 maggio scorso. La nuova
funzionalità «memorizzazione del pin per la firma dei
documenti» permette all'utente, previa esplicita
accettazione, di memorizzare lo stesso, digitandolo una sola
volta all'avvio di ogni sessione operativa, senza doverlo
nuovamente inserire in occasione della firma di ogni scheda
o registrazione.
Per poter utilizzare la soluzione l'utente
deve provvedere all'aggiornamento del dispositivo Usb.
L'altra applicazione rubricata «schede in bianco per la microraccolta»
consente di pre-compilare e stampare schede in bianco
inserendo le informazioni desiderate nella sezione
produttore (dati rifiuti, dati produttore, dati
trasportatore e dati destinatario) e/o nella sezione
trasportatore. Al momento della riconciliazione l'utente
potrà decidere se confermare le informazioni precedentemente
inserite o meno.
Inoltre sono stati effettuati interventi di ottimizzazione
delle ricerche in anagrafica sistri che consentono la
ricerca delle schede di movimentazione utilizzando come
chiave il codice fiscale e consentono la ricerca delle
registrazioni di carico e scarico collegate ad una scheda di
movimentazione utilizzando come chiave il codice della
scheda di movimentazione. La scheda sistri area
movimentazione è un documento informatico costituito da
varie sezioni che vanno compilate a cura dei soggetti che
intervengono nelle diverse fasi del ciclo di gestione dei
rifiuti.
È possibile vedere la scheda come costituita da tre distinte
sezioni: produttore, trasportatore e destinatario. La
sezione «produttore» contiene i dati anagrafici del
produttore, le informazioni qualitative e quantitative del
rifiuto e i dati identificativi di tutti gli altri soggetti
coinvolti. Quella del «trasportatore» contiene i dati
anagrafici di tutti i soggetti coinvolti nel trasporto del
rifiuto, le info identificative del mezzo e del percorso, le
date di presa in carico e consegna. Infine la sezione «destinatario»
contiene i dati anagrafici del destinatario e l'esito della
movimentazione con l'indicazione della quantità accettata
(articolo ItaliaOggi del 13.05.2014). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Come ha definitivamente chiarito il legislatore,
la DIA è un atto del privato e non è, quindi, possibile
ipotizzare la formazione di un provvedimento tacito a
seguito della sua presentazione, neppure dopo lo spirare del
termine di esercizio del potere inibitorio (cfr. art. 19,
comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della DIA
aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il
legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per
l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa
ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non
conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di
autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad
oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con
l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano
l’esercizio.
E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa
invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio
del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a
ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso
delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità
violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in
considerazione gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
20. Si può ora passare proprio all’esame del secondo motivo, con il quale
la ricorrente deduce il mancato rispetto delle norme e dei
principi che governano il potere di autotutela.
21. Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato.
22. Come anticipato, l’amministrazione resistente, con
provvedimento in data 01.10.2010, ha annullato il titolo
edilizio formatosi a seguito della presentazione della DIA
del 12.07.2010.
23. In realtà, l’atto impugnato non è intervenuto su un
titolo edilizio giacché, come ha definitivamente chiarito il
legislatore, la DIA è un atto del privato e non è, quindi,
possibile ipotizzare la formazione di un provvedimento
tacito a seguito della sua presentazione, neppure dopo lo
spirare del termine di esercizio del potere inibitorio (cfr.
art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
24. Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della
DIA aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il
legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per
l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa
ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non
conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di
autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad
oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con
l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano
l’esercizio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
25. E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa
invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio
del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a
ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso
delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità
violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in
considerazione gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
26. Ciò premesso, non ci si può esimere dall’osservare che
il provvedimento impugnato non si è per nulla conformato a
queste prescrizioni.
27. L’atto invero si limita ad enunciare le ragioni di
illegittimità del titolo annullato (rectius dell’attività
edilizia intrapresa) senza specificare in alcun modo le
ragioni di interesse pubblico prevalenti rispetto a quelle
contrastanti della ricorrente: il provvedimento si limita
invero ad affermare “…la presenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale in relazione all’ambito particolare di
tutela ambientale…”.
28. Tale enunciato è però del tutto inadeguato, considerato
anche che il provvedimento impugnato è intervenuto a più di
due anni di distanza dal momento di presentazione della DIA,
quando i lavori erano pressoché ultimati, e che, quindi, in
capo alla ricorrente si era ormai consolidato un fondato
affidamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.05.2014 n. 1278 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In caso di contrasto tra le indicazioni grafiche
e le prescrizioni normative dello strumento urbanistico
generale prevalgano le prescrizioni normative, in quanto le
risultanze grafiche possono chiarire e completare quanto è
normativamente stabilito nel testo, non già sovrapporsi o
negare quanto da esso risulta.
Ciò posto, è insegnamento giurisprudenziale in tema di
interpretazione dell’atto amministrativo –per tutte C.d.S.
sez. V 22.08.2003 n. 4734- che in caso di contrasto tra le
indicazioni grafiche e le prescrizioni normative dello
strumento urbanistico generale, prevalgano le prescrizioni
normative, in quanto le risultanze grafiche possono chiarire
e completare quanto è normativamente stabilito nel testo,
non già sovrapporsi o negare quanto da esso risulta
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.05.2014 n. 508 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO:
Locazione futura con regole appalti.
Un contratto di locazione di opera futura rientra nella
normativa Ue in materia di appalti. Nessuna possibilità,
quindi, per l'amministrazione comunale di non applicare le
direttive Ue perché se è vero che dall'ambito di
applicazione delle direttive sugli appalti sono esclusi i
contratti di locazione è anche vero che l'inquadramento di
un'operazione non dipende dal diritto nazionale ma dalla
normativa europea.
Lo ha chiarito l'avvocato generale della Corte di giustizia
Ue Nils Wahl nelle
conclusioni 15.05.2014 - C-213/13 su rinvio
pregiudiziale del Consiglio di Stato.
Per l'avvocato generale, le cui conclusioni non sono
vincolanti per la Corte Ue, l'eccezione all'applicazione
della normativa sugli appalti riguarda unicamente beni
immobili esistenti e non «beni la cui costruzione non è
neppure iniziata». La qualificazione di un'operazione
come appalto pubblico di lavori -osserva Wahl- rientra nel
diritto dell'Unione e deve essere effettuata prescindendo
dal diritto nazionale.
Poco importa la qualificazione formale del contratto.
L'avvocato generale fa salva, però, l'autorità di cosa
giudicata, prevedendo nei casi in cui ciò renda impossibile
l'applicazione del diritto Ue un risarcimento dei danni
causati a terzi (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.05.2014 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I) stante la straordinarietà del beneficio del
condono edilizio, è onere del richiedente provare, in modo
rigoroso, che l’epoca di realizzazione delle opere sia
antecedente a quella dettato dalla legge;
II) tale onere va assolto con elementi probatori stringenti
o con l’allegazione di documenti altamente probanti;
III) non può mai sostenersi che l’amministrazione debba
farsi carico di accertare l’epoca dell’abuso.
---------------
La specialità del procedimento di condono edilizio rispetto
all’ordinario procedimento di rilascio della concessione ad
edificare e l’assenza di una specifica previsione in ordine
alla sua necessità rendono, per il rilascio della
concessione in sanatoria c.d. straordinaria, il parere della
commissione edilizia non obbligatorio, ma tutt’al più
facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e
valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi
incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla semplice
verifica dei numerosi presupposti e condizioni espressamente
e chiaramente fissati dal legislatore.
Tale impostazione è, peraltro, conforme alla interpretazione
ministeriale (circolare ministeriale n. 3357/25 del
30.07.1985) che seppure riferita alla concessione edilizia
(“il procedimento per il rilascio della concessione deve
considerarsi completamente definito dall’art. 9 dell’art.
35, nel senso che il Sindaco non è tenuto a sottoporre la
domanda agli organi tecnico–consultivi ed in particolare
alla commissione edilizia”) deve intendersi estesa a tutti i
procedimenti di natura edilizia.
Quanto alla previsione dell’art. 35 della l. n. 47/1985, in
materia di rilascio del condono edilizio, che richiede che
il provvedimento debba adottarsi “previ i necessari
accertamenti”, si riferisce esclusivamente a quelli di
competenza dell’ufficio tecnico comunale.
Tanto premesso, il collegio non intende decampare dai consolidati
principi elaborati dalla giurisprudenza secondo cui: I)
stante la straordinarietà del beneficio del condono
edilizio, è onere del richiedente provare, in modo rigoroso,
che l’epoca di realizzazione delle opere sia antecedente a
quella dettato dalla legge; II) tale onere va assolto con
elementi probatori stringenti o con l’allegazione di
documenti altamente probanti; III) non può mai sostenersi
che l’amministrazione debba farsi carico di accertare
l’epoca dell’abuso (cfr. fra le tante Cons. Stato, sez. V,
15.07.2013, n. 3834; sez. IV, 23.01.2013, n. 414).
---------------
La specialità del
procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario
procedimento di rilascio della concessione ad edificare e
l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua
necessità rendono, per il rilascio della concessione in
sanatoria c.d. straordinaria, il parere della commissione
edilizia non obbligatorio, ma tutt’al più facoltativo, al
fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con
riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi,
in assenza dei quali il rilascio della concessione in
sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi
presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati
dal legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 03.08.2010,
n. 5156; sez. IV, 05.11.2012, n. 5619).
Tale impostazione è, peraltro, conforme alla interpretazione
ministeriale (circolare ministeriale n. 3357/25 del 30.07.1985) che seppure riferita alla concessione edilizia
(“il procedimento per il rilascio della concessione deve
considerarsi completamente definito dall’art. 9 dell’art.
35, nel senso che il Sindaco non è tenuto a sottoporre la
domanda agli organi tecnico–consultivi ed in particolare
alla commissione edilizia”) deve intendersi estesa a tutti i
procedimenti di natura edilizia.
Quanto alla previsione dell’art. 35 della l. n. 47/1985, in
materia di rilascio del condono edilizio, che richiede che
il provvedimento debba adottarsi “previ i necessari
accertamenti”, si riferisce esclusivamente a quelli di
competenza dell’ufficio tecnico comunale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2451 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di abusi edilizi,
il provvedimento sanzionatorio è il doveroso e
imprescindibile esercizio del potere sanzionatorio da parte
della pubblica amministrazione.
Esso è un atto vincolato che non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non
potendosi nemmeno ammettere l’esistenza di alcun affidamento
tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non potrebbe legittimare.
---------------
E’ pacifico che i provvedimenti di repressione degli abusi
edilizi non necessitino di alcuna particolare motivazione,
essendo essa riscontrabile in re ipsa, nel ripristino della
legalità violata.
In proposito, va
solamente puntualizzato che il provvedimento sanzionatorio è
il doveroso e imprescindibile esercizio del potere
sanzionatorio da parte della pubblica amministrazione.
Esso è un atto vincolato che non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non
potendosi nemmeno ammettere l’esistenza di alcun affidamento
tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non potrebbe legittimare (Cons. Stato,
sez. VI, 04.03.2013, n. 1268; n. 758 del 2013).
---------------
E’ comunque pacifico che i
provvedimenti di repressione degli abusi edilizi non
necessitino di alcuna particolare motivazione, essendo essa
riscontrabile in re ipsa, nel ripristino della legalità
violata (Cons. Stato, sez. V, 11.02.1999, n. 144) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2451 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se è vero che l’obbligo giuridico del titolare di
una concessione edilizia di corrispondere il contributo ai
sensi della l. n. 10/1977 è rappresentato dal rilascio della
concessione edilizia medesima, sicché a tale momento occorre
avere riguardo per la determinazione dell’entità del
contributo, è anche vero che laddove il rilascio del titolo
sia artatamente differito nel tempo senza alcuna
motivazione, al solo fine di far ricadere l’atto nella più
onerosa regolamentazione del contributo di concessione
-medio termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto
al rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza
ed imparzialità impongono che di tale disciplina
sopravvenuta non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente
tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento
recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri
stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il
rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro
atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione
edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella
quantificazione degli oneri di una previsione espressa di
provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni
ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti
riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione,
inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute,
caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per
meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di
circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il
rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza
alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la
richiesta di un ben più elevato contributo di concessione,
non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore
importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una
disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova
disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era
concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda
l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto
concerne la determinazione degli oneri e il relativo
pagamento.
L’appello è fondato e deve essere accolto.
La fattispecie all’esame presenta delle peculiarità che
consentono di ritenere il ricorso fondato sul primo
assorbente motivo.
Se è vero, infatti, come affermato nell’impugnata sentenza,
che l’obbligo giuridico del titolare di una concessione
edilizia di corrispondere il contributo ai sensi della l. n.
10/1977 è rappresentato dal rilascio della concessione
edilizia medesima, sicché a tale momento occorre avere
riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, è
anche vero che laddove il rilascio del titolo sia
artatamente differito nel tempo senza alcuna motivazione, al
solo fine di far ricadere l’atto nella più onerosa
regolamentazione del contributo di concessione -medio
termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto al
rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza ed
imparzialità impongono che di tale disciplina sopravvenuta
non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente
tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento
recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri
stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il
rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro
atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione
edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella
quantificazione degli oneri di una previsione espressa di
provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni
ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti
riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione,
inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute,
caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per
meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di
circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il
rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza
alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la
richiesta di un ben più elevato contributo di concessione,
non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore
importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una
disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova
disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era
concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda
l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto
concerne la determinazione degli oneri e il relativo
pagamento.
Quanto alla circostanza evidenziata in sentenza che il
Comune può sempre intervenire modificando gli oneri e
chiedendo integrazioni, non è significativa nella presente
controversia, in cui non vi sono stati errori nei conteggi o
errori nella iniziale fissazione degli importi per oneri di
urbanizzazione, ma si controverte della applicazione
retroattiva della nuova determinazione degli oneri, malgrado
il procedimento di rilascio della concessione edilizia si
fosse già perfezionato in vigenza della precedente
disciplina (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2434 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Legittimamente
l’ordine di demolizione è rivolto anche ai proprietari
dell’area, indipendentemente dall’essere questi responsabili
delle opere abusive, dato che l’estraneità del proprietario
(o del titolare del diritto reale) agli abusi edilizi
implica la sola insuscettibilità del provvedimento
repressivo e sanzionatorio a costituire titolo per
l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di
sedime sulla quale insiste il bene.
- Rilevato che con atto depositato il 25.03.2014 il
difensore della parte ricorrente ha rilevato che nelle more
del giudizio il Comune aveva assentito permesso di costruire
in sanatoria ed ha chiesto al Collegio di dichiarare la
cessazione della materia del contendere, con condanna
dell’Amministrazione intimata al pagamento delle spese di
giudizio;
- Considerato che, essendo state sanate le opere oggetto
dell’ordinanza di demolizione, deve ritenersi venuto meno
ogni interesse alla definizione della causa, per cui il
ricorso in esame non può non essere dichiarato improcedibile;
- Ritenuto, per concludere, che sussistano giuste ragioni
per disporre la totale compensazione delle spese e degli
onorari di giudizio, in quanto legittimamente l’ordine di
demolizione era stato rivolto anche ai proprietari
dell’area, indipendentemente dall’essere questi responsabili
delle opere abusive (Cons. St., sez. VI, 17.01.2014, n. 225,
e 15.10.2013, n. 5011, e TAR Umbria, 29.01.2014, n. 66, e
TAR Napoli, sez. VI, 23.10.2013, n. 4679), dato che
l’estraneità del proprietario (o del titolare del diritto
reale) agli abusi edilizi implica la sola insuscettibilità
del provvedimento repressivo e sanzionatorio a costituire
titolo per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale
dell’area di sedime sulla quale insiste il bene (TAR Napoli
sez. VIII, 07.11.2013, n. 4964, TAR Roma, sez. I,
05.11.2013, n. 9386, e TAR Piemonte, sez. I, 24.10.2013, n.
1102)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 13.05.2014 n. 224 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto, l’asservimento di un fondo ad un altro, in caso di
edificazione di quest’ultimo, provocando la perdita
definitiva ed irrevocabile delle potenzialità edificatorie
dell’area asservita, crea una relazione pertinenziale, che
costituisce una qualità oggettiva del fondo asservito.
Permanendo a tempo indeterminato, tale asservimento continua
pertanto a seguire il fondo anche nei successivi
trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca
successiva, essendo opponibile ai terzi e a chiunque ne sia
il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e
produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione
oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento
o che l’edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai
essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della
volumetria assentibile.
Va, invero, al riguardo premesso che -come è noto (Cons.
St., sez. V, 27.06.2011, n. 3823)- l’asservimento di un
fondo ad un altro, in caso di edificazione di quest’ultimo,
provocando la perdita definitiva ed irrevocabile delle
potenzialità edificatorie dell’area asservita, crea una
relazione pertinenziale, che costituisce una qualità
oggettiva del fondo asservito. Permanendo a tempo
indeterminato, tale asservimento continua pertanto a seguire
il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi
titolo intervenuti in epoca successiva, essendo opponibile
ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.
In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o
accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini
edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e
produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione
oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino
specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento
o che l’edificio insista su una parte del lotto
catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai
essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della
volumetria assentibile (cfr. TAR Salerno sez. I, 16.04.2013,
n. 890, TAR Bari, sez. III, 09.01.2013, n. 11, e TAR
Catanzaro, sez. I, 08.11.2012, n. 1064)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 13.05.2014 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo cimiteriale, espresso dall'art. 338
del r.d. 27.07.1934, n. 1265 -come modificato dapprima
dall’art. 4 della legge 30.03.2001, n. 130 e quindi
dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge 01.08.2002,
n. 166- ha natura assoluta e si impone, in quanto limite
legale, anche alle eventuali diverse e contrastanti
previsioni degli strumenti urbanistici, in relazione alle
sue finalità di tutela di preminenti esigenze
igienico-sanitarie, salvaguardia della sacralità dei luoghi
di sepoltura, conservazione di adeguata area di espansione
della cinta cimiteriale, secondo giurisprudenza granitica.
Con riferimento alle censure dedotte
con l'appello nr. 4291/2011, afferenti all'approvazione del
progetto definitivo ed esecutivo dell'ampliamento del
cimitero, alle presupposte deliberazioni di Giunta
Municipale e di Consiglio Comunale e ai conseguenti atti
della procedura espropriativa, deve rammentarsi che il
vincolo cimiteriale, espresso dall'art. 338 del r.d. 27.07.1934, n. 1265 -come modificato dapprima dall’art. 4
della legge 30.03.2001, n. 130 e quindi dall’art. 28,
comma 1, lettera a), della legge 01.08.2002, n. 166- ha
natura assoluta e si impone, in quanto limite legale, anche
alle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli
strumenti urbanistici, in relazione alle sue finalità di
tutela di preminenti esigenze igienico-sanitarie,
salvaguardia della sacralità dei luoghi di sepoltura,
conservazione di adeguata area di espansione della cinta
cimiteriale, secondo giurisprudenza granitica (cfr. tra le
tante, Cons. Stato, Sez. IV, 22.11.2013, n. 5571, 20.07.2011, n. 4403, 16.03.2011, n. 1645, 27.10.2009, n. 6547,
08.10.2007, n. 5210; Sez. V, 14.09.2010, n. 6671, 08.09.2008, n. 4526).
Ne consegue che il rilevato contrasto con previsioni di
P.R.G., secondo i rilievi cartografici più o meno certi o
opinabili invocati dalla società appellante, non può
implicare l'illegittimità del progetto di ampliamento
cimiteriale, quando non sia contestato che il suolo
appartenente alla società appellante ricada nella fascia
assoggettata al vincolo cimiteriale, di tal che, e in ogni
caso, risulti affatto prevalente il vincolo legale, e si
ponga non già esigenza di una variante urbanistica ma,
semmai, di adeguamento delle previsioni grafiche se e in
quanto erronee, confuse, contrastanti con il sovraordinato
limite legale.
Con ciò risulta, dunque, palesemente infondato il primo
motivo dell'appello in esame, appunto incentrato sul
lamentato contrasto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI:
L'approvazione di progetti di opere pubbliche e
di atti inerenti alla correlata procedura espropriativa
rientra nella competenza gestoria dirigenziale, come
disegnata dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n.
267 in relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione
degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi
espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi
di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale...", in quanto non
riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte
municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42,
comma 2, e 48, commi 2 e 3, e anche tenendo in disparte il
rilievo che l'ampliamento era previsto nel programma
triennale delle opere pubbliche e inserito nel bilancio di
previsione, e quindi in atti fondamentali di Giunta e
Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore radicamento
della competenza dirigenziale ai sensi del comma 3 dell'art.
107, concernente appunto "... tutti i compiti di attuazione
degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di
indirizzo adottati dai medesimi organi" (di governo).
Non hanno maggior pregio
le censure dedotte con il secondo motivo d'appello, perché
l'approvazione di progetti di opere pubbliche e di atti
inerenti alla correlata procedura espropriativa rientra
nella competenza gestoria dirigenziale, come disegnata
dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 in
relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione degli
atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi
espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi
di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale...", in quanto non
riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte
municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42,
comma 2, e 48, commi 2 e 3 (in tal senso vedi, Cons. Stato,
Sez. IV, 16.03.2010, n. 1532), e anche tenendo in
disparte il rilievo che l'ampliamento era previsto nel
programma triennale delle opere pubbliche e inserito nel
bilancio di previsione, e quindi in atti fondamentali di
Giunta e Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore
radicamento della competenza dirigenziale ai sensi del comma
3 dell'art. 107, concernente appunto "... tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli
atti di indirizzo adottati dai medesimi organi" (di
governo) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il
rilascio di un titolo edilizio -ancorché precario- in fascia
di rispetto cimiteriale.
A tal riguardo, è del tutto evidente che l'ingiunzione di
rimozione di opere la cui installazione e mantenimento era
stata assentita con l'impegno unilaterale di rimuoverle da
un lato trova sufficiente motivazione nelle richiamate
esigenze connesse all'ampliamento del cimitero, dall'altro
non imponeva alcuna comunicazione d'avvio del procedimento,
con conseguente infondatezza anche del secondo motivo
d'appello, poiché l'interessata era a conoscenza sin dal
rilascio del titolo edilizio della sua natura e dei suoi
effetti e dell'obbligo di dover procedere alla rimozione
delle opere, assunto in chiara correlazione causale con la
deroga al divieto legale di utilizzazione edilizia, ciò che
denota l'assoluta carenza di fondamento giuridico anche del
terzo motivo, incentrato sulla pretesa "nullità" dell'atto
unilaterale d'obbligo.
Non hanno poi pregio
giuridico le censure dedotte con l'appello nr. 4292/2011,
concernenti l'ingiunzione di rimozione delle opere assentite
solo a titolo precario, e proprio in funzione della loro
insistenza nella fascia di rispetto cimiteriale, con
autorizzazione edilizia n. 520/1997.
A prescindere dalla stessa dubbia legittimità di un titolo
edilizio assentito a tal fine, in contrasto con vincolo
legale d'inedificabilità (sull'estraneità della fattispecie
all'ordinamento normativo edilizio cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12.06.2013, n. 3256) e per giunta per la determinata
tipologia (sull'esigenza del permesso di costruire, e quindi
di concessione edilizia, per opere relative ad autolavaggio
vedi Cons. Stato, Sez. VI, 22.10.2008, n. 5191), è del tutto
evidente che l'ingiunzione di rimozione di opere la cui
installazione e mantenimento era stata assentita con
l'impegno unilaterale di rimuoverle da un lato trova
sufficiente motivazione nelle richiamate esigenze connesse
all'ampliamento del cimitero, dall'altro non imponeva alcuna
comunicazione d'avvio del procedimento, con conseguente
infondatezza anche del secondo motivo d'appello, poiché
l'interessata era a conoscenza sin dal rilascio del titolo
edilizio della sua natura e dei suoi effetti e dell'obbligo
di dover procedere alla rimozione delle opere, assunto in
chiara correlazione causale con la deroga al divieto legale
di utilizzazione edilizia, ciò che denota l'assoluta carenza
di fondamento giuridico anche del terzo motivo, incentrato
sulla pretesa "nullità" dell'atto unilaterale
d'obbligo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il coordinamento esegetico dell'art. 11 con le
altre disposizioni della legge n. 122/1989 circoscrive
l'esonero dal contributo di concessione alle sole "opere e
interventi" realizzati o nel quadro del programma urbano dei
parcheggi (anche ai sensi del comma 4 dell'art. 9) o a
quelli realizzati, "... nel sottosuolo degli stessi
(immobili) ovvero nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati..anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai
regolamenti edilizi vigenti...(nonché e sempre)...ad uso
esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree
pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto
con i piani urbani del traffico", di cui al comma 1
dell'art. 9.
In altri termini deve trattarsi di parcheggi da realizzare,
con vincolo di pertinenzialità alle unità immobiliari dei
residenti, in edifici già esistenti (nel sottosuolo, e
completamente interrati, o in locali al piano terreno) o
comunque, e sempre a uso esclusivo dei residenti, al
servizio di edifici già esistenti (su aree esterne o anche
nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne).
In tal senso l'orientamento affatto prevalente della
giurisprudenza ha chiarito che l'art. 9 riguarda i soli
edifici esistenti e non anche gli edifici nuovi per i quali
trova invece applicazione l'art. 41-sexies della legge
17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 2 della
stessa legge n. 122/1989 (a tenore del quale "Nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle
costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi
per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato
per ogni 10 metri cubi di costruzione"), che a differenza
degli spazi a parcheggio di cui all'art. 41-quinquies non
sono aree pubbliche conteggiabili nella dotazione degli
standards e che, peraltro, a seguito della novella di cui
all'art. articolo 12, comma 9, della legge 28.11.2005, n.
246, che ha aggiunto un secondo comma alla disposizione, non
sono assoggettati a vincoli pertinenziali e sono
trasferibili autonomamente.
Com'é noto l'art. 11, comma 1, della legge 24.03.1989, n.
122 (recante "Disposizioni in materia di parcheggi,
programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate
nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla
disciplina della circolazione stradale, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 15.06.1959, n. 393")
dispone che: "Le opere e gli interventi previsti dalla
presente legge costituiscono opere di urbanizzazione anche
ai sensi dell'articolo 9, primo comma, lettera f) , della
legge 28.01.1977, n. 10".
A sua volta quest'ultimo stabiliva l'esonero dal contributo
di concessione (tra gli altri) "per gli impianti, le
attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale
realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché
per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati,
in attuazione di strumenti urbanistici" (la disposizione
è stata abrogata dall'art. 136, comma 1, lettera c), del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, dapprima con decorrenza dal
01.01.2002, quindi dal 30.06.2002 ex art. 5-bis del d.l.
23.11.2001, n. 411 e, finalmente, dal 30.06.2003, ai sensi
in base all'art. 3 del d.l. 20.06.2002, n. 122, convertito,
con modificazioni, nella legge 01.08.2002, n. 185, e la
corrispondente norma è contenuta nell'art. 17, comma 3,
lettera c), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Orbene, per quanto qui interessa, il coordinamento esegetico
dell'art. 11 con le altre disposizioni della legge n.
122/1989 circoscrive l'esonero dal contributo di concessione
alle sole "opere e interventi" realizzati o nel
quadro del programma urbano dei parcheggi (anche ai sensi
del comma 4 dell'art. 9) o a quelli realizzati, "... nel
sottosuolo degli stessi (immobili) ovvero nei locali siti al
piano terreno dei fabbricati..anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti...(nonché e
sempre)...ad uso esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato,
purché non in contrasto con i piani urbani del traffico",
di cui al comma 1 dell'art. 9.
In altri termini deve trattarsi di parcheggi da realizzare,
con vincolo di pertinenzialità alle unità immobiliari dei
residenti, in edifici già esistenti (nel sottosuolo, e
completamente interrati, o in locali al piano terreno) o
comunque, e sempre a uso esclusivo dei residenti, al
servizio di edifici già esistenti (su aree esterne o anche
nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne).
In tal senso l'orientamento affatto prevalente della
giurisprudenza ha chiarito che l'art. 9 riguarda i soli
edifici esistenti e non anche gli edifici nuovi (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 16.04.2012, n. 2185, e 10.03.2011, n. 1565,
e per più risalenti affermazioni Sez. V, 24.10.2000 n. 5676)
per i quali trova invece applicazione l'art. 41-sexies della
legge 17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 2 della
stessa legge n. 122/1989 (a tenore del quale "Nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle
costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi
per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato
per ogni 10 metri cubi di costruzione"), che a
differenza degli spazi a parcheggio di cui all'art.
41-quinquies non sono aree pubbliche conteggiabili nella
dotazione degli standards (Cons. Stato, Sez. IV, 08.01.2013
n. 32) e che, peraltro, a seguito della novella di cui
all'art. articolo 12, comma 9, della legge 28.11.2005, n.
246, che ha aggiunto un secondo comma alla disposizione, non
sono assoggettati a vincoli pertinenziali e sono
trasferibili autonomamente
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2404 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
La prevalente
giurisprudenza estende anche agli accordi di programma,
trattandosi di provvedimenti comportanti varianti
urbanistiche, il principio per cui il dies a quo del termine
d’impugnazione corrisponde a quello della loro
pubblicazione, costituente presunzione legale di conoscenza.
Infatti, l’accordo di programma è un provvedimento
amministrativo soggetto a pubblicazione ex art. 34 del
d.lgs. 17.08.2000, n. 267 (in cui è confluito l’art. 27
della legge 06.06.1990, n. 142), e del quale non è
necessaria la comunicazione individuale agli interessati
atteso che il piano oggetto di approvazione, per contenuto e
finalità, costituisce una variante di tipo generale
preordinata ad incidere, non già su una singola area in
proprietà privata per la realizzazione di una determinata e
specifica opera pubblica, bensì su una generalità di aree
del territorio comunale conformandole, cioè un tipo di
variante avente la medesima valenza e gli stessi contenuti
programmatici del piano regolatore generale; diverso,
evidentemente, sarebbe il caso ove l’accordo di programma e
la variante dallo stesso implicata avessero avuto ad oggetto
una specifica e singola opera pubblica localizzata su una
ben definita area: in questo caso infatti avrebbe trovato
applicazione il noto e condivisibile orientamento secondo
cui il termine per l’impugnazione non decorre dalla
pubblicazione ma dalla comunicazione ovvero dalla piena
conoscenza della variante da parte del singolo soggetto
interessato.
Orbene, è appena il caso di sottolineare come la prevalente
giurisprudenza estenda anche agli accordi di programma,
trattandosi di provvedimenti comportanti varianti
urbanistiche, il principio per cui il dies a quo del
termine d’impugnazione corrisponde a quello della loro
pubblicazione, costituente presunzione legale di conoscenza
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21.11.2005, nr. 6467; id.,
30.07.2002, nr. 4075).
Infatti, l’accordo di programma è un provvedimento
amministrativo soggetto a pubblicazione ex art. 34 del
d.lgs. 17.08.2000, n. 267 (in cui è confluito l’art. 27
della legge 06.06.1990, n. 142), e del quale non è
necessaria la comunicazione individuale agli interessati
atteso che il piano oggetto di approvazione, per contenuto e
finalità, costituisce una variante di tipo generale
preordinata ad incidere, non già su una singola area in
proprietà privata per la realizzazione di una determinata e
specifica opera pubblica, bensì su una generalità di aree
del territorio comunale conformandole, cioè un tipo di
variante avente la medesima valenza e gli stessi contenuti
programmatici del piano regolatore generale; diverso,
evidentemente, sarebbe il caso ove l’accordo di programma e
la variante dallo stesso implicata avessero avuto ad oggetto
una specifica e singola opera pubblica localizzata su una
ben definita area: in questo caso infatti avrebbe trovato
applicazione il noto e condivisibile orientamento secondo
cui il termine per l’impugnazione non decorre dalla
pubblicazione ma dalla comunicazione ovvero dalla piena
conoscenza della variante da parte del singolo soggetto
interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23.12.1998, n. 1904) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Pur essendo la delibera di adozione di un piano
urbanistico immediatamente impugnabile, la sua impugnazione
costituisce una mera facoltà e non un onere, di modo che
l’omessa impugnativa non è in alcun modo preclusiva della
successiva impugnazione della delibera di approvazione del
piano.
Priva di pregio è anche la
seconda eccezione riproposta col mezzo qui in esame, con cui
si assume l’inammissibilità del ricorso per mancata
impugnazione della delibera di adozione del P.U.O.
Infatti, è jus receptum che, pur essendo la delibera
di adozione di un piano urbanistico immediatamente
impugnabile, la sua impugnazione costituisce una mera
facoltà e non un onere, di modo che l’omessa impugnativa non
è in alcun modo preclusiva della successiva impugnazione
della delibera di approvazione del piano (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 11.09.2012, nr. 4828; id., 02.12.2011, nr. 6373;
id., 13.01.2010, nr. 50) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'elemento che, in linea generale,
contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova
edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta
trasformazione del territorio, mediante una edificazione di
cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la
sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente": art. 3, comma 1, lett. d), t.u.)
ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se
non "fedele" (per effetto della modifica apportata al testo
unico dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301), comunque
rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione
preesistente.
L’unica deroga all’esigenza di mantenere immutata volumetria
e sagoma, per potersi mantenere nell’ambito della
ristrutturazione edilizia, è data con riguardo alle “sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica” (lett. d), in fine).
L’esame del primo motivo è sufficiente a
dichiarare l’appello fondato.
Come ha ribadito anche di recente la Sezione, l'elemento
che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione
dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta
trasformazione del territorio, mediante una edificazione di
cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la
sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente": art. 3, comma 1, lett. d), t.u.)
ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione,
se non "fedele" (per effetto della modifica apportata al
testo unico dal decreto legislativo 27.12.2002, n.
301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma
della costruzione preesistente (sez. IV, 30.05.2013, n.
2972).
L’unica deroga all’esigenza di mantenere immutata volumetria
e sagoma, per potersi mantenere nell’ambito della
ristrutturazione edilizia, è data con riguardo alle “sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica” (lett. d), in fine), che davvero non sembrano
venire in questione nella vicenda.
Nel caso di specie, la parte appellata non contesta quanto
il Comune afferma nel proprio ricorso (pag. 10), e cioè che,
alla stregua del progetto per cui il permesso di costruire è
stato richiesto, “la tipologia costruttiva dei materiali e
dei muri, la sagoma ed il volume del nuovo manufatto
(villetta in muratura) non corrisponderebbero in nulla
all’esistente (ricovero in legno)”.
L’intervento progettato fuoriesce così dall’ambito
concettuale della ristrutturazione per divenire invece
“intervento di nuova costruzione” (ex art. 3, comma 1, lett.
e), t.u.). Legittimamente, dunque, il Comune ha respinto la
domanda volta al rilascio di un titolo edilizio inteso a
realizzare un’opera che solo in termini del tutto atecnici
potrebbe qualificarsi come ristrutturazione edilizia,
comportando in realtà -secondo l’oggetto testualmente
indicato nella documentazione a corredo della domanda- un
ampliamento del fabbricato.
Posto che le disposizioni del testo unico costituiscono “i
principi fondamentali e generali e le disposizioni per la
disciplina dell'attività edilizia” (art. 1, comma 1),
qualunque previsione del P.R.G. comunale, ove per avventura
difforme, rimarrebbe comunque inefficace.
Dalle considerazioni che precedono, discende che il primo
motivo dell’appello è fondato e deve essere pertanto
accolto, con assorbimento dei motivi ulteriori
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2397 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’attività edilizia svolta si è limitata ad un
semplice intervento di manutenzione ordinaria, posto che la
recinzione danneggiata dall’urto di un auto in transito ha
comportato “la necessità di risistemare il muretto (di
recinzione) nel tratto attinto dall’urto”.
Sicché, l’U.T.C., muovendo dall’art. 31 del D.P.R. n. 380,
ha illegittimamente ritenuto sanzionabili con la demolizione
opere edili non riconducibili nell’ambito della disposizione
applicata.
Di fatto, la ricorrente ha sostanzialmente provveduto al
ripristino di un breve tratto della recinzione danneggiata.
Invero, trattandosi di un intervento liberalizzato, il
dirigente dell’U.T.C. non avrebbe potuto, ai fini
sanzionatori, ravvisarne l’illegittimità nella assenza di un
titolo abilitativo non richiesto; avrebbe potuto invece, per
giungere all’ordine di demolizione, verificare il rispetto
delle altre normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina della attività edilizia e in particolare delle
norme di sicurezza, posto che lo stesso art. 6 del D.P.R. n.
380/2001 pone tale condizione come necessaria per una
“attività edilizia libera”.
Nel merito il ricorso può ritenersi fondato.
Con le censure proposte, da esaminare in un unico contesto
in ragione della loro connessione, la ricorrente
sostanzialmente sostiene che l’U.T.C., muovendo dall’art. 31
del D.P.R. n. 380, avrebbe ritenuto sanzionabili con la
demolizione opere edili non riconducibili nell’ambito della
disposizione applicata.
L’attività edilizia svolta, infatti, si sarebbe limitata ad
un semplice intervento di manutenzione ordinaria, posto che
la recinzione danneggiata dall’urto di un auto in transito
avrebbe comportato “la necessità di risistemare il
muretto nel tratto attinto dall’urto”.
Tale assunto, ad avviso del collegio, va condiviso.
Il D.P.R. n. 380/2001 definisce interventi di manutenzione
ordinaria (art. 3), suscettibili d’essere eseguiti senza
alcun titolo abilitativi (art. 6), “le opere e le
modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici”.
Ora non è dubbio (giusta documentazione fotografica
prodotta) che nel caso di specie, al di là delle differenti
valutazioni offerte dalle parti in ordine alla consistenza
dell’intervento, la ricorrente abbia sostanzialmente
provveduto al ripristino di un breve tratto della recinzione
danneggiata.
Di conseguenza, trattandosi di un intervento liberalizzato,
il dirigente dell’U.T.C. non avrebbe potuto, ai fini
sanzionatori, ravvisarne l’illegittimità nella assenza di un
titolo abilitativo non richiesto; avrebbe potuto invece, per
giungere all’ordine di demolizione, verificare il rispetto
delle altre normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina della attività edilizia e in particolare delle
norme di sicurezza, posto che lo stesso art. 6 del D.P.R. n.
380/2001 pone tale condizione come necessaria per una “attività
edilizia libera”.
Invero, costituendosi in giudizio, l’Amministrazione precisa
che l’ordine di demolizione in questione sarebbe stato
emesso sul presupposto di un accertamento compiuto dalla
polizia municipale che, con verbale n. 365/2013, contestava
alla De Siato la violazione dell’art. 16, comma 1, lett. B
c.d.s.
Tale circostanza tuttavia non può risultare idonea ad
integrare la motivazione del provvedimento impugnato.
L’ordine di demolizione, infatti, si limita a rilevare
soltanto ed impropriamente l’assenza del titolo abilitativo
e non invece a considerare la legittimità o meno
dell’intervento alla luce delle disposizioni dettate dal
codice della strada.
In ogni caso vale la pena osservare come l’Amministrazione,
in ipotesi di riesercizio del potere, non possa non valutare
con riferimento al caso concreto, la effettiva capacità del
divieto posto dal c.d.s. (interventi edilizi di costruzione,
ricostruzione ed ampliamento a distanza non regolamentare) “di
rimuovere con il tempo situazioni di pericolo che
preesistevano all’introduzione delle fasce di rispetto”.
Va da sé infatti che, in presenza di una recinzione estesa
per decine di metri, l’interruzione per brevi tratti (ove
analoghi episodi dovessero ripetersi) non determinerebbe
apprezzabili benefici in termini di tutela della
circolazione stradale, posto che la recinzione danneggiata
resterebbe pur sempre a distanza non regolamentare dal
ciglio della sede stradale.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso pertanto
deve essere accolto fatti salvi gli ulteriori provvedimenti
che l’Amministrazione riterrà di dover adottare (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.05.2014 n. 1221 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La variazione d’uso funzionale “realizzata in
parziale difformità ai titoli abilitativi”, non può essere
assimilata (in assenza di contestazione circa la
realizzazione di opere edili) agli interventi eseguiti in
parziale difformità del permesso di costruire, interventi
considerati dall’art. 34 del D.P.R. e per i quali la stessa
norma prevede la rimozione o la demolizione a spese dei
responsabili dell’abuso.
Pertanto, appare evidente come il richiamo all’art. 34 del
D.P.R. n. 380/2001, operato dall’Amministrazione per imporre
un uso corretto dell’immobile, sia del tutto inappropriato.
Il ricorso è fondato.
Non è dubbio che i ricorrenti utilizzino, per abitarvi, un
immobile sito in zona artigianale e destinato dallo
strumento urbanistico ad uso non residenziale (ufficio).
Il Comune di Ostuni, pertanto, verificata l’intervenuta
variazione d’uso realizzata in parziale difformità al titolo
abilitativo, ha ritenuto, per un verso, di dover ordinare ai
responsabili, ex art. 34 del D.P.R., di adeguare la
situazione di fatto dell’immobile alla situazione di
diritto, d’altro canto, di applicare la sanzione
amministrativa pecuniaria di € 2.582,00, prevista dall’art.
47 della legge regionale n. 56/1980 (da lire 1.000.000. a
lire 5.000.000).
Ora, appare evidente come il richiamo all’art. 34 del D.P.R.
n. 380/2001, operato dall’Amministrazione per imporre un uso
corretto dell’immobile, sia del tutto inappropriato.
Nella fattispecie infatti, contrariamente a quanto sembra
desumersi dal provvedimento impugnato, la variazione d’uso
funzionale “realizzata in parziale difformità ai precitati
titoli abilitativi”, non può essere assimilata (in assenza
di contestazione circa la realizzazione di opere edili) agli
interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di
costruire, interventi considerati dall’art. 34 del D.P.R. e
per i quali la stessa norma prevede la rimozione o la
demolizione a spese dei responsabili dell’abuso.
Sicché, ferma restando la possibilità dell’Amministrazione
di regolare la destinazione d’uso degli immobili, è fuor di
dubbio che nella specie siano stati utilizzati strumenti
impropri sotto il profilo normativo (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.05.2014 n. 1219 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Area vincolata, demolizione libera.
Consiglio di Stato. Se l'abuso è su aree tutelate non
occorre la comunicazione di avvio del procedimento.
Ogni volta che opere
edilizie abusive sorgano su un'area vincolata, non occorre
che l'ordine di demolizione del Comune sia preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento, a differenza di
quanto prescritto in caso di abusi accertati in zone non
tutelate dalle norme di settore.
Lo ha stabilito il
Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza
09.05.2014 n. 2380 sulla base dei dettami di
vigilanza e responsabilità del Testo unico dell'edilizia (Dpr
380/2001).
La decisione ha chiarito le conclusioni dei
giudici amministrativi di primo grado che dieci anni fa
avevano respinto un ricorso di privati contro l'ordinanza
comunale di demolizione di opere abusive su un terreno
agricolo in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico dalle
norme di protezione delle bellezze naturali (legge
1497/1939).
Precisazioni anche in merito ai contestati ordine di
sospensione, affidamento dei lavori a terzi con trattativa
privata e atti per il recupero delle spese.
L'amministrazione aveva provveduto alla notifica dell'atto
d'urgenza solo poche ore dopo aver ripristinato lo stato dei
luoghi e nei giorni successivi, a demolizione conclusa,
all'invio dell'atto di ingiunzione a bloccare le attività
abusive.
I giudici hanno spiegato che «il potere-dovere di
disporre la demolizione ha natura vincolata», in modo che
non è necessario comunicarne l'avvio se le opere abusive
sono su aree inedificabili o destinate a opere e spazi
pubblici, interventi di edilizia residenziale pubblica o
tutelate dalle norme su usi civici, beni culturali e
ambientali, boschi e terreni montani (articolo 27, comma 2, Dpr 380/2001).
Così per l'ordine di sospensione: può anche
non precedere l'ordinanza per il «carattere meramente
eventuale delle esigenze cautelari che possono
determinarlo», non esserci affatto e, anche se ormai
"superfluo", non può renderla illegittima. I destinatari non
hanno poi «alcun interesse a sindacare le modalità
procedurali con le quali l'Amministrazione individua
l'impresa cui affidare i lavori» (articolo Il Sole 24 Ore del 15.05.2014). |
APPALTI:
Sul c.d. "potere di soccorso" della stazione
appaltante, ex art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006
(fattispecie inerente una procedura di gara per
l'individuazione dell'affidatario della sede farmaceutica di
nuova istituzione).
L'art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti),
disciplina il c.d. "potere di soccorso" della
stazione appaltante consentendo, nei limiti previsti dagli
artt. da 38 a 45, se necessario, che i concorrenti siano
invitati a completare o fornire chiarimenti in ordine al
contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati, riguardanti i requisiti generali per
l'ammissione a gara. Essa rappresenta un'espressione, nel
settore delle gare pubbliche, del più generale principio di
cui all'art. 6, c. 1, lett. b), l. n. 241 del 1990, secondo
cui il responsabile del procedimento adotta ogni misura per
l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria e può
chiedere "il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di
dichiarazioni o istanze erronee o incomplete...". Il
principio soddisfa la primaria esigenza di consentire la
massima partecipazione alla selezione, consentendo di
correggere l'eccessivo rigore delle forme insito nella
logica "della caccia all'errore" e di eliminare
quelle situazioni di esclusioni dalle gare anche per
violazioni puramente formali.
Nelle procedure di gara il "potere di soccorso",
sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione
appaltante di regolarizzare certificati, documenti o
dichiarazioni già esistenti, ovvero di completarli ma solo
in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione,
chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi,
fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto
della par condicio dei concorrenti, non consente la
produzione tardiva del documento o della dichiarazione
mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali
adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice
dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e
dalle leggi statali.
L'omessa dichiarazione della sussistenza o meno della causa
di impedimento di cui all'art. 13 della l. n. 475 del 1968,
che concerne l'incompatibilità con il pubblico impiego
dell'attività di propagandista di medicinali, nonché della
causa interdittiva di cui all'art. 12 della stessa legge,
per aver ceduto la titolarità di altra farmacia da almeno
dieci anni, sono cause di esclusione essendo insito nelle
citate previsioni di legge il carattere cogente dei divieti
discendenti dalle norme. Tuttavia, l'omessa dichiarazione
non è sanzionata, nel caso di specie, dalla clausola del
bando con l'espressa comminatoria di esclusione; ne consegue
che, secondo principi consolidati in giurisprudenza sulle
conseguenze della non offensività delle omesse dichiarazioni
in tema di requisiti generali di partecipazione alle gare,
la stazione appaltante era tenuta ad esercitare il potere di
soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a
fornire la dichiarazione mancante, in quanto gli stessi
potevano essere esclusi solo in difetto del requisito
sostanziale, ovvero se non avessero reso, nel termine
indicato dalla stazione appaltante, l'integrazione della
dichiarazione mancante. La stazione appaltante, dunque, ha
correttamente accertato in concreto la posizione degli
interessati, richiedendo il completamento della
documentazione e ne ha disposto la riammissione in gara
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 09.05.2014 n. 2376 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La strada in questione risulta inserita nella
delibera di Giunta municipale n. 436/993, contenente la
classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre
tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero
civico e la strada medesima è dotata della segnaletica
stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte
degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la
segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte
della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade
pubbliche.
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché
risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando
alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra
essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso
pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono
superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia
compiuto alcune opere sulla strada stessa.
Il ricorso è infondato.
Come documentato dal Comune resistente, e non contestato dal
ricorrente, la strada in questione risulta inserita nella
delibera di Giunta municipale n. 436 del 1993, contenente la
classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre
tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero
civico e la strada medesima è dotata della segnaletica
stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte
degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la
segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte
della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade
pubbliche (cfr. Tar Catanzaro, sentenza n. 643 del 2008).
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché
risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando
alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra
essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso
pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono
superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia
compiuto alcune opere sulla strada stessa.
Tanto più che l’unica opera veramente incompatibile con la
proprietà pubblica e soprattutto con l’uso pubblico della
medesima è stata la recinzione del terreno, che ha appunto
determinato la reazione dell’Amministrazione mediante i
provvedimenti impugnati.
La strada, peraltro, come risulta dalla relazione tecnica
allegata alla d.i.a., ha funzione di collegamento e raccordo
con la viabilità esistente, ed anche questo elemento depone
in modo rilevante per la natura pubblica della stessa (cfr.
Consiglio di Stato, sentenza n. 5596 del 2013).
La circostanza, dedotta nel ricorso, che essa non sia idonea
alla circolazione veicolare (con auto o moto) non elimina
l’uso pubblico che finora ne è stato fatto, ma semmai
riguarda la possibilità che la medesima possa essere
utilizzata a tal fine per l’avvenire, da parte
dell’Amministrazione proprietaria, la quale dovrà ovviamente
verificare ed impedire tale uso veicolare qualora, e nei
limiti in cui, esso sia effettivamente in contrasto con le
norme di sicurezza e di circolazione stradale (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 05.05.2014 n. 212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'esercizio del potere sanzionatorio da parte
dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di
Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) .
L'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell' Autorità
per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture (Avcp) deve riguardare per essere giustificato sul
piano della razionalità e della ragionevolezza, un
comportamento più grave ed ulteriore rispetto al mancato
possesso dei requisiti o alla falsa attestazione degli
stessi, che espone già l'operatore economico partecipante
alla gara all'esclusione dalla stessa e all'escussione della
cauzione provvisoria.
In effetti, l'ordinamento attribuisce all'Autorità di
Vigilanza il potere sanzionatorio, in particolare quello di
irrogare la sanzione pecuniaria, nel caso in cui vengano
rese informazioni non veritiere o forniti documenti non
veritieri, qualora a detta falsità corrisponda una "lacuna
sostanziale", ossia l'effettiva mancanza del requisito
falsamente dichiarato esistente.
Proprio la diversità dei presupposti del potere
sanzionatorio della stazione appaltante ex art. 48 del
d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'Avcp ex art. 6, comma 11, del
medesimo testo legislativo comporta che l'archiviazione del
procedimento dinnanzi alla'Autorità di vigilanza non
comporta l'illegittimità delle sanzioni irrogate dalla
stazione appaltante (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 02.05.2014 n. 404 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Cds e requisiti.
Gare, ok avvalimento parziale.
Legittimo l'avvalimento parziale dei requisiti anche nelle
gare di lavori pubblici.
In attesa dell'adeguamento
normativo previsto nella legge europea 2013-bis, per il
Consiglio di Stato non c'è più dubbio alcuno che possa
essere ammesso l'avvalimento parziale dei requisiti nelle
gare di lavori pubblici e in tal senso è perentorio il
contenuto della
sentenza 28.04.2014 n. 2200 della V Sez..
In primo grado il Tar Calabria (sent.
868/2013) aveva invece riconosciuto la carenza, in capo
all'aggiudicataria, della qualificazione nella categoria
OG11, classifica III, e non aveva ammesso ai sensi dell'art.
61, dpr 207/2010, l'aumento del quinto in favore
dell'impresa ausiliaria (in possesso del requisito di
categoria OG 11, classifica II), ostandovi il divieto di
frazionamento dei requisiti di qualificazione tra l'impresa
ausiliaria e quella ausiliata.
Per il Cds, invece, dopo la
sentenza della Corte di giustizia Ue, 10/10/2013, n.
C-94/12, «deve ritenersi definitivamente superata la tesi
che vieta l'uso dell'avvalimento per conseguire il
cosiddetto “cumulo parziale dei requisiti”; la Corte di
Giustizia, infatti, ha considerato del tutto legittimo che
le capacità di terzi soggetti ausiliari (uno o più d'uno),
si aggiungano alle capacità del concorrente, al fine di
soddisfare –attraverso il cumulo di referenze singolarmente
insufficienti– il livello minimo di qualificazione
prescritto dalla stazione appaltante nella legge di gara».
Va considerato che nel frattempo lo stesso Cds (cfr. sez. V,
09.12.2013, n. 5874) aveva già accolto le indicazioni
europee. Appare quindi ormai consolidato e certo
l'orientamento del Consiglio di Stato teso a recepire i
contenuti della sentenza europea e quindi ad affermare il
riconoscimento del diritto al cumulo dei requisiti
all'interno della medesima categoria con il corollario
dell'aumento del quinto.
Va peraltro considerato che anche il legislatore si sta
adeguando: con un emendamento al disegno di legge europea
2013-bis è stata prevista la sostituzione del comma 6
dell'articolo 49 del Codice dei contratti pubblici al fine
di eliminare il divieto di ricorrere a più di una impresa
ausiliaria per lavori compresi nella stessa categoria di
qualificazione
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163,
esprime una regula iuris di portata generale volta a dare
concreta attuazione ai principi di imparzialità e di buona
amministrazione contenuti dall'art. 97 della Costituzione
---------------
La previsione di legge di cui all'art. 84, c. 4 previene il
pericolo concreto di possibili effetti distorsivi prodotti
dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di
soggetti che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale.
L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, prevede che nella
gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, "i commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono svolgere
alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui affidamento si tratta".
Alla stregua di un consolidato insegnamento
giurisprudenziale, il dettato di cui al 4° c. dell'art. 84
D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 esprime una regula iuris di
portata generale volta a dare concreta attuazione ai
principi di imparzialità e di buona amministrazione
contenuti dall'art. 97 della Costituzione.
La norma esprime la necessità di conciliare i principi di
economicità, di semplificazione e di snellimento dell'azione
amministrativa con quelli di trasparenza, efficacia ed
adeguatezza, regolando la scelta dei componenti delle
commissioni di cui è demandata l'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa in guisa da depotenziare
profili di incidenza negativa sulla trasparenza e sull'
imparzialità della commissione giudicatrice.
---------------
L'Adunanza Plenaria con decisione 07.05.2013, n. 13 ha
ritenuto che l'art. 84, c. 4, d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
risponde all'esigenza di rigida separazione della fase di
preparazione della documentazione di gara con quella di
valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia
della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio
generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei
componenti degli organi amministrativi; è pertanto
incompatibile il componente della commissione giudicatrice
che era stato precedentemente incaricato della redazione del
bando e del disciplinare di gara.
La previsione di legge di cui all'art. 84, c. IV, è, in
definitiva, destinata a prevenire il pericolo concreto di
possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione
alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti,
dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara
e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale definendo i contenuti e le regole
della procedura. In base alla consolidata giurisprudenza
amministrativa, una volta accertata l'illegittimità
dell'azione della P.A., è a quest'ultima che spetta, al fine
di vincere una presunzione insita nell'illegittimità
dell'azione amministrativa, provare l'assenza di colpa
attraverso la deduzione di circostanze integranti gli
estremi del c.d. errore scusabile, ovvero l'inesigibilità di
una condotta alternativa lecita.
Nel caso di specie, nella valutazione del comportamento
dell'amministrazione rilevano, quali indici sintomatici di
una condotta colposa non vinti dalla deduzione di un errore
scusabile, il mancato rispetto dei principi in tema di
composizione della commissione e la violazione di una chiara
normativa di gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2191 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti riabilitati dal mercato. Conta l'esistenza di una
domanda per i beni recuperati.
La Corte di cassazione si pronuncia sui criteri che
determinano l'end of waste.
Tra i requisiti necessari per considerare riabilitati a vero
e propri «beni» i materiali provenienti da recupero di
rifiuti non vi è più quello del loro valore economico,
essendo su tale piano sufficiente l'esistenza di una domanda
di mercato che detti beni sono diretti a soddisfare.
Questa, per la Corte di Cassazione, la rilevante
caratteristica dell'attuale disciplina sulla «cessazione
della qualifica di rifiuto» (meglio nota come «end of waste»)
prevista dal dlgs 152/2006.
Per il giudice di legittimità,
Sez. III penale, che si è in materia pronunciato con
sentenza 15.04.2014
n. 16423, resta però fermo, oltre al rispetto delle altre
condizioni tecniche poste dal «Codice ambientale», l'obbligo
di dimostrare sia l'effettiva sottoposizione dei rifiuti a
procedimento di recupero che la sussistenza di idonea
autorizzazione allo svolgimento di tale attività.
Le regole «end of waste». Con la sentenza in parola
(vertente su un carico di materiali ferrosi e non,
dichiarato dal trasportatore come ordinaria merce ma senza
fornire prova del loro recupero) la Suprema Corte ha
compiuto un esame su quelle che sono le regole previste
dall'articolo 184-ter del dlgs 152/2006, nel quale dopo vari
e complessi interventi legislativi (l'ultimo dei quali nel
2010) sono migrate (assumendo nuova natura ed identità) le
diverse norme che determinano il momento in cui i rifiuti
tornano ad essere beni (norme sulle «materie prime
secondarie» ieri, norme sui «prodotti end of waste» oggi).
In base al vigente assetto normativo dettato dal «Codice
ambientale», precisa la Cassazione, i rifiuti cessano di
essere tali solo se sono sottoposti ad un'operazione di
recupero e soddisfano i criteri specifici individuati per
singola tipologia da decreti ministeriali nel rispetto di
quattro precise condizioni, ossia: che i materiali in
«output» siano comunemente utilizzati per scopi specifici;
abbiano un mercato o una domanda di riferimento; soddisfino
gli standard esistenti applicabili ai prodotti; il loro
nuovo utilizzo non abbia impatti negativi su ambiente e
salute.
E proprio in relazione alla seconda di tali
condizioni la Corte di cassazione ha sottolineato come non
sia più necessario (rispetto al regime precedente alle
innovazioni apportate dal dlgs 205/2010) che i materiali
ottenuti abbiano un valore economico, essendo sufficiente la
sola esistenza di un mercato di sbocco e di una domanda da
soddisfare. Ponendosi nel solco giurisprudenziale inaugurato
dallo stesso giudice con sentenza 17.06.2011, n. 24427,
la nuova sentenza conferma dunque che il valore nullo o
irrisorio di determinati materiali ottenuti da un processo
di recupero non può essere utilizzato per qualificarli come
rifiuti. Ed in relazione ai processi di recupero, come
ricorda la stessa Corte, l'unico degli attesi decreti
ministeriali sull'end of waste ad oggi adottato risulta
essere il dm Ambiente 22/2013 sui combustibili solidi
secondari (c.d. «Css»).
Nelle more degli altri, la riabilitazione a «beni» delle
diverse tipologie di rifiuti è necessario invece ricorrere
(come espressamente sancito dallo stesso articolo 184-ter
del dlgs 152/2006) alle regole previste dai dm 5 febbraio
1998, 161/2002, 269/2005 e dal dl 172/2008, ossia alle
«vecchie» norme sulla produzione delle materie prime
secondarie (norme che, a differenza di quelle sull'end of
waste spostano però la cessazione della qualifica di rifiuto
più avanti, richiedendo oltre alle operazioni di recupero
anche l'effettivo e oggettivo conseguente prova del nuovo
utilizzo).
A tali norme nazionali, è doveroso sottolinearlo,
si affiancano però i regolamenti comunitari sull'end of
waste adottati sulla base della direttiva madre sui rifiuti
(la 2008/98/Ce), regolamenti (self-executing) già
applicabili sul piano interno ed oggi disponibili per le
seguenti tipologie di rifiuti: rottami di rame (regolamento
n. 715/2013/Ue); vetro (n. 1179/2012); ferro, acciaio,
alluminio (333/2011).
Il regime autorizzatorio per il recupero. Come accennato, la
Cassazione non transige invece sulla necessità di esibire
una valida autorizzazione al recupero per poter
legittimamente invocare l'applicazione del regime dei «beni»
in luogo di quello dei «rifiuti» sui residui detenuti.
Autorizzazione che, in base alle attuali regole recate dal dlgs 152/2006, può essere ottenuta secondo un regime
«ordinario» (permesso rilasciato dalla regione a seguito di
rituale istruttoria) o «semplificato» (avvio delle
operazioni di trattamento trascorsi 90 giorni dalla
comunicazione alla provincia competente, regime però
attualmente utilizzabile solo per i rifiuti previsti e
secondo le regole individuate da appositi dm, nelle more
della cui adozione valgono oggi quelle dei citati dm 05.02.1998 e dm 161/2002).
E proprio su tale regime
semplificato promette di intervenire l'annunciato dl
ambientale allo studio del governo (si veda ItaliaOggi
dell'8/5/2014), provvedimento che prevede la possibilità di
effettuare sotto tale autorizzazione «light» tutte le
attività di «end of waste», ma a condizione che si
rispettino le regole tecniche sancite dai citati decreti
ministeriali sulle materie prime secondarie
(articolo ItaliaOggi Sette del
19.05.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. End of waste.
Affinché un rifiuto cessi di essere tale è comunque
necessario che sia sottoposto ad operazione di recupero
perché possa essere definitivamente sottratto alla
disciplina in materia di gestione dei rifiuti. Anche a
seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. 205/2010,
infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da
una pregressa e necessaria attività di recupero (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.04.2014 n. 16423 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rifacimento urgente del tetto dopo il preliminare d'acquisto.
Immobili. Ammessa la tutela dell'articolo 700 del Codice di
procedura civile.
Sì al provvedimento d'urgenza previsto dall'articolo 700
del Codice di procedura civile per tutelare i diritti del
promissario acquirente.
Lo afferma il TRIBUNALE di
Cassino (giudice Eramo) in un'ordinanza del 03.04.2014
(tratto da www.ilsole24ore.com).
Il caso riguarda una Srl, che aveva stipulato un preliminare
per l'acquisto di un casolare da ristrutturare, ma poi aveva
scoperto che l'immobile era gravato da vincoli paesaggistici
e archeologici. Così si era rivolta al tribunale per
ottenere l'annullamento del contratto, sostenendo di essere
stata indotta in errore essenziale sulla natura e
sull'oggetto dell'accordo.
Nel corso del giudizio la società
ha chiesto al giudice l'emissione di un provvedimento
d'urgenza in base all'articolo 700 del Codice di rito
civile, perché il suo diritto era minacciato da un
pregiudizio imminente e irreparabile perché il casolare
aveva subito ingenti danni a causa della mancata
manutenzione.
Il tribunale osserva che il provvedimento d'urgenza
garantisce principalmente diritti che riguardano beni
infungibili ma tutela anche «crediti pecuniari dal cui
ritardato soddisfacimento potrebbe derivare un pregiudizio
non riparabile altrimenti». La pretesa vantata dalla
ricorrente non è un diritto di proprietà, ma ciò è
irrilevante per la concessione dell'ordinanza perché dal
contratto preliminare scaturisce «una specifica obbligazione
di alienazione del promittente alienante, rispetto alla
quale si contrappone un diritto soggettivo perfetto
all'adempimento di tale obbligazione a favore
dell'acquirente».
Il giudice rileva che per il consulente tecnico d'ufficio
era «prevedibile a breve l'aggravarsi delle condizioni di
sicurezza degli elementi strutturali del tetto». E poiché la
ricorrente ha il diritto all'acquisto della proprietà di «un
immobile il più possibile integro», alla promittente
venditrice è ordinato di «provvedere alla ristrutturazione o
rifacimento del tetto e delle altre parti danneggiate»
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: La Scia spia degli abusi edilizi.
La segnalazione ha valore confessorio dell'irregolarità.
Il Consiglio di stato: se il comune non interviene entro 30
giorni scatta la sanatoria.
La Scia è spia d'abuso edilizio. Deve ritenersi che la
segnalazione certificata di inizio attività abbia valore
confessorio dell'irregolarità commessa dal proprietario
dell'immobile: se quindi il Comune non interviene entro
trenta giorni a bloccare i lavori, scatta il titolo
abilitativo in sanatoria come effetto previsto dalla legge,
indipendentemente da un'eventuale diversa volontà delle
parti.
Risultato: è da considerarsi sanato l'abuso edilizio che
aveva fatto scattare l'ordine di demolizione del solaio,
rivelatosi più alto di sessanta centimetri rispetto al
dovuto. E dunque l'ente locale non ha più interesse ad
agire.
Lo precisa il Consiglio di
Stato, Sez. V, con la
sentenza
31.03.2014 n. 1534.
Azione e condizioni
A far scattare l'ordine di demolizione è stato
l'accertamento che il manufatto risulta difforme rispetto ai
grafici allegati alla concessione edilizia. Ma ora viene
dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza
d'interesse il ricorso proposto dall'amministrazione contro
la sentenza di annullamento pronunciato dal tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria.
Il Comune non contesta
che sia effettivamente decorso il termine di trenta giorni
dalla presentazione della Scia senza che sia stato adottato
e comunicato alcun provvedimento di divieto di prosecuzione
dell'attività: ne consegue che oggi il solaio un tempo
abusivo dispone di un titolo abilitativo, sia pure in
sanatoria dell'attività edilizia originariamente abusiva. Si
configura infatti la sopravvenuta carenza di interesse
all'appello principale da parte del Comune che impugnava la
sentenza del Tar favorevole al proprietario dell'immobile:
la successiva Scia in sanatoria ha comunque sanato l'abuso
dal quale è scaturita la controversia.
Sono quindi venute
meno nelle more del giudizio le condizioni dell'azione che
devono persistere per tutto il tempo della lite. Non ha buon
gioco l'ente locale a porre la questione dell'ipotetico
risarcimento in caso di rovesciamento del verdetto di primo
grado. Spese compensate per la particolarità della
questione
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
VARI:
Comodato sì, ma non precario. La concessione a vita
costituisce contratto a termine.
CASSAZIONE/ Il comodante e i suoi eredi non possono
svincolarsi prima del fine vita.
La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita
del comodatario non costituisce un comodato precario, ma un
contratto a termine. Di conseguenza il comodante o i suoi
eredi non possono svincolarsi liberamente dal contratto
prima del «fine vita» del comodatario, salvo il caso in cui
ricorrano gravi motivi.
Lo ha stabilito la III Sez.
civile della Corte di Cassazione con la
sentenza
18.03.2014 n. 6203 (link a www.neldiritto.it).
Nel caso concreto due conviventi hanno stipulato un
contratto di comodato per un immobile. Il convivente
proprietario ha pattuito con il suo partner la cessione del
godimento gratuito del bene «vita natural durante». E
tuttavia, in fase di esecuzione, la convivenza è venuta a
mancare, e il comodatario –ancora nel possesso
dell'immobile– si è visto citare in giudizio dal comodante
per ottenere il rilascio dell'immobile e la condanna al
pagamento degli oneri condominiali a carico del convenuto.
Il processo di primo grado si è concluso col rigetto della
domanda attorea. Secondo il tribunale, infatti, il contratto
intervenuto dalle parti doveva qualificarsi come comodato a
termine, sicché –in applicazione degli artt. 1809, 1810 e
1811, cod. civ.– la cessazione degli effetti del negozio
non potevano discendere dalla semplice richiesta del
comodante né dal –pure eccepito– grave inadempimento del
comodatario, come invece previsto per il caso di comodato
senza termine.
Di tutt'altra opinione è stata la Corte d'appello, adita in
sede di gravame dal comodante soccombente in primo grado,
per ottenere la riforma della decisione pronunciata dal
tribunale. L'appellante ha insistito sulla diversa
qualificazione del contratto, facendo leva sulla
denominazione prescelta dai contraenti in sede di stesura
dell'accordo (recante «Contratto di comodato gratuito a
tempo indeterminato»); elemento testuale da cui trarre –con
estrema chiarezza– la disciplina di riferimento, quanto
alla fase patologica o conclusiva del rapporto giuridico.
La Corte territoriale, in riforma della prima decisione, ha
accolto la domanda del comodante e condannato parte
convenuta al rilascio dell'immobile assieme al pagamento di
tutte le spese relative agli oneri indebitamente sostenute,
per il comodatario, dal comodante.
La lite è, da ultimo, pervenuta all'attenzione della Suprema
corte cui si è rivolto in ultima istanza il comodatario,
insistendo per l'annullamento della sentenza della Corte del
gravame e, di converso, per la conferma del pronunciamento
(favorevole) del giudice di primo grado.
Gli Ermellini, nel pronunciarsi sulla questione, sono
tornati ad occuparsi della sottile linea di confine che
separa il contratto di comodato precario (cioè a tempo
indeterminato) e quello a tempo determinato, sottolineando
l'assoluta trascurabilità della qualificazione formale
indicata dai contraenti rispetto alla sostanza
contenutistica del contratto.
La Corte, nel ritenere fondato il ricorso, ha affermato come
laddove le parti del contratto di comodato utilizzino, quale
parametro di riferimento per la durata degli effetti del
regolamento, la vita del comodatario deve assumersi concluso
un comodato a termine, e non già un contratto precario. In
altri termini, la concessione in comodato di un immobile per
tutta la vita del comodatario costituisce un contratto a
termine, di cui è certo l'an ed è incerto il quando, e a
fronte del quale il comodante o i suoi eredi possono
svincolarsi dal contratto soltanto nelle ipotesi descritte
dagli artt. 1804, comma 3, 1809 e 1811 cod. civ.
Spiegano i
giudici del Palazzaccio che «con l'inserimento di un
elemento accidentale quale l'individuazione di una precisa
durata (in questo caso, la massima durata possibile,
coincidente con la vita della beneficiaria), il comodante
sceglie liberamente, d'accordo con il comodatario, di
inserire nel contratto un elemento accidentale -il termine
appunto- che limita la sua possibilità di recuperare quando
lo ritiene opportuno la disponibilità materiale
dell'immobile e al contempo rafforza la posizione del
comodatario, garantendogli il godimento di quell'immobile
per tutto il tempo individuato con la fissazione del
termine, e sottraendolo al rischio di subire il recesso ad nutum»
(articolo ItaliaOggi Sette del
19.05.2014).
---------------
MASSIMA
La concessione in comodato di un
immobile per tutta la vita del comodatario costituisce un
contratto a termine, di cui è certo l’an ed è incerto il
quando, a fronte del quale il comodante o i suoi eredi
possono sciogliersi dal contratto ma soltanto nelle ipotesi
descritte dagli artt. 1804, terzo comma, 1809 e 1811 c.c. e
non liberamente come avviene nel comodato precario.
Con l'inserimento di un elemento accidentale quale
l'individuazione di una precisa durata (ad esempio, la
massima durata possibile, coincidente con la vita del
beneficiario), il comodante sceglie liberamente, d'accordo
con il comodatario, di inserire nel contratto un elemento
accidentale -il termine appunto- che limita la sua
possibilità di recuperare quando lo ritiene opportuno la
disponibilità materiale dell'immobile e al contempo rafforza
la posizione del comodatario, garantendogli il godimento di
quell'immobile per tutto il tempo individuato con la
fissazione del termine, e sottraendolo al rischio di subire
il recesso ad nutum. |
EDILIZIA PRIVATA: Il
proprietario di un terreno edificabile ha la legittima
aspettativa di sfruttare interamente la capacità
edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del
Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto
dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni
ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto
alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto
prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a
quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può
essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere
ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia
debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di
formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti
edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria
discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore.
Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una
procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in
questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e,
come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di
salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle
condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la
cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude,
ovviamente, che egli possa liberamente decidere di
presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta.
Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia
rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità
edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del
titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne
presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un
caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver
presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla
maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e
perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal
richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in
corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare
se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal
p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che
avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato
si sia preclusa la possibilità di una variante.
Conviene sviluppare e approfondire le considerazioni di
massima sopra svolte.
Il proprietario di un terreno edificabile ha la legittima
aspettativa di sfruttare interamente la capacità
edificatoria assegnatagli dal p.r.g..
A questa legittima aspettativa fa fronte il dovere del
Comune di rilasciare il titolo abilitativo richiesto
dall’interessato, salvo che non vi siano legittime ragioni
ostative, quali ad esempio la non conformità del progetto
alle previsioni del piano regolatore. Ma se il progetto
prevede una determinata cubatura, e questa corrisponde a
quella prevista dal p.r.g., il titolo abilitativo non può
essere rifiutato adducendo l’opportunità di mantenere
ridotta la densità edilizia della zona.
Le valutazioni discrezionali in merito alla densità edilizia
debbono essere fatte, e sono state fatte, in sede di
formazione del p.r.g.. In sede di esame dei singoli progetti
edilizi l’autorità comunale non può sostituire la propria
discrezionalità a quella espressa nel piano regolatore.
Semmai, qualora ne ravvisi l’opportunità, può avviare una
procedura di variante; in effetti ciò è avvenuto anche in
questo caso, ma la variante non è mai stata perfezionata e,
come si è visto, sono scaduti i termini delle misure di
salvaguardia.
Il fatto che il proprietario abbia il diritto (alle
condizioni di legge e di p.r.g.) di sfruttare interamente la
cubatura edificabile assegnata al fondo non esclude,
ovviamente, che egli possa liberamente decidere di
presentare un progetto che prevede una cubatura più ridotta.
Se lo fa, tuttavia, ciò non significa che egli abbia
rinunciato definitivamente a sfruttare l’intera capacità
edificatoria.
E’ perfettamente ammissibile che nelle more del rilascio del
titolo abilitativo il richiedente ritiri il progetto e ne
presenti un altro che prevede una cubatura maggiore. In un
caso del genere nessuno vorrà sostenere che l’aver
presentato il primo progetto implichi la rinuncia alla
maggior cubatura.
Ma pure quando il titolo abilitativo è stato rilasciato e
perfezionato con l’adempimento degli oneri dovuti dal
richiedente, nulla vieta che questi proponga una variante in
corso d’opera. In tale evenienza il Comune dovrà verificare
se il nuovo progetto rientri nei parametri stabiliti dal
p.r.g. e non potrà opporsi con l’argomento (infondato) che
avendo accettato il primo titolo abilitativo l’interessato
si sia preclusa la possibilità di una variante
(TAR Umbria,
sentenza 10.11.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La convenzione annessa ad un piano attuativo è
essenzialmente lo strumento mediante il quale il
proprietario si assume gli obblighi relativi alle opere di
urbanizzazione, alla cessione delle aree per standard ed
agli altri oneri. Questo e non altro è il contenuto tipico e
vincolante della convenzione. La sua accettazione non
implica dunque logicamente la rinuncia a modificare il
progetto, nella misura in cui il p.r.g. lo consenta.
Si potrà forse discutere se la facoltà di proporre varianti
sopravviva ancora quando il progetto sia stato interamente
realizzato, e vi sia quindi una situazione di fatto
consolidata. Ma nel caso presente il problema non si pone,
perché a quanto pare il piano attuativo non è ancora
realizzato.
---------------
La cessione gratuita delle aree destinate ad opere di
urbanizzazione non ha l’effetto di rendere il Comune
contitolare del piano di lottizzazione, vale a dire
compartecipe della relativa iniziativa economica e del
progetto. Tanto meno diviene contitolare “pro quota” della
volumetria edificabile del comparto, sino a godere di un
potere dispositivo “uti dominus” che gli consenta di porre
un veto al completamento del progetto.
Il diritto di proprietà del Comune ha la sola funzione di
dotare il comparto delle necessarie aree “a standard” ed i
poteri che il Comune può esercitare quale proprietario sono
solo quelli inerenti al conseguimento di quella finalità.
Esso potrebbe dunque opporsi a una modifica del progetto che
incidesse sulla destinazione delle aree di sua proprietà; ma
non è questo il caso.
Tanto è vero che il Comune non diviene contitolare della
cubatura edificabile, che sarebbe manifestamente assurda una
sua eventuale pretesa, ad es., di esigere una quota dei
profitti realizzati dai lottizzatori mediante la cessione
dei lotti edificabili. Così come sarebbe inconcepibile che
esso mettesse sul mercato le aree acquisite gratuitamente.
Supponendo, poi, che in futuro diventi impossibile, per
cause sopravvenute (ad es. un vincolo d’inedificabilità o un
mutamento radicale del p.r.g.) realizzare il progetto di
lottizzazione, in tale evenienza non sarebbe forse
manifestamente infondata la pretesa dei lottizzatori di
chiedere la risoluzione della convenzione o comunque la
retrocessione delle aree (se non altro in applicazione
analogica delle norme in materia di terreni espropriati per
p.u.).
Nella fattispecie, dunque, non si può dire che gli
interessati, accettando un piano attuativo di dimensioni
ridotte, e stipulando la relativa convenzione, abbiano
rinunciato alla facoltà di proporre una variante per
sfruttare le maggiori potenzialità edificatorie
sopravvenute.
Una rinuncia espressa in tal senso non si legge nella
convenzione; e non si può dire che essa vi sia contenuta
implicitamente.
Va considerato, fra l’altro, che la convenzione annessa ad
un piano attuativo è essenzialmente lo strumento mediante il
quale il proprietario si assume gli obblighi relativi alle
opere di urbanizzazione, alla cessione delle aree per
standard ed agli altri oneri. Questo e non altro è il
contenuto tipico e vincolante della convenzione. La sua
accettazione non implica dunque logicamente la rinuncia a
modificare il progetto, nella misura in cui il p.r.g. lo
consenta.
Si potrà forse discutere se la facoltà di proporre varianti
sopravviva ancora quando il progetto sia stato interamente
realizzato, e vi sia quindi una situazione di fatto
consolidata. Ma nel caso presente il problema non si pone,
perché a quanto pare il piano attuativo non è ancora
realizzato.
---------------
Ci si deve ora dare carico delle singolari argomentazioni
con le quali il Comune ha inteso giustificare la decisione
impugnata.
E’ verosimile che gli organi comunali fossero consapevoli
del fatto che, scaduta l’efficacia delle misure di
salvaguardia, la proposta di variante del piano attuativo
veniva a trovarsi in linea con le previsioni del p.r.g. e
non poteva dunque essere formalmente respinta.
Ed invero –qui sta la singolarità della vicenda- negando
il proprio assenso alla variante il Comune non ha inteso
esercitare i suoi poteri di autorità urbanistica, bensì
esercitare “uti privatus” il diritto di proprietà su una
parte delle aree interessate dal piano attuativo: quelle
aree che gli sono state cedute per effetto della convenzione
di lottizzazione.
La ricorrente contesta tale assunto con argomenti che il
Collegio ritiene di condividere.
La cessione gratuita delle aree destinate ad opere di
urbanizzazione non ha avuto l’effetto di rendere il Comune
contitolare del piano di lottizzazione, vale a dire
compartecipe della relativa iniziativa economica e del
progetto. Tanto meno è divenuto contitolare “pro quota”
della volumetria edificabile del comparto, sino a godere di
un potere dispositivo “uti dominus” che gli consenta di
porre un veto al completamento del progetto.
Il diritto di proprietà del Comune ha la sola funzione di
dotare il comparto delle necessarie aree “a standard” ed i
poteri che il Comune può esercitare quale proprietario sono
solo quelli inerenti al conseguimento di quella finalità.
Esso potrebbe dunque opporsi a una modifica del progetto che
incidesse sulla destinazione delle aree di sua proprietà; ma
non è questo il caso.
Tanto è vero che il Comune non diviene contitolare della
cubatura edificabile, che sarebbe manifestamente assurda una
sua eventuale pretesa, ad es., di esigere una quota dei
profitti realizzati dai lottizzatori mediante la cessione
dei lotti edificabili. Così come sarebbe inconcepibile che
esso mettesse sul mercato le aree acquisite gratuitamente.
Supponendo, poi, che in futuro diventi impossibile, per
cause sopravvenute (ad es. un vincolo d’inedificabilità o un
mutamento radicale del p.r.g.) realizzare il progetto di
lottizzazione, in tale evenienza non sarebbe forse
manifestamente infondata la pretesa dei lottizzatori di
chiedere la risoluzione della convenzione o comunque la
retrocessione delle aree (se non altro in applicazione
analogica delle norme in materia di terreni espropriati per
p.u.).
Il Collegio non può ora pronunciarsi su tali
questioni, estranee alla materia del contendere; ma si
vogliono prospettare queste ipotesi non irragionevoli per
dimostrare che la posizione del Comune, quale proprietario
delle aree a standard, è del tutto peculiare e non è
assimilabile –per quanto attiene alla potestà di
intervenire nelle scelte relative allo sfruttamento della
cubatura pertinente al comparto- a quella di un
proprietario privato
(TAR Umbria,
sentenza 10.11.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.05.2014 |
ã |
IN EVIDENZA |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Distinzione tra incarichi di studio, di
consulenza e di
ricerca conferiti dalla pubblica amministrazione.
Il presupposto indispensabile
per l’affidamento di incarichi esterni è che
l’amministrazione abbia preliminarmente accertato
“l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse
umane disponibili al suo interno” [art. 7, comma 6,
lett. b), d.lgs. 165/2001]. Il riscontro concreto di
tale condizione essenziale richiede una reale
ricognizione di una situazione di oggettiva ed
eccezionale impossibilità -sia sul piano qualitativo
che sul piano quantitativo- di far fronte alle
esigenze con le risorse interne all’amministrazione,
in quanto assurge a regola generale il principio
dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti.
Di conseguenza, l’affidamento all’esterno di
incarichi in difetto di tale presupposto è fonte di
responsabilità per danno erariale.
Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti
sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio,
sentenza 18.11.2011 n. 1619
che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli
difficoltà in termini di gestione ed organizzazione”
e sezione giurisdizionale per la Calabria, sentenza
20.08.2012 n. 240 secondo
cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in
qualunque delle ipotesi sopra riportate, e
consentito solo allorquando nell’ambito della
dotazione organica non sia possibile reperire
personale competente ad affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza”.
Va da sé, infine, che non
possono formare oggetto di conferimento all’esterno
quelle attività afferenti alle funzioni essenziali
dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già
destinate, all’interno dell’organigramma
amministrativo, specifiche strutture e risorse (es.
attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria
ecc.).
---------------
In merito alla distinzione interna alla categoria
delle collaborazioni autonome, le Sezioni
Riunite in sede di controllo hanno chiarito che gli
incarichi di studio, di consulenza e
di ricerca si distinguono per l’oggetto della
prestazione dedotta in contratto, il quale non muta
la propria natura giuridica, rientrando comunque
nella categoria dei contratti di prestazione d’opera
intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni
Riunite:
►
gli incarichi di studio si risolvono nello
svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse
dell’amministrazione, nonché nella consegna di una
relazione scritta finale in cui vengono illustrati i
risultati dello studio e le soluzioni proposte;
►
gli incarichi di ricerca, invece,
presuppongono la preventiva definizione del
programma da parte dell’amministrazione;
►
le consulenze, infine, riguardano le
richieste di pareri ad esperti.
Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i
seguenti parametri per valutare la legittimità degli
incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria
organizzazione, della figura professionale idonea
allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri
per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto
all’incaricato e l’utilità conseguita
dall’amministrazione.
---------------
Il Sindaco del Comune di Ugento chiede alla Sezione
un parere in merito all’applicabilità o meno dei
vincoli e della disciplina di cui agli artt. 3,
comma 55 e 56, l. 244/2007 e art. 6, comma 7, d.l.
78/2010 per l’affidamento all’esterno di alcune
attività che richiedono professionalità tecniche
allo stato attuale non disponibili all’interno del
Comune, poiché “quelle presenti sono oberate dai
numerosissimi adempimenti ed attività di servizi
istituzionali”.
Nella richiesta del parere vengono enunciate in
maniera analitica le attività oggetto degli
incarichi da affidare e consistenti in:
"1. istruttoria e verifica paesaggistica delle
pratiche di condono edilizio-Profili professionali
richiesti architetto e ingegnere;
2. Verifica tecnico giuridica dei piani di
lottizzazione. Il professionista dovrà procedere
alla verifica di tutta la documentazione presente
all’interno dei faldoni dei Piani di Lottizzazione,
alla successiva ricognizione tecnico giuridica dello
stato attuativo dei predetti piani dello stato
attuativo dei predetti Piani ed alla predisposizione
degli atti necessari per il perfezionamento del loro
iter approvativo. Nel corso dello svolgimento dei
lavori, in relazione all’evoluzione degli stessi,
potranno poi essere concordati tra il professionista
aggiornamenti del programma di attività, sempre nei
limiti dell’oggetto del disciplinare di incarico e
del suo programma di lavoro generale. profilo
professionale richiesto: ingegnere;
3. Perizia tecnica circa l’effettivo stato dei
luoghi in cui sono custoditi i beni museali,
bibliotecari e di archivio storico; la perizia dovrà
anche indicare le carenze strutturale dei luoghi
l’eventuale cattiva esecuzione di opere di
ristrutturazione eseguite, l’individuazione e la
quantificazione di opere necessarie per rendere
funzionali tali opere e quantificazione di eventuali
danni subiti dall’amministrazione. Profilo
professionale richiesto: architetto;
4. Perizia tecnica necessaria per la quantificazione
economica dei contratti di concessione e gestione
dei predetti beni comprovante la sussistenza
dell’equilibrio economico-finanziario della
concessione e gestione di servizi relativi ai
suddetti beni museali, bibliotecari e di archivio
storico. Profilo professionale richiesto; dottore
commercialista”.
Secondo il Comune, si tratta di compiti volti alla
realizzazione, a vantaggio dell’amministrazione, di
un risultato finale e che dovranno essere svolti a
prescindere da obblighi di presenza fissa; per tali
ragioni, non integrerebbero né fattispecie di
rapporto di lavoro dipendente né fattispecie di
incarichi di studio, ricerca e consulenza.
Sulla base di tali premesse, l’Ente ritiene che
le attività da affidare costituirebbero singole
forniture di servizi tecnici, rientrati nell’ambito
di disciplina del d.lgs. 163/2006 e non soggetti a
quella dell’art. 3, commi 55 e 56, della l. 244/2007
né ai limiti di spesa di cui all’art. 6, comma 7,
d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010.
Di qui la richiesta di parere circa la corretta
interpretazione della normativa sopra richiamata.
...
Passando al merito della richiesta, occorre
sottolineare, in via preliminare, che
il presupposto indispensabile per
l’affidamento di incarichi esterni è che
l’amministrazione abbia preliminarmente accertato “l’impossibilità
oggettiva di utilizzare risorse umane disponibili al
suo interno” [art. 7, comma 6, lett. b), d.lgs.
165/2001]. Il riscontro concreto di tale condizione
essenziale richiede una reale ricognizione di una
situazione di oggettiva ed eccezionale impossibilità
-sia sul piano qualitativo che sul piano
quantitativo- di far fronte alle esigenze con le
risorse interne all’amministrazione, in quanto
assurge a regola generale il principio
dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti
(Sezione regionale per il controllo della Toscana
parere 11.05.2005 n. 6).
Di conseguenza, l’affidamento
all’esterno di incarichi in difetto di tale
presupposto è fonte di responsabilità per danno
erariale.
Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti
sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio,
sentenza 18.11.2011 n. 1619
che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli
difficoltà in termini di gestione ed organizzazione”
e sezione giurisdizionale per la Calabria,
sentenza 20.08.2012 n. 240 secondo
cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in
qualunque delle ipotesi sopra riportate, e
consentito solo allorquando nell’ambito della
dotazione organica non sia possibile reperire
personale competente ad affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza”.
Va da sé, infine, che non possono
formare oggetto di conferimento all’esterno quelle
attività afferenti alle funzioni essenziali
dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già
destinate, all’interno dell’organigramma
amministrativo, specifiche strutture e risorse (es.
attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria
ecc.).
Ciò posto e ponendo mente in maniera specifica al
quesito, il Comune di Ugento chiede se la normativa
in tema di vincoli e limiti per il conferimento di
incarichi dettata dall’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010
e dall’art. 3, comma 55 e 56, l. 344/2007 (legge
finanziaria 2007) si debba applicare o meno al
conferimento delle attività che ha deciso di
esternalizzare, poiché -a giudizio dell’ente- si
verterebbe in un’ipotesi di appalto di servizi.
L’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l.
122/2010, fissando un tetto finanziario
all’affidamento di incarichi per studi e
consulenze, sancisce espressamente che “al
fine di valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa
annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa
quella relativa a studi ed incarichi di consulenza
conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni di cui al comma 3
dell’articolo 1 della legge 31.12.2009 n. 196,
incluse le autorità indipendenti, escluse le
università, gli enti e le fondazioni di ricerca e
gli organismi equiparati nonché gli incarichi di
studio e consulenza connessi a processi di
privatizzazione ed alla regolamentazione del settore
finanziario, non può essere superiore al 20 per
cento di quella sostenuta nell’anno 2009”.
Alla stessa ratio di
contenimento degli incarichi esterni si ispira anche
l’art. 3, commi 55 e 56, della legge finanziaria del
2008 che, riferendosi ai contratti di
collaborazione autonoma, subordinano la
possibilità per l’ente di conferire gli incarichi,
indipendentemente dall’oggetto della prestazione,
alla ricorrenza di due condizioni: in primo luogo,
la prestazione deve riguardare le “attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste nel
programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo
18.08.2000 n. 267”
(art. 3, comma 55, l. 344/2007).
In secondo luogo, l’Ente deve dotarsi di un
regolamento che fissi “in conformità con le
disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le
modalità per l’affidamento di incarichi di
collaborazione autonoma, che si applicano a
tutte le tipologie di prestazioni”
(art. 3, comma 56, l. 244/2007).
Le due norme sopra citate si
riferiscono ad un’identica tipologia di contratti,
raggruppabili all’interno di un’unica nozione di
collaborazione autonoma che può assumere
contenuto diverso (richieste di parere,
consulenze legali, studi e ricerche) ma
che si caratterizza, in tutti i casi, per l’elevata
e qualificata professionalità richieste al
consulente che agisce, nell’esplicazione
dell’incarico, con la massima autonomia
(cfr. Sezione Regionale di Controllo per la Liguria,
parere 21.06.2011 n. 54).
Si tratta, in sostanza, di
contratti aventi per oggetto prestazioni d’opera
intellettuale, inquadrabili nella tipologia del
contratto di lavoro autonomo di cui agli artt.
2229-2238 c.c..
In merito alla distinzione interna alla categoria
delle collaborazioni autonome, le Sezioni
Riunite in sede di controllo nella
deliberazione 15.02.2005 n. 6 hanno
chiarito che gli incarichi di
studio, di consulenza e di ricerca
si distinguono per l’oggetto della prestazione
dedotta in contratto, il quale non muta la propria
natura giuridica, rientrando comunque nella
categoria dei contratti di prestazione d’opera
intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni
Riunite, gli incarichi di studio si risolvono
nello svolgimento di un’attività di studio,
nell’interesse dell’amministrazione, nonché nella
consegna di una relazione scritta finale in cui
vengono illustrati i risultati dello studio e le
soluzioni proposte. Gli incarichi di ricerca,
invece, presuppongono la preventiva definizione del
programma da parte dell’amministrazione. Le
consulenze, infine, riguardano le richieste di
pareri ad esperti.
Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i
seguenti parametri per valutare la legittimità degli
incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli
obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria
organizzazione, della figura professionale idonea
allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri
per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto
all’incaricato e l’utilità conseguita
dall’amministrazione.
Si tratta di vincoli e limiti applicabili
esclusivamente ai contratti di collaborazione
autonoma nei diversi contenuti sopra richiamati
(studio, ricerca, consulenza),
mentre rimangono estranei alla disciplina appena
delineata gli appalti di servizi di cui al d.lgs.
163/2006 che hanno per oggetto la prestazione
imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con
organizzazione strutturata e prodotta senza
caratterizzazione personale (Sezione delle Autonomie
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008).
Quest’ultima osservazione consente di individuare
gli elementi essenziali che differenziano l’appalto
di servizi dal contratto di collaborazione
autonoma: nel primo, infatti, la connotazione
spiccatamente personale della prestazione dovuta
viene sostituita dalla stabile organizzazione
imprenditoriale e dall’assunzione del rischio del
debitore.
Sulla distinzione tra contratto di collaborazione
autonoma e appalto di servizi questa
Corte si è recentemente pronunciata con
parere 07.06.2013 n. 236
della Sezione Lombardia, ove si osserva “La
consulenza nell’accezione che qui rileva (rectius la
collaborazione autonoma) è assimilata al
contratto d’opera intellettuale, artistica o
artigiana, disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti
c.c., che è considerato una species del genus
contratto di lavoro. Tale tipo negoziale ricomprende
l’esecuzione di una prestazione frutto
dell’elaborazione concettuale e professionale di un
soggetto competente nello specifico settore di
riferimento, senza vincolo di subordinazione e in
condizioni di assoluta indipendenza. Nel contratto
d’opera la prestazione richiesta può assumere tanto
i connotati di un’obbligazione di mezzi (es. un
parere, una valutazione o una stima peritale),
quanto i caratteri dell’obbligazione di risultato
(ad es. la realizzazione di uno spartito musicale, o
di un’opera artistica di particolare pregio).
Nel contratto di appalto, l’esecutore si
obbliga nei confronti del committente al compimento
di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo
in denaro, con organizzazione dei mezzi necessari
(di tipo imprenditoriale) e con assunzione in
proprio del rischio di esecuzione della prestazione
(art. 1655 c.c.).
(…..)Ne consegue che le norme in tema di appalto si
palesano nelle ipotesi in cui il professionista si
sia obbligato a strutturare una stabile
organizzazione per l’esecuzione della prestazione,
mentre la carenza di tale requisito derivante
dall’unicità, dalla singolarità e puntualità
dell’incarico, nonché dalla determinatezza dell’arco
temporale in cui si deve svolgere la prestazione
professionale, inducono a qualificare la fattispecie
quale contratto di prestazione d’opera e dunque
quale consulenza e/o collaborazione autonoma”.
Sulla base di tale coordinate ermeneutiche
l’elemento discretivo tra appalto di
servizi e contratto di collaborazione non
è -contrariamente a quanto ritenuto dal Comune
richiedente- né il conseguimento per
l’amministrazione di un risultato finale mediante il
conferimento dell’incarico, né la circostanza che
l’attività non importa obblighi di presenza fissa in
ufficio, bensì la presenza o meno, in capo
all’affidatario, di un’organizzazione
imprenditoriale con assunzione del rischio della
prestazione oggetto del contratto.
In assenza di siffatti elementi, con conseguente
rilevanza dell’elemento personalistico della
prestazione intellettuale, l’incarico da affidare
rientra necessariamente nella categoria degli
studi, consulenze e delle
collaborazioni autonome soggette alla disciplina
di cui agli artt. 3, comma 55 e 56, l. 244/2007 e
art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010,
fermo restando quanto detto in via preliminare in
merito all’art. 7, comma 6 e ss, d.lgs. 165/2001, ai
presupposti di oggettiva impossibilità ed
eccezionalità per legittimare l’affidamento
all’esterno (che dovrà essere adeguatamente motivato
sotto tale profilo) ed in merito alla non
esternabilità delle attività rientranti tra le
funzioni essenziali dell’ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia,
parere 20.03.2014 n. 63). |
NOVITA' NEL SITO |
Inserito il nuovo bottone:
dossier CANCELLO, BARRIERA, INFERRIATA, RINGHIERA in ferro.
< > < > < >
A seguito dell'INTERROGATIVO DELLA SETTIMANA,
posto con l'AGGIORNAMENTO
AL 14.05.2014, abbiamo ricevuto alcuni riscontri (per la
verità, ci aspettavamo molto di più visti i numerosi
contenziosi giurisdizionali che sono all'ordine del giorno
...) ma, purtroppo, non sono pertinenti per lo specifico
quesito posto.
Solamente un riscontro ricevuto, invero, ha dato
risposta a quello che si voleva sapere e cioè: "Ai
sensi dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientra
nella categoria degli interventi di manutenzione
straordinaria l'installazione di una protezione in ferro
ad una finestra".
La sentenza è massimata e riproposta appena qui sotto.
Confidiamo, comunque, che qualche UTC e, soprattutto,
qualche avvocato (che abbia avuto un ricorso al TAR per la
fattispecie di che trattasi) possa darcene notizia per
arricchire il nuovo dossier, a disposizione di tutti
gli interessati.
18.05.2014 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: Osserva
il Collegio che le opere in questione, ai sensi dell’art. 22
del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella categoria
degli interventi di manutenzione straordinaria, trattandosi
nel primo caso dell’installazione di una protezione in ferro
ad una finestra, nel secondo della sostituzione di una
preesistente copertura di un solaio, senza che vi sia stato
alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato
correttamente individuato sia da parte ricorrente che della
resistente amministrazione in quello della denuncia di
inizio di attività (assente nel caso di specie).
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 2 UT del 08/01/2013
del Comune di Capua - Settore Urbanistica, con la quale
viene ordinata la demolizione delle opere realizzate in
assenza di denuncia di inizio attività presso l'immobile
sito in Capua alla ....
...
In data 05.05.2010 la Polizia municipale di Capua accertava
che presso un immobile sito alla via ..., nella
disponibilità della “... s.r.l.”, erano stati realizzati
interventi edilizi in assenza di preventiva denuncia di
inizio attività, specificamente l’installazione di una grata
in ferro all’esterno di una finestra delle dimensioni di
circa mt. 1,50 x 1,50, nonché la copertura di un preesistente
solaio mediante la posa in opera di lamiere metalliche
ondulate.
All’esito del contraddittorio procedimentale, il Comune di
Capua, con ordinanza n. 2 U.T. dell’08.01.2013, ha ordinato
la demolizione delle predette opere, rilevando come, sebbene
risalenti al 1987, le stesse fossero prive di titolo
abilitativo.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questo
Tribunale la società ... s.r.l. chiedendone l’annullamento,
previa concessione di idonee misure cautelari.
Parte ricorrente ha lamentato che per interventi di tipo
manutentivo e conservativo, come quelli in oggetto,
l’assenza della denuncia di inizio attività non può
comportarne la demolizione, ma solo l’applicazione di una
sanzione pecuniaria; addirittura, le opere potrebbero
configurarsi tra quelle ricadenti nell’ipotesi di cui
all’art. 6 del d.p.r. 06.06.2001 n, 380, per cui sarebbe
stata sufficiente una mera comunicazione. Con l’ultimo
motivo è stata dedotta la carenza di motivazione, di
istruttoria, nonché la violazione dei principi di
proporzionalità, ragionevolezza e legittimo affidamento.
...
Il ricorso è fondato.
Osserva il Collegio che le opere in questione, ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, rientrano nella
categoria degli interventi di manutenzione straordinaria,
trattandosi nel primo caso dell’installazione di una
protezione in ferro ad una finestra, nel secondo della
sostituzione di una preesistente copertura di un solaio,
senza che vi sia stato alcun aggravio urbanistico.
Ne consegue che il regime giuridico di riferimento è stato
correttamente individuato sia da parte ricorrente che della
resistente amministrazione in quello della denuncia di
inizio di attività, incontestabilmente assente nel caso di
specie.
In tal caso, l’art. 37, primo comma, del d.p.r. 06.06.2001
n. 380 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria
pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile
conseguente alla realizzazione degli interventi, ma non la
demolizione dei medesimi.
Ne discende che, in assenza di ulteriori specificazioni tali
da far ricadere le opere nel regime di cui al secondo comma
dell’art. 37, il provvedimento impugnato deve essere
dichiarato illegittimo e di conseguenza annullato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.11.2013 n. 5280 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NOTE CIRCOLARI E
COMUNICATI |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Definizione temporanea delle categorie SOA
superspecialistiche e delle categorie a qualificazione
obbligatoria (DPR 207/2010) (ANCE Bergamo,
circolare 16.05.2014 n. 105). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: DL 24.04.2014, n. 66. Riduzione del cuneo
fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati (INPS,
circolare 12.05.2014 n. 60 - link a www.inps.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ESPROPRIAZIONE:
M. L. Maddalena,
L'espropriazione per pubblica utilità in Europa, alla luce
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo: esperienze
nazionali a confronto (maggio 2014 - tratto da
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. L. Maddalena,
Il punto sul danno da ritardo.
---------------
Sommario: 1. La disciplina del danno da ritardo: dalla l.
18.06.2009, n. 69 al codice del processo amministrativo. -
2. Le prime aperture della giurisprudenza amministrativa sul
danno da ritardo mero. 3. Lo stato attuale della
giurisprudenza. - 3.1. La risarcibilità del danno da ritardo
mero: un principio solo in parte acquisito dalla
giurisprudenza. - 3.2. L’onere della prova e la possibilità
di ricorrere alla liquidazione equitativa. - 3.3. Recenti
orientamenti sulla possibilità di trattare la domanda
risarcitoria in camera di consiglio, congiuntamente alla
domanda di cui all’art. 117 c.p.a. - 3.4. La determinazione
dei danni risarcibili (maggio 2014 - tratto da
www.giustizia-amministrativa.it). |
QUESITI & PARERI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Deliberazioni in libertà.
Il consigliere ha il potere di fare proposte.
L'impatto della normativa del 2000 e della modifica
statutaria.
In base alle fonti di autonomia normativa proprie dell'ente
locale, è possibile prevedere in capo al singolo consigliere
il potere di proposta di deliberazioni consiliari?
Ai sensi dell'art. 38, comma 2, del decreto legislativo n.
267/2000, il funzionamento dei consigli, nel quadro dei
princìpi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal
regolamento che dovrà prevedere le modalità per la
presentazione e la discussione delle proposte. Il successivo
art. 43 stabilisce che i consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta
alla deliberazione del consiglio.
Nella fattispecie in
esame, appare dirimente la previsione, recata del
regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, che
stabilisce che l'iniziativa per le deliberazioni consiliari,
esercitata mediante la formulazione di un testo di
deliberazione, spetta alla giunta e a ciascun consigliere.
Pertanto, l'eventuale modifica statutaria prospettata, nei
termini di prevedere in capo ai singoli consiglieri la
possibilità di formulare proposte di deliberazioni, è in
linea con il descritto quadro normativo (articolo ItaliaOggi
del 09.05.2014). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Composizione
gruppi consiliari.
I gruppi consiliari devono essere composti da consiglieri
eletti nelle medesime liste?
L'art. 38, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000,
«nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto», demanda
al regolamento la disciplina del funzionamento dei consigli;
pertanto, per ciò che concerne la costituzione ed il
funzionamento dei gruppi consiliari, occorre far riferimento
alle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui
l'ente locale si è dotato, poiché è in tale ambito che
dovrebbero trovare adeguata soluzione le relative
problematiche applicative.
Nella fattispecie in esame, ai sensi dello statuto comunale
i consiglieri eletti nella medesima lista formano un gruppo
consiliare, salvo diversa espressa e motivata determinazione
di ciascun consigliere. Tale disposizione è ripetuta, nella
sostanza, anche nel regolamento sul funzionamento del
consiglio comunale.
Ai sensi della citata fonte regolamentare è previsto che «il
consigliere che intende appartenere a un gruppo diverso da
quello in cui è stato eletto deve darne comunicazione al
presidente allegando la dichiarazione di accettazione del
capo del nuovo gruppo».
Alla luce del quadro normativo sopra delineato, si ritiene
che i due consiglieri eletti nella lista del sindaco non
possano essere obbligati a iscriversi ad altro gruppo
rispetto a quello corrispondente alla lista elettorale nella
quale sono risultati eletti.
Ciò in quanto la normativa locale prevede che i consiglieri
eletti nella medesima lista formino, «di regola», un gruppo
consiliare e che l'opzione di passare ad altro gruppo, pur
consentita in ossequio al principio costituzionale del
divieto del mandato imperativo, debba essere «espressa e
motivata». Inoltre, la necessità di dover acquisire
l'«accettazione» da parte del capo gruppo è prevista
solamente nel caso in cui un consigliere decida di
abbandonare il proprio gruppo originario per passare ad
altro gruppo e non nel caso in cui egli intenda permanere
nel gruppo corrispondente alla lista elettorale nella quale
è stato eletto. In ordine alla possibilità di formare un
gruppo unipersonale, tale opzione non sembra consentita.
Dal
combinato disposto dello statuto comunale e del regolamento
sul funzionamento del consiglio si evince che per la
costituzione di un nuovo gruppo siano necessari almeno due
componenti e che la possibilità di dare vita a un gruppo unipersonale
sia limitata esclusivamente all'eventualità che in una lista
sia stato eletto un solo consigliere (articolo ItaliaOggi
del 09.05.2014). |
NEWS |
TRIBUTI: Tasi, è corsa contro il tempo per calcolare la prima rata.
Quindici i giorni a disposizione per il nuovo tributo sui
servizi: aliquote note dopo il 31/5.
Quindici giorni, di cui 11 lavorativi (sabati compresi).
È
questo il lasso di tempo (assai breve) che contribuenti e
professionisti avranno a disposizione per calcolare e
versare la prima rata della Tasi, il nuovo tributo comunale
sui servizi indivisibili introdotto dall'ultima legge di
Stabilità. Solo dopo il 31 maggio, infatti, sarà possibile
conoscere le aliquote da applicare e, per le prime case,
addirittura se l'acconto sia o meno dovuto.
Per evitare errori (e le conseguenti sanzioni), occorre
districarsi in un ginepraio di norme, già oggetto di due
modifiche nel giro di poco più di quattro mesi. La
disciplina dettata dalla legge 147/2013, infatti, è stata
dapprima rivista con il dl 16/2014, il quale, a sua volta,
ha subito un profondo restyling durante l'iter parlamentare
di conversione.
Di fatto, le novelle hanno toccato tutti gli aspetti più
rilevanti, a partire dalla tempistica dei versamenti. Mentre
in precedenza, erano i comuni a dover fissare modalità e
scadenze, ora tale discrezionalità è rimasta solo per la
Tari (ovvero la nuova tassa rifiuti che ha preso il posto
della Tares).
Per la Tasi, invece, il pagamento potrà essere effettuato o
in unica soluzione entro il 16 giugno o in due rate con le
stesse scadenze previste per l'Imu (16 giugno e 16
dicembre): l'acconto dovrà essere versato sulla base
dell'aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi dell'anno
precedente, con obbligo di conguaglio in sede di saldo,
sempreché la deliberazione comunale sia pubblicata sul sito
del Mef entro il 28 ottobre (i comuni devono trasmetterla
entro il 21 ottobre); in mancanza, si applicheranno le
aliquote dell'anno prima o quelle standard.
Questi meccanismi, però, andranno a regime solo dal prossimo
anno. Per il solo 2014, essendo il primo anno di
applicazione del tributo, sono dettate regole diverse.
Quest'anno, sugli immobili diversi dall'abitazione
principale, qualora il comune non abbia deliberato una
diversa aliquota entro il 31 maggio, la prima rata andrà
versata entro il 16 giugno applicando l'aliquota base (1 per
mille) e il versamento della rata a saldo dell'imposta
dovuta per l'intero anno dovrà essere eseguito a conguaglio
sulla base delle deliberazioni pubblicate entro il 28
ottobre.
Sulle prime case, invece, si pagherà tutto in un'unica rata
entro il 16 dicembre, salvo il caso in cui la deliberazione
del comune sia pubblicata sul sito del Mef entro il 31
maggio (trasmissione entro il 23 maggio). In questo caso,
l'acconto è da versare entro il 16 giugno.
In pratica, quindi, solo dal 1° giugno si conosceranno le
scelte dei sindaci e quindi sarà possibile capire: 1) se sia
dovuta e in che misura la prima rata sulle prime case o se
invece se ne riparlerà a fine anno; 2) se sugli altri
immobili l'acconto sia da calcolare applicando l'aliquota
base ovvero la diversa aliquota tempestivamente decisa da
ciascun comune. Il tutto entro il 16 giugno.
Ecco i 15 giorni di cui si diceva: un termine davvero breve,
anche perché, come già accaduto per l'Imu, i comuni faranno
certamente scelte differenziate gli uni dagli altri, non
solo in termini di aliquota, ma anche per quanto concerne
agevolazioni ed esenzioni. In quelle due settimane, quindi,
sarà necessario monitorare attentamente le scelte compiute
da ogni amministrazione. Ecco perché i Caf hanno già
lanciato l'allarme.
Infine, c'è il problema (già da più parti evidenziato) della
gestione degli eventuali rimborsi da riconoscere a tutti
coloro che dovessero versare un acconto in misure superiore
a quella dovuta in base alle decisioni assunte dal proprio
comune dopo il 16 giugno. Un'eventualità, quest'ultima,
tutt'altro che remota, considerato che i sindaci hanno tempo
fino a fine luglio per approvare i bilanci ed i regolamenti
collegati.
Ricordiamo infine che, dopo il dl 16, la Tasi non potrà
essere pagata attraverso i sistemi elettronici offerti da
banche e poste, ma solo con F24 e bollettino postale
centralizzato.
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Dagli immobili statali alle chiese: esenzioni sulla scia
dell'Imu.
Oltre alla tempistica, il dl 16 ha rivisto anche le
tipologie di immobili soggette alla Tasi. Rispetto a quanto
previsto dalla legge di Stabilità, il tributo colpirà solo
fabbricati e aree edificabili, non più le aree scoperte, la
cui identificazione (in mancanza di una precisa definizione
normativa) risultava alquanto problematica. Coerentemente, è
stato abrogato anche il comma 670 della legge 147, che
esentava dalla Tasi le aree scoperte pertinenziali o
accessorie non operative (oltre alle aree comuni
condominiali non detenute o occupate in via esclusiva): tali
fattispecie, ora, sono ricomprese nella più generale
esclusione che riguarda, come detto, tutti gli immobili che
non siano fabbricati o aree edificabili.
Inoltre, sono espressamente esclusi tutti i terreni agricoli
(anche se non collocati in comuni montani o di collina),
sulla cui imponibilità ai fini Tasi in precedenza regnava
una notevole incertezza. Tale esenzione dovrebbe valere
anche per i terreni incolti. È ancora incerto, invece, il
trattamento da riservare alle aree edificabili possedute e
condotte come terreni agricoli da coltivatori diretti e
imprenditori agricoli professionali: tali immobili, che
rispetto all'Imu sono equiparati ai terreni agricoli, ai
fini Tasi tornerebbero a essere aree edificabili, con
conseguente (notevole) aggravio del prelievo. Questa,
almeno, è la tesi fin qui sostenuta dagli uffici
ministeriali. Peraltro, l'art. 2 richiama, anche per le aree
edificabili (oltre che per i fabbricati), la definizione
prevista ai fini Imu, per cui si potrebbe anche sostenere la
sopravvivenza dell'agevolazione. Stesso dubbio riguarda i
fabbricati inagibili/inabitabili e quelli di interesse
storico/artistico, che pagano l'Imu su una base imponibile
ridotta del 50%.
Ricordiamo che la Tasi colpisce anche i fabbricati rurali
strumentali (che da quest'anno, invece, sono esenti dall'Imu),
ma l'aliquota massima non potrà superare l'1 per mille. Il
dl 16 ha reintrodotto alcune fattispecie di esenzione
previste ai fini Imu. Si tratta, innanzitutto, delle
fattispecie di cui all'art. 9, comma 8, del dlgs 23/2011,
ovvero degli immobili posseduti dallo Stato, nonché di
quelli posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni,
dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai
consorzi fra detti enti, ove non soppressi, e dagli enti del
servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai
compiti istituzionali.
In secondo luogo, sono estese alla Tasi le esenzioni previste dall'art. 7, comma 1, lett. b),
c), d), e), f) ed i) del dlgs 504/1992, riguardanti i
fabbricati classificati o classificabili nelle categorie
catastali da E/1 a E/9, i fabbricati con destinazione a usi
culturali, i fabbricati destinati esclusivamente
all'esercizio del culto, i fabbricati di proprietà della
Santa Sede indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 del Trattato
lateranense, i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e
alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista
l'esenzione dall'imposta locale sul reddito dei fabbricati
in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia,
i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e recuperati
al fine di essere destinati ad attività assistenziali e gli
immobili utilizzati da enti non commerciali destinati
esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali
di attività assistenziali, previdenziali ecc.
Per quest'ultima fattispecie, la norma precisa che
l'esenzione spetta limitatamente alle parti dell'immobile
utilizzato per le predette attività, secondo quanto previsto
dall'art. 91-bis del dl 1/2012 (articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014). |
APPALTI: Appalti, aggregatori numerati.
Non più di 35 centrali di committenza. Via a un Fondo.
Gli effetti sulla spesa pubblica del dl 66/2014: acquisti
accorpati nei piccoli comuni.
Tagli alla spesa pubblica per 2,1 miliardi e riduzione delle
stazioni appaltanti attraverso la centralizzazione degli
acquisiti per arrivare a non più di 35 «soggetti
aggregatori» della domanda pubblica di beni e servizi su
tutto il territorio nazionale.
Sono alcune delle misure più
rilevanti del decreto legge 66/2014 (c.d. decreto «bonus» o
«Irpef» o «spending review») attualmente in discussione al
senato, che prevede anche un Fondo per promuovere la
costituzione di centrali di committenza e più trasparenza
sulla spesa pubblica.
E che delinea un ruolo di rilievo per l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici.
La riduzione della spesa pubblica. Il decreto legge prevede
in primo luogo di raggiungere un ambizioso obiettivo di
riduzione della spesa pubblica per l'acquisto di beni e
servizi per un valore complessivo di 2,1 miliardi per i
contratti delle amministrazioni locali, regionali e statali
e di 400 milioni per la spesa per la difesa. Le riduzioni
incidono in maniera finanziariamente equivalente su tutti i
comparti della spesa (per 700 milioni di euro annui
ciascuno) e potranno attuarsi in diverse modalità.
Per i
contratti stipulati (in essere) si prevede la riduzione ex lege del 5% dell'importo contrattuale, salva la
rinegoziazione del contratto e la facoltà di recesso da
parte del prestatore di servizi entro 30 giorni dalla data
di conversione del decreto legge, senza però applicazione di
penali. Al riguardo va segnalato come i tecnici del senato
abbiano messo in guardia rispetto al rischio che si possano
«innescare meccanismi di contenzioso, con gli affidatari da
cui potrebbero derivare nuovi o maggiori oneri di spesa per
le p.a. e non la neutralizzazione di parte dei risparmi
attesi» .
In caso di esercizio del diritto di recesso, il decreto
consente alle amministrazioni di scegliere fra l'accesso a
una convenzione Consip in essere, o di affidare in via
diretta contratti «nel rispetto della normativa europea e
nazionale sui contratti pubblici». Va anche rilevato che per
i futuri contratti in ogni caso non si potranno né superare
gli importi come risultanti dalla riduzione del 5%, né
quelli di riferimento stabiliti dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici. L'intervento di riduzione
dell'importo dei contratti ha portata generale e tassativa e
per quel che riguarda la possibilità di recesso da parte del
fornitore/appaltatore, si può immaginare anche qualche
rischio di malfunzionamento o di interruzione di servizi
pubblici nelle more della scelta di un nuovo fornitore,
laddove non vi sia immediata disponibilità presso Consip, o
presso la centrale regionale del bene o servizio che si deve
sostituire.
La limitazione dei centri di spesa. In Italia sono troppi i
centri di spesa: partendo da questa considerazione il
provvedimento di legge si muove per favorirne
l'aggregazione, con l'obiettivo di ridurre a un numero
ristretto di centrali di committenza le diverse migliaia di
stazioni appaltanti. Lo scopo finale dovrebbe essere quello
di arrivare a un efficientamento delle procedure di acquisto
creando un piano nazionale coordinato del procurement. La
norma si indirizza quindi sia agli enti locali, sia alle
regioni, ambiti in cui è più frammentata la spesa pubblica.
Per gli enti locali si stabilisce che tutti i comuni non
capoluogo dovranno procedere all'acquisizione di lavori,
beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni, ove
esistenti, oppure costituendo un apposito accordo consortile
tra i comuni stessi o ancora ricorrendo a un soggetto
aggregatore (centrale di committenza). In alternativa si
potrà procedere alla costituzione dell'unione o alla stipula
di un accordo consortile, oppure effettuare gli acquisti
attraverso gli strumenti elettronici gestiti da Consip o da
altra centrale di committenza.
Alle regioni si chiede invece di costituire o di designare,
entro fine 2014 un «soggetto aggregatore», così rendendo
effettivo il contenuto dell'inapplicato articolo 1, comma
455, della legge 27.12.2006, n. 296. Il decreto
stabilisce però anche un tetto al numero massimo centrali di
committenza che non potranno quindi superare il numero di 35
su tutto il territorio nazionale. Per favorire i processi di
aggregazione della domanda, il decreto-legge istituisce un
Fondo per l'aggregazione degli acquisiti di beni e servizi,
che dovrà finanziare le attività svolte dai soggetti
aggregatori; sarà poi un decreto ministeriale a definire i
criteri di ripartizione delle risorse del fondo che potrà
contare su 10 milioni per il 2014 e 20 per ognuno degli anni
a decorrere dal 2015.
Il decreto-legge prevede inoltre che
venga istituito, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle
stazioni appaltanti operanti presso l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, l'elenco dei «soggetti
aggregatori» della domanda, cioè l'elenco delle centrali di
committenza (Consip e centrali regionali); sarà poi un Dpcm
a stabilire i requisiti delle centrali e il livello ottimale
dell'aggregazione sul territorio (articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
Ai prezzi di riferimento ci penserà l'Autorità di vigilanza
sui contratti
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici diverrà
lo strumento di controllo della spending review.
All'Authority di via di Ripetta spetterà, inoltre, il
compito di definire i prezzi di riferimento che
costituiranno anche il limite massimo di aggiudicazione
degli appalti.
È quanto prevede il decreto legge 66, che
delinea un ruolo di particolare rilievo per l'organismo di
vigilanza sui contratti pubblici, pur in attesa
dell'annunciata riforma delle autorità indipendenti che sarà
varata il 13 giugno dal consiglio dei ministri.
Nel decreto legge si prevede un sostanziale rafforzamento
della funzione di controllo e di supporto dell'azione del
Mef che ha la regia della spending review. Per esempio, si
stabilisce che in attesa della messa a punto dei «costi
standardizzati» per beni e servizi (compito
dell'Osservatorio dell'Autorità), la stessa Autorità, dal 01.10.2014, attraverso la Banca dati nazionale dei
contratti pubblici (Bdncp), dovrà fornire alle
amministrazioni una elaborazione dei prezzi di riferimento
alle condizioni di maggiore efficienza di beni e servizi
scelti tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a
carico della p.a. e pubblicare sul proprio sito i prezzi
unitari corrisposti dalle amministrazioni.
I prezzi di
riferimento saranno poi aggiornati ogni anno e verranno
utilizzati per la programmazione degli acquisiti. Non solo:
essi rappresenteranno il prezzo massimo di aggiudicazione
anche per le procedure affidate con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, in tutti i casi in cui non
sia in essere una convenzione con Consip, o con un'altra
centrale di committenza. Si prevede inoltre che ogni
soggetto aggregatore trasmetta all'Autorità il Piano di
interventi con l'indicazione di quanto intenderà attuare per
razionalizzare gli acquisiti.
La trasparenza della spesa e la
tempestività dei pagamenti. Il decreto 66 punta anche alla trasparenza della
spesa, stabilendo che ogni centro di spesa pubblichi sul
proprio sito istituzionale e renda accessibili anche
attraverso il ricorso a un portale unico, i dati relativi
alla spesa desumibili dai propri bilanci preventivi e
consuntivi e «l'indicatore di tempestività di pagamenti».
Il
tutto dovrà avvenire sulla base di uno schema tipo e di
modalità definite con decreto del presidente del consiglio
dei ministri. Va notato che questo obbligo viene qualificato
come «obbligo di trasparenza» ai sensi del dlgs
33/2013: l'inadempimento verrebbe valutato ai fini della
corresponsione della retribuzione di risultato e del
trattamento accessorio collegato alla performance
individuale dei responsabili. Viene infine soppresso
l'obbligo di pubblicare i bandi di gara sui quotidiani:
tutto dovrà andare online e gli operatori economici
rimborseranno alle stazioni appaltanti i costi di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fotovoltaico, rendita rideterminata.
Obbligo di revisione della rendita quando l'impianto
fotovoltaico incrementa del 15% il valore dell'immobile o
della redditività ordinaria.
Questa la risposta fornita
recentemente (30/04/2014) dall'Agenzia delle entrate a un
quesito (interrogazione
a risposta immediata in commissione 5-02689) presentato da Marco Causi, nell'ambito di un
question-time (si veda ItaliaOggi dell'01/05/2014).
In tale
sede è stato evidenziato che l'Agenzia delle entrate (circ.
36/E/2013) ha previsto la possibilità che i detti impianti
possono essere inquadrati come immobili, soprattutto quelli
a terra, o come beni mobili, con la necessità di stabilire
un preciso coefficiente di ammortamento.
Stante l'assenza di una specifica normativa per detti beni
e, soprattutto, tenendo conto che gli impianti fotovoltaici
non sono contemplati dal dm 31/12/1988 (quello concernente
le aliquote applicabili per determinare le quote di
ammortamento fiscalmente deducibili), la stessa Agenzia ha
ribadito quanto già espresso con due precedenti documenti di
prassi (circ. n. 46/E/2007 e n. 36/E/2013), precisando che
se l'impianto si qualifica come immobile, a parte il
necessario accatastamento, l'aliquota applicabile è quella
del 4%, dovendo far riferimento al settore dell'energia
termoelettrica, utilizzando l'aliquota disposta per i
«fabbricati destinati all'industria», mentre se i pannelli
solari sono ritenuti beni mobili si rende applicabile
l'aliquota del 9%, dovendo far riferimento alle «centrali
termoelettriche», di cui al citato provvedimento del 1988.
Infine, l'Agenzia delle entrate ha confermato la necessità
di procedere alla variazione della rendita, mediante una
vera e propria dichiarazione di variazione, quando
l'impianto incrementa il valore capitale o la redditività
ordinaria di una percentuale pari o superiore al 15%.
Non sussiste alcun obbligo in caso di incremento inferiore a
detta percentuale o qualora, in alternativa, la potenza
nominale dell'impianto non risulti superiore a 3 chilowatt
per ogni unità immobiliare asservita, la stessa potenza non
risulti superiore a tre volte il numero delle unità
immobiliari le cui parti a comune siano servite
dall'impianto o il volume individuato dell'intera area
destinata all'intervento e dall'altezza all'asse
orizzontale, per gli impianti a terra, risulti inferiore a
150 metri cubi (lett. e, comma 3, art. 3, dm 2/1/1998 n. 28)
(articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Proprietà, diritto rinunciabile.
Operazioni soggette a imposta di donazione o di registro.
Studio del Notariato sulla rinuncia: l'effetto è l'acquisto
dell'immobile in capo allo stato.
Un immobile non interessa più? È troppo oneroso fiscalmente
rispetto al valore? Non ha una rendita soddisfacente? Nessun
problema, si può rinunciare alla proprietà e ai diritti su
di esso. Si può, infatti, esercitare la rinuncia al diritto
di proprietà (nonché alla quota indivisa di comproprietà)
ovvero a un diritto di natura disponibile e, in quanto tale,
suscettibile di rinuncia.
L'effetto è l'acquisto dell'immobile in capo allo stato ai
sensi dell'art. 827 c.c..
L'argomento di attuale interesse, visto il contesto
socio-economico in cui stiamo vivendo, in cui atti del
genere possono risultare frequenti stante la crisi economica
e la forte pressione fiscale, è stato oggetto di
approfondimento da parte del consiglio nazionale del
Notariato nello
studio 21.03.2014 n. 216-2014-C). Sul piano fiscale
l'operazione è soggetta, a seconda dei casi, all'imposta di
donazione o all'imposta di registro.
L'istituto della rinuncia. Viene tradizionalmente
ricostruita come negozio giuridico unilaterale mediante il
quale l'autore dismette una situazione giuridica di cui è
titolare. Il suo effetto essenziale è unicamente
l'abdicazione da parte del soggetto della situazione
giuridica. Gli ulteriori effetti, estintivi o modificativi
del rapporto, che possono anche incidere sui terzi, sono
conseguenze solo riflesse del negozio rinunciativo, non
direttamente ricollegabili all'intento negoziale e non
correlate al contenuto causale dell'atto. La rinuncia
abdicativa è un negozio unilaterale non recettizio, che non
richiede la conoscenza né tanto meno l'accettazione da parte
di altri soggetti.
È suscettibile di rinuncia abdicativa il diritto di
proprietà (artt. 882-1104 c.c.); la circostanza che per
escludere la rinunciabilità in relazione alle parti comuni
dell'edificio il legislatore è dovuto intervenire
espressamente (art. 1118 c.c.); la disparità di trattamento
che si creerebbe altrimenti rispetto ai beni mobili, dei
quali è indiscutibile la possibilità di abbandono;
l'espresso riferimento contenuto negli artt. 1350 e 2643
c.c.
Nei casi in cui esiste una posizione di debito occorre una
espressa previsione di legge affinché il debitore possa
spogliarsi del debito senza il consenso del creditore.
Stante il pregiudizio che questi risente, la dichiarazione
di rinuncia deve inoltre essergli portata a conoscenza (vedi
art. 1236 c.c.), assumendo pertanto natura recettizia.
Gli effetti della rinuncia. L'effetto della rinuncia è
l'acquisto dell'immobile in capo allo Stato ai sensi
dell'art. 827 c.c. Tale articolo, infatti, stabilisce che i
beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano
al patrimonio dello Stato. È evidente che l'ordinamento non
consente che un bene immobile possa rimanere privo di un
soggetto titolare. Da ciò consegue che, a fronte della
rinunzia abdicativa da parte dell'unico proprietario di un
bene, certamente la proprietà dello stesso spetterà allo
stato, tenendo presente che tale acquisto non avviene a
titolo derivativo (considerata la natura meramente
abdicativa della rinuncia), bensì a titolo originario
proprio in virtù del disposto dell'art. 827 c.c.
Si tratta di un acquisto a titolo originario, che
costituisce effetto solo indiretto e mediato della rinuncia,
e che trova fondamento nella legge. La rinunzia alla
proprietà ha natura di negozio unilaterale non recettizio,
per il quale è da escludersi un potere di rifiuto da parte
dello stato.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, infatti, la
rinuncia al diritto di proprietà, considerando il suo
effetto meramente abdicativo, ha natura di atto non
recettizio.
L'atto in questione deve avere forma scritta ed è soggetto a
trascrizione ai sensi dell'art. 2643, n. 5, c.c. Quanto alle
modalità di trascrizione, sembra preferibile la tesi secondo
la quale la rinunzia, stante la sua natura abdicativa, debba
essere trascritta unicamente contro il rinunziante.
Riguardo alla natura dell'atto, esso è unilaterale essendo
diretto unicamente alla dismissione del diritto, e non
produce effetti traslativi. La natura puramente abdicativa e
non traslativa della rinunzia esclude la necessità di
un'accettazione (d'altra parte, sembra immaginabile un atto
di rifiuto da parte dello stato il cui acquisto è imposto
dall'art. 827 c.c.), al fine di evitare che la proprietà
immobiliare divenga nullius.
Il rinunciante. Per quanto riguarda il rinunciante, questi
si limita a spogliarsi del diritto di cui è titolare senza
preoccuparsi della sua afferenza attuale ad altri. Al
rinunciante, cioè, non interessa la sorte del diritto di cui
si sta spogliando, ma solo il fatto di privarsene. È invece
l'ordinamento che si preoccupa di stabilire quale sia la
sorte del diritto rinunziato e, nel caso di proprietà
individuale, prevede l'acquisto dell'immobile da parte dello
stato (che avviene a titolo originario).
La comproprietà e il condominio. La rinuncia, oltre alla
proprietà esclusiva, può riguardare anche la quota di
comproprietà. Il codice civile prevede espressamente ipotesi
di rinuncia alla quota. Tra queste, in particolare, viene in
rilievo la rinuncia liberatoria di cui all'art. 1104 c.c.,
che si caratterizza per la circostanza che alla rinuncia al
diritto reale si accompagna la dismissione di una situazione
debitoria.
Molto diverse sono, infatti, la fattispecie della rinuncia
abdicativa e quella della rinuncia liberatoria della quota
di comproprietà. La prima determina puramente e
semplicemente l'abdicazione della quota di cui il soggetto è
titolare, senza ulteriori effetti negoziali propri dell'atto
posto in essere.
Da ciò consegue che il condomino, mentre non sarà tenuto a
corrispondere le spese concernenti la cosa comune per il
tempo successivo alla rinuncia in quanto egli non risulterà
più essere proprietario della stessa, rimarrà tenuto
all'adempimento di tutte le obbligazioni inerenti la cosa
sorte fino al giorno della rinuncia. In quella liberatoria,
invece, all'effetto abdicativo si accompagna, per espressa
previsione del legislatore, un effetto estintivo
dell'obbligazione. In questo caso, dunque, il condomino,
rinunziando alla propria quota, dismette il diritto di cui è
titolare al fine di liberarsi da tutte le obbligazioni
inerenti la cosa, non solo per il futuro, ma anche per
quelle già sorte.
Riflessi fiscali. La tassazione dell'atto è soggetta
all'imposta di donazione o a quella di registro. La prima si
applica alla mera rinuncia, ovvero alla rinuncia abdicativa
gratuita (fatta dal rinunciante senza percepire alcun
corrispettivo), oppure nel caso di rinuncia traslativa a
favore di soggetto diverso dal soggetto normalmente
recettizio, ma sempre gratuita. In tal caso saranno dovute
le imposte ipocatastali nella misura del 3%.
L'imposta di registro si applica invece nel caso di rinuncia
a titolo oneroso (con pagamento di corrispettivo al soggetto
rinunciante), sia che la rinuncia vada al soggetto
normalmente recettizio, che ad altri. L'aliquota sarà del 9%
in caso di fabbricati o terreni non agricoli, 12% per i
terreni agricoli (salvo agevolazioni prima casa). Le imposte
ipocatastali saranno applicabili in misura fissa (50 euro) (articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014). |
VARI:
Patenti, al medico vanno funzioni burocratiche.
Chi viene pizzicato con la patente scaduta per il rinnovo
dovrà esibire al sanitario una copia della multa e un
documento di riconoscimento in corso di validità. E in caso
di discordanza tra i dati la pratica potrà sarà seguita
direttamente dalla motorizzazione in modalità tradizionale.
Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con la
circolare
09.04.2014 n. 8326 di prot..
Il 7 febbraio è entrata
definitivamente in vigore, senza eccezioni, la nuova
procedura di rinnovo contestuale della licenza di guida
senza adesivi, conseguente alla modifica dell'art. 126 del
codice stradale.
Con questa circolare riepilogativa il ministero dettaglia
ulteriormente la novella dopo la prima nota del 3 marzo
2014. Per il rinnovo della patente i sanitari preposti,
all'esito positivo della visita medica, devono trasmettere
telematicamente al ministero una comunicazione con i dati,
la foto e la firma del titolare della licenza di guida.
Il sistema informatico genererà una ricevuta che il medico
provvederà a stampare in carta semplice e a consegnare
subito all'interessato. Ma non tutti i titoli possono essere
rinnovati con il nuovo sistema semplificato. Occorrerà
effettuare il rinnovo tradizionale tramite la
motorizzazione, per esempio, per le patenti speciali, le
patenti illeggibili e quelle smarrite, sottratte e
distrutte. Ma anche nel caso in cui la patente sia stata
ritirata in strada dalla polizia perché scaduta e
l'interessato al rinnovo esibisca al sanitario un documento
di identità riportante dati anagrafici discordanti rispetto
a quelli presenti nel Ced del ministero.
Prima di effettuare la visita medica la circolare consiglia
di procedere ad una verifica informatica sulla fattibilità
del rinnovo riscontrando anche la validità dei dati
riportati nel Ced. Il sanitario dovrà fare controllare
all'interessato la correttezza dei dati indicati nella
ricevuta che abilita alla guida, conclude il Mit. Ma anche
la correttezza dei versamenti dei diritti e delle tariffe.
In caso di errori formali sulla nuova licenza spetterà
all'utente richiedere infine a sue spese un nuovo documento.
Solo per gli errori di stampa provvederà al duplicato la
motorizzazione senza oneri (articolo ItaliaOggi
Sette del del 12.05.2014). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Condizionatori con bonus. Detrazione anche senza lavori ma
solo per i modelli con pompa di calore.
Impianti. I requisiti per ottenere le agevolazioni del 50 e
del 65% fino a dicembre e l'Iva agevolata.
L'installazione di un
nuovo condizionatore –o la sua sostituzione– fruisce sia
della detrazione del 50% per le ristrutturazioni edilizie se
il nuovo impianto è a pompa di calore (e non solo per il
raffreddamento) che della riduzione dell'aliquota Iva dal 20
al 10 per cento.
La detrazione del 50%, commisurata a un importo massimo di
96mila euro, infatti, sino al 31 dicembre 2014, si rende
applicabile anche agli interventi di risparmio energetico,
con particolare riguardo all'installazione di impianti
basati sul l'impiego di fonti rinnovabili di energia e anche
in assenza di opere edilizie, tra i quali rientra anche
l'installazione o sostituzione del condizionatore.
L'articolo 1 della legge 449/1997, che ha introdotto dal
1998 i benefici fiscali del 36%, nell'individuare le
operazioni agevolate, accanto agli interventi di recupero
edilizio definiti dall'articolo 3 del Dpr 380/2001, prevede
distintamente agevolate anche «le opere finalizzate al
risparmio energetico di cui alla legge 09.01.1991, n. 10
e del Dpr 26.08.1993, n. 412». La circolare 57/E del
1998 precisa, poi, che le opere finalizzate al risparmio
energetico possono essere realizzate anche in assenza di
opere edilizie, come in genere avviene per l'installazione
dei moderni condizionatori d'aria.
Ovviamente la necessità
che il condizionatore sia utilizzabile anche ai fini del
riscaldamento per la stagione invernale, ad integrazione o
sostituzione, dell'impianto di riscaldamento autonomo o
centralizzato già esistente, sicuramente fa rientrare
l'intervento tra quelli idonei a conseguire un risparmio
energetico. Assicurazioni in tal senso vengono dalla stessa
agenzia delle Entrate che nella Guida alle agevolazioni
Irpef per le ristrutturazioni edilizie (pubblicata sul sito
www.agenziaentrate.gov.it) include tra gli interventi
agevolati alla voce "caloriferi e condizionatori", la spesa
per la «sostituzione con altri anche di diverso tipo, la
riparazione o l'installazione di singoli elementi, compresa
l'installazione di macchinari esterni», a condizione che si
tratti di opere finalizzate al risparmio energetico.
Ma quale è l'esatta procedura per evitare il disconoscimento
dello sconto Irpef? Oltre a effettuare il bonifico
"parlante" normalmente richiesto per la detrazione, occorre
farsi rilasciare dall'installatore una dichiarazione di
conformità dell'impianto al conseguimento del risparmio
energetico (da conservare per eventuali richieste di
chiarimenti del fisco). Si tratta della semplice
dichiarazione di conformità dell'impianto a norma di legge
che in genere viene sempre rilasciata dall'installatore ad
integrazione della certificazione del produttore sulle
caratteristiche dell'impianto.
Per la riduzione dell'Iva, che comunque risulta tra le spese
detraibili ai fini del 50%, le apparecchiature di
condizionamento e riciclo dell'aria rientrano tra i beni
significativi di cui al Dm 29 dicembre 1999: si applica
l'aliquota Iva del 10% per le prestazioni di installazione e
per l'acquisto dei materiali utilizzati diversi dai
condizionatori, mentre per l'acquisto dei condizionatori
l'Iva al 10% si applica solo sino a concorrenza del valore
della manodopera e degli altri materiali. Per la parte
eccedente di valore si applica l'Iva al 22%.
A determinate condizioni si rende applicabile, in
alternativa, la detrazione del 65% (importo massimo
detraibile sempre in 10 anni pari a 30mila euro) ma solo se
il condizionatore sostituisce integralmente o parzialmente
l'impianto di riscaldamento preesistente.
Il 65%, oltre che per gli edifici residenziali posseduti da
persone fisiche, si applica anche per gli interventi
eseguiti su edifici non abitativi (uffici, negozi,
capannoni) e anche se posseduti da imprese e società.
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In condominio il limite è il decoro.
Parti comuni. Poche possibilità di opposizione per i vicini
residenti in un altro edificio.
L'installazione del
condizionatore in condominio è una annosa questione che non
sempre trova univoca soluzione da parte dei giudici e che va valutata di volta in volta in ragione del diverso impatto
visivo che il manufatto può avere sull'aspetto
architettonico dell'edificio e decisa anche secondo le
regole del buon senso.
È certo però che il condòmino, prima di posizionare il
proprio condizionatore all'esterno, deve darne notizia
all'amministratore affinché relazioni l'assemblea, che può
richiederne la rimozione: è questa la regola dettata dal
nuovo articolo 1122 del Codice civile, introdotto con la
riforma del condominio.
Il principio generale è che qualsiasi intervento che possa
interferire con il bene comune e che sia posto al servizio
esclusivo dell'unità immobiliare di un condòmino deve
avvenire nel rispetto delle regole dettate dalla legge e, in
particolare, del divieto di pregiudicare il decoro
architettonico dell'edificio e di impedire il pari uso da
parte degli altri condomini della cosa comune. Le parti
comuni possono essere utilizzate da ciascun condomino anche
in modo particolare e diverso dal loro uso normale, sempre
che ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti
utilizzazioni attuali e potenziali degli altri e non
determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei pari
diritti degli altri partecipanti al condominio.
Entro questi limiti può dunque ritenersi legittima
l'installazione da parte del singolo condomino di un
impianto di condizionamento sulla facciata dello stabile
condominiale. Deve trattarsi però di un manufatto di piccole
dimensioni che non vada a stravolgere l'armonia della
facciata stessa e che magari si inserisca in essa, per
colore e posizione, quasi a scomparire. I limiti sono invece
superati se il condizionatore assume dimensioni spropositate
rispetto alla normale accettabilità (e l'ipotesi non è
purtroppo rara) perché in questo caso viene a modificarsi la
destinazione tipica del bene comune. Il ragionamento resta
invariato anche nel caso in cui l'impianto venga posizionato
sulla facciata interna dell'edificio.
L'offesa al decoro architettonico va comunque riguardata in
sé, senza riferimento a edifici contigui o, ancor meno, ad
alterazioni in questi già esistenti È da escludersi anche
che persone estranee al condominio possano lamentarsi per un
condizionatore mal posizionato dal condomino dell'edificio
magari antistante al proprio: la tutela pubblica non
concorre con quella privata. Ma in presenza di un
condizionatore rumoroso oppure che produca eccessive
esalazioni la tutela spetta a tutti gli interessati e non
solo al condòmino vicino di casa. Per la valutazione del
disturbo resta caposaldo invalicabile il limite della
tollerabilità del rumore o delle esalazioni (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Debutta a giugno l'obbligo di libretto.
Certificazioni. Anche per il raffreddamento.
La novità scatta dal
prossimo 1° giugno: anche i condizionatori dovranno essere
dotati, così come le caldaie, di un libretto di impianto e,
al di sopra di una certa potenza, saranno soggetti a
verifiche periodiche e all'obbligo di trasmissione del
«rapporto di controllo» dell'efficienza energetica.
La regola è introdotta da un decreto ministeriale del 10.02.2014, che a sua volta attua le disposizioni del Dpr
74/2013. Il nostro Paese ha sanato, così, una procedura di
infrazione aperta dalla Ue proprio perché non erano mai
state contemplate in Italia norme relative alle ispezioni
sugli impianti di raffrescamento, al fine di contenerne i
consumi.
Ora la legge c'è e va rispettata. Innanzitutto con la
predisposizione del libretto. Si tratta di una sorta di
"cartella clinica" dell'impianto, che lo segue dalla prima
accensione fino a fine servizio e demolizione. Dal 1° giugno
deve essere disponibile sia per gli impianti esistenti che
per quelli nuovi. Per gli impianti nuovi, a predisporlo
(secondo il modello aggiornato e scaricabile dal sito del
Mise) è l'installatore, all'atto della messa in funzione
dell'apparato. Poi tenere aggiornato il documento spetta a
chi ha la responsabilità dell'impianto, cioè il singolo
proprietario o, per impianti condominiali, l'amministratore
o la ditta abilitata e, da questi, delegata.
Per gli impianti esistenti, in teoria dopo il 1° giugno
toccherebbe al responsabile (quindi, all'utente) scaricare
il nuovo modello di libretto dai pdf predisposti sul sito
del Mise e trascriverne sulla prima pagina i dati
identificativi dell'impianto. Tuttavia, anche secondo quanto
suggerisce il Cti, è ragionevole che a compilare il libretto
la prima volta sia il manutentore, alla prima occasione
utile, quando l'impianto viene sottoposto a una revisione.
Tanto più che, per gli impianti di potenza superiore ai 12
kW, i controlli per la verifica di efficienza scattano di
legge. La periodicità cambia a seconda della potenza: in
caso di apparati standard, fino a 100 kW, si procede ogni
quattro anni. Terminata l'ispezione, così come già avviene
per le caldaie, il tecnico manutentore dovrà ora compilare
anche il rapporto (secondo il modello dedicato ai
condizionatori in vigore dal 1° giugno) e trasmetterlo,
preferibilmente in via telematica, all'ente locale che tiene
aggiornato il catasto (in genere, la Provincia o il Comune,
a seconda di quanto stabilito con delega dalla Regione).
Nel documento, allegato in copia anche al libretto, sarà
indicato il risultato dell'ispezione. Se i valori dei
parametri che sono rilevati e caratterizzano l'efficienza
energetica dell'impianto risultano inferiori fino al 15%
rispetto a quelli misurati in fase di collaudo o primo
avviamento (riportati sul libretto d'impianto), i sistemi
vanno riportati alla situazione iniziale, con una tolleranza
del 5% (articolo 8, comma 9, Dpr 74/2013). Altrimenti,
sostituiti.
Per i controlli, come per gli impianti di riscaldamento, le
verifiche sono effettuate a campione. Con relative sanzioni.
Ad esempio, da 500 a 3mila euro per proprietari, conduttori,
amministratori di condominio o terzi responsabili che non
ottemperino ai propri obblighi (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Tetto di spesa lineare per i contratti su beni e servizi.
Riduzione obbligatoria del 5% dei prezzi.
Decreto Irpef. Gli effetti concreti della nuova spending
review.
Il decreto legge Irpef
porta delle "novità" piuttosto vecchie per gli enti locali.
Il problema riguarda prima di tutto il nuovo capitolo della
spending review, che in parte riporta gli enti locali ai
vecchi tetti di spesa abbandonati dalla Finanziaria del
2007.
La manovra è per circa la metà incentrata sulla riduzione
della spesa per servizi (360 milioni di euro). Per ottenere
questa riduzione, l'articolo 8, comma 5, lettera a), offre
apparentemente una facoltà, ovvero quella di ridurre gli
importi dei contratti sui beni e servizi, nella misura del 5
per cento, per tutta la durata residua dei contratti. In
questo quadro si conferisce la facoltà «di rinegoziare il
contenuto dei contratti»: in pratica, correttamente, non si
tratta di uno sconto obbligatorio, ma della possibilità di
ridurre i servizi, e si fa salva la possibilità di recesso
della controparte.
Alla successiva lettera b), però, si rende chiaro che la
riduzione dei servizi, almeno parzialmente, non è una
facoltà, ma un obbligo: gli enti locali «sono tenuti ad
assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti
stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del
presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o
derivabili» dal taglio del 5 per cento. Il successivo comma
9 precisa che «gli atti e i contratti adottati in
violazione» di queste norme «sono nulli e sono rilevanti ai
fini della performance individuale e della responsabilità
dirigenziale di chi li ha sottoscritti».
Ma le tutele di finanza pubblica non si fermano qui. Il
decreto introduce anche delle clausole di salvaguardia di
indubbia efficacia. L'articolo 47, comma 11, prevede che il
ministero dell'Economia, se non ottiene il risultato
desiderato con le queste misure, si trattiene direttamente i
soldi attraverso i mancati riversamenti dell'Imu, con chiare
conseguenze sugli equilibri di bilancio degli enti
inadempienti: ai revisori, peraltro, spetta l'onere di
monitorare l'operato delle amministrazioni.
Si tratta, nel complesso, di novità di non poco conto ed
alcune, in linea di principio, anche condivisibili.
Purtroppo, però, si ripetono alcuni vecchi errori, su cui
sarà necessario fare chiarezza in sede di conversione. Due
per tutti: davvero si vuole ridurre, visto che rientra nelle
spese per servizi, anche quanto concordato per il ciclo
integrato dei rifiuti? Questo è in assoluto contrasto con
gli obiettivi di raccolta differenziata, che porterà a un
aumento della spesa e non certo a una sua riduzione, e che
per altro è una operazione inutile sul piano della finanza
pubblica, data l'integrale copertura tramite Tari.
Ancora, davvero ha senso ridurre anche i programmi di spesa
cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, visto che se il
Comune riduce la propria quota di spesa, proporzionalmente
ridimensiona anche quella comunitaria? In un Paese che si
lamenta di non riuscire a sfruttare in pieno i Fondi Ue è
curioso che si vadano di fatto a ridimensionare quelli dei
Comuni che dimostrano di riuscire a utilizzarli.
Un'ulteriore contraddizione riguarda il "trattamento" dei
tempi di pagamento. L'articolo 47, comma 9, del Dl 66/2014
dispone un aumento del 5% nei tagli agli enti che nel 2013
hanno impiegato mediamente più di 90 giorni per pagare i
propri fornitori. La base di calcolo per le riduzioni, che
contempla anche gli acquisti e contratti di servizio del
2013, penalizza però proprio gli enti che l'anno scorso
hanno sfruttato di più le anticipazioni sblocca-debiti.
Anche qui il Parlamento dovrebbe intervenire, ma i tempi
sono strettissimi (tutti i dati vanno comunicati entro il 31
maggio) e un ulteriore cambio delle regole in corsa
finirebbe per aumentare ancora il caos applicativo (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014). |
LAVORI PUBBLICI: Opere pubbliche.
Censimento, niente risorse ai lavori senza dati.
La Ragioneria generale
dello Stato rende effettivi gli obblighi di invio dei dati
riguardanti gli investimenti pubblici, tracciati mediante il Cup.
La
circolare 08.04.2014 n. 14 (si veda Il Sole 24 Ore del 6 maggio)
attiva i sistemi definiti dal Dlgs 229/2011 per il
monitoraggio delle opere pubbliche finanziate da risorse
pubbliche e individuate mediante l'acquisizione, da parte
delle amministrazioni realizzatrici, del codice unico di
progetto.
I soggetti aggiudicatori sono tenuti a detenere e alimentare
un sistema gestionale informatizzato contenente le
informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali
relative alla pianificazione e programmazione delle opere e
dei relativi interventi, nonché all'affidamento e allo stato
di attuazione di tali opere.
La comunicazione delle informazioni alla banca dati gestita
dal Mef deve essere effettuata secondo lo schema definito
dal Dm del 26.02.2013 (successivamente modificato) e
costituisce presupposto per l'erogazione dei finanziamenti
pubblici (in particolar modo di quelli statali).
Oggetto della rilevazione sono le opere pubbliche, in corso
di progettazione o realizzazione a partire dalla data del 21.02.2012, fatta eccezione per le opere di manutenzione
ordinaria: per queste opere le amministrazioni e i soggetti
aggiudicatori rendono disponibili alla banca dati le
informazioni essenziali, secondo un quadro di scadenze
chiarito dalla circolare.
Dal 5 maggio le amministrazioni devono inserire nelle per
l'acquisizione del Cig o in quelle di aggiudicazione anche
il Cup, qualora non sia stato richiesto (l'Avcp renderà
disponibile una specifica funzionalità entro lo stesso
mese). Inoltre provvedono ad aggiornare le informazioni
relative al Cup nel sistema Dipe, ad esempio chiudendo il
codice se l'opera è conclusa. Dalla stessa data, tuttavia,
l'adempimento più rilevante si concretizza nell'obbligo di
riportare sistematicamente il Cup nelle operazioni di
pagamento tracciate con il Siope.
Analogamente, le amministrazioni devono utilizzare il Cup e
il correlato Cig in tutti quei sistemi di rilevazione che
prevedono l'inserimento del codice relativo agli
investimenti (es. piattaforma rilevazione crediti,
fatturazione elettronica, ecc.).
Da settembre 2014 le amministrazioni possono accedere alle
informazioni della banca dati relative alle opere che le
riguardano, potendo quindi controllare la completezza e
l'esattezza delle informazioni.
Una volta verificate le informazioni, le amministrazioni
riversano nella banca dati solo quelle non riportate in
altri sistemi di rilevazione (ad esempio quelli dell'Avcp).
Il primo invio dovrà essere effettuato tra il 30 settembre e
il 31.10.2014, mentre a regime dal 2015 gli invii
avranno cadenza trimestrale.
Il Cup e il Cig costituiscono le informazioni rilevanti per
assicurare l'univocità dell'invio e il raccordo tra i vari
sistemi informativi, che consentono alle amministrazioni e
ai soggetti aggiudicatori di inviare al Mef solamente i dati
richiesti dal decreto ministeriale non inviati o non
presenti nelle banche dati Avcp e Dipe: ad esempio, se
l'informazione relativa al campo «importo Sal» è presente
nella Banca dati dell'Avcp non deve essere trasmessa
nuovamente alla Bdap, a condizione che al Cig di pertinenza
sia correttamente associato il Cup dell'opera cui il
contratto si riferisce.
Il Cig e il Cup assumono rilevanza anche nelle fatture
elettroniche relative agli appalti, obbligatorie dal 31.03.2015 (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
Appalti, fattura elettronica modello Ue.
Adempimenti. La direttiva 2014/55/EU impone la
standardizzazione dei contenuti.
Fattura elettronica europea con contenuto vincolato negli
appalti pubblici ed estensione della particolare modalità di
certificazione dei corrispettivi non solo per le pubbliche
amministrazioni ma per tutte le stazioni appaltanti o i
concessionari.
Sono, queste, due importanti
novità contenute nella Direttiva Europea 2014/55/EU
pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea in
data 6 maggio, con entrata in vigore il prossimo 26 maggio.
In particolare, la direttiva impone la standardizzazione del
contenuto della fattura e consente un utilizzo limitato a
livello europeo di formati diversi. Questo approccio è
dovuto al fatto che attualmente esistono regole e previsioni
diverse in ogni Stato membro, regole che non consentono una
piena utilizzabilità della fattura elettronica a livello di
Ue.
La direttiva sul piano oggettivo interviene, infatti,
sul modello semantico, ossia sul linguaggio da utilizzare
per descrivere gli elementi da inserire in fattura e sul
relativo contenuto che sarà unico e obbligatorio in tutta
l'Unione e sul modello sintattico, ossia sul formato
elettronico da adottare che, invece, sarà limitato ad alcuni
specifici formati. A questo scopo, prevede l'implementazione
di uno standard per la parte "core" della fattura e misure a
favore dell'interoperabilità dei formati di emissione
adottati.
In particolare, il testo affida al Cen (Comitato europeo di
normazione), organismo tecnico di standardizzazione europea,
di individuare, tra i numerosi formati presenti sul mercato
una lista di formati che siano compatibili con lo standard
semantico comune. I destinatari della fattura (Pa, enti
aggiudicatori, altri soggetti assimilati) non potranno,
quindi, rifiutare le fatture elettroniche conformi allo
standard semantico europeo e ai formati tecnici identificati
dal Cen e approvati dalla Commissione.
La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di
disporre che nel contesto degli appalti pubblici siano
presente unicamente fatture elettroniche, precisando che se
il mittente sceglie di presentare la fattura secondo la
norma europea sulla fatturazione elettronica il destinatario
ha l'obbligo di riceverla ed elaborarla se conforme ad uno
degli standard pubblicati dalla Commissione nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea.
Sul piano soggettivo la direttiva prevede che nell'ambito di
contratti pubblici aggiudicati ai sensi delle nuove
direttive europee sugli appalti pubblici e sulle concessioni
l'utilizzo della fattura elettronica è soggetto di norma al
preventivo accordo tra le parti e a differenza del caso
Italia, in cui il Dm 55 del 03.04.2013 ha già previsto
l'obbligo delle fatture elettroniche, i soggetti interessati
non saranno esclusivamente le Pa ma tutti i soggetti
aggiudicatori, incluse le imprese pubbliche ed enti
concedenti
I tempi per l'entrata in vigore della direttiva sono i
seguenti:
- entro il 27.11.2018 deve essere recepita dalla
normativa nazionale;
- entro 18 mesi dall'adozione e pubblicazione sulla Gu
europea del riferimento allo standard si applica l'articolo
7 che introduce l'obbligo di accettare le fatture conformi
allo stesso;
- è possibile una deroga di ulteriori 30 mesi per le
pubbliche amministrazioni Locali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Acquisti a firma digitale.
Da lunedì sarà l'unica procedura consentita.
CONSIP/ Addio al fax per semplificare e ridurre i costi
amministrativi.
Da lunedì prossimo, 12 maggio, gli acquisti di beni e
servizi della pubblica amministrazione sulla piattaforma di
e-procurement Mef/Consip potranno essere effettuate solo da
utenti in possesso di firma digitale con l'obiettivo di
realizzare vantaggi in termini di semplificazione e minori
costi amministrativi per la pubblica amministrazione e
imprese.
«Un ulteriore passo avanti verso la
digitalizzazione degli acquisti pubblici e la
smaterializzazione delle relative procedure: è questo», si
legge in una nota, «il senso della novità che partirà da
lunedì prossimo, 12 maggio, sulla piattaforma di e-procurement Mef/Consip, quando tutte le attività di
negoziazione potranno essere effettuate solo da utenti in
possesso di firma digitale, eliminando così la possibilità
di inviare ordinativi di fornitura con firma autografa e via
fax». «Oltre a rendere più rapido e trasparente il processo
d'acquisto», spiega la nota, «questo nuovo regime
contribuirà a ridurre i costi di transazione sostenuti dalle
amministrazioni.
L'uso della firma digitale sia da parte delle
amministrazioni che delle imprese abilitate era già previsto
per una serie di strumenti di acquisto quali il Mercato
elettronico della pubblica amministrazione (Mepa), gli
Accordi quadro e il Sistema dinamico di acquisizione in cui
il processo di acquisto si svolge totalmente per via
elettronica. Solo il sistema delle convenzioni», ricorda la
nota, «consentiva ancora l'uso del fax, in luogo
dell'acquisto on-line, alle amministrazioni prive di firma
digitale. A partire dal 12 maggio, tale possibilità verrà
meno e il fornitore sarà tenuto a dare seguito
esclusivamente agli ordini ricevuti online con firma
digitale».
La Consip «ha comunque provveduto nei mesi scorsi a
informare e a sensibilizzare le amministrazioni utenti del
Programma di razionalizzazione della spesa ancora prive
della firma digitale sulla necessità di dotarsi
dell'apposito kit e di modificare il proprio profilo di
utenza sul sistema».
Per quanto riguarda le imprese, invece,
nella pratica non cambia nulla in quanto esse hanno già
l'obbligo del possesso della firma digitale per gli altri
adempimenti previsti dalle norme vigenti. Questo ulteriore step fa seguito all'avvio, nel mese di febbraio 2014, del
servizio di fatturazione elettronica messo a disposizione
delle piccole e medie imprese abilitate al Mepa.
Con tale
servizio viene offerto supporto ad amministrazioni e imprese
nel processo di adozione della fattura elettronica, che dal
06.06.2014 diventerà obbligatoria come documento di
pagamento nei confronti di ministeri, agenzie fiscali ed
enti nazionali di previdenza. Sia il passaggio all'obbligo
di utilizzo della firma digitale per gli acquisti, sia
l'adozione della fatturazione elettronica rappresentano
importanti step verso la modernizzazione e una maggiore
trasparenza e semplificazione dei processi d'acquisto della
pubblica amministrazione, anche nell'ottica della
realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana»
(articolo ItaliaOggi
del 10.05.2014). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Acquisti pubblici solo con firma digitale.
Consip. Da lunedì passo avanti nella digitalizzazione sulla
piattaforma di e-procurement del ministero dell'Economia.
Basta fax. E soprattutto
porte aperte alla trasparenza.
Saranno questi alcuni dei
principali effetti della nuova fase di "digitalizzazione"
degli acquisti di beni e servizi della pubblica
amministrazione sulla piattaforma di e-procurement della
Consip, la società del ministero dell'Economia che, anche
sulla base del recente decreto Irpef del Governo, sta
diventando sempre più un riferimento obbligato nel pianeta
delle forniture.
Da lunedì 12 maggio tutte le attività di
negoziazione potranno essere effettuate solo da utenti in
possesso di firma digitale. Una procedura molto più snella e
veloce che oltre a produrre vantaggi in termini di
semplificazione dovrebbe anche consentire una riduzione dei
costi amministrativi a carico delle imprese e della stessa
Pa.
Si tratta di «un ulteriore passo avanti verso la
digitalizzazione degli acquisti pubblici e la
smaterializzazione delle relative procedure», sottolinea Consip.
Il ricorso alla firma digitale da parte delle
amministrazioni e delle imprese abilitate era già previsto
per gran parte degli strumenti di acquisto legati al
"flusso" delle forniture: dal Mercato elettronico della
pubblica amministrazione (Mepa) agli accordi quadro e al
sistema dinamico di acquisizione collegato a una procedura
esclusivamente elettronica. Di questa "gamma" fino ad oggi
non faceva parte soltanto il sistema delle convenzioni
nell'ambito del quale era ancora possibile il ricorso al fax
per le amministrazioni prive di firma digitale. Ma da lunedì
per tutti gli ordini dovrà tassativamente scattare la
procedura on-line. Consip ha già provveduto a informare le
amministrazioni interessate. Per le imprese cambia poco
visto che le aziende devono già obbligatoriamente essere in
possesso della firma digitale, anche se con la nuova
procedura obbligatoria sarà più semplice ricevere e gestire
gli ordini.
La firma digitale a 360 gradi si va ad affiancare al
servizio di fatturazione elettronica messo a disposizione
dal febbraio scorso delle Pmi abilitate al Mercato
elettronico della Pa. Fatturazione elettronica che dal
prossimo 6 giugno diventerà obbligatoria come documento di
pagamento nei confronti di Ministeri, agenzie fiscali ed
enti nazionali di previdenza. Secondo Consip «sia il
passaggio all'obbligo di utilizzo della firma digitale per
gli acquisti, sia l'adozione della fatturazione elettronica
rappresentano importanti step verso la modernizzazione e una
maggiore trasparenza e semplificazione dei processi
d'acquisto della Pa» (articolo Il Sole 24 Ore del
10.05.2014). |
CONDOMINIO:
Manutenzione agli inquilini, parti elettriche al
proprietario. Il documento di Confedilizia e dei sindacati di settore
sulla ripartizione delle spese.
Illuminazione comune, citofoni, allarmi e strumenti di video
sorveglianza allestiti a spese del proprietario di casa.
Non, però, la manutenzione, che grava sulle spalle
dell'affittuario. E lo stipendio del portiere (così come
l'indennità sostitutiva dell'alloggio e la cura ordinaria
della guardiola), va suddiviso tra chi dà l'immobile in
locazione (che ne versa il 10%) e chi lo prende (il restante
90%).
Arriva il «lifting», a 15 anni dalla precedente versione
della
tabella che specifica l'esatta ripartizione di oneri e
accessori fra chi possiede un'abitazione e chi ne diventa
inquilino. A realizzare il documento, le parti in causa
datoriali e sindacali, ossia la Confedilizia e le sigle
Sunia, Sicet e Uniat, consapevoli della necessità di
aggiornare lo schema ai frutti dell'innovazione tecnologica,
quali, per esempio, il cablaggio dei condomini, i sistemi di
controllo video e le antenne satellitari.
Partendo dall'ascensore, si precisa che la manutenzione
ordinaria e le piccole riparazioni spettano al conduttore,
così come il consumo di energia elettrica per la forza
motrice e l'illuminazione, le ispezioni ed i collaudi, ma a
saldare per l'installazione e la manutenzione straordinaria
degli impianti e l'adeguamento alle nuove disposizioni di
legge dev'essere il locatore. Quanto all'autoclave (la pompa
che fa arrivare l'acqua nei bagni e nelle cucine),
collocarla e, eventualmente, sostituirla del tutto, o in
parte, insieme alle imposte e alle tasse di impianto è a
carico di chi possiede il bene immobile, mentre la
manutenzione ordinaria, la forza motrice, il ricarico della
pressione del serbatoio, le ispezioni, i collaudi e la
lettura dei contatori sono costi in capo all'affittuario.
Il medesimo principio (installazione sostenuta
finanziariamente dal proprietario, manutenzione ordinaria
che spetta all'inquilino) vige, poi, per le luci comuni,
suonerie, allarmi, citofoni e meccanismi di video
sorveglianza, così come per le strutture sportive, laddove
le quote per gli addetti, il consumo di acqua per la pulizia
e depurazione, l'acquisto di materiale per la manutenzione
ordinaria toccano al conduttore.
«È stata decisa», commenta Corrado Sforza Fogliani,
presidente di Confedilizia, «una rigorosa delimitazione
degli ambiti di spesa» e per le voci non previste si rinvia
«alle norme di legge e agli usi locali». «Obiettivo
comune», dicono i sindacati, «è ridurre il
contenzioso e la morosità, visto che il 30% degli inquilini
paga in ritardo» (articolo ItaliaOggi
del 09.05.2014). |
APPALTI: Tempi di pagamento ai raggi X.
I dati 2013 vanno inviati entro il 31 maggio prossimo.
Un decreto e una circolare del Viminale. Informazioni anche
sugli acquisti centralizzati.
Si sblocca finalmente l'impasse sul censimento per i tempi
medi di pagamento effettuati lo scorso anno e il valore
degli acquisti centralizzati cui sono chiamati gli enti
locali. Nella giornata di ieri, il Mininterno ha infatti
diffuso sia il testo del decreto ministeriale di
approvazione del modello di rilevazione che una circolare
esplicativa sulle relative modalità di trasmissione.
A partire da oggi ed entro le ore 24,00 del 31 maggio
prossimo, pertanto, tutte le province e i comuni dovranno
infatti trasmettere, in forma esclusivamente telematica, il
modello approvato. In caso di omessa trasmissione, agli enti
inadempienti verrà applicata la sanzione consistente
nell'incremento del dieci per cento dei risparmi da versare.
Come noto, il dl 66/2014 ha imposto anche a province e
comuni di contenere le spese per l'acquisto di beni e
servizi (oltre che per auto blu e consulenze). Come
contropartita, gli enti di area vasta dovranno versare allo
Stato 340 milioni per il 2014 e 510 milioni per ciascuno
degli anni dal 2015 al 2017. Per i sindaci, invece, i
risparmi attesi si traducono in nuovi tagli del fondo di
solidarietà, che valgono, rispettivamente, 360 e 540
milioni. In mancanza di diverso accordo in Conferenza
Stato-città (da sancire entro il 15 giugno per il 2014 ed
entro il 28 febbraio per gli anni successivi), il riparto
verrà effettuato su base proporzionale in relazione alla
spesa media sostenuta da ciascun ente nell'ultimo triennio
per i beni e i servizi indicati nell'allegato A del dl.
Ulteriori penalizzazioni sono previste per le
amministrazioni che, nell'ultimo anno, hanno fatto
registrare tempi medi di pagamento relativi a transazioni
commerciali superiori a 90 giorni rispetto a quanto disposto
dal dlgs 231/2002 e acquisti centralizzati, in misura
inferiore al valore mediano di comparto. Per gli enti che
risulteranno fuori linea, la riduzione sarà incrementata di
un ulteriore 5% per ciascuno dei due parametri di
riferimento. Questi ultimi saranno calcolati dal Ministero
dell'interno sulla base dei dati che le amministrazioni
dovranno fornire entro il prossimo 31 maggio (28 febbraio
per i prossimi anni) con la certificazione in esame.
Sulla scorta di questa normazione, la Direzione centrale
della finanza locale ha precisato, con la circolare n.
8/2014, che sono tenuti alla trasmissione del modello tutte
le province e tutti i comuni, inclusi quelli che nel corso
di quest'anno si sono costituiti a seguito di fusione. In
questo caso, gli enti dovranno riportare nella
certificazione i dati determinati dalla sommatoria di quelli
provenienti dai bilancio 2013 dei singoli comuni facenti
parte della fusione. L'adempimento relativo all'inoltro
telematico scatta da oggi e sino al termine (perentorio)
delle ore 24,00 del 31 maggio prossimo.
Attraverso l'uso
delle credenziali già in uso dai singoli enti per la
trasmissione dei dati afferenti i bilanci, le
amministrazioni chiamate troveranno un modello precompilato
per quanto riguarda la sezione anagrafica, dovendo solo
inserire i dati relativi al tempo medio dei pagamenti
effettuati nel 2013 e il valore degli acquisti delle oltre
20 categorie di beni e servizi indicati nell'allegato B del
dl n. 66/2014 sostenuti nell'anno precedente, con
particolare evidenza di quelli effettuati mediante ricorso
agli strumenti di acquisto tramite Consip o le centrali di
committenza regionale. Il tutto, confermato dall'apposizione
delle firme digitali richieste che, espressamente per questa
certificazione, prevedono per legge la firma del
rappresentante legale dell'ente. Occorrerà, pertanto,
prestare particolare attenzione prima di inviare il
documento telematico. Infatti, è necessario verificare che
il soggetto rappresentante dell'ente sia già censito
nell'area riservata del sito internet del Viminale. Infine,
la circolare ricorda, come fatto altre volte per la
trasmissione dei dati relativi alle certificazioni sui
bilanci di previsione o sui consuntivi, che non saranno
tenuti in considerazione e pertanto ritenuti inadempienti,
gli enti che invieranno il modello di rilevazione in forma
diversa da quella telematica.
Tuttavia, le istruzioni del Viminale non sciolgono ancora
alcuni dubbi. Ad esempio, per data di pagamento s'intenderà
quella del mandato o quella della quietanza? Si dovrà tenere
conto anche dei ritardati pagamenti dovuti a cause non
imputabili agli enti (come assenza o irregolarità del Durc,
verifiche presso Equitalia non andate a buon fine,
contestazioni verso i fornitori)? Tutti punti che vanno
chiariti il prima possibile per consentire agli uffici di
iniziare a lavorare e rispettare il termine di legge. Per i
comuni, poi, c'è un'ulteriore incognita legata all'art. 22
del dl 66, che ha imposto di limitare l'ambito
dell'esenzione Imu per i terreni agricoli ricadenti in aree
montane o di collina.
Da tale misura è atteso un maggior
gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni, con
contestuale riduzione di pari importo del Fsc. Come
sottolineato dall'Anci, tale previsione desta forti
preoccupazioni per l'ulteriore instabilità che induce nel
sistema di determinazione delle risorse comunali. Anche qui,
pertanto, è necessario che il decreto attuativo sia adottato
il prima possibile (articolo ItaliaOggi
del 09.05.2014). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Lavoro pubblico messo a dieta.
In pensione volontariamente. Altrimenti lo farà la p.a..
I calcoli da effettuare e le norme da tenere in
considerazione dopo la circolare Madia.
Lavoro pubblico a dieta. Gli esuberi vanno lasciati a casa,
in pensione oppure in disponibilità (la cassa integrazione
del settore pubblico). Il primo caso, tutto sommato, è
un'agevolazione: i lavoratori infatti possono mettersi in
pensione volontariamente, altrimenti lo farà la p.a. (è un
obbligo), in base ai requisiti vigenti prima della riforma
Fornero (come succede agli «esodati» del settore privato).
Opportunità, questa, che può essere colta solo dai
lavoratori in esubero che riescono a ottenere la pensione
entro il 31.12.2016 (vecchia finestra inclusa). Ma
anche il secondo caso non è da meno: se non è possibile il
prepensionamento, volontario o meno, l'unica alternativa è
la messa in disponibilità che comporta la sospensione del
rapporto di lavoro e la riduzione dello stipendio all'80%.
Lo prevede, tra l'altro, la
circolare 28.04.2014 n. 4/2014 del ministro
per la p.a., Maria Anna Madia, sui piani di
razionalizzazione e di riduzione della spesa del personale
(si veda ItaliaOggi del 7 maggio).
Il prepensionamento
Il «prepensionamento dei lavoratori pubblici in esubero» è
figlio della spending review di cui al dl n. 95/2012. Nel
prevedere la riduzione degli organici nelle p.a, il decreto
ha stabilito che per il personale in esubero possano
continuare a valere i vecchi requisiti per la pensione (età
e contributi), ossia quelli in vigore prima della riforma
Fornero (dl n. 201/2011, in vigore dal 01.01.2012). La
deroga, in particolare, può essere applicata ai dipendenti
che soddisfino due condizioni:
1) risultino in esubero nelle rispettive dotazioni
organiche;
2) ottengano la «decorrenza» della pensione in base ai
vecchi requisiti di pensione (si vedano tabelle in pagine)
entro il 31.12.2016.
Per l'applicazione della seconda condizione la Funzione
pubblica, d'accordo con il ministero del lavoro, con quello
dell'economia e con l'Inps, ha diramato le istruzioni con la
circolare n. 3/2013 (su ItaliaOggi del 30.07.2013);
l'unica novità è il termine entro cui deve avvenire la
decorrenza della pensione che, in un primo tempo fissato al
31.12.2014, è stato esteso poi al 31.12.2016 dal
dl n. 101/2013.
La circolare n. 4/2014 illustra ora le modalità di
applicazione dei principi di razionalizzazione e riduzione
della spesa di personale, indicando tra l'altro i limiti
entro cui è ammesso il ricorso al prepensionamento e alla
messa in disponibilità.
Chi è in «esubero»
Il lavoratore è in esubero se «nominativamente» individuato
dalla p.a. cui appartiene come un «soprannumerario» o un
«eccedentario». Si ha «soprannumerarietà» se il personale in
servizio supera la dotazione organica in tutte le
qualifiche, categorie o aree; in tal caso dunque, la p.a.
non ha alcun posto vacante per l'eventuale riconversione del
personale o per una sua diversa distribuzione dei posti. Si
ha «eccedenza» invece se il personale in servizio supera la
dotazione organica solo in alcune qualifiche, categorie o
aree; quindi la p.a. ha dei posti disponibili per i quali
potrebbe riconvertire il personale.
In pensione
o in disponibilità
Il principio è chiaro: il personale in esubero va lasciato a
casa. A tal fine la p.a. utilizza i due strumenti:
prepensionamento e messa in disponibilità. La procedura è
questa, una volta che ci sia la presenza di personale
soprannumerario o in eccedenza:
1) il dirigente responsabile ne dà informativa ai sindacati
(Rsu) per assicurare obiettività e trasparenza
all'operazione;
2) trascorsi 30 giorni dall'avvio dell'esame, in assenza di
criteri e modalità condivisi, la p.a. procede alla
dichiarazione di esubero (cioè all'individuazione nominativa
de lavoratori in più) e di messa in mobilità (include
prepensionamento e collocazione in disponibilità). La messa
in mobilità, in particolare, avviene prima di tutto
attraverso il prepensionamento, volontario o d'ufficio
previa ricognizione dei lavoratori in possesso dei requisiti
per la pensione (la p.a. può rivolgersi all'Inps). In
subordine la p.a. verifica la ricollocazione totale o
parziale del personale in esubero, anche con ricorso a forme
flessibili di orario di lavoro o di rapporti di lavoro;
3) trascorsi 90 giorni dall'informativa ai sindacati, se il
prepensionamento non è bastato per azzerare gli esuberi, la
p.a. procede infine alla collocazione in disponibilità: i
lavoratori sono esonerati dal lavoro in cambio della
riduzione di stipendio e indennità integrativa speciale alla
misura dell'80%. Si resta a casa, intascando uno stipendio
ridotto e attendendo la pensione (i periodi di «disponibilità»
sono utili sia al diritto che alla misura della pensione) (articolo ItaliaOggi
del 09.05.2014). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Appalti. Semplificazione.
Per la regolarità contributiva verifica online.
Il documento unico di
regolarità contributiva (Durc), anche a seguito del "decreto
lavoro", malgrado la sua dematerializzazione, non modifica
gli obblighi da parte del committente di appalto di lavori
privati.
Il comma 1, dell'articolo 4, del Dl 34/2014 dopo le
modifiche apportate al testo originario, ha risolto solo in
parte la problematica in esame. Il nuovo testo stabilisce
che «chiunque vi abbia interesse, compresa la medesima
impresa, verifica, con modalità esclusivamente telematiche
ed in tempo reale, la regolarità contributiva nel confronti
dell'Inps, dell'Inail e, per le imprese tenute ad applicare
i contratti del settore dell'edilizia, nei confronti delle
Casse edili».
Negli appalti edili conferiti dal committente privato a una
impresa esecutrice, l'articolo 90 del Dlgs 81/2008 (Testo
unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro)
stabilisce che questi, anche in caso di affidamento dei
lavori ad una unica impresa o ad un lavoratore autonomo,
verifica la loro idoneità professionale, con modalità di cui
all'allegato XVII. Nei cantieri la cui entità presunta è
inferiore a 200 uomini-giorno (esempio: inferiore a 5
lavoratori per 40 giorni) e i cui lavori non comportino
rischi particolari (elencati nell'allegato XI), le
dichiarazioni relative all'organico, alle posizioni
contributive e contrattuali, possono essere soddisfatte
mediante il Durc.
Lo stesso committente, prima dell'inizio dei lavori oggetto
del permesso di costruire o della denuncia di inizio
attività, deve trasmettere all'amministrazione concedente,
oltre la copia della notifica preliminare, anche il Durc
delle imprese e dei lavoratori autonomi da impiegare.
Obblighi a carico del committente che sono stati nel tempo
modificati per gli appalti pubblici, ma non per quelli
privati.
L'articolo 31 del Dl 69/2013 (decreto "del fare"),
ha ribadito che la stazione appaltante e gli enti
aggiudicatori acquisiscono d'ufficio il documento in
questione, fermo restando, evidentemente, che negli appalti
privati dovrà essere necessariamente l'impresa appaltatrice
od il lavoratore autonomo a richiederlo all'Istituto o alla
cassa edile seppure con modalità esclusivamente telematiche.
Né, viceversa, sarebbe possibile al committente privato
chiedere il Durc direttamente all'istituto o cassa edile in
quanto il documento in questione, secondo quanto stabilito
dalla legge 196/2003, è sottoposto alla privacy.
Resta
comunque invariata la validità del Durc telematico per un
periodo di 120 giorni dalla data della "interrogazione",
secondo i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità
di verifica che saranno stabiliti con apposito decreto
ministeriale. Tale durata, per gli appalti privati, salvo
ulteriori modifiche, opera fino al 31.12.2014
(articolo 31, comma 8-sexies, Dl 69/2013) (articolo Il Sole 24 Ore del
09.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI: Appalti di lavori, meno vincoli.
Partecipazione ed esecuzione, stop a quote equivalenti. La novità è contenuta nelle modifiche apportate al decreto
legge sul Piano casa.
Meno vincoli nei raggruppamenti temporanei di imprese per
gli appalti pubblici di lavori e più libertà nella fase
esecutiva del contratto, con la soppressione anche per i
lavori dell'equivalenza fra quote di partecipazione e quote
di esecuzione; introdotto per servizi e forniture l'obbligo
di requisiti minimi per i concorrenti raggruppati (40% per
la capogruppo e 10% per le mandanti), oggi non previsto.
Sono questi alcuni dei punti di maggiore interesse degli
emendamenti al decreto-legge «casa» (il decreto 28.03.2014, n. 47), approvati martedì sera dalle commissioni
ottava a tredicesima riunite del Senato.
Le novità sono
contenute nell'emendamento 12100 proposto dai relatori
Stefano Esposito e Franco Mirabelli, che ridisegna la
disciplina dei requisiti da documentare in caso di operatori
economici che si presentano in raggruppamento temporaneo, o
in consorzio.
In primo luogo si abroga il comma 13 dell'articolo 37 del
codice dei contratti pubblici che, soltanto per il settore
dei lavori, oggi prevede che i concorrenti riuniti in
raggruppamento, siano essi di natura «orizzontale»
(ogni soggetto fa una quota di tutte le prestazioni) o «verticale»
(ognuno fa una o più attività nella sua interezza), devono
eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al raggruppamento stesso.
Nell'agosto del 2012, per il settore delle forniture e dei
servizi, tale vincolo era stato soppresso lasciando quindi i
concorrenti liberi di modificare in sede di esecuzione del
contratto la quota di attività dichiarate per ognuno di essi
nella fase di offerta, ovviamente con il vincolo della
necessaria qualificazione.
Per i lavori l'obbligo di corrispondenza era rimasto, ma con
l'emendamento approvato martedì verrebbe abrogato.
L'emendamento dei relatori interviene poi sul regolamento
del Codice dei contratti pubblici toccando l'art. 92 che ad
oggi disciplina si applica soltanto agli lavori. Il testo
della disposizione regolamentare, relativa ai raggruppamenti
di natura orizzontale, viene riformulato rendendolo
innanzitutto valido per i contratti di forniture e di
servizi, così introducendo anche in questi settori l'obbligo
di requisiti minimi per ogni partecipante al raggruppamento
(e anche per i consorzi ordinari).
In particolare la mandataria o capogruppo del raggruppamento
temporaneo (e una delle imprese consorziate, in caso di
consorzio ordinario) dovrà possedere almeno il 40% dei
requisiti previsti dal bando di gara, mentre le mandanti (e
le altre consorziate) dovranno documentare il possesso di
almeno il 10% dei requisiti. Si prevede inoltre il principio
generale per cui le quote di partecipazione al
raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta,
possono essere liberamente stabilite entro i limiti
consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti
dall'associato o dal consorziato, logica conseguenza
dell'abrogazione del comma 13 dell'articolo 37 del Codice
dei contratti pubblici. La disposizione replica poi la
prescrizione oggi vigente per cui la mandataria in ogni caso
assume, in sede di offerta, i requisiti in misura
percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con
riferimento alla specifica gara.
Per la fase di esecuzione del contratto si stabilisce che «i
lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le
quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di
modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione
appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti
di qualificazione posseduti dalle imprese interessate».
L'emendamento approvato dovrebbe quindi determinare
l'applicazione a tutti i settori (lavori, forniture e
servizi) delle nuove regole dettate nel novellato articolo
92 del dpr 207/2010.
Per quel che riguarda invece i settori disciplinati –sulla
stessa materia dei raggruppamenti– da norme speciali, come
ad esempio per l'ingegneria e per l'architettura (articolo
261, comma 7 del dpr 207 sui raggruppamenti di progettisti)
si dovrebbe ritenere che prevalgano rispetto alle
disposizioni di cui all'articolo 92 (articolo ItaliaOggi
dell'08.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Recupero rifiuti semplificato.
Materie prime secondarie, comunicazione alla provincia. È quanto prevede il decreto in materia ambientale in arrivo
sul tavolo del governo.
Semplificazioni in arrivo per il recupero dei rifiuti. Le
cosiddette materie prime secondarie («Mps») potranno essere
prodotte utilizzando le nuove norme tecniche di matrice
comunitaria sul recupero dei rifiuti meglio note come «end
of waste». E questo dietro semplice comunicazione alla
provincia territorialmente competente (in luogo
dell'ordinaria e più pesante autorizzazione) rispettando
comunque, oltre ai criteri tecnici propri, anche precisi e
ulteriori parametri.
Lo prevede lo schema di decreto legge
ambientale atteso all'esame del consiglio dei ministri di
domani (si veda ItaliaOggi di ieri).
Produzione di Mps tra norme tecniche e burocrazia
Attualmente, lo ricordiamo, dal punto di vista
tecnico-giuridico la «cessazione della qualifica di rifiuto»
dei residui (ossia la loro riabilitazione a ordinari beni,
nella veste di «materie prime secondarie») è sancita solo
dal rispetto delle condizioni dettate dai singoli
regolamenti comunitari sull'«end of waste» (ad oggi
esistenti per rame, vetro, ferro, acciaio e alluminio)
adottati in attuazione della direttiva madre 2008/98/Ce sui
rifiuti e (ove compatibili con le prime) da quelli previsti
dall'articolo 188-ter del dlgs 152/2006 (cosiddetto «Codice
ambientale»).
E in relazione a questi ultimi il «Codice
ambientale», nel delegare a nuovi decreti ministeriali la
determinazione dei criteri tecnici da rispettare per l'«end of waste» di determinate tipologie di rifiuti (ad oggi
adottati solo per i combustibili solidi secondari mediante
il dm Ambiente 22/2013), fa salva (nelle more)
l'applicazione delle condizioni stabilite da alcuni «vecchi»
decreti ministeriali, ossia: il dm 05.02.1998 per il
recupero semplificato rifiuti non pericolosi; il dm 161/2002
per i pericolosi; il dm 269/2005 per i rifiuti da navi, il
dl 172/2008 sulle materie prime secondarie.
Dal punto di
vista burocratico, invece, tutte le attività legate al
recupero soggiaciono alle norme nazionali dettate dal solo
dlgs 152/2006, che prevede un duplice regime autorizzatorio:
quello «ordinario» fondato sul permesso rilasciato dalla
regione per la realizzazione dell'impianto e lo svolgimento
dell'attività di gestione dei rifiuti; quello «semplificato»
che permette invece (fermo restando il rispetto della
normativa, anche ambientale, sugli impianti) di effettuare
le operazioni di trattamento trascorsi 90 giorni dalla
relativa comunicazione alla provincia territorialmente
competente, a condizione che si rispettino i citati e
vetusti decreti nazionali.
Nuovo recupero semplificato
Intervenendo su tale variegato scenario, il decreto
d'urgenza allo studio del governo crea un raccordo proprio
tra le nuove norme tecniche sull'«end of waste» e le regole
burocratiche ex dlgs 152/2006, stabilendo che le attività di
trattamento dei rifiuti effettuate in base alle prime
possono essere ben condotte in regime autorizzatorio
semplificato a condizione che vengano rispettati requisiti
(quantitativi e qualitativi) criteri e prescrizioni
(soggettivi e oggettivi) indicati dai citati «vecchi»
decreti ministeriali, con particolare riferimento a:
quantità e qualità dei rifiuti da trattare; condizioni di
svolgimento delle attività; prescrizioni per la protezione
dell'uomo e dell'ambiente; destinazione dei rifiuti che
cessano di essere tali agli utilizzi individuati.
Ma così
prevedendo, con tale ultimo punto il dl in corso di
approvazione rischia di vanificare proprio la vera
innovazione introdotta dalle nuove regole sull'«end of waste»,
innovazione consistente nel fissare in un momento ben
preciso del processo di recupero il passaggio dei residui da
«rifiuti» a «beni» (in genere coincidente con la cessione
delle Mps all'utilizzatore successivo) e lasciando ancora in
capo ai soggetti che li processano l'onere di provare il
loro effettivo reimpiego (articolo ItaliaOggi
dell'08.05.2014). |
ENTI LOCAI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., al via i prepensionamenti.
Interessato personale in esubero di enti centrali e locali.
Circolare della Funzione pubblica. Potenzialmente coinvolti
oltre 10 mila dipendenti.
Prepensionamenti, la Funzione pubblica apre la strada.
Con
la
circolare 28.04.2014 n. 4/2014, la titolare di Palazzo Vidoni
fornisce alle amministrazioni pubbliche uno strumento
operativo per attivare i pensionamenti anticipati come
strumento principale della riduzione dei costi del personale
e della riorganizzazione, in attesa della «staffetta
generazionale» adombrata nei 44 punti nei quali si articola
la proposta di riforma complessiva della pubblica
amministrazione.
Il «prepensionamento» nella p.a., precisa il ministro Madia,
non può essere utilizzato come strumento per eludere la
disciplina generale riformata col dl 201/2011, convertito in
legge 214/2011. È, invece, attualmente uno dei mezzi
principali per riassorbire le eccedenze di personale
derivanti dalla riduzione delle dotazioni organiche, oppure
dalla redazione di piani di ristrutturazione dovuti ragioni
funzionali o finanziarie, dai quali scaturisce la
conseguenza di una riduzione della spesa di personale.
La circolare, allo scopo di chiarire la fattispecie,
stabilisce che per «prepensionamento» si intende la
«risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del
personale in soprannumero o eccedentario nelle
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo n. 165 del 2001, individuato in
esubero, per il quale è prevista l'ultrattività (fino al 31.12.2016)» del trattamento pensionistico antecedente
alla riforma Fornero del 2011.
Esiste, dunque, una relazione stretta tra il pensionamento
anticipato e la condizione di «esubero», cioè
l'individuazione nominativa del personale che, per effetto
dei tagli alle dotazioni organiche dovuti alle
riorganizzazioni, risulti in soprannumero (nell'ente vi è un
numero di dipendenti maggiore della dotazione organica in
tutti i profili e qualifiche) o in eccedenza (nell'ente vi
sono eccedenze di personale solo in alcune aree e qualifiche
e possibilità di riconversioni professionali).
Secondo
Palazzo Vidoni, il prepensionamento in ordine di priorità
deve coinvolgere proprio il personale in esubero; in seconda
battuta, laddove non sia possibile la quiescenza anticipata,
il personale in esubero va messo in «disponibilità» ai sensi
dell'articolo 33 del dlgs 165/2001: quell'istituto, simile
alla cassa integrazione, che sospende il rapporto di lavoro
per 24 mesi, assegnando ai dipendenti una retribuzione tra
il 70 e l'80% di quella spettante.
La circolare ricorda i presupposti e le procedure per
giungere all'individuazione di situazioni di soprannumero o
di eccedenze di personale, definiti dall'articolo 33 del
dlgs 165/2001 e dall'articolo 2, comma 11, del dl 95/2012,
convertito in legge 135/2012. In particolare, al di là delle
procedure formali e dell'informazione e consultazione con i
sindacati, Palazzo Vidoni ricorda che gli strumenti di
interruzione del rapporto di lavoro, prepensionamenti o
messa in disponibilità, debbono essere preceduti dal
tentativo di ricollocare il personale all'interno dell'ente
o anche, attraverso la mobilità, verso altre
amministrazioni.
Dunque, il prepensionamento scatta quando non siano
possibili azioni di ricollocazione del personale, applicando
il citato articolo 2, comma 11, del dl 95/2012.
Nei confronti del personale che risulti potenzialmente
dotato dei requisiti per il prepensionamento, le
amministrazioni debbono chiedere all'Inps la certificazione
del diritto a pensione e della relativa decorrenza,
rilasciata entro 30 giorni, col contestuale impegno a
richiedere, nello stesso termine, agli Enti la
certificazione dei periodi mancanti qualora la posizione
assicurativa risultasse incompleta. Una volta acquista la
certificazione Inps l'amministrazione potrà procedere, nei
limiti del soprannumero, alla risoluzione unilaterale del
rapporto di lavoro
La circolare ricorda che è, comunque, necessario per le
amministrazioni fissare preventivamente e motivatamente la
tempistica di assorbimento delle eccedenze: da essa,
infatti, potrebbe desumersi sufficiente il ricorso al
pensionamento ordinario del personale avente i requisiti,
scelta da preferire sempre rispetto al prepensionamento, che
deve essere utilizzato solo con accorgimenti organizzativi
tali da assicurare risparmi e non maggiori costi.
Per questo, Palazzo Vidoni indica alle amministrazioni di
fornire agli organi di controllo interno le informazioni
sulle misure adottate, insieme con una certificazione di
conformità ai vincoli previsti dalla normativa vigente e
agli obiettivi di riduzione di spesa perseguiti, come
illustrati nella circolare. Tale certificazione dovrà essere
firmata dal vertice amministrativo o dal dirigente
responsabile in ragione dell'assetto organizzativo
dell'ente, e trasmessa all'Inps per la liquidazione dei
prepensionamenti (articolo ItaliaOggi
del 07.05.2014). |
APPALTI: Fatture a tinte Ue.
Iter elettronico per tutti dal 2018.
APPALTI/ La direttiva pubblicata ieri in Gazzetta.
Entro il 2018 in tutta Europa i contratti di appalto saranno
oggetto di fatturazione elettronica.
È quanto stabilisce la
direttiva 2014/55/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 16.04.2014, pubblicata sulla gazzetta europea di
ieri, relativa alla fatturazione elettronica negli appalti
pubblici.
La piena attuazione della direttiva passerà anche per la
definizione di una norma tecnica da parte dell'organo di
formazione europeo competente. Il testo, composto di 14
articoli, si applica alle fatture elettroniche emesse a
seguito dell'esecuzione di contratti a cui si applicano la
direttiva 2009/81/CE aggiudicazione appalti settori difesa e
sicurezza, e le nuove direttive su appalti pubblici e
concessioni, nei confronti dei soli aggiudicatari dei
contratti.
Se tuttavia, ai sensi dell'articolo 71 della direttiva
2014/24/Ue e dell'articolo 88 della direttiva 2014/25/Ue,
gli stati membri provvedono a pagamenti diretti ai
subappaltatori, gli accordi da definire per i documenti di
gara dovrebbero comprendere disposizioni che definiscano se
debba essere usata o meno la fatturazione elettronica
relativamente ai pagamenti ai subappaltatori. La direttiva
non si applica alle fatture elettroniche emesse a seguito
dell'esecuzione di contratti dichiarate segreti o
accompagnati da speciali misure di sicurezza.
L'articolo 6 della direttiva specifica quali siano gli
elementi essenziali di una fattura elettronica:
identificatori di processo e della fattura; periodo di
fatturazione; informazioni relative al venditore;
informazioni relative all'acquirente; e) informazioni
relative al beneficiario; informazioni relative al
rappresentante fiscale del venditore.
L'articolo 7 specifica le modalità di ricezione ed
elaborazione delle fatture elettroniche. Entro 18 mesi dalla
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea
dei riferimenti della norma europea sulla fatturazione
elettronica predisposti dall'organo di formazione europeo,
gli stati membri dovranno adottare, pubblicare e applicare
le disposizioni necessarie per conformarsi all'obbligo di
ricevere ed elaborare le fatture elettroniche. Il
recepimento vero e proprio della direttiva dovrà invece
avvenire entro novembre 2018 (articolo ItaliaOggi
del 07.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA- URBANISTICA: Aree a scomputo dribblano le tasse.
Cessioni, studio del Notariato.
Cessione aree a scomputo degli oneri di urbanizzazione a
zero tasse. L'atto deve essere considerato a titolo
«gratuito» e, ai fini delle imposte sui trasferimenti e di
donazione, lo stesso beneficia dell'esenzione.
Il Consiglio nazionale del notariato, con lo
studio 03.04.2014 n. 248-2014-T, è intervenuto
sull'inquadramento giuridico, e il conseguente trattamento
tributario, della cessione di aree a favore di un ente
pubblico, il quale, come contropartita, non richiede al
cedente alcun contributo di urbanizzazione.
Tale indicazione dottrinaria si è resa necessaria dopo
l'entrata in vigore delle disposizioni, di cui all'art. 10,
dlgs. 23/2011 (Federalismo municipale) che, a partire dal 1°
gennaio scorso, hanno soppresso tutte le agevolazioni e
tutte le esenzioni di natura tributaria, con particolare
riferimento a quelle applicabili ai trasferimenti
immobiliari.
Preliminarmente, la commissione del notariato ha dovuto
inquadrare giuridicamente l'atto, se a titolo oneroso o
gratuito, ricordando che un recente documento di prassi
delle Entrate (circ. 2/E/2014) ha evidenziato che le
agevolazioni, di cui all'art. 32, dpr 601/1973 (registro in
misura fissa ed esenzione da ipo-catastali) non trovano più
applicazione con espresso riferimento ai trasferimenti a
titolo oneroso, per effetto dell'entrata in vigore delle
disposizioni, di cui all'art. 10, del dlgs 23/2011.
Per il notariato, comunque, la cessione di un'area (spesso
aree destinate a parcheggio) a scomputo degli oneri di
urbanizzazione deve ritenersi un atto «essenzialmente» a
titolo gratuito, giacché le parti non pongono in essere un
vero e proprio regolamento di interessi, limitandosi a
instaurare un «segmento negoziale» neutrale.
A sostegno di tale tesi, la Suprema Corte (Cassazione,
sentenza n. 1366/1999) che ritiene la convenzione di
lottizzazione una fattispecie contrattuale di natura
pubblicistica finalizzata a realizzare gli scopi
istituzionali dell'ente, la dottrina, che ritiene la
convenzione di lottizzazione un contratto non a prestazioni
corrispettive e, infine, la normativa (art. 28, legge
1150/1942) che definisce la detta cessione come «gratuita».
Posto quanto indicato, per il notariato restano applicabili,
ai fini del trattamento tributario, le esenzioni per gli
atti a titolo gratuito, come indicato in precedenza, di cui
all'art. 32, dpr 601/1973, non rendendosi applicabile la
disciplina riguardante l'imposta sulle donazioni e
successioni, nonostante il recente intervento a cura del dl
262/2006, dovendosi applicare il principio giurisprudenziale
(Cassazione nn. 5223/2008 e 14179/2007) secondo cui, tra due
regole, deve essere applicata quella che evidenzia una
maggiore aderenza alle caratteristiche dell'operazione in
esecuzione.
In effetti, la norma speciale, contenuta nell'art. 32, dpr
601/1973, che non pare assolutamente cancellata per gli atti
a titolo gratuiti, non resta abrogata da una norma di
portata generale come quella prescritta per la tassazione
degli atti gratuiti, di cui al dl 262/2006, per effetto del
principio secondo il quale una legge generale posteriore non
può derogare una legge speciale anteriore (articolo ItaliaOggi
del 07.05.2014). |
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: «Basta affidare i progetti all'interno della Pa».
Zambrano: spazio ai professionisti Più concorsi e più
paletti alle imprese.
Appalti. Le proposte della Rete professioni tecniche
(ingegneri, architetti e altri 7 ordini).
Sono 20 anni,
dall'approvazione della prima legge Merloni nel 1994, che il
settore dei lavori pubblici discute della norma,
anacronistica e ipocrita, che impone alle Pa di affidare
prioritariamente ai propri dipendenti la progettazione degli
interventi, consentendo invece l'affidamento "esterno" dei
servizi a liberi professionisti o società di ingegneria solo
dopo aver dimostrato la carenza di organico di personale
tecnico o le difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione o ancora che si tratti di opere di speciale
complessità o rilevanza architettonica o ambientale o di
progetti integrati.
È una norma emblematica di un
ordinamento che contrappone amministrazione pubblica e
mercato, condannando i lavori pubblici in Italia a un
progressivo declino, incapaci di darsi un assetto normativo
e organizzativo adeguato ai tempi e rispettoso del criterio
della competenza. Non a caso il documento sulla riforma
degli appalti che la Rete delle professioni tecniche (Rpt),
proporrà domani a Roma parte proprio dall'abolizione di
questa norma che, in epoca di spending review, è anche un
ostacolo alla ridefinizione del perimetro delle attività
della Pa.
«È paradossale -dice Armando Zambrano, presidente del
Consiglio nazionale degli ingegneri e coordinatore della
Rete delle professioni tecniche- che l'amministrazione
chieda ai liberi professionisti requisiti severissimi di
fatturato, competenze, lavori svolti, dipendenti, licenze e
poi affidi prioritariamente incarichi al proprio interno a
qualcuno che non ha nessuno di questi requisiti». Della Rpt
fanno parte, oltre agli ingegneri, architetti, chimici,
dottori agronomi e forestali, geologi, geometri, periti
agrari, periti industriali, tecnologi alimentari, in
rappresentanza di oltre 600mila professionisti.
«Aprire il mercato dei lavori pubblici» è il primo obiettivo
del documento Rpt che piomba nel pieno della discussione per
la riforma del nuovo codice dei lavori pubblici, rilanciata
dall'attuale governo e trainata dall'obbligo di recepimento
delle nuove direttive Ue su appalti e concessioni.
Anzitutto, dice Rpt, «occorre rimuovere le regole attuali
che impediscono l'accesso alle gare ai professionisti
giovani e ai meno giovani che non siano in possesso di
strutture professionali di notevoli dimensioni, con un
numero notevole di dipendenti e con rilevanti fatturati». Un
mercato dei lavori pubblici più largo, meno settario, più
professionale: anche i professionisti pensano che questo sia
il momento da non farsi sfuggire per un cambiamento
profondo.
E, a questo proposito, torna anche la proposta
legislativa, a lungo sostenuta dal settimanale del Sole 24
Ore «Edilizia e territorio», di un rilancio del concorso di
idee e di progettazione quali strumenti per far vincere in
gara il contenuto della proposta progettuale anziché
l'identikit del progettista o il costo della progettazione e
dare spazio così anche ai giovani professionisti. Strumenti
che consentono un dibattito pubblico sulla trasformazione
dei territori e più trasparenza, a patto che anche le
commissioni aggiudicatarie siano riformate -come propone la Rpt- puntando su «giurie miste individuate dalla stazione
appaltante in collaborazione con gli ordini professionali a
seguito di pubblico sorteggio».
La volontà unanime dei professionisti tecnici di rilanciare
la centralità della progettazione nel processo di produzione
dell'opera pubblica -progettazione che, viceversa, continua
ad avere oggi un ruolo marginale rispetto a quello dei
lavori- nel documento di Rpt appare chiara anche dalle alte
proposte avanzate per la riforma del codice dei contratti
pubblici. Il fondo rotativo per il finanziamento della
progettazione, un'altra invenzione dell'era della legge
Merloni, ora viene rilanciato per dare le possibilità,
soprattutto ai comuni grandi e piccoli, di rompere il
circolo vizioso che oggi, come allora, paralizza sul piano
finanziario la macchina degli appalti: senza progetto non si
accede ai finanziamenti per le opere, ma le piccole
amministrazione non hanno risorse per finanziare
autonomamente il progetto che dovrebbe trovare i fondi nello
stanziamento dell'opera. Con l'aggravante, oggi, che a
rafforzare la paralisi finanziaria c'è il patto di stabilità
interno.
Un altro tema di attualità è quello dell'appalto integrato
che mette insieme nella stessa gara progettista e
appaltatore di lavori. Nato negli anni '90 per tentare
questa integrazione sotto il controllo stretto del
costruttore, questa figura di appalto è tornata di attualità
negli ultimi 5-6 anni con minori squilibri nel rapporto
impresa-progettista e con maggiore attenzione da parte di
molte imprese al ruolo del progetto.
Passi avanti che sono
però, secondo il mondo delle professioni tecniche, del tutto
insufficienti, al punto che si chiede di mettere alcuni
paletti legislativi per «regolamentare in modo più chiaro ed
efficace ruoli e diritti del professionista negli appalti
integrati». A partire dal pagamento del professionista che
dovrebbe esser assicurato sempre direttamente dalla stazione
appaltante per evitare contenziosi e garantire più tutele al
progettista (articolo Il Sole 24 Ore del 07.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Opere di urbanizzazione, restano le agevolazioni.
Fisco e immobili. Lo studio del Notariato.
Imposta di registro fissa
ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale per gli
atti di cessione "gratuita" di aree e di opere di
urbanizzazione effettuati, a favore del Comune, a scomputo
dei contributi di urbanizzazione o in esecuzione di
convenzioni di lottizzazione; e ciò, nonostante che
l'articolo 10, comma 4, dlgs. 23/2011 (in vigore dal 01.01.2014), abbia disposto che «sono soppresse tutte le
esenzioni e le agevolazioni tributarie» in relazione agli
atti a titolo oneroso aventi a oggetto il trasferimento di
beni immobili.
È quanto sostenuto dal Consiglio nazionale
del notariato nello
studio 03.04.2014 n. 248-2014-T
e diffuso ieri.
Ai sensi dell'articolo 16, comma
1, Dpr 380/2001, n. 380, «il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione». Il versamento della quota
di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione può
essere sostituita (a seguito di un accordo in tal senso
stipulato con il Comune) dalla realizzazione diretta, da
parte dell'interessato, delle opere di urbanizzazione, che
poi vengono cedute «gratuitamente» (nel senso: senza
corrispettivo monetario) al Comune e pertanto acquisite al
suo «patrimonio indisponibile» (articolo 16, comma 2, Dpr
380). Si pensi al caso dell'impresa costruttrice che edifica
una scuola a scomputo degli oneri di urbanizzazione e che
poi, appunto, ne trasferisce la proprietà al Comune.
Va sottolineato che la cessione gratuita di un'opera non
rappresenta (se il cedente è un soggetto Iva che agisce
nell'esercizio della propria attività) una operazione
rilevante ai fini Iva (articolo 51, legge 342/2000): non
potendosi ravvisare, nella corresponsione del contributo
concessorio "in natura", una controprestazione rispetto al
rilascio della concessione, la mancanza di corrispettività
determina la fuoriuscita di questa fattispecie dal perimetro
applicativo dell'Iva (Risoluzione n. 6/E del 2003; Circolare
n. 207/E del 2000; Risoluzione n. 363292 del 1978).
Si applica in ogni caso (cioè sia se il cedente è un
soggetto Iva, sia se non lo è) l'imposta di registro. Ma è
da capire se l'imposta di registro sia, o meno, quella
propria degli atti "a titolo oneroso" (di cui all'articolo 1
della Tariffa parte prima, allegata al dpr 131/1986) e cioè
quella da applicarsi in misura proporzionale con aliquota
del 9 per cento: se si concludesse in tal senso, sarebbe
infatti inevitabile incorrere nella falcidia dei trattamenti
di beneficio disposta dal predetto articolo 10, comma 4, Dlgs. 23/2011, in quanto, fino al 31.12.2013, si
applicava, in questi casi, l'articolo 32, dpr 601/1973, che
dettava l'esenzione da imposte ipotecaria e catastale e
l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa.
Nonostante manchi, nel caso di queste cessioni al Comune, la
corresponsione di un prezzo da parte dell'ente cessionario,
si tratta pur sempre di una cessione che non è "gratuita", a
dispetto del suo nome, ma che è da qualificare come
"prestazione imposta", perché collocata in un più ampio
procedimento amministrativo finalizzato alla realizzazione
dell'intervento edilizio per il quale si rendono dovuti i
contributi concessori, i quali possono dunque essere oggetto
di scomputo mediante appunto la cessione di aree o di opere
di urbanizzazione. Nel caso di queste cessioni gratuite pare
non potersi parlare tecnicamente di atti a titolo oneroso,
concetto che presuppone una prestazione e una
controprestazione.
Nemmeno può essere in campo l'imposta di donazione: è vero
che nelle cessioni gratuite in questione non c'è
corrispettivo, ma è pure vero che la categoria degli "atti a
titolo gratuito" cui l'imposta di donazione deve essere
applicata non può certo ricomprendere le cessioni a scomputo
di oneri di urbanizzazione, per essere appunto queste
cessioni una porzione di un procedimento teso a sostituire
una prestazione pecuniaria con una "in natura", al fine di
pagare gli oneri conseguenti ad attività di edificazione (articolo Il Sole 24 Ore del 07.05.2014). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Censiti i vincitori dei concorsi p.a..
Comunicazioni online entro il 23/5.
Entro il prossimo 23 maggio, le amministrazioni pubbliche
dovranno inviare telematicamente al dipartimento della
funzione pubblica, i dati relativi al numero dei vincitori e
a quello degli idonei collocati in graduatorie vigenti
finalizzate all'assunzione a tempo indeterminato.
È quanto
prescrive la
nota 05.05.2014 n. 24663 di prot. di palazzo Vidoni diffusa ieri,
in ossequio alle disposizioni contenute all'articolo 4,
comma 5, del decreto legge n. 101 del 2013.
Come noto, il
governo Letta, nel prorogare sino a tutto il 31 dicembre del
prossimo anno la validità delle graduatorie per assunzioni a
tempo indeterminato nella p.a. (vigenti alla data del
31/8/2013), ha altresì posto un ulteriore tassello per
meglio delineare i contorni della vasta platea di soggetti
che, molto spesso da anni, pur risultando vincitori o idonei
in graduatorie definitive, non sono riusciti ad entrare nel
mondo del lavoro pubblico a causa delle ben note restrizioni
in termini di turnover.
Con la norma sopra richiamata quindi
si prevede che la funzione pubblica, al fine di individuare
quantitativamente i vincitori e gli idonei collocati in
graduatorie concorsuali vigenti per assunzioni a tempo
indeterminato, avrebbe dovuto avviare entro il 30 settembre
dello scorso anno, un apposito monitoraggio telematico.
Pertanto, con un ritardo effettivo sulla tabella di marcia
di ben otto mesi, il dicastero oggi guidato da Marianna
Madia ha dato il via libera alla rilevazione prevista dal
decreto legge n. 101 dello scorso agosto. Tutto lascerebbe
supporre che questo possa essere il primo passo verso quello
snellimento generazionale dell'universo della pubblica
amministrazione che l'esecutivo Renzi intende perseguire a
testa bassa, come testimonia la lettera ai dipendenti
pubblici diramata pochi giorni fa.
Pertanto, tutte le amministrazioni pubbliche dovranno
collegarsi all'indirizzo http://concorsiripam.formez.it/ e
accedere al sistema di rilevazione predisposto dalla
funzione pubblica con la collaborazione di Formez P.a., per
fornire le informazioni richieste. Le amministrazioni
dovranno trasmettere i dati richiesti entro e non oltre il
prossimo 23 maggio. Successivamente, i risultati del
monitoraggio saranno raccolti ed evidenziati in un'apposita
sezione del sito della Funzione pubblica (articolo ItaliaOggi
del 06.05.2014). |
PATRIMONIO:
Demanio.
La p.a. risparmia sugli affitti.
Un applicativo per consentire alle amministrazioni di
risparmiare sugli affitti. Si chiama «Paloma» ed è la
piattaforma predisposta dall'Agenzia del demanio per
adempiere alle prescrizioni del «decreto spending» (dl
66/2014).
Il sistema, già attivo dall'anno scorso,
consentirà alle amministrazioni statali di svolgere
direttamente le proprie indagini di mercato, accedendo ad un
unico database che raccoglie sia gli immobili di proprietà
pubblica che quelli di soggetti privati, selezionando i più
funzionali alle esigenze degli enti nel rispetto del
parametro metro quadro/addetto previsto dalla legge. Le p.a.
dovranno effettuare le loro ricerche prioritariamente fra
quelli di proprietà pubblica e, successivamente, tra quelli
offerti in locazione o in vendita da soggetti privati.
Ad oggi sono 130 gli immobili caricati sulla piattaforma che
punta a favorire l'incontro tra domanda e offerta dei beni
disponibili sul mercato. Il database sarà costantemente
aggiornato, con l'inserimento di immobili di proprietà di
soggetti privati e con gli immobili statali liberi o in via
di rilascio (articolo ItaliaOggi
del 06.05.2014). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Amministrazioni lumaca, doppia tutela alle aziende.
Doppia tutela per le imprese. L'amministrazione paga il
ritardo nella risposta alle istanze presentate e deve,
comunque, adottare l'atto amministrativo. L'ente pubblico
non può, infatti, monetizzare il suo inadempimento.
È quanto
chiarisce l'Assonime con la circolare 02.05.2014 n. 14, che
illustra l'art. 28 del dl 69/2013.
La norma ha previsto un
indennizzo (massimo 2 mila euro) per le imprese se la p.a.
sfora i tempi massimi di conclusione di un procedimento. La
misura ha carattere sperimentale e non riguarda i privati
cittadini. Ma l'iter per ottenere l'indennizzo ha numerose
insidie: una su tutte è quella che obbliga a chiedere
l'indennizzo entro 20 giorni dalla scadenza del termine per
concludere il procedimento.
Dia e Scia - L'indennizzo da ritardo non può essere chiesto
per Dia e Scia e questo perché la legge esclude che, in
questi casi, la p.a. debba concludere il procedimento con un
provvedimento espresso.
Importo - Il ritardo costa alla p.a. 30 euro per ogni giorno
successivo alla data di scadenza del termine procedimentale.
C'è anche un tetto massimo: la somma pagata all'impresa non
può essere complessivamente superiore a 2 mila euro.
Iter - Innanzitutto bisogna dimostrare l'interesse alla
conclusione del procedimento. Per questa ragione l'impresa
deve attivare il potere sostitutivo e cioè deve chiedere che
un superiore del funzionario competente si sostituisca e
adotti il provvedimento finale. Altrimenti si perde il
diritto all'indennizzo. L'attivazione del potere sostitutivo
deve essere fatta entro 20 giorni dalla scadenza del termine
procedimentale. L'interessato deve rivolgersi al titolare
del potere sostituivo richiedendo l'emanazione del
provvedimento non adottato e, contestualmente, il pagamento
dell'indennizzo dovuto.
Il termine per la presentazione
della domanda di indennizzo, ricorda la circolare in
commento, è perentorio. L'indennizzo è pagato se e soltanto
se il provvedimento amministrativo non viene adottato
neanche dal titolare del potere sostitutivo entro il termine
ad esso assegnato. Peraltro quando il titolare del potere
sostitutivo non emana il provvedimento entro il termine
previsto dalla legge, l'impresa non avrà necessità di
reiterare la domanda di indennizzo, perché lo stesso sarà
liquidato d'ufficio.
Risarcimento del danno
- Il pagamento dell'indennizzo non fa venir meno l'obbligo
di concludere l'iter amministrativo. La richiesta di
indennizzo da ritardo si cumula con la possibilità di azione
di risarcimento del danno (articolo ItaliaOggi
del 06.05.2014). |
LAVORI PUBBLICI: Opere pubbliche, la Via entro 90 giorni.
Novanta giorni per la valutazione di impatto ambientale di
progetti di opere pubbliche; consultazione pubblica
garantita anche con accesso su portale internet; rimodulata
la procedura e previste norme per evitare conflitti di
interesse.
Sono questi alcuni degli elementi di maggiore
interesse contenuti nella direttiva 2014/52/Ue del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16.04.2014, che
modifica la direttiva 2011/92/Ue concernente la valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e
privati, che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Ue
del 25.04.2014.
La direttiva dovrà essere recepita nel
nostro ordinamento entro il 16.05.2017, fermo restando
che i progetti relativi ad interventi già sottoposti a Via
rimarranno regolati dalla precedente direttiva 2011/92. Il
provvedimento incide su diversi aspetti della direttiva del
2011, ma fondamentalmente ha lo scopo di rendere più
effettiva la trasparenza della procedura di valutazione di
impatto ambientale, aggiornandone i contenuti e coordinando
le previsioni vigenti rispetto alle altre normative
settoriali intervenute nel frattempo.
Importante la
ridefinizione della procedura, articolata nelle seguenti
fasi endoprocedimentali: la preparazione di un rapporto di
valutazione dell'impatto ambientale da parte del committente
(che deve fare capo, dice la direttiva, ad «esperti
competenti»); lo svolgimento delle consultazioni pubbliche;
l'esame da parte del soggetto decisore delle informazioni
presentate nel rapporto di valutazione dell'impatto
ambientale, delle eventuali altre informazioni supplementari
e dei dati desumibili dalla consultazione pubblica; infine,
la conclusione motivata dell'autorità competente in merito
agli effetti significativi del progetto sull'ambiente. Un
punto importante è quello sui conflitti di interesse: si
stabilisce che se l'autorità competente coincide con il
committente, gli Stati membri (nel recepire la direttiva)
provvedono almeno a separare in maniera appropriata,
nell'ambito della propria organizzazione delle competenze
amministrative, le funzioni confliggenti in relazione
all'assolvimento dei compiti derivanti dalla direttiva.
Per
quel che riguarda l'informativa al pubblico (al quale
occorre consentire di prepararsi e di partecipare
efficacemente al processo decisionale), la direttiva
prescrive che sia garantita mediante affissione «entro un
certo raggio, o mediante pubblicazione nei giornali locali»;
si prevede inoltre che la consultazione del pubblico
interessato (anche per la valutazione dell'eventuale impatto
transfrontaliero di un progetto) avvenga per iscritto, o
tramite indagine pubblica. Si dovrà poi fare in modo che le
informazioni siano accessibili elettronicamente al pubblico,
«almeno attraverso un portale centrale, o punti di accesso
facilmente accessibili, al livello amministrativo adeguato».
Per quel che riguarda i tempi, la direttiva stabilisce che
l'autorità competente adotti la propria determinazione,
entro e non oltre 90 giorni dalla data in cui il committente
abbia presentato tutte le informazioni necessarie. In casi
eccezionali, relative ad esempio alla natura, la
complessità, l'ubicazione o le dimensioni del progetto,
l'autorità competente può prorogare tale termine (articolo ItaliaOggi
del 06.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI: Opere pubbliche, al via il controllo sulle incompiute.
Investimenti. Prima verifica sui dati.
Parte, con calma, il
monitoraggio del grado di avanzamento raggiunto dalle opere
pubbliche, previsto da fine 2011 (Dlgs 229/2011) ma rimasto
ancora inattuato.
Ieri la Ragioneria generale ha diffuso la
circolare 08.04.2014 n. 14 che avvia la «fase zero» del nuovo
sistema, e che impone a tutte le amministrazioni pubbliche
di raccogliere le «informazioni chiave» (codici unici di
progetto e codici identificativi delle gare) aggiornate dei
loro investimenti in conto capitale e di inserirle o
correggerle all'interno delle banche dati in cui sono già
presenti.
A settembre sarà tempo della «fase 1», con la
possibilità di verificare tutte le informazioni già presenti
nella Banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche, e
a ottobre sarà tempo dell'invio dei dati sullo stato di
attuazione delle opere: nel mega-censimento entrano tutte le
opere in corso di progettazione o realizzazione a partire
dal 21.02.2012.
Per capire il meccanismo occorre partire dall'inizio, cioè
dal progetto di mettere sotto controllo il grado di
realizzazione degli investimenti pubblici per provare a
fermare l'epidemia di incompiute. Di qui il progetto di una
raccolta sistematica di tutti i dati sulle opere e sul loro
avanzamento, che ora prova però a fare i conti con
l'esigenza di non soffocare di nuovi adempimenti le Pa. Per
questa ragione, le istruzioni della Ragioneria mettono in
atto il principio della «univocità dell'invio», che prova a
evitare agli enti l'obbligo di inviare dati già presenti in
database pubblici. Escono di conseguenza dal censimento le
informazioni già inviate alla banca dati dei contratti
pubblici, quelli del sistema Cup, quelli mandati al Siope e
le informazioni rilevate dal database sui progetti europei.
La prima rilevazione vera e propria degli stati di
attuazione delle opere sarà a ottobre, e riguarderà
l'avanzamento al 30 giugno; l'attuazione a fine 2014 sarà
censita a gennaio 2015 e le comunicazioni successive avranno
cadenza trimestrale. Sempre che il calendario non si
allunghi un'altra volta (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
CONDOMINIO: Supercondominio al voto.
Il rappresentante va nominato solo se i «partecipanti» sono
più di 60.
Assemblea. La procedura corretta per convocare la riunione
in caso di impianti comuni a più stabili.
Nel supercondominio,
quando i partecipanti (cioè i condòmini) sono
complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve
designare il proprio rappresentante all'assemblea da
convocare per la gestione ordinaria delle parti comuni e per
la nomina dell'amministratore.
Ma i quesiti sulla procedura
concreta da seguire si sono accumulati, dopo l'entrata in
vigore della legge 220/2012 (la riforma del condominio). Molti anche i dubbi sull'informativa da dare ai condòmini
dei singoli condomìni dopo l'assemblea del supercondominio.
Il riferimento esplicito all'informativa da dare in
assemblea e alla tempestività fa presumere che si debba
ricorrere alla riunione assembleare. Ma problemi ancora
maggiori sorgono per l'eventuale impugnazione.
Ecco, dunque, alcune risposte concrete.
1.
Tutti i condòmini
sono «partecipanti»
Chi sono i «partecipanti»?
Tutti i condòmini di tutti i numeri civici interessati.
2.
L'amministratore
non è designabile
Può essere designato come rappresentante l'amministratore
del condominio?
No: la legge vieta di delegare l'amministratore per
qualsiasi assemblea e quindi anche per quelle del
supercondominio; poi perché, se non fosse così, il
legislatore non avrebbe previsto come obbligatoria la nomina
di un «rappresentante», ma avrebbe statuito che per la
gestione ordinaria e per la nomina dell'amministratore del
supercondominio potessero partecipare, appunto, gli
amministratori dei singoli condomìni al posto di tutti i
condòmini.
3.
Questioni ordinarie
e straordinarie
C'è differenza tra quando in assemblea si discute di
questioni ordinarie rispetto a quelle straordinarie?
Sulle questioni ordinarie devono votare i rappresentanti,
sulle altre i partecipanti personalmente. Se, quindi,
all'ordine del giorno ci sono solo questioni di natura
straordinaria devono essere chiamati a intervenire tutti i
partecipanti, anche se sono meno di sessanta. Se, infine,
all'ordine del giorno sono poste questioni di gestione
ordinaria e altre di natura straordinaria, devono
partecipare sia i rappresentanti (che discutono e votano
solo sulle questioni ordinarie) che tutti i partecipanti
(che discutono e votano solo sulle questioni straordinarie).
4.
Chi non è condòmino
può essere nominato
Può essere nominato «rappresentante» un terzo estraneo al
condominio?
Sì, perché la legge non prevede che il «rappresentante»
debba essere un condomino.
5.
Il rappresentante
scelto dal giudice
Nel caso in cui il condominio non nomini il rappresentante e
un condomino (o il rappresentante di uno degli altri
condomìni) ricorra al giudice, questi chi può nominare? Un
condomino o anche un estraneo?
Il giudice può nominare sia un condomino che un terzo
estraneo ma possono sorgere in questo caso problemi connessi
alla natura del rapporto intercorrente tra condominio e
rappresentante designato.
6.
Le difficoltà e il rischio
del contenzioso
Questo meccanismo può rendere difficile il funzionamento
delle assemblee ordinarie del supercondominio?
Sì, perché l'elevatissimo quorum richiesto per nomina del
rappresentante (maggioranza degli intervenuti che
rappresenti almeno i 2/3 dei millesimi), il divieto di
designare l'amministratore e di conferirgli deleghe, e il
nuovo limite al conferimento di deleghe ai condomini
determineranno un frequente ricorso al giudice.
7.
Tempi stretti
per l'annullabilità
Come si deve comportare il rappresentante se ha votato
contro la deliberazione adottata?
Le deliberazioni annullabili, cioè quelle affette da vizi
che riguardano il procedimento di convocazione e le
maggioranze (sono le più frequenti) sono soggette a termini
di decadenza e cioè diventano valide se non impugnate nel
termine di trenta giorni decorrente dalla data della
deliberazione per i dissenzienti e gli astenuti, e dalla
data della comunicazione della delibera per gli assenti. Il
rappresentante deve informare l'amministratore, che a sua
volta dovrà informare i condomini in quanto la decorrenza
del termine per l'impugnativa decorre dal giorno
dell'assemblea del supercondominio. L'informativa della
delibera, che di fatto consisterà nella trasmissione del
verbale dall'amministratore del supercondominio al
rappresentante, che a sua volta la trasmetterà
all'amministratore del singolo condominio, che avrà cura di
inviarla a tutti i condomini, impone dei tempi strettissimi,
che non permettono di utilizzare in pieno i trenta giorni
previsti, in quanto il termine decorre non dall'effettiva
conoscenza ma dal giorno dell'assemblea.
8.
Chi può impugnare
le deliberazioni
Chi può impugnare le deliberazioni dell'assemblea ordinaria
del supercondominio?
La legittimazione all'impugnativa della delibera spetta
sempre a tutti i singoli partecipanti e non può intendersi
trasferito con la delega conferita al rappresentante che,
pur trattandosi di una delega particolare che richiede una
maggioranza più che qualificata, si limita pur sempre al
potere di partecipazione.
9.
Il termine decorre
dal verbale
Se il rappresentante non interviene all'assemblea da quale
momento decorre il termine per impugnare?
Il termine decorre dal momento in cui il singolo
partecipante riceve copia del verbale da chiunque sia
inviato (amministratore del supercondominio o rappresentante
e/o amministratore del singolo condominio) (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Contabilizzatori di calore obbligatori entro la fine del
2016. Risparmio energetico. Decreto in arrivo.
Entro il 31.12.2016
tutti gli edifici con il riscaldamento centralizzato
dovranno dotarsi di termoregolazione e contabilizzazione del
calore. A oggi solo Piemonte (entro il 01.09.2014) e
Lombardia (entro il 01.08.2014, ma con sanzioni sospese
sino al 01.01.2017) prevedono obblighi di questo tipo,
che le altre Regioni non hanno adottate.
Anche per dare
uniformità alla necessità di adeguarsi alla direttiva
2012/27/Ue (che modifica le direttive 2009/125/Ce e
2010/30/Ue e abroga le direttive 2004/8/Ce e 2006/32/Ce) è
ora allo studio del governo lo schema di decreto legislativo
di attuazione alla direttiva stessa.
Lo schema di decreto
legislativo è dedicato alla contabilizzazione dei consumi
individuali e prevede:
a) qualora il riscaldamento, il raffreddamento o la
fornitura di acqua calda per un edificio siano effettuati da
una rete di teleriscaldamento o da un sistema di fornitura
centralizzato che alimenta una pluralità di edifici (cioè un
supercondominio, nella maggior parte dei casi), sarà
obbligatoria entro il 31.12.2016 l'installazione da
parte delle imprese di fornitura del servizio di un
contatore individuale di calore o di fornitura di acqua
calda in corrispondenza dello scambiatore di calore
collegato alla rete o del punto di fornitura;
b) nei condomìni e negli edifici polifunzionali riforniti da
una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata o
da una rete di teleriscaldamento o da un sistema di
fornitura centralizzato che alimenta una pluralità di
edifici è obbligatoria l'installazione (se tecnicamente
possibile), entro il 31.12.2016, da parte delle
imprese di fornitura del servizio, di contatori individuali,
per misurare l'effettivo consumo di calore o di
raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità
immobiliare, efficiente in termini di costi e proporzionato
rispetto ai risparmi energetici potenziali. L'efficienza in
termini di costi può essere valutata con riferimento alla
metodologia indicata nella norma Uni En 15459. Eventuali
casi di impossibilità tecnica vanno riportati in una
relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato;
c) nei casi in cui l'uso di contatori individuali non sia
tecnicamente possibile o non sia efficiente in termini di
costi, per la misura del riscaldamento si ricorre
all'installazione di sistemi di termoregolazione e
contabilizzazione del calore individuali per misurare il
consumo di calore in corrispondenza a ciascun radiatore
nelle unità immobiliari dei condomini o degli edifici
polifunzionali, secondo quanto previsto dalla norma Uni En
834, con esclusione di quelli situati negli spazi comuni
degli edifici, salvo che l'installazione di tali sistemi
risulti essere non efficiente in termini di costi con
riferimento alla metodologia indicata nella norma Uni En
15459.
In tali casi sono presi in considerazione metodi
alternativi (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2014). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
In tema di responsabilità
della pubblica amministrazione, il ricorrente ha l'onere di
provare, secondo i principi generali, la sussistenza e
l'ammontare dei danni dedotti in giudizio.
Infatti, la limitazione dell'onere della prova gravante
sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il
processo amministrativo, si fonda sulla naturale
ineguaglianza delle parti, che connota abitualmente il
rapporto amministrativo di natura pubblicistica
intercorrente tra la parte privata e la pubblica
amministrazione, mentre l'esigenza di un'attenuazione
dell'onere probatorio a carico della parte ricorrente viene
meno con riguardo alla prova dell'an e del quantum dei danni
azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i
fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che
si assume lesa e trovandosi le relative fonti di prova
normalmente nella disponibilità dello stesso soggetto leso.
Giova rammentare che in tema di responsabilità della pubblica
amministrazione, il ricorrente ha l'onere di provare,
secondo i principi generali, la sussistenza e l'ammontare
dei danni dedotti in giudizio.
Infatti, la limitazione dell'onere della prova gravante
sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il
processo amministrativo, si fonda sulla naturale
ineguaglianza delle parti, che connota abitualmente il
rapporto amministrativo di natura pubblicistica
intercorrente tra la parte privata e la pubblica
amministrazione, mentre l'esigenza di un'attenuazione
dell'onere probatorio a carico della parte ricorrente viene
meno con riguardo alla prova dell'an e del quantum dei danni
azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i
fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che
si assume lesa e trovandosi le relative fonti di prova
normalmente nella disponibilità dello stesso soggetto leso
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18.03.2011 n. 1672).
Ad avviso del Tribunale l’onere probatorio non è stato
minimamente assolto dalla ricorrente, non soltanto sotto il
profilo del quantum, ma neppure dell’an, essendosi la
ricorrente limitata ad una astratta prospettazione della
fattispecie illecita, sotto il profilo della responsabilità
precontrattuale, senza dedurre argomentazioni (e tanto meno
allegazioni probatorie) in relazione al caso concreto, anche
tenuto conto che la procedura bandita dal Comune aveva ad
oggetto la concessione a titolo oneroso di aree demaniali e
che il procedimento si è arrestato alla fase
dell’aggiudicazione provvisoria.
In conclusione la domanda risarcitoria deve essere rigettata (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 15.05.2014 n. 1264 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
E' legittima la revoca, da parte del Sindaco, dell'incarico
di Vice-Sindaco con deleghe assessorili laddove il rapporto
fiduciario tra delegante-delegato, che è alla base della
nomina, è venuto meno ed è necessario eliminare le
situazioni di conflittualità venutesi a creare che possono
essere di ostacolo alla serena prosecuzione dell'attività di
governo della giunta comunale.
In ordine alla motivazioni dei
provvedimenti di revoca dei componenti della Giunta
comunale, la giurisprudenza consolidata ha avuto modo di
affermare che, pur essendo atti amministrativi e non
politici, gli stessi hanno natura ampiamente discrezionale e
la relativa motivazione può basarsi sulle più ampie
valutazioni di opportunità politico/amministrativa rimesse
in via esclusiva al vertice dell'ente, in quanto aventi ad
oggetto un incarico fiduciario. Di talché, la motivazione
dell'atto di revoca può anche rimandare esclusivamente a
valutazioni di opportunità politica.
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie il
Collegio osserva che la motivazione contenuta nel
provvedimento impugnato, integrata con elementi di dettaglio
dalla comunicazione del Sindaco allegata alla deliberazione
del Consiglio comunale n. 3/2014, soddisfa il contenuto
minimo necessario di tale tipo di atto, attesa la natura
ampiamente discrezionale.
Quanto all’applicazione delle norme sulla partecipazione al
procedimento amministrativo, la revoca dell'incarico di
assessore comunale è esente dalla previa comunicazione
dell'avvio del procedimento, atteso che —in un contesto
normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti
è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via
autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di
cui avvalersi per l'amministrazione del Comune
nell'interesse della comunità locale, con sottoposizione del
merito del relativo operato unicamente alla valutazione del
consiglio comunale— non c'è spazio logico, prima ancora che
normativo, per l'applicazione dell'istituto partecipativo di
cui all'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241.
... per l'annullamento del decreto prot. n. 273 del
17/02/2014 di revoca alla ricorrente dell'incarico di Vice
Sindaco e delle deleghe ad assessore emesso dal Sindaco del
Comune di Rogolo.
...
Il Collegio osserva che il provvedimento impugnato reca la
seguente motivazione: "Considerato che è venuto meno il corretto rapporto
collaborativo con la suddetta, il che ha talvolta impedito
il sereno raggiungimento degli obiettivi di programma del
Sindaco;
Considerato, altresì, che nonostante i diversi tentativi di
conciliazione, il contrasto è divenuto ingiustificabile, in
ed è insostenibile;
Ritenuto che sia oggettivamente venuto un rapporto
fiduciario tra delegante-delegato che è alla base della
nomina che è necessario eliminare le situazioni di
conflittualità che possono essere di ostacolo alla serena
prosecuzione dell'attività di governo di questa giunta
comunale;
Atteso che sono quindi venute meno le condizioni per la
permanenza dell'assessore nella carica e nelle funzioni".
In ordine alla motivazioni dei provvedimenti di revoca dei
componenti della Giunta comunale, la giurisprudenza
consolidata ha avuto modo di affermare che, pur essendo atti
amministrativi e non politici, gli stessi hanno natura
ampiamente discrezionale e la relativa motivazione può
basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità
politico/amministrativa rimesse in via esclusiva al vertice
dell'ente, in quanto aventi ad oggetto un incarico
fiduciario. Di talché, la motivazione dell'atto di revoca
può anche rimandare esclusivamente a valutazioni di
opportunità politica (cfr. TAR Bari sez. I 19.02.2013 n. 230; Consiglio di Stato sez. V 10.07.2012 n.
4057).
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie il
Collegio osserva che la motivazione contenuta nel
provvedimento impugnato, integrata con elementi di dettaglio
dalla comunicazione del Sindaco allegata alla deliberazione
del Consiglio comunale n. 3/2014, soddisfa il contenuto
minimo necessario di tale tipo di atto, attesa la natura
ampiamente discrezionale.
Quanto all’applicazione delle norme sulla partecipazione al
procedimento amministrativo, la revoca dell'incarico di
assessore comunale è esente dalla previa comunicazione
dell'avvio del procedimento, atteso che —in un contesto
normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti
è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via
autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di
cui avvalersi per l'amministrazione del Comune
nell'interesse della comunità locale, con sottoposizione del
merito del relativo operato unicamente alla valutazione del
consiglio comunale— non c'è spazio logico, prima ancora che
normativo, per l'applicazione dell'istituto partecipativo di
cui all'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio di Stato
sez. V 05.12.2012 n. 6228).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 15.05.2014 n. 1263 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La scelta del Comune di
localizzare, nell’ambito dell’intero territorio comunale,
l’installazione degli impianti di telefonia mobile in soli
tre siti, si pone in evidente contrasto con la natura di
opere di urbanizzazione primaria delle anzidette strutture,
che devono essere poste al servizio degli insediamenti
abitativi e seguire il loro sviluppo, garantendo una
capillare distribuzione sul territorio della rete di
telecomunicazione.
Quanto al merito della vicenda, la scelta del Comune di Veroli di
localizzare, nell’ambito dell’intero territorio comunale,
l’installazione degli impianti di telefonia mobile in soli
tre siti, si pone in evidente contrasto con la natura di
opere di urbanizzazione primaria delle anzidette strutture,
che devono essere poste al servizio degli insediamenti
abitativi e seguire il loro sviluppo, garantendo una
capillare distribuzione sul territorio della rete di
telecomunicazione.
Inoltre, come reso evidente dalla stessa
intestazione del regolamento approvato con delibera n. 23
del 2003, la disposizione censurata si configura indirizzata
a scopi di radioprotezione che esulano dalla sfera dei
poteri assegnati al Comune dall’art. 8, comma 6, della legge
n. 36 del 2001 sull’insediamento degli impianti di
telecomunicazione nel proprio territorio e rientrano,
invece, nelle attribuzioni degli organi dello Stato
individuati dall’art. 4 della legge citata (cfr. ex multis
Cons. St. Sez. VI, n. 1567 del 06.04.2007; n. 3332 del 05.06.2006) (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 13.05.2014 n. 2455 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della classificazione e declassificazione
delle strade, le definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3,
cod. str., non impediscono di ricomprendere le piazze nella
nozione di strada a mente del comma 1 del medesimo articolo
secondo cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente
codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico
destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali>>.
Tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma
sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel
disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<…
attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre
vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli
attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in correlazione
con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2, cod. str.
-secondo cui <<1. La sicurezza delle persone, nella
circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di
ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. 2. La
circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali sulle
strade è regolata dalle norme del presente codice…>>- e
dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248, all. F
(disposizione non abrogata, ed espressamente mantenuta in
vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale include tra le
strade comunali, fra l’altro, anche le piazze; in armonia
con il delineato quadro normativo si colloca la consolidata
giurisprudenza, che individua a tutti i fini (civili,
penali, tributari) la nozione di strada in senso ampio,
facendo leva sulla caratteristica della destinazione ad uso
pubblico.
Ai fini della classificazione e declassificazione delle strade, le
definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3, cod. str., non
impediscono di ricomprendere le piazze nella nozione di
strada a mente del comma 1 del medesimo articolo secondo
cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente
codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico
destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali>>;
tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma
sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel
disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<…
attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre
vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli
attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in
correlazione con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2,
cod. str. -secondo cui <<1. La sicurezza delle persone,
nella circolazione stradale, rientra tra le finalità
primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo
Stato. 2. La circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli
animali sulle strade è regolata dalle norme del presente
codice…>>- e dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248,
all. F (disposizione non abrogata, ed espressamente
mantenuta in vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale
include tra le strade comunali, fra l’altro, anche le
piazze; in armonia con il delineato quadro normativo si
colloca la consolidata giurisprudenza, che individua a tutti
i fini (civili, penali, tributari) la nozione di strada in
senso ampio, facendo leva sulla caratteristica della
destinazione ad uso pubblico (cfr., fra le tante, Cass. pen.,
sez. IV, 17.12.2010, n. 2582; Cass. sez. trib., 06.08.2009, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 25.06.2008,
n. 17350; sez. II, 07.04.2006, n. 8204)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2447 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Costituisce diritto vivente il principio secondo
cui, in sede di valutazione delle offerte, il punteggio
numerico ben può essere ritenuto sufficiente ex se ad
esternare e sostenere il giudizio della commissione sui
singoli elementi tecnici, allorquando la lex specialis della
gara abbia predeterminato in modo adeguato i parametri di
misurazione degli stessi consentendo la ricostruzione
dell’iter logico seguito dall’organo tecnico.
Costituisce diritto vivente il principio secondo cui, in sede di
valutazione delle offerte, il punteggio numerico ben può
essere ritenuto sufficiente ex se ad esternare e sostenere
il giudizio della commissione sui singoli elementi tecnici,
allorquando (come nel caso di specie) la lex specialis della
gara abbia predeterminato in modo adeguato i parametri di
misurazione degli stessi consentendo la ricostruzione
dell’iter logico seguito dall’organo tecnico (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 24.10.2013, n. 5160; sez. III, 15.04.2013, n. 2032; sez. VI, 19.03.2013, n.
1600; 17.12.2008, n. 6290; sez. V, 28.03.2008, n.
1332, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli
artt. 74 e 120, co. 10, c.p.a.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2444 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La destinazione a zona
agricola di un'area, salva la previsione di particolari
vincoli ambientali o paesistici, non impone, in positivo, un
obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso,
bensì, in negativo, ha lo scopo soltanto di evitare
insediamenti residenziali, e quindi non costituisce ostacolo
alla installazione di opere che non riguardino l'edilizia
residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi
incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da
realizzare in aperta campagna.
Così, ad esempio, sono stati ritenuti via via compatibili,
con zone agricole, impianti di derivazione di acque
pubbliche, attività di cava, depositi di esplosivi e,
infine, per ciò che più qui interessa, anche discariche per
rifiuti solidi urbani, come nella fattispecie ora in esame.
... per l'annullamento, quanto al ricorso n. 1265 del 2005,
del provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot.
n. 6324 del 01.06.2005, con il quale è stato negato il
permesso edilizio relativo a un deposito di fuochi
d’artificio con uffici e autorimessa;
...
A tale proposito appare opportuno ricordare il puntuale
orientamento giurisprudenziale, da cui questo Collegio non
ravvisa ragione di discostarsi e secondo cui (come
condivisibilmente ricordato nella sentenza del Consiglio di
Stato, sez. V, 15.06.2001 n. 3178) “la destinazione a
zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari
vincoli ambientali o paesistici (che nella specie non
risultano), non impone, in positivo, un obbligo specifico di
utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha
lo scopo soltanto di evitare insediamenti residenziali, e
quindi non costituisce ostacolo alla installazione di opere
che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per
contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone
abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta
campagna: così, ad esempio sono stati ritenuti via via
compatibili, con zone agricole, impianti di derivazione di
acque pubbliche (T.S.A.P., 18.02.1991 n. 7), attività
di cava (C.di S., VI Sez. 19.02.1993 n. 180), depositi
di esplosivi (V Sez., 28.09.1993 n. 968), e, infine,
per ciò che più qui interessa, anche discariche per rifiuti
solidi urbani, come nella fattispecie ora in esame (V Sez.,
26.01.1996 n. 85)” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 13.05.2014 n. 494 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare, ricorsi con termini elastici.
Corte Ue. I 30 giorni decorrono dalla conoscenza della
violazione.
Termini più elastici per
impugnare l'esito delle gare: lo impone la Corte di
giustizia Ue, Sez. V, nella
sentenza 08.05.2014 nella causa C-161/13.
La decisione -presa in via pregiudiziale- rafforza le
garanzie degli imprenditori che ritengano di essere stati
erroneamente esclusi da gare di appalto, proprio nel momento
in cui il Governo sta studiando misure per limitare
l'accesso alla giustizia amministrativa (si veda il Sole 24
Ore del 3 maggio).
Il principio esaminato è quello che consente alle imprese
che partecipino a un appalto di ottenere, con effettività,
una tutela nei confronti di violazioni della corretta
procedura, anche se le violazioni emergono in un momento
successivo all'aggiudicazione della gara. Le norme nazionali
(dlgs 104/2010), prevedono un termine di 30 giorni per
contestare l'aggiudicazione: dopodiché la situazione si
consolida anche se vi sono seri dubbi di legittimità.
Nel
caso che ha generato l'intervento della Corte Ue si
discuteva della manutenzione dell'acquedotto pugliese, cioè
di una gara di 17 milioni di euro aggiudicata a un
raggruppamento che, prima della firma del contratto, si era
modificato perdendo uno dei partecipanti. Un concorrente
aveva impugnato l'aggiudicazione ritenendo che la
composizione del raggruppamento vincitore non potesse essere
modificata. Questo ricorso, tuttavia, risultava presentato
oltre la scadenza del termine di 30 giorni
dall'aggiudicazione, e quindi avrebbe dovuto essere
dichiarato tardivo e archiviato.
Il giudice comunitario ha invece posto l'accento sulla
necessità che i ricorsi debbano essere efficaci: nel
conflitto, quindi, tra la certezza del diritto (che
restringe a 30 giorni il termine per contestare le
aggiudicazioni) e la garanzia di un ricorso realmente
efficace (che collega il termine dei 30 giorni ad una
conoscenza effettiva), prevale il secondo principio. La
Corte ha quindi stabilito che il termine di ricorso (30
giorni) previsto contro la decisione di aggiudicazione, deve
decorrere nuovamente tutte le volte che occorra verificare
la legittimità di una decisione che autorizzi una modifica
all'esito della gara.
La sentenza si applica nelle gare che riguardano i settori
dell'acqua, energia, trasporti e telecomunicazioni
(Direttiva 17/2004), ma avrà un sicuro effetto anche nel
settore degli appalti (regolato dalla diversa Direttiva
18/2004) poiché ad ambedue i settori si applicano i principi
della Direttiva ricorsi 92/2013 (articolo Il Sole 24 Ore del
10.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Il Tar dice sì all'obbligo di Pos.
Decreto attuativo in linea con la legge - «Non irreparabile»
il costo per gli operatori. Adempimenti. Il Tribunale amministrativo del Lazio ha
rigettato l'istanza degli architetti che puntava alla
sospensiva.
La norma che obbliga i
professionisti e le imprese a consentire i pagamenti con il
bancomat per importi al di sopra dei 30 euro non viola alcun
parametro di legittimità né evidenzia eccessi di potere tali
da giustificare la sua sospensione in via cautelare. Semmai,
evidenzia solo un costo economico di certo non irreparabile.
Lo ha stabilito il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, con
l'ordinanza
30.04.2014 n. 1932 e resa nota
ieri che ha rigettato l'istanza presentata dal Consiglio
nazionale degli architetti contro il Dm 24.01.2014 del
ministro dello Sviluppo economico attuativo dell'articolo
15, comma 5, del Dl 179/2012 laddove prevede (articolo 2,
comma 1) che l'obbligo di accettare pagamenti attraverso
carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo
superiore a 30 euro a favore di imprese e professionisti per
l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi.
A
giudizio degli architetti si tratta di una norma
insensatamente vessatoria e costosa stante che il suo scopo
primario, quello di contrastare elusione ed evasione, può
essere raggiunto attraverso pagamenti tracciati (bonifico o
assegni) senza obbligare i professionisti ad attivare Pos
costosi da installare e utilizzare, stante il divieto -ex
articolo 15, comma 5-quater del Dl 179/2012- di richiedere
un sovraprezzo legato all'utilizzo di un determinato
strumento di pagamento.
E il Tar, alla luce della sommaria delibazione dell'atto
impugnato e dei motivi di ricorso, ha ritenuto inesistente
il "fumus boni juris" in quanto il decreto impugnato «sembra
rispettare i limiti contenutistici e i criteri direttivi
fissati dalla richiamata fonte legislativa che, all'articolo
9, comma 15-bis, impone perentoriamente e in modo
generalizzato che a decorrere dal 30.06.2014, i soggetti
che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di
prestazioni di servizi, anche professionali, sono tenuti ad
accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di
debito».
Peraltro il decreto impugnato ha dato attuazione
al suddetto obbligo generale di fonte legale relativo
all'uso tendenzialmente generalizzato delle carte di debito
per le transazioni commerciali, mentre la fissazione di
"importi minimi" da parte della fonte secondaria è
espressamente indicata come "eventuale".
Dura la reazione di Leopoldo Freyrie, presidente del
Consiglio nazionale degli architetti. «Riconfermiamo -si
legge in una nota- che l'obbligo di utilizzo del Pos da
parte dei professionisti dal prossimo 30 giugno nulla ha a
che fare con i principi di tracciabilità dei movimenti di
denaro, realizzabili semplicemente con il bonifico
elettronico configurandosi, invece, come una vera e propria
gabella medioevale ingiustamente pagata a un soggetto
privato terzo, le banche, che non svolgono alcun ruolo, nel
rapporto tra committente e professionista. Il bonifico Stp
costa la metà del pagamento via Pos e consente lo stesso
risultato di tracciabilità».
Peraltro –conclude Freyrie–
«non ci fermeremo certo di fronte a questa ordinanza e sono
sicuro che quando i giudici amministrativi entreranno nel
merito del provvedimento che abbiamo impugnato sapranno
cogliere tutti quei profili di illegittimità che noi abbiamo
evidenziato» (articolo Il Sole 24 Ore del 06.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
In sede di gara indetta
per l'aggiudicazione di un contratto, la pubblica
amministrazione è tenuta ad applicare rigidamente le regole
fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla
lettera d'invito, costituisce la lex specialis della
procedura ad evidenza pubblica, che non può essere
disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in
cui talune delle regole in essa contenute risultino non più
conformi allo jus superveniens, salvo naturalmente
l'esercizio del potere di autotutela: il bando di una gara
di appalto è, infatti, atto a carattere normativo, lex
specialis della procedura, rispetto alla quale l'eventuale
jus superveniens di abrogazione o di modifica di clausole
non ha effetti innovatori, ciò anche in ragione del
principio di tutela dell'affidamento dei concorrenti, così
che le gare devono essere svolte in base alla normativa
vigente alla data di emanazione del bando, ossia al momento
di indizione della relativa procedura.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale in tema di jus superveniens, dal quale non
vi è motivo di discostarsi, in sede di gara indetta per
l'aggiudicazione di un contratto, la pubblica
amministrazione è tenuta ad applicare rigidamente le regole
fissate nel bando, atteso che questo, unitamente alla
lettera d'invito, costituisce la lex specialis della
procedura ad evidenza pubblica, che non può essere
disapplicata nel corso del procedimento, neppure nel caso in
cui talune delle regole in essa contenute risultino non più
conformi allo jus superveniens, salvo naturalmente
l'esercizio del potere di autotutela (Cons. St., sez. V, 23.06.2010, n. 3963; sez. IV, 18.10.2002, n. 5714;
Sez. V, 22.04.2002, n. 2197; Sez. V, 03.09.1998,
n. 591; Sez. V, 11.07.1998, n. 224): il bando di una
gara di appalto è infatti atto a carattere normativo, lex
specialis della procedura, rispetto alla quale l'eventuale
jus superveniens di abrogazione o di modifica di clausole
non ha effetti innovatori, ciò anche in ragione del
principio di tutela dell'affidamento dei concorrenti, così
che le gare devono essere svolte in base alla normativa
vigente alla data di emanazione del bando, ossia al momento
di indizione della relativa procedura (Cons. St., Sez. V, 05.10.2005,
n. 5316
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La facoltà, espressamente prevista dall'art. 46
del d.lgs. n. 163 del 2006, di invitare le imprese a
chiarire certificati, documenti e dichiarazioni presentati
(c.d. "dovere di soccorso") deve essere esercitata secondo i
principi generali della buona fede e della ragionevolezza e
deve essere altresì raccordata all'esigenza di carattere
generale delle pubbliche gare di consentire la massima
partecipazione, che potrebbe essere compromessa da carenze
di ordine meramente formale nel rispetto tuttavia
dell’altrettanto fondamentale principio della par condicio,
così che l'omessa allegazione di un documento o di una
dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere
considerata alla stregua di un'irregolarità sanabile e non
ne consente l'integrazione o la regolarizzazione postuma,
non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, e ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze
generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara.
Non vi è infatti ragione
per discostarsi dal consolidato e condivisibile indirizzo
giurisprudenziale a mente del quale la facoltà,
espressamente prevista dall'art. 46 del d.lgs. n. 163 del
2006, di invitare le imprese a chiarire certificati,
documenti e dichiarazioni presentati (c.d. "dovere di
soccorso") deve essere esercitata secondo i principi
generali della buona fede e della ragionevolezza e deve
essere altresì raccordata all'esigenza di carattere generale
delle pubbliche gare di consentire la massima
partecipazione, che potrebbe essere compromessa da carenze
di ordine meramente formale nel rispetto tuttavia
dell’altrettanto fondamentale principio della par condicio
(Cons. St., sez. V, 23.10.2012, n. 5408), così che
l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione
previsti a pena di esclusione non può essere considerata
alla stregua di un'irregolarità sanabile e non ne consente
l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non
trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, e ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o incertezze
generati dall'ambiguità di clausole della legge di gara
(Cons. St., sez. V, 30.09.2013, n. 4842) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’articolo 48 del D.Lgs.
n. 163 del 2006 è preordinato ad assicurare il regolare e
rapido espletamento della procedura di gara e la tempestiva
liquidazione dei danni prodotti dall’alterazione della
stessa a causa della mancanza dei requisiti da parte
dell’offerente, così che esso è strumentale all’esigenza di
garantire l’imparzialità e il buon andamento
dell’amministrazione, esigenza rispetto alla quale la
sanzione dell’esclusione dalla gara, con l’escussione della
cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici risulta essere del tutto
coerente, adeguata e si ricollega correttamente alla sola
mancata prova del possesso dei requisiti di partecipazione
dichiarati con la presentazione dell’offerta.
Con il quinto mezzo di
gravame la società appellante ha sostenuto che i primi
giudici, nel ritenere corretto il provvedimento impugnato
anche quanto all’irrogazione dei provvedimenti sanzionatori,
avrebbero omesso di considerare, per un verso, che proprio
le sanzioni previsti dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163 del
2006 sarebbero state superate dall’entrata in vigore dello
Statuto delle Imprese (che prevede l’esclusione dalle gare
per un anno per la mancata comprova dei requisiti dichiarati
in sede di partecipazione alla gara per la sola
aggiudicataria) e, per altro verso, che in ogni caso le
sanzioni previste dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163 del 2006
non potevano essere applicate meccanicamente, presupponendo
una dichiarazione falsa o mendacio (circa il possesso dei
requisiti di partecipazione, poi non provati), situazione
che nel caso di specie non si era affatto verificata.
Anche tale doglianza non può trovare accoglimento, essendo
smentita dalla prevalente e consolidata giurisprudenza che
ha avuto modo di rilevare come l’articolo 48 del D.Lgs. n.
163 del 2006 sia preordinato ad assicurare il regolare e
rapido espletamento della procedura di gara e la tempestiva
liquidazione dei danni prodotti dall’alterazione della
stessa a causa della mancanza dei requisiti da parte
dell’offerente, così che esso è strumentale all’esigenza di
garantire l’imparzialità e il buon andamento
dell’amministrazione, esigenza rispetto alla quale la
sanzione dell’esclusione dalla gara, con l’escussione della
cauzione e la segnalazione del fatto all’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici risulta essere del tutto
coerente, adeguata e si ricollega correttamente alla sola
mancata prova del possesso dei requisiti di partecipazione
dichiarati con la presentazione dell’offerta (Cons. St.,
sez. v, 11.01.2012, n. 80; 16.02.2012, n. 810)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I) l’ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che
non richiede una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati, né una
motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi
l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il
tempo non può giammai legittimare.
II) a fronte della motivazione in re ipsa che incontra
l’ordine di demolizione all’esito dell’accertamento
dell’abuso edilizio, il lasso temporale che fa sorgere
l’onere di una motivazione rafforzata in capo
all’amministrazione –ma sempre in presenza di circostanze
eccezionali rigorosamente provate da chi le invoca- non è
quello che intercorre tra il compimento dell’abuso e il
provvedimento sanzionatorio ma quello che intercorre tra la
conoscenza dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio
adottato; in mancanza di conoscenza della violazione da
parte dell’amministrazione non può consolidarsi in capo al
privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il
cui sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in
sede motivazionale;
III) lo stesso è a dire per l’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale delle opere abusive realizzate che non
rappresenta un provvedimento di autotutela, ma costituisce
una misura di carattere sanzionatorio che consegue
automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di
demolizione; in senso ostativo all’acquisizione non può
assumere quindi rilevanza né il tempo trascorso dalla
realizzazione dell’abuso, né l’affidamento eventualmente
riposto dall’interessato sulla legittimità delle opere da
realizzare, né l’assenza di motivazione specifica sulle
ragioni di interesse pubblico perseguite attraverso
l’acquisizione;
IV) il fatto che sia intercorso lungo tempo dalla
realizzazione dell’abuso al provvedimento sanzionatorio non
elide né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e
imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte
della p.a.;
V) l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non
deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 l. n. 241 del
1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale
sanzione per l’accertamento dell’inosservanza di
disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura
vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e
rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi
di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge
in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui
il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza,
rientrando nella propria sfera di controllo; né si
configurano particolari esigenze o conseguenze connesse alla
partecipazione procedimentale dell’interessato;
Facendo proprio il consolidato indirizzo
giurisprudenziale concernente i punti controversi (cfr., fra
le tante, Cons. Stato, sez. V, 09.09.2013, n. 4470;
sez. VI, 05.08.2013, n. 4086; sez. II, 26.06.2013, n.
649/13; sez. VI, 04.03.2013, n. 1268; sez. IV, 15.02.2013, n. 915; sez. VI,
08.02.2013, n. 718; sez. IV, 02.02.2012, n. 615, Cass. pen., sez. fer.,
01.09.2011, n. 33267; Cass. pen., sez. III, 26.06.2013, n.
42330 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d),
c.p.a.):
I) l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti
sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede
una specifica valutazione delle ragioni di interesse
pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi
privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla
sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale
alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una
situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare.
II) a fronte della motivazione in re ipsa che incontra
l’ordine di demolizione all’esito dell’accertamento
dell’abuso edilizio, il lasso temporale che fa sorgere
l’onere di una motivazione rafforzata in capo
all’amministrazione –ma sempre in presenza di circostanze
eccezionali rigorosamente provate da chi le invoca (come non
verificatosi nel caso di specie)- non è quello che
intercorre tra il compimento dell’abuso e il provvedimento
sanzionatorio ma quello che intercorre tra la conoscenza
dell’illecito e il provvedimento sanzionatorio adottato; in
mancanza di conoscenza della violazione da parte
dell’amministrazione non può consolidarsi in capo al privato
alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui
sacrificio meriti di essere adeguatamente apprezzato in sede
motivazionale;
III) lo stesso è a dire per l’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale delle opere abusive realizzate che non
rappresenta un provvedimento di autotutela, ma costituisce
una misura di carattere sanzionatorio che consegue
automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di
demolizione; in senso ostativo all’acquisizione non può
assumere quindi rilevanza né il tempo trascorso dalla
realizzazione dell’abuso, né l’affidamento eventualmente
riposto dall’interessato sulla legittimità delle opere da
realizzare, né l’assenza di motivazione specifica sulle
ragioni di interesse pubblico perseguite attraverso
l’acquisizione;
IV) il fatto che sia intercorso lungo tempo dalla
realizzazione dell’abuso al provvedimento sanzionatorio non
elide né aggrava quanto a motivazione, il doveroso e
imprescrittibile esercizio del potere sanzionatorio da parte
della p.a.;
V) l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non
deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 l. n. 241 del
1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale
sanzione per l’accertamento dell’inosservanza di
disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura
vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e
rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi
di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge
in virtù di un presupposto di fatto, ossia, l’abuso, di cui
il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza,
rientrando nella propria sfera di controllo; né si
configurano particolari esigenze o conseguenze connesse alla
partecipazione procedimentale dell’interessato
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2196 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VI) quanto al concetto di «pertinenza», ai sensi
e per i fini di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, conv.
dalla l. 25.03.1982 n. 94, tale da richiedere non già la
concessione edilizia, bensì la mera «autorizzazione», si
rileva, da un lato, la differenza da quello di cui
all’art. 817 c.c., che è caratterizzato da un oggettivo
nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e
principale, (cioè da un nesso che non consenta, per natura e
struttura dell’accessorio, altro uso rispetto alla cosa cui
esso inserisce); dall’altro, che per potersi avere
pertinenza è indispensabile che il manufatto destinato ad un
uso pertinenziale durevole sia dalle dimensioni ridotte e
modeste, per cui soggiace a concessione edilizia la
realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che
modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi
diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal
vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa;
VII) la sostanziale identità delle nozioni di tettoia e
pensilina ricavabile dalle medesime finalità di arredo,
riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici,
determina la necessità del permesso di costruire nei casi in
cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale
dell’intervento;
VIII) integra il reato previsto dall’art. 44, lett. b),
d.p.r. n. 380 del 2001 (in precedenza art. 20, lett. b), l.
n. 47 del 1985), la realizzazione, senza il preventivo
rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di
copertura che, non rientrando nella nozione
tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce
parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata;
IX) per la realizzazione di una tettoia, appoggiata su un
edificio, occorre il rilascio del permesso di costruire,
poiché essa comporta una modifica della sagoma e del
prospetto, sicché è legittimo l’ordine di demolizione che ne
disponga la rimozione, perché abusiva.
Facendo proprio il consolidato indirizzo
giurisprudenziale concernente i punti controversi (cfr., fra
le tante, Cons. Stato, sez. V, 09.09.2013, n. 4470;
sez. VI, 05.08.2013, n. 4086; sez. II, 26.06.2013, n.
649/13; sez. VI, 04.03.2013, n. 1268; sez. IV, 15.02.2013, n. 915; sez. VI,
08.02.2013, n. 718; sez. IV, 02.02.2012, n. 615, Cass. pen., sez. fer.,
01.09.2011, n. 33267; Cass. pen., sez. III, 26.06.2013, n.
42330 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d),
c.p.a.):
...
VI) quanto al concetto di «pertinenza», ai sensi e per i
fini di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, conv.
dalla l. 25.03.1982 n. 94, tale da richiedere non già la
concessione edilizia, bensì la mera «autorizzazione», si
rileva, da un lato, la differenza da quello di cui all’art.
817 c.c., che è caratterizzato da un oggettivo nesso
funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale,
(cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura
dell’accessorio, altro uso rispetto alla cosa cui esso
inserisce); dall’altro, che per potersi avere pertinenza è
indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia dalle dimensioni ridotte e
modeste, per cui soggiace a concessione edilizia la
realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che
modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi
diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal
vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa
(circostanza questa che non si verifica nel caso di specie);
VII) la sostanziale identità delle nozioni di tettoia e
pensilina ricavabile dalle medesime finalità di arredo,
riparo o protezione anche dagli agenti atmosferici,
determina la necessità del permesso di costruire nei casi in
cui sia da escludere la natura precaria o pertinenziale
dell’intervento (come verificatosi nel caso di specie);
VIII) integra il reato previsto dall’art. 44, lett. b), d.p.r.
n. 380 del 2001 (in precedenza art. 20, lett. b), l. n. 47
del 1985), la realizzazione, senza il preventivo rilascio
del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che,
non rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza
per la mancanza di una propria individualità fisica e
strutturale, costituisce parte integrante dell’edificio sul
quale viene realizzata (come verificatosi nel caso di
specie);
IX) per la realizzazione di una tettoia, appoggiata su un
edificio (come nel caso di specie), occorre il rilascio del
permesso di costruire, poiché essa comporta una modifica
della sagoma e del prospetto, sicché è legittimo l’ordine di
demolizione che ne disponga la rimozione, perché abusiva
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2196 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Tar veneto.
Convenzioni, frazionamenti al bando.
Per aderire a una convenzione Consip non è possibile
frazionare artificiosamente un appalto, ma occorre indire
apposita procedura concorsuale per affidarlo ad un'impresa
in grado di assicurare integralmente il servizio.
Lo ha
chiarito il TAR Veneto, Sez. I, nella
sentenza
28.04.2014 n. 538,
fissando alcuni punti fermi utili anche alla luce delle
novità introdotte dal dl «spending review».
Il caso
esaminato riguardava un'Asl che, dopo aver aderito a una
convenzione Consip per assicurarsi servizi di gestione e
manutenzione impiantistica nella fascia oraria 8-17, aveva
contestualmente provveduto ad affidare la copertura delle
ore notturne alla stessa ditta selezionata da Consip
avvalendosi dell'art. 57, comma 5, lett. a), del dlgs
163/2006, che consente il ricorso alla procedura negoziata
senza previa pubblicazione di un bando di gara per
l'esecuzione di lavori o servizi complementari,
originariamente non prevedibili, necessari all'esecuzione
del servizio oggetto del contratto iniziale e funzionalmente
non separabili dall'assegnazione originaria.
Poiché il
servizio notturno, pur se non scorporabile, non poteva
considerarsi imprevedibile, tale modus procedendi è
stato ritenuto illegittimo: In un tale frangente, secondo il
Tar, o la convenzione prevedeva la gestione e il
monitoraggio degli impianti h24, e allora l'Asl poteva
aderirvi, o non li prevedeva, e allora l'Asl doveva indire
apposita procedura concorsuale per affidare l'appalto ad
un'impresa in grado di assicurare il servizio nella sua
interezza. Certamente non poteva suddividere
artificiosamente il servizio in due tronconi.
Come detto, la pronuncia è interessante alla luce del dl
66/2014 e in particolare dell'art. 9, comma 4, che ha esteso
a tutti i comuni non capoluogo (e non più solo a quelli
sotto i 5.000 abitanti, come in precedenza) l'obbligo di
ricorrere ad una centrale unica di committenza, da attivare
nell'ambito delle unioni di comuni ovvero stipulando
apposito accordo consortile, ovvero ancora ricorrendo ad un
soggetto aggregatore o alle province.
In alternativa, è possibile avvalersi degli strumenti
elettronici di acquisto. Ma, come chiarito dalla sentenza
commentata, si tratta di una strada percorribile solo a
precise condizioni (articolo ItaliaOggi
del 10.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
PATRIMONIO: Danni da caduta, colpa estesa alla vittima.
Risarcimenti. Il comportamento imprudente limita la
responsabilità del «custode».
Per i danni subiti da un
motociclista caduto su una strada provinciale si configura
una doppia responsabilità: sia del custode, vale a dire la
Provincia (in base agli articoli 2043 e 2051 del Codice
civile), sia dell'utente danneggiato, che ha usato il bene
senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo
anomalo sulle sue caratteristiche o, infine, ignorando
eventuali avvisi o divieti.
Lo ha precisato il TRIBUNALE di Napoli -Sez. XII civile- che, con la
sentenza 14.04.2014
n. 5687 (tratta da www.ilsole24ore.com), si è pronunciato sul caso della caduta
accidentale di un motociclista, avvenuta a causa -ha
affermato- di un avvallamento situato a margine di un
tombino. Per questo l'uomo ha citato in giudizio la
provincia di Napoli (titolare del bene demaniale), per
vedere riconoscere la responsabilità per omessa custodia
della sede stradale.
Nel giudizio si è costituito l'ente pubblico, che ha
contestato ogni propria responsabilità e invocato l'assenza
di un obbligo di garantire, per tutta l'estensione dalla
rete adibita alla circolazione, l'uniformità del manto
stradale e l'assenza di insidie più o meno avvistabili
dall'utente.
Nel dirimere la controversia, il tribunale riassume i
profili di responsabilità che riguardano, in via generale,
gli enti tenuti alla gestione e alla manutenzione della
strada, rammentando che il custode risponde sia in forza
dell'articolo 2043 del Codice civile (che impone un obbligo
generale di diligenza e attenzione nella gestione del bene),
sia per effetto della presunzione di responsabilità
contenuta nell'articolo 2051 del Codice civile, che
disciplina una sorta di responsabilità oggettiva che può
essere superata solo se l'ente prova che la caduta è stata
provocata da un caso fortuito. Quella prevista dall'articolo
2051 è, in effetti, una presunzione assai gravosa per il
custode della rete stradale, sia per la difficoltà materiale
di estendere il controllo a tutta la rete, sia perché nella
giurisprudenza il concetto di "caso fortuito" è relegato a
ipotesi residuali, come un evento atmosferico esterno e
imprevedibile nelle conseguenze.
Nel caso esaminato, il tribunale di Napoli rileva che la
conformazione dell'insidia stradale era tale da dover
richiedere la pronta attivazione del custode che avrebbe
dovuto esercitare in modo efficace quel potere di dominio
sulla rete viaria, utile per ripristinare lo stato di
agibilità della strada ed evitare pericolo per chi dovesse
transitarvi.
Al tempo stesso, però, il tribunale non omette di
considerare la condotta responsabile e concorrente della
vittima che, vista la conformazione della strada e la
relativa avvistabilità dell'insidia, avrebbe dovuto guidare
il motociclo con attenzione. Nei fatti, secondo il giudice,
il motociclista avrebbe contribuito attivamente alla caduta
e, quindi, a provocare i danni.
Il concorso colposo della vittima che cada a terra per
effetto di una insidia stradale, infatti, può essere
dichiarato in associazione alla colpa del custode, secondo
l'articolo 1227 del Codice civile, che, al primo comma,
dispone che «se il fatto colposo del creditore ha concorso a
cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la
gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono
derivate». Di conseguenza, il risarcimento del danno viene
ridotto dal giudice nella misura del 50% di quanto gli
sarebbe spettato in totale (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: La persiana nuova non altera la veduta.
Immobili. Se la finestra esisteva già, i confinanti non
possono contestare la modifica degli infissi.
Aprire una persiana sul
cortile del vicino non è una turbativa del possesso, se la
corrispondente finestra esiste da tempo.
Questo il principio
affermato dal TRIBUNALE di Cassino con l'ordinanza
03.04.2014 (giudice Eramo).
Il titolare di un immobile a uso
abitativo dotato di ampio cortile aveva proposto ricorso ex
articolo 703 del Codice di procedura civile contro il suo
confinante, titolare di un altro immobile posto di fronte al
suo.
Il ricorrente ha riferito che sul cortile di sua proprietà
affacciavano due finestre poste sull'immobile del vicino e
quest'ultimo aveva eseguito dei lavori senza chiedergli
alcuna autorizzazione, apponendo ex novo delle persiane
esterne e limitando così apprezzabilmente il sereno
godimento del proprio immobile.
Queste persiane si aprivano sul cortile e permettevano
quindi di guardarvi all'interno. Il ricorrente ha chiesto
pertanto che il giudice ne ordinasse la totale rimozione. Il
convenuto in giudizio, invece, aveva chiesto al giudice di
respingere il ricorso perché le due finestre erano già
esistenti da tempo e non erano state modificate né in
altezza né in larghezza.
Il tribunale, dopo una complessa istruttoria, gli ha dato
ragione. È stato accertato infatti che i lavori erano
consistiti nel cambio delle persiane e la modificazione
aveva riguardato solo le rispettive aperture: prima gli
infissi si aprivano verso l'interno e dopo i lavori si
aprivano verso l'esterno. Ciò faceva ritenere che i lavori
non avessero compromesso in modo giuridicamente apprezzabile
l'esercizio del possesso del proprietario del cortile.
Secondo il giudice cassinate non può essere la mera
mutazione dello stato di fatto a integrare uno spoglio o una
turbativa, ma solo quella che comporti una concreta
limitazione delle facoltà inerenti il potere di fatto
precedentemente esercitato sulla cosa.
Le persiane non determinano, anche quando si aprono verso
l'esterno, un aggravamento della servitù di veduta, poiché
esse, quando sono chiuse, già la impediscono o la limitano,
e quando sono aperte, non la rendono più penetrante. Il solo
ruotare sui cardini non muta dunque il raggio di azione
dell'esercizio della servitù di veduta; secondo il tribunale
(che sul punto ricorda diverse pronunce della Cassazione),
solo sulle finestre del tipo "a tendina" può paventarsi la
possibilità che si superi la distanza di tre metri di
visuale con ogni conseguenza sulla limitazione del possesso
del confinante.
Le persiane nuove quindi potevano restare al
loro posto e il ricorso è stato respinto con la condanna del
ricorrente a pagare le spese di difesa sostenute dal suo
confinante (articolo Il Sole 24 Ore del
12.05.2014). |
PUBBLICO IMPIEGO: Tar del
Lazio.
Demansionati depressi risarciti.
Quel posto doveva essere suo, anche se soltanto per il
periodo in cui il capo va in ferie. E invece no,
l'amministrazione gli preferisce un collega, benché non
abbia i titoli per sostituire il dirigente quando è assente.
Ecco allora che il dipendente pubblico ci resta male e non
si rassegna, perché diventare il numero uno dell'ufficio,
sia pure per poco, è comunque motivo di prestigio oltre che
di gratificazione economica. E visto che la mancata
promozione risulta frutto di una condotta omissiva e
commissiva dell'amministrazione, sarà la mano pubblica a
dover sborsare gli 80 mila euro liquidati a titolo di danno
non patrimoniale, senza duplicazioni fra biologico, morale e
così via.
È quanto emerge dalla
sentenza
21.02.2014 n. 2120, pubblicata
dalla Sez. I-quater del TAR Lazio-Roma.
Accolto il ricorso
del dipendente della Giustizia, che ambiva al posto di
reggente per il periodo di assenza del titolare: un
riconoscimento non da poco che però gli è negato dal
Ministero. L'interessato ne fa una malattia nel vero senso
della parola: lamenta un «disturbo dell'adattamento con
ansia e umori depresso misti» e i certificati medici gli
danno ragione. Di più: risulta agli atti che la patologia
insorge proprio nel periodo in cui il dipendente è
ingiustamente escluso dall'incarico cui pure aveva diritto,
assegnato evidentemente a un rivale senza gli stessi suoi
titoli.
Fatto sta che il risarcimento deve essere pagato
all'aspirante sostituto-capo laddove il lavoratore non
presenta familiarità con i disturbi psichici: né lui né i
suoi congiunti hanno mai sofferto di nevrosi d'ansia e
dunque la sindrome risulta riconducibile all'illecita deminutio
voluta dal datore. Risultato: liquidazione sì, duplicazioni
no.
Il danno non patrimoniale da lesione della salute,
ribadiscono i giudici amministrativi, costituisce una
categoria ampia e omnicomprensiva: nel determinare il
ristoro il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi
concretamente patiti dalla vittima, senza però liquidare il
danno biologico separatamente da quello morale, estetico,
alla vita di relazione e da quello cosiddetto “esistenziale”
(articolo ItaliaOggi del 07.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una
ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano
in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non
comportano -di per sé- né la modifica della complessiva
sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta
e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei
lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa
orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già
una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la
presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi
contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono
solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore
comodità e sicurezza.
Pertanto, per l’intervento edilizio in esame, volto alla
messa in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso
pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio
lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del
criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad
autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi
di modifica della distribuzione degli spazi interni o di
arredo e protezione degli spazi esterni volti,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura
provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le
qualità e potenzialità intrinseche del preesistente
manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più
ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni
d’uso.
- Che, alla stregua di un criterio di efficacia sostanziale
della tutela giurisdizionale e di economia processuale, il
Collegio ritiene quindi di esaminare l’ulteriore profilo
controverso, concernente il rapporto fra infondatezza
dell’istanza di accertamento di conformità ed obbligatoria
esecuzione del precedente ordine di esecuzione;
- Che, al contrario, l’accertamento, da parte del Tribunale,
dell’obbligo di dare diretta esecuzione all’ordine di
demolizione previa reiezione della domanda di accertamento
trova un insormontabile ostacolo proprio nella palese
fondatezza della stessa domanda;
- Che dalla documentazione allegata agli atti del giudizio
risulta, infatti, che:
1) l’intervento edilizio, che il ricorrente chiede di demolire e di
cui la contro interessata chiede l’accertamento di
conformità, è avvenuto in conformità alla DIA a suo tempo
presentata e non contraddetta in termini dal Comune, così
come attestato dal sopralluogo eseguito da patte dei Vigili
Urbani a lavori ultimati;
2) lo stesso intervento, come espressamente rilevato dall'Ufficio
edilizia Privata di Roma Capitale, per il tipo di lavori
eseguiti, consistenti nella collocazione di una ringhiera in
ferro su un lastrico solare e di un corrimano in ferro su
una scala che porta al lastrico solare, non comporta di per
sé, né modifiche della sagoma, né modifiche della
superficie, né aumento di volume, né cambio di destinazione
d'uso dei lastrico solare, e quindi richiede solo la
comunicazione di inizio lavori ai sensi dell'art. 6 DPR
380/2001;
- Che il primo profilo non assume valore dirimente,
stante il carattere di illecito permanente dell’abuso
edilizio, che è destinato a veder progressivamente aggravare
il proprio impatto sul territorio, anche in relazione al
successivo uso del manufatto abusivo ed all’inevitabile
effetto emulativo, e che quindi, secondo il principio di
legalità insito al nostro sistema Costituzionale ed anche
per la presenza delle previste forme di pubblicità in
occasione degli interventi edili e delle formalità
pubblicistiche dei trasferimenti immobiliari (rogito
notarile e trascrizione), non può generare alcun
affidamento, e quindi determinare alcuna convalescenza, in
conseguenza del semplice decorso del tempo: in tal modo, il
decorso dei termini previsti in caso di DIA e SCIA preclude
l’intervento pubblico riferito ai profili formali e
procedurali, ma non il successivo accertamento della non
conformità del manufatto alle prescrizioni urbanistiche ed
edilizie ad esso applicabili;
- Che, a giudizio del Collegio, merita al contrario
apprezzamento il secondo profilo indicato, in quanto
i lavori eseguiti, consistenti nella collocazione di una
ringhiera in ferro su un lastrico solare e di un corrimano
in ferro su una scala che porta al lastrico solare, non
comportano di per sé, né la modifica della complessiva
sagoma dell’edificio, né un aumento della superficie coperta
e dei volumi interni, né un cambio di destinazione d'uso dei
lastrico solare, che per le sue caratteristiche (posa
orizzontale in piano di materiali calpestabili) denotava già
una attitudine all’impiego pedonale ed implicava già la
presenza di una scala di accesso, di modo che gli interventi
contestati, lungi dal variarne la destinazione, consentono
solo di migliorarne la fruizione in condizioni di maggiore
comodità e sicurezza;
- Che per l’intervento edilizio in esame, volto alla messa
in sicurezza di un lastrico solare già idoneo all’uso
pedonale, è quindi sufficiente la comunicazione di inizio
lavori ai sensi dell'art. 6 DPR 380/2001, alla stregua del
criterio secondo cui sono liberi, e quindi non soggetti ad
autorizzazioni o asseverazioni, tutti gli interventi edilizi
di modifica della distribuzione degli spazi interni o di
arredo e protezione degli spazi esterni volti,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla natura
provvisoria o meno delle opere, solo ad ottimizzare le
qualità e potenzialità intrinseche del preesistente
manufatto, consentendone una migliore, più sicura o più
ampia fruizione in conformità alle originarie destinazioni
d’uso;
- Che la non infondatezza della domanda di accertamento di
conformità, su di cui il Comune deve pronunciarsi prima di
poter disporre la demolizione, conclusivamente osta a che
l’accoglimento del ricorso in epigrafe entri nel merito del
comportamento dovuto dal Comune intimato quanto
all’esecuzione dell’ordine di demolizione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.09.2013 n. 8328 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Bellezze naturali e tutela paesaggistica.
Con riferimento a villino ad uso prevalentemente estivo sito
in una località calda sottoposta a vincolo paesaggistico, la
chiusura con inferriata di tre lati di un portico già murato
sul quarto lato richiede la concessione edilizia (poiché il
vano così ricavato in aggiunta a quelli preesistenti
sicuramente si presta ad uso abitativo diurno, quanto meno
nel periodo estivo) nonché l'autorizzazione dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo ambientale (posto che la
posa in opera di pesanti cancellate non può non avere un
considerevole impatto ambientale da valutarsi attentamente
ad opera dell'autorità predetta (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.02.2001 n.
6776). |
AGGIORNAMENTO AL 14.05.2014 |
ã |
L'INTERROGATIVO DELLA SETTIMANA: l'intervento
di installazione inferriate all'esterno delle
finestre come si deve qualificare ex art. 3 del DPR
n. 380/2001?? |
Un comune deve procedere, a seguito di segnalazione,
a reprimere l'abusiva installazione di inferriate
(a mo' di antifurto) sulle finestre esterne (compresa
la porta d'ingresso) di un
alloggio posto al piano terreno di un fabbricato.
Lasciamo in disparte, per il momento, la questione di
cosa avrebbe dovuto presentare (preventivamente) il
cittadino all'U.T.C. per non incorrere nell'abuso
edilizio di che trattasi (comunicazione ex art. 6
dpr 380/2001 oppure D.I.A.
oppure permesso di costruire) ... ciò che è
urgente, ora, è capire come inquadrare la
fattispecie ex art. 3 del DPR 380/2001:
trattasi di intervento inquadrabile
in quale lettera?? a), b), c), d), e), f) ??
Abbiamo cercato in internet -a destra e manca- e nulla
abbiamo trovato, sia in termini di giurisprudenza,
sia in termini di dottrina.
Poiché la fattispecie de qua interessa tutti,
se qualcuno è a conoscenza di qualche pertinente e
qualificato contributo
giurisprudenziale/dottrinario sull'argomento è
cortesemente invitato di inviarcelo (all'indirizzo
info.ptpl@tiscali.it) che sarà prontamente
pubblicato "su questi schermi" a vantaggio di tutti.
Si ringrazia, già sin d'ora, tutti coloro che
riscontreranno alla presente.
14.05.2014 - LA SEGRETERIA PTPL |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
Rilevazione delle graduatorie concorsuali vigenti e numero
dei vincitori e degli idonei (nota
05.05.2014 n. 24663 di prot.). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: D.M. 12.04.1996 "Approvazione della regola
tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la
costruzione e l'esercizio degli impianti termici alimentati
da combustibili gassosi"- Indicazioni applicative
(Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco,
del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile,
nota 08.05.2014 n. 6181 di prot.). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Monitoraggio opere pubbliche in attuazione del
decreto legislativo del 29.12.2011 n. 229: esplicazione
delle modalità operative e prima rilevazione (Ministero
dell'Economia e Finanze, Ragioneria Generale dello Stato,
circolare 08.04.2014 n. 14). |
UTILITA' |
VARI: La
sicurezza in casa: dai VV.F. la guida ai rischi, per
conoscerli e prevenirli.
L’ambiente domestico è il luogo dove si registrano il
maggior numero di incidenti, a fronte di quello che dovrebbe
essere il posto più tranquillo e sicuro. Gran parte degli
infortuni può essere evitata se c’è la conoscenza e la
consapevolezza dei pericoli che si possono nascondere dietro
l’angolo.
Al riguardo segnaliamo la pubblicazioni dei Vigili del
Fuoco, “Sicurezza in casa” che ha lo scopo di
illustrare i pericoli presenti in casa, al fine di
prevenirli ed evitarli.
Nell’opuscolo sono presentate le principali situazioni di
pericolo, divise nelle 4 categorie:
- elettricità
- gas di città
- liquidi infiammabili
- impianto idrico
In forma semplice ed incisiva, grazie anche alla cura
prestata alle immagini, vengono descritte le tipologie di
incidenti più frequenti, al fine di indicare gli opportuni
comportamenti di prevenzione degli incidenti e su cosa fare
in caso di incendio
(08.05.2014 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Prevenzione
incendi: in arrivo il Testo Unico che abbandona le norme
prescrittive per favorire la semplificazione.
Il 30.04.2014 il Ministro dell’Interno e il capo del
Dipartimento dei Vigili del Fuoco hanno presentato il Piano
di semplificazione delle norme e delle procedure di
prevenzione degli incendi, che ha l’obiettivo di snellire la
normativa vigente e di aggregare in unico testo tutte le
disposizioni di prevenzione incendi riguardanti ogni
attività.
In linea generale, l’impostazione data alla normativa
antincendio è sempre stata di tipo prescrittivo: lo Stato
impone le regole precettive ed i soggetti obbligati agli
adempimenti, che si avvalgono del supporto dei tecnici del
settore, hanno l’onere di rispettarle, il tutto sotto il
controllo sistematico del Corpo dei VV.F.
Questo tipo di impostazione, comoda per un'utenza poco
abituata all’analisi del rischio incendio e alla valutazione
delle conseguenti misure, ha comportato il frequente ricorso
all'istituto della deroga, che crea una serie di difficoltà
procedurali.
Si rende, pertanto, necessaria l’introduzione di un nuovo
quadro della regolamentazione tecnica e di un nuovo
approccio metodologico più aderente al progresso
tecnologico, che superi l’articolata e complessa
stratificazione di norme, circolari e pareri del vigente
panorama normativo di riferimento di settore.
Il piano presentato dai VV.F., che si tradurrà presto in
decreto ministeriale, punterà su un approccio meno
prescrittivo che favorisca contemporaneamente una migliore
valutazione dei rischi ed introdurrà procedure più snelle
continuando a mantenere un elevato controllo sui livelli di
sicurezza.
I principi fondamentali a guida del nuovo piano sono:
►
generalità: le medesime metodologie di progettazione della
sicurezza antincendio descritte possono essere applicate a
tutte le attività;
►
semplicità: laddove esistano diverse possibilità per
raggiungere il medesimo risultato si prediligono soluzioni
più semplici, realizzabili, comprensibili, per le quali è
più facile operare la revisione;
►
modularità: l’intera materia è strutturata in moduli di
agevole accessibilità, che guidano il progettista
antincendio alla individuazione di soluzioni progettuali
appropriate per la specifica attività;
►
flessibilità: per ogni livello di prestazione di sicurezza
antincendio richiesto all’attività sono indicate diverse
soluzioni progettuali prescrittive o prestazionali. Sono,
inoltre, definiti metodi riconosciuti che valorizzano
l’ingegneria antincendio, che consentono al progettista
antincendio di individuare, autonomamente, specifiche
soluzioni progettuali alternative e dimostrarne la validità,
nel rispetto degli obiettivi di sicurezza antincendio;
►
standardizzazione ed integrazione: il linguaggio in materia
di prevenzione incendi è conforme agli standard
internazionali e sono unificate le diverse disposizioni
previste nei documenti esistenti della prevenzione incendi
in ambito nazionale;
►
inclusione: le persone che frequentano le attività sono
considerate un fattore sensibile nella progettazione della
sicurezza antincendio, in relazione anche alle diverse
abilità (es. motorie, sensoriali, cognitive, ecc.),
temporanee o permanenti;
►
contenuti basati sull’evidenza: il presente documento è
basato su ricerca, valutazione ed uso sistematico dei
risultati della ricerca scientifica nazionale ed
internazionale nel campo della sicurezza antincendio;
►
aggiornabilità: il documento è redatto in modo da poter
essere facilmente aggiornato al continuo avanzamento
tecnologico e delle conoscenze
(08.05.2014 - link a www.acca.it). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 14.05.2014, "Classificazione
del territorio montano ai sensi dell’art. 3 della legge
regionale 15.10.2007, n. 25" (deliberazione
G.R. 08.05.2014 n. 1794). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 14.05.2014, "Approvazione
definitiva dei criteri e dei parametri per l’individuazione
e la classificazione dei comuni montani e parzialmente
montani, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale
15.10.2007, n. 25" (deliberazione
G.R. 08.05.2014 n. 1793). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 12.05.2014,
"Integrazione del d.d.g. n. 9001 dell’08.08.2008
«Approvazione delle linee guida per l’avvio di
sperimentazioni sul deflusso minimo vitale in tratti del
reticolo idrico naturale regionale»" (decreto
D.G. 08.05.2014 n. 3816). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 12.05.2014, "Pubblicazione
ai sensi dell’articolo 5 del regolamento regionale
21.01.2001, n. 1, dell’elenco dei tecnici competenti in
acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia
alla data del 30.04.2014, in attuazione dell’articolo 2,
commi 6 e 7, della legge 26.10.1995, n. 447 e della
deliberazione di Giunta regionale 06.08.2012, n. IX/3935"
(comunicato
regionale 06.05.2014 n. 61). |
APPALTI: G.U.U.E.
06.05.2014 n. L 133 "Direttiva
2014/55/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del
16.04.2014 relativa alla fatturazione elettronica
negli appalti pubblici". |
ENTI LOCALI -
TRIBUTI: G.U.
05.05.2014 n. 102 "Testo
del decreto-legge 06.03.2014, n. 16, coordinato con la legge
di conversione 02.05.2014, n. 68, recante:
«Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché
misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti
nelle istituzioni scolastiche»". |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 19 del 05.05.2014, "Modalità
e criteri per l’attuazione di interventi di rimozione
barriere architettoniche negli edifici residenziali privati,
in attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 34-ter
della legge 20.02.1989 e della deliberazione di Giunta
regionale del 13.03.2014 n. X/1506" (decreto
D.U.O. 28.04.2014 n. 3511). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
A. Piccolo,
L’induzione «non costringe ma convince» - nota a
Corte di Cassazione, Sezz. Unite penali, sentenza 14.03.2014
n. 12228 (01.05.2014 - tratto da
www.giurisprudenzapenale.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cessione “gratuita” di aree (e di opere di
urbanizzazione) al Comune: trattamento fiscale dopo il
D.Lgs. n. 23/2011 (Consiglio Nazionale del Notariato,
studio 03.04.2014 n. 248-2014-T).
---------------
Sommario: 1. Premessa – Impostazione della problematica;
2. La natura giuridica degli atti di cessione “gratuita”; 3.
Corollari ai fini del trattamento tributario. |
EDILIZIA PRIVATA:
J. Cortinovis, A. Galbiati, L. Spallino,
INFRASTRUTTURE E
IMPIANTI DI COMUNICAZIONI ELETTRONICHE - digesto di
normativa e giurisprudenza (aggiornato all'01.04.2014
- tratto da www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di
godimento (Consiglio Nazionale del Notariato,
studio 21.03.2014 n. 216-2014-C).
---------------
Sommario: 1. Premessa. 2. La rinunzia in genere: cenni.
3. La rinunzia al diritto di proprietà: ammissibilità. 3.1.
Segue: natura ed effetti. 3.2. Segue: la trascrizione. 4. La
rinunzia alla quota indivisa di comproprietà: ammissibilità.
4.1 Segue: natura ed effetti. 4.2 Segue: la trascrizione. 5.
La rinunzia al diritto di superficie. 6. La rinunzia al
diritto di enfiteusi. 7. La rinunzia al diritto di
usufrutto. 7.1. Segue: la rinunzia ai diritti di uso e
abitazione. 8. La rinunzia alla servitù. 8.1. Segue:
l’abbandono del fondo servente. 9. Conclusioni. |
AUTORITA' VIGILANZA
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Oggetto: Monitoraggio opere pubbliche in attuazione del
decreto legislativo del 29/12/2011 n. 229 - Nuove modalità
operative di invio dei dati - Indicazione del Codice Unico
di Progetto (CUP).
Allo scopo di ridurre il set di informazioni che le stazioni
appaltanti dovranno comunicare al Ministero dell’Economia e
delle Finanze (MEF), per l’inserimento nell’istituita Banca
Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP), l’AVCP ha
assunto l’impegno di trasmettere alla medesima BDAP tutti i
dati concernenti il ciclo di vita dei contratti pubblici,
dalla fase di assegnazione del CIG, già in suo possesso.
Risulterà tuttavia necessario che i suddetti dati siano
corredati oltre che del CIG anche del Codice Unico di
Progetto (CUP) cui si riferiscono.
L’integrazione ove necessaria, dovrà avvenire a cura dei RUP,
nel rispetto della tempistica indicata (comunicato
del Presidente 08.05.2014). |
APPALTI:
Contributi in sede di gara - Attuazione dell’art. 1,
commi 65 e 67, della Legge 23.12.2005, n. 266, per l’anno
2014 (deliberazione
05.03.2014). |
QUESITI & PARERI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Art. 4, comma 6, del d.l.
101/2013, convertito in l. 125/2013. Stabilizzazioni.
L'art. 35, comma 3-bis, del d.lgs.
165/2001, cui rinvia il comma 6, dell'art. 4, del d.l.
101/2013 ai fini delle stabilizzazioni, richiama
espressamente le pubbliche amministrazioni al rispetto del
limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse
finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in
materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di
personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati
dai documenti di finanza pubblica.
Per gli enti locali del Friuli Venezia Giulia è necessario
pertanto rispettare detto limite di spesa, con riferimento
sia alle disposizioni regionali prettamente finanziarie
relative al patto di stabilità e al contenimento della spesa
del personale, sia avuto riguardo alle ulteriori previsioni
limitative contenute all'art. 13, comma 16, della l.r.
24/2009.
Il Comune ha chiesto, in relazione al parere reso da questo
Servizio con nota prot. n. 2400 del 27.01.2014, di conoscere
se per gli educatori dei servizi educativi, scolastici, di
integrazione scolastica e ricreatori, per i quali la l.r.
5/2013 ha introdotto una specifica deroga assunzionale
all'art. 13, comma 16-bis, lett. a), punto 1-quater, della
l.r. 24/2009 [1],
risulti 'corretto avviare le procedure di stabilizzazione
nel limite del 50% dei posti vacanti al fine di garantire
l'adeguato accesso dall'esterno, fermo restando che l'altro
50 % dei posti verrà coperto con una procedura concorsuale
ordinaria'.
Le procedure di stabilizzazione del personale precario, in
applicazione di quanto disposto dall'art. 4, comma 6, del
d.l. 101/2013, convertito in l. 125/2013, si configurano
come procedure di reclutamento speciale, distinte quindi
dalle ordinarie procedure di reclutamento (concorsi
pubblici).
Trattandosi di procedure speciali, disciplinate da apposita
normativa, trova applicazione quanto espressamente previsto
dalla medesima disposizione che ne consente l'effettuazione:
pertanto, per le stabilizzazioni è necessario rispettare il
preciso limite di spesa per assunzioni imposto dal
legislatore statale, limite inderogabile e, pertanto, non
superabile.
A tal proposito, si osserva che l'art. 35, comma 3-bis, del
d.lgs. n. 165/2001, cui rinvia il comma 6, dell'art. 4, del
d.l. 101/2013 ai fini delle stabilizzazioni, richiama
espressamente le pubbliche amministrazioni al rispetto del
limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse
finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in
materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di
personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati
dai documenti di finanza pubblica.
Pertanto, per gli enti locali della Regione Friuli Venezia
Giulia, è necessario rispettare detto limite di spesa, con
riferimento sia alle disposizioni regionali prettamente
finanziarie relative al patto di stabilità e al contenimento
della spesa del personale, sia avuto riguardo alle ulteriori
previsioni limitative contenute nell'art. 13 della l.r. n.
24/2009, con riferimento quindi anche al comma 16 del
medesimo articolo, che prevede un contingente di personale
la cui spesa annua onnicomprensiva non superi il 20 per
cento di quella relativa alle cessazioni di personale a
tempo indeterminato avvenute nel corso dell'esercizio
precedente e non già riutilizzata nel corso dell'esercizio
stesso.
Si ritiene, pertanto, che il computo del 50% delle risorse
disponibili per le procedure di stabilizzazione vada
effettuato tenuto conto anche delle su esposte limitazioni.
Ad ogni buon conto si demandano all'attenta valutazione
dell'Ente le determinazioni del caso, in relazione a quanto
già operato complessivamente nel periodo pregresso ai fini
assunzionali, tenendo conto anche della richiamata sentenza
n. 54/2014 della Corte Costituzionale e degli eventuali
correttivi che potrebbero essere apportati in applicazione
dei principi affermati dalla medesima.
Per quanto concerne il computo delle risorse disponibili, si
osserva che una sezione regionale di controllo della Corte
dei conti [2]
ha precisato che l'avvio delle procedure di stabilizzazione
risulta espressamente subordinato al rispetto della vigente
normativa in materia di assunzioni e di contenimento della
spesa di personale. Infatti -evidenzia la Corte dei conti-
l'inserimento del lavoratore nella stabile struttura
dell'ente, lungi dal risolversi in una mera modificazione
del contratto già in essere, richiede l'instaurazione di un
nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato che, come
tale, rimane soggetto ai divieti e alle limitazioni previste
in materia di assunzioni dalla legislazione vigente.
Richiamando i vincoli assunzionali previsti, a livello
statale, per gli enti soggetti al patto di stabilità, la
Corte dei conti ha espressamente ritenuto che il comune
possa procedere nel 2014 all'assunzione a tempo
indeterminato del personale in possesso dei requisiti
previsti dall'art. 4, commi 6 e seguenti, del d.l. 101/2013
(stabilizzazioni) esclusivamente in misura non superiore al
50 per cento del limite assunzionale (pari al 40 % della
spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente)
di cui all'art. 76, comma 7, del d.l. 112/2008
[3].
Resta fermo che il residuo 50% delle risorse disponibili
sarà utilizzato dall'Ente per assunzioni mediante procedure
di reclutamento ordinario (concorso pubblico), dovendo
comunque garantire un adeguato accesso dall'esterno, ai
sensi di quanto disposto dall'art. 35, comma 1, del d.lgs.
165/2001 [4].
La Corte dei conti ha peraltro precisato che la norma in
materia di stabilizzazioni non richiede che le procedure
esterne siano attivate contestualmente all'indizione delle
procedure riservate ai precari [5].
---------------
[1] Al riguardo, si ricorda che la Corte Costituzionale,
con sentenza 27.03.2014, n. 54, ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale degli art. 12, comma 30 e 14,
commi 43 e 44, della l.r. 22/2010 (Legge finanziaria 2011).
In particolare, il comma 43 dell'art. 14 aveva inserito il
comma 16-bis) dell'art. 13 della l.r. 24/2009.
[2] Cfr. Lombardia, 78/2014/PAR.
[3] Limiti assunzionali stabiliti dalla citata normativa
statale.
[4] L'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene
tramite procedure selettive che garantiscano in misura
adeguata l'accesso dall'esterno. Secondo l'orientamento
consolidato della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n.
90/2012), non può essere riservata a concorsi interni una
quota superiore al 50 per cento dei posti disponibili.
[5] Cfr. sez. reg. di controllo per la Liguria,
deliberazione n. 76/2013
(12.05.2014 -
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EDILIZIA PRIVATA: Ape comunque necessario.
Domanda
Se il locatore, per qualsiasi motivo, non possiede e quindi
non cita nel contratto di locazione l'Ape per un dato
immobile, potrà farlo successivamente? In caso affermativo,
occorre registrare nuovamente il contratto?
Risposta
A termini di legge deve comunque farlo entro 45 giorni,
anche se l'omessa dichiarazione nel contratto di locazione
resta comunque pesantemente sanzionabile ai sensi di quanto
disposto dall'art. 6 del dlgs n. 192/2005, come recentemente
modificato. In tal senso dispone espressamente la norma
introdotta nell'art. 6 del dlgs n. 192/2005 nella fase di
conversione in legge (n. 9/2014) del dl n. 145/2013: «Il
pagamento della sanzione amministrativa non esenta comunque
dall'obbligo di presentare la dichiarazione o la copia
dell'attestato di prestazione energetica entro
quarantacinque giorni».
Al fine di ottemperare a tale prescrizione non è necessario
procedere nuovamente alla registrazione a tassa fissa (euro
200, come da ris. Ag. entrate del 22.11.2013) del contratto
di locazione, integrato con la dichiarazione del conduttore
di avere ricevuto copia dell'Ape, essendo sufficiente
stipulare e registrare (comunque su base volontaria)
un'appendice al contratto di locazione nella quale il
conduttore potrà rendere tale dichiarazione richiamando
tutti gli estremi (inclusi quelli di registrazione) del
contratto di locazione (articolo ItaliaOggi Sette
del 05.05.2014). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Segretari comunali. Limiti spese per missione e convenzioni.
Il Dipartimento della Ragioneria
Generale dello Stato ha chiarito che l'art. 45, comma 2, del
CCNL del 16.05.2001 per i segretari comunali e provinciali,
inerente il rimborso delle spese sostenute dal segretario
titolare di sede di segreteria convenzionata, per gli
spostamenti tra le varie sedi istituzionali, non è stato
reso inefficace dall'entrata in vigore dell'art. 6, comma
12, del d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010, che pone
limitazioni alle spese per missione.
Il Comune ha chiesto di conoscere se il limite di spesa per
missioni di cui all'art. 6, comma 12, del d.l. 78/2010,
convertito in l. 122/2010, debba intendersi applicabile
anche nei confronti dei rimborsi per accessi effettuati dal
segretario comunale in convenzione, per gli spostamenti
dalla sede principale all'ente in convenzione.
La richiamata norma prevede che, a decorrere dall'anno 2011,
le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
delle pubbliche amministrazioni non possono effettuare spese
per missioni, anche all'estero, con esclusione delle
missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle
missioni delle forze di polizia e dei vigili del fuoco, del
personale di magistratura, nonché di quelle strettamente
connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per
assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e
organismi internazionali o comunitari, nonché con
investitori istituzionali necessari alla gestione del debito
pubblico, per un ammontare superiore al 50 per cento della
spesa sostenuta nell'anno 2009.
La disposizione in esame precisa altresì che gli atti e i
contratti posti in essere in violazione di tale prescrizione
costituiscono illecito disciplinare e determinano
responsabilità erariale.
Si stabilisce inoltre che il limite di spesa fissato può
essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un
motivato provvedimento adottato dall'organo di vertice
dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli
organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente.
Si specifica altresì che il limite introdotto non si applica
alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti
ispettivi e che, a decorrere dalla data di entrata in vigore
del medesimo d.l. 78/2010, gli articoli 15 della l. 836/1973
[1] e
417/1978 [2]
e relative disposizioni di attuazione non si applicano al
personale contrattualizzato di cui al d.lgs. 165/2001 e
cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi.
Si informa che della questione prospettata dall'Ente istante
era stato investito a suo tempo, da parte dello scrivente
Servizio, il Ministero dell'Interno, che aveva coinvolto a
sua volta il Dipartimento della Ragioneria Generale dello
Stato.
Il citato Dipartimento si è espresso nei seguenti termini
[3].
Si è innanzitutto rammentato che le Sezioni Riunite in sede
di controllo della Corte dei conti hanno ritenuto che l'art.
45, comma 2, del CCNL del 16.05.2001 per i segretari
comunali e provinciali [4]
'non sia stato reso inefficace dall'entrata in vigore
dell'art. 6, comma 12, della legge n. 122 del 2010 stante la
diversità della fattispecie. L'art. 6 della legge n. 122 del
2010 ha limitato le spese connesse al trattamento di
missione, ossia ai trasferimenti effettuati per conto
dell'amministrazione di appartenenza per l'espletamento di
funzioni ed attività da compiere fuori dalla sede. Il
rimborso previsto dall'art. 45, comma 2, del CCNL intende
sollevare il segretario comunale o provinciale dalle spese
sostenute per gli spostamenti fra le varie sedi
istituzionali ove il medesimo è chiamato ad espletare le
funzioni. L'art. 45, comma 3, ripartendo la spesa per
suddetti trasferimenti tra i diversi enti interessati
secondo le modalità stabilite nella convenzione'
dimostra come tale onere assuma carattere negoziale e non
possa ricondursi all'interno del trattamento di missione
tout court.
Deve pertanto ritenersi che le limitazioni al trattamento di
missione introdotte dall'art. 6 della legge n. 122 del 2010
non comportino l'inefficacia dell'art. 45, comma 2, del CCNL
del 16.05.2001 per i Segretari Comunali e Provinciali
inerente il rimborso delle spese sostenute dal segretario
titolare di sede di segreteria convenzionata.
La Ragioneria Generale dello Stato, nel concordare con il su
esposto orientamento, ha inoltre rappresentato ulteriori
riflessioni sull'argomento.
In particolare, si è precisato che l'uso del mezzo proprio,
da parte di un segretario titolare di una segreteria
convenzionata, non configura un'esigenza estemporanea ed
episodica, quanto piuttosto una modalità operativa e
organizzativa connaturata alle caratteristiche proprie
dell'istituto in esame. In sostanza, l'esigenza di garantire
la necessaria flessibilità al segretario comunale, per
suddividere la sua prestazione professionale tra più enti,
appare legata alla possibilità di continuare ad utilizzare
il mezzo proprio. Inoltre, le caratteristiche peculiari
dell'attività del segretario, legata ai tempi e alle
esigenze degli organi politici (si pensi, ad esempio, alla
partecipazione a giunte e consigli comunali) rendono la
medesima difficilmente conciliabile con l'uso di mezzi
pubblici o di auto di proprietà degli enti.
A ciò deve aggiungersi che la stipulazione di una
convenzione di segreteria ha tra i suoi obiettivi
fondamentali proprio il conseguimento di un risparmio di
spesa, poiché consente agli enti convenzionati (nella
maggioranza dei casi, piccoli comuni) di non accollarsi in
toto una retribuzione di significativa rilevanza.
In conclusione, la Ragioneria Generale dello Stato ha
considerato non disapplicata la disposizione contrattuale di
cui all'art. 45 del CCNL del 16.05.2001.
Tuttavia, nell'ottica di garantire la compatibilità di
quanto affermato con i principi di risparmio introdotti dal
d.l. 78/2010, ha ritenuto comunque necessario fornire
ulteriori precisazioni di dettaglio.
Si è evidenziato che deve ritenersi disapplicata qualsiasi
disposizione, a qualsiasi titolo posta in essere, che ancori
l'entità del rimborso chilometrico alle tariffe ACI.
Viceversa, deve ritenersi attribuibile solo un'indennità
chilometrica pari ad un quinto del costo della benzina verde
per ogni chilometro. Nelle convenzioni di segreteria devono
essere predeterminate puntuali misure volte a circoscrivere
gli spostamenti del segretario tra una sede e l'altra a
quanto strettamente necessario alle esigenze lavorative,
attraverso una programmazione delle presenze che riduca al
minimo indispensabile gli oneri di rimborso per gli enti.
Da ultimo, si è sottolineato che nessun rimborso debba
essere riconosciuto per i tragitti abitazione-luogo di
lavoro e viceversa.
---------------
[1] Trattamento economico di missione e di trasferimento
dei dipendenti statali.
[2] Adeguamento trattamento economico di missione e di
trasferimento dei dipendenti statali.
[3] Con nota prot. n. 54055 del 21.04.2011.
[4] Tale norma prevede che al segretario titolare di
segreterie convenzionate, per l'accesso alle diverse sedi,
spetta il rimborso delle spese di viaggio effettivamente
sostenute e documentabili (02.05.2014
-
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NEWS |
TRIBUTI:
Acconto Tasi, i contribuenti appesi alle delibere comunali.
I titolari di fabbricati e aree edificabili sono costretti a
monitorare i siti internet.
Contribuenti senza certezze per il pagamento dell'acconto
Tasi entro il prossimo 16 giugno. I titolari di fabbricati,
anche se destinati a prima casa, e di aree edificabili
devono vigilare sulle scelte che le amministrazioni comunali
faranno nelle prossime settimane, per stabilire se la nuova
imposta dovrà essere versata in acconto e con quali aliquote
dovrà essere calcolato il tributo. In sede di conversione
del dl sulla finanza locale (16/2014), infatti, sono state
apportate diverse modifiche alla disciplina dell'imposta per
quanto concerne le scadenze di pagamento e le modalità di
calcolo dell'acconto.
L'articolo 1 del dl 16/214, in seguito alle modifiche
introdotte con la legge di conversione, sostituisce il comma
688 della legge di stabilità (147/2013) e sottrae ai comuni
il potere di fissare le scadenze della Tasi.
Questo tributo va versato ex lege in due rate di pari
importo, le cui scadenze coincidono con quelle previste per
l'Imu, vale a dire: 16 giugno, acconto; 16 dicembre, saldo.
Mentre per il prossimo anno l'acconto Tasi potrà essere
determinato facendo riferimento alle aliquote e detrazioni
deliberate per il 2014, per l'anno in corso il legislatore
fissa delle deroghe alle regole ordinarie sia per le
abitazioni principali che per gli altri immobili.
In particolare, per gli immobili diversi dall'abitazione
principale i contribuenti devono pagare l'acconto calcolando
l'imposta con l'aliquota di base dell'1 per mille, ma solo
se i comuni non delibereranno un'aliquota diversa entro il
31 maggio.
Per le abitazioni principali, invece, si pagherà tutto a
saldo, entro il 16 dicembre, a meno che i comuni non
trasmettano le delibere di approvazione di aliquote e
detrazioni entro il prossimo 23 maggio al ministero
dell'economia e delle finanze per la pubblicazione sul
Portale del federalismo fiscale entro il 31 maggio.
Dunque, i comuni hanno poco tempo a disposizione per
deliberare aliquote e detrazioni.
L'imposta sui servizi indivisibili per gli immobili adibiti
a abitazione principale dovrà essere versata in un'unica
soluzione, a saldo, entro il 16 dicembre, a meno che le
amministrazioni locali non rispettino due adempimenti: invio
delle deliberazioni in via telematica entro il 23 maggio,
con l'inserimento del testo nell'apposita sezione del
Portale del federalismo fiscale, e loro pubblicazione sul
sito informatico del ministero dell'economia e delle finanze
entro il 31 maggio.
Soggetti passivi. Sono obbligati al pagamento della Tasi sia
proprietari che inquilini. L'articolo 1, commi 671 e 681,
della legge di stabilità individua come distinti soggetti
passivi possessori e detentori degli immobili.
Al riguardo, va posto in rilievo che è privo di effetti
giuridici qualsiasi eventuale accordo in base al quale il
carico tributario viene traslato da uno all'altro dei
soggetti passivi. Il titolare dell'immobile non può
impegnarsi, anche se l'accordo viene manifestato all'ente
attraverso la dichiarazione fiscale, a versare la quota a
carico dell'inquilino che va dal 10 al 30% del tributo
complessivamente dovuto, a seconda della scelta
regolamentare fatta dall'ente. Del resto, il titolare non è
tenuto neppure a pagare la quota che il comune pone a carico
del detentore, qualora quest'ultimo non versi l'imposta
dovuta.
Solo in caso di occupazione temporanea, non superiore a sei
mesi, è obbligato al versamento del tributo colui che
risulti possessore dell'immobile. La Tasi, che è diretta a
recuperare i costi che l'amministrazione comunale sostiene
per garantire i servizi indivisibili (trasporto,
illuminazione pubblica e così via), che devono essere
espressamente individuati nel regolamento comunale e per i
quali è imposto l'obbligo di specificare i relativi costi, è
in parte a carico dell'occupante dell'immobile che fruisce
dei servizi stessi, sempre che la detenzione dell'immobile
non sia di breve durata. In caso di detenzione temporanea
non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno solare,
infatti, il tributo è dovuto per intero dal titolare
dell'immobile e non dall'inquilino.
Modalità di pagamento. Il pagamento della Tasi potrà essere
effettuato, come per la Tares, con il modello F24 o tramite
apposito bollettino di conto corrente postale, secondo le
regole stabilite dall'articolo 17 del decreto legislativo
241/1997. Quindi, le somme versate dai contribuenti verranno
incassate dalla «Struttura di gestione», allo stesso modo di
come avviene per il modello F24, e riversate all'ente
interessato.
A differenza della Tari, non è possibile pagare tramite i
servizi elettronici di incasso e interbancari. La legge,
però, impone che Tasi e Tari dovranno essere versate in
momenti diversi, fermo restando che gli interessati potranno
pagare in un'unica soluzione entro il 16 giugno di ciascun
anno, qualora siano già a conoscenza delle deliberazioni
adottate dall'ente (articolo ItaliaOggi
Sette del 05.05.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Tecno-tracciabilità dei rifiuti, il Sistri continua ad
avanzare. In Gazzetta il dm Ambiente del 24 aprile che semplifica da
una parte e amplia dall'altra.
Nuove regole per l'applicazione del Sistri al trasporto
intermodale (effettuato, cioè, con diversi mezzi di
movimentazione: auto, navi, aerei) dei rifiuti su tutto il
territorio nazionale ed allargamento del tracciamento
telematico ai gestori dei rifiuti urbani della Regione
Campania.
Avanza, anziché arretrare come potrebbe far
inizialmente pensare la prevista esclusione dall'obbligo per
le piccole imprese) il campo di applicazione del nuovo
sistema di tracciamento telematico dei rifiuti operativo dal
01.10.2013. Sistema, lo ricordiamo, che mira a
sostituire (salvo casi particolari) le tradizioni scritture
ambientali (costituite da registri di carico e scarico,
formulario di trasporto e dichiarazione Mud), imponendo ai
soggetti della filiera: l'invio telematico dei dati sui
rifiuti prodotti e gestiti a un cervellone informatico
gestito dallo Stato; il controllo satellitare del loro
trasporto; il videocontrollo del conferimento negli impianti
di trattamento.
Con il decreto 24.04.2014, pubblicato sulla Guri del 30.04.2014 n. 99 e recante le semplificazioni previste dal
«Codice Ambientale» per snellire il nuovo sistema, il Minambiente ha infatti reso, sì, facoltativo l'utilizzo del
Sistri per le aziende sotto i 10 dipendenti e quelle
agricole che agiscono in circuiti di raccolta organizzati di
rifiuti (sebbene limitatamente alla sola stretta produzione
iniziale di rifiuti pericolosi e con l'obbligo di effettuare
comunque di tracciamento tradizionale) ma al contempo
portando avanti l'intera macchina, tramite l'adozione delle
ultime regole per il funzionamento della tracciabilità
telematica nei punti di interscambio dei carichi di rifiuti
(come porti, ferrovie e scali aerei) e anticipando (partendo
dalla Campania) l'allargamento del nuovo sistema alle fasi
di smaltimento e recupero degli «urbani».
Trasporto intermodale. In attuazione dell'articolo 188-ter
del dlgs 152/2006, il nuovo dm 24.04.2014 (in vigore dal
1° maggio) detta le attese «modalità operative di
applicazione a regime del Sistri al trasporto intermodale»,
stabilendo (fermi restando tutti gli obblighi di
tracciamento telematico già imposti) le particolari
condizioni da osservare per gestire in modo semplificato
(ossia senza la tradizionale autorizzazione) il deposito dei
rifiuti effettuato presso i cosiddetti operatori
intermodali, ossia i soggetti (tra cui terminalisti delle
aree portuali, uffici gestione merci di stazioni e
interporti) ai quali i residui sono affidati in attesa della
presa in carico da parte della successiva impresa di
trasporto.
Le nuove norme integrano e specificano la portata
delle più generali regole di favore previste dall'art.193
del dlgs 152/2006 in relazione a tutte le operazioni
carico/scarico, trasbordo e soste tecniche. In base a tali
regole, le predette operazioni possono dai detentori dei
rifiuti essere effettuate in deroga alle ordinarie norme autorizzatorie allo stoccaggio solo a condizione che: non
superino l'arco temporale dei 6 giorni; siano protratte per
il massimo di ulteriori 24 giorni solo per caso fortuito o
forza maggiore previa annotazione nella «Scheda Sistri –
Area movimentazione» e tempestiva comunicazione a Comune e
Provincia competente; siano accompagnate da iniziative
opportune per prevenire pregiudizi ad ambiente e salute
umana; alla scadenza dei 30 giorni complessivi i rifiuti
siano conferiti a terzi autorizzati a trasporto e
trattamento.
È su tale modello che si innestano le nuove regole, dirette
a specificare oneri e responsabilità degli operatori presso
i quali viene effettuato il deposito (e, di riflesso, quelli
degli altri soggetti coinvolti nella filiera). Agli
operatori il nuovo dm chiede ora: se alla scadenza dei sei
giorni dall'inizio del deposito i rifiuti non siano presi in
carico dall'impresa di trasporto successiva, di darne
comunicazione formale, immediatamente e comunque entro le 24
ore, al produttore e altri eventuali altri soggetti che
hanno organizzato il trasporto, di condurre comunque il
deposito, per tutto l'arco della sua durata, nel rispetto
delle relative norme sanitarie ed ambientali (tra le quali
rientrano anche quelle sul deposito temporaneo).
Ai trasportatori è ora espressamente imposto di provvedere
alla presa in carico dei rifiuti entro il 24 giorni
successivi allo scadere dei primi 6, al fine di avviarli al
corretto trattamento. L'inosservanza di tali condizioni
comporterà per operatori e trasportatori la responsabilità a
tiolo di stoccaggio di rifiuti non autorizzato ex art. 256,
Codice ambientale. Prevede altresì il nuovo dm che gli oneri
sostenuti dagli operatori depositari dei rifiuti sono a
carico dei precedenti detentori e del produttore di rifiuti,
in solido tra loro. E ciò superando (evidentemente in forza
del potere conferito dallo stesso Codice ambientale al
Minambiente) il citato art. 193 che stabilisce invece come
in caso di superamento dei 30 giorni sia il detentore dei
rifiuti a dover conferire, a propri costi e spese, i rifiuti
a terzi autorizzati al trattamento.
Rifiuti della Campania. Forte della delega conferitagli
dall'articolo 188-ter comma 3 del dlgs 152/06, il
Minambiente con il nuovo regolamento provvede a individuare
le «ulteriori categorie cui è necessario estendere il
sistema di tracciabilità», allargando l'obbligo di adesione
già operativo per Comuni e imprese di trasporto di rifiuti
«urbani» della Regione Campania a tutti gli enti e le
imprese che effettuano raccolta, recupero e smaltimento dei
medesimi rifiuti sullo stesso territorio (così anticipando
un onere che dal 30.06.2014, previa adozione di
specifico dm Ambiente, ricadrà su tutti gli analoghi
soggetti delle altre Regioni).
Sempre in base al nuovo dm,
se i rifiuti campani varcano i confini regionali, è obbligo
del gestore dell'impianto di destinazione (attualmente non
obbligato al tracciamento telematico per gli «urbani»)
controfirmare la scheda Sistri all'atto della accettazione
presso la propria struttura (evidentemente intendendo la
copia cartacea della «Scheda movimentazione» che deve
accompagnare il trasporto dei residui).
---------------
Nuove regole approvate con riserva dal mondo delle imprese.
Le criticità non scompaiono.
Oneri e costi ancora nel mirino.
Le nuove regole del Sistri trovano una sostanziale
approvazione dal mondo delle aziende, pur con una serie di
distinguo e in attesa di capire se le enunciazioni normative
si trasformeranno in realtà.
Da Rete Imprese Italia arriva un plauso all'esclusione
dall'obbligo di adesione al sistema telematico per le
imprese con meno di dieci dipendenti. «Il decreto firmato
dal ministro Galletti cancella l'assurda equiparazione negli
adempimenti sui rifiuti tra un piccolo artigiano o
commerciante e un'impresa di maggiori dimensioni», spiegano
dall'associazione. «Adesso, però, occorre proseguire verso
il superamento dell'attuale sistema di tracciabilità, che
complica inutilmente l'attività delle imprese, in particolar
modo quelle del trasporto e della gestione dei rifiuti».
Rete Imprese Italia conferma, poi, le critiche già espresse
in passato relativamente ad alcuni aspetti del Sistri, tra
cui l'interoperabilità, «che ha dimostrato troppe criticità
e inefficienze. Il sistema è scarsamente trasparente, ed è
causa di pesanti e onerosi adempimenti per le imprese. Per
questo auspichiamo nel prossimo incontro di poter affrontare
una volta per tutte la questione Sistri nella sua interezza,
a cominciare dall'esclusione anche per i piccoli
trasportatori e i piccoli gestori».
Il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, parlando
a nome della platea di artigiani, chiede di andare oltre,
«rottamando definitivamente il Sistri che, in questi anni, a
300 mila imprese italiane è costato 250 milioni a fronte di
un sistema che non ha mai funzionato».
La Cna accoglie positivamente il nuovo decreto, parlando di
«una bella notizia per decine di migliaia di piccole
imprese. Finalmente il Governo accoglie uno dei temi della
nostra lunga mobilitazione sul Sistri», spiegano
dall'associazione, «e cioè che non possono essere messe di
fronte agli stessi obblighi di tracciabilità dei rifiuti
un'estetista e un'industria siderurgica». Anche in questo
caso il plauso va al titolare del dicastero dell'Ambiente,
che dal suo insediamento si era impegnato per escludere
dagli obblighi normativi le piccole imprese. «Il ministro
Galletti ha mantenuto gli impegni senza esitare», commentano
dalla Cna. «È una esplicita conferma che l'intero impianto
del Sistri deve essere superato e riformato. Per le altre
imprese che restano obbligate al sistema, tra cui anche i
piccoli trasportatori e i piccoli gestori, permangono
infatti complicazioni pesanti e costi inutili che sopportano
dal primo giorno di applicazione del sistema». Da qui la
proposta di ridefinire l'intero impianto normativo, in modo
da arrivare, «dopo un'adeguata sperimentazione, a un sistema
integrato di tracciabilità dei rifiuti pericolosi efficace,
efficiente e semplice».
Tornando alle esclusioni, Agrinsieme (Confagricoltura, Cia e
Alleanza nazionale delle cooperative) accoglie positivamente
l'esonero delle aziende agricole. «Il decreto ha giustamente
tenuto in considerazione le peculiarità del nostro settore e
il suo carattere marginale nella produzione di rifiuti
pericolosi, escludendo le imprese agricole sia per
dimensione e valorizzando al contempo i sistemi di raccolta
attuati con i circuiti organizzati di raccolta», commenta il
coordinatore Mario Guidi.
«È un provvedimento che va nella
direzione fortemente sostenuta da Agrinsieme di una
semplificazione del carico burocratico gravante sulle
imprese agricole, che non si sentono per questo esentate
dalla tracciabilità dei rifiuti e dalla loro corretta
gestione». Guidi insiste sul punto, sottolineando che il
comparto agricolo «non si esime dalla tracciabilità dei
rifiuti, ma ha la necessità che la stessa sia adattata alle
esigenze operative dell'attività». Il cartello di
associazioni accoglie la mossa del Governo come un primo
passo «nell'opera di semplificazione promessa. L'augurio è
che venga seguita, nell'immediato futuro, da provvedimenti
analoghi relativi agli altri adempimenti amministrativi che
le aziende agricole devono affrontare nella loro attività
quotidiana».
A completare il quadro è l'opinione di Conftrasporto, con il
responsabile del settore rifiuti, Maurizio Quintaiè, che
ricorda come la confederazione sia stata sempre favorevole a
un sistema telematico di tracciabilità dei rifiuti, a patto
che «sia economico e di rapido utilizzo, in modo da essere
efficace per combattere le ecomafie e la malavita
organizzata nel mondo della movimentazione e dello
smaltimento dei rifiuti». L'esperto ricorda che, per
funzionare, «questo sistema deve essere attuato sia dai
vettori italiani, che dagli esteri che operano in Italia».
Una precisazione dettata dalla volontà di far emergere i
limiti del nuovo decreto nella misura in cui si restringe il
raggio di azione del Sistri ai soli rifiuti speciali
pericolosi (circa il 10% di tutti quelli movimentati) e si
limita l'obbligo alle aziende con oltre dieci dipendenti.
«Questa combinazione di elementi determina una forte
limitazione della finalità di controllo del sistema
telematico», spiega Quintaiè, «oltre che una confusione tra
chi deve tracciare i rifiuti in modo cartaceo (con il
formulario di trasporto, i registri di carico e scarico e il
Mud annuale) e chi invece è soggetto alla tracciabilità
informatica degli stessi. Senza dimenticare l'aggravio per i
vettori specializzati, che dovranno operare con entrambi i
sistemi: quello cartaceo per i clienti non soggetti a Sistri
e quello informatico per gli altri», conclude.
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I piccoli produttori ora possono scegliere se aderire o meno.
Stretta l'uscita dal tracciamento telematico per enti e
imprese in base al nuovo dm Ambiente solo «facoltizzati» al
Sistri, novero che abbraccia i produttori iniziali di
rifiuti speciali pericolosi (ex articolo 184, comma 3,
lettere a, b, c, d, e, f ed h, del dlgs 152/2006) che non
superano i 10 dipendenti e le imprese agricole che,
indifferentemente dall'organico, immettono i propri analoghi
rifiuti in un circuito organizzato di raccolta.
In primo luogo, per tali soggetti il Sistri resta infatti un
obbligo nel caso in cui oltre alla produzione dei rifiuti
essi intendano procedere in prima persona anche allo
«stoccaggio» ex art. 183, comma 1, lettera aa) del dlgs
152/06, ossia al «deposito preliminare» (allo smaltimento) o
alla «messa in riserva» (preliminare al recupero), vere e
proprie operazioni di gestione di rifiuti. Ancora, la
mancata adesione (volontaria) al Sistri comporta per i
medesimi soggetti l'obbligo di tracciamento tradizionale dei
propri rifiuti speciali pericolosi. Obbligo, confermato dal
nuovo Dm, che in alcuni casi vedrà anche allargato il
proprio campo di applicazione.
Si ricorda infatti che in
base al nuovo art. 190, dlgs 152/2006 introdotto dal dlgs
205/2010 e legge 125/2013, l'obbligo di registri di carico e
scarico riguarderà tutti gli imprenditori agricoli
produttori di rifiuti speciali pericolosi, sebbene mediante
una modalità semplificata coincidente con la conservazione
progressiva per tre anni: del formulario di trasporto dei
rifiuti o della copia della scheda Sistri; nel caso di
conferimento a circuito organizzato, del documento
rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta. Nuove
regole la cui applicazione il dm Ambiente appare invocare
fin da subito (laddove nell'art. 1 richiama i soggetti in
questione al rispetto de «gli obblighi relativi alla tenuta
dei registri di carico e scarico e del formulario di
identificazione di cui agli articoli 190 e 193 dlgs n. 15/2006
e successive modificazioni cd integrazioni»), ma la cui
operatività è dalla legge 125/2013 e dal dl 150/2013) fatta
slittare al 01.01.2015.
Contributo 2014. Il termine ultimo per il pagamento da parte
dei soggetti iscritti del contributo per la copertura degli
oneri derivanti da costituzione e funzionamento del Sistri è
dal nuovo Dm, ma solo per l'anno in corso, prorogato dal 30
aprile al 30.06.2014. E sulla natura di tale contributo,
evidentemente corrisposto anche dai soggetti che in base al
nuovo regolamento del Minambiente non sono più obbligati al
Sistri, val la pena ricordare come dal verbale della seduta
16.05.2012 della Commissione parlamentare d'inchiesta
sui rifiuti risulti che lo stesso Dicastero abbia dichiarato
che il «Sistri non è concepito come un servizio, ma come un
obbligo di natura amministrativa al quale corrisponde un
costo per l'operatore. Da questo punto di vista,
l'Avvocatura dello Stato, a fronte di una richiesta circa la
possibilità di sospendere il contributo, ha affermato che
non esistono le condizioni, che la legge non lega il
contributo alla prestazione».
Regime transitorio Sistri. In base all'attuale quadro
normativo riformulato dal dl 101/2013 occorre infine
sottolineare come fino al prossimo 31.12.2014 sia
vigente un particolare regime transitorio che da un lato
sospende l'applicazione delle sanzioni per le violazioni
Sistri e dall'altro imponga ai soggetti interessati dal
tracciamento telematico di continuare a osservare (dietro
minaccia delle relative sanzioni ex dlgs 152/2006) le
tradizionali regole di tracciamento telematico sostituite da
registri di carico/scarico, formulario di trasporto e Mud
(da effettuarsi dunque anche nel 2015) (articolo ItaliaOggi
Sette del 05.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Climatizzatori al check-up.
Da giugno libretto unico per caldaie e condizionatori. Nuova veste ai documenti che certificano l'efficienza degli
impianti in case e uffici.
Dal 01.06.2014 gli impianti termici di uffici, aziende e
abitazione dovranno essere muniti del nuovo libretto unico.
Sempre dalla stessa data il libretto diventerà obbligatorio
anche per i dispositivi di climatizzazione estiva. Rispetto
al passato, il nuovo libretto non sarà suddiviso in due
modelli (libretti di centrale e l'altro di impianto), ma
sarà rappresentato da un unico libretto, composto da tante
schede, utilizzabili in funzione delle apparecchiature
componenti l'impianto.
Nel nuovo libretto sarà possibile
indicare la presenza sia dell'impianto termico (di qualsiasi
potenza) sia dell'impianto di climatizzazione estiva.
Quindi, a partire dal 1° giugno cambierà il volto dei
documenti che certificano l'efficienza degli impianti
installati in ufficio, in azienda o in casa.
È con il dm 10.02.2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
07.03.2014 n. 55) che sono stati definiti i nuovi modelli di
libretto di impianto per la climatizzazione e di rapporto di
efficienza energetica.
Gli impianti termici sono
dispositivi tecnologici destinati alla climatizzazione
estiva e invernale degli ambienti con o senza produzione di
acqua calda per usi igienici e sanitari o alla sola
produzione centralizzata di acqua calda per gli stessi usi,
comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione
e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolazione
e di controllo. Sono compresi negli impianti termici gli
impianti individuali di riscaldamento, mentre non sono
considerati impianti termici i caminetti e gli scaldacqua
unifamiliari.
Il provvedimento consentirà nel tempo di
contenere i consumi di energia negli edifici per effetto
dell'ampliamento della platea degli impianti da sottoporre a
verifica e controllo dell'efficienza energetica e di avere
un quadro sempre aggiornato su caratteristiche e dimensioni
del parco nazionale degli impianti per la climatizzazione
invernale ed estiva.
Le peculiarità del libretto. Il libretto di impianto per gli
impianti di climatizzazione invernale e/o estiva sarà
disponibile in forma cartacea o elettronica. Nel primo caso
verrà conservato dal responsabile dell'impianto o eventuale
terzo responsabile, che ne curerà l'aggiornamento dove
previsto o mettendolo a disposizione degli operatori di
volta in volta interessati. Il libretto di impianto
elettronico sarà conservato presso il catasto informatico
dell'autorità competente o presso altro catasto accessibile
all'autorità competente, e verrà aggiornato di volta in
volta dagli operatori interessati, che potranno accedere
mediante una password personale al libretto.
Il libretto di impianto sarà obbligatorio per tutti gli
impianti di climatizzazione invernale e/o estiva,
indipendentemente dalla loro potenza termica, sia esistenti
che di nuova installazione. Se un edificio sarà servito da
due impianti distinti, uno per la climatizzazione invernale
e uno per la climatizzazione estiva, che in comune hanno
soltanto il sistema di rilevazione delle temperature nei
locali riscaldati e raffreddati, saranno necessari due
libretti di impianto distinti. In tutti gli altri casi sarà
sufficiente un solo libretto di impianto.
Compilazione libretto unico. Il libretto dovrà essere
compilato per la prima volta dall'installatore, quando verrà
messo in funzione l'impianto e poi aggiornato dal
responsabile o dal manutentore.
Dal 01.06.2014 spetterà direttamente al responsabile
dell'impianto (che nei piccoli impianti è l'utente, in
condominio è l'amministratore o la ditta abilitata da questi
delegata) recepire il nuovo modello, trascrivere sulla prima
pagina i dati identificativi dell'impianto e poi
consegnarlo, al momento del controllo, al manutentore per
l'aggiornamento dell'impianto.
Rapporto efficienza energetica. Dal 01.06.2014 dovranno
essere utilizzati i nuovi modelli per il rapporto di
efficienza energetica. Quattro sono le tipologie di
rapporto:
• controllo di efficienza energetica tipo 1 - gruppi termici;
• controllo di efficienza energetica tipo 1 - gruppi frigo;
• controllo di efficienza energetica tipo 1 - scambiatori;
• controllo di efficienza energetica tipo 1 - cogeneratore.
Il rapporto di efficienza energetica si compilerà per gli
impianti termici di climatizzazione invernale di potenza
utile nominale maggiore di 10 kW e di climatizzazione estiva
di potenza utile nominale maggiore di 12 kW, con o senza
produzione di acqua calda sanitaria (articolo ItaliaOggi Sette
del 05.05.2014). |
APPALTI: La stazione appaltante può rinnovare l'accordo.
La direttiva europea 24/2014 e le pronunce dei giudici
amministrativi.
Riabilitata la possibilità della stazione appaltante di
rinnovare il contratto d'appalto. La
DIRETTIVA 2014/24/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO del 26.02.2014
dedicata agli appalti pubblici che abroga la direttiva
18/2004, di recente pubblicazione sulla G.U.U.E. del 28.03.2014, tra le rilevanti novità in tema di appalti
ribadisce, così come già l'articolo 9 della direttiva
abrogata e l'articolo 29 del codice degli appalti, la
possibilità per la stazione appaltante di prevedere il
rinnovo del contratto.
È noto che la previsione ha determinato un forte dibattito
in dottrina e in giurisprudenza sulla querelle se la
disposizione legittimasse o meno il cosiddetto rinnovo
espresso previsto nel bando di gara compreso nella base
d'asta.
La nuova direttiva n. 24/2014 reitera il richiamo,
nell'articolo 5, ma in modo differente rispetto alla
pregressa normativa, secondo una formulazione che appare
coerente con la giurisprudenza domestica che, in tempi
recenti, si è espressa per la legittimità della proroga del
contratto se prevista negli atti di gara.
L'articolo 5 della nuova direttiva, a differenza
dell'articolo 9 citato, non si limita a richiamare l'opzione
o il rinnovo rammentando la necessità che il relativo costo
venga compreso nella base d'asta onde evitare violazioni del
diritto comunitario, ma risulta totalmente riformulato.
In particolare, il testo del primo comma, primo periodo,
dell'articolo 5, statuisce che la base d'asta, al netto
dell'Iva, deve comprendere le eventuali opzioni «e rinnovi
eventuali dei contratti come esplicitamente stabilito nei
documenti di gara».
Quindi, a differenza del pregressa disposizione (e di quella
attuale del codice degli appalti), la più recente previsione
è sicuramente più esplicita nell'ammettere la possibilità
del prolungamento del contratto a condizione che la sua
stessa disciplina, oltre che previsione, venga
esplicitamente fissata nei documenti di gara.
Dal tenore letterale pertanto, il legislatore comunitario
sembra rimettere alla stazione appaltante la possibilità di
valutare la decisione di avvalersi del rinnovo fissandone il
modus operandi, in ossequio ai principi di trasparenza e par
condicio, nella legge speciale di gara.
In questo senso, come annotato, la formulazione della
prescrizione appare perfettamente coerente e in linea con la
recente, e probabilmente ormai maggioritaria giurisprudenza
che ammette forme di prosecuzione del contratto se risultano
già stabilite ab origine del procedimento amministrativo di
aggiudicazione e quindi chiaramente preannunciate nel bando
di gara o atto omologo.
In questo senso, in tempi recenti, il consiglio di stato,
sez. III, che con la pronuncia del 28.02.2014 n. 942
ha puntualizzato, che non deve ritenersi «illegittima la
clausola, conosciuta e accettata da tutti i partecipanti
alla gara, che ha formato oggetto dell'insieme di regole
sulle quali si era svolto il confronto concorrenziale tra le
imprese, nel rispetto dei principi di trasparenza e
concorrenza» in modo che tutti i partecipanti abbiano
«potuto formulare le proprie offerte tenendo conto della
possibilità del prolungamento della durata del contratto».
Gli stessi giudici, con sentenza del n. 3580/2013, in modo
anche più chiaro avevano già statuito che «allorché la
possibilità della proroga contrattuale sia resa nota ai
concorrenti sin dall'inizio delle operazioni di gara,
cosicché ognuno possa formulare le proprie offerte in
considerazione della durata eventuale del contratto, nessuna
lesione dell'interesse pubblico alla scelta del miglior
contraente è possibile riscontrare, né alcuna lesione
dell'interesse generale alla libera concorrenza, essendo la
fattispecie del tutto analoga, dal punto di vista della
tutela della concorrenza, a quella nella quale si
troverebbero le parti contraenti nell'ipotesi in cui
l'azienda avesse operato, ab initio, una scelta “secca”
per la più lunga durata del contratto» (articolo ItaliaOggi Sette del
05.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lavori esterni, titoli su quattro livelli.
Dalla comunicazione semplice al Comune al permesso di
costruire l'iter corretto da seguire.
Permessi edilizi. La procedura per gli interventi in
giardino o sulle facciate esterne dell'immobile alla luce
delle ultime pronunce dei giudici.
Con l'arrivo della
stagione calda si programma la realizzazione di interventi
di sistemazione esterna alla propria abitazione, come tende
parasole e tettoie, il rifacimento di pavimentazioni e
recinzioni, o l'installazione nel giardino di pergolati,
gazebo o casette per attrezzi.
Molti di questi interventi non possono essere eseguiti
liberamente: è necessaria una preventiva comunicazione o
l'acquisizione di un titolo abilitativo, se comportano una
permanente trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, essendo riconducibili agli "interventi di nuova
costruzione" previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera e.5)
del Testo unico edilizia Dpr 380/1001. Nel concetto di nuova
costruzione rientra infatti anche «l'installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, che
siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure
come depositi, magazzini e simili». Sempreché non siano
volti «a soddisfare esigenze meramente temporanee» ed anche
nel caso in cui siano installati «con temporaneo ancoraggio
al suolo».
Alla legislazione regionale ed alla regolamentazione
comunale, ai sensi dell'articolo 10 del Tu, viene lasciato
il compito di individuare per quali interventi sarà
necessario il permesso di costruire, quali sono assoggettati
a denuncia di inizio attività (Dia) o segnalazione
certificata di inizio attività (Scia) e quali potranno
essere eseguiti con una comunicazione di inizio lavori
semplice o asseverata da un tecnico abilitato, in relazione
alle varie ipotesi previste dall'articolo 6, comma 2, del
Tu.
La giurisprudenza
Una recente pronuncia del Tar Campania-Napoli (sezione VIII,
10.02.2014, n. 971), nell'occuparsi della
realizzazione di un gazebo in assenza di permesso di
costruire, ha affermato la non necessità del titolo stante
le sue ridotte dimensioni rispetto alla superficie totale
dell'immobile, la circostanza che il manufatto fosse solo
appoggiato al suolo e non stabilmente ancorato ed il fatto
che fosse totalmente aperto sui lati, così da non
determinare la creazione di volumi.
La pronuncia contiene anche una sintesi dei principi
giurisprudenziali in materia di piccoli interventi esterni,
rilevando come non sia necessario un titolo abilitativo ogni
qualvolta le opere consistano nella installazione di tettoie
o di altre strutture apposte a parti di preesistenti edifici
come accessori di protezione o di riparo di spazi liberi.
Queste non necessitano del permesso di costruire se «la loro
conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente
e riconoscibile la finalità di semplice decoro o arredo o di
riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della
parte dell'immobile cui accedono».
Per i giudici campani è invece necessario il permesso di
costruire ove si sia in presenza di un'evidente
trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le
opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie
sotto il profilo funzionale, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in laminati di
plastica,in legno o altro materiale.
Operazione preliminare sarà quindi quella di verificare che
l'opera che si intende realizzare comporti una stabile
trasformazione dello stato dei luoghi (Tar Toscana,
n. 843/2012; Tar Liguria, n. 1015/2011), oppure abbia natura
temporanea, magari perché installata per il solo periodo
estivo, (Consiglio di Stato, n. 3683/2011), se sia o meno
stabilmente ancorata al suolo (Cassazione penale, sezione III, n. 36594/2012), se sia di notevoli dimensioni (Tar
Basilicata n. 307/2011) o determini un forte impatto visivo
(Consiglio di Stato, n. 4318/2012). Non va infine trascurato
che per nuova costruzione si intendono non solo i manufatti
che si elevano al di sopra del suolo, ma anche quelli in
tutto o in parte interrati che comunque trasformano
durevolmente l'area impegnata, come nel caso della
realizzazione di una piscina (Cassazione penale, sezione III,
n. 39067/2009).
Sarà comunque opportuno consultare il regolamento edilizio
sul sito istituzionale del Comune competente per territorio,
dove devono essere riportate anche tutte le informazioni
relative all'assetto urbanistico-edilizio del territorio e
l'elenco della documentazione necessaria che l'interessato
deve produrre per ottenere il provvedimento richiesto e la
modulistica.
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Tutela del paesaggio. Controlli raddoppiati.
Autorizzazione per le aree vincolate.
Prima di programmare
interventi in giardino o comunque all'esterno della propria
abitazione una verifica da effettuare sarà quella sulla
presenza di eventuali vincoli, in particolare quelli di
natura paesaggistica o storico artistica, per ottenere la
necessaria autorizzazione ed evitare di incorrere in
violazioni anche penalmente sanzionabili.
Anche gli interventi di modesta entità, per i quali non è
necessario un titolo abilitativo ai fini edilizi, devono
essere prima autorizzati se effettuati su immobili ricadenti
in aree assoggettate a tutela paesaggistica. La normativa di
riferimento è costituita dal Dpr 139/2010, che disciplina il
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica
per le varie opere indicate nel relativo Allegato 1. Tra
queste rientrano:
- la realizzazione di "tettoie, porticati, chioschi da
giardino e manufatti consimili aperti su più lati, aventi
una superficie non superiore a 30 mq.";
- la costruzione o la modifica di cancelli, recinzioni, muri
di contenimento del terreno e muri di cinta esistenti senza
incrementi di altezza;
- l'installazione di impianti tecnologici esterni per uso
domestico autonomo, come condizionatori e impianti di
climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole,
antenne, nonché pannelli solari, termici e fotovoltaici fino
ad una superficie di 25 mq;
- gli interventi realizzati su pertinenze di edifici
esistenti, quali pavimentazioni, accessi pedonali e
carrabili di larghezza non superiore a 4 m, modellazioni del
suolo, rampe o arredi fissi.
L'istanza va presentata, preferibilmente in via telematica,
all'amministrazione competente individuata in ciascuna
regione (può essere lo stesso Comune) insieme con una
relazione paesaggistica semplificata, redatta da un tecnico
abilitato. Se l'autorità preposta al rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica non ha anche competenza in
materia urbanistica ed edilizia, l'istanza andrà corredata
dall'attestazione del Comune territorialmente competente di
conformità dell'intervento alle prescrizioni
urbanistico-edilizie. In caso di intervento assoggettato a
Dia/Scia, l'attestazione sarà sostituita con le
asseverazioni previste dall'articolo 23 del Dpr 380/2001.
Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda,
l'amministrazione verifica preliminarmente la conformità
dell'intervento progettato alla disciplina
urbanistico-edilizia, ove ne abbia la competenza, oppure
verifica l'attestazione di conformità urbanistica rilasciata
dal Comune o l'asseverazione del professionista. In caso di
difformità la domanda di autorizzazione paesaggistica sarà
dichiarata improcedibile. In caso di verifica positiva
l'amministrazione valuta, entro lo stesso termine, la
conformità dell'intervento alle prescrizioni d'uso contenute
nel piano paesaggistico o nella dichiarazione di pubblico
interesse o nel provvedimento di integrazione del vincolo,
oppure la sua compatibilità con i valori paesaggistici
presenti nel contesto di riferimento.
Se ritiene l'intervento compatibile, l'amministrazione
trasmette una "motivata proposta di accoglimento della
domanda" alla Soprintendenza, che nei successivi venticinque
giorni esprime il proprio parere, non vincolante solo se
l'area interessata è già assoggettata a specifiche
prescrizioni d'uso del paesaggio. In caso di parere
positivo, nei successivi cinque giorni l'amministrazione
rilascia l'autorizzazione e, se competente, il titolo
abilitativo. Se non sorgono problemi, l'intero iter dovrebbe
durare 60 giorni.
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In condominio. Il rispetto delle parti comuni.
Limiti da assemblea e regolamento.
Per l'immobile in
condominio (dall'appartamento alla villetta a schiera, alla
bifamiliare), prima di effettuare opere nel giardino o
comunque in spazi esterni occorre accertarsi che nel
regolamento contrattuale non vi siano espliciti divieti. Le
previsioni negoziali in esso contenute sono infatti
costitutive di un vincolo assimilabile ad una servitù
reciproca (Cassazione, sentenza 18.01.2011 n. 1064).
Eventuali divieti devono essere formulati in modo espresso o
comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine
d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative
disposizioni. Non è nemmeno possibile dar luogo ad
un'interpretazione estensiva delle norme (Cassazione, 20.07.2009 n. 16832).
Chi effettua opere nella porzione a lui assegnata deve
curare che esse non rechino danno alle parti comuni ovvero
determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al
decoro architettonico dell'edificio. Per quanto attiene alle
prime tre voci occorrerà, eventualmente, una relazione
peritale che vada ad attestare l'assenza di pregiudizi. Per
quanto attiene invece al decoro, esso è inteso quale
estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture
ornamentali che costituiscono la nota dominante
dell'edificio, imprimendo allo stesso una sua armoniosa
fisionomia. Va valutato con riferimento al fabbricato
condominiale nella sua totalità e non rispetto all'impatto
con l'ambiente circostante (Cassazione, sentenza 25.01.2010 n 1286). Stabilire se un'innovazione determini o no
alterazione del decoro architettonico si risolve in un
apprezzamento discrezionale demandato al giudice
(Cassazione, 13.05.2011 n. 10684). Ma il regolamento
contrattuale può dare una definizione più rigorosa del
decoro.
In ogni caso, ai sensi dell'articolo 1122 Codice civile,
dopo la riforma del condominio (legge 220/2012 in vigore dal
giugno scorso), deve essere data preventiva notizia
all'amministratore degli interventi. Questi deve convocare
l'assemblea in modo da mettere i condòmini in condizione di
valutare la legittimità delle opere. L'assemblea non sarà
quindi chiamata a dare l'assenso ma, nel caso in cui
ritenesse il pregiudizio, potrà rivolgersi al giudice.
È espressamente consentita dall'articolo 1122-bis Codice
civile, l'installazione di impianti per la produzione di
energia da fonti rinnovabili sulle parti di proprietà
individuale dell'interessato. Qualora si rendano comunque
necessarie modifiche delle parti comuni, l'interessato ne dà
comunicazione all'amministratore indicando il contenuto
specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.
L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza degli
intervenuti e almeno 2/3 dei millesimi, adeguate modalità
alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia
della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico
dell'edificio.
Per quanto attiene alle distanze legali va precisato che
queste, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra
proprietà contigue e separate, sono applicabili anche nei
rapporti tra i condòmini quando siano compatibili con
l'applicazione delle norme particolari relative alle cose
comuni, cioè quando l'applicazione di queste ultime non sia
in contrasto con le prime. Nell'ipotesi di contrasto
prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che
nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo
condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione
rispetto alle prime (Cassazione, sentenza 25.10.2011,
n. 22092) (articolo Il Sole 24 Ore del
05.05.2014). |
TRIBUTI:
Tasi con acconto boomerang.
Sugli altri immobili rischio di versamenti con successivo
rimborso.
Fisco. Se l'aliquota non è fissata entro il 31 maggio,
l'acconto del 16 giugno va pagato sui parametri standard.
La legge di conversione
del Dl 16/2014 non risolve i problemi della Tasi, che resta
la componente più critica della nuova Iuc (imposta unica
comunale), e finisce per rendere ancora più complessa la sua
applicazione. A partire dal pagamento per il 2014, che viene
disciplinato in maniera differenziata: le abitazioni
principali devono versare la Tasi in unica soluzione entro
il 16 dicembre, tutti gli altri immobili pagano invece
l'acconto a giugno con l'aliquota base dell'1 per mille.
Fatta salva la diversa decisione dei Comuni, ma in tal caso
la delibera deve essere inviata al dipartimento delle
Finanze entro il 23 maggio. Termine piuttosto ristretto se
si considera che i sindaci hanno ancora tre mesi di tempo
per chiudere i bilanci e decidere come azionare la leva
fiscale sugli immobili, vista anche la complementarietà con
l'Imu sulle aliquote complessivamente applicabili. Ancora
più critica appare la scelta per gli oltre 4mila comuni che
vanno al voto il 25 maggio (su cui si veda il servizio a
pagina 8) e che possono adottare solo atti urgenti e
improrogabili. L'operazione sarebbe formalmente legittima
perché si tratta di rispettare un termine di legge, ma di
fatto finirebbe per condizionare la nuova amministrazione,
quindi è difficile che i sindaci uscenti portino in
consiglio la delibera sulle aliquote Tasi.
In molti Comuni scatterà così il sistema previsto dalla
legge di conversione del Dl 16/2014, foriera di
complicazioni con particolare riferimento agli immobili
diversi dalle abitazioni principali, tutti soggetti al
pagamento dell'acconto compresi quelli che non dovrebbero
corrispondere nulla. Ad esempio: il Comune ha l'aliquota Imu
al massimo e quindi non ha più margini per introdurre la
Tasi sulle seconde case, e intende far pagare la Tasi solo
alle prime case oppure vuole azzerare l'aliquota per
specifiche tipologie di immobili. I problemi peraltro non
riguardano solo i contribuenti ma anche i Comuni, che si
troveranno a gestire una marea di richieste di rimborso.
Inoltre il legislatore non ha tenuto conto che la Tasi va
pagata anche dall'occupante, nella misura compresa tra il 10
e il 30% da stabilire con regolamento comunale; in assenza
del quale verranno di fatto a mancare le condizioni per
effettuare il pagamento dell'acconto, non potendo peraltro
pretendere che il proprietario versi anche la quota
dell'inquilino trattandosi di due obbligazioni tributarie
autonome.
Resta da sciogliere anche il nodo dei bollettini Tasi
precompilati che i Comuni dovrebbero inviare ai
contribuenti, operazione che si rivela complessa se non
proprio di scarsa utilità per mancanza di dati ed
informazioni sugli occupanti degli immobili. Sul punto è
difficile ipotizzare un chiarimento da parte del Governo,
dopo l'annuncio sull'invio della dichiarazione dei redditi a
casa dei contribuenti dal 2015.
La legge di conversione del
Dl 16 contiene tuttavia alcuni elementi che fanno propendere
per l'autoliquidazione della Tasi: 1) l'indicazione delle
stesse date di versamento dell'Imu; 2) l'utilizzo del canale
esclusivo di pagamento a mezzo F24; 3) l'aliquota dell'1 per
mille che il contribuente deve utilizzare per l'acconto di
giugno, nel caso di mancata adozione dei provvedimenti
comunali. Si attende ora una conferma ufficiale del
Ministero con il decreto di adozione del bollettino di
versamento (articolo Il Sole 24 Ore del
05.05.2014). |
TRIBUTI:
Sulla Tari l'esonero è obbligatorio. Igiene ambientale. L'ultima versione.
La legge di conversione
del decreto «salva-Roma» ter porta con sé l'ennesimo
dietro-front del legislatore sul regime di tassazione delle
superfici produttive di rifiuti assimilati avviati al
recupero. Una norma che interessa da vicino migliaia di
imprese, e che rischia nella sua versione attuale di creare
non pochi problemi sia ai contribuenti sia ai Comuni. La
soluzione adottata, in pratica, finisce purtroppo per creare
più problemi di quelli che intendeva risolvere.
All'origine di tutto c'è il contrasto tra il comma 649 e il
comma 661 della legge di stabilità 2014: il primo attribuiva
ai Comuni la facoltà di ridurre la parte variabile della
Tari in proporzione ai rifiuti assimilati che i produttori
dimostrino di avviare al recupero, mentre il secondo
imponeva tout court l'abbattimento del prelievo.
Con circolare del 13/02/2014 il ministero dell'Ambiente
ritiene prevalente il comma 649, anche per evitare aumenti
di tariffe per tutti gli altri contribuenti, ma un mese dopo
il Dl 16/2014 aderisce alla tesi contraria lasciando in vita
solo il comma 661. Disposizione che in realtà non prevede un
esonero tout court ma una non debenza della Tari rapportata
alla percentuale degli assimilati avviati al recupero
rispetto al totale dei rifiuti, sistema però di difficile
gestione e a rischio contenzioso.
Si arriva così al giro di boa con la legge di conversione
del Dl 16/2014, che elimina il comma 661 e modifica il comma
649 reintroducendo la riduzione della quota variabile del
tributo per le superfici che producono rifiuti assimilati
avviati al riciclo. La nuova versione introduce due novità:
l'obbligatorietà della riduzione (non più facoltativa) e il
riferimento al riciclo anziché al recupero.
Il legislatore però non si ferma alla riduzione ma integra
il comma 649 demandando ai Comuni l'individuazione delle
«aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i
magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed
esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività
produttive, ai quali si estende il divieto di
assimilazione».
In sostanza il Comune dovrebbe stabilire l'esonero dalla
Tari per depositi e magazzini delle attività produttive,
esattamente il contrario di quanto affermato dalla
Cassazione negli ultimi venti anni (tra le tante, si possono
citare le decisioni 1242/1996, 12749/2002, 15857/2005, 4569/2010,
11503/2013).
Peraltro la norma non si esprime in termini di mera facoltà
per l'ente, come si evince dal verbo indicativo presente "individua"
(cioè deve individuare), quindi le attività produttive
potrebbero pretendere l'esonero dei magazzini pur in assenza
di un'espressa previsione regolamentare
(articolo Il Sole 24 Ore del
05.05.2014). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Il tubo di scarico della caldaia sul muro di confine è
pericoloso e si applica l’art. 890 c.c..
Per costante giurisprudenza di questa
Suprema Corte il rispetto della distanza prevista per
fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 c.c.,
nella cui regolamentazione rientrano, giusta Cass.
12927/1991, anche i comignoli, è collegato ad una
presunzione assoluta di nocività o pericolosità che
prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi
sia un regolamento edilizio comunale che stabilisce la
distanza medesima, mentre in difetto di una disposizione
regolamentare si ha pur sempre una presunzione di
pericolosità, seppur relativa, che può essere superata ove
la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri
che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo
o al danno del fondo vicino.
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di "violazione
ed erronea applicazione delle norme di cui agli articoli 890
e 2697 c.c.".
Al riguardo si sottopone al vaglio di questa Corte, ai sensi
dell'art. 366-bis c.p.c., il seguente quesito: "nell'applicazione
della norma di cui all'art. 890 c.c. (con riferimento
all'art. 2697 c.c.), ai fini della distanza, la prova della
pericolosità in ordine a danni alla salubrità, salute e
sicurezza dei fondi, in mancanza di regolamenti (come nel
caso di specie), deve essere fornita dal proprietario del
fondo, che si assume soggetto a pericolo di danno o dal
proprietario del fondo che ha operato un foro sul muro
prospiciente l'altra proprietà; foro, dal quale fuoriescono
sostanze gassose quali esiti di processi di combustione di
caldaia a metano?".
Il motivo è fondato e va, quindi, accolto.
Con la decisione impugnata, dopo aver ritenuto
–correttamente- applicabile in ipotesi la norma di cui
all'art. 890 c.c., sono state svolte due decisive
affermazioni.
Si è ritenuta –innanzitutto- una sorta di equiparabilità del
"foro di areazione" (a servizio di caldaia di
riscaldamento) creato in ipotesi ad una mera "presa
d'aria come quella in questione" giacché "il foro in
questione è una presa d'aria e non uno scarico di aria".
Si è poi ritenuta insussistente la violazione dell'art. 890
c.c. poiché "l'appellante non ha mai prospettato alcun
pericolo o danno scaturente dal foro di areazione".
Entrambe le affermazioni della Corte territoriali sono
errate in fatto ed in diritto.
Il foro in questione, data la sua accertata finalità
(espellere sostanze gassose di combustione del locale
caldaia) più che una mera "presa d'aria" (così come
erroneamente ritenuto) è -cosa ben diversa- uno scarico di
aria.
Il tutto con emissioni di sostanze pericolose, almeno
potenzialmente, sotto il profilo proprio di quella "salubrità
e sicurezza", pure richiamati nell'impugnata sentenza, e
–quindi- comportanti la violazione delle distanze ai sensi
del citato art. 890 c.c..
Quanto all'aspetto della asserita "mancata prospettazione
di pericolo" deve rilevarsi che la presunzione di
nocività, ricorrente in ipotesi, non imponeva alcuna
particolare "prospettazione", comportando –viceversa-
il superamento della stessa presunzione con apposita prova
(in ispecie non fornita) dalla parte avversa interessata al
mantenimento del manufatto.
In proposito non possono che richiamarsi le note
affermazioni ribadite in più occasione da questa Corte,
secondo le quali: "per costante giurisprudenza di questa
Suprema Corte il rispetto della distanza prevista per
fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 c.c.,
nella cui regolamentazione rientrano, giusta Cass.
12927/1991, anche i comignoli, è collegato ad una
presunzione assoluta di nocività o pericolosità che
prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi
sia un regolamento edilizio comunale che stabilisce la
distanza medesima, mentre in difetto di una disposizione
regolamentare si ha pur sempre una presunzione di
pericolosità, seppur relativa, che può essere superata ove
la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri
che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo
o al danno del fondo vicino" (Cass. 06.03.2002, n. 3199)
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 08.05.2014 n. 9991 - link a
www.avvocatocassazionista.it). |
APPALTI:
Sulla ratio dell'art. 38, c. 1, lett. m-quater,
D.Lgs. n. 163/2006.
---------------
Sull'istituto dell'avvalimento.
L'eliminazione a seguito dell'introduzione, nel Codice dei
Contratti (D.Lgs. n. 163 del 2006), della lett. m-quater
dell'art. 38, della causa automatica di esclusione dalla
procedura di gara dei soggetti che si trovino tra loro in
situazione di controllo e la sua sostituzione con la
previsione della necessità di procedere al controllo, caso
per caso ed in concreto, attraverso la verifica
dell'imputabilità delle offerte ad un unico centro
decisionale, dell'effettività della lesione dei fini che si
intendono tutelare, ovvero la garanzia della concorrenza e
della leale competizione, pone in evidenza la stretta
finalizzazione della previsione dell'esclusione del
concorrente con l'effettività della lesione del bene
tutelato.
Tale stretta interrelazione tra fattispecie escludente e
lesione del principio della libera concorrenza, consente di
valorizzar il riferimento, nel caso di specie, contenuto
nella citata norma, alla 'medesima procedura di
affidamento'. Ed invero, se la ratio della norma
in esame risiede nell'esigenza di garantire un'effettiva e
leale competizione tra gli operatori economici attraverso
l'imposizione di un limite alla partecipazione alle gare a
tutte quelle imprese le cui offerte si rivelino in concreto
espressione di un unico centro decisionale, e quindi, come
tali, idonee a condizionare il confronto concorrenziale, è
evidente che la mancanza di autonomia nella formulazione
delle offerte può assumere rilievo, ai fini concorrenziali
al cui presidio la norma è rivolta, unicamente nelle ipotesi
in cui le offerte, provenienti da un unico centro
decisionale, siano volte ad ottenere l'aggiudicazione della
medesima gara, essendo solo in tali casi le offerte non
formulate in modo autonomo e indipendente idonee a
falsificare il confronto concorrenziale.
La ratio della norma esclude, quindi, che possa
assumere rilievo la riconducibilità ad un unico centro
decisionale delle offerte presentate da imprese collegate o
controllate laddove le stesse partecipino a gare distinte.
In coerenza con la disciplina comunitaria secondo cui il
sistema delle gare pubbliche può funzionare solo se le
imprese partecipanti si trovano in posizione di reciproca ed
effettiva concorrenza, che deve essere riferita alla
medesima gara, la quale ha avuto riconoscimento normativo
attraverso l'introduzione, nel Codice degli appalti,
dell'art. 38, c. 1, lett. m-quater, il quale, in presenza di
una delle due fattispecie ivi considerate -situazione di
controllo o relazione di fatto di collegamento sostanziale-
prevede l'esclusione dalla gara dell'impresa previa verifica
in concreto dell'effettiva incidenza causale di tali
situazioni sull'autonomia decisionale dei soggetti
interessati, autonomia decisionale che, può assumere rilievo
solo con riferimento alla medesima procedura di gara,
potendo solo in tali casi essere alterata la concorrenza.
---------------
La disciplina in materia di avvalimento essendo rivolta a
permettere la più ampia partecipazione alle gare,
contemperando l'esigenza che la massima concorrenza sia al
contempo condizione per una efficiente e sicura esecuzione
degli appalti, consentendo quindi a soggetti che ne siano
privi di partecipare ricorrendo ai requisiti di altri
soggetti, essendo indispensabile unicamente che il primo
dimostri di poter disporre dei mezzi del secondo - il
contratto di avvalimento deve rispettare la disciplina
civilistica in tema di contenuto del contratto, con
particolare riferimento all'esistenza e alla determinatezza
dell'oggetto, con la conseguenza che occorre verificare, in
conformità alle indicazioni desumibili dall'art. 49, c. 2,
lett. f), del D.Lgs. n. 163 del 2006, se il contratto
individui in modo chiaro ed esaustivo la volontà
dell'impresa ausiliaria di impegnarsi, la natura
dell'impegno assunto per tutta la durata dell'appalto e la
concreta ed effettiva disponibilità di porre a disposizione
della concorrente i requisiti considerati.
Nella disciplina dell'avvalimento assume, difatti, valore
decisivo la dimostrazione dell'effettiva disponibilità da
parte della concorrente dei mezzi e dei requisiti offerti da
altra impresa e a tal fine l'art. 49 del D.Lgs. n. 163 del
2006 richiede che il concorrente produca: a) una sua
dichiarazione verificabile ai sensi dell'art. 48, attestante
l'avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione
alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e
dell'impresa ausiliaria, b) una dichiarazione sottoscritta
dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga
verso il concorrente e verso la stazione appaltante a
mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le
risorse necessarie di cui è carente il concorrente, c) il
contratto di avvalimento, in virtù del quale l'impresa
ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse
necessarie per tutta la durata dell'appalto.
Essendo l'istituto dell'avvalimento, sul piano delle
finalità, inteso a promuovere la concorrenza, ampliando la
platea dei possibili partecipanti alle gare indette dalle
Amministrazioni pubbliche, consentendo a imprese, di per sé
sprovviste di determinati requisiti, di fare propri quelli
ad esse prestati da altri operatori economici, il limite di
operatività dell'istituto, di per sé suscettibile di un
amplissimo campo operativo, è dato dal fatto che la messa a
disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel
prestito di un valore puramente cartolare e astratto,
essendo invece necessario che dal contratto risulti
chiaramente l'impegno dell'impresa ausiliaria a prestare le
proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte
le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di
qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali qualificanti).
Deve pertanto ritenersi insufficiente la sola e tautologica
riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della
formula legislativa della messa a disposizione delle risorse
necessarie di cui è carente il concorrente, o espressioni
equivalenti (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 08.05.2014 n. 4810 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
confinante –titolare del requisito della vicinitas– è sempre
legittimato a impugnare un atto abilitativo potenzialmente
pregiudizievole nei suoi confronti e allo stesso modo può
censurare l’atto di secondo grado che –nel riconoscere la
legittimità del titolo abilitativo– ne conferma gli effetti
(in particolare, i ricorrenti sono proprietari del terreno
sul quale insiste un fabbricato, confinante con il fondo che
ospita l'intervento contestato: essi lamentano la violazione
delle distanze di legge e dei parametri volumetrici).
Come ha di recente affermato la giurisprudenza “In siffatte
evenienze, deve ritenersi che la vicinitas, ovvero il
collegamento stabile fra l'immobile di proprietà del
ricorrente e quello di proprietà della controinteressata,
soddisfi in pieno quanto richiesto ai fini tanto della
legittimazione quanto dell'interesse al ricorso”.
In definitiva l’elemento della vicinitas, proprio perché
suscettibile di una molteplicità di contenuti correlati a
situazioni soggettive, è ex se sufficiente a conferire la
legittimazione al ricorso, tenuto conto che quest'ultimo
costituisce strumento di difesa della tipologia di zona e
dunque di tutela delle esistenti proprietà (o attività
imprenditoriali) di fronte ad opere che ne turbino
l’ordinato sviluppo.
L’eccezione è infondata, poiché il confinante –titolare del
requisito della vicinitas– è sempre legittimato a
impugnare un atto abilitativo potenzialmente pregiudizievole
nei suoi confronti e allo stesso modo può censurare l’atto
di secondo grado che –nel riconoscere la legittimità del
titolo abilitativo– ne conferma gli effetti. In particolare
i ricorrenti sono proprietari del terreno sul quale insiste
un fabbricato, confinante con il fondo che ospita
l'intervento contestato: essi lamentano la violazione delle
distanze di legge e dei parametri volumetrici.
Come ha di
recente affermato la giurisprudenza (TAR Lombardia Milano,
sez. II – 24/06/2013 n. 1622) “In siffatte evenienze,
deve ritenersi che la vicinitas, ovvero il collegamento
stabile fra l'immobile di proprietà del ricorrente e quello
di proprietà della controinteressata, soddisfi in pieno
quanto richiesto ai fini tanto della legittimazione quanto
dell'interesse al ricorso (cfr. ex multis Cons. Stato Sez.
VI, Sent., 18.04.2013, n. 2153, secondo cui la suesposta
considerazione vale tanto più nel caso in cui legittimazione
e interesse sono riferiti alla asserita violazione delle
distanze)”.
In definitiva l’elemento della vicinitas, proprio
perché suscettibile di una molteplicità di contenuti
correlati a situazioni soggettive, è ex se sufficiente a
conferire la legittimazione al ricorso, tenuto conto che
quest'ultimo costituisce strumento di difesa della tipologia
di zona e dunque di tutela delle esistenti proprietà (o
attività imprenditoriali) di fronte ad opere che ne turbino
l’ordinato sviluppo (Consiglio di Stato, sez. IV –
12/09/2007 n. 4821)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 07.05.2014 n. 481 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: (a) in base alle definizioni contenute nell’art. 3, comma
1-b-d, del DPR 06.06.2001 n. 380 (v. art. 27, comma 1-b-d,
della LR 12/2005), l’elemento che caratterizza la
ristrutturazione rispetto alla manutenzione straordinaria è
la prevalenza della finalità di trasformazione rispetto al
più limitato scopo di rinnovare e sostituire parti anche
strutturali dell’edificio.
Il rinnovamento proprio della
manutenzione straordinaria può comprendere anche
innovazioni, ossia l’introduzione di elementi che modificano
il precedente aspetto degli spazi e le relative
funzionalità, ma se le innovazioni seguono un disegno
sistematico, il cui risultato oggettivo è la creazione di un
organismo edilizio nell’insieme diverso da quello esistente,
si ricade inevitabilmente nella ristrutturazione;
(b) perché vi sia ristrutturazione non è necessario che
cambi la destinazione dei locali o che vi siano incrementi
nel volume o nella superficie (questi sono semmai indici
della ristrutturazione pesante ex art. 10, comma 1-c, del
DPR 380/2001).
La ristrutturazione presuppone soltanto che
si possa apprezzare una differenza qualitativa tra il
vecchio e il nuovo edificio;
(c) nello specifico, l’insieme delle
opere previste dal progetto rivela chiaramente la finalità
di trasformare l’edificio in questione da struttura
produttiva unitaria in agglomerato di microimprese.
Poiché cambiano profondamente sia gli spazi interni sia le
modalità di utilizzazione dell’immobile, è evidente che il
nuovo assetto dell’edificio è il prodotto di una
ristrutturazione e non di una semplice innovazione, seppure
riferita a elementi strutturali.
---------------
(d) gli oneri di urbanizzazione hanno carattere
corrispettivo, poiché compensano le spese di cui
l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e
pienamente utilizzabile un edificio nuovo o rinnovato.
Quando si verifica un cambio di destinazione d'uso, la
pretesa dell’amministrazione è limitata al costo aggiuntivo
delle urbanizzazioni per la nuova destinazione. Gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria sono commisurati
all’eventuale maggiore somma determinata in relazione alla
nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per
la destinazione precedente.
Gli oneri urbanistici sono comunque da corrispondere anche
nel caso in cui, pur non variando la destinazione
dell’edificio, venga mutato l’assetto dello stesso;
(e) nelle ipotesi in cui, a seguito di un intervento di
ristrutturazione edilizia, il nuovo organismo edilizio
recuperi l’impianto di quello precedente, senza sostituirsi
tramite demolizione e ricostruzione, ma conservando la
medesima destinazione, si ha continuità nella destinazione
sia formale (coerenza con la zonizzazione produttiva) sia
materiale (i passaggi di proprietà, pur segnando il
progressivo abbandono dell’attività insediata, non hanno
causato la perdita delle potenzialità d’uso per finalità
produttive).
In questa ipotesi, dove non cambia la destinazione ma è
comunque evidente che il nuovo assetto dell’edificio ne
consentirà un uso più intenso e quindi con maggiori costi
riflessi per la collettività, gli oneri di urbanizzazione
devono essere calcolati in modo da tenere conto soltanto
dell’incremento del carico urbanistico.
Poiché non esiste un metodo univoco, e in mancanza di una
disciplina comunale di carattere generale, è possibile
procedere in via residuale scorporando dall’importo
calcolato secondo i parametri attuali quello originariamente
versato per il medesimo titolo al momento della costruzione
dell’edificio e dei successivi ampliamenti.
Il confronto tra questi importi va fatto in base al loro
valore nominale (previa conversione in euro), perché le
somme versate a suo tempo dal privato corrispondono a opere
di urbanizzazione che l’amministrazione ha realizzato nel
medesimo periodo, mentre le nuove opere devono essere
evidentemente eseguite con i costi attuali, che non possono
essere compensati attraverso rivalutazioni virtuali.
In altri termini, più ci si allontana dalla data di
costruzione dell’edificio, minore è l’utilità delle
originarie opere di urbanizzazione, e quindi maggiore è il
contributo economico che può essere ragionevolmente chiesto
al privato quando attraverso interventi di ristrutturazione
viene aumentato il carico urbanistico.
---------------
Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono
svolgere le seguenti considerazioni:
(a) in base alle definizioni contenute nell’art. 3, comma
1-b-d, del DPR 06.06.2001 n. 380 (v. art. 27, comma 1-b-d,
della LR 12/2005), l’elemento che caratterizza la
ristrutturazione rispetto alla manutenzione straordinaria è
la prevalenza della finalità di trasformazione rispetto al
più limitato scopo di rinnovare e sostituire parti anche
strutturali dell’edificio. Il rinnovamento proprio della
manutenzione straordinaria può comprendere anche
innovazioni, ossia l’introduzione di elementi che modificano
il precedente aspetto degli spazi e le relative
funzionalità, ma se le innovazioni seguono un disegno
sistematico, il cui risultato oggettivo è la creazione di un
organismo edilizio nell’insieme diverso da quello esistente,
si ricade inevitabilmente nella ristrutturazione;
(b) perché vi sia ristrutturazione non è necessario che
cambi la destinazione dei locali o che vi siano incrementi
nel volume o nella superficie (questi sono semmai indici
della ristrutturazione pesante ex art. 10, comma 1-c, del
DPR 380/2001). La ristrutturazione presuppone soltanto che
si possa apprezzare una differenza qualitativa tra il
vecchio e il nuovo edificio;
(c) nello specifico, l’insieme delle opere previste dal
progetto rivela chiaramente la finalità di trasformare
l’edificio in questione da struttura produttiva unitaria in
agglomerato di microimprese. Poiché cambiano profondamente
sia gli spazi interni sia le modalità di utilizzazione
dell’immobile, è evidente che il nuovo assetto dell’edificio
è il prodotto di una ristrutturazione e non di una semplice
innovazione, seppure riferita a elementi strutturali;
(d) tuttavia il caso è particolare, perché il nuovo
organismo edilizio recupera l’impianto di quello precedente,
senza sostituirsi tramite demolizione e ricostruzione, e
inoltre conserva la medesima destinazione. La continuità
nella destinazione è sia formale (coerenza con la
zonizzazione produttiva) sia materiale (i passaggi di
proprietà, pur segnando il progressivo abbandono
dell’attività insediata, non hanno causato la perdita delle
potenzialità d’uso per finalità produttive);
(e) la normativa regionale (v. art. 44, comma 12, della LR
12/2005) disciplina la fattispecie della ristrutturazione
con cambio di destinazione, prevedendo che gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria siano commisurati
all’eventuale maggiore somma determinata in relazione alla
nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per
la destinazione precedente. Questa norma mette in evidenza
il carattere corrispettivo degli oneri di urbanizzazione,
che compensano le spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un
edificio nuovo o rinnovato.
Quando si verifica un cambio di
destinazione, la pretesa dell’amministrazione è limitata al
costo aggiuntivo delle urbanizzazioni per la nuova
destinazione, perché non può essere chiesto due volte il
pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e
adeguamento del contesto urbanistico;
(f) valutazioni analoghe devono essere svolte nel caso in
esame, dove non cambia la destinazione ma è comunque
evidente che il nuovo assetto dell’edificio ne consentirà un
uso più intenso e quindi con maggiori costi riflessi per la
collettività. La principale novità introdotta dalla
ristrutturazione è rappresentata infatti dall’incremento del
carico urbanistico, che può essere assimilato (a scopo
esemplificativo) a quello che si verifica quando da una sola
grande unità immobiliare si passa a una pluralità di unità
immobiliari autonome. In particolare, con la presenza di
numerose microimprese e di spazi di deposito si possono
ragionevolmente presumere aggravi nella viabilità e nella
movimentazione delle merci, e una maggiore produzione e
diversificazione dei rifiuti;
(g) pertanto, fermo restando l’obbligo di corrispondere per
intero il contributo collegato allo smaltimento dei rifiuti,
e prendendo atto della rinuncia dell’amministrazione ad
applicare il contributo sul costo di costruzione in
conseguenza della natura produttiva dell’edificio (v.
memoria del Comune depositata il 03.01.2014), gli oneri di
urbanizzazione devono essere ricalcolati in modo da tenere
conto soltanto dell’incremento del carico urbanistico.
Poiché non esiste un metodo univoco, e in mancanza di una
disciplina comunale di carattere generale, è possibile
procedere in via residuale scorporando dall’importo
calcolato secondo i parametri attuali quello originariamente
versato per il medesimo titolo al momento della costruzione
dell’edificio e dei successivi ampliamenti;
(h) il confronto tra questi importi va fatto in base al loro
valore nominale (previa conversione in euro), perché le
somme versate a suo tempo dal privato corrispondono a opere
di urbanizzazione che l’amministrazione ha realizzato nel
medesimo periodo, mentre le nuove opere devono essere
evidentemente eseguite con i costi attuali, che non possono
essere compensati attraverso rivalutazioni virtuali. In
altri termini, più ci si allontana dalla data di costruzione
dell’edificio, minore è l’utilità delle originarie opere di
urbanizzazione, e quindi maggiore è il contributo economico
che può essere ragionevolmente chiesto al privato quando
attraverso interventi di ristrutturazione viene aumentato il
carico urbanistico;
(i) gli uffici comunali hanno a disposizione 60 giorni dalla
comunicazione della presente sentenza per ricalcolare gli
oneri di urbanizzazione secondo le indicazioni esposte ai
punti precedenti, e per restituire alla ricorrente la parte
indebitamente trattenuta. Sulla somma da restituire devono
essere applicati gli interessi legali dal pagamento
(14.02.2008) al saldo.
Il ricorso deve quindi essere parzialmente accolto come
sopra specificato. La complessità di alcune questioni
consente la compensazione delle spese di giudizio. Il
contributo unificato è a carico dell’amministrazione ai
sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1 del DPR 30.05.2002 n. 115
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.05.2014 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'interdittiva antimafia non si collega a fatti e
attività oggetto di approfondimento d'ordine penale, essendo
diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo.
E' assodato che l'interdittiva antimafia non si collega a
fatti e attività oggetto di approfondimento d'ordine penale,
essendo diversi i parametri di valutazione sul piano
amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie,
indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed
economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un
quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e
prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e
giustifica l'adozione dell'interdittiva quale specifica
misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare
ogni possibile "inquinamento" delle aziende, degli
appalti pubblici e quindi dell'attività della P.A., posto in
essere notoriamente anche attraverso operazioni
apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle
organizzazioni mafiose (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.05.2014 n. 2290 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La dichiarazione ex art. 38, c. 1, lett. f), del
D.Lgs. n. 136/2006 di pregresse risoluzioni contrattuali
prescinde dalla stazione appaltante.
L'art. 38, c. 1, lett. f), del D.Lgs. n. 136/2006, impone a
pena di esclusione la dichiarazione di pregresse risoluzioni
contrattuali anche da parte di stazioni appaltanti diverse
da quella che bandisce l'appalto.
Dunque, si tratta di dichiarazione/prescrizione essenziale
che prescinde dalla stazione appaltante, la stessa o altra,
perché attiene ai principi di lealtà e affidabilità
contrattuale e professionale che presiedono agli appalti e
ai rapporti con la stazione stessa, né si rilevano validi
motivi per non effettuare tale dichiarazione, posto che
spetta comunque all'Amministrazione la valutazione
dell'errore grave che può essere accertato con qualsiasi
mezzo di prova (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.05.2014 n. 2289 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordine di demolizione conseguente
all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie,
come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto
dovuto e come tale non deve essere preceduto dall’avviso ex
art. 7 cit., trattandosi di una misura sanzionatoria per
l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata
precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente
disciplinato dalla legge.
Pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso
edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto,
ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera
di controllo.
Il mezzo è palesemente infondato alla luce
della ormai costante giurisprudenza di questo Consiglio
(cfr. Cons. Stato, sez. II, 26.06.2013, n. 649/2013; sez. IV, 15.02.2013, n. 915, cui si rinvia a mente
dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), secondo cui l’ordine
di demolizione conseguente all’accertamento della natura
abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti
sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e come tale non deve
essere preceduto dall’avviso ex art. 7 cit., trattandosi di
una misura sanzionatoria per l’accertamento
dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un
procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge;
pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso
edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto,
ossia, l’abuso, di cui il ricorrente deve essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera
di controllo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Alla stregua di un consolidato insegnamento
giurisprudenziale, il dettato di cui al 4° comma dell'art.
84 D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 esprime una regula iuris di
portata generale volta a dare concreta attuazione ai
principi di imparzialità e di buona amministrazione
contenuti dall'art. 97 della Costituzione.
La norma esprime la necessità di conciliare i principi di
economicità, di semplificazione e di snellimento dell'azione
amministrativa con quelli di trasparenza, efficacia ed
adeguatezza, regolando la scelta dei componenti delle
commissioni di cui è demandata l'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa in guisa da depotenziare
profili di incidenza negativa sulla trasparenza e
sull’imparzialità della commissione giudicatrice.
L'Adunanza Plenaria di questo Consiglio ha ritenuto che
l'art. 84, comma 4, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, ove si
prevede che i commissari diversi dal Presidente non devono
aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o
incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto
del cui affidamento si tratta, risponde all'esigenza di
rigida separazione della fase di preparazione della
documentazione di gara con quella di valutazione delle
offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del
giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa
alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi
amministrativi; è pertanto incompatibile il componente della
commissione giudicatrice che era stato precedentemente
incaricato della redazione del bando e del disciplinare di
gara.
L’Adunanza Plenaria ha soggiunto che “in sede di affidamento
di una concessione di servizi con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le
disposizioni di cui all'art. 84, commi 4 (relativo alle
incompatibilità dei componenti della commissione
giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della
commissione), d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in quanto
espressive dei principi di trasparenza e di parità di
trattamento, richiamati dall'art. 30, comma 3, dello stesso
decreto; l'applicazione di tali norme prescinde
dall'espressa previsione del bando di gara proprio per la
loro natura di derivazione diretta da principi generali,
norme imperative, espressive di principi generali e
consolidati della materia e quindi come tali, in grado di
integrare e sovrapporsi alla lex specialis”.
La previsione di legge di cui all’art. 84, comma IV, è, in
definitiva, destinata a prevenire il pericolo concreto di
possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione
alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti,
dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara
e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale definendo i contenuti e le regole
della procedura.
---------------
Una volta accertata l'illegittimità dell'azione della P.A.,
è a quest'ultima che spetta, al fine di vincere una
presunzione insita nell’illegittimità dell’azione
amministrativa, provare l'assenza di colpa attraverso la
deduzione di circostanze integranti gli estremi del c.d.
errore scusabile, ovvero l'inesigibilità di una condotta
alternativa lecita.
Nel caso di specie, nella valutazione del comportamento
dell’Amministrazione rilevano, quali indici sintomatici di
una condotta colposa non vinti dalla deduzione di un errore
scusabile, il mancato rispetto dei principi in tema di
composizione della commissione e la violazione di una chiara
normativa di gara.
Nel merito occorre premettere che
non assume rilievo la questione relativa alla qualificazione
della procedura in esame alla stregua di appalto di opera
pubblica o di alienazione e concessione di beni pubblici in
quanto la lex specialis contiene un auto-vincolo che impone
il rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica
dettate dal codice dei contratti pubblici.
Nella fattispecie il Tribunale di prima istanza ha posto a
fondamento del decisum di accoglimento la violazione del
disposto dell’art. 84, comma 4, a tenore del quale, nella
gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, “i commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono svolgere
alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”.
Alla stregua di un consolidato insegnamento
giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 14.06.2013, n. 3316), il dettato di cui al 4° comma
dell'art. 84 D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 esprime una regula iuris di portata generale volta a dare concreta
attuazione ai principi di imparzialità e di buona
amministrazione contenuti dall'art. 97 della Costituzione.
La norma esprime la necessità di conciliare i principi di
economicità, di semplificazione e di snellimento dell'azione
amministrativa con quelli di trasparenza, efficacia ed
adeguatezza, regolando la scelta dei componenti delle
commissioni di cui è demandata l'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa in guisa da depotenziare
profili di incidenza negativa sulla trasparenza e sull’imparzialità della commissione giudicatrice (vedi, anche con
riguardo all’applicabilità dell'art. 84 ai contratti dei
cosiddetti settori speciali ai sensi dell'art. 206 D.Lgs.
163/2006, Cons. Stato, V, 25.07.2011 n. 4450; id., VI,
21.07.2011 n. 4438; id., VI, 29.12.2010 n. 9577).
Con decisione 07.05.2013, n. 13 l’Adunanza Plenaria di
questo Consiglio ha ritenuto che l'art. 84, comma 4, d.lgs.
12.04.2006, n. 163, ove si prevede che i commissari
diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta, risponde all'esigenza di rigida
separazione della fase di preparazione della documentazione
di gara con quella di valutazione delle offerte in essa
presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in
coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di
incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi;
è pertanto incompatibile il componente della commissione
giudicatrice che era stato precedentemente incaricato della
redazione del bando e del disciplinare di gara.
L’Adunanza
Plenaria ha soggiunto che “in sede di affidamento di una
concessione di servizi con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, sono applicabili le
disposizioni di cui all'art. 84, commi 4 (relativo alle
incompatibilità dei componenti della commissione
giudicatrice) e 10 (relativo ai tempi di nomina della
commissione), d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in quanto
espressive dei principi di trasparenza e di parità di
trattamento, richiamati dall'art. 30, comma 3, dello stesso
decreto; l'applicazione di tali norme prescinde
dall'espressa previsione del bando di gara proprio per la
loro natura di derivazione diretta da principi generali,
norme imperative, espressive di principi generali e
consolidati della materia e quindi come tali, in grado di
integrare e sovrapporsi alla lex specialis”.
La previsione di legge di cui all’art. 84, comma IV, è, in
definitiva, destinata a prevenire il pericolo concreto di
possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione
alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti,
dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara
e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale definendo i contenuti e le regole
della procedura.
---------------
In base alla consolidata
giurisprudenza amministrativa, una volta accertata
l'illegittimità dell'azione della P.A., è a quest'ultima che
spetta, al fine di vincere una presunzione insita
nell’illegittimità dell’azione amministrativa, provare
l'assenza di colpa attraverso la deduzione di circostanze
integranti gli estremi del c.d. errore scusabile, ovvero
l'inesigibilità di una condotta alternativa lecita (cfr. da
ultimo C.d.S., Sez. IV, 31.01.2012 n. 482; Cons. Stato, sez.
V, 06.12.2010, n. 8549 e 18.11.2010, n. 8091;
Cons. Stato, sez. VI, 27.04.2010, n. 2384 e 11.01.2010, n. 14; Cons. Stato, sez. V,
08.09.2008, n.
4242).
Nel caso di specie, nella valutazione del comportamento
dell’Amministrazione rilevano, quali indici sintomatici di
una condotta colposa non vinti dalla deduzione di un errore
scusabile, il mancato rispetto dei principi in tema di
composizione della commissione e la violazione di una chiara
normativa di gara
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2191 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opera precaria - Natura oggettivamente temporanea
e contingente - Necessità - Artt. art. 3, c. 1, lett. e, 5,
6, 10, c. 1, lett. a, 22, c. 3, lett. b, e 44, lett. c),
D.P.R. 380/2001.
La natura precaria dell'opera edilizia non deriva dalla
tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione,
tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la
oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che
l'opera è destinata a soddisfare.
Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel
definire gli interventi di nuova costruzione, per i quali è
necessario il permesso di costruire o altro titolo
equipollente (artt. 10, comma 1°, lett. a, e 22, comma 3°,
lett. b, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), individua -tra gli
altri- i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi
genere che siano utilizzati come depositi, magazzini e
simili e "che non siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee" (art. 3, comma 1°, lett. e.5, d.P.R.
380/2001 cit.). La natura oggettivamente temporanea e
contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche
dall'art. 6, comma 2°, lett. b, d.P.R. 380/2001 per
individuare le opere che, previa mera comunicazione
dell'inizio lavori, possono essere liberamente eseguite.
Si tratta di criterio che significativamente, sia pure ad
altri fini, l'art. 812 cod. civ. utilizza per collocare
nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti
saldamente ancorati alla riva o all'alveo e destinati ad
esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così
diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla
navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di
cui all'art. 136 cod. nav. e che, a norma dell'art. 815 cod.
civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a
registrazione.
Opere precarie e non precarie - Criterio
di distinzione - Giurisprudenza.
In tema di
opere precarie, bisogna verificare l’oggettiva destinazione
dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua
conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea,
né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla
giurisprudenza per distinguere l'opera assoggettabile a
regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella
realizzabile liberamente, a prescindere dall'incorporamento
al suolo o dai materiali utilizzati (Cass. Sez. 3, Sentenza
n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3, Sentenza n. 1927 del
23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497 del 11/03/1983, Sez. 3,
Sentenza n. 6172 del 23/03/1994, Sez. 3, Sentenza n. 12022
del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza n. 11839 del 12/07/1999,
Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009).
Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per
sé la precarietà dell'opera (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34763
del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza n. 13705 del 21/02/2006,
Sez. 3, Sentenza n. 11880 del 19/02/2004, Sez. 3, Sentenza
n. 22054 del 25/02/2009).
Si tratta di principio talmente consolidato da far ritenere,
per esempio, di natura eccezionale e non applicabile oltre i
casi in esse tassativamente previsti, le disposizioni
introdotte dalle leggi della Regione Sicilia che,
privilegiando il dato strutturale su quello funzionale,
hanno ricondotto nell'ambito dell'attività edilizia libera
la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze
non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi
interni con strutture precarie, la chiusura di verande o
balconi con strutture precarie (così, da ultimo, l'art. 20
L. Reg. Sicilia 4/2003 che definisce precarie le strutture
realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile
rimozione) (sul punto, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16492 del
16/03/2010 e Sez. 3, Sentenza n. 35011 del 26/04/2007 che
hanno avuto modo di precisare che, in questi casi, la facile
amovibilità delle strutture deve essere interpretata in
senso assolutamente restrittivo) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.03.2014 n. 13843 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Il rapporto tra la normativa generale in tema di
accesso e quella particolare dettata in materia di contratti
pubblici non va posto in termini di accentuata
differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, nel
senso che le disposizioni (di carattere generale e speciale)
contenute nella disciplina della legge n. 241 del 1990
devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si
rinvengono disposizioni derogatorie (e quindi dotate di una
specialità ancor più elevata in ragione della materia) nel
Codice dei contratti, le quali trovano la propria ratio nel
particolare regime giuridico di tale settore
dell’ordinamento.
In tal senso la disciplina dettata dall’art. 13 codice dei
contratti pubblici, essendo destinata a regolare in modo
completo tutti gli aspetti relativi alla conoscibilità degli
atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di
formazione ed esecuzione dei contratti medesimi, costituisce
una sorta di microsistema normativo, collegato all’idea
della peculiarità del settore considerato, pur all’interno
delle coordinate generali dell’accesso tracciate dalla l. n.
241 del 1990.
Orbene, nel codice dei contratti l’accesso è strettamente
collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio con
una previsione, quindi, molto più restrittiva di quella
contenuta nell’art. 24, l. n. 241 cit., la quale contempla
un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso
ove necessario per la tutela della posizione giuridica del
richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione
processuale.
In definitiva, nell’ambito di tale codice, l’accesso assume
una particolare natura, in quanto non è sufficiente il
riferimento alla cura di propri interessi giuridici ma è
richiesto espressamente che l’accesso sia effettuato in
vista della difesa in giudizio.
L’appello deve essere accolto.
Al riguardo, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento
secondo cui il rapporto tra la normativa generale in tema di
accesso e quella particolare dettata in materia di contratti
pubblici non va posto in termini di accentuata
differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, nel
senso che le disposizioni (di carattere generale e speciale)
contenute nella disciplina della legge n. 241 del 1990
devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si
rinvengono disposizioni derogatorie (e quindi dotate di una
specialità ancor più elevata in ragione della materia) nel
Codice dei contratti, le quali trovano la propria ratio
nel particolare regime giuridico di tale settore
dell’ordinamento (Consiglio di Stato n. 5062/2010).
In tal senso la disciplina dettata dall’art. 13 codice dei
contratti pubblici, essendo destinata a regolare in modo
completo tutti gli aspetti relativi alla conoscibilità degli
atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di
formazione ed esecuzione dei contratti medesimi, costituisce
una sorta di microsistema normativo, collegato all’idea
della peculiarità del settore considerato, pur all’interno
delle coordinate generali dell’accesso tracciate dalla l. n.
241 del 1990.
Orbene, nel codice dei contratti l’accesso è strettamente
collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio con
una previsione, quindi, molto più restrittiva di quella
contenuta nell’art. 24, l. n. 241 cit., la quale contempla
un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso
ove necessario per la tutela della posizione giuridica del
richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione
processuale (Consiglio di Stato n. 6121/2008).
In definitiva, nell’ambito di tale codice, l’accesso assume
una particolare natura, in quanto non è sufficiente il
riferimento alla cura di propri interessi giuridici ma è
richiesto espressamente che l’accesso sia effettuato in
vista della difesa in giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2014 n. 1446 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L’induzione «non costringe ma convince».
Come è noto, a seguito della riforma intervenuta ad opera
della legge 06.11.2012, n. 190, il nuovo assetto normativo
presenta da un lato la concussione ‘per costrizione’,
dall’altro l’induzione indebita a dare o promettere altre
utilità.
La scissione del previgente art. 317 c.p. con contestuale
introduzione del nuovo art. 319-quater c.p. –ossia
quell’operazione che da più parti è stata definita con il
termine di «spacchettamento» della concussione– ha
posto problemi interpretativi circa il discrimen tra
le due fattispecie, considerato che nella previgente
disciplina costituivano autonome modalità di condotta del
medesimo reato.
Il reato appena introdotto si pone in una posizione
intermedia tra i due estremi della concussione, nella quale
la prevaricazione del pubblico ufficiale è massima, e della
corruzione, nella quale il pubblico ufficiale e il privato
si trovano in perfetta simmetria negoziale.
Nell’induzione indebita,
infatti, il privato, in seguito all’abuso
del pubblico agente, cede alle richieste indebite non perché
coartato ma in quanto mira a percepire un personale
vantaggio, ponendo quindi le parti in una logica negoziale,
seppur asimmetrica. Mutuando una felice espressione di
autorevole dottrina può, dunque, affermarsi che l’induzione
«non costringe ma convince».
Analizzando le precedenti e contrastanti pronunce delle
sezioni semplici, con la sentenza n. 12228/2014
la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha
evidenziato le lacune presentate dai precedenti orientamenti
e ha individuato il «danno ingiusto» e il «vantaggio
indebito» elementi impliciti costitutivi rispettivamente
del reato di concussione e dell’induzione indebita
(Corte di
Cassazione, Sezz. Unite penali,
sentenza 14.03.2014 n. 12228 -
tratto da e link a www.giurisprudenzapenale.com). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Spacchettamento della concussione: le motivazioni delle
Sezioni Unite (12228/2014).
Il discrimine fra il delitto di
concussione e quello di indebita induzione deve
essere individuato nei seguenti termini:
►
il primo reato sussiste in presenza di un abuso
costrittivo del pubblico ufficiale attuato mediante violenza
o minaccia, da cui deriva una grave limitazione della
libertà di autodeterminazione del destinatario che, senza
ricevere alcun vantaggio, viene posto di fronte
all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo
con la dazione o la promessa dell’utilità;
►
il secondo consiste nell’abuso induttivo posto in
essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico
servizio che con una condotta di persuasione, suggestione,
inganno o pressione morale condizioni in modo più tenue la
libertà di autodeterminazione del privato, il quale
disponendo di ampi margini decisori, accetta di prestare
acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta,
nella prospettiva di un tornaconto personale.
Sono state depositate oggi le 63 pagine di motivazioni della
pronuncia n. 12228/2014 delle Sezioni Unite penali della
Corte di Cassazione a proposito del cd. spacchettamento
della concussione e, prontamente, le pubblichiamo.
E’ ormai noto che la riforma dei reati contro la pubblica
amministrazione -legge 190 del 2012– ha dato a luogo a
quello che è stato ribattezzato come il cd. “spacchettamento”
della concussione, ossia l’aver suddiviso le originarie
condotte di “costrizione” e “induzione” in due
autonome fattispecie criminose. La legge di riforma ha, in
altri termini, eliminato dall’art. 317 c.p. la condotta di “induzione”,
lasciando come unica condotta incriminatrice la “costrizione”
creando una nuova fattispecie per la condotta di induzione.
Come avevamo anticipato, lo scorso 24 ottobre le Sezioni
Unite si erano pronunciate sull’individuazione della precisa
linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione
(prevista dal novellato art. 317 cod. pen.) e quella di
induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista
dall’art. 319-quater cod. pen. di nuova introduzione),
affermando il seguente principio di diritto: "La
linea di discrimine tra le due fattispecie ruota intorno al
fatto che, nell’induzione indebita prevista
dall’articolo 319-quater del Codice Penale, si assiste ad
una condotta di pressione non irresistibile da parte del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio
che lascia al destinatario della stessa un margine
significativo di autodeterminazione e si coniuga con il
perseguimento di un suo indebito vantaggio. Al contrario,
nel reato, più grave, della concussione per costrizione
si sarebbe in presenza di una condotta del pubblico
ufficiale che limita radicalmente la libertà di
autodeterminazione del destinatario".
Oggi sono state depositate le motivazioni.
Le Sezione Unite della Suprema Corte
risolvendo un contrasto interpretativo insorto nella
giurisprudenza di legittimità a seguito della riforma dei
reati contro la pubblica amministrazione da parte della
legge n. 190 del 2012, hanno individuato il
discrimine fra il delitto di concussione e quello di
indebita induzione, ritenendo, in particolare, che:
►
il delitto di concussione sussiste in
presenza di un abuso costrittivo del pubblico ufficiale
attuato mediante violenza o minaccia, da cui deriva una
grave limitazione della libertà di autodeterminazione del
destinatario che, senza ricevere alcun vantaggio, viene
posto di fronte all’alternativa di subire il male
prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa
dell’utilità;
►
il delitto di indebita induzione, invece,
consiste nell’abuso induttivo posto in essere dal pubblico
ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che con una
condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione
morale condizioni in modo più tenue la libertà di
autodeterminazione del privato, il quale disponendo di ampi
margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla
richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di
un tornaconto personale.
Posta in questi termini la distinzione tra “abuso
costrittivo” e “abuso induttivo”, la Corte ha
anche specificato che, nei casi ambigui o
di confine, i criteri di valutazione del danno antigiuridico
e del vantaggio indebito devono essere utilizzati nella loro
operatività dinamica ed all’esito di una complessiva ed
equilibrata valutazione del fatto
(Corte
di Cassazione, Sezz. Unite penali,
sentenza 14.03.2014 n. 12228 -
tratto da e link a www.giurisprudenzapenale.com). |
APPALTI: L'offerta è rinegoziabile.
Altra chance all'aggiudicatario della gara.
APPALTI/ Con una sentenza il consiglio di stato apre la
porta.
Con la recente
sentenza 28.02.2014 n. 943 del Consiglio di Stato, Sez. III,
i giudici hanno ammesso la
rinegoziabilità, da parte dell'aggiudicatario, dell'offerta
già presentata in gara.
La questione si è sviluppata nell'ambito di una vicenda che
ha preso avvio con la gara bandita da una Asl lombarda nel
2010, con aggiudicazione annullata dal giudice, a cui però
non faceva seguito l'assegnazione giudiziale dell'appalto
per effetto della clausola contenuta nel capitolato di gara
che consentiva alla stazione appaltante, in luogo
dell'aggiudicazione della gara, di ricercare soluzioni
operative migliorative aderendo ad appalti banditi da altre
aziende sanitarie locali oppure attraverso la richiesta di
rinegoziazione del prezzo di aggiudicazione.
La stazione appaltante, nonostante la controproposta
economica, che riduceva il prezzo presentato in gara, non
procedeva a riscontrare l'istanza ma proseguiva con delle
proroghe con il pregresso affidatario per giungere, a
distanza di un lungo lasso di tempo, a respingere l'offerta
di sconto con affermazioni che la sentenza n. 943/2014 ha
ritenuto illegittime.
Secondo la stazione appaltante la controproposta economica,
appositamente richiesta, non poteva risultare aggiudicataria
«per l'impossibilità giuridica di ammettere offerte
migliorative dopo la conclusione della gara e in
considerazione dell'esistenza di proposte più convenienti
sul mercato».
A ciò seguiva l'appello, condiviso dal consesso, sulla base
di consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. c.d.s.,
sez. VI, 23.04.2007), per cui «la stazione appaltante
può concordare con l'aggiudicatario uno sconto maggiore
rispetto a quello offerto in gara, senza che ciò costituisca
una nuova aggiudicazione o una distorsione della
concorrenza, a condizione che l'adeguamento sia minimo e,
pertanto, non sfoci in un nuovo appalto». Sempre, secondo il
giudice i presupposti di gara «risultano (_) trattandosi di
minimo sconto» senza alcuna modifica delle «condizioni
essenziali dell'appalto e, pertanto, nessun ostacolo»
risultava rinvenibile e tale da impedire l'assegnazione
dell'appalto in moto tempestivo.
Quindi una volta effettuata la comparazione tra i
partecipanti alla gara e individuata l'offerta migliore, non
erano più ravvisabili ragioni logico-giuridiche che
impedissero «all'amministrazione di avviare un'ulteriore
trattativa con il vincitore che ha presentato l'offerta
migliore al fine di ottenere un risultato ancora più
conveniente». Senza che venisse vulnerata la par condicio.
La stazione appaltante, in luogo di procedere nel senso
appena prospettato, si determinava invece a proseguire il
contratto con il precedente affidatario procedendo al
riscontro con un ritardo inaccettabile tradendo anche
l'affidamento dell'appaltatore.
Il giudice, conclude anche stigmatizzando il comportamento
della stazione appaltante puntualizzando che il
«comportamento (_) appare del tutto contraddittorio e
incoerente: per un verso» perché la stessa p.a. avviava «le
trattative, creando il legittimo affidamento nell'esperibilità
della soluzione migliorativa; per altro verso, solo pochi
mesi dopo, cambia avviso sulla utilizzabilità» giuridica
«della rinegoziazione del prezzo. Ben avrebbe potuto,
invece, l'azienda prudentemente verificare la praticabilità
giuridica della soluzione prima di avviare le trattative»;
ravvisando un comportamento colposo nel comportamento tenuto
dall'amministrazione aggiudicatrice, e riconoscendo la
responsabilità precontrattuale per il cosiddetto interesse
negativo ovvero limitato al riconoscimento per il danno «consistente
innanzitutto nelle spese inutilmente sostenute e, inoltre,
nella perdita di favorevoli occasioni contrattuali, cioè di
ulteriori possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a
causa della trattativa inutilmente intercorsa» (articolo ItaliaOggi Sette
del 05.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
VARI:
Per la nullità della vendita pagano notaio e geometra.
Riconosciuta la responsabilità in solido tra i due
professionisti. Immobili. Decisiva l'assenza di verifiche sull'effettiva
titolarità del bene trasferito.
Compravendita immobiliare nulla? Sono responsabili in
solido il notaio e il geometra che non abbiano effettuato le
dovute verifiche circa l'effettiva proprietà del bene.
Lo puntualizza la Corte
d'appello di Milano, con la
sentenza 07.01.2014 n. 16
(tratto da www.ilsole24ore.com).
Il caso
Protagonista della vicenda giudiziaria è l'acquirente di un
immobile che, nell'avviare le pratiche di ristrutturazione,
scopre di non essere proprietaria di una parte. Infatti,
secondo le visure catastali, alcuni dei locali acquistati
non erano mai stati di proprietà dei venditori ma
risultavano intestati a terze persone. Di qui, la decisione
di citarli in giudizio per far dichiarare «la nullità
parziale del contratto di compravendita immobiliare», farsi
restituire il prezzo pagato per l'acquisto e ottenere il
risarcimento dei danni.
Ma i convenuti, a loro volta inconsapevoli dell'effettiva
titolarità dei beni, chiamano in causa il geometra e il
notaio, incaricati, rispettivamente, degli aggiornamenti
catastali e della redazione dell'atto. Secondo i venditori,
doveva essere dichiarata l'esclusiva responsabilità dei
professionisti, poiché inadempienti all'obbligo di svolgere
diligentemente i propri compiti. Così, i convenuti
riconoscono la parziale nullità del contratto di
compravendita e ammettono di doversi fare carico del
rimborso del prezzo incassato ma contestano il risarcimento
del danno, visto che, da parte loro, non c'era stata
malafede.
Il tribunale riconosce la responsabilità dei professionisti
e li condanna –in solido– a rifondere ai venditori le
somme da restituire all'acquirente.
L'appello
La sentenza viene però impugnata di fronte alla Corte
d'appello dal geometra e, con appello incidentale, dal
notaio. Nella preparazione dell'atto –si difende il notaio– ha svolto tutti gli accertamenti richiesti a garanzia del
corretto adempimento dell'incarico ricevuto. In particolare,
il notaio afferma che il suo obbligo di controllo si sarebbe
limitato alla visura sullo stato catastale dei beni,
effettuata sulla base delle nuove schede catastali
predisposte dal geometra.
Secondo il notaio, una volta
accertata la legittimità dei titoli e verificata la
corrispondenza dell'oggetto della vendita alle risultanze
catastali, non sarebbe stato suo compito professionale
controllare che «la rappresentazione grafica e planimetrica
degli immobili» corrispondessero allo stato reale della
proprietà dei luoghi. L'errore, semmai, era da imputarsi al
geometra, colpevole della non aggiornata identificazione
catastale. Accuse respinte dal tecnico: l'incarico ricevuto
–rileva– consisteva nella semplice redazione delle nuove
schede catastali sulla base delle informazioni fornite dai
venditori, senza alcun obbligo di consultare i titoli di
provenienza e di verificare la veridicità delle informazioni
ricevute.
La decisione
Le difese dei professionisti sono bocciate dalla Corte
d'appello, che respinge i ricorsi e li condanna a rimborsare
ai venditori gli importi da rendere all'acquirente, vista la
nullità della compravendita.
Quanto al geometra, spiega il collegio, l'incarico di
aggiornamento dell'identificazione catastale dei beni e la
redazione delle relative schede «non poteva prescindere dal
controllo» che la proprietà fosse realmente dei venditori.
Questo vaglio avrebbe dovuto essere realizzato mediante un
semplice esame dei titoli d'acquisto, seguito da un
accertamento della posizione e consecutività dei subalterni
da riaccatastare. Operazioni, queste, sufficienti a impedire
l'infedele riproduzione, nelle planimetrie, dello stato dei
luoghi.
Pari responsabilità –prosegue la Corte d'appello– va
ravvisata in capo al notaio, per aver considerato, nella
redazione dell'atto, solo le planimetrie predisposte dal
tecnico «senza consultare con la dovuta perizia i precedenti
atti di provenienza». Sarebbe bastato, dunque, un semplice
raffronto tra la descrizione e le coerenze dei beni oggetto
del titolo di provenienza con quanto riportato nelle schede
catastali, per scongiurare la stipula di un contratto nullo.
Del resto, le risultanze dei registri catastali «hanno un
valore meramente indiziario e da esse non può trarsi la
prova decisiva della consistenza degli immobili e della loro
appartenenza». Ciò, a maggior ragione nelle ipotesi –come
quella processuale– in cui quelle risultanze risultino
contraddette da altre emergenze. Si può affermare, allora,
che in tema di compravendita immobiliare, al fine di
individuare l'immobile oggetto di contratto «più che i dati
catastali», assumeranno «valore determinante il contenuto
descrittivo del titolo e i confini indicati nel titolo
stesso».
È per queste ragioni che la Corte d'appello, nel respingere
i gravami dei professionisti, ne sancisce –in identica
misura– la responsabilità contrattuale per inadempimento
degli incarichi, con condanna solidale restitutoria in
favore degli appellati (articolo Il Sole 24 Ore del
05.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: La
posizione espressa dall’Amministrazione coincide con
l’orientamento giurisprudenziale che, ai fini della
sussistenza dei presupposti per la demolizione e
ricostruzione, richiede che l’edificio esista, con strutture
perimetrali, orizzontali e di copertura, mentre inquadra la
<ricostruzione dei ruderi> nell’intervento di nuova
edificazione.
Sul tema si è, d’altra parte, già espressa la Sezione,
evidenziando che il concetto di demolizione e ricostruzione
presuppone che esista “un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura”, mentre “non
è invece ravvisabile siffatto intervento nei confronti di
ruderi, attesa la mancanza di elementi attuali sufficienti a
dimostrare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio
da recuperare”.
Le censure sono infondate.
Il ricorrente ha avanzato domanda di permesso di costruire
volta alla “ricostruzione di annesso agricolo ad uso
fienile mediante intervento di sostituzione edilizia”
(doc. 4), ciò con riferimento alle previsioni di cui
all’art. 43, comma 1, lett. c), della legge regionale
Toscana n. 1 del 2005 (che contempla tra gli interventi
consentiti sul patrimonio edilizio con destinazione agricola
la <sostituzione edilizia>) e all’art. 78, comma 1,
lett. h), della legge n. 1 cit., che definisce tale
tipologia di interventi come “demolizione e ricostruzione
di volumi esistenti”.
Il punto del contendere di cui alla presente controversia
attiene proprio all’essere, l’edificio che si intende fare
oggetto di “demolizione e ricostruzione”, <esistente>
al momento in cui è stato chiesto il rilascio del permesso
di costruire.
Nella relazione tecnica, proveniente da parte ricorrente e
allegata all’istanza, si legge, con riferimento al periodo
successivo al 1994, che “in effetti dopo tale data il
manufatto non è stato oggetto nessun intervento di
manutenzione con conseguente degrado delle strutture fino al
crollo della copertura avvenuta circa due anni fa. Oggi sono
rinvenibili sul posto solo i <ritti> in pali di legno che
sorreggevano la copertura anch’essa costituita da struttura
lignea con sovrastanti lamiere grecate”. Ma allora siamo
in presenza di un edificio integralmente diruto e della
richiesta di ricostruzione di un rudere.
In tal quadro deve leggersi l’atto di diniego qui gravato
che, nel respingere l’istanza di <sostituzione edilizia>,
motiva evidenziando che “non sussistano le condizioni per
considerare l’intervento proposto come sostituzione edilizia
ma, a tutti gli effetti, come nuova costruzione”. La
posizione espressa dall’Amministrazione coincide con
l’orientamento giurisprudenziale che, ai fini della
sussistenza dei presupposti per la demolizione e
ricostruzione, richiede che l’edificio esista, con strutture
perimetrali, orizzontali e di copertura, mentre inquadra la
<ricostruzione dei ruderi> nell’intervento di nuova
edificazione (da ultimo Cons. St., 5^, 25.07.2013 n. 3968,
che richiama Cons. St., 5^, 03.04.2000, n. 1906).
Sul tema si è, d’altra parte, già espressa la Sezione,
evidenziando che il concetto di demolizione e ricostruzione
presuppone che esista “un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura”,
mentre “non è invece ravvisabile siffatto intervento nei
confronti di ruderi, attesa la mancanza di elementi attuali
sufficienti a dimostrare le dimensioni e le caratteristiche
dell’edificio da recuperare” (TAR Toscana, sez. 3^,
13.07.2009, n. 1258; id. 18.01.2010, n. 44).
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve
essere respinto e con esso va respinta la domanda di
risarcimento dei danni connessa all’infondata impugnativa
del provvedimento di diniego del permesso di costruire, non
essendovi luogo a regolamentare le spese di giudizio, stante
la mancata costituzione dell’Amministrazione resistente
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.11.2013 n. 1560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lotto asservito - Modifiche alla disciplina
urbanistica - Acquisizione di maggiore potenzialità
edificatoria - Verifica dell’edificabilità - Quantificazione
della volumetria assentibile - Calcolo.
Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza, nel
caso in cui, un originario lotto urbanistico abbia acquisito
una maggiore potenzialità edificatoria in dipendenza di
modifiche alla disciplina urbanistica e, quindi, la parte
rimasta inedificata sia suscettibile di edificazione, per
verificare l'effettiva potenzialità edificatoria di
quest’ultima, occorre sempre partire dalla considerazione
che, in virtù del carattere "unitario"
dell'originario lotto interamente asservito alla precedente
costruzione, non possono non computarsi le volumetrie
realizzate sul lotto urbanistico originario (considerato
complessivamente), il quale è l'unico ad aver acquisito (e
mantenuto) una "propria" potenzialità edificatoria;
conseguentemente la verifica dell'edificabilità della parte
del lotto rimasta inedificato e la quantificazione della
volumetria su di essa realizzabile non può che derivare, per
sottrazione, dalla predetta potenzialità, diminuita della
volumetria dei fabbricati già realizzati sull'unica,
complessiva, area (Cons. Stato, sez. IV, 19.01.2008, n. 255;
26.09.2008, n. 4647; 19.10.2006, n. 6229; 31.01.2005, n.
217; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 22.08.2007, n. 286;
TAR Sardegna, sez. II, 19.05.2006, n. 996).
Tale operazione deve però essere condotta avendo a
riferimento gli indici di edificabilità previsti dalla nuova
normativa urbanistica e non da quella precedentemente
vigente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.03.2011 n. 614 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Aree asservite - Inedificabilità - Opponibilità
ai terzi acquirenti - Irrilevanza delle vicende inerenti la
proprietà dei terreni.
L’inedificabilità di un’area asservita o accorpata o
comunque utilizzata a fini edificatori costituisce una
qualità obiettiva del fondo che, pur non vigendo l’obbligo
di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (cfr.
Cons. Stato V, 28.06.2000 n. 3637), è opponibile a terzi
acquirenti, ed ha l’effetto di impedirne l’ulteriore
edificazione oltre i limiti previsti, a nulla rilevando che
la proprietà dell’area sia stata trasferita, che manchino
specifici negozi giuridici privati volti all’asservimento o
che l’edificio sia collocato in una parte del lotto
catastalmente divisa (Cons. Stato V, 09.10.2007 n. 5232).
In altri termini, un’area edificabile, già interamente
considerata in occasione del rilascio di una concessione
edilizia, non può essere considerata libera neppure
parzialmente, agli effetti della volumetria realizzabile, in
sede di rilascio di una seconda concessione, nella
perdurante esistenza del primo edificio, restando
irrilevanti le vicende inerenti alla proprietà dei terreni
(Cons. Stato IV, 06.09.1999 n. 1402) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Reato di costruzione abusiva - Asservimento di
terreno per scopi edificatori - Cessione di cubatura -
Efficacia al momento del rilascio del titolo abilitativo -
Conseguenze.
Gli effetti derivanti dall’istituto del c.d. “vincolo di
asservimento di terreno per scopi edificatori” (o “cessione
di cubatura”), decorrono dal momento del rilascio del
titolo abilitativo edilizio, hanno carattere definitivo ed
irrevocabile ed integrano una qualità oggettiva dei terreni,
producendo una minorazione permanente della loro
utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.
Ne consegue che è preclusa la possibilità di richiedere ed
assentire ulteriori interventi eccedenti i volumi
costruttivi sul fondo asservito, attesa la perdita
definitiva delle potenzialità edificatorie dell’area
asservita, rendendosi configurabile il reato edilizio anche
in presenza di un titolo abilitativo erroneamente
rilasciato.
Fattispecie avente ad oggetto il sequestro preventivo di
un’area interessata da attività edificatoria a seguito di
rilascio di permesso di costruire.
Istituto del c.d. “asservimento dl
terreno per scopi edificatori” (o cessione di cubatura) -
Nozione - Effetti.
L’istituto del c.d. “asservimento dl terreno per scopi
edificatori” (o cessione di cubatura) consiste in un
accordo tra proprietari di aree contigue, aventi la stessa
destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario
di un’area “cede” una quota di cubatura edificabile
sul suo fondo per permettere all’ altro di disporre della
minima estensione di terreno richiesta per l’edificazione,
ovvero di realizzare una volumetria maggiore di quella
consentita dalla superficie del fondo di sua proprietà.
Gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed
irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei terreni e
producono una minorazione permanente della loro
utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario.
Trasferimento di volumetria - Rilascio
del permesso di costruire - Volontà del proprietario
"cedente" - Vincolo di asservimento - Nuovo lotto di
pertinenza urbanistica dell'edificio - Effetti.
L’efficacia della volontà del proprietario "cedente"
costituisce, all'interno del procedimento amministrativo di
rilascio del permesso di costruire, presupposto di tale
provvedimento, così che il trasferimento di volumetria si
realizza soltanto con il rilascio finale del titolo edilizio
[Cons. Stato, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637 e Cass. civ.:
22.02.1996, n. 1352; 12.09.1998, n. 9081].
Sicché, soltanto per effetto del rilascio del provvedimento
amministrativo (licenza edilizia, concessione edilizia o
permesso di costruire) si costituisce il "vincolo di
asservimento" che, senza oneri di forma pubblica o di
trascrizione, incide definitivamente sulla disciplina
urbanistica ed edilizia delle aree interessate, in quanto
nel territorio comunale il titolo abilitativo edilizio crea
un nuovo lotto di pertinenza urbanistica dell'edificio, che
non coincide con i confini di proprietà ed ha una
consistenza indipendente rispetto ai successivi interventi
nelle aree medesime, derivandone l'impossibilità di
assentire e di richiedere ulteriori ed eccedenti
realizzazioni di volumi costruttivi sul fondo asservito, per
la parte in cui esso è rimasto privo della potenzialità
edificatoria già utilizzata, dal titolare del fondo in
favore del quale ha avuto luogo l'asservimento.
Instaurazione di un autonomo e peculiare
regime urbanistico delle aree - Costituzione di un "vincolo
di asservimento" - Verifica delle ragioni - Irrilevanza.
La oggettiva instaurazione di un autonomo e peculiare regime
urbanistico delle aree, per effetto della intervenuta
costituzione di un "vincolo di asservimento", rende
irrilevante -alla stregua del fondamentale principio
dell'autonomia negoziale- la verifica delle ragioni che
possano avere indotto il proprietario cedente a trasferire
la suscettibilità edificatoria del proprio fondo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.05.2009 n. 21177 - link a
www.ambientediritto.it). |
AGGIORNAMENTO AL 05.05.2014 |
ã |
IN EVIDENZA |
S.O.S.: Salva
l'Amazzonia, Oasi del Mondo
Dal 1° al
18 maggio invia un SMS o chiama da fisso il
45505.
Potrai donare 2 euro via SMS oppure 2 o 5 euro da
rete fissa.
Ogni anno scompare 1 milione e mezzo di ettari di
foresta amazzonica.
L’ Amazzonia ci dà acqua, cibo, ossigeno,
medicinali, energia e ospita 2 milioni e mezzo di
specie tra mammiferi, uccelli, insetti e piante, 33
milioni di persone, 350 comunità indigene.
Pezzo dopo pezzo, la foresta viene divorata per
lasciare spazio a terreni impoveriti e degrado.
Per tirare giù un albero di 800 anni bastano 30
minuti.
Per fermare tutto questo, a te bastano 5 secondi.
Il tempo di un SMS.
Dal 1° al 18 maggio invia un SMS al
45505
SE L’
AMAZZONIA SCOMPARE, SCOMPARE TUTTO QUESTO E ANCHE IL
NOSTRO FUTURO.
Non restare
indifferente:
L'INDIFFERENZA DISTRUGGE, UCCIDE!! |
IN EVIDENZA |
Le proposte del Governo sulla riforma della Pubblica
Amministrazione:
ABOLIZIONE
DELLA FIGURA DEL SEGRETARIO COMUNALE. |
E' l'intenzione (fra le tante) scritta, nero su
bianco, dal Presidente del Consiglio dei Ministri
(Matteo Renzi) e dal Ministro della Semplificazione
e Pubblica Amministrazione (Maria Anna Madia) nella
nota 30.04.2014 inviata ai pubblici dipendenti
(diramata dopo il Consiglio dei Ministri n. 15 del
30.04.2014, con invito a rispondere entro il
30.05.2014 -con e-mail all'indirizzo
rivoluzione@governo.it- circa le proprie
considerazioni, proposte, suggerimenti).
La consultazione sarà aperta dal 30 aprile al 30
maggio. Nei giorni successivi il Governo predisporrà
le misure che saranno approvate dal Consiglio dei
Ministri venerdì 13.06.2014.
La nota 30.04.2014 è stata divulgata anche in formato
.pdf
scaricabile qui.
Comunque, ci sono molte altre interessanti intenzioni
... vediamole riproponendo -di seguito- uno stralcio
della suddetta nota:
"Le nostre
linee guida sono tre.
Il cambiamento comincia dalle persone.
Abbiamo bisogno di innovazioni strutturali:
programmazione strategica dei fabbisogni; ricambio
generazionale, maggiore mobilità, mercato del lavoro
della dirigenza, misurazione reale dei risultati,
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili
nido nelle amministrazioni.
Tagli agli sprechi e riorganizzazione
dell’Amministrazione. Non possiamo più
permetterci nuovi tagli orizzontali, senza avere
chiari obiettivi di riorganizzazione. Ma dobbiamo
cancellare i doppioni, abolendo enti che non servono
più e che sono stati pensati più per dare una
poltrona agli amici degli amici che per reali
esigenze dei cittadini. O che sono semplicemente non
più efficienti come nel passato.
Gli Open Data come strumento di trasparenza.
Semplificazione e digitalizzazione dei servizi.
Possiamo utilizzare le nuove tecnologie per rendere
pubblici e comprensibili i dati di spesa e di
processo di tutte le amministrazioni centrali e
territoriali, ma anche semplificare la vita del
cittadini: mai più code per i certificati, mai più
file per pagare una multa, mai più moduli diversi
per le diverse amministrazioni.
Ciascuna di queste tre linee guida richiede
provvedimenti concreti.
Ne indichiamo alcuni su cui il Governo intende
ascoltare la voce diretta dei protagonisti a
cominciare dai dipendenti pubblici e dai loro veri
datori di lavoro: i cittadini.
Il cambiamento comincia dalle persone
1) abrogazione dell’istituto
del trattenimento in servizio, sono oltre 10.000
posti in più per giovani nella p.a., a costo zero
2) modifica dell'istituto
della mobilità volontaria e obbligatoria
3) introduzione dell’esonero
dal servizio
4) agevolazione del part-time
5) applicazione rigorosa delle norme sui limiti ai
compensi che un singolo può percepire dalla pubblica
amministrazione, compreso il cumulo con il reddito
da pensione
6) possibilità di affidare
mansioni assimilabili quale alternativa opzionale
per il lavoratore in esubero
7) semplificazione e maggiore flessibilità delle
regole sul turn-over fermo restando il vincolo sulle
risorse per tutte le amministrazioni
8) riduzione del 50% del monte ore dei permessi
sindacali nel pubblico impiego
9) introduzione del ruolo unico della dirigenza
10) abolizione delle fasce per la dirigenza,
carriera basata su incarichi a termine
11) possibilità di licenziamento per il dirigente
che rimane privo di incarico, oltre un termine
12) valutazione dei risultati
fatta seriamente e retribuzione di risultato erogata
anche in funzione dell’andamento dell’economia
13) abolizione della figura
del segretario comunale
14) rendere più rigoroso il sistema di
incompatibilità dei magistrati amministrativi
15) conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
asili nido nelle amministrazioni
Tagli agli sprechi e riorganizzazione
dell’Amministrazione
16) riorganizzazione strategica della ricerca
pubblica, aggregando gli oltre 20 enti che svolgono
funzioni simili, per dare vita a centri di
eccellenza
17) gestione associata dei
servizi di supporto per le amministrazioni centrali
e locali (ufficio per il personale, per la
contabilità, per gli acquisti, ecc.)
18) riorganizzazione del sistema delle autorità
indipendenti
19) soppressione della Commissione di vigilanza sui
fondi pensione e attribuzione delle funzioni alla
Banca d'Italia
20) centrale unica per gli acquisti per tutte le
forze di polizia
21) abolizione del concerto e dei pareri tra
ministeri, un solo rappresentante dello Stato nelle
conferenze di servizi, con tempi certi
22) leggi auto-applicative;
decreti attuativi, da emanare entro tempi certi,
solo se strettamente necessari
23) controllo della Ragioneria generale dello Stato
solo sui profili di spesa
24) divieto di sospendere il
procedimento amministrativo e di chiedere pareri
facoltativi salvo casi gravi, sanzioni per i
funzionari che lo violano
25) censimento di tutti gli enti pubblici
26) una sola scuola nazionale dell’Amministrazione
27) accorpamento di Aci, Pra e Motorizzazione civile
28) riorganizzazione della presenza dello Stato sul
territorio (es. ragionerie provinciali e sedi
regionali Istat) e riduzione delle Prefetture a non
più di 40 (nei capoluoghi di regione e nelle zone
più strategiche per la criminalità organizzata)
29) eliminazione dell'obbligo di iscrizione alle
camere di commercio
30) accorpamento delle
sovrintendenze e gestione manageriale dei poli
museali
31) razionalizzazione delle autorità portuali
32) modifica del codice degli
appalti pubblici
33) inasprimento delle
sanzioni, nelle controversie amministrative, a
carico dei ricorrenti e degli avvocati per le liti
temerarie
34) modifica alla disciplina
della sospensione cautelare nel processo
amministrativo, udienza di merito entro 30 giorni in
caso di sospensione cautelare negli appalti
pubblici, condanna automatica alle spese nel
giudizio cautelare se il ricorso non è accolto
35) riforma delle funzioni e degli onorari
dell’Avvocatura generale dello Stato
36) riduzione delle aziende municipalizzate
Gli Open Data come strumento di trasparenza.
Semplificazione e digitalizzazione dei servizi
37) introduzione del Pin del
cittadino: dobbiamo garantire a tutti l’accesso a
qualsiasi servizio pubblico attraverso un'unica
identità digitale
38) trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche: il
sistema Siope diventa "open data"
39) unificazione e
standardizzazione della modulistica in materia di
edilizia ed ambiente
40) concreta attuazione del
sistema della fatturazione elettronica per tutte le
amministrazioni
41) unificazione e interoperabilità delle banche
dati (es. società partecipate)
42) dematerializzazione dei
documenti amministrativi e loro pubblicazione in
formato aperto
43) accelerazione della riforma fiscale e delle
relative misure di semplificazione
44) obbligo di trasparenza da
parte dei sindacati: ogni spesa online". |
IN EVIDENZA |
Ai funzionari delle Soprintendenze: non ce ne
sarebbe bisogno ma visti alcuni atti che girano
(ancora, purtroppo) bisogna necessariamente
ricordarlo...
E' ILLEGITTIMO
IL PARERE FAVOREVOLE DELLA SOPRINTENDENZA, IN
MATERIA DI SANATORIA AMBIENTALE, CONDIZIONATO A
PRESCRIZIONI !! |
EDILIZIA
PRIVATA: L’accertamento
di compatibilità paesaggistica non può che
riguardare esclusivamente le opere che si intendono
sanare, riferite al reale stato dei luoghi; pertanto
non è possibile un’autorizzazione paesaggistica
(postuma) laddove la relativa richiesta preveda la
futura demolizione delle opere realizzate
abusivamente.
Il procedimento di autorizzazione paesaggistica
postumo, per le sue caratteristiche, non consente,
pertanto, una valutazione della sanatoria
subordinata ad opere che si intendono demolire o ad
interventi ancora da realizzarsi.
Il ricorso è infondato.
L’accertamento postumo di compatibilità
paesaggistica -previsto dall’art. 167, commi 4 e 5,
d.lgs. 42/2004- è atto dovuto in tutti i casi
relativi ad interventi edilizi realizzati in assenza
di autorizzazione ovvero in difformità da questa,
ove rilasciata.
L’interesse pubblico, del quale l’art. 167 si pone a
presidio normativo, è quello di consentire una
verificare circa la conformità ai valori del
paesaggio di opere edilizie carenti, in tutto o in
parte, di titolo.
L’art. 167, comma 4, prescrive rigorosamente i casi
in cui è possibile sanare gli interventi effettuati
in assenza o in difformità dal titolo. Trattasi di:
a) lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) lavori per i quali siano stati impiegati
materiali in difformità dall'autorizzazione
paesaggistica;
c) lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell'articolo 3 d.p.r. 06.06.2001, n. 380.
L’accertamento di compatibilità paesaggistica non
può che riguardare esclusivamente le opere che si
intendono sanare, riferite al reale stato dei
luoghi; pertanto non è possibile un’autorizzazione
paesaggistica laddove la relativa richiesta preveda
la futura demolizione delle opere realizzate
abusivamente. Il procedimento di autorizzazione
paesaggistica postumo, per le sue caratteristiche,
non consente, pertanto, una valutazione della
sanatoria subordinata ad opere che si intendono
demolire o ad interventi ancora da realizzarsi.
In particolare, riguardo al primo immobile (foglio
46, particelle 536-537-538), le opere realizzate
abusivamente, presenti ancora in sito, non
rispondono ai requisiti previsti dagli artt. 167 e
181 del menzionato d.lgs. 42/2004, attesa la
sussistenza di ampliamenti volumetrici e di
superficie.
Come chiarito da pacifica giurisprudenza
amministrativa, condivisa dal Collegio (ex multis,
recente, Cons. Stato, sez. VI , 20.06.2013, n. 3373;
o anche, TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 11.04.2013,
n. 350), l'art. 167, comma 4, menzionato d.lgs.
42/2004, non consente il rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria
qualora il manufatto realizzato in assenza di
valutazione di compatibilità abbia determinato la
creazione o l'aumento di superfici utili o di volumi
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 18.04.2014 n. 777 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
IN EVIDENZA |
Ai responsabili degli U.T.C.: non ce sarebbe bisogno
ma visti alcuni atti che girano (ancora, purtroppo)
bisogna necessariamente ricordarlo...
E' ILLEGITTIMO
CONCLUDERE IL PROCEDIMENTO DI SANATORIA AMBIENTALE
SENZA AVER PRELIMINARMENTE ACQUISITO AGLI ATTI IL
PARERE OBBLIGATORIO E VINCOLANTE DELLA
SOPRINTENDENZA !! |
EDILIZIA
PRIVATA: La
richiesta di di compatibilità
paesaggistico-ambientale, avanzata ai sensi
dell’art. 181, comma 1-quater, d.l.vo 42/2004, deve
essere necessariamente istruita con l’acquisizione
di parere vincolante da parte della Soprintendenza.
Invero, l’art. 146, comma 12, del dlgs n. 42/2004
prevede che non possano più essere rilasciate
autorizzazioni paesaggistiche “in sanatoria”, ossia
successive alla realizzazione, anche parziale, degli
interventi, salvo le ipotesi tassative volte a
sanare “ex post” gli interventi abusivi di cui
all’art. 167; in tali casi deve essere instaurata
un’apposita procedura ad istanza della parte
interessata che contempla –a differenza
dell’ordinario procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (in vigore in via
transitoria)– l’accertamento della compatibilità
paesaggistica, demandato all’amministrazione
preposta alla gestione del vincolo, previa
acquisizione del parere della Soprintendenza che
nella particolare fattispecie in esame assume
carattere non solo obbligatorio, ma vincolante.
Ad avviso del Collegio deve stimarsi pregiudiziale
ed assorbente la seconda censura,con la quale si
deduce la mancata acquisizione del parere
obbligatorio e vincolante della Soprintendenza ai
B.A.P. di Salerno ed Avellino, ai sensi degli artt.
167, comma 5 e 181, comma 1-quater, d.lgs n.
42/2004;
Osserva il Collegio che l’art. 167 del d.l.vo
42/2004, ai commi 4 e 5, così dispone: “L’autorità
amministrativa competente accerta la compatibilità
paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma
5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali
interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria
ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380.
Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli
interventi di cui al comma 4 presenta apposita
domanda all’autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell’accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla
domanda entro il termine perentorio di centottanta
giorni, previo parere vincolante della
soprintendenza da rendersi entro il termine
perentorio di novanta giorni. Qualora venga
accertata la compatibilità paesaggistica, il
trasgressore è tenuto al pagamento di una somma
equivalente al maggiore importo tra il danno
arrecato e il profitto conseguito mediante la
trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è
determinato previa perizia di stima. In caso di
rigetto della domanda si applica la sanzione
demolitoria di cui al comma 1. La domanda di
accertamento della compatibilità paesaggistica
presentata ai sensi dell'articolo 181, comma
1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per
gli effetti di cui al presente comma”.
Parimenti l’art. 181, commi 1-ter e quater, dello
stesso d.l.vo, così dispone: “Ferma restando
l’applicazione delle sanzioni amministrative
pecuniarie di cui all’articolo 167, qualora
l’autorità amministrativa competente accerti la
compatibilità paesaggistica secondo le procedure di
cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al
comma 1 non si applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell’articolo 3 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380.
Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli
interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita
domanda all’autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell’accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla
domanda entro il termine perentorio di centottanta
giorni, previo parere vincolante della
soprintendenza da rendersi entro il termine
perentorio di novanta giorni”.
Dall’esposizione che precede risulta evidente come
la richiesta della ricorrente di compatibilità
paesaggistico-ambientale, avanzata ai sensi
dell’art. 181, comma 1-quater, d.l.vo 42/2004,
andava necessariamente istruita con l’acquisizione
di parere vincolante da parte della Soprintendenza
di Salerno, competente per territorio; ma detto
adempimento procedurale, come dedotto in ricorso e
come si ricava altresì dallo stesso tenore letterale
del provvedimento gravato, è stato nella specie
completamente pretermesso (né alcunché in contrario
è stato osservato da parte dell’Amministrazione
intimata, rimasta estranea al giudizio).
Si cfr. quanto statuito, in giurisprudenza, con
riferimento al procedimento in oggetto: “L’art.
146, comma 12 –nella versione modificata
dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 157 del 2006–
prevede che non possano più essere rilasciate
autorizzazioni paesaggistiche “in sanatoria”, ossia
successive alla realizzazione, anche parziale, degli
interventi, salvo le ipotesi tassative volte a
sanare “ex post” gli interventi abusivi di cui
all’art. 167; in tali casi deve essere instaurata
un’apposita procedura ad istanza della parte
interessata che contempla –a differenza
dell’ordinario procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (in vigore in via
transitoria)– l’accertamento della compatibilità
paesaggistica, demandato all’amministrazione
preposta alla gestione del vincolo, previa
acquisizione del parere della Soprintendenza che
nella particolare fattispecie in esame assume
carattere non solo obbligatorio, ma vincolante”
(TAR Veneto Venezia, sez. II, 23.04.2010, n. 1550;
Tar Lombardia Brescia Sez. I 27.03.2009; Tar
Campania, Salerno, Sez. I n. 759/2012)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 23.04.2014 n. 821 - link
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Piani di razionalizzazione degli assetti organizzativi e
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CONTRIBUTI |
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F. P. Garzone,
Le opere di livellamento e consolidamento di terreni
agricoli in aree vincolate a tutela dell’ambiente. Il regime
amministrativo e la tutela penale apprestata dal T.U. delle
disposizioni in materia edilizia (D.P.R. 380/2001)
(30.04.2014 - link a www.diritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
A. Concas,
Il contratto preliminare di compravendita, nozione e fasi,
dalla radazione alla registrazione
(28.04.2014 - link a www.diritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L.
di Russo, Diritto
di superficie e locazione nella realizzazione di impianti
fotovoltaici. Profili civilistici e fiscali
(23.04.2014 - link a www.diritto.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: G.
A. Lo Prete,
PA ed enti privati in controllo pubblico: incompatibilità e
inconferibilità di incarichi
(21.04.2014 - link a www.filodiritto.com). |
APPALTI:
G. Corsi,
L’interesse strumentale nelle gare d’appalto (17.04.2014
- link a www.diritto.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
V. Raeli,
Il modello della responsabilità amministrativa come "clausola
generale" e le fattispecie sanzionatorie (maggio
2014 - link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
A. Senatore,
La decadenza dal permesso a costruire:
decorrenza e proroga dei relativi termini (Urbanistica e
appalti n. 4/2014). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 18 del 02.05.2014, "Approvazione
del piano regionale della mobilità ciclistica ai sensi della
l.r. 7/2009" (deliberazione G.R. 11.04.2014 n.
1657:
1^ parte -
2^ parte). |
ENTI LOCALI:
G.U. 30.04.2014 n. 99 "Ulteriore differimento dal 30
aprile al 31.07.2014 del termine per la deliberazione del
bilancio di previsione 2014 degli enti locali, ai sensi
dell’articolo 151, comma 1, del Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267" (Ministero dell'Interno,
decreto 29.04.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
30.04.2014 n. 99 "Disciplina
delle modalità di applicazione a regime del SISTRI del
trasporto intermodale nonché specificazione delle categorie
di soggetti obbligati ad aderire, ex articolo 188-ter, comma
1 e 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006"
(Ministero dell'Ambiente ed ella Tutela del Territorio e del
Mare,
decreto 24.04.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA:
G.U. 28.04.2014 n. 97 "Norme Tecniche per gli
attraversamenti ed i parallelismi di condotte e canali
convoglianti liquidi e gas con ferrovie ed altre linee di
trasporto" (Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto 04.04.2014). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
ENTI LOCALI:
OGGETTO: Decoro delle bandiere esposte all'esterno degli
edifici pubblici (Prefettura di Avellino,
nota 28.04.2014 n. 9633 di prot.). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OGGETTO: Legge 07.04.2014, n. 56 (c.d. Legge Delrio) -
"Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni dei comuni" - Chiarimenti in ordine
all'articolo 1 - comma 135, 136, 137 e 138 (Prefettura
di Avellino,
nota 25.04.2014 n. 9159 di prot.). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Oggetto: Legge 07.04.2014, n. 56 - "Disposizioni sulle
città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni
dei comuni (Ministero dell'Interno, Dipartimento
per gli Affari Interni e Territoriali,
nota 24.04.2014 n. 6508 di prot.). |
QUESITI &
PARERI |
SEGRETARI
COMUNALI:
Personale degli enti locali. Spese personale e assunzione
segretario.
La Corte dei conti ha chiarito che la
spesa inerente alla figura del segretario comunale, sotto il
profilo finanziario, è assimilata a quella del personale e
risulta assoggettata pertanto ai vincoli imposti dalla
disciplina finanziaria vigente.
Il Comune si è posto la questione relativa alla possibilità
di 'assumere' il segretario comunale, figura
obbligatoria per legge, qualora con detta 'assunzione' non
vengano poi rispettati i limiti di spesa complessivi per il
personale (conseguenza del fatto che in passato si è fatto
ricorso a prolungate reggenze o supplenze o a convenzioni
tra una molteplicità di comuni). L'Ente richiama, a tal
proposito, le osservazioni formulate dalla Corte dei conti
della Lombardia (parere n. 130/2014) e chiede di conoscere
se debba prioritariamente essere garantita la presenza di
una figura obbligatoria per legge procedendo,
successivamente, a sostenere spese per figure professionali
non obbligatorie.
Sentito il Servizio finanza locale, si osserva quanto segue.
La Corte dei conti, nel citato parere, ha evidenziato che il
segretario comunale è un pubblico funzionario dipendente del
Ministero dell'Interno, che svolge le proprie funzioni
presso un ente territoriale, in base ad incarico conferito
attraverso un provvedimento di nomina del Sindaco.
La particolarità di detta figura, obbligatoria per legge
[1], non
influisce comunque sull'allocazione, sotto il profilo
finanziario, delle poste contabili relative all'incardinamento
(solo in senso lato qualificabile come assunzione) in capo
all'ente locale presso cui il segretario operi
funzionalmente, in modo assimilabile a quelle per i
dipendenti [2].
La Corte dei conti ha rilevato che, conseguentemente,
l'aspetto problematico risulta quello di conciliare
l'evidente obbligatorietà dell'incardinamento del segretario
comunale con la disciplina finanziaria vigente, in
particolare con riferimento ai limiti posti alla spesa del
personale intesa complessivamente.
Ha evidenziato, a tal proposito, che la spesa per il
personale 'per la sua importanza strategica ai fini
dell'attuazione del patto di stabilità interno (data la sua
rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di
dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte
corrente [3],
con la conseguenza che le disposizioni relative al suo
contenimento assurgono a principio fondamentale della
legislazione statale'.
Premesso un tanto, si è anche sottolineato che, in linea di
massima, la disciplina finanziaria non interferisce con la
disciplina ordinamentale e tiene fermi facoltà, obblighi e
divieti sostanziali imputabili all'amministrazione;
introduce piuttosto indirette limitazioni alla
discrezionalità operativa degli enti che, a causa dei
predetti limiti, sotto la propria responsabilità, devono
effettuare scelte gestionali che li mettano in condizione di
esercitare facoltà e adempiere doveri compatibilmente con il
rispetto di tali obiettivi di spesa, e ciò è sostenibile
anche per l'esercizio di legittime prerogative come, nel
caso di specie, la nomina di un segretario comunale.
In sostanza, la Corte dei conti ha ribadito che il comune
non può sottrarsi al rispetto dei vincoli di finanza
pubblica relativi alle spese del personale. E' onere,
pertanto, di ogni singola amministrazione effettuare scelte
alternative, come la rinuncia al turn-over o la riduzione
delle voci di spesa di personale facoltative, per personale
non strutturato [4],
ricompreso nel calcolo dell'aggregato previsto dalla vigente
normativa finanziaria.
In ogni caso -ha concluso la Corte dei conti- resta ferma la
necessità, per le amministrazioni locali, di verificare la
compatibilità di qualsiasi scelta si intenda effettuare con
la disciplina finanziaria medesima.
In conclusione, appurato l'obbligo di legge di garantire la
figura del segretario comunale, spetta al Comune 'adottare
tutte le possibili forme organizzative che consentono il
rispetto del contenimento della spesa del personale, in
primo luogo, cercando una forma di collaborazione del
segretario comunale che contenga per quanto è possibile la
spesa ed eventualmente riducendo altre spese di personale'
[5]
facoltative.
La Corte dei conti, sez. Marche [6],
richiamando l'orientamento espresso dalla sez. Veneto, con
deliberazione n. 154/2011, ha precisato inoltre che 'ai
fini della verifica del rispetto del vincolo posto dalla
legge deve necessariamente prescindersi dalla valutazione
circa la precarietà o meno della copertura del posto del
Segretario: ciò che rileva è la figura in quanto tale, per
la sua indefettibilità evidenziata tra l'altro non solo
dalla previsione dell'art. 97 del TUEL (e in particolare il
compito di assistenza agli organi), ma anche dalla stessa
circostanza (...) secondo cui in caso di mancata nomina
viene comunque inviato un Segretario, seppur in
disponibilità (...). La circostanza secondo cui tale spesa,
sia pure in un'ottica complessiva di matrice vincolistica
che tende alla sua diminuzione, debba essere comunque
garantita, rafforza ancora di più la conclusione sopra
riportata, alla luce tra l'altro delle rinnovate funzioni
attribuite alla figura del Segretario comunale e a seguito
in particolare del D.lgs. 190/2012
[7] che
individuano, di norma, in tale figura l'organo responsabile
della prevenzione della corruzione e di fondamentali compiti
di programmazione e vigilanza'.
---------------
[1] Vedasi in proposito la lettera dell'Assessore alla
funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle
riforme, prot. n. 703-SP/13-G, 'Copertura sedi vacanti di
segreteria nella Regione Friuli Venezia Giulia' del
12.12.2013.
[2] Cfr. anche Corte dei conti, Sezione Autonomie,
deliberazione 30.05.2012, n. 8. Tale sezione è giunta alla
conclusione che nel complessivo assetto normativo che regola
ruolo, funzioni e 'status' dei segretari comunali, pur a
fronte di incrementi della spesa di personale non coerenti
con gli obiettivi di finanza pubblica, tenuto conto delle
specifiche disposizioni di contenimento di tale tipo di
spesa, non sono intervenute innovazioni tali da poter
giustificare una posizione funzionale diversa nel contesto
ordinamentale degli enti locali e che pertanto non
sussistono elementi per una ridefinizione della natura
giuridico-economica della retribuzione agli stessi
spettante, che possa giustificare un'allocazione contabile
delle relative spese diversa da quella in cui sono appostate
le spese per il personale dipendente degli enti.
[3] Secondo il principio posto dalla Corte dei conti (cfr.
Sezioni Riunite, deliberazione n. 27 del 2011), per
individuare l'esatto aggregato della spesa di personale nel
confronto con la spesa corrente, la si deve ritenere come
onnicomprensiva di tutte le sue possibili componenti e
quindi inclusiva di ogni voce, comprese quelle sostenute con
finanziamenti esterni. L'art. 1, comma 557-bis, della l.
296/2006 (disciplina statale) precisa che costituiscono
spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, per la
somministrazione lavoro, per il personale di cui
all'articolo 110 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267,
nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza
estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e
organismi variamente denominati partecipati o comunque
facenti capo all'ente. Per quanto concerne la normativa
finanziaria applicabile agli enti locali della Regione
Friuli Venezia Giulia, l'art. 12, comma 25, della l.r.
17/2008 stabilisce che costituiscono spese di personale,
oltre a quelle iscritte all'intervento 1 del titolo I della
spesa corrente, anche quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, per la
somministrazione di lavoro, per il personale di cui
all'articolo 110 del decreto legislativo 267/2000.
[4] Da intendersi quale ricorso a forme contrattuali di
lavoro flessibile (ad es. co.co.co., lavoro somministrato,
rapporti a tempo determinato), non riferito quindi a
rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che comportano un
costo di bilancio irreversibile.
[5] Cfr. Corte dei conti, sez. Lombardia, deliberazione n.
1047 del 2010, Corte dei conti, sez. Veneto, parere n.
97/2013.
[6] Cfr. deliberazione n. 64/2013.
[7] Rectius, legge 190/2012
(02.05.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Maggioranze necessarie per la validità delle deliberazioni
del consiglio comunale.
1) Se la base di riferimento del calcolo
del quorum costitutivo delle sedute del consiglio comunale è
quella dei 'componenti assegnati', detto quorum rimane
immutato anche a seguito delle dimissioni di alcuni
consiglieri.
2) La determinazione del quorum deliberativo è lasciata
all'autonomia regolamentare dell'Ente.
Il Comune chiede di conoscere un parere in merito al
quorum necessario per la validità delle deliberazioni
del consiglio comunale. A tal fine, precisa che il consiglio
comunale, originariamente composto da 13 componenti,
compreso il sindaco, si dovrebbe ridurre a 11 membri
(compreso il sindaco). [1]
Ciò premesso, desidera sapere quali siano le maggioranze
necessarie ai fini della validità delle sedute consiliari,
sia sotto il profilo del quorum costitutivo che di
quello deliberativo.
L'articolo 38, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267
stabilisce che 'il funzionamento dei consigli, nel quadro
dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal
regolamento'. La norma citata affida all'autonoma
determinazione del consiglio comunale, attraverso lo
strumento di autonomia normativa del regolamento, la
disciplina dei quorum necessari per la validità delle
deliberazioni, ponendo essa un limite solo con riferimento
al numero minimo di consiglieri necessario per la validità
della seduta (c.d. quorum costitutivo o strutturale).
Recita, infatti, l'articolo 38, comma 2, TUEL che: '[...]
in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo
dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza
computare a tal fine il sindaco [...]'.
L'articolo 8 del regolamento sul funzionamento del consiglio
comunale, rubricato 'Numero legale per la validità delle
sedute', facente parte del Titolo II ('Adempimenti
preliminari alle sedute') recita: '1. Per la validità
delle riunioni del Consiglio Comunale è necessaria la
presenza della metà dei componenti assegnati. 2. Dopo la
prima seduta resa nulla per mancanza del numero legale, per
la validità della seduta successiva, di seconda
convocazione, è sufficiente la presenza di almeno quattro
Consiglieri'.
Atteso che si tratta di comune con popolazione fino a 3.000
abitanti, la legge prevede che il consiglio comunale sia
composto dal sindaco e da 12 membri.
In base alle prescrizioni contenute nel regolamento
consiliare, segue che il quorum strutturale minimo per la
valida costituzione di una seduta del consiglio comunale, in
prima convocazione, è di 7 componenti (compreso il sindaco).
Quanto alla seconda convocazione il regolamento consiliare
ritiene sufficiente la presenza di almeno quattro
consiglieri.
Attesa la base di riferimento del calcolo del quorum
costitutivo, che è quella dei 'componenti assegnati'
secondo la previsione di legge, segue che detto quorum
(sette componenti) rimane immutato anche a seguito delle
dimissioni di due consiglieri.
Con riferimento alle maggioranze richieste per la valida
assunzione di una deliberazione consiliare, l'articolo 9 del
regolamento per il funzionamento del consiglio comunale,
rubricato 'Numero legale per la validità delle
deliberazioni', stabilisce che: 'Nessuna
deliberazione è validamente adottata dal Consiglio se non
risulta approvata dalla maggioranza dei votanti, fatti salvi
i casi in cui sia richiesta, dalla legge o dallo statuto,
una maggioranza qualificata'. Il successivo articolo 39,
tuttavia, rubricato 'Calcolo della maggioranza' e inserito
nel Titolo VI del regolamento consiliare ('Operazioni di
votazione') recita: 'Perché una deliberazione sia valida
occorre che ottenga, di regola, la maggioranza assoluta e
cioè un numero di voti favorevoli pari alla metà più uno dei
votanti, arrotondato per eccesso'.
L'Ente rileva una discrasia fra le due previsioni e, sentito
per le vie brevi, chiede dei chiarimenti al riguardo che
possano risultare utili anche nell'ottica di una possibile
modifica dell'attuale regolamento consiliare.
Al riguardo, si osserva che non compete a questo Ufficio
interpretare il significato delle norme del regolamento sul
funzionamento del consiglio comunale, dovendo attribuirsi
tale compito all'organo che le ha elaborate; pertanto, le
seguenti considerazioni sono espresse in via meramente
collaborativa.
Come già sopra evidenziato, la determinazione delle
maggioranze richieste per la valida assunzione di una
deliberazione consiliare è lasciata all'autonomia
regolamentare dell'Ente.
In generale, per gli organi collegiali, vige il principio
proprio di tutti i procedimenti decisori secondo cui la
deliberazione deve essere presa a maggioranza di voti. Sul
concetto di maggioranza si suole, poi, distinguere tra una
maggioranza semplice (o relativa) che è quella che consiste
nella mera prevalenza numerica rispetto a coloro che
esprimono voti differenti; una maggioranza assoluta,
costituita dalla metà più uno degli aventi diritto al voto
ed una maggioranza qualificata, costituita da una frazione
prefissata dei votanti, superiore alla metà (per esempio,
due terzi o tre quarti). [2]
Ciò premesso, nell'analizzare gli articoli 9 e 39 del
regolamento consiliare si rileva che entrambi riferiscono il
calcolo della maggioranza al numero dei votanti ma, mentre
la prima disposizione non contiene specificazioni ulteriori,
la seconda precisa che deve trattarsi di una maggioranza
assoluta.
L'apparente discrasia tra le due disposizioni del
regolamento consiliare può trovare spiegazione se si
considera la vetustà dello stesso. Il regolamento del
consiglio comunale risulta, infatti, adottato con
deliberazione del consiglio comunale del 10.12.1997 e
successivamente modificato nell'anno 1998.
Il testo unico comunale e provinciale del 04.02.1915, n. 148
conteneva un'espressa disciplina sulle deliberazioni
consiliari. In particolare, l'articolo 298 dello stesso
stabiliva, al terzo comma, che: 'Nessuna deliberazione è
valida se non ottiene la maggioranza assoluta dei votanti'.
[3]
Se si considerano le sentenze emesse dalla giurisprudenza in
quegli anni si constata come il principio dalle stesse
affermato era che 'In mancanza di specifiche disposizioni
le quali stabiliscano una diversa maggioranza nelle
deliberazioni volte alla formazione della volontà
collegiale, detta volontà si identifica con quella espressa
dalla maggioranza assoluta dei votanti'.
[4]
Una possibile interpretazione [5]
delle norme in esame potrebbe, pertanto, portare ad
affermare che la maggioranza richiesta ai fini della valida
assunzione di una deliberazione consiliare sia quello della
maggioranza assoluta dei votanti.
La giurisprudenza, a tale riguardo, ha affermato che se il
numero dei votanti è pari la maggioranza assoluta può dirsi
raggiunta quando vengano ottenuti un numero di voti pari
alla metà più uno dei votanti; se il numero dei votanti è
dispari, invece, la maggioranza assoluta sarebbe costituita
da quel numero che, raddoppiato, dia una cifra superiore di
una unità al numero di votanti, purché venga superata, anche
di una sola frazione, la metà del collegio.
[6]
Si ribadisce, peraltro, che spetta al consiglio comunale
esprimersi sull'interpretazione delle norme regolamentari.
Considerata, inoltre, la datazione dell'attuale regolamento
consiliare, antecedente al testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali (ovverosia il D.Lgs.
267/2000), si consiglia l'Ente di modificare lo stesso
adeguandolo alla normativa attualmente in vigore e, con
riferimento specifico alla determinazione del quorum
funzionale, di formulare, in un'unica disposizione, che tipo
di maggioranza debba sussistere affinché una deliberazione
consiliare sia validamente assunta ed a quale elemento-base
la stessa debba essere rapportata.
---------------
[1] Ciò a seguito delle dimissioni di due consiglieri
comunali (le une già rassegnate, le seconde meramente
prospettate) ed all'impossibilità di procedere alla surroga
dei dimissionari per esaurimento della lista a cui
appartenevano i consiglieri venuti meno.
[2] Così, 'Treccani.it, l'Enciclopedia italiana', alla voce
'Maggioranza', consultabile sul sito: www.treccani.it
[3] Tale decreto è stato abrogato (salvo che per taluni
articoli specificamente indicati) dall'articolo 64 della
legge 08.06.1990, n. 142; successivamente l'articolo 28
della legge 03.08.1999, n. 265 ha nuovamente disposto
l'abrogazione dell'indicato decreto.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 24.03.1994, n.
414. Nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. V,
sentenza del 14.06.1994, n. 672 e Corte Conti, sez.
controllo, sentenza del 27.11.1992, n. 44.
[5] Ci si avvarrebbe, in particolare, di un'interpretazione
logico-sistematica in forza della quale il significato di
una norma viene determinato tenendo conto della connessione
con le altre norme e del fatto che l'interprete dovrebbe
sempre privilegiare quelle interpretazioni che, evitando le
contraddizioni nell'ambito di un singolo documento
normativo, diano una certa coerenza al sistema.
[6] Così, TAR Sicilia, Catania, sez. I, sentenza del
23.05.1994, n. 1032; TAR Campania, sez. III, sentenza del
29.01.1988, n. 5; Consiglio di Stato, sentenza n. 1135 del
1976
(24.04.2014 -
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www.regione.fvg.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Art. 55-septies, comma 5-ter,
del d.lgs. 165/2001. Circolare n. 2/2014 del Dipartimento
funzione pubblica. Assenze per visite, terapie, esami
diagnostici.
Il Dipartimento della funzione pubblica,
in relazione al disposto dell'art. 55-septies, comma 5-ter,
del d.lgs. 165/2001, ha chiarito che, per l'effettuazione di
visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami
diagnostici, il dipendente deve fruire dei permessi per
documentati motivi personali, secondo la disciplina dei
CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi
(come i permessi brevi o la banca delle ore).
La giustificazione dell'assenza, ove ciò sia richiesto per
la fruizione dell'istituto (es.: permessi per documentati
motivi personali), avviene mediante attestazione redatta dal
medico o dal personale amministrativo della struttura
pubblica o privata che ha erogato la prestazione
(attestazione di presenza).
Nel caso di concomitanza tra l'espletamento di visite
specialistiche, l'effettuazione di terapie od esami
diagnostici e la situazione di incapacità lavorativa,
trovano applicazione le ordinarie regole sulla
giustificazione dell'assenza per malattia.
Il Comune ha chiesto di conoscere se la circolare n. 2/2014
diramata da l Dipartimento della funzione pubblica sia
applicabile anche al personale del comparto unico del
pubblico impiego regionale e locale. Inoltre l'Ente si è
posto la questione se, in caso affermativo, in mancanza del
certificato medico attestante l'incapacità lavorativa, tali
assenze devono essere recuperate o compensate nell'ambito
della flessibilità e/o della 'banca delle ore',
oppure in alternativa possono rientrare nell'ambito dei
permessi retribuiti per festività soppresse.
Preliminarmente si osserva che l'art. 55-septies, comma
5-ter, del d.lgs. 165/2001, come modificato dal d.l.
101/2013, convertito in l. 125/2013 si applica anche al
personale del comparto unico, in quanto trattasi di
disciplina concernente in generale i dipendenti delle
pubbliche amministrazioni..
La richiamata norma, come novellata, recita testualmente: 'Nel
caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per
l'espletamento di visite, terapie, prestazioni
specialistiche od esami diagnostici il permesso è
giustificato mediante la presentazione di attestazione,
anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla
struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la
prestazione o trasmesse da questi ultimi mediante posta
elettronica'.
Il Dipartimento della funzione pubblica, con circolare n.
2/2014, è intervenuto a fornire chiarimenti interpretativi
sull'applicazione di detta disposizione ed ha precisato che
'a seguito dell'entrata in vigore della novella, per
l'effettuazione di visite, terapie, prestazioni
specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve
fruire dei permessi per documentati motivi personali,
secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali
similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca
delle ore). La giustificazione dell'assenza, ove ciò sia
richiesto per la fruizione dell'istituto (es.: permessi per
documentati motivi personali), avviene mediante attestazione
redatta dal medico o dal personale amministrativo della
struttura pubblica o privata che ha erogato la prestazione
(attestazione di presenza)'.
Si è inoltre affermato che, nel caso di concomitanza tra
l'espletamento di visite specialistiche, l'effettuazione di
terapie od esami diagnostici e la situazione di incapacità
lavorativa, trovano applicazione le ordinarie regole sulla
giustificazione dell'assenza per malattia.
Pertanto, non prevedendo la contrattazione regionale
permessi per documentati motivi personali, qualora non
sussista l'incapacità lavorativa, le assenze potranno essere
giustificate mediante l'utilizzo dei permessi brevi a
recupero oppure, in alternativa mediante l'utilizzo della 'banca
ore' dello straordinario o la fruizione ad ore delle
festività soppresse
(18.04.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI -
VARI: Autovelox ad alto rischio.
Obblighi precisi per la segnalazione delle «apparecchiature».
Molte postazioni
autovelox fisse rischiano di diventare fuorilegge. Se lo
schema di decreto ministeriale sui controlli di velocità
verrà approvato (forse questo mese) nella versione inviata a
metà aprile alla Conferenza Stato-città-autonomie locali, le
postazioni dovranno essere corredate da un segnale che
attualmente non hanno.
Si tratta della novità principale del
decreto, scritto dai tecnici dei ministeri delle
Infrastrutture e dell'Interno, richiesto quattro anni fa
dalla riforma del Codice della strada (legge 120/2010) e
finora rimasto fermo per difficoltà e contrasti sull'altro
punto che la legge richiedeva fosse contenuto nel testo: la
devoluzione di metà dei proventi autovelox agli enti
proprietari delle strade (si veda Il Sole 24 Ore del 1°
maggio).
Disciplinare i controlli di velocità, invece, presentava
meno problemi: c'era già la "direttiva Maroni", emanata dal
ministero dell'Interno il 14.08.2009. E infatti il nuovo
decreto la riprende quasi per intero, ampliandola e
aggiornandola in linea coi pareri resi dai ministeri in
questi ultimi anni su questioni emerse di recente (come
alcuni problemi sul controllo della velocità media). Sono
novità che in gran parte favoriscono i controlli,
"ammorbidendo" qualche vincolo. La direttiva del 2009 è
stata resa più garantista solo sulla visibilità delle
postazioni fisse per i controlli automatici, richiesta dal
Dl 117/2007.
Oggi il testo lascia la scelta tra il piazzarvi sopra un
piccolo segnale col simbolo del corpo di polizia che
utilizza la postazione (la sagoma stilizzata dell'agente per
la Polizia stradale, il casco per quelle locali) o adottare
un'«opportuna colorazione». Quest'ultima opzione lascia una
certa libertà interpretativa: alcuni Comuni si ritengono in
regola anche con una striscia riflettente bianca e rossa,
altri (tra cui Milano) reputano opportuno anche il colore
grigio scuro.
Secondo il nuovo schema di dm, tutti dovranno piazzare il
segnale, sulla postazione o nelle immediate vicinanze.
Diventano invece più utilizzabili i tutor per il controllo
della velocità media: inizialmente, le modalità d'uso
stabilite dai decreti di approvazione delle apparecchiature
escludevano le rilevazioni su tratti dove il limite variasse
(anche per situazioni eccezionali, come maltempo o
cantieri), ma da fine 2010 un parere ministeriale le aveva
ammesse in situazioni del genere, prendendo come riferimento
il limite più alto fra quelli in vigore.
Inoltre, la legge 120/2010 aveva imposto per le postazioni
fisse fuori dai centri abitati una distanza minima di un
chilometro tra il segnale di limite di velocità e
l'apparecchio di controllo, ma un altro parere aveva
stabilito che questo vincolo non riguarda il portale che
rileva l'ingresso nel tratto controllato, ma solo quello che
registra l'uscita (perché è qui che l'infrazione si
considera commessa per questo stesso motivo i ricorsi si
presentano all'autorità competente sul luogo del secondo
portale).
Entrambi i pareri vengono confermati dallo schema
di Dm. Sempre riguardo alla distanza minima di un
chilometro, confermati i pareri secondo cui il segnale può
stare anche più vicino se si limita a ricordare la velocità
massima consentita dal Codice o se è una mera conferma del
limite locale dopo un incrocio.
In quest'ultimo caso, però, occorre che prima
dell'intersezione vigano limiti uguali su tutti i tratti di
strada che vi confluiscano e che tutti i segnali che li
impongono distino più di un chilometro dalla postazione di
controllo (articolo Il Sole 24 Ore del 04.05.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Appalti di opere pubbliche: liti temerarie ad
alto costo. Consiglio di Stato. Il peso delle
super-sanzioni.
Il Governo in settimana ha rilanciato sulla stretta alle
sospensive concesse dai Tar in caso di appalti. L'intento è
quello di garantire tempi certi e di evitare mosse
"dilatorie" sulle opere pubbliche di maggior peso, come
quelle connesse a finanziamenti Ue o a programmi di sviluppo
articolati. Due le direttrici praticabili: fissare
presupposti più severi ai Tar e inasprire le sanzioni per
chi abusa della richiesta di sospensiva.
La prima via –quella dei presupposti– è già stata
imboccata con la riforma del processo amministrativo (Dlgs
104/2010), di poco successiva alla legge sugli appalti
(163/2006): prima di sospendere l'esito di una gara va
verificata una griglia di presupposti (riportati nella
tabella qui sotto). Questa fitta griglia, tuttavia, non ha
impedito l'intervento della magistratura, ad esempio, sulle
opere di Expo 2015 (Tar Milano 164/2013).
Il Governo
potrebbe imporre ai Tar, per concedere la sospensiva,
l'ulteriore e più severo requisito della ragionevole
sicurezza di un esito certo della lite, tenendo presente che
la sentenza sopravverrà dopo pochi mesi garantendo a chi
risulti ingiustamente danneggiato un congruo risarcimento
(magari pagato dall'impresa vincitrice, se emerga un suo
comportamento poco trasparente). Questo sembra tuttavia il
paletto massimo utilizzabile, poiché lo Stato deve
rispettare la direttiva comunitaria (90/665) che prevede
un'obbligatoria tutela urgente per chi intenda contestare
l'esito delle gare.
L'altra via, quella delle super-sanzioni per iniziative
temerarie (il contributo iniziale si può moltiplicare per
cinque) è un sistema indiretto per limitare il potere
cautelare del giudice, ma forse più agevole anche se deve
fare i conti con quanto già esistente, come si può vedere da
una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (n. 1436
del 24 marzo). Un'impresa, nel contestare la regolarità del
Durc (sui contributi) dell'aggiudicatario, non aveva
adottato un comportamento prudenziale e aggiornato alla
giurisprudenza. L'impresa aveva anche ottenuto una
sospensiva sulla base di equivoci e affermazioni poi
smentite dai fatti. Il Consiglio di Stato non solo ha
respinto il ricorso, ma ha anche condannato l'impresa
ricorrente al pagamento di un ulteriore importo punitivo per
lite «temeraria».
La lite in materia di appalti pubblici ha un costo iniziale
di matrice tributaria che può raggiungere i 9.000 euro. In
caso di vittoria in giudizio, l'importo ricade su chi
soccombe, cumulandosi ai normali costi della lite (spese di
consulenza, oneri professionali). E a questi importi si
possono aggiungere somme ancor più rilevanti, rimesse alla
valutazione del giudice (si veda la sintesi nella tabella
qui sotto).
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Le regole attuali
SOSPENSIONE APPALTI OPERE STRATEGICHE
Che cosa chiede la legge per la sospensione Tar degli
appalti per «opere strategiche» (articolo 125, decreto
legislativo 104/2010):
- Obbligo di tener conto delle probabili conseguenze del
provvedimento per tutti gli interessi che possono essere
lesi
- Obbligo di tener conto del preminente interesse nazionale
alla sollecita realizzazione dell'opera
- Valutazione dell'irreparabilità del pregiudizio per il
ricorrente
- Obbligo di comparare l'interesse del ricorrente con quello
del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle
procedure
- La sospensione non incide sul contratto già stipulato, e
il risarcimento del danno avviene solo per equivalente
I «DISSUASORI ECONOMICI»
- Il giudice può disporre una cauzione (articolo 55, comma
2, Dlgs 104/2010)
- Il contributo unificato varia da 2.000 a 6.000 euro
(articolo 1, comma 25 a), n. 1-3, legge 228/2012)
- In appello il contributo aumenta del 50%, al massimo è
9.000 euro (articolo 13, comma 1-bis, Dpr 115/ 2002)
8 Contributo raddoppiato per gli appelli inammissibili o
improcedibili (articolo 13, comma 1-quater, Dpr 115/2002)
- La parte soccombente paga da 2 a 5 volte il contributo per
lite temeraria (articolo 26, comma 2, Dlgs 104/2010)
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
ENTI LOCALI -
VARI: Box autovelox segnalati meglio. Ma saranno utilizzabili come
dissuasori della velocità. In dirittura il decreto che prevede il riparto a metà delle
multe accertate dagli enti locali.
I box autovelox dovranno essere segnalati meglio ma nessuna
disposizione ne vieterà l'utilizzo anche come dissuasori
degli eccessi di velocità. E arriva il via libera alla
ripartizione a metà delle multe accertate dagli enti locali
su strade non di proprietà mentre per la rendicontazione
periodica al ministero da parte della polizia locale
occorrerà attendere istruzioni.
Sono queste in sintesi le
indicazioni più interessanti che emergono da una lettura
dello
schema dell'atteso decreto interministeriale recante
«disposizioni in materia di destinazione dei proventi delle
sanzioni a seguito dell'accertamento delle violazioni dei
limiti massimi di velocità di cui all'art. 142 del decreto
legislativo 30.04.1992, n. 285» che doveva essere
sottoposto ieri al vaglio della conferenza stato-città e
autonomie locali ma che è stato stralciato all'ultimo minuto
per permettere all'Anci di valutarne meglio i contenuti ed
arrivare ad una approvazione entro il mese di maggio.
La
legge n. 120/2010 ha riscritto l'art. 142 del codice della
strada in materia di eccesso di velocità e proventi delle
multe, prevedendo che per tutte le violazioni dei limiti di
velocità i relativi proventi devono essere ripartiti in
misura uguale fra l'ente dal quale dipende l'organo
accertatore e l'ente proprietario della strada, con
stringenti vincoli di spesa. E che entro il 31 maggio di
ogni anno ciascun ente locale dovrà rendicontare al
ministero.
Queste nuove disposizioni non sono ancora
diventate operative (nonostante il dl 16/2012 abbia tentato
di superare l'impasse) in quanto non è stato emanato il
provvedimento che tra l'altro dovrà disciplinare anche le
modalità tecniche di controllo della velocità dei veicoli.
Anche a seguito delle recenti polemiche sull'impiego
improprio degli armadietti autovelox il provvedimento sembra
essere in procinto di essere licenziato. A quanto risulta ad ItaliaOggi il ministro Maurizio Lupi è fermamente
intenzionato a licenziare il decreto prima possibile. Ma l'Anci
ha avanzato perplessità e per questo ha richiesto lo
slittamento dell'esame alla prossima seduta della conferenza
prevista per metà maggio. Il decreto in corso di
approvazione si compone di pochi articoli.
I primi sono dedicati alle modalità di rendicontazione
periodica dei proventi delle multe e alla ripartizione dei
proventi autovelox che per una incomprensibile alchimia
normativa non dovrà interessare le forze di polizia dello
stato. Per la trasmissione informatica della relazione
occorrerà attendere l'avvio del portale dedicato mentre per
quanto riguarda la ripartizione delle multe si farà
riferimento alle multe accertate a decorrere dal 01.01.2014.
La ripartizione, da eseguire entro il mese di gennaio 2015,
«interesserà il totale delle somme incamerate, al netto
delle spese sostenute per tutti i procedimenti
amministrativi connessi». Una brutta sorpresa
specialmente per alcune province che ritenevano di poter
confidare già sugli incassi dell'anno precedente.
Circa le modalità di collocazione ed uso dei sistemi di
controllo della velocità non sono tante le modifiche
rispetto all'attuale disposizione normativa. Per quanto
riguarda il Tutor viene chiarito definitivamente che il
luogo della commessa violazione è rappresentato dal secondo
portale che fotografa il trasgressore ad una velocità media
superiore al previsto. Gli strumenti elettronici devono
essere controllati nel rispetto delle indicazioni fornite
dal costruttore. In particolare per quelli automatici andrà
effettuata una verifica metrologica almeno annuale, prosegue
la bozza di decreto.
Novità importanti in materia di segnalazione delle
postazioni di controllo che devono essere sempre segnalate e
ben visibili. Per le postazioni temporanee la segnaletica di
preavviso potrà essere di carattere permanente solo se
l'impianto viene utilizzato frequentemente. Per la
contestazioni immediata della violazione non è necessario
alcun riscontro documentale, prosegue il decreto. In buona
sostanza sono perfettamente validi i controlli con sistemi
laser senza prova fotografica o documentale della
violazione. Nessuna novità infine per i temuti porta
autovelox senza strumento che potranno continuare ad essere
utilizzati come deterrente sulle strade del Bel paese
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2014). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
La novità del Durc.
Con riferimento all'articolo «Durc online più costoso», a
firma Simona D'Alessio, pubblicato su ItaliaOggi del 30
aprile, possono essere utili alcune precisazioni.
La nuova modalità di rilascio del Durc telematico
rappresenterà una vera e propria rivoluzione in termini di
tempestività, trasparenza e «sburocratizzazione» delle
procedure amministrative a favore dei contribuenti.
Con questo nuovo procedimento, su circa 5 milioni di
richieste annue di regolarità contributiva che oggi sono
gestite tramite lo Sportello unico previdenziale, si calcola
che almeno la metà potranno ottenere in tempo reale risposta
positiva alle loro istanze; un notevole passo in avanti
rispetto agli attuali tempi di attesa che, sebbene ridotti
notevolmente negli ultimi tempi, possono arrivare sino a
trenta giorni.
Questo snellimento di procedimento sarà ottenuto utilizzando
tecniche e risorse tecnologiche già disponibili presso gli
Istituti coinvolti.
Il nuovo Durc, infatti, sarà il frutto di integrazione di
infrastrutture per lo scambio dei dati già in essere e
utilizzate per la determinazione della regolarità
contributiva che gli istituti già attivano per emettere
l'attuale Durc.
Il cambiamento che si introduce non è tecnologico ma di
paradigma: si certifica online quello che i sistemi
automaticamente già oggi sono in grado di recuperare negli
archivi.
Lo scambio dei dati avverrà secondo gli indirizzi contenuti
nel Sistema pubblico di connettività, utilizzando i ben
collaudati servizi di cooperazione applicativa stabiliti tra
gli enti coinvolti, implementando la tecnologia XML già
largamente utilizzata tra gli istituti.
Pertanto, il costo e i tempi delle modifiche delle procedure
già esistenti sarà irrilevante rispetto ai benefici tradotti
in termini di minor impegno degli operatori addetti al
rilascio, di minor impegno di risorse informatiche, di una
migliore qualità e tempestività del servizio all'utenza (le
stazioni appaltanti, le aziende, l'intermediazione
professionale, il cittadino) che riceverà immediatamente una
certificazione di regolarità ovvero potrà immediatamente
attivarsi per la risoluzione dell'irregolarità contributiva
rilevata
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2014). |
TRIBUTI: Gli aumenti Tasi diventano legge. Dubbio bollettini. Regole
diverse per prime e seconde case. Il senato ha convertito definitivamente in legge il dl 16.
Tari anche sui rifiuti assimilati.
Il decreto Salva Roma ter è legge. Con 132 voti favorevoli,
71 contrari e 9 astenuti, l'aula di palazzo Madama ha dato
il via libera definitivo al dl 16/2014 non apportando
nessuna modifica rispetto al testo ampiamente modificato nel
passaggio alla camera dei deputati.
Con la conversione in legge del provvedimento, il puzzle
della Iuc, la nuova imposta unica comunale istituita
dall'ultima legge di stabilità, si arricchisce di alcuni
tasselli importanti. Altri, però, mancano ancora
all'appello: per esempio, non si hanno più notizie del
decreto direttoriale col quale il dipartimento delle finanze
dovrebbe escludere l'obbligo per i comuni di inviare ai
contribuenti i bollettini precompilati per il pagamento
della Tasi.
Proprio su quest'ultimo tributo si concentrano i correttivi
più significativi introdotti dal dl 16 e dalla relativa
legge di conversione. Oltre alla possibilità di aumentare le
aliquote sopra i tetti massimi fino allo 0,8 per mille (con
l'onere, assai incerto nella sua reale portata, di
introdurre detrazioni o altre agevolazioni che riproducano
gli effetti di quelle previste in regime Imu), la Tasi vede
meglio definito il suo ambito di applicazione, con la
definitiva esclusione dei terreni agricoli (che però ora, in
base al successivo dl 66, rischiano di pagare l'Imu se si
trovano in collina) e il recupero di gran parte delle
esenzioni già previste per l'imposta municipale.
Novità importanti anche per la Tari, che dovrà essere pagata
anche dai produttori di rifiuti assimilati (con, però,
sconti obbligatori da parte dei comuni) e che ritrova
elementi di flessibilità che la fanno somigliare molto alla
cara, vecchia Tarsu. Cambiano anche le modalità di
riscossione e di versamento: la Tasi si pagherà come l'Imu,
ovvero in due rate, con scadenza al 16 giugno e al 16
dicembre, salvo che il contribuente non preferisca versare
subito tutto in un'unica soluzione. Per quest'anno, però, le
regole si complicano e distinguono le prime case dagli altri
immobili.
Per il solo 2014, sugli immobili diversi
dall'abitazione principale, qualora il comune non abbia
deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio, la prima
rata andrà versata applicando l'aliquota base (1 per mille)
e il versamento della rata a saldo dell'imposta dovuta per
l'intero anno dovrà essere eseguito a conguaglio sulla base
delle deliberazioni pubblicate entro il 28 ottobre.
Sempre
per il 2014, per le prime case, si pagherà tutto in un'unica
rata entro il 16 dicembre, salvo il caso in cui la
deliberazione del comune sia pubblicata sul sito del Mef
entro il 31 maggio (trasmissione entro il 23 maggio). I
contribuenti potranno utilizzare solo F24 e bollettino
postale centralizzato, non i sistemi elettronici offerti da
banche e poste, che restano solo per la Tari. È saltata la
facoltà per i comuni di esternalizzarne la gestione della
Tasi senza gara a chi nel 2013 ha gestito l'Imu. La Tari,
invece, potrà essere affidata a chi lo scorso anno ha
gestito la Tares. Sostanzialmente invariata la disciplina
dell'Imu, che rappresenta la terza gamba della Iuc (che,
come ormai noto, di unico ha solo il nome).
L'unica novità
riguarda gli immobili oggetto di multiproprietà, per i quali
il versamento deve ora essere effettuato
dall'amministratore, che è autorizzato a prelevare l'importo
necessario dalle disponibilità finanziarie comuni
attribuendo le quote al singolo titolare dei diritti con
addebito nel rendiconto annuale. La Tari, invece, potrà
essere riscossa tramite anche mav, rid, pos. La tempistica è
rimessa alle scelte dei comuni
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA: Riscaldamenti al libretto unico. Da giugno l'obbligo vale
anche per i condizionatori. Un solo documento al posto di due per gli impianti termici
in aziende, uffici e abitazioni.
Dal primo giugno nuovo libretto unico per gli impianti
termici installati negli uffici, nelle imprese e nelle
abitazioni private. Dalla stessa data il libretto diventerà
obbligatorio anche per i dispositivi di climatizzazione
estiva. Il nuovo libretto non sarà suddiviso in due distinti
modelli ( libretti di centrale e l'altro di impianto), ma
sarà costituito da un unico documento, composto da tante
schede, utilizzabili in funzione delle apparecchiature
componenti l'impianto. Nel nuovo libretto sarà possibile
indicare la presenza sia dell'impianto termico (di qualsiasi
potenza) sia dell'impianto di climatizzazione estiva.
È con il dm 10.02.2014 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 07.03.2014 n. 55) che sono stati definiti i nuovi
modelli di libretto di impianto per la climatizzazione e di
rapporto di efficienza energetica .
Il libretto di impianto per gli impianti di climatizzazione
invernale e/o estiva sarà disponibile in forma cartacea o
elettronica. Nel primo caso verrà conservato dal
responsabile dell'impianto o eventuale terzo responsabile,
che ne curerà l'aggiornamento dove previsto o mettendolo a
disposizione degli operatori di volta in volta interessati.
Il libretto di impianto elettronico sarà conservato presso
il catasto informatico dell'autorità competente o presso
altro catasto accessibile all'autorità stessa, e verrà
aggiornato di volta in volta dagli operatori interessati,
che potranno accedere mediante una password personale al
libretto.
Se un edificio sarà servito da due impianti distinti, uno
per la climatizzazione invernale e uno per la
climatizzazione estiva, che in comune hanno soltanto il
sistema di rilevazione delle temperature nei locali
riscaldati e raffreddati, saranno necessari due libretti di
impianto distinti. In tutti gli altri casi sarà sufficiente
un solo libretto di impianto.
Sanzioni
- Le sanzioni in caso di inadempimenti legati alla
manutenzione degli impianti termici sono disciplinate dalla
normativa nazionale (articolo 15, 5 e 6 comma, del Dlgs 19.08.2005, n. 192) o dalle disposizione dettate dalle
Regioni. Il proprietario o il conduttore dell'unità
immobiliare, l'amministratore del condominio, o l'eventuale
terzo che se ne è assunta la responsabilità, che non
provvede alla manutenzione degli impianti termici invernali
ed estivi, è punito con la sanzione amministrativa non
inferiore a 500 euro e non superiore a 3 mila euro.
L'operatore incaricato del controllo e manutenzione, che non
redige un rapporto di controllo tecnico, è punito con la
sanzione amministrativa non inferiore a 1.000 euro e non
superiore a 6 mila euro. L'autorità che applica la sanzione
deve darne comunicazione alla Camera di commercio di
appartenenza per i provvedimenti disciplinari conseguenti.
Compilazione
- Il libretto dovrà essere compilato per la
prima volta dall'installatore, quando verrà messo in
funzione l'impianto e poi aggiornato dal responsabile o dal
manutentore. Dal 01.06.2014 spetterà direttamente al
responsabile dell'impianto (che negli piccoli è l'utente,
nel condominio è l'amministratore o la ditta abilitata da
questi delegata) recepire il nuovo modello, trascrivere
sulla prima pagina i dati identificativi dell'impianto e poi
consegnarlo, al momento del controllo, al manutentore per
l'aggiornamento dell'impianto. Per gli impianti esistenti al
01/06/2014 i «libretti di centrale» e i «libretti di
impianto», compilati in precedenza, dovranno essere allegati
al nuovo «libretto per la climatizzazione».
Rapporto efficienza energetica
- Dal 01.06.2014 dovranno
essere utilizzati i nuovi modelli per il rapporto di
efficienza energetica. Il rapporto di efficienza energetica
si compilerà per gli impianti termici di climatizzazione
invernale di potenza utile nominale maggiore di 10 Kw e di
climatizzazione estiva di potenza utile nominale maggiore di
12 Kw, con o senza produzione di acqua calda sanitaria. Gli
impianti termici alimentati esclusivamente da fonti
rinnovabili non rientrano negli impianti soggetti a
compilazione del rapporto
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA: Meno burocrazia nelle imprese. Ai professionisti il ruolo di
certificatori della sicurezza. ANTINCENDIO/ Il ministro dell'interno ha presentato il nuovo
piano per la prevenzione.
Arrivano le misure anti-burocrazia in materia di sicurezza
per le piccole e medie imprese. E cambia anche la vita per i
professionisti che assumeranno in concreto quel ruolo di
sussidiarietà sempre promesso e quasi mai applicato, visto
che lo stato non regolererà più il dettaglio, ma saranno i
professionisti stessi a realizzarlo.
Con lo slogan di «meno carta, tempi certi, più sicurezza e
più risparmi», il ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha
presentato un nuovo piano per la prevenzione degli incendi
elaborato dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che
prevede lo snellimento di norme e procedure, salvaguardando
nello stesso tempo, le garanzie di sicurezza.
Una
rivoluzione da cui si attendono risparmi, in termini di
oneri amministrativi per le pmi, superiori a quei 650
milioni di euro annui già accertati con l'entrata in vigore
del dpr 151/2011 che ha avviato un significativo snellimento
delle procedure amministrative. Ma
il nuovo corpus normativo
composto in tutto da 200 pagine e che in un primo tempo
affiancherà (per poi mandarle a esaurimento) le vecchie
regole che componevano oltre una dozzina di volumi, promette
di cambiare la vita anche ai professionisti.
Categorie
tecniche (per lo più ingegneri e periti industriali, ma
anche architetti e geometri) che a fronte di una maggior
autonomia nell'applicazione delle norme avranno più
responsabilità. Non è un caso che lo stesso ministro Alfano
abbia definito questo processo di semplificazione «la forma
più moderna di declinazione dell'idea di sussidiarietà
orizzontale che esalta le professionalità italiane».
Il ruolo dei professionisti
Per gli addetti ai lavori si tratta di un traguardo che
offrirà maggiore flessibilità progettuale, consentendo di
uscire dai rigidi schemi e parametri dei decreti
prescrittivi. In sostanza, i professionisti potranno
studiare soluzioni innovative e alternative anche
nell'ambito della sicurezza antincendio, disciplina
tradizionalmente piuttosto rigida. Finora, l'impostazione
data alla normativa ha avuto un taglio prescrittivo (regole
imposte dallo stato e soggetti obbligati agli adempimenti
sotto il controllo dei Vvf) che ha comportato un frequente
ricorso all'istituto della deroga, con conseguente
appesantimento dei procedimenti amministrativi.
Il nuovo
approccio così definito di tipo prestazionale, proporzionato
cioè al rischio e alla complessità dell'attività, consentirà
quindi ai tecnici di personalizzare gli accorgimenti da
adottare, coniugando le esigenze di sicurezza con quelli di
funzionalità, e magari anche di risparmi economici. «Abbiamo
milioni di professionisti», ha detto Alfano, «che sono
autonomamente in grado di dire qual è il modo più efficiente
per centrare l'obiettivo sicurezza. Il professionista
metterà la firma e se ne assumerà tutta la responsabilità,
l'ente pubblico invece fornirà l'obiettivo, effettuerà i
controlli, ma non darà prescrizioni che vincolano.
L'importanza di questa giornata è nell'esempio che i Vigili
del fuoco offrono alle altre pubbliche amministrazioni. Un
esempio perché cede il passo ai professionisti italiani,
realizzando finalmente la sussidiarietà orizzontale».
A chi interessa
Le nuove norme interesseranno le imprese, i commercianti, le
strutture alberghiere e tutti i cittadini che vogliono
svolgere lavori di ristrutturazione. Ed è anche dalle loro
richieste che si è avviato il processo. Per mettere a punto
le nuove norme, infatti, gli ingegneri dei vigili del fuoco
hanno raccolto le testimonianze degli imprenditori che
spingevano per avere regole certe e procedure più snelle per
ottenere le certificazioni di prevenzione incendio per le
loro attività. Per loro d'ora in poi sarà più facile
mettersi a norma perché avranno una modalità più semplici
per adeguarsi, con regole semplificate anche per le nuove
attività produttive nei centri storici.
Proprio per superare
la precedente impostazione si è pensato di inserire in un
unico testo organico quelle disposizioni di prevenzione
incendi che sono applicabili a tutte le attività soggette ai
controlli dei Vvf. I contenuti del progetto saranno poi
recepiti con un apposito decreto ministeriale che sarà
emanato entro l'estate e conterrà pochi articoli e una serie
di allegati tecnici
(articolo ItaliaOggi dell'01.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Gestione aggregata per gli appalti al via dal 1° luglio.
Gare. Anche per i piccoli Comuni.
Tutti i Comuni non
capoluogo di provincia devono affidare gli appalti per mezzo
di centrali di committenza e di soggetti aggregatori,
indipendentemente dalla tipologia e dal valore.
Il decreto Renzi interviene in modo drastico sui processi di
acquisizione di lavori, servizi e forniture, riformulando
completamente il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei
contratti pubblici e rendendo obbligatorio il ricorso a
modelli di gestione aggregata delle gare per la
razionalizzazione della spesa.
La disposizione contenuta nell'articolo 9 del Dl stabilisce
infatti che i Comuni che non hanno veste di capoluogo
procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi
nell'ambito delle unioni dei Comuni (quando esistenti),
oppure costituendo un accordo consortile tra loro e
avvalendosi dei competenti uffici, o, ancora, ricorrendo a
un soggetto aggregatore o alle Province, riconfigurate come
possibili stazioni uniche appaltanti dalla legge n. 56/2014
(articolo 1, comma 88).
In alternativa alla soluzione che fa leva su un organismo o
una struttura operante come centrale di committenza, gli
stessi Comuni possono effettuare i propri acquisti
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da
Consip o da altro soggetto aggregatore di riferimento, come
ad esempio le analoghe centrali istituite dalle Regioni.
La nuova norma estende l'ambito soggettivo di applicazione,
eliminando il previgente riferimento ai soli Comuni con
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. La disposizione
rimuove anche il limite dimensionale provinciale per le
strutture individuate come centrali di committenza.
Le diverse soluzioni offerte consentono, quindi, ai Comuni
di rapportarsi a enti già esistenti (unioni o Province) o a
organismi specializzati (individuati nella nuova
configurazione dei soggetti aggregatori, sancita dai primi
due commi dello stesso articolo 9 del Dl Renzi), ma anche di
costituire tra essi gestioni associate finalizzate a
svolgere il ruolo di centrali di committenza.
L'ambito oggettivo di applicazione della norma è molto
esteso, poiché nella riformulazione del comma 3-bis viene a
essere eliminata anche la parte che consentiva ai Comuni di
procedere autonomamente per acquisizioni di lavori, servizi
o forniture di valore inferiore ai 40mila euro. Nella nuova
versione tale deroga non c'è più, quindi i Comuni, anche per
acquisti di modesto importo non realizzabili mediante le
convenzioni centralizzate di Consip o mediante i mercati
elettronici, dovranno procedere mediante il modello
organizzativo "aggregativo" prescelto.
La nuova norma presenta, tuttavia, molti aspetti critici, a
partire dalla tempistica di applicazione, che, in forza
della combinazione con l'articolo 3, comma 1-bis della legge
n. 15/2014 viene a essere determinata nel 1° luglio di
quest'anno.
Gli appalti indetti dalle centrali di committenza dovranno
peraltro rispettare sempre il principio di suddivisione in
lotti (salvo esplicita motivazione di diversa scelta a lotto
unitario), come evidenziato anche dalla direttiva
24/2014/Ue, che richiama tali organismi a impostare gli
appalti in modo tale da consentire la partecipazione alle
Pmi secondo le loro capacità.
L'obbligo di utilizzo dei modelli aggregativi per la
gestione anche degli appalti di lavori deve peraltro essere
necessariamente coordinato con le peculiarità stabilite
dagli articoli 175 e 176 del Dpr n. 207/2010 in ordine a
quelli urgenti e di somma urgenza.
Le disposizioni del Dl n. 66/2014 definiscono anche
previsioni volte a potenziare ulteriormente il ricorso alle
convenzioni centralizzate stipulate da Consip e dalle
centrali di committenza regionali, prefigurando un sistema
focalizzato su un numero definito di soggetti aggregatori
(non superiore a 35).
Affinché la razionalizzaizone degli acquisti di beni e di
servizi attraverso tali strumenti sia efficace, l'articolo
10 individua specifici poteri di controllo in capo
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che
può avvalersi della guardia di finanza, nonché di
amministrazioni e di organismi di diritto pubblico (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
ENTI LOCALI: Incassi autovelox per metà al gestore della strada. Obbligo
solo da quest'anno Esclusi gli organi di polizia statali.
Conti dei Comuni. Lo schema del provvedimento è alla
Conferenza Stato-città.
La devoluzione all'ente proprietario di metà dei proventi
autovelox scatta solo da quest'anno e riguarda le sole
polizie locali. Ancora incerte restano invece decorrenza e
modalità degli obblighi di rendicontare più rigorosamente
l'utilizzo degli incassi di tutte le multe stradali da parte
degli enti locali. E viene posto un freno alla
determinazione delle spese di accertamento dell'infrazione,
che vanno addebitate a chi è tenuto a pagare le multe.
Sono le principali novità
dell'attesissimo
schema di decreto ministeriale sui
controlli di velocità, previsto sin dal luglio 2010 dalla
riforma del Codice della strada (legge 120/2010) e finora
rimasto al palo proprio per dubbi e difficoltà sul
principale vincolo introdotto dalla legge: la devoluzione
dei proventi.
Lo schema è stato inviato dal ministero delle Infrastrutture
alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali ed è in
attesa di essere messo all'ordine del giorno di una delle
prossime sedute. Nel frattempo, l'Anci lo sta studiando e
quasi certamente porterà ufficialmente alcune sue
osservazioni.
Il principale dubbio riguarda la rendicontazione
dell'utilizzo dei proventi, che deve avvenire in via
telematica entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello
cui il rendiconto si riferisce. Non è ancora pronto il
portale destinato a raccogliere gli invii da parte degli
enti e, nel silenzio del testo, sembra di intendere che
l'obbligo sia scattato già dal 2013, per cui vada adempiuto
già entro questo mese.
Invece il testo è esplicito nello stabilire che la
devoluzione scatta soltanto dal 2014. Una novità che chiude
una diatriba interpretativa aperta due anni da dal decreto
semplificazioni fiscali (Dl 16/2012), che aveva cercato di
avviare la devoluzione nonostante mancasse proprio il
decreto ministeriale che sta per andare al vaglio della
Conferenza. In ogni caso, il testo precisa che i proventi da
devolvere sono solo quelli effettivamente incassati nel
corso dell'anno precedente (anche se relativi a infrazioni
commesse ancora prima), al netto delle spese sostenute per
tutti i procedimenti amministrativi connessi.
Un punto controverso dello schema di decreto è nell'ambito
di applicazione dell'obbligo di destinare metà dei proventi
all'ente proprietario della strada. Nel tempo, si sono
succedute varie bozze e sembra che in quelle attuali vengano
escluse dall'obbligo le forze di polizia statali, anche se
la legge 120 non pareva fare questa distinzione.
Delle spese di accertamento parla l'allegato che, come
richiedeva la legge, regola le modalità con cui vanno
effettuati i controlli di velocità: finora non c'erano
praticamente paletti, mentre ora si stabilisce che i costi
dovranno essere documentabili e analitici e non possono
includere quelli che non concorrono direttamente
all'individuazione del trasgressore o alla notifica (per
esempio, le spese di assistenza legale e di recupero del
credito).
Per il resto, l'allegato riprende la "direttiva Maroni"
del 14.08.2009, ampliandola con le ultime novità già
contenute in pareri ministeriali (soprattutto sul tutor) e
imponendo l'uso di segnali per rendere visibili le
postazioni fisse (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.05.2014). |
ENTI LOCALI: Si amplia lo spettro delle notizie da comunicare.
Gli effetti. Più trasparenza.
Fattura verso la pubblica
amministrazione con informazioni obbligatorie allargate.
L'articolo 25 del decreto legge n. 66 del 2014 incrementa,
infatti, il patrimonio informativo che accompagna la
FatturaPA. Tra le informazioni obbligatorie delle fatture
elettroniche, comprese quelle che saranno obbligatoriamente
trasmesse dal prossimo 06.06.2014, vanno indicati i
codici CIG e CUP salve le esclusioni normativamente
previste. In capo alle amministrazioni pubbliche sussiste
infatti il divieto di procedere al pagamento delle fatture
elettroniche ricevute che non riportano tali codici.
Si tratta di un cambiamento introdotto nel tracciato
FatturaPA con la finalità di assicurare l'effettiva
tracciabilità dei pagamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni.
In particolare, le fatture elettroniche che saranno emesse
dovranno perciò riportare il Codice identificativo di gara -
CIG salvo i casi di esclusione dall'obbligo di tracciabilità
dei flussi finanziari di cui alla legge 13.08.2010, n.
136. In particolare il CIG non è altro che un codice
identificativo, associato ad un appalto o ad un lotto.
L'articolo 7 del decreto legge 187 del 12.11.2010,
convertito con modificazioni in legge 217 del 2010, per
garantire la tracciabilità dei flussi finanziari ha previsto
che gli strumenti di pagamento devono riportare, in
relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla
stazione appaltante, il codice identificativo di gara
attribuito dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici
(AVCP).
L'esclusione dall'obbligatoria indicazione del codice CIG
interessa le fatture emesse in relazione a figure
contrattuali non qualificabili come contratti di appalto,
quali ad esempio i contratti di lavoro conclusi dalle
stazioni appaltanti con i propri dipendenti, i contratti
aventi ad oggetto l'acquisto o la locazione di terreni,
fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti
diritti su tali beni nonché i contratti relativi ai servizi
di arbitrato e conciliazione.
Le FatturePa devono inoltre riportare il Codice Unico di
Progetto (CUP), quando relative a opere pubbliche,
interventi di manutenzione straordinaria, interventi
finanziati da contributi comunitari e ogni nuovo progetto di
investimento pubblico nei casi previsti dall'articolo 11
della legge 16.01.2003, n. 3.
I codici CIG e CUP completano il contenuto informativo della
FatturaPA. Tale contenuto, come evidenziato dagli allegati
al Dm 55/2013, è costituito innanzitutto da quelle
informazioni da riportare obbligatoriamente in fattura in
quanto rilevanti ai fini fiscali secondo la normativa
vigente. Si tratta delle indicazioni richieste dagli
articoli 21 e 21-bis del Dpr 633/1972 che vanno riportate in
ogni caso in fattura in quanto rilevanti ai fini fiscali
(tra queste vanno annoverate la data della fattura, la
natura e la quantità dei servizi e dei beni trattati, nonché
il regime Iva da applicare alla singola transazione.
In
aggiunta alle informazioni fiscali obbligatorie, il formato
xml deve contenere obbligatoriamente anche le informazioni
indispensabili ai fini di una corretta trasmissione della
fattura al soggetto destinatario attraverso il Sistema di
Interscambio (l'Indirizzo della Pubblica amministrazione - IPA).
Inoltre, per favorire l'automazione informatica del
processo di fatturazione, a integrazione delle informazioni
obbligatorie, il formato prevede anche la possibilità di
inserire nella fattura ulteriori dati quali le informazioni
utili per la completa dematerializzazione del processo del
ciclo passivo attraverso l'integrazione del documento
fattura con i sistemi gestionali e/o con i sistemi di
pagamento, nonché le informazioni che possono risultare di
interesse per esigenze informative concordate tra operatori
economici e amministrazioni pubbliche oppure specifiche
dell'emittente, con riferimento a particolari tipologie di
beni e servizi, o di utilità per il colloquio tra le parti (articolo Il Sole 24 Ore del 30.04.2014). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Prepensionamenti Pa obbligati. Necessaria una situazione di
soprannumero o di eccedenza. Pubblico impiego. L'opzione non può essere scelta dal
dipendente ma solo dall'amministrazione.
Il prepensionamento è
consentito solo nei casi di dichiarazione di soprannumerarietà o di eccedenza e non può mai essere
utilizzato come strumento per scansare i nuovi requisiti
della pensione di vecchiaia o anticipata, dettati dalla
riforma Monti-Fornero di fine 2011.
È questa la considerazione principale contenuta nella
circolare 28.04.2014 n. 4/2014 della Funzione pubblica (si veda anche il
Sole 24 Ore di ieri), che estende a tutte le pubbliche
amministrazioni, regioni ed enti locali compresi, la
possibilità di collocare in pensione chi è in possesso dei
requisiti anagrafici e contributivi validi ante riforma Fornero o che li possono conseguire in tempo utile per
perfezionare il requisito entro il 31.12.2016. Non si
tratta, quindi, di un diritto soggettivo del lavoratore,
bensì di una scelta che opera l'amministrazione nel contesto
dei piani di razionalizzazione degli assetti organizzativi e
di riduzione della spesa di personale.
Nella circolare, la Funzione pubblica chiarisce una volta
per tutte i concetti di "soprannumerarietà" e di "eccedenza"
di personale. Il primo caso è quello in cui il personale in
servizio supera la dotazione organica in tutte le
qualifiche, categorie e aree. Il secondo termine indica,
invece, la situazione in cui i lavoratori in servizio
superano la dotazione organica solo in alcune qualifiche,
categorie o aree in modo da permetterne una eventuale
ricollocazione. Con il generale termine di "esubero" si
designa, invece, il personale da porre in prepensionamento o
in disponibilità.
È arrivata anche la tanto attesa identificazione delle
situazioni da cui possono derivare soprannumero o eccedenza
di personale: riduzione obbligatoria delle dotazioni
organiche per le amministrazioni centrali; ragioni
funzionali; ragioni finanziarie che possono portare a
squilibrio dei bilanci; piani di ristrutturazione decisi
autonomamente dagli enti. Per le autonomie locali viene
precisato che le situazioni in esame possono rientrare anche
nella volontà di ridurre il rapporto tra spesa di personale
e spesa corrente. Ad oggi, per poter assumere, un Comune
deve mantenere tale percentuale al di sotto del 50% e quindi
il valore viene anche evidenziato come "campanello
d'allarme" per la valutazione di criticità negli equilibri
finanziari.
Fermo restando l'obbligo di adozione della programmazione
triennale del fabbisogno di personale, non si può non
ricordare che spetta ai competenti dirigenti
l'individuazione dei profili professionali necessari allo
svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui
sono preposti. L'adempimento è, quindi, propedeutico a ogni
verifica di soprannumero o eccedenza.
Da questa disamina scattano di conseguenza le procedure
dettagliate per giungere correttamente al prepensionamento.
Punto di partenza è, appunto, una dichiarazione di
soprannumero o eccedenza di personale secondo quanto
disposto dall'articolo 33 del Dlgs 165/2001. Qualora l'ente
intenda avvalersi delle misure in esame, dovrà effettuare
una ricognizione delle posizioni dei lavoratori che
potrebbero risultare in possesso dei requisiti anagrafici e
contributivi vigenti prima del decreto legge 201/2011 e,
passaggio fondamentale, chiedere all'Inps la certificazione
del diritto a pensione e della relativa decorrenza.
L'istituto ha trenta giorni di tempo per dare risposta
richiedendo l'ulteriore certificazione di eventuali periodi
mancanti. La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
nei limiti del soprannumero potrà pertanto avvenire solo ed
esclusivamente dopo aver acquisito la certificazione da
parte dell'istituto di previdenza.
La Funzione pubblica ricorda, infine, che i posti soppressi
a seguito di dichiarazione di eccedenza di personale non
possono essere più ripristinati e che i prepensionamenti non
sono mai utili a definire il budget da destinare a nuove
assunzioni (la quota per gli enti locali è pari al 40% delle
cessazioni dell'anno precedente) (articolo Il Sole 24 Ore del 30.04.2014). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: Mini enti, largo agli assessori. Anche i comuni che non
votano possono nominarne due. Il Viminale sulla legge Delrio. Criteri più rigidi per
calcolare il costo delle poltrone.
I comuni sotto i mille abitanti, non interessati dalla
tornata elettorale del 25 maggio, potranno comunque nominare
due assessori secondo quanto previsto dalla legge Delrio
(legge 56/2014). «Le esigenze di armonizzazione complessiva
del sistema e di salvaguardia del funzionamento dell'ente
locale» portano infatti a un'applicazione generalizzata
della nuova infornata di poltrone che dovrebbe creare nei
piccoli comuni circa 23.000 incarichi in più (tra
consiglieri e assessori).
A condizione che siano a costo zero, perché la legge vincola
le nuove nomine al principio dell'«invarianza di spesa». Per
evitare di spendere anche solo un euro in più in costi della
politica rispetto al passato, gli enti dovranno prendere
come parametro di riferimento i tagli introdotti dal dl
138/2011 (la manovra di Ferragosto dell'ultimo governo
Berlusconi che aveva messo a dieta consigli e giunte) anche
se questi in realtà non sono mai stati applicati perché le
amministrazioni interessate non sono ancora andate al voto.
A precisarlo è l'attesa
nota 24.04.2014 n. 6508 di prot. del ministero dell'interno
con i chiarimenti applicativi della legge Delrio.
La nota,
sollecitata anche dall'Anci per far luce su alcuni punti
controversi della legge 56, risponde ai dubbi sollevati da
ItaliaOggi (si veda il numero dell'11/4) soprattutto in
merito a come calcolare il requisito dell'invarianza di
spesa che costituisce la «condicio sine qua non»
dell'aumento delle poltrone. Non era infatti chiaro se il
richiamo alla «legislazione vigente» fosse da intendersi
riferito al citato dl 138, ovvero alla normativa in vigore
nel momento in cui gli organi oggetto di rinnovo sono stati
formati.
In molti casi, infatti, i consigli e le giunte
uscenti si sono insediati prima del dl 138 e quindi hanno
giunte e consigli più affollati rispetto al dl 138. Tanto
per fare un esempio, un comune sotto i 3.000 abitanti che
andrà a elezioni il prossimo mese di maggio, ha di norma un
numero di consiglieri pari a 12, contro i 6 previsti dal dl
138 e i 10 della legge Delrio.
Quale dunque il parametro di
riferimento? Nella circolare, datata 24 aprile, il
dipartimento affari interni e territoriali del Viminale
risponde che «al fine di individuare un criterio di calcolo
uniforme per tutti i comuni, si ritiene che
l'interpretazione della legge 56 debba tenere conto delle
esigenze di rafforzamento delle misure di contenimento e
controllo della spesa che costituiscono uno dei principali
obiettivi cui è finalizzata la legge, funzionale alla
correzione e al risanamento dei conti di finanza pubblica».
Per questo anche i comuni che, non essendo ancora andati al
voto non hanno potuto ridurre consiglieri e assessori,
dovranno «parametrare la rideterminazione degli oneri per
assicurare l'invarianza di spesa» ai tagli del dl 138.
La circolare chiarisce, inoltre, che nel calcolo non
dovranno essere considerati gli oneri per i permessi
retribuiti, nonché gli oneri previdenziali, assistenziali e
assicurativi. Si tratta infatti di voci di spesa
estremamente variabili in quanto collegate all'attività
lavorativa dell'amministratore. Restano invece incluse nel
computo degli oneri le indennità e i gettoni, le spese di
viaggio e quelle sostenute per la partecipazione alle
associazioni rappresentative degli enti locali.
Rappresentanza di genere. La nota ministeriale interviene
anche sul tetto del 40% che le giunte dovranno garantire per
rispettare la parità di genere. Tale percentuale andrà
calcolata includendo nel calcolo degli assessori anche il
sindaco, visto che per consolidata giurisprudenza, «quando
l'ordinamento non ha inteso annoverare il sindaco nel quorum
richiesto lo ha espressamente indicato».
Giunte. Infine, come detto, il chiarimento sulla
composizione delle giunte. La legge Delrio ridisegna le
soglie demografiche per il conferimento degli incarichi.
Tutti i comuni fino a 3.000 abitanti potranno nominare due
assessori, mentre la previgente disciplina non ne prevedeva
nessuno negli enti fino a 1.000 abitanti.
Le nuove regole si
applicheranno, com'è ovvio, ai comuni che andranno al voto a
maggio, ma, limitatamente alla composizione delle giunte,
anche a quelli non interessati dal rinnovo elettorale che
potranno quindi nominare subito due assessori. A seguito
della nomina della giunta, il ruolo di vicesindaco, che nei
comuni fino a 1.000 abitanti doveva essere attribuito a uno
dei consiglieri, sarà conferito a uno dei nuovi assessori
(articolo ItaliaOggi del 30.04.2014). |
APPALTI: Pagamento
dei debiti p.a. senza certezze.
Il pagamento dei debiti della p.a. rischia di slittare alle
calende greche.
Nella versione finale del dl 66/2014,
infatti, è saltato l'obbligo per gli enti di indicare nelle
certificazioni rilasciate su istanza dei creditori una data
di pagamento non superiore a 12 mesi. La modifica non limita
la possibilità di utilizzare il credito certificato in
compensazione degli eventuali debiti fiscali, ma potrebbe
depotenziare l'efficacia dei nuovi strumenti introdotti per
agevolare le operazioni di cessione.
Partiamo dall'inizio. I titolari di crediti certi, liquidi
ed esigibili per somministrazioni, forniture e appalti,
ovvero per obbligazioni relative a prestazioni professionali
possono chiedere alla p.a. debitrice di certificarli.
L'operazione, che si deve svolgere esclusivamente attraverso
l'apposita piattaforma telematica del Mef, in caso di esito
positivo, si conclude con il rilascio della certificazione,
che di norma indica la data entro cui il credito verrà
pagato.
Prima del 24 aprile, per le regioni e per gli enti locali
soggetti al patto di stabilità, era prevista la possibilità
di certificare i crediti senza indicare la data prevista di
pagamento. Tale eccezione (che si spiegava alla luce delle
difficoltà di programmazione che le regole del patto
determinano) è stata cancellata dall'art. 27 del dl 66. Tale
norma impone, da un lato, di indicare la data in tutte le
certificazioni rilasciate dopo la suddetta data, dall'altro
di integrare le certificazioni già emesse in precedenza
senza data.
Il testo del dl licenziato dal governo stabiliva che la data
di pagamento indicata nella certificazione dovesse essere
non superiore a 12 mesi. Al contrario, quello finito in
Gazzetta Ufficiale non prevede più quest'ulteriore vincolo.
In pratica, fermo restando l'obbligo di indicare una data,
questa potrà essere in calendario, per esempio, anche due o
tre anni dopo quella in cui la certificazione è stata
rilasciata.
Che conseguenze potrà avere questo ripensamento dell'ultima
ora? Per chi intende utilizzare i crediti certificati per
ridurre o azzerare le proprie pendenze col fisco, nessun
problema. La normativa, in tal caso, si accontenta che la
certificazione indichi una data di pagamento, anche se
lontana.
Maggiori difficoltà potrebbero insorgere per coloro che
intendano cedere i crediti. Per banche e altri intermediari
finanziari, infatti, la data di pagamento è un elemento di
primaria rilevanza e tanto più essa è lontana, tanto più
l'operazione si presenta rischiosa. E i rischi si traducono,
inevitabilmente, in oneri per i soggetti cedenti, che
incassano una somma inferiore (ossia subiscono un tasso di
sconto più elevato).
Siccome, finora, la maggior parte delle certificazioni sono
state rilasciate senza data, il rischio è che la prassi si
sposti verso le certificazioni a lungo termine, con effetti
non molto dissimili nei rapporti col sistema bancario, cui
lo stesso dl 66 assegna un ruolo decisivo nella nuova fase
di sblocco dei debiti pregressi della p.a. Saranno, infatti,
gli istituti di credito i protagonisti dell'operazione di
smobilizzo dei debiti di parte corrente prevista dall'art.
37. È vero che tale norma prevede una garanzia statale e un
ruolo di ultima istanza della Cassa depositi e prestiti, ma
ciò non fa venire meno la remunerazione delle banche.
Un decreto del ministero dell'economia e delle finanze dovrà
fissarne il tetto massimo, ma è impensabile che si possa
procedere senza l'accordo del mondo bancario. Che ora, col
rischio di dover aspettare fino alle calende greche per
essere pagato, potrebbe alzare il prezzo
(articolo ItaliaOggi del 30.04.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
ENTI LOCALI: Enti
locali, preventivi al 31 luglio.
Ora è ufficiale: il termine per l'approvazione dei bilanci
di previsione 2014 degli enti locali slitta dal 30 aprile al
31 luglio.
Alla base del differimento le incertezze
finanziarie che ancora gravano sui comuni (non si conoscono
gli importi del Fondo di solidarietà per il 2014) e le
elezioni del 25 maggio che vedranno impegnate oltre 4.000
amministrazioni. Il decreto di proroga è stato firmato ieri
dal ministro dell'interno Angelino Alfano. Il Viminale ha
dunque anticipato i tempi rispetto alla conversione in legge
del decreto Salva Roma-ter (dl 16/2014), prevista per oggi,
che negli emendamenti approvati alla camera già contiene una
norma di slittamento dei termini.
Sempre oggi la Conferenza stato-città si riunirà per
approvare la nota metodologica sulla verifica del gettito
Imu 2013 relativo ai fabbricati di categoria D. Si tratta
del necessario atto prodromico alla rideterminazione del
Fondo di solidarietà e al conseguente dm di proroga dei
bilanci consuntivi che, com'è noto, slitteranno al 30 giugno
(articolo ItaliaOggi del 30.04.2014). |
APPALTI - EDILIZIA
PRIVATA: Durc online più costoso. Aggravio di spesa per
l'informatizzazione. I rilievi dei tecnici del servizio bilancio del senato sul
dl 34/2014.
Il Documento unico di regolarità contributiva online? Altro
che vantaggi: produrrà un aggravio dei costi nel breve
termine (a causa della necessità di informatizzazione del
processo nelle amministrazioni coinvolte), «sebbene, nel
lungo periodo, si potranno produrre significativi risparmi».
E non è tutto, perché è impossibile immaginarne i riflessi
sulla semplificazione, giacché le norme non entreranno in
vigore dopo l'approvazione, bensì grazie a un (successivo)
decreto attuativo. La smaterializzazione del Durc, contenuta
nel decreto del ministro del welfare Giuliano Poletti
(34/2014), fa storcere il naso ai tecnici del servizio
bilancio di palazzo Madama che analizzano il provvedimento
da ieri al vaglio dell'XI commissione, dopo il via libera
dei deputati (si veda ItaliaOggi del 24/04/2014).
«Indeterminabile», pertanto, la valenza dell'iniziativa,
visto che un ulteriore step governativo contemplerà la
definizione dei requisiti di regolarità, i contenuti, le
modalità della verifica e l'indicazione delle ipotesi in cui
non sarà sostitutiva del Durc cartaceo. Quanto
all'implementazione delle procedure, inoltre, poiché si
prevede che «la verifica telematica avvenga tramite un'unica
interrogazione presso gli archivi dell'Inps, dell'Inail e
delle casse edili che, anche in cooperazione applicativa,
operano in integrazione e riconoscimento reciproco»,
occorrerebbe fornire «maggiori informazioni anche sul grado
attuale di compatibilità tra i sistemi gestiti dai diversi
organismi».
Alle perplessità dei tecnici si contrappongono le certezze
sul ritorno alle origini del decreto in seconda lettura,
senza «sanzioni sproporzionate» per le aziende (i cui
effetti «si scaricano sul lavoratore») sui contratti a
termine e di apprendistato. A ribadire che saranno
cancellate alcune modifiche impresse dal Pd il presidente
Maurizio Sacconi del Ncd il cui gruppo, «piegatosi» al voto
di fiducia a Montecitorio, ha ottenuto dall'esecutivo la
garanzia che sarà trasformato il vincolo di procedere
all'assunzione, in caso di modelli a termine che superano il
«tetto» del 20%, in una sanzione pecuniaria per l'impresa.
A
seguire, gli alfaniani premono per lo stop al ripristino
della formazione pubblica obbligatoria per gli apprendisti,
laddove qualora le regioni non provvedano a far sapere
all'azienda «entro 45 giorni dalla comunicazione di
instaurazione del rapporto, le modalità per usufruire» del
percorso di apprendimento, si legge, infatti, nel testo
licenziato, l'azienda non avrà il vincolo di «integrare la
formazione di tipo professionale e di mestiere con quella
finalizzata all'acquisizione di competenze di base
trasversali».
E, mentre il relatore Pietro Ichino (Sc) punta a far passare
una sua idea, ossia l'introduzione di un modello a tempo
indeterminato «con possibilità di scioglimento condizionato
a un costo di separazione proporzionato all'anzianità di
servizio», la tabella di marcia è particolarmente serrata:
il voto sulle proposte di modifica dovrà chiudersi entro
lunedì 5 maggio, per consentirne lo sbarco in Aula il giorno
dopo
(articolo ItaliaOggi del 30.04.201t). |
APPALTI - ATTI
AMMINISTRATIVI:
Tar: nelle gare stop alla sospensiva facile.
Limitare lo strapotere di Tar e Consiglio di Stato. Lo va
dicendo da sempre, già da quando era sindaco di Firenze,
Matteo Renzi. Perché -è il ragionamento del premier-
chiunque può presentare ricorso, ottenere una sospensiva, e
bloccare l'attività di un'azienda o di un'impresa anche per
lunghi periodi.
Che il sistema non sia tra i più fluidi non è una novità,
seppure le ultime riforme della giustizia amministrativa
siano abbastanza recenti (una varata nel 2000, l'ultima nel
2010). Ma le materie trattate sono tra le più delicate per
l'economia.
Basti pensare che il 21% dei ricorsi presentati nel 2013
davanti ai Tribunali amministrativi regionali riguardano
l'edilizia e l'urbanistica.
Ecco il motivo per cui Renzi ha annunciato che, oltre alla
riforma della Pubblica amministrazione, presto «cambierà il
meccanismo della sospensiva» davanti ai Tar: «Io non
discuto del fatto che dobbiamo avere una grandissima
attenzione alla legalità nelle gare. Ma la premessa per
garantirla è la semplicità delle norme. Noi abbiamo messo
una norma di riduzione dello spazio della sospensiva».
Ad oggi, il sistema della sospensiva consente di bloccare,
ad esempio, l'aggiudicazione di una gara d'appalto in attesa
che il Tar si pronunci sul merito della questione.
Nel corso dell' inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, il
presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini aveva
respinto l'accusa che le tutele offerte dalla giustizia
amministrativa possano frenare lo sviluppo o pesare sul Pil.
Queste critiche -a detta del presidente della giustizia
amministrativa- si sono fatte più aspre in una fase di
crisi, generando «insofferenza verso le verifiche».
Invece -aveva detto Giovannini lo scorso gennaio, quando
ancora il governo Renzi era lontano da venire ma il futuro
premier Renzi era già stato eletto nuovo segretario del Pd-
è proprio «la cattiva gestione della cosa pubblica» a
imporre di «non abbassare la guardia». Quanto alla
limitazione o alla eliminazione della sospensiva, dal
presidente del Consiglio di Stato era arrivato un altolà
perché la sospensiva «impedisce che la durata del
processo danneggi il ricorrente che ha ragione». C'è da
credere che la riforma targata Renzi farà storcere il naso a
molti, a Palazzo Spada (articolo Il
Messaggero del 30.04.2014 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA
PRIVATA:
Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di
un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa
motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi
questo nell’interesse della collettività nel rispetto
dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina
urbanistica, mentre, in base ad un
altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento
d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe
un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico
concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela,
non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente
l’intento di operare un astratto ripristino della legalità
violata.
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più
corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del
1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un
permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su
un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello
status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura
“discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di
opportunità che deve essere congruamente giustificata.
Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale
consolidato principio prevedendo, in considerazione della
preminenza che egli vuole assicurare a determinati
interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba
assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i
provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo
esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311
del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di
una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio
al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla
salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art.
19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è
consentito configurare in via giurisprudenziale nuove
ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe
sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore
che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad
una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un
procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un
proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità
degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per
effetto di atti autorizzativi non conformi alla
pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine
extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente
ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di
autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti,
apparire talmente evidente da non richiedere alcuna
specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora
interventi edilizi di notevole consistenza siano stati
assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche
sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta
o che prevedono limitazioni volumetriche.
---------------
Se è vero, infatti, che i provvedimenti tipici e nominati
specificamente previsti dalla normazione sulla tutela dei
beni ambientali sono riservati all'autorità attributaria del
relativo interesse primario, è vero altresì che ai fini
dell'annullamento d'ufficio di una licenza edilizia le
ragioni di interesse pubblico che giustificano il
provvedimento non sono limitate a quelle di natura
urbanistica, ma si estendono anche a tutti gli interessi
pubblici secondari ed ulteriori.
Nella disamina delle diverse censure proposte
dalla Società ricorrente il Collegio ritiene che abbia
priorità logica quella di difetto di motivazione in ordine
all’interesse pubblico concreto proposta avverso il
provvedimento di annullamento in via di autotutela del
permesso di costruire.
Sul punto occorre dare atto che la giurisprudenza di primo e
secondo grado appare divisa.
Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di
un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa
motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi
questo nell’interesse della collettività nel rispetto
dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina
urbanistica (Cons. Stato, IV, 4300/2012; Cons. Stato, V,
3037/2013; TAR Sardegna 651/2013), mentre, in base ad un
altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento
d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe
un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico
concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela,
non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente
l’intento di operare un astratto ripristino della legalità
violata (Cons. Stato, IV, 19/03/2013 n. 1605; Cons. Stato,
IV, 4770/2011 che riforma sul punto TAR Toscana, III,
6648/2010; Cons. Stato, V, n. 6252/2007, TAR Marche, Ancona,
I, 593/2013).
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più
corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del
1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un
permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su
un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello
status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura
“discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di
opportunità che deve essere congruamente giustificata.
Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale
consolidato principio prevedendo, in considerazione della
preminenza che egli vuole assicurare a determinati
interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba
assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i
provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo
esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311
del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di
una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio
al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla
salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art.
19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è
consentito configurare in via giurisprudenziale nuove
ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe
sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore
che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad
una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un
procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un
proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità
degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per
effetto di atti autorizzativi non conformi alla
pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine
extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente
ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di
autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti,
apparire talmente evidente da non richiedere alcuna
specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora
interventi edilizi di notevole consistenza siano stati
assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche
sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta
o che prevedono limitazioni volumetriche.
Nel caso di specie, tuttavia, non è dato riscontrare un
palese e grave contrasto fra l’intervento autorizzato con il
permesso di costruire annullato dal Comune di Aulla e la
disciplina urbanistica sostanziale dettata dal p.r.g.,
pacifica essendo la circostanza che il progetto (originario)
rispetta limiti volumetrici e tipologici previsti dalle
n.t.a della zona (R.U. 3 che consente la ristrutturazione
urbanistica con destinazioni non residenziali con un
incremento massimo di mc. 2000).
La difformità dell’atto di assenso rispetto alle
prescrizioni del piano regolatore generale riguarda, invece,
il vincolo di rinvio che sottopone gli interventi
edificatori alla previa approvazione di un piano attuativo
(particolareggiato o di recupero).
Il pregiudizio risentito dagli interessi protetti dallo
strumento urbanistico in conseguenza di siffatta violazione
non appare, tuttavia, così evidente da non richiedere alcuna
motivazione sul punto; sarebbe stato, invece, necessario un
attento esame dell’impatto del progetto di ampliamento
dell’edificio sull’impianto urbanistico preesistente onde
verificare se le modifiche edilizie illegittimamente
assentite richiedessero effettivamente una complessiva
operazione di ristrutturazione urbanistica mediante il
ridisegno dei lotti, degli isolati e della relativa rete
stradale e se tale necessità fosse così stringente da
giustificare il sacrificio dell’affidamento del privato che,
in forza del permesso rilasciato, aveva effettuato
investimenti e realizzato i lavori.
Anche la mancanza dei pareri della Autorità di Bacino e
della Autorità preposta alla tutela del vincolo
paesaggistico non può considerarsi tale da superare
l’esigenza di giustificare con apposita motivazione il
provvedimento di autotutela.
Non è qui in discussione la preminenza degli interessi
paesaggistici e di tutela idraulica, ma, anche in questa
volta, i vincoli che nel caso di specie gravavano sull’area
di proprietà della ricorrente non avevano carattere assoluto
ma imponevano una concreta verifica di compatibilità
dell’intervento edilizio con i valori protetti.
Di tale verifica l’Amministrazione avrebbe dovuto farsi
carico in sede di esercizio del potere di autotutela,
eventualmente con l’apporto istruttorio delle
amministrazioni competenti. Se è vero, infatti, che i
provvedimenti tipici e nominati specificamente previsti
dalla normazione sulla tutela dei beni ambientali sono
riservati all'autorità attributaria del relativo interesse
primario, è vero altresì che ai fini dell'annullamento
d'ufficio di una licenza edilizia le ragioni di interesse
pubblico che giustificano il provvedimento non sono limitate
a quelle di natura urbanistica, ma si estendono anche a
tutti gli interessi pubblici secondari ed ulteriori (Cons.
Stato sez. V, 11.05.1989 n. 272; Cons. Stato sez. V 07.10.1985 n. 308).
L’assenza di ogni valutazione in ordine al concreto
pregiudizio derivante dalla mancata approvazione di un piano
attuativo e la carenza di istruttoria in ordine
all’effettivo contrasto dell’opera assentita con i valori
tutelati dal vincoli idrogeologico e da quello paesaggistico
rendono, perciò, illegittimo l’impugnato provvedimento di
annullamento d’ufficio del permesso di costruire a
prescindere dalla fondatezza dei rilievi in ordine alla
legittimità o meno di tale atto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’utilizzazione di un container (semplicemente
posato su terreno) non temporanea bensì stabile nel tempo,
ancorché periodica, comporta l'utilità prolungata nel tempo
e, conseguentemente, va esclusa la precarietà dello stesso.
---------------
Quanto al materiale di cava arido presente (abusivamente)
sul terreno, non rileva l’asserita circostanza che
responsabile della presenza di esso non sarebbe l’odierna
ricorrente; attesa infatti la natura ripristinatoria
dell’ordine di rimozione/demolizione di quanto abusivamente
realizzato, legittimamente l’amministrazione lo rivolge al
proprietario attuale dell’immobile (quale è la ricorrente,
nella fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il
medesimo, indipendentemente dal suo coinvolgimento nella
realizzazione dell’abuso.
Considerato che:
− alla ricorrente, imprenditrice agricola, è stata ordinata
la rimozione di due container e di un accumulo di materiale
di cava arido situati su un terreno di sua proprietà ad uso
seminativo arborato sito nel Comune di Cascina (PI),
registrato nel Catasto Terreni al Foglio 35, particella 181;
− che in ricorso si sostiene la precarietà dei manufatti e
la non riferibilità del materiale di cava a comportamenti
della ricorrente;
− che il terreno in questione si trova in area classificata
tra le “Aree rilevanti da un punto di vista ambientale o con
funzioni strategiche – Parco del Fosso vecchio”, le quali
sono disciplinate dall’art. 34 delle Norme tecniche di
attuazione del Regolamento urbanistico; il fondo non risulta
inserito tra gli immobili soggetti ai vincoli di cui al
d.lgs. n. 42/2004;
− che i manufatti sono stati qualificati come opere
realizzate in assenza di titolo ai sensi della l.r. Toscana
n. 1/2005 e del D.P.R. n. 380/2001;
− che avverso l’ordinanza dirigenziale impugnata, di estremi
specificati in epigrafe, sono state dedotte le censure di
eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto
d’istruttoria e disparità di trattamento, nonché di
violazione delle norme di legge che l’amministrazione ha
ritenuto applicabili e di difetto di motivazione;
− che il Comune di Cascina non si è costituito in giudizio;
− che alla camera di consiglio del 25.03.2014 la causa −sentite le parti, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.,
sulla possibile definizione del giudizio con sentenza resa
in forma semplificata− è stata trattenuta in decisione;
Ritenuto che:
− il giudizio può essere definito con sentenza ai sensi
dell’art. 60 cod. proc. amm., atteso che sussistono tutti i
presupposti di legge;
− le tesi sostenute in ricorso non possono essere condivise,
in quanto: a) il provvedimento è sufficientemente e
adeguatamente motivato, anche con richiamo delle norme che
disciplinano la fattispecie; b) è pertinente l’applicazione
dell’art. 3/1, lett. e.5), T.U. Edilizia, che precisa la
nozione di nuova costruzione, imperniata sulla natura non
temporanea delle esigenze in vista delle quali alcuni
manufatti, sotto il profilo strutturale precari –ovvero
amovibili– sono stati collocati sul territorio; c) la
stessa esposizione della ricorrente rivela che
l’utilizzazione dei container (adibiti al trasporto dei
prodotti agricoli) non è temporanea, bensì stabile nel
tempo, ancorché periodica; d) che la giurisprudenza ha
elaborato, in proposito, il principio secondo il quale
l’utilità prolungata esclude la precarietà (cfr.: Consiglio
di Stato, V, 28.03.2008 n. 1354; TAR Veneto, 03.04.2003 n. 2267; Tar Puglia – Bari, III, n. 404/2009; Tar
Umbria, I, n. 66/2014);
− che, quanto al materiale di cava arido presente sul
terreno, non rileva l’asserita circostanza che responsabile
della presenza di esso non sarebbe l’odierna ricorrente;
attesa infatti la natura ripristinatoria dell’ordine di
rimozione/demolizione di quanto abusivamente realizzato,
legittimamente l’amministrazione lo rivolge al proprietario
attuale dell’immobile (quale è la ricorrente, nella
fattispecie in esame) e comunque a chi utilizzi il medesimo,
indipendentemente dal suo coinvolgimento nella realizzazione
dell’abuso (cfr.: Tar Umbria, I, n. 66/2014, cit., ed ivi
ulteriore ampio ragguaglio di giurisprudenza);
− che il ricorso deve, per tutte le considerazioni su
esposte, essere respinto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 681 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E' legittima una
motivazione anche succinta in quanto l’onere motivazionale
può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera
abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto
inserimento nella zona oggetto di specifica tutela.
La necessità di una motivazione più penetrante ricorre,
invece, nel caso di parere favorevole, dovendosi dare
compiutamente conto delle ragioni per cui un concreto e
specifico intervento edilizio non determini un impatto
ambientale negativo nonostante la precostituita imposizione
di un vincolo sull’area ove l’intervento è allocato, essendo
i valori dell’ambiente, valori di rilevanza costituzionale
primaria, tali cioè da prevalere, ove in concreto
sussistenti, anche sullo jus aedificandi.
Né il legislatore impone all’Ente pubblico l’obbligo di
indicare le prescrizioni tese a rendere l’intervento
compatibile con il paesaggio tutelato. Non sussiste cioè a
carico del Comune l’obbligo di proporre misure idonee ad
assicurare un corretto inserimento dell’abuso edilizio nel
contesto paesaggistico di riferimento, dovendo l’autorità
adita limitarsi a valutare l’opera così come è, ed essendo
semmai compito del privato interessato proporre con
l’istanza di condono misure funzionali a ridimensionare
l’impatto visivo dell’opera stessa.
Inoltre, la valutazione negativa del predetto organo
collegiale, riferita ad un contesto tutelato dal punto di
vista paesaggistico, costituisce atto vincolante ai fini del
diniego di condono edilizio.
---------------
Quanto, poi, alla maggiore o minore visibilità dell'opera
abusiva, la stessa non può rilevare ai fini del giudizio di
compatibilità con i valori paesaggistici tutelati, in quanto
la compatibilità delle opere con le esigenze di tutela
ambientale non è un giudizio legato alla maggiore o minore
visibilità delle opere stesse, ma al rispetto di determinati
criteri e modalità di costruzione, che costituiscono i
presupposti per il corretto adeguamento del vincolo
paesaggistico.
Ed infatti, nella fattispecie in esame, il diniego di
sanatoria risultava motivato proprio con riferimento alla
contrarietà della costruzione abusiva con i valori estetici
tradizionali del luogo a causa dell'impiego di materiali non
armonici rispetto all'ambiente circostante nonché del
ricorso a caratteristiche costruttive non usuali per una
zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
In altri termini, ove l'Amministrazione verifichi
l'inconciliabilità di un'opera abusiva rispetto ai valori
paesaggistici tutelati, l'eventuale mancanza di visibilità
della costruzione non potrà essere idonea a giustificare un
esito positivo del giudizio di compatibilità.
Senza peraltro considerare che qualora si accedesse alla
tesi ricorsuale si finirebbe per introdurre nel sistema una
sorta di esimente -non prevista dalla legge- mediante la
automatica sanabilità degli abusi edilizi pure se
consistenti in opere che, per i materiali utilizzati e le
caratteristiche costruttive e tipologiche, siano
assolutamente inconciliabili con l'ambiente circostante, per
il solo fatto della loro mancanza di visibilità.
Con la conseguenza di una facile -ed inammissibile– elusione
della normativa ambientale: si consentirebbe, infatti, in
modo surrettizio la realizzazione di manufatti anche se
palesemente contrastanti con i valori estetici del luogo.
Del resto, la giurisprudenza
amministrativa ha più volte statuito che è legittima una
motivazione anche succinta, in quanto l’onere motivazionale
può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera
abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto
inserimento nella zona oggetto di specifica tutela (Tar
Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, VI,
04/08/2008, n. 9718).
La necessità di una motivazione più
penetrante ricorre, invece, nel caso di parere favorevole,
dovendosi dare compiutamente conto delle ragioni per cui un
concreto e specifico intervento edilizio non determini un
impatto ambientale negativo nonostante la precostituita
imposizione di un vincolo sull’area ove l’intervento è
allocato, essendo i valori dell’ambiente, valori di
rilevanza costituzionale primaria, tali cioè da prevalere,
ove in concreto sussistenti, anche sullo jus aedificandi
(cfr., TAR Toscana, III, 12.11.1998, n. 377).
Né il legislatore impone all’Ente pubblico l’obbligo di
indicare le prescrizioni tese a rendere l’intervento
compatibile con il paesaggio tutelato (Tar Toscana, III,
27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, IV, 13/6/2007, n.
6142). Non sussiste cioè a carico del Comune l’obbligo di
proporre misure idonee ad assicurare un corretto inserimento
dell’abuso edilizio nel contesto paesaggistico di
riferimento, dovendo l’autorità adita limitarsi a valutare
l’opera così come è, ed essendo semmai compito del privato
interessato proporre con l’istanza di condono misure
funzionali a ridimensionare l’impatto visivo dell’opera
stessa.
Inoltre, la valutazione negativa del predetto organo
collegiale, riferita ad un contesto tutelato dal punto di
vista paesaggistico, costituisce atto vincolante ai fini del
diniego di condono edilizio (cfr., TAR Toscana, III, 02.10.2000 n. 2011;
06.03.2006 n. 793; 26.02.2010
n. 547; 14.05.2010 n. 1458).
Difficilmente, del resto, il Sindaco potrebbe discostarsi
dal giudizio della Commissione Edilizia Integrata, rilevando
non l’esercizio di una discrezionalità amministrativa, ma
valutazioni tecniche che trovano nelle attribuzioni della
Commissione stessa la sede appropriata.
Quanto, poi, alla maggiore o minore visibilità dell'opera
abusiva, la stessa non può rilevare ai fini del giudizio di
compatibilità con i valori paesaggistici tutelati, in quanto
la compatibilità delle opere con le esigenze di tutela
ambientale non è un giudizio legato alla maggiore o minore
visibilità delle opere stesse, ma al rispetto di determinati
criteri e modalità di costruzione, che costituiscono i
presupposti per il corretto adeguamento del vincolo
paesaggistico (cfr., TAR Valle d'Aosta, sent. n. 103 del
23.05.2003; nello stesso senso TAR Umbria, sent. n. 218
del 24.03.1998).
Ed infatti, nella fattispecie in esame, il diniego di
sanatoria risultava motivato proprio con riferimento alla
contrarietà della costruzione abusiva con i valori estetici
tradizionali del luogo a causa dell'impiego di materiali non
armonici rispetto all'ambiente circostante nonché del
ricorso a caratteristiche costruttive non usuali per una
zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
In altri termini, ove l'Amministrazione verifichi
l'inconciliabilità di un'opera abusiva rispetto ai valori
paesaggistici tutelati, l'eventuale mancanza di visibilità
della costruzione non potrà essere idonea a giustificare un
esito positivo del giudizio di compatibilità.
Senza peraltro considerare che qualora si accedesse alla
tesi ricorsuale si finirebbe per introdurre nel sistema una
sorta di esimente -non prevista dalla legge- mediante la
automatica sanabilità degli abusi edilizi pure se
consistenti in opere che, per i materiali utilizzati e le
caratteristiche costruttive e tipologiche, siano
assolutamente inconciliabili con l'ambiente circostante, per
il solo fatto della loro mancanza di visibilità.
Con la conseguenza di una facile -ed inammissibile–
elusione della normativa ambientale: si consentirebbe,
infatti, in modo surrettizio la realizzazione di manufatti
anche se palesemente contrastanti con i valori estetici del
luogo (cfr., TAR Toscana, sez. III, 06.11.2001 n. 1738)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 674 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
A seguito della presentazione di domanda di
condono o sanatoria, il provvedimento repressivo perde
efficacia in quanto deve essere sostituito o da un
provvedimento favorevole alla domanda o, in caso di diniego,
da un nuovo provvedimento sanzionatorio, essendo
l’Amministrazione tenuta al completo riesame della
fattispecie assumendo, ove del caso, nuovi e definitivi
provvedimenti sanzionatori, sui quali si sposterà
l’interesse alla caducazione giurisdizionale.
Anche tale eccezione non ha pregio, in
quanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale
assolutamente prevalente –dal quale il Collegio non intende
discostarsi– a seguito della presentazione di domanda di
condono o sanatoria, il provvedimento repressivo perde
efficacia in quanto deve essere sostituito o da un
provvedimento favorevole alla domanda o, in caso di diniego,
da un nuovo provvedimento sanzionatorio, essendo
l’Amministrazione tenuta al completo riesame della
fattispecie assumendo, ove del caso, nuovi e definitivi
provvedimenti sanzionatori, sui quali si sposterà
l’interesse alla caducazione giurisdizionale (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 19.02.1997, n. 165; n.
3659/2007)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 672 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione.
In base a tale criterio, dunque, non è necessario il
permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno
senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque
la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà.
Occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è
costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio.
Per la posa in opera di una semplice recinzione con paletti
in ferro, non infissi in muratura nel terreno, non è
necessaria alcuna richiesta di provvedimento concessorio,
trattandosi di installazione precaria e rientrando tale
opera tra le attività di mera manutenzione.
Sulla scorta delle risultanze della
suindicata istruttoria si può, quindi, affermare:
- che in relazione alla strada in questione sussiste una
presunzione iuris tantum di uso pubblico della stessa
discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade
pubbliche, presunzione che non risulta superata da quanto
emerso a seguito della verificazione, e dalla inclusione di
tale strada, a tutto il 1948, tra le “strade non rotabili”
nelle planimetrie dell’Istituto Geografico Militare;
- che effettivamente la recinzione insiste su un tratto di
strada comunale, quale risulta dalle mappe catastali, e che
allo stato attuale la strada risulta deviata dal suo
tracciato originario e occupa un’area di proprietà della
ricorrente (mappale 1 foglio 9).
Né tali conclusioni possono essere inficiate sostenendo,
sulla base della nota esplicativa redatta dal consulente
tecnico di parte, che “la strada, già all’epoca della
realizzazione della recinzione, non coincideva più con il
tracciato catastale a seguito di uno slittamento verso sud
verificatosi “in modo del tutto naturale””, spostamento,
“oggi visibile in loco”, che avrebbe comportato un’invasione
della proprietà della ricorrente esterna all’area del
campeggio recintata; che, pertanto, non potrebbe essere
contestata sulla scorta delle risultanze catastali una
difformità tra lo stato realizzato e quello concessionato,
dal momento che le risultanze catastali già all’epoca non
avrebbero rispecchiato l’esatto stato dei luoghi.
Infatti, tali affermazioni, oltre a non essere adeguatamente
supportate sul piano probatorio, non sarebbero comunque in
grado di superare il contrasto esistente tra quanto
realizzato e quanto concessionato, sulla base di quanto
risulta, con un adeguato grado di attendibilità, per
espressa ammissione della stessa ricorrente, dalla
planimetria allegata alla concessione edilizia n. 30 del 28.05.1980; è, infatti, la stessa ricorrente (pg. 8 del
ricorso) ad asserire che, nella suindicata planimetria,
“Nella parte meridionale (quella che qui interessa) la
recinzione è affiancata da una doppia riga tratta dalla
mappa catastale e volta, probabilmente, a rappresentare la
strada vicinale” -che, aggiunge, “non è più esistente”-
riconoscendo in tal modo che, secondo la rappresentazione
catastale della strada, questa correva esternamente alla
recinzione così come concessionata.
Quand’anche, infatti, il tracciato stradale risultante dalle
mappe catastali non fosse stato all’epoca fedelmente
riproduttivo dello stato dei luoghi, come sostenuto dalla
ricorrente, tale circostanza non avrebbe comunque
legittimato la ricorrente a modificare unilateralmente le
prescrizioni della concessione.
Né si può fondatamente sostenere che per la realizzazione
della recinzione di cui si discute, tenuto conto delle
caratteristiche costruttive della stessa, quali emergono dal
provvedimento impugnato e dal verbale di accertamento n.
03/96 del 21.12.2012, nello stesso richiamato, non
fosse necessaria la concessione edilizia.
Infatti, si è in presenza di un intervento di trasformazione
del territorio (ex art. 1 della legge 10/1977, che
subordinava a concessione ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale), realizzato con installazione di un muro in
calcestruzzo con pali e rete metallica.
Sul punto la giurisprudenza è concorde; si veda, fra le
tante, TAR Lazio Roma, sez. II, 11.09.2009, n.
8644, secondo cui “la valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due
parametri: natura e dimensioni delle opere e loro
destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque,
non è necessario il permesso per costruire per modeste
recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per
la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro
tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni
del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi
alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del
territorio. Per la posa in opera di una semplice recinzione
con paletti in ferro, non infissi in muratura nel terreno,
non è necessaria alcuna richiesta di provvedimento
concessorio, trattandosi di installazione precaria e
rientrando tale opera tra le attività di mera manutenzione”
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 668 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI -
VARI: Corte di cassazione.
Non fa più paura pagare le multe in modo incompleto.
Chi paga tempestivamente la multa dei vigili trascurando
solo le spese postali non potrà più ricevere cartelle
esattoriali esorbitanti con sanzioni raddoppiate perché il
comune in questo caso ha diritto solo al recupero delle
somme non versate. Senza raddoppio del verbale come avviene
generalmente.
Lo ha deciso con una innovativa sentenza la
Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza
30.04.2014 n. 9507.
Un cittadino ha pagato tempestivamente
un verbale omettendo di integrare il versamento con 3,25
euro per spese postali di comunicazione di avvenuto deposito
della raccomandata. Per questo ammanco contabile
l'interessato ha ricevuto una cartella esattoriale molto
salata contro la quale ha proposto con successo ricorso al
giudice di pace.
Gli ermellini sradicando una consolidata
tradizione hanno confermato questa interpretazione
evidenziando che è artificioso «condizionare la maggior
pretesa al mancato versamento integrale di una somma che va
oltre al pagamento in misura ridotta e che ingloba le spese
nella sanzione». In buona sostanza a parere del collegio il
legislatore ha posto una netta differenziazione tra importo
della sanzione e spese del procedimento.
Come specifica
l'art. 203 cds, qualora nei termini non sia avvenuto il
pagamento in misura ridotta la multa di fatto raddoppia. Ma
non centrano affatto le spese del procedimento. L'art. 389/1
del regolamento stradale conferma questa interpretazione,
prosegue la sentenza. Estendere l'area della sanzione alle
spese del procedimento a parere dei giudici del Palazzaccio
non risulta coerente con il principio di legalità richiamato
dall'art. 1 della legge 689/1981.
Inoltre questa interpretazione grossolana, anche se
generalizzata nella pratica operativa, penalizza allo stesso
modo chi non paga la multa e chi invece per errore effettua
un pagamento leggermente inferiore. Lo stesso articolo 201/4
del codice stradale, prosegue la sentenza, milita a favore
della distinzione tra pagamento della sanzione e pagamento
delle spese del procedimento (articolo ItaliaOggi del
03.05.2014). |
APPALTI:
Le stazioni appalti non possono respingere
un'offerta per il motivo che i prodotti ed i servizi offerti
non sono conformi alle specifiche di riferimento se
nell'offerta stessa è data prova che le soluzioni proposte
corrispondano in maniera equivalente.
Ai sensi dell'art. 68, c. 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, non
è consentito alle stazioni appaltanti respingere un'offerta
per il motivo che i prodotti ed i servizi offerti non sono
conformi alle specifiche di riferimento, se nell'offerta
stessa è data prova, con qualsiasi mezzo appropriato, che le
soluzioni proposte corrispondano in maniera equivalente ai
requisiti richiesti dalle specifiche tecniche, ciò significa
che, in caso di prodotto non conforme e di mancanza della
citata prova in sede di offerta (il che non è contestato nel
caso di specie), ne deriva l'automaticità dell'esclusione,
senza che possa ravvisarsi in capo alla stazione appaltante
un onere di attività di indagine circa l'eventuale
equivalenza (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 30.04.2014 n. 2273 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'azione di dissociazione in tema di
partecipazione delle imprese alle gare d'appalto.
La dissociazione, non trattandosi di istituto giuridico
codificato, può aver luogo in svariate forme, ma è certo che
deve risultare esistente, univoca e completa. L'azione di
dissociazione intrapresa, nel caso di specie, dalla società
non è sufficiente a realizzare un'effettiva dissociazione
dalla condotta dell'ex amministratore.
E' evidente che, se non si richiedesse un'effettività della
dissociazione, la norma che vieta la partecipazione delle
imprese alle gare d'appalto i cui amministratori siano
incorsi in reati incidenti sulla moralità professionale si
presterebbe a facili elusioni e le attività di dissociazione
rivestirebbero la qualità di mere 'operazioni di facciata',
consentendo invece il perpetrarsi di illeciti e il rischio
che si assuma quale contraente con la P.A. un soggetto che
dovrebbe essere qualificabile come inaffidabile, proprio il
rischio che, ai sensi dell'art. 38, del d.lgs. n. 163/2006
il legislatore intende scongiurare (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 30.04.2014 n. 2271 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La ricostruzione va provata.
Tar Toscana. Solo i documenti dimostrano com'era l'edificio.
Si può demolire e ricostruire un edificio esistente, ma
occorrono elementi documentali su dimensioni e
caratteristiche originarie.
Lo sottolinea il
TAR Toscana, Sez. III,
nella
sentenza 23.04.2014 n. 654, su un magazzino privo
di copertura e con mura perimetrali in buona parte crollate.
La decisione si collega alle innovazioni all'articolo 3 del Dpr 380/2001 (Tu edilizia, modificato col Dl 69/2013), che
ammette il ripristino di edifici (o di parti di essi)
crollati o demoliti, con la ricostruzione, purché sia
possibile accertarne la preesistente consistenza. Due le
tesi: la prima è che essa possa essere dimostrata solo in
modo documentale (catasto, foto, perizie del tempo), la
seconda si accontenta della leggibilità della costruzione
(come nel caso di un'area libera per avvenuta demolizione,
ma inserita con continuità in una schiera di fabbricati). Le
scelte hanno effetti sulle detrazioni del 50% e del 65%
(contenimento dei consumi energetici), oltre che sull'Iva.
Il Dl 69 ha semplificato, eliminando l'obbligo di una
ristrutturazione "fedele": per intervenire, basta rispettare
la sagoma preesistente, il che significa che potrebbero
variare la disposizione interna, le destinazioni e anche il
numero dei piani.
Nel caso esaminato dai giudici fiorentini, il Comune non
aveva traccia di un intero secondo piano, dell'altezza
originaria e della presenza di alcuni ampliamenti laterali.
Vi era quindi una parte bassa ristrutturata, ma anche e
soprattutto un organismo edilizio diverso. E il Tar ha
dunque aderito alla tesi più restrittiva.
Tutto ciò si è riverberato sul trattamento sanzionatorio,
che per le ristrutturazioni non demolibili genera sanzioni
pecuniarie, mentre per le nuove costruzioni ha sanzioni più
gravi, fino alla demolizione
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.05.2014). |
ENTI LOCALI:
Sulla legittimità dello scioglimento anticipato
di una società in house.
E' legittimo lo scioglimento anticipato di una società in
house posseduta al 100% dal Comune e nata per svolgere
un'ampia gamma di servizi (gestione della biblioteca,
l'assistenza al servizio mensa scolastica, l'assistenza
scuolabus, il trasporto pasti scolastici dalla materna alle
scuole elementi e medie, la consegna a domicilio dei pasti
per persone sole e bisognose, l'operatore ecologico, la
manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili
comunali, la gestione dell'isola ecologica e il trasporto
degli alunni) motivato con esplicito richiamo all'art. 4,
commi da 1 a 3 del d.l. 06.07.2012, n. 95, in quanto si
tratta di una società strumentale soggetta ad obbligo di
dismissione.
Nel caso di specie, l'unico servizio effettivamente
qualificabile come servizio pubblico potrebbe essere quello
della consegna dei pasti alle persone sole e bisognose. Tale
particolare prestazione non appare, però, affatto
sufficiente a qualificare l'attività della società come
prestazione di servizi pubblici e non anche di servizi
strumentali, i quali ultimi risultano nettamente prevalenti.
Deve, pertanto, ritenersi che trattandosi di una società
strumentale, in perdita, sussistesse un obbligo di legge,
per il Comune di provvedere alla messa in liquidazione della
suddetta società in house.
--------------
A prescindere dal fatto che scelta di procedere alla
liquidazione di una società pubblica è sempre e comunque
rimessa alla volontà dell'ente che l'ha costituita, che al
pari di quanto accade in una ordinaria società di diritto
privato, può in ogni momento decidere di sciogliere la
società creata, la messa in liquidazione della società
risulta comunque giustificata dall'applicazione della
normativa richiamata negli stessi.
Invero la normativa di cui all'art. 4 del d.l. 95/2012
appare in contrasto con quanto disposto e non abrogato
precedentemente: essa impone lo scioglimento o l'alienazione
delle società il cui fatturato è, al 90 % almeno, sostenuto
dall'ente pubblico e che, in ragione di ciò possono
ritenersi strumentali e cioè proprio quelle società che,
alla luce della legge Bersani, potevano continuare la
propria attività.
Ma il contrasto è ravvisabile anche all'interno dello stesso
articolo, il cui primo comma non consente il mantenimento di
società costituite esclusivamente per procurare beni e
servizi all'amministrazione di riferimento, mentre l'ottavo
comma consente che il servizio possa essere affidato alla
società strumentale se ciò avvenga nel rispetto dei principi
per l'affidamento in house. Tale antinomia è stata, però,
superata dalla sopravvenienza del d.l. 179/2012, che ha
introdotto la discrezionalità dell'ente nella valutazione
dell'opportunità dello scioglimento (attraverso
l'elaborazione di un piano di ristrutturazione e
razionalizzazione).
Nel caso di specie, dunque, sebbene non vi sia stata una
vera e propria predisposizione di un piano, il Comune
risulta aver effettuato, oltre ad una ricognizione degli
obblighi di legge, anche una valutazione in concreto
dell'opportunità della scelta, in un'ottica di concreto
risparmio della spesa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.04.2014 n. 423 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Sull'inapplicabilità dell'istituto della
revisione prezzi in materia di concessioni affidate in modo
diretto.
In materia di concessioni, affidate in modo diretto, non si
applica l'istituto della revisione prezzi, logicamente
connesso alla dinamica concorrenziale propria degli appalti,
vigendo l'opposto principio della invariabilità del canone
concessorio.
Tale regola, che oggi si ricava agevolmente dal combinato
disposto dell'art. 30 e dell'art. 115 del D.Lgs. n.
163/2006, non è stata introdotta innovativamente con il
codice degli appalti, ma discende dai principi di sistema,
ed in particolare dal criterio della invariabilità del
canone concessorio (che fa da pendant all'affidamento
diretto senza gara della prestazione, e di cui il codice
degli appalti costituisce quindi una mera esplicitazione),
come è confermato anche dal fatto che l'art. 115 del D.Lgs
163/2006, per sua espressa indicazione, si limita a
riprodurre l'art. 6, co. 4, della legge n. 537/1993, e la
giurisprudenza amministrativa, con condivisibili
argomentazioni, si era espressa in questo senso, anche
precedentemente all'entrata in vigore di tale D.Lgs. (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 17.04.2014 n. 1053 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'ingiunzione
a rimuovere un’opera abusivamente realizzata perde la
propria efficacia in conseguenza della presentazione
dell’istanza di sanatoria.
Ed invero, il riesame dell’abusività dell’opera provocato
dalla domanda di accertamento di conformità comporta la
formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito,
di accoglimento o di rigetto, che vale comunque a superare
la precedente ingiunzione a demolire, per modo che, anche
nell’ipotesi di rigetto dell’istanza, l’amministrazione
comunale è obbligata ad adottare ex novo la misura
sanzionatoria, con l’assegnazione in tal caso di un
ulteriore termine per adempiere.
Pertanto, nell'ipotesi in cui, successivamente all’emissione
di un’ordinanza di demolizione, e prima della proposizione
del ricorso giurisdizionale, sia avanzata domanda di
sanatoria dell’abuso edilizio contestato, è da reputarsi
esulante ab origine, in capo al ricorrente, l’interesse ad
ottenere l’annullamento dell’impugnato provvedimento
repressivo-ripristinatorio, reso ormai irreversibilmente
inefficace e ineseguibile; conseguentemente, il gravame
esperito avverso quest’ultimo va dichiarato inammissibile:
come già evidenziato, l'accoglimento dell’istanza di
accertamento di conformità legittimerebbe, infatti, l'opera
abusiva ed eliderebbe l’impugnata sanzione demolitoria,
mentre il suo rigetto obbligherebbe, comunque,
l’amministrazione comunale a riattivare il procedimento
sanzionatorio sulla base dell'accertata insanabilità del
manufatto, concentrandosi, in tale ipotesi, l’interesse ex
art. 100 cod. proc. civ. dell’istante sulla contestazione
del diniego oppostogli.
- al riguardo, il Collegio ritiene di dover aderire al
consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui
l’ingiunzione a rimuovere un’opera abusivamente realizzata
perde la propria efficacia in conseguenza della
presentazione dell’istanza di sanatoria (cfr., ex multis,
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 28.10.2005, n. 17863; 28.02.2006, n. 2429;
02.03.2006, n. 2561; 12.05.2006, n. 4178; 21.07.2006, n. 7664; 25.07.2006, n.
7677; 26.07.2006, n. 7686; 14.09.2006, n. 8130;
28.09.2006, n. 8351; 25.01.2007, n. 701; 20.02.2007, n. 1152; 27.03.2007, n. 2860; sez. VII, 12.04.2007, n. 3426; sez. IV, 13.04.2007, n. 3556; 26.07.2007, n. 7071; Salerno, sez. II, 29.11.2007, n.
2853; Napoli, sez. VI, 05.03.2008, n. 1108; sez. VII, 21.03.2008, n. 1472;
07.05.2008, n. 3501; sez. IV, 13.05.2008, n. 4257; 29.05.2008, n. 5176 e n. 5183;
sez. VII, 05.06.2008, n. 5243; sez. IV, 26.07.2007,
n. 7071; 15.09.2008, n. 10133; sez. III, 01.10.2008, n. 12315;
07.11.2008, n. 19352; sez. VII, 04.12.2008, n. 20973; 03.03.2009, n. 1211; TAR Sicilia,
Palermo, sez. III, 22.12.2005, n. 8159; sez. II, 13.11.2006, n. 2987; 31.01.2007, n. 259;
05.03.2007, n. 723; 26.06.2007, n. 1704; Catania, sez. I, 18.12.2007, n. 1990; TAR Puglia, Bari, sez. III, 31.03.2006, n. 1088; 24.04.2006, n. 1515;
03.05.2006, n.
1551; Lecce, sez. III, 21.02.2009, n. 258; TAR
Piemonte, Torino, sez. I, 13.11.2006, n. 4141; sez. I,
30.10.2008, n. 2721; TAR Lazio, Roma, sez. I, 18.07.2008, n. 6954; sez. II, 15.09.2008, n. 8306);
- ed invero, il riesame dell’abusività dell’opera provocato
dalla domanda di accertamento di conformità comporta la
formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito,
di accoglimento o di rigetto, che vale comunque a superare
la precedente ingiunzione a demolire, per modo che, anche
nell’ipotesi di rigetto dell’istanza, l’amministrazione
comunale è obbligata ad adottare ex novo la misura
sanzionatoria, con l’assegnazione in tal caso di un
ulteriore termine per adempiere;
- pertanto, nell'ipotesi –quale, appunto, quella in esame–
in cui, successivamente all’emissione di un’ordinanza di
demolizione, e prima della proposizione del ricorso
giurisdizionale, sia avanzata domanda di sanatoria
dell’abuso edilizio contestato, è da reputarsi esulante ab
origine, in capo al ricorrente, l’interesse ad ottenere
l’annullamento dell’impugnato provvedimento repressivo-ripristinatorio, reso ormai irreversibilmente
inefficace e ineseguibile; conseguentemente, il gravame
esperito avverso quest’ultimo va dichiarato inammissibile:
come già evidenziato, l'accoglimento dell’istanza di
accertamento di conformità legittimerebbe, infatti, l'opera
abusiva ed eliderebbe l’impugnata sanzione demolitoria,
mentre il suo rigetto obbligherebbe, comunque,
l’amministrazione comunale a riattivare il procedimento
sanzionatorio sulla base dell'accertata insanabilità del
manufatto, concentrandosi, in tale ipotesi, l’interesse ex
art. 100 cod. proc. civ. dell’istante sulla contestazione
del diniego oppostogli (cfr., ex multis, TAR Campania,
Napoli, sez. IV, 03.02.2005, n. 724; 08.03.2005, n.
1664; Salerno, sez. II, 21.03.2006, n. 314; Napoli, sez.
I, 18.05.2006, n. 4743; Salerno, sez. II, 09.03.2007,
n. 241; Napoli, sez. VII, 05.06.2009, n. 3105; sez. III,
18.06.2009, n. 3354; sez. VII, 02.07.2009, n. 3673; 09.07.2009, n. 3829; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 22.12.2005, n. 8159; 25.09.2006, n. 1947; Catania,
sez. I, 15.10.2007, n. 1669; TAR Piemonte, Torino, sez.
I, 13.12.2006, n. 4654; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.05.2007, n. 3973; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 13.05.2008, n. 1455;
09.04.2009, n. 605) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2166 -
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EDILIZIA
PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità si deve fondare
esclusivamente su valutazioni di ordine igienico-sanitarie
dell’immobile, e non su quelle urbanistico-edilizie o su
profili che, in quanto attinenti al mancato pagamento di
oneri di urbanizzazione, sono del tutto estranei alla
conformità dell’opera al progetto.
- Considerato che con il ricorso in epigrafe la ricorrente
ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune di
Telese Terme le ha negato il rilascio del certificato di
agibilità per le costruzioni edificate in virtù dei permessi
di costruire nn. 29 e 30 del 2008, non risultando
integralmente versato il costo di costruzione;
- Considerato che, a sostegno del ricorso, la ricorrente ha
dedotto la violazione degli artt. 24 e 25 D.P.R. 380/2001 e
l’eccesso di potere sotto vari profili, adducendo che ai
fini del rilascio del certificato di agibilità non
assumerebbe rilievo il pagamento del costo di costruzione e
che, comunque, nel caso di specie tale costo non era stato
correttamente quantificato;
- Ritenuto che il ricorso deve essere accolto in quanto
fondato;
- Ritenuto, infatti, che, come già affermato dalla
giurisprudenza di questo Tribunale, il rilascio del
certificato di abitabilità si deve fondare esclusivamente su
valutazioni di ordine igienico-sanitarie dell’immobile, e
non su quelle urbanistico-edilizie o su profili che, in
quanto attinenti al mancato pagamento di oneri di
urbanizzazione, sono del tutto estranei alla conformità
dell’opera al progetto (TAR Campania, Napoli, sez. II, n.
9822 del 06.05.2004; TAR Lazio, Latina, n. 706 del 12.06.2002; TAR Puglia, Lecce, I Sez., n. 208 del
01.04.1995);
- Ritenuto che, nel caso di specie, il Comune di Telese
Terme con il provvedimento del 25.07.2013 ha denegato il
rilascio del certificato d’agibilità ed abitabilità “in
quanto da una verifica contabile, sebbene più volte
sollecitato, non risulta trasmessa a questo Ufficio
l’attestazione dell’avvenuto pagamento relativo alle rate
del costo di costruzione”, in contrasto con i principi
enunciati e subordinando detto rilascio ad un’attività del
privato, costituente l’adempimento, da parte del medesimo,
di un obbligo che non concerne l’abitabilità dell’immobile;
- Che il ricorso deve quindi essere accolto, con
annullamento del provvedimento impugnato (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2157 -
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Sull'accesso a documenti amministrativi e sui
soggetti legittimati.
L'accesso a documenti amministrativi o ad atti di diritto
privato relativi all'attività amministrativa la cui
conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri
interessi giuridicamente tutelati è sempre garantito, anche
laddove trattasi di un giudizio non ancora pendente,
consistendo in un diritto soggettivo ad un'informazione
qualificata, cui corrisponde l'obbligo della pa di
esercitare un'attività materiale vincolata volta
all'ostensione.
Inoltre, il diritto di accesso, oltre che alle persone
fisiche, spetta anche a enti esponenziali di interessi
collettivi e diffusi, ove corroborati dalla
rappresentatività dell'associazione o ente esponenziale e
dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all'oggetto
dell'istanza, quali i comuni (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.04.2014 n. 1768 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
TRIBUTI: Addizionale Irpef, delibere a tempo.
Il Tar Campania sulle aliquote.
Le aliquote dell'addizionale comunale all'Irpef per il 2013
devono essere adottate dal consiglio comunale entro il
termine per l'approvazione del bilancio di previsione e
devono essere pubblicate sul sito del Ministero
dell'economia e delle finanze entro il 20 dicembre dell'anno
a cui si riferisce la delibera comunale.
È quanto ha stabilito il TAR Campania-Napoli, Sez. I, che, con la
sentenza
08.04.2014 n. 2009, si allinea alle
decisioni adottate dai giudici calabresi e siciliani sulla
delicata questione di deliberazione delle aliquote
dell'addizionale comunale all'Irpef che, a quanto pare, non
ha mancato di dare problemi a molti comuni italiani.
Il Tar campano ha accolto il ricorso presentato dal
Ministero dell'economia e delle finanze avverso la
deliberazione di un comune del napoletano che per l'anno
2013:
- ha diminuito la misura dell'aliquota dell'addizionale
comunale all'Irpef dallo 0,8 allo 0,75% con deliberazione
del 20.12.2013;
- ha inviato la delibera per la pubblicazione sul sito web
del Ministero dell'economia e delle finanze in data 13.01.2014.
Il Mef ha chiesto innanzitutto al Tar l'annullamento di tale
deliberazione perché adottata dopo la scadenza del termine
per l'approvazione del bilancio di previsione stabilito per
l'anno 2013 al 30.11.2013.
Ha inoltre sostenuto che il provvedimento sarebbe anche
inefficace, in quanto per l'anno 2013, sarebbe stata
necessaria la sua pubblicazione sul portale del Ministero
stesso entro il 20 dicembre dell'anno di riferimento.
I giudici hanno accolto entrambe le ragioni di impugnativa
in quanto hanno evidenziato che le disposizioni dell'art. 1,
comma 169, della legge 296 del 2006, sono ben chiare quando
stabiliscono che:
- gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote
relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata
da norme statali per la deliberazione del bilancio di
previsione;
- dette deliberazioni, anche se approvate successivamente
all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi
indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di
riferimento;
- in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine,
le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in
anno.
Poiché per l'anno 2013 il suddetto termine è stato differito
dapprima al 30.09.2013, dall'art. 10, comma 4-quater,
lettera b), numero 1), del decreto legge 08.04.2013, n.
35 e successivamente, dall'art. 8 del dl 31.08.2013 n.
102, convertito dalla legge 28.10.2013, n. 124, al 30.11.2013, «ne consegue», concludono i giudici, «la
manifesta violazione del richiamato termine decadenziale,
dal momento che la deliberazione è risulta adottata
successivamente alla sua scadenza».
Il Tar risolve anche il secondo motivo di impugnazione
partendo dall'esame dell'art.14, comma 8, del dlgs n. 23 del
2011 il quale stabilisce, anch'esso in maniera assai chiara,
che a decorrere dall'anno 2011, le delibere di variazione
dell'addizionale comunale all'Irpef hanno effetto dal 1°
gennaio dell'anno di pubblicazione sul sito informatico del
Mef a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 20
dicembre dell'anno a cui la delibera afferisce.
Detta pubblicazione ha anch'essa una portata assai
particolare tanto che viene definita dai giudici del Tar
come «fase procedimentale integrativa dell'efficacia della
deliberazione di modifica dell'addizionale».
Anche in questo caso però tale adempimento è intervenuto
solo il 14.01.2014, per cui, affermano i giudici, la
riduzione non potrebbe comunque avere effetto per l'anno
2013.
Al pari di quanto è avvenuto con le sentenze nn. 470, 471,
472, 473 tutte del 21.03.2014 del Tar per la Calabria, sede
di Catanzaro, e con la sentenza n. 700 del 17.03.2014 del
Tar per la Sicilia, anche questa volta è stata annullata una
deliberazione comunale in materia di addizionale all'Irpef
che questa volta, paradossalmente, era a favore del
contribuente, in quanto prevedeva la riduzione dell'aliquota (articolo ItaliaOggi del
03.05.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA: A
differenza dal regime in precedenza vigente, alla stregua
del quale spettavano all'Autorità regionale, o ad altra da
questa delegata, i compiti di amministrazione attiva in
materia di gestione dei vincoli paesaggistici, rimanendo
alle Soprintendenze solo funzioni di controllo sui
provvedimenti autorizzatori, consistenti nella possibilità
di procedere al loro annullamento entro il termine
perentorio di gg. 60 dal rilascio, qualora fosse stata
ravvisata la sussistenza di vizi di legittimità), quello
attuale, di cui all'art. 146 dello stesso decreto, delinea
una situazione di co-gestione del vincolo, in sede di
amministrazione attiva, da parte dell'Autorità regionale (o
di quella delegata) e dell'Autorità statale periferica, con
una chiara prevalenza delle valutazioni fatte da
quest'ultima, sebbene effettuate in sede consultiva.
Sicché l’approvazione del progetto con condizioni o
prescrizioni, peraltro pacificamente ammessa anche nel
sistema previgente, non trova oggi alcun ostacolo nel
disposto in alcuna norma, spettando alla Soprintendenza il
potere di vagliare l’inserimento ambientale dell’opera sotto
tutti i profili e, se necessario, imporne tutti gli
adattamenti necessari per il rispetto dei valori protetti
dal vincolo.
---------------
La Soprintendenza non ha fornito alcuna evidenza delle
ragioni per le quali l’esigenza di preservare le peculiarità
del paesaggio tutelate dal vincolo avrebbero imposto la
riduzione delle dimensioni del manufatto, né ha puntualmente
spiegato il perché le numerose prescrizioni costruttive già
dettate dalla Commissione paesaggistica del Comune al fine
di armonizzare l’opera con l’ambiente circostante non
possano ritenersi sufficienti allo scopo anche alla luce di
un criterio di proporzionalità.
Pertanto, la Soprintendenza, entro 45 giorni dalla
comunicazione della presente sentenza, dovrà nuovamente
pronunciarsi sulla istanza della ricorrente rivalutandola
integralmente e motivando in modo puntuale le sue
determinazioni secondo i criteri sopra stabiliti, non
ostando la perentorietà del termine previsto dall’art. 146,
comma nono, del D.Lgs 42/2004 alla rinnovazione “ora per
allora” del provvedimento annullato.
Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Occorre in proposito rammentare che, a differenza dal regime
in precedenza vigente, alla stregua del quale spettavano
all'Autorità regionale, o ad altra da questa delegata, i
compiti di amministrazione attiva in materia di gestione dei
vincoli paesaggistici, rimanendo alle Soprintendenze solo
funzioni di controllo sui provvedimenti autorizzatori,
consistenti nella possibilità di procedere al loro
annullamento entro il termine perentorio di gg. 60 dal
rilascio, qualora fosse stata ravvisata la sussistenza di
vizi di legittimità), quello attuale, di cui all'art. 146
dello stesso decreto, delinea una situazione di co-gestione
del vincolo, in sede di amministrazione attiva, da parte
dell'Autorità regionale (o di quella delegata) e
dell'Autorità statale periferica, con una chiara prevalenza
delle valutazioni fatte da quest'ultima, sebbene effettuate
in sede consultiva (TAR Napoli Campania sez. VII, 12.03.2013 n. 1404).
Sicché l’approvazione del progetto con condizioni o
prescrizioni, peraltro pacificamente ammessa anche nel
sistema previgente, non trova oggi alcun ostacolo nel
disposto in alcuna norma, spettando alla Soprintendenza il
potere di vagliare l’inserimento ambientale dell’opera sotto
tutti i profili e, se necessario, imporne tutti gli
adattamenti necessari per il rispetto dei valori protetti
dal vincolo.
Fondato è, invece, il
secondo motivo di ricorso.
La Soprintendenza non ha fornito alcuna evidenza delle
ragioni per le quali l’esigenza di preservare le peculiarità
del paesaggio tutelate dal vincolo avrebbero imposto la
riduzione delle dimensioni del manufatto (TAR Venezia
Veneto sez. II, 13.09.2013 n. 1104), né ha
puntualmente spiegato il perché le numerose prescrizioni
costruttive già dettate dalla Commissione paesaggistica del
Comune di Castelfranco di Sopra al fine di armonizzare
l’opera con l’ambiente circostante non possano ritenersi
sufficienti allo scopo anche alla luce di un criterio di
proporzionalità.
L’autorizzazione paesaggistica deve essere, quindi,
annullata.
In esecuzione della presente pronuncia la Soprintendenza,
entro 45 giorni dalla comunicazione della presente sentenza,
dovrà nuovamente pronunciarsi sulla istanza della ricorrente
rivalutandola integralmente e motivando in modo puntuale le
sue determinazioni secondo i criteri sopra stabiliti, non
ostando la perentorietà del termine previsto dall’art. 146,
comma nono, del D.Lgs 42/2004 alla rinnovazione “ora per
allora” del provvedimento annullato (Consiglio di Stato sez.
V, 17.02.2006 n. 640; Consiglio Stato sez. V 08.07.1995 n. 1034) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 494 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo
edilizio avviene con la voltura non essendo, invece,
sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito
dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del
pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde
direttamente e per intero il titolare della concessione
edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al
rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa.
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
La Sig.ra Giuliana Vitale ha acquistato nel 2009 una
porzione di fabbricato destinato a civile abitazione nel
comune di Pistoia.
La sua dante causa, Sig.ra Vettori Antonella, prima della
vendita aveva già presentato al predetto comune una d.i.a.
per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e pagato i
relativi oneri di urbanizzazione.
I predetti oneri, in forza di apposito patto contrattuale,
sono stati poi posti a carico dell’acquirente che ha poi
portato a termine i lavori.
La Sig.ra Vitale si è, tuttavia, avveduta che l’ammontare
degli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di
Pistoia superava la somma effettivamente dovuta.
In particolare, il predetto ente, in applicazione della
delibera consiliare n. 225 del 21/12/2007, aveva calcolato
gli oneri sulla base della superficie lorda dell’intero
fabbricato anziché prendere a riferimento la sola unità
immobiliare interessata dal progetto di ristrutturazione.
Ritenendo, anche sulla scorta di precedenti pronunce di
questo Tribunale Amministrativo, tale sistema di calcolo
palesemente illegittimo, la Sig.ra Vitale ha intentato
azione di ripetizione dell’indebito contro il Comune di
Pistoia per ottenere la ripetizione delle somme pagate in
eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione.
Nel costituirsi in giudizio il Comune di Pistoia ha
preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva
della ricorrente osservando che l’azione di ripetizione
potrebbe essere esercitata solo da chi ha eseguito il
pagamento non dovuto e, quindi, nella specie, dalla Sig.ra
Vettori che ha versato alla tesoreria comunale le somme
richieste a titolo di oneri di urbanizzazione.
Al riguardo la ricorrente ha replicato di essere subentrata,
per effetto dell’acquisto dell’immobile, in tutti i rapporti
attivi e passivi facenti capo al titolo edilizio. Sicché,
così come l’obbligo di pagare gli oneri concessori (qualora
questi fossero ancora insoluti) si sarebbe trasferito su di
lei, allo stesso modo, essa sarebbe divenuta titolare
dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente
corrisposto a tale titolo dalla sua dante causa.
Gli argomenti dedotti dalla ricorrente per contrastare
l’eccezione formulata dal Comune non appaiono, tuttavia,
convincenti.
Occorre in primo luogo osservare che la novazione soggettiva
nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la
voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale
effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo
la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di
urbanizzazione risponde direttamente e per intero il
titolare della concessione edilizia, essendo i successivi
acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è
instaurato col Comune (Cons. Stato, V, 26/06/1996 n. 793).
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa
(Cassazione civile sez. III, 01.12.2009 n. 25276;
TAR Napoli Campania sez. V, 05.04.2011 n. 1916).
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile per
difetto di legittimazione attiva (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 493 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
principio del legittimo affidamento può essere invocato a
tutela di coloro che, sulla scorta di un atto o di un
comportamento della p.a., abbiano in buona fede confidato di
poter conservare una determinata situazione di vantaggio
rivelatasi a posteriori non conforme a legge.
A prescindere dal problema se il protrarsi dell'inerzia
della p.a. nella irrogazione di una sanzione possa
considerarsi un comportamento astrattamente suscettibile di
ingenerare una legittima aspettativa nel trasgressore, è da
escludere che ciò possa avvenire allorché, come accade nella
fattispecie in esame, la contestazione del fatto sia stata
tempestivamente effettuata e ad essa non abbia fatto seguito
la comminazione della misura repressiva.
In tale ipotesi, infatti, il comportamento della p.a.
-benché possa qualificarsi come negligente dal punto di
vista della tutela dell'interesse pubblico- non lascia adito
ad alcun legittimo affidamento.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il principio del legittimo affidamento può essere invocato a
tutela di coloro che, sulla scorta di un atto o di un
comportamento della p.a., abbiano in buona fede confidato di
poter conservare una determinata situazione di vantaggio
rivelatasi a posteriori non conforme a legge.
A prescindere dal problema se il protrarsi dell'inerzia
della p.a. nella irrogazione di una sanzione possa
considerarsi un comportamento astrattamente suscettibile di
ingenerare una legittima aspettativa nel trasgressore, è da
escludere che ciò possa avvenire allorché, come accade nella
fattispecie in esame, la contestazione del fatto sia stata
tempestivamente effettuata e ad essa non abbia fatto seguito
la comminazione della misura repressiva.
In tale ipotesi, infatti, il comportamento della p.a.
-benché possa qualificarsi come negligente dal punto di
vista della tutela dell'interesse pubblico- non lascia adito
ad alcun legittimo affidamento (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 491 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: In
materia di responsabilità della p.a. per danni che il
privato ritenga di avere subito a causa dell’azione
amministrativa gli orientamenti giurisprudenziali e
dottrinari sono molto oscillanti.
Come è noto, mentre ai fini della responsabilità
extra-contrattuale occorre verificare la sussistenza di
tutti i presupposti di cui all’art. 2043 cod. civ. -ossia
una condotta attiva od omissiva, l'elemento psicologico
della colpa, il danno e il nesso di causalità tra condotta e
pregiudizio- ai fini
dell’individuazione di una responsabilità contrattuale (o
meglio, da contatto sociale o da contatto sociale
qualificato) va accertata la violazione da parte
dell’amministrazione dell’affidamento riposto dal cittadino,
nell’ambito di uno specifico rapporto con la pubblica
amministrazione, sull’agire legittimo di questa.
Orbene, va
in proposito precisato che in giurisprudenza si tende a
ricondurre la responsabilità dell’amministrazione,
prevalentemente, al modello aquiliano (Cons. Stato, V, 27.03.2013, n. 1833, che –sia pure con riguardo al diverso
settore dell’evidenza pubblica e del danno da mancata
aggiudicazione– ricostruisce la responsabilità della p.a.
in termini aquiliani, osservando, tra l’altro, che la
riconduzione di detta responsabilità al modello lato sensu
contrattuale condurrebbe “ad un’inaccettabile
sovrapposizione delle posizioni di interesse legittimo e di
diritto soggettivo, ricostruendo la prima categoria alla
stregua di un interesse alla legittimità dell’attività
amministrativa, immediatamente leso dalla mera presenza di
un vizio di legittimità”).
Le
pretese risarcitorie della società ricorrente sono, ad
avviso del Collegio, infondate.
Nonostante gli sforzi di parte ricorrente volti a
individuare la fonte della responsabilità risarcitoria
dell’Autorità portuale di Livorno, non si ravvisano, nella
fattispecie in esame, i presupposti che l’ordinamento
richiede ai fini della sussistenza di un danno risarcibile;
e ciò sia ragionando in termini di responsabilità aquiliana,
derivante dalla violazione del principio del neminem laedere,
ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., sia ragionando in termine
di responsabilità da inadempimento di obblighi gravanti
sull’amministrazione nell’ambito di un rapporto regolato da
fonte convenzionale (responsabilità contrattuale), atteso
che le deduzioni di parte ricorrente per certi versi
sembrano fare riferimento ai canoni dell’illecito
extracontrattuale, per altri invocano principi che si
attagliano alla responsabilità da inadempimento o,
quantomeno, da contatto sociale.
Non è inutile ricordare brevemente che in materia di
responsabilità della p.a. per danni che il privato ritenga
di avere subito a causa dell’azione amministrativa gli
orientamenti giurisprudenziali e dottrinari sono molto
oscillanti.
Come è noto, mentre ai fini della responsabilità
extra-contrattuale occorre verificare la sussistenza di
tutti i presupposti di cui all’art. 2043 cod. civ. -ossia
una condotta attiva od omissiva, l'elemento psicologico
della colpa, il danno e il nesso di causalità tra condotta e
pregiudizio (TAR Puglia-Lecce, III, 10.10.2013, n.
2109; Tar Calabria–Catanzaro, I, n. 199/2013)- ai fini
dell’individuazione di una responsabilità contrattuale (o
meglio, da contatto sociale o da contatto sociale
qualificato) va accertata la violazione da parte
dell’amministrazione dell’affidamento riposto dal cittadino,
nell’ambito di uno specifico rapporto con la pubblica
amministrazione, sull’agire legittimo di questa.
Orbene, va
in proposito precisato che in giurisprudenza si tende a
ricondurre la responsabilità dell’amministrazione,
prevalentemente, al modello aquiliano (Cons. Stato, V, 27.03.2013, n. 1833, che –sia pure con riguardo al diverso
settore dell’evidenza pubblica e del danno da mancata
aggiudicazione– ricostruisce la responsabilità della p.a.
in termini aquiliani, osservando, tra l’altro, che la
riconduzione di detta responsabilità al modello lato sensu
contrattuale condurrebbe “ad un’inaccettabile
sovrapposizione delle posizioni di interesse legittimo e di
diritto soggettivo, ricostruendo la prima categoria alla
stregua di un interesse alla legittimità dell’attività
amministrativa, immediatamente leso dalla mera presenza di
un vizio di legittimità”) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 484 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
giurisprudenza ricollega alla presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità la conseguenza processuale di far
venir meno l’interesse a coltivare l’impugnativa del
pregresso provvedimento di demolizione, dal momento che il
riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza
determina la necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, di accoglimento o di reiezione, che vale
comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'originario ricorso.
---------------
Il Collegio rileva che la motivazione esternata
dall’amministrazione nel denegare la sanatoria è generica e
stereotipata; essa consiste nel rilievo che "i materiali e
le forme utilizzate non sono idonei al contesto ambientale
tutelato in considerazione dell'impatto negativo creato in
un contesto in cui le innumerevoli case rurali distribuite
armoniosamente nell'intera zona configurano quadri e scorci
panoramici di notevole valore anche da un punto di vista
estetico ed ambientale, godibili da vari punti di vista
accessibili al pubblico, che con i loro valori tradizionali
si ritengono degni di particolare tutela e salvaguardia".
Pur essendo di indubbia rilevanza il bene paesaggio
richiamato nel diniego impugnato, bene cui l’ordinamento
appresta particolare tutela e che è provvisto di copertura
costituzionale (art. 9, comma secondo, Cost.), è tuttavia
necessario che le amministrazioni a vario titolo deputate
alla cura di esso tengano conto -nel necessario
contemperamento degli interessi pubblici e privati che
coesistono e confliggono in ogni situazione in cui un
diritto del privato viene inciso da provvedimenti
amministrativi- delle facoltà ricomprese nel diritto di
proprietà (pure assistito da garanzia costituzionale, ai
sensi dell’art. 42 Cost.).
Non può sottacersi, infatti, che rientra nelle facoltà del
titolare di un diritto reale, anzi, del diritto reale più
pieno, quello dominicale, la possibilità di recintare il
proprio fondo con finalità protettive; e, se è vero che
l’attività edificatoria a ciò finalizzata deve essere svolta
nel rispetto dei vincoli (nella specie paesaggistici) che
caratterizzano la zona in cui si trova il bene interessato,
è altrettanto vero che non è possibile comprimere del tutto
tale facoltà, che può trovare limitazioni nei limiti della
necessità effettiva e della ragionevolezza, oltre che con
adeguata proporzionalità tra il sacrificio imposto al
privato e il beneficio per la collettività e per il pubblico
interessa alla tutela del paesaggio.
Proprio per dare conto di questo delicato bilanciamento
degli interessi pubblici e privati il provvedimento che
esita negativamente l’istanza di accertamento di conformità
deve essere congruamente ed esaustivamente motivato, non
potendo limitarsi a invocare una generica disarmonia del
manufatto con l’ambiente circostante e con i valori che lo
connotano, risolvendosi altrimenti in mera tautologia.
Orbene, la giurisprudenza ricollega alla presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità la conseguenza
processuale di far venir meno l’interesse a coltivare
l’impugnativa del pregresso provvedimento di demolizione,
dal momento che il riesame dell'abusività dell'opera
provocato dall'istanza determina la necessaria formazione di
un nuovo provvedimento, di accoglimento o di reiezione, che
vale comunque a rendere inefficace il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'originario ricorso (TAR
Piemonte–Torino, II, 18.01.2013, n. 48; Consiglio di
Stato, IV, 12.05.2010, n. 2844).
Applicando alla
fattispecie in esame detti principi, va dichiarata
l’improcedibilità, ai sensi dell’art. 35, comma primo, lett.
c), cod. proc. amm., del ricorso e dei motivi aggiunti in
epigrafe, con i quali sono stati contestati l’ordinanza di
demolizione dei manufatti descritti in narrativa e gli atti
istruttori e propedeutici che l’hanno preceduta.
---------------
Si ritiene fondata
l’assorbente censura di difetto di motivazione.
Più precisamente, il Collegio rileva che la motivazione
esternata dall’amministrazione nel denegare la sanatoria è
generica e stereotipata; essa consiste nel rilievo che "i
materiali e le forme utilizzate non sono idonei al contesto
ambientale tutelato in considerazione dell'impatto negativo
creato in un contesto in cui le innumerevoli case rurali
distribuite armoniosamente nell'intera zona configurano
quadri e scorci panoramici di notevole valore anche da un
punto di vista estetico ed ambientale, godibili da vari
punti di vista accessibili al pubblico, che con i loro
valori tradizionali si ritengono degni di particolare tutela
e salvaguardia".
Pur essendo di indubbia rilevanza il bene paesaggio
richiamato nel diniego impugnato, bene cui l’ordinamento
appresta particolare tutela e che è provvisto di copertura
costituzionale (art. 9, comma secondo, Cost.), è tuttavia
necessario che le amministrazioni a vario titolo deputate
alla cura di esso tengano conto -nel necessario
contemperamento degli interessi pubblici e privati che
coesistono e confliggono in ogni situazione in cui un
diritto del privato viene inciso da provvedimenti
amministrativi- delle facoltà ricomprese nel diritto di
proprietà (pure assistito da garanzia costituzionale, ai
sensi dell’art. 42 Cost.).
Non può sottacersi, infatti, che
rientra nelle facoltà del titolare di un diritto reale,
anzi, del diritto reale più pieno, quello dominicale, la
possibilità di recintare il proprio fondo con finalità
protettive; e, se è vero che l’attività edificatoria a ciò
finalizzata deve essere svolta nel rispetto dei vincoli
(nella specie paesaggistici) che caratterizzano la zona in
cui si trova il bene interessato, è altrettanto vero che non
è possibile comprimere del tutto tale facoltà, che può
trovare limitazioni nei limiti della necessità effettiva e
della ragionevolezza, oltre che con adeguata proporzionalità
tra il sacrificio imposto al privato e il beneficio per la
collettività e per il pubblico interessa alla tutela del
paesaggio.
Proprio per dare conto di questo delicato
bilanciamento degli interessi pubblici e privati il
provvedimento che esita negativamente l’istanza di
accertamento di conformità deve essere congruamente ed
esaustivamente motivato, non potendo limitarsi a invocare
una generica disarmonia del manufatto con l’ambiente
circostante e con i valori che lo connotano, risolvendosi
altrimenti in mera tautologia.
Del resto, dalla documentazione fotografica versata in atti
è agevole desumere che la recinzione di cui trattasi non ha
carattere di stabilità, che è facilmente amovibile e non
implicante una trasformazione definitiva e irreversibile del
territorio, essendo sostenuta da palificazione in legno
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 483 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: L'art.
21-octies comma 2, l. n. 241 del 1990, ai sensi della quale
l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento
non può condurre all'annullamento del provvedimento finale
ove emerge che quest'ultimo non avrebbe potuto avere un
contenuto diverso da quello in concreto adottato, può
trovare applicazione unicamente nei casi in cui tale
contenuto sia vincolato o in cui risulti che palesemente lo
stesso non sarebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato, in quanto inevitabile nella sua parte
dispositiva.
Laddove, invece, deve procedersi ad un accertamento della
sussistenza di una violazione sulla base di criteri non
automatici, ma previa valutazione della valenza di
determinate condotte, il carattere discrezionale del
provvedimento finale esclude che possa trovare applicazione
la possibilità di sanatoria dei vizi formali del
procedimento prevista dal citato art. 21-octies.
Ciò posto, l'art. 21-octies comma 2, l. n. 241 del 1990, ai
sensi della quale l'omissione della comunicazione di avvio
del procedimento non può condurre all'annullamento del
provvedimento finale ove emerge che quest'ultimo non avrebbe
potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto
adottato, può trovare applicazione unicamente nei casi in
cui tale contenuto sia vincolato o in cui risulti che
palesemente lo stesso non sarebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato, in quanto inevitabile nella sua
parte dispositiva. Laddove, invece, come nel caso di specie,
deve procedersi ad un accertamento della sussistenza di una
violazione sulla base di criteri non automatici, ma previa
valutazione della valenza di determinate condotte, il
carattere discrezionale del provvedimento finale esclude che
possa trovare applicazione la possibilità di sanatoria dei
vizi formali del procedimento prevista dal citato art.
21-octies (cfr., TAR Lazio, Sez. II, 08.02.2012, n. 1230).
La rilevata mancanza procedimentale si riflette, dunque,
sulla legittimità dell'impugnato provvedimento, che,
pertanto, va caducato, con assorbimento degli ulteriori
motivi di gravame.
In aderenza ad un autorevole orientamento giurisprudenziale,
va, infatti, riconosciuto il principio del carattere
necessariamente assorbente della censura volta a far valere
il mancato invio della comunicazione in discorso, nel senso
che l'accoglimento di essa inibisce l'esame delle altre
eventuali censure, stante l'invalidità dell'istruttoria
svoltasi in carenza della comunicazione stessa (cfr., Cons.
St., Sez. VI, 01.09.2000, n. 4649) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 481 - link
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EDILIZIA
PRIVATA:
Come affermato dalla
giurisprudenza, “non appare dubbio, invero, (che) alla luce
dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta
….(negli artt. 136 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004) con il
termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una
determinata parte del territorio che, per le sue
caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza
dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che
non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o
immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni
modificazione dell'assetto del territorio, attuata
attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio
della prescritta autorizzazione”.
Tale nozione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la
definizione contenuta nella Convenzione europea sul
paesaggio, firmata a Firenze il 20.10.2000 e ratificata con
la legge 09.01.2006, n. 14, secondo la quale il termine
paesaggio “designa una determinata parte del territorio,
così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere
deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle
loro interrelazioni”.
Osserva il Collegio che dalla predetta definizione di
paesaggio deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico si
palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate
nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una
utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto,
specie quando, come nel caso in esame, si tratti di opere di
rilevante entità.
Quanto esposto risulta confermato, in primo luogo, dal
contenuto dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, che vieta
l'esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni
paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in
difformità da essa ed, in secondo luogo, dalla
giurisprudenza che –da un lato- ha ritenuto che il divieto
di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di
tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione
comportante creazione di volume, senza che sia possibile
distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume,
siano essi interrati o meno, e –dall’altro– che il vigente
art. 167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del
paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004) preclude il rilascio di
autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati
volumi di qualsiasi natura (anche ‘interrati’), pur quando
ai fini urbanistici-edilizi non andrebbero ravvisati volumi
in senso tecnico.
Il Collegio ritiene corrette le
argomentazioni della Direzione regionale del Ministero.
Come affermato dalla giurisprudenza, “non appare dubbio,
invero, (che) alla luce dell’individuazione dei beni
paesaggistici contenuta ….(negli artt. 136 e segg. del
d.lgs. n. 42 del 2004) con il termine paesaggio il
legislatore abbia inteso designare una determinata parte del
territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o
indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di
particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero
aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area
vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del
territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è
soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione”
(Cass. Pen., Sez. III, 16.02.2006, n. 11128).
Tale nozione ampia di paesaggio coincide, peraltro, con la
definizione contenuta nella Convenzione europea sul
paesaggio, firmata a Firenze il 20.10.2000 e ratificata con
la legge 09.01.2006, n. 14, secondo la quale il termine
paesaggio “designa una determinata parte del territorio,
così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere
deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle
loro interrelazioni” (Cass. Pen., Sez. III, 16.02.2006,
n. 11128).
Osserva il Collegio che dalla predetta definizione di
paesaggio deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico si
palesa operante anche con riferimento alle opere realizzate
nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una
utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto,
specie quando, come nel caso in esame, si tratti di opere di
rilevante entità (cfr: Cass. pen., Sez. III, 16.01.2007, n.
7292).
Quanto esposto risulta confermato, in primo luogo, dal
contenuto dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, che vieta
l'esecuzione di lavori “di qualsiasi genere” su beni
paesaggistici senza la necessaria autorizzazione o in
difformità da essa ed, in secondo luogo, dalla
giurisprudenza che –da un lato- ha ritenuto che il divieto
di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di
tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione
comportante creazione di volume, senza che sia possibile
distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume,
siano essi interrati o meno (Cons. Stato, Sez. IV,
12.02.1997, n. 102), e –dall’altro– che il vigente art. 167,
comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio
(d.lgs. n. 42 del 2004) preclude il rilascio di
autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati
volumi di qualsiasi natura (anche ‘interrati’), pur
quando ai fini urbanistici-edilizi non andrebbero ravvisati
volumi in senso tecnico (Sez. VI, 20.06.2012, n. 3578)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 19.02.2014 n. 171
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Reati edilizi: Cassazione chiarisce i limiti
dell’indice di edificabilità.
Con la
sentenza 05.02.2014 n. 5751 la III Sez. penale della
Corte di Cassazione interviene in materia edilizia, offrendo
alcuni chiarimenti in merito all’indice di edificabilità che
ne precisano limiti e contenuto.
In particolare, gli Ermellini chiariscono in primo luogo
l’inderogabilità del D.M. 02.04.1968, n. 1444 a cui è stata
in passato riconosciuta efficacia di legge dello Stato con
la conseguenza che gli strumenti urbanistici non possono
discostarsene, prevalendo il decreto anche sui regolamenti
locali nella determinazione degli standard urbanistici. Ciò
per chiarire che l’art. 7 del D.M. citato stabilisce i
limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone
territoriali omogenee e che, in particolare, per le zone A
–relative al caso di specie– si conformano nel senso che per
le nuove eventuali costruzioni ammesse, la densità fondiaria
non deve superare il 50% della densità fondiaria media della
zona.
E’ importante questa precisazione da parte della Corte di
Cassazione perché permette di ribadire l’interpretazione
dottrinale e giurisprudenziale sulla
differenza tra densità edilizia territoriale e densità
edilizia fondiaria. La prima si riferisce a ciascuna zona
omogenea e definisce il carico complessivo di edificazione
che può gravare sull’intera zona, mentre la seconda è
riferita alla singola area e definisce il volume massimo su
di essa edificabile. In buona sostanza –come si legge anche
nella sentenza-, la differenza consiste nel fatto che la
densità edilizia territoriale definisce il complessivo
carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona
omogenea, per cui il relativo indice di edificabilità è
rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi
gli spazi pubblici, quelli destinati a viabilità, ecc. Al
contrario, la densità edilizia fondiaria, in quanto riferita
alla singola area e definendo il volume massimo edificabile
sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato
alla effettiva superficie suscettibile di edificazione.
Per i giudici del Palazzaccio diventa rilevante tracciare un
netto confine tra i due concetti di densità, specificando
che quella territoriale attiene al comparto, al lordo di
strade e altri spazi pubblici, mentre quella fondiaria
attiene al singolo lotto o fondo identificato al netto delle
aree asservite a standard urbanistici. Ne consegue che
l’indice di fabbricabilità fondiaria risulta essere lo
strumento di misura del massimo volume edificabile su
ciascuna unità di superficie fondiaria. Su questo aspetto si
è fondato l’errore del giudice di merito che, come rilevato
da Piazza Cavour, confonde, ai fini della determinazione
della volumetria assentibile, la superficie edificabile con
la superficie dell’intero comparto, pretermettendo la
distinzione che giuridicamente distingue l’area edificabile
dalla zona omogenea in cui si inserisce. Ciò elide i limiti
di edificabilità in quanto questi costituirebbero in questo
modo un a percentuale della zona omogenea anziché una
percentuale dell’area interessata direttamente dalla
edificabilità stessa, finendo per confondere il criterio da
applicare.
Nel caso di specie il giudice di prime cure aveva condannato
i titolari di una società di costruzione e i funzionari
pubblici coinvolti alla pena di quattro mesi di arresto e
25000 € di ammenda per i reati di cui agli articoli 110 cod.
pen. e 44, lettera c), del d.p.r. n. 380/2001 e art. 734
cod. pen. Ciò per la realizzazione di un complesso edilizio
in area urbana sottoposta a vincolo paesaggistico ed in
violazione della normativa di settore in merito a forme e
misure consentite. Il Giudice di Appello tuttavia riformava
la sentenze di primo grado assolvendo tutti gli imputati dai
reati ascritti perché il fatto non sussiste. Da qui il
ricorso del Procuratore generale della Repubblica, che
contesta la violazione dell'articolo 44, lettera c), d.p.r.
380/2001 con riferimento all'articolo 7 D.M. 1444/1968.
Come si è visto la Cassazione accoglie le contestazioni del
ricorrente annullando la sentenza impugnata con rinvio ad
altra Corte di Appello territoriale (link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In materia di abuso edilizio, la concessione in
sanatoria si estende anche ai c.d. reati satelliti.
Consolidata e recente giurisprudenza di legittimità e di
merito (Cass. Penale, Sez. III, 01/09/2010 (Ud. 01/07/2010),
Sentenza n. 32547, Tribunale di Cassino – Sez. penale,
sentenza del 01.02.2010) ritiene che l’efficacia estintiva
della sanatoria è limitata ai reati contravvenzionali
previsti dalle norme urbanistiche vigenti e non si estende
ad altri reati correlati alla tutela di interessi diversi
quali quelli previsti dalla normativa sulle opere in cemento
armato, sulle costruzioni in zone sismiche oppure di tutela
delle aree di interesse ambientale.
Di diverso avviso, invece, il TRIBUNALE di Termini Imerese
che con
sentenza 21.05.2013, accogliendo la tesi difensiva degli
avvocati dell'imputato, secondo cui il rilascio della
concessione in sanatoria, ex artt. 13 Legge n. 47 del 1985 e
45 D.P.R. n. 380 del 2001, estingue non solo il reato
previsto e punito dall'art. 44, lettera b), D.P.R. n. 380
del 2001, ma anche i c.d. “reati satelliti”, ovvero,
nel caso di specie, quelli previsti e puniti dagli artt. 64
e 71, 65 e 72, 83 e 95 del D.P.R n. 380 del 2001.
Dalla sentenza in questione emerge che il Tribunale di
Termini Imerese ha ritenuto che la nozione di “reati
urbanistici”, come quelli riguardanti la disciplina del
corretto e razionale uso edile del territorio va estesa
anche ai reati “edilizi minori” o “reati satellite”,
ovvero quelli previsti dalla normativa sulle opere in
cemento armato, sulle costruzioni in zone sismiche oppure di
tutela delle aree di interesse ambientale, con la
conseguenza di non doversi procedere anche in ordine a tali
reati (link a www.diritto.it).
---------------
SENTENZA
nel processo penale
CONTRO
xxxx xxxxx nato a xxxxx il xxxxxx ivi residente in Via
xxxxxxx, elettivamente domiciliato in
xxxxxxxx difeso di fiducia dall'avv. Giuseppe Ortolani del
Foro di Palermo e dall'Avv. Francesco Paolo Maurigi del Foro
di Palermo
– LIBERO – CONTUMACE - IMPUTATO
a) della contravvenzione p.e.p. Dalla letetra b) dell'art.
44 del D.P.R. n. 380/2001, 81 c.p. per
aver , in qualità di proprietario/committente dei lavori,
iniziato, continuato ed eseguito in
assenza del prescritto permesso a costruire, nell'immobile
sito
a xxxxx, le seguenti opere:
a) magazzino aventi dimensioni di 7,80 x 6,00 metri con
struttura costituita da pilastri e capriate in ferro su
fondazione in cemento armato, tamponamento e copertura in
lastre di lamiera grecata verniciata. Porzione di fabbricato
aventi dimensioni di: 3,90 x 5,70 metri; 2,20 x 3,40 metri
con struttura portante in cemento armato.
b) delle contravvenzioni p.e p. dagli articoli 64, 71, 65 e
72 del D.P.R. n. 380/2001, art. 81 c.p., perchè in
esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nella medesima
qualità, realizzava le strutture in cemento armato di cui al
capo a), senza il progetto esecutivo e la direzione di un
professionista abilitato e la prescritta denuncia d'inizio
lavori all'ufficio del Genio Civile.
c) delle contravvenzioni p.e p. dagli articoli 83 e 95 del
D.P.R. n. 380/2001, art. 81 c.p., perché in esecuzione
di un medesimo disegno criminoso, nella medesima qualità,
realizzava le strutture in cemento armato di cui al capo a),
senza avere rispettato le norme e le prescrizioni tecniche
contenute nei decreti ministeriali vigenti; omettendo di
denunziare l'inizio dei lavori alle competenti autorità e
senza avere ottenuto la prescritta autorizzazione scritta da
parte dell'Ufficio tecnico Regionale.
In Valeldolmo, accertati tutti il 09.04.2010.
MOTIVAZIONE
A seguito di decreto di citazione della Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Termini Imerese,
l'imputato veniva tratto a giudizio dinanzi a questo
Tribunale per rispondere dei reati di cui alla rubrica. Al
dibattimento, esaurita l'esposizione introduttiva del P.M. e
le richieste di prova dallo stesso formulate, il difensore
dell'imputato produceva la documentazione relativa al
rilascio della concessione in sanatoria delle opere abusive
allo stesso contestate.
Indicati gli atti utilizzabili, le parti concludevano come
da separato verbale di causa in atti, a cui si allegava
apposita memoria difensiva del difensore dell'imputato.
Ciò posto, osserva il giudicante, che la produzione
documentale in atti depositata attesta la coincidenza tra
contestato all'imputato ed esposto dal P.M. In sede
dibattimentale e l'oggetto del provvedimento amministrativo
di autorizzazione in sanatoria del Comune di Valledolmo
rilasciata in data 21.02.2013.
Risulta altresì che l'imputato ha regolarmente versato, ai
sensi dell'art. 13 della Legge n. 47 del 1985, a titolo di
oblazione, il contributo di concessione edilizia in misura
doppia.
Pertanto, in applicazione di quanto previsto dal comma 3°
dell'art. 22 della Legge n. 47 del 1985, deve dichiararsi di
non doversi procedere procedere nei confronti dell'odierno
imputato, in ordine a tutti i capi d'imputazione, per
estinzione dei reati dovuta ad intervenuto rilascio del
provvedimento amministrativo in sanatoria.
P.Q.M.
Visti gli articoli 531 c.p.p. e 13 della Legge n. 47 del
1985
DICHIARA
di non doversi procedere a carico di xxxxx in ordine a tutti
i reati ascrittigli perché estinti per intervenuto rilascio
di concessione in sanatoria. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Distanze tra le costruzioni. Disposizione
regolamentare secondo cui, nel caso di case a schiera, non
si applicano i limiti di distanza tra edifici. Principio
della prevenzione ex artt. 873 e ss. cod. civ..
La previsione del p.r.g. secondo cui nella zona destinata
alla costruzione di case a schiera non sono stabiliti limiti
di distanza tra edifici, non trova applicazione ove nel
fondo finitimo preesista un edificio non posizionato sul
confine, non essendo ipotizzabile, in tale evenienza,
l'edificazione in aderenza, secondo la tipologia delle
costruzioni a schiera, senza alcun titolo pattizio (Cfr.
Cons. Stato , sez. V, 08.02.1991, n. 114).
Nel campo urbanistico, il principio della prevenzione ex
art. 873 e ss. c.c. trova applicazione non soltanto nei
comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, ma altresì in
quelli nei quali gli strumenti urbanistici non vietino
l'edificazione sul confine.
In questo caso, dunque, essendo ammessa la costruzione in
aderenza, a chi edifica per primo sul fondo contiguo ad
altro spettano tre diverse facoltà:
1) in primo luogo, quella di costruire sul confine;
2) in secondo luogo, quella di costruire con distacco dal
confine, osservando la distanza minima imposta dal codice
civile, ovvero quella maggiore distanza stabilita dai
regolamenti edilizi locali;
3) ed infine quella di costruire con distacco dal confine a
distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le
costruzioni su fondi finitimi, facendo salvo in questa
evenienza la facoltà per il vicino, il quale edifichi
successivamente, di avanzare il proprio manufatto fino a
quella preesistente, previa corresponsione della metà del
valore del muro del vicino e del valore del suolo occupato
per effetto dell'avanzamento della fabbrica (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 04.02.2011, n. 802) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.01.2012 n. 414 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Fascia di rispetto cimiteriale. Individuazione e
applicabilità.
L'art. 338 del Testo unico delle leggi sanitarie di cui al
R.D. n. 1265/1934, il quale vieta l'edificazione nelle aree
ricadenti nella fascia di rispetto cimiteriale (di 200 metri
o del limite inferiore di cui al D.P.R. n. 285/1990 che ha
previsto la possibilità di riduzione della fascia di
rispetto da 200 mt. a 100 mt.), prevede un vincolo assoluto
di inedificabilità che non consente in alcun modo
l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col
vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che
possono enuclearsi nelle esigenze di natura
igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare
sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e
alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale.
Il vincolo di rispetto cimiteriale riguarda non solo i
centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi.
Il vincolo di rispetto cimiteriale preclude il rilascio
della concessione, anche in sanatoria (ai sensi dell'art. 33
L. 28.02.1985 n. 47), senza necessità di compiere
valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera
con i valori tutelati dal vincolo.
Anche il parcheggio interrato, da realizzare ai sensi
dell'art. 9 della L. n. 122/1989, in quanto struttura
servente
all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della
fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui
all’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.09.2010 n. 6671 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Atti amministrativi. Istanza per realizzazione
opere di urbanizzazione primaria. Silenzio della P.A..
E’ illegittimo il silenzio serbato da una Amministrazione
comunale sulla istanza con la quale alcuni proprietari di un
edificio adibito a civile abitazione hanno chiesto
l’adozione dei provvedimenti necessari alla realizzazione di
opere di urbanizzazione primaria (nella specie, rete idrica)
funzionali all’edificio.
Se è vero infatti che le opere di urbanizzazione primaria
sono di regola realizzate dalla P.A., deve rilevarsi anche
la possibilità di un impegno, da parte del privato, alla
realizzazione delle opere medesime in sede di attuazione
dell’intervento oggetto del permesso
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 26.11.2009 n.
7432 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara d’appalto. Presentazione domanda di
partecipazione a mezzo fax.
Illegittimamente viene esclusa da una gara pubblica una
ditta che ha presentato domanda di partecipazione, a mezzo
fax, in ritardo rispetto all’ora prevista dalla lex
specialis, ove sia provato che l’ora indicata sul fax in
uscita del concorrente escluso era inesatta, perché l’orario
di spedizione dell’apparecchio non risultava aggiornato
all’ora solare, e l’ora indicata era quella legale.
In tal caso, infatti, incombe l’obbligo sulla stazione
appaltante di valutare opportunamente, nel rispetto del noto
principio del favor partecipationis, la possibilità
di considerare tempestiva la domanda, anche semplicemente
verificando l’orario di arrivo del fax presso
l’apparecchiatura telefax di destinazione, sicché l’attività
provvedimentale della P.A. non può ritenersi conforme al
principio di correttezza e di buona fede, da osservarsi
obbligatoriamente nei rapporti con i soggetti privati
coinvolti nelle procedure ad evidenza pubblica (massima
tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 05.05.2009 n. 2817
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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