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AGGIORNAMENTO AL 30.12.2013 |
ã |
dite
la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Viviani e A. Bagnasco,
La
ristrutturazione con modifica di destinazione d’uso secondo
l’ultimo comma dell’art. 9 DPR n. 380/2001
(29.12.2013). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Approvazione,
ai sensi degli articoli 84 e 85 della lr 12/2005, della
modulistica utile alla predisposizione degli atti e delle
determinazioni che gli enti locali lombardi debbono assumere
nei procedimenti paesaggistici di loro competenza" (decreto
D.G. 24.12.2013 n. 12746). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Criteri
per la redazione del progetto preliminare di bonifica dei
siti inquinati, di cui all’art. 93 del d.lgs. 163/2006 (art.
5 del r.r. 2/2012)" (deliberazione
G.R. 20.12.2013 n. 1119). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Aggiornamento
delle disposizioni per l’esercizio, il controllo, la
manutenzione e l’ispezione degli impianti termici" (deliberazione
G.R. 20.12.2013 n. 1118). |
VARI: G.U.
28.12.2013 n. 303 "Abolizione del finanziamento pubblico
diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità
dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e
della contribuzione indiretta in loro favore" (D.L.
28.12.2013 n. 149). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord n. 89, "Approvazione
del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno
2014" (D.P.C.M.
12.12.2013). |
ENTI
LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTI:
G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord. n. 87/L, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge di stabilità 2014)" (L.
27.12.2013 n. 147). |
ENTI LOCALI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Differimento al 28.02.2014 del
termine per la deliberazione del bilancio di previsione per
gli enti locali" (Ministero dell'Interno,
decreto 19.12.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati giudiziari da parte di privati, di enti pubblici
economici e di soggetti pubblici" (Garante per la
protezione dei dati personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 7/2013).
---------------
Ambiti nei quali e/o per
i quali è rilasciata l’autorizzazione.
● Capo I - RAPPORTI DI LAVORO
● Capo II - ORGANISMI DI TIPO ASSOCIATIVO E FONDAZIONI
● Capo III - LIBERI PROFESSIONISTI
● Capo IV - MEDIAZIONE FINALIZZATA ALLA CONCILIAZIONE DELLE
CONTROVERSIE CIVILI E COMMERCIALI
● Capo V - IMPRESE BANCARIE ED ASSICURATIVE ED ALTRI TITOLARI
DEI TRATTAMENTI
● Capo VI - DOCUMENTAZIONE GIURIDICA |
VARI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati sensibili da parte di diverse categorie di titolari"
(Garante per la protezione dei dati personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 5/2013).
---------------
Soggetti ai quali è rilasciata
l’autorizzazione.
a) imprese autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria e
creditizia o assicurativa ed organismi che le riuniscono,
anche se in stato di liquidazione coatta amministrativa;
b) società ed altri organismi che gestiscono fondi-pensione o di
assistenza, ovvero fondi o casse di previdenza;
c) società ed altri organismi di intermediazione finanziaria, in
particolare per la gestione o l’intermediazione di fondi
comuni di investimento o di valori mobiliari;
d) società ed altri organismi che emettono carte di credito, altri
mezzi di pagamento o che consentono forme di pagamento e ne
gestiscono le relative operazioni;
e) imprese che svolgono autonome attività strettamente connesse e
strumentali a quelle indicate nelle precedenti lettere, e
relative alla rilevazione dei rischi, al recupero dei
crediti, a lavorazioni massive di documenti, alla
trasmissione dati, all’imbustamento o allo smistamento della
corrispondenza, nonché alla gestione di esattorie o
tesorerie;
f) imprese che operano nel settore turistico o alberghiero o del
trasporto, agenzie di viaggio e operatori turistici;
g) operatori economici autorizzati a svolgere la propria attività
in base ad autorizzazione comunque resa ai sensi delle norme
contenute nel regio decreto 18.06.1931, n. 773 (T.u.l.p.s.)
o nel decreto legislativo 31.03.1998, n. 112. |
INCARICHI PROFESSIONALI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati sensibili da parte dei liberi professionisti"
(Garante per la protezione dei dati personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 4/2013).
---------------
Ambito di applicazione.
L’autorizzazione è rilasciata, anche senza richiesta, ai liberi
professionisti tenuti ad iscriversi in albi o elenchi per
l’esercizio di un’attività professionale in forma
individuale o associata, anche in conformità al decreto
legislativo 02.02.2001, n. 96, o alle norme di attuazione
dell’art. 24, comma 2, della legge 07.08.1997, n. 266, in
tema di attività di assistenza e consulenza.
Sono equiparati ai liberi professionisti i soggetti iscritti nei
corrispondenti albi o elenchi speciali istituiti anche ai
sensi dell’art. 34 del regio decreto-legge 27.11.1933, n.
1578 e successive modificazioni e integrazioni, recante
l’ordinamento della professione di avvocato.
L’autorizzazione è rilasciata anche ai sostituti e agli ausiliari
che collaborano con il libero professionista ai sensi
dell’art. 2232 del codice civile, ai praticanti e ai
tirocinanti presso il libero professionista, qualora tali
soggetti siano titolari di un autonomo trattamento o siano
contitolari del trattamento effettuato dal libero
professionista.
Il presente provvedimento non si applica al trattamento dei dati
sensibili effettuato:
a) dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli
psicologi, dal personale sanitario infermieristico, tecnico
e della riabilitazione, ai quali si riferisce
l’autorizzazione generale n. 2/2013;
b) per la gestione delle prestazioni di lavoro o di
collaborazione di cui si avvale il libero professionista o
taluno dei soggetti sopra indicati, alla quale si riferisce
l’autorizzazione generale n. 1/2013;
c) da soggetti privati che svolgono attività investigative,
dai giornalisti, dai pubblicisti e dai praticanti
giornalisti di cui agli articoli 26 e 33 della legge
03.02.1963, n. 69. |
VARI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo
e delle fondazioni" (Garante per la protezione dei dati
personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 3/2013).
---------------
Ambito di applicazione.
La presente autorizzazione è rilasciata:
a) alle associazioni anche non riconosciute, ai partiti e ai
movimenti politici, alle associazioni e alle organizzazioni
sindacali, ai patronati e alle associazioni di categoria,
alle casse di previdenza, alle organizzazioni assistenziali
o di volontariato, nonché alle federazioni e confederazioni
nelle quali tali soggetti sono riuniti in conformità, ove
esistenti, allo statuto, all’atto costitutivo o ad un
contratto collettivo;
b) alle fondazioni, ai comitati e ad ogni altro ente,
consorzio od organismo senza scopo di lucro, dotati o meno
di personalità giuridica, ivi comprese le organizzazioni non
lucrative di utilità sociale (Onlus);
c) alle cooperative sociali e alle società di mutuo soccorso
di cui, rispettivamente, alle leggi 08.11.1991, n. 381 e
15.04.1886, n. 3818.
L’autorizzazione è rilasciata altresì agli istituti scolastici,
limitatamente al trattamento dei dati idonei a rivelare le
convinzioni religiose e per le operazioni strettamente
necessarie per l’applicazione dell’art. 310 del decreto
legislativo 16.04.1994, n. 297 e degli articoli 3 e 10 del
decreto legislativo 19.02.2004, n. 59.
Resta fermo l’obbligo per le confessioni religiose di determinare,
ai sensi dell’art. 26, comma 3, lettera a) del Codice,
idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati nel
rispetto dei principi indicati con la presente
autorizzazione.
Ai sensi dell’art. 181, comma 6, del Codice, le confessioni
religiose che, prima dell’adozione del medesimo Codice,
abbiano determinato e adottato nell’ambito del rispettivo
ordinamento le garanzie di cui all’art. 26, comma 3, lettera
a), del Codice possono proseguire l’attività di trattamento
effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente
riconosciuti, nel rispetto delle medesime. |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati sensibili nei rapporti di lavoro" (Garante per la
protezione dei dati personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 1/2013).
---------------
Ambito di applicazione.
La presente autorizzazione è rilasciata:
a) alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, anche
sociali, agli enti, alle associazioni e agli organismi che
sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano
prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o
temporanee, o che comunque conferiscono un incarico
professionale alle figure indicate al successivo punto 2,
lettere b) e c);
b) ad organismi paritetici o che gestiscono osservatori in
materia di lavoro, previsti dalla normativa comunitaria,
dalle leggi, dai regolamenti o dai contratti collettivi
anche aziendali;
l’autorizzazione riguarda anche l’attività svolta:
c) dal medico competente in materia di igiene e di sicurezza
del lavoro, in qualità di libero professionista o di
dipendente dei soggetti di cui alla lettera a) o di
strutture convenzionate;
d) dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche
territoriale e di sito;
e) da associazioni, organizzazioni, federazioni o
confederazioni rappresentative di categorie di datori di
lavoro, al solo fine di perseguire le finalità di cui al
punto 3), lettera h). |
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, supplemento n. 52 del 27.12.2013, "Disposizioni
per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria
regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della legge regionale
31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure della
programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della
Regione) - Collegato 2014" (L.R.
24.12.2013 n. 19).
---------------
Di particolare interesse, si leggano:
●
Art. 1 -
(Disposizioni per la pianificazione dei comuni di nuova
istituzione. Modifica alla l.r. 12/2005)
●
Art. 3 -
(Misure di razionalizzazione della spesa per le comunità
montane)
●
Art. 15 -
(Disposizioni transitorie e finali) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
G.U. 23.12.2013 n. 300 "Interventi urgenti di avvio del
piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle
tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi
RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la
realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015" (D.L.
23.12.2013 n. 145).
---------------
Di particolare interesse, si leggano:
●
Art. 1.
- Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle
tariffe elettriche, per gli indirizzi strategici
dell’energia geotermica, in materia di certificazione
energetica degli edifici e di condominio, e per lo sviluppo
di tecnologie di maggior tutela ambientale
●
Art. 4. -
Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei
siti di interesse nazionale e misure particolari per l’area
di crisi complessa del porto di Trieste
●
Art. 13. -
Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed
in materia di trasporto aereo
●
Art. 14. -
Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Assegni familiari e quote di maggiorazione di
pensione per l'anno 2014 (INPS,
circolare 24.12.2013 n. 182 - link a www.inps.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Attestazioni OIV sull’assolvimento degli obblighi di
pubblicazione per l’anno 2013 e attività di vigilanza e
controllo dell’Autorità (Autorità Nazionale
Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle
amministrazioni pubbliche,
delibera 12.12.2013
n. 77/2013 - link a www.civit.it).
---------------
La delibera fornisce indicazioni per la predisposizione,
da parte degli OIV o di strutture che svolgono funzioni
analoghe, delle attestazioni sull’assolvimento degli
obblighi di pubblicazione al 31.12.2013 nelle
amministrazioni pubbliche e in altri enti e società indicati
dal d.lgs. n. 33/2013, stabilendo le modalità attraverso cui
l’Autorità eserciterà la propria attività di vigilanza e
controllo muovendo anche dagli esiti delle predette
attestazioni.
Ferma restando l’immediata precettività degli obblighi di
trasparenza previsti dalla normativa vigente, con lo stesso
spirito di gradualità che ha contraddistinto la delibera n.
71/2013, anche la delibera n. 77/2013 prevede che le
attestazioni riguardino un numero circoscritto di obblighi i
pubblicazione di significativo rilievo sotto il profilo
economico e sociale.
Nei prossimi mesi l’Autorità indicherà ulteriori obblighi di
pubblicazione di cui gli OIV e le strutture che svolgono
funzioni analoghe dovranno attestare l’assolvimento. |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
N. Durante,
AMBITI DI DISCREZIONALITA’ IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE
ANTIMAFIA PER LE IMPRESE (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
R. Greco,
PROBLEMI PROCESSUALI IN TEMA DI IMPUGNAZIONE DEGLI STRUMENTI
URBANISTICI (link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E. De Falco,
I costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso d'asta
(Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4/2013). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
M. Pipino,
Il punto sul DURC: dal D.L. 210/2002 al D.L. 69/2013 (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 12/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. de Paolis,
Classificazione, regime e procedure per la realizzazione
degli interventi edilizi
(Bollettino di Legislazione Tecnica n. 12/2013). |
CORTE DEI CONTI |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Anche in Sardegna, come nel resto d'Italia, l'incentivo al
personale dipendente per le ipotesi di attività di
pianificazione è intimamente connessa con la progettazione
delle opere pubbliche.
La Sezione ritiene di non poter aderire
alle argomentazioni in base alle quale tali recenti
interpretazioni (ndr: della Corte dei Conti Veneto) giungono alla conclusione di poter
riconoscere l’applicabilità della disciplina incentivante
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006 anche agli atti
di pianificazione generale non direttamente connessi con la
realizzazione delle opere pubbliche.
Si deve infatti concludere, alla stregua di una corretta
ricostruzione storico-sistematica dell’evoluzione normativa
delle abrogate disposizioni dell’art. 18 della legge
109/1994, trasfuso poi nell’art. 92 del D.Lgs. 165/2001, che
i commi 5 e 6 della predetta disposizione non prevedano due
diverse ipotesi di incentivazione, distinte quanto a
presupposti operativi. Bensì, semplicemente, due diverse
modalità di incentivazione, differentemente regolate per via
del differente contenuto dell’attività tecnica espletata nei
due casi contemplati, ma in ogni caso sempre direttamente
legate alla realizzazione di un’opera pubblica.
---------------
In Sardegna già nel passato si era già indicato, alla luce
della collocazione sistematica, che “E’ di tutta evidenza,
poi, che la normativa contenuta nella citata L.R. sarda n.
5/2007, inclusa la previsione di cui all’art. 12 relativa
agli incentivi per la progettazione, non possa trovare
applicazione al di fuori della materia degli appalti
pubblici”.
Aveva inoltre osservato la Sezione “… che la norma in esame
ha carattere tassativo e che il suo ambito di applicazione è
limitato all’attività di progettazione di opere e lavori
pubblici e che, pertanto, non è possibile estendere
analogicamente tale deroga all’onnicomprensività della
retribuzione dei pubblici dipendenti nel caso di contratti
di servizio o di forniture”.
Riferendosi al dato testuale dell’art. 12 qui in esame,
occorre premettere che la norma regionale, salvo il suo
periodo finale, non riveste particolari peculiarità rispetto
alle disciplina statale di cui all’art. 92, comma 6, del
D.Lgs. 163/2006. E del resto non potrebbe così non essere,
considerato che la disciplina dei compensi incentivanti di
cui all’art. 92 del D.lgs. 163/2006 è stata ritenuta dalla
Corte Costituzionale una materia di ordinamento civile con
le sentenze n. 341/2009 e n. 401/2007, come tale rimessa
all’ordinamento statale quanto meno per la determinazione
dei suoi presupposti applicativi.
Conseguentemente la previsione di compensi incentivanti al
di là delle ipotesi espressamente consentite dalla
disciplina statale porrebbe non pochi problemi di
coordinamento con i principi costituzionali.
---------------
Il Presidente della Regione Sardegna ha richiesto un
parere sulla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6,
del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 e dell’art. 12, comma 3, della
L.R. 07.08.2007 n. 5 avvalendosi delle previsioni
dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n. 131 che
conferiscono alle Sezioni regionali della Corte dei conti un
potere/dovere di natura consultiva nella materia della
contabilità pubblica.
Ha premesso il Presidente della Regione Sardegna che alcune
Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
avrebbero recentemente prospettato un’interpretazione
restrittiva delle disposizioni statali, riconoscendo l’incentivabilità
delle prestazioni tecniche del personale dipendente
unicamente in presenza di atti di pianificazione
contestualizzati nell’ambito dei lavori pubblici ed in un
rapporto di necessaria strumentalità con l’attività di
progettazione di opere pubbliche.
Poiché tuttavia non risulta intervenuto alcun pronunciamento
interpretativo con riferimento alla disciplina regionale
contenuta nell’art. 12, comma 3, della L.R. 07.08.2007 n. 8,
regolante la medesima fattispecie in ambito regionale,
chiede che la Sezione voglia fornire chiarimenti in merito
all’interpretazione della predetta norma, specialmente con
riferimento all’individuazione degli “atti di
pianificazione comunque denominati” la cui redazione, ai
sensi della normativa regionale, consente l’erogazione
dell’incentivo.
...
3.
Nel merito è opportuno, in via preliminare, esaminare il
testo della normativa statale al fine di verificarne poi i
tratti comuni e differenziali rispetto alla previsione
regionale.
4.
L’art. 92 del D.Lgs. 163/2006, rubricato “Corrispettivi,
incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle
stazioni appaltanti”, è inserito nel testo normativo
all’interno della Sezione I del Capo IV, relativa alla “Progettazione
interna ed esterna, livelli di progettazione” nella
materia dei lavori pubblici, come anche reso palese
dall’art. 90 del decreto, cui l’art. 92 implicitamente
effettua riferimento, regolando i riflessi incentivanti
delle attività tecniche affidate ai dipendenti della
pubblica amministrazione.
5.
Il comma 6 dell’art. 92 citato, in particolare, prevede che
“Il trenta per cento della tariffa professionale relativa
alla redazione di un atto di pianificazione comunque
denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti
nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti
dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
La disposizione è stata coerentemente
interpretata dall’orientamento pressoché univoco delle
Sezioni di controllo della Corte dei conti quale disciplina
regolante gli incentivi al personale dipendente per le
ipotesi di attività pianificazione intimamente connessa con
la progettazione delle opere pubbliche.
In tal senso i precedenti più recenti, che la Sezione
condivide, sono contenuti nel
parere 15.10.2013 n. 442 della Sezione Lombardia,
parere 23.10.2013 n. 125 della Sezione Umbria,
parere 11.11.2013 n. 80 della Sezione Liguria,
parere 23.10.2013 n. 276 della Sezione Toscana.
La lettura di tali precedenti rende immediatamente
percepibile l’esistenza di un’interpretazione oramai
consolidata che la Sezione di controllo della Sardegna
ritiene debba essere ribadita.
Infatti non solo la collocazione
sistematica della disposizione, ma anche ulteriori elementi
interpretativi, conducono a tale conclusione: ci si
riferisce sia ad aspetti prettamente testuali, poiché il
riferimento alle “amministrazioni aggiudicatrici” non
può che indicare la necessità di una pianificazione connessa
alla realizzazione ed all’affidamento di un appalto per la
realizzazione dell’opera pubblica, sia ad aspetti
logico-sistematici: la mera pianificazione territoriale
rientra tra i compiti d’ufficio ed è dunque soggetta al
principio di onnicomprensività della retribuzione, così come
al contrario l’eccezionalità della previsione normativa che
legittima l’attribuzione di compensi incentivanti non ne
consente in via interpretativa la sua applicazione oltre i
casi espressamente contemplati.
Sui precedenti aspetti valga il richiamo alle precedenti
deliberazioni adottate dalle diverse Sezioni regionali che
hanno compiutamente esaminato la citata disciplina, fermo
restando che il primo incontrovertibile criterio
interpretativo è quello contenuto nell’art. 12 delle
disposizioni preliminari al codice civile che espressamente
prevede che “Nell’applicare una legge non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse e dalla intenzione del legislatore”.
Or bene, il senso delle parole utilizzate
dal legislatore, e l’esame delle intenzioni del legislatore
rese palesi attraverso l’esame sistematico dell’art. 92 del
D.lgs. 163/2006, come detto, non possono che condurre
all’interpretazione che gli incentivi alla progettazione,
sia nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 92, che in
quella qui in esame del comma 6, sono entrambe
indissolubilmente e strettamente legate alla pianificazione,
alla progettazione ed alla realizzazione delle opere
pubbliche.
6.
Non ignora la Sezione l’esistenza di alcune diverse
interpretazioni, assolutamente minoritarie, che
ricostruiscono diversamente l’art. 92, comma 6 citato (parere
26.07.2011 n. 337
della Sezione di controllo della Corte dei conti Sezione
Veneto e i successivi
parere 22.11.2013 n. 361,
parere 03.12.2013 n. 380,
parere 03.12.2013 n. 381,
parere 03.12.2013 n. 382,
parere sulla normativa 21.11.2012 - rif. AG-22/12
dell'AVCP,
parere 20.06.2013 dell'ANCI Toscana), conferendo ad esso
il rilievo di consentire l’erogazione di incentivi al
personale tecnico anche per la redazione di atti di
pianificazione anche solo mediatamente legati alla
realizzazione di opere pubbliche.
Anche alla luce di tali difformi precedenti
l’Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici
-che per la verità con il suo citato parere del 21.11.2012
si preoccupava più di escludere dalla possibile applicazione
delle disposizioni incentivanti le pianificazioni non
legate, neanche mediatamente, con la realizzazione delle
opere pubbliche, piuttosto che ricomprendervi gli atti di
pianificazione generale solo indirettamente legati alla loro
realizzazione– ha formulato
l'atto
di segnalazione 25.09.2013 n. 4 al
Governo avvalendosi della speciale procedura di cui all’art.
6, comma 7, lettera f, del D.lgs. 163/2006.
7.
Pur condividendo la prospettata esigenza di chiarificazione,
la Sezione ritiene di non poter aderire alle
argomentazioni in base alla quale tali recenti
interpretazioni giungono alla conclusione di poter
riconoscere l’applicabilità della disciplina incentivante
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006 anche agli atti
di pianificazione generale non direttamente connessi con la
realizzazione delle opere pubbliche. Si deve infatti
concludere, alla stregua di una corretta ricostruzione
storico-sistematica dell’evoluzione normativa delle abrogate
disposizioni dell’art. 18 della legge 109/1994, trasfuso poi
nell’art. 92 del D.Lgs. 165/2001, che i commi 5 e 6 della
predetta disposizione non prevedano due diverse ipotesi di
incentivazione, distinte quanto a presupposti operativi.
Bensì, semplicemente, due diverse modalità di
incentivazione, differentemente regolate per via del
differente contenuto dell’attività tecnica espletata nei due
casi contemplati, ma in ogni caso sempre direttamente legate
alla realizzazione di un’opera pubblica.
Sotto altro profilo, con riferimento ai profili retributivi
del personale dipendente, occorre considerare che la
retribuzione delle professionalità interne
all’amministrazione è oggi assolutamente garantita da
diverse previsioni contrattuali di comparto (si vedano, ad
esempio, gli artt. 10 ed 11 del CCNL 22.01.1994).
8.
Ritiene per altro la Sezione non necessario sviluppare tali
argomentazioni in ragione della specificità delle previsioni
dell’art. 12 della L.R. 07.08.2007 n. 5 -in riferimento al
quale è stata proposta la richiesta di parere–
il cui contenuto conferma che l’incentivo in
questione è stato previsto esclusivamente per il caso in cui
l’attività di pianificazione, comunque denominata, sia
direttamente connessa alla realizzazione di un’opera
pubblica.
9.
La norma trova collocazione sistematica nel titolo II della
legge regionale n. 5/2007, rubricato “Programmazione e
progettazione di lavori, forniture e servizi pubblici”.
Il comma 3 della citata disposizione prevede che “Il 35
per cento della tariffa professionale, al lordo di tutti gli
oneri accessori connessi all’erogazione, compresa la quota a
carico dell’amministrazione erogante, relativo alla
redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, con le modalità previste dal regolamento di cui
al comma 1, tra i dipendenti dell’amministrazione che lo
abbiano redatto. Nelle more dell’emanazione di tale
regolamento, le amministrazioni applicano quello del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.
10.
La Sezione Regionale di controllo si era in qualche modo già
espressa sulla previsione regionale, senza tuttavia
affrontare direttamente l’esegesi del testo normativo.
Nondimeno si era già indicato, alla luce
della collocazione sistematica, che “E’ di tutta
evidenza, poi, che la normativa contenuta nella citata L.R.
n. 5/2007, inclusa la previsione di cui all’art. 12 relativa
agli incentivi per la progettazione, non possa trovare
applicazione al di fuori della materia degli appalti
pubblici”
(deliberazione n. 73/2009). Aveva inoltre osservato la
Sezione “… che la norma in esame
ha carattere tassativo e che il suo ambito di applicazione è
limitato all’attività di progettazione di opere e lavori
pubblici e che, pertanto, non è possibile estendere
analogicamente tale deroga all’onnicomprensività della
retribuzione dei pubblici dipendenti nel caso di contratti
di servizio o di forniture”
(deliberazione n. 99/2012).
11.
Riferendosi al dato testuale dell’art. 12 qui in esame,
occorre premettere che la norma regionale,
salvo il suo periodo finale, non riveste particolari
peculiarità rispetto alle disciplina statale di cui all’art.
92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006. E del resto non potrebbe
così non essere, considerato che la disciplina dei compensi
incentivanti di cui all’art. 92 del D.lgs. 163/2006 è stata
ritenuta dalla Corte Costituzionale una materia di
ordinamento civile con le sentenze n. 341/2009 e n.
401/2007, come tale rimessa all’ordinamento statale quanto
meno per la determinazione dei suoi presupposti applicativi.
Conseguentemente la previsione di compensi incentivanti al
di là delle ipotesi espressamente consentite dalla
disciplina statale porrebbe non pochi problemi di
coordinamento con i principi costituzionali.
Gli unici profili dissonanti rispetto al testo della
previsione statale, al di là del la percentuale della
tariffa applicata per la determinazione dell’incentivo (35%
in luogo del 30%), sono costituiti dall’inciso che gli
emolumenti incentivanti debbono ritenersi al lordo degli
oneri accessori (principio comunque applicato anche in
ambito statale alla luce di diverse disposizioni
interpretative delle leggi finanziarie), e soprattutto dalla
previsione finale che dispone l’applicazione del regolamento
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nelle
more dell’emanazione del regolamento interno.
12.
Lasciando da parte i primi due aspetti (percentuale della
tariffa professionale e ammontare, lordo, del compenso
incentivante), ritiene la Sezione di
doversi soffermare sulla previsione espressa che, per
l’ipotesi di mancata adozione del regolamento interno, si
debba fare applicazione delle previsioni del regolamento del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
In tale peculiare previsione della legge regionale, che
connota il quesito posto dalla Regione Sardegna rispetto
alla tematica in ambito statale, si deve
infatti ritrovare ulteriore conferma che gli atti di
pianificazione rilevanti ai fini della liquidazione del
compenso incentivante, anche secondo la disciplina
regionale, siano solo ed esclusivamente quelli connessi alla
realizzazione delle opere pubbliche. Ciò in quanto il
regolamento vigente all’epoca dell’introduzione della norma,
ovvero il D.M. 02.11.1999 n. 555 del Ministero dei Lavori
Pubblici, esauriva il suo campo di applicazione con riguardo
“…alla sola progettazione esecutiva e, comunque, ai soli
lavori effettivamente appaltati, compresa l’eventuale
redazione di perizie di variante e suppletive”
(art. 1 del regolamento), prendendo in
considerazione le sole attività pianificatorie o progettuali
direttamente connesse con la realizzazione delle opere
pubbliche.
Analoga finalità è oggi confermata
dall’art. 1 del vigente regolamento del Ministero delle
Infrastrutture, adottato con D.M. 17.03.2008 n. 84, il cui
art. 1 ribadisce che il regolamento stesso si applica “…nei
casi di redazione di progetti di opere o lavori a cura del
personale interno”
(Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna,
parere 20.12.2013 n. 85). |
QUESITI & PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Permessi ex art. 33, comma 3,
della l. 104/1992.
L'ARAN ritiene che l'art. 19, comma 6,
del CCNL del 06.07.1995, che prevede la possibilità di
fruire anche ad ore dei permessi di cui all'art. 33, comma
3, della l. 104/1992, vada interpretato nel senso di non
consentire comunque la fruizione dei medesimi per frazioni
di tempo inferiori all'ora.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di
fruire dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della l.
104/1992 anche per frazioni di ora.
Sentito il Servizio organizzazione, formazione e relazioni
sindacali comparto, si esprime quanto segue.
L'ARAN, nell'orientamento interpretativo
[1] richiamato
dall'Ente istante, ha rimarcato come la norma contrattuale
contemplata all'art. 19, comma 6, del CCNL del 06.07.1995
[2], si
riferisca esclusivamente ad una fruizione 'oraria',
in alternativa alle tre giornate di permesso mensile,
previste dalla disciplina in esame.
La citata Agenzia ritiene, pertanto, che la predetta
disposizione vada interpretata nel senso di non consentire
la fruizione dei permessi in argomento anche per frazioni di
tempo inferiori all'ora.
Siffatto orientamento deriva dalla perplessità derivante in
ordine all'utilità di permessi quantificati e fruiti a
minuti, stante la specifica finalità riconosciuta ai
permessi medesimi.
Non si rinvengono diverse motivazioni, per discostarsi
dall'illustrata interpretazione.
Conseguentemente, si ritiene che i permessi in argomento
possano essere richiesti a moduli di ora e multipli di ora
(un'ora, due, ore, tre ore, ecc.), non essendo consentita la
fruizione per frazioni di ora, cioè a minuti.
---------------
[1] Cfr. RAL1622 e RAL1594, consultabili sul sito:
www.aranagenzia.it.
[2] Detta clausola contrattuale stabilisce che i permessi di
cui all'art. 33, comma 3, della l. 104/1992 possono essere
fruiti anche ad ore, nel limite massimo di 18 ore mensili.
La norma in argomento si applica anche agli enti locali del
comparto unico, atteso il disposto di cui all'art. 83 del
CCRL del 07.12.2006 (19.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Diritto di accesso dei consiglieri comunali.
La disciplina generale di riferimento
per l'accesso agli atti dei consiglieri comunali prevede un
incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che
possano essere di utilità all'espletamento del loro mandato
al fine di permettere loro di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto
consapevole sulle questioni di competenza del consiglio e
per promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le
iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo
elettorale locale.
Il consigliere di un Comune ha formulato una richiesta in
ordine al diritto di accesso dei consiglieri comunali ed ai
tempi di risposta degli uffici comunali interessati.
La disciplina di riferimento si trova nell'articolo 43,
comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, il
quale prevede che 'i consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente del
comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro
possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi specificatamente determinati
dalla legge.'
Esiste una consolidata giurisprudenza sulla questione, che
riconosce ai consiglieri comunali un incondizionato diritto
di accesso a tutti gli atti che possano essere di utilità
all'espletamento del loro mandato.
Un tanto al fine di permettere loro di valutare -con piena
cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto
consapevole sulle questioni di competenza del consiglio e
per promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le
iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo
elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare
alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di
accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta
una sorta di controllo dell'ente, attraverso i proprio
uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale
[1].
La norma sul diritto di accesso dei consiglieri comunali si
pone, pertanto, come speciale e trasversale rispetto alle
disposizioni relative alla non accessibilità di determinate
categorie di documenti, tanto che tale diritto non incontra
alcuna limitazione derivante dalla natura riservata delle
informazioni richieste, posto che il consigliere è vincolato
all'osservanza del segreto.
Tuttavia, pur trattandosi di un diritto di accesso più ampio
rispetto a quello riconosciuto alla generalità dei
cittadini, l'esercizio dello stesso deve sempre essere
strumentale all'attività istituzionale svolta dal
consigliere e i dati acquisiti devono essere utilizzati per
le sole finalità collegate all'esercizio del mandato.
Ne discende che il consigliere non può utilizzare le
informazioni e i documenti richiesti per fini privati o
comunque diversi da quelli istituzionali, non può avvalersi
del diritto di accesso al solo scopo di realizzare strategie
ostruzionistiche, con istanze ripetute, che a causa del loro
numero, possano tradursi in un aggravio, se non nella
paralisi, del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte.
La norma statale non ha previsto uno specifico procedimento
per far valere il diritto di accesso da parte del
consigliere comunale, riconoscendo a ciascun ente locale,
nell'esercizio della propria potestà regolamentare, di
disciplinare le modalità concrete di esercizio del diritto
di accesso.
La regolamentazione dell'ente locale deve tener conto dei
criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo che
l'esibizione di documenti, il rilascio di copie e l'accesso
alle informazioni richieste avvenga con il minor aggravio
possibile, sia organizzativo che economico, per gli uffici
comunali e contestualmente non impedisca o ritardi
l'effettivo esercizio del diritto di accesso del
consigliere.
Nel caso concreto il Comune in parola disciplina nel 'Regolamento
per la disciplina dei procedimenti e per il diritto di
accesso ai documenti', il diritto di accesso dei
consiglieri, stabilendo che 'l'esercizio del diritto..., nel
periodo che intercorre dalla convocazione alla riunione del
Consiglio deve avvenire in maniera immediata alla
presentazione della richiesta anche verbale, al responsabile
del procedimento per l'accesso' [2]
e che 'In ogni altro caso il responsabile del
procedimento concorda con i consiglieri i tempi e le
modalità per l'esame dei documenti e degli atti e per il
rilascio delle copie' [3].
In ultimo, si ritiene che l'attuazione delle sopra citate
disposizioni regolamentari, non prevedendo termini puntuali
di risposta alle richieste dei consiglieri comunali, dovrà
essere effettuata perseguendo quale fine ultimo quello di
assicurare un razionale e giusto contemperamento fra le
esigenze di garanzia e di controllo, cui è informato il
diritto di accesso, spettante a ciascun consigliere
comunale, e la necessità di arrecare il minor aggravio
possibile agli uffici comunali che collaborano
all'attuazione del suddetto diritto. [4]
----------------
[1] TAR Salerno, sez. II, del 04/06/2013, n. 1234; TAR
Salerno, sez. I, del 19/12/2011, n. 2042; TAR Trento sez. I,
del 07/05/2009, n. 143; TAR Torino, sez. II, del 04/12/2006,
n. 3324.
[2] Art. 50, 3° comma, del Regolamento per la disciplina dei
procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso ai
documenti.
[3] Art. 51, comma 1 del Regolamento richiamato nella
precedente nota.
[4] Si evidenzia, infine, che sul portale del Sistema delle
Autonomie locali, nella sezione 'consulenza agli enti
locali', sono consultabili numerosi pareri concernenti la
materia del diritto d'accesso dei consiglieri comunali
all'indirizzo: http://autonomielocali.regione.fvg.it (18.12.2013
-
link a
www.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Richiesta di convocazione da parte di un quinto dei
consiglieri.
Di fronte alla richiesta di convocazione
del consiglio comunale da parte di un quinto dei
consiglieri, ai sensi dell'art. 39, comma 2, del D.Lgs
267/2000, il presidente del consiglio può soltanto
accertare, sotto il profilo formale, che la stessa provenga
dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non
può sindacarne l'oggetto, atteso che spetta all'organo
consiliare la verifica della propria competenza e, quindi,
l'ammissibilità delle questioni da trattare.
Di conseguenza, rimane preclusa al presidente del consiglio
una valutazione di merito circa l'ammissibilità delle
questioni, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto
illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo
alle competenze del consiglio, in nessun caso potrebbe
essere posto all'ordine del giorno.
Le questioni per le quali è richiesto l'inserimento
all'ordine del giorno non investono unicamente le competenze
del consiglio comunale indicate all'art. 42, comma 2, del
TUEL, ma anche quelle che costituiscono espressione
dell'attività di indirizzo e di controllo politico
amministrativo ai sensi dell'art. 42, comma 1, e che non si
concludono necessariamente con una deliberazione o con un
voto del consiglio.
La S.V. chiede un parere in ordine alla richiesta di
convocazione del consiglio, avanzata da un quinto dei
consiglieri, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267. In particolare chiede una
conferma o meno degli orientamenti ministeriali e
giurisprudenziali susseguitisi negli anni sulla portata
della locuzione 'questioni', utilizzata dal
legislatore relativamente all'inserimento delle stesse
all'ordine del giorno e, comunque, se le 'questioni'
debbano riguardare l'ambito territoriale comunale, se
debbano essere rapportabili alle materie di competenza del
consiglio ai sensi dell'articolo 42 e se vi sia la
possibilità per il presidente del consiglio di non procedere
a convocazione nell'ipotesi in cui la questione non possa
poi sfociare in un voto né tradursi in una deliberazione.
Sentito il Servizio elettorale, si formulano le seguenti
osservazioni di carattere generale, in quanto, trattandosi
di problematiche concernenti il concreto funzionamento
dell'organo consiliare, ogni valutazione dovrebbe essere
rapportata al verificarsi di ciascuna singola fattispecie.
Atteso il riferimento nel quesito formulato all'istituto
della mozione, si ritiene utile preliminarmente riportare la
definizione dello stesso, elaborata da dottrina e
giurisprudenza [1],
che hanno inteso tale istituto quale invito rivolto al
sindaco o alla giunta e diretto a promuovere un'ampia
discussione su un argomento di particolare importanza, anche
se ha già formato oggetto di interrogazione o di
interpellanza. Tale richiesta può sfociare in una proposta
di deliberazione volta a promuovere su un certo argomento,
da parte del consiglio comunale, una pronuncia o una
decisione, ovvero un voto diretto a sollecitare o impegnare
l'attività dell'amministrazione secondo un determinato
orientamento. In ogni caso è sottoposta all'approvazione del
consiglio nelle forme previste per la votazione delle
deliberazioni.
Secondo la citata sentenza del TAR Puglia, n. 1022/2004, la
mozione è un istituto non a contenuto specificato,
trattandosi di un potere a tutela della minoranza per
situazioni non predefinibili, a differenza di altri
strumenti più a valenza di mera conoscenza (quali
l'interrogazione o la interpellanza), essendo strumento di
'introduzione ad un dibattito' che si conclude con un voto,
che è ragione ed effetto proprio della mozione.
La mozione può quindi avere come obiettivo la formulazione
di un voto in merito a criteri seguiti o che si intendono
seguire nella trattazione di determinati argomenti o di un
voto politico amministrativo, attraverso cui si realizza la
possibilità per il consiglio comunale, organo politico
rappresentativo della comunità locale, di esprimere opinioni
in relazione a questioni, fatti o problemi, ai quali la
comunità stessa è interessata [2].
In relazione alla richiesta di convocazione del consiglio
comunale ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto
legislativo 267/2000, com'è noto, il Ministero dell'Interno
ha affermato in passato che, in linea di principio, le
richieste di convocazione straordinaria del consiglio
dovessero ritenersi ammissibili soltanto se finalizzate
all'assunzione di determinazioni di competenza dell'organo
consiliare e fossero, quindi, idonee a tradursi in concrete
proposte di delibere da adottare. [3]
Successivamente il medesimo Ministero si è espresso in senso
più ampio, affermando che «la dizione legislativa
questioni' e non deliberazioni o atti formali conforta nel
ritenere che la trattazione di argomenti non rientranti
nella previsione del citato comma 2 dell'articolo 42 del
TUEL non debba necessariamente essere subordinata alla
successiva adozione di provvedimenti da parte del consiglio
comunale». Infatti, secondo il Ministero, la trattazione
di questioni che, pur non comprese nell'elencazione di cui
all'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 267/2000,
attengano all'ambito del controllo rientra nella competenza
del consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo e
di controllo politico-amministrativo, ai sensi del comma 1
del medesimo articolo 42. [4]
Pertanto, nell'ipotesi in cui sia richiesto l'inserimento
all'ordine del giorno di argomenti non strettamente
rientranti nelle competenze del consiglio, investendo la
competenza di altri organi di governo o degli uffici, gli
stessi dovrebbero comunque essere ammessi dal presidente,
qualora si concretizzino nella generica determinazione di
atti di indirizzo o nell'espletamento di un'attività di
controllo politico, ai sensi dell'articolo 42, comma 1, del
decreto legislativo 267/2000 (ad esempio, interrogazioni,
interpellanze, mozioni, ordini del giorno, ecc.).
Risulta pertanto confermato negli anni l'orientamento
ministeriale secondo cui le istanze possono essere
dichiarate improcedibili da parte del presidente del
consiglio comunale o del sindaco soltanto «qualora le
richieste stesse vertano o su un oggetto che per legge è
manifestamente estraneo alle competenze del collegio
consiliare oppure su un oggetto illecito o impossibile»,
non potendo tali soggetti sindacare nel merito le richieste
avanzate dal prescritto quorum di consiglieri.
Il Ministero dell'Interno ha inteso recepire quanto
affermato da giurisprudenza altrettanto costante,
[5]
secondo la quale, di fronte alla richiesta di convocazione,
il presidente del consiglio può soltanto verificare, sotto
il profilo formale, che la stessa provenga dal prescritto
numero di soggetti legittimati, mentre non potrà sindacarne
l'oggetto, atteso che spetta al consiglio comunale la
verifica della propria competenza e, quindi, l'ammissibilità
delle questioni da trattare.
Di conseguenza, rimane preclusa al presidente del consiglio,
destinatario della richiesta di convocazione, una
valutazione di merito circa l'ammissibilità delle questioni,
salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito,
impossibile o per legge manifestamente estraneo alle
competenze del consiglio, in nessun caso potrebbe essere
posto all'ordine del giorno, neppure su autonoma iniziativa
del presidente stesso [6].
In relazione a quanto sopra, non risultano sussistere
elementi dai quali poter desumere variazioni negli
orientamenti ministeriali e giurisprudenziali già noti.
Pertanto, in relazione ai particolari aspetti sui quali la
S.V. ha richiesto un parere, si puntualizza che, ai fini
della convocazione del consiglio comunali ai sensi
dell'articolo 39, comma 2, del decreto legislativo 267/2000,
le 'questioni' per le quali è richiesto l'inserimento
all'ordine del giorno dovranno riguardare gli interessi
della comunità locale che il comune rappresenta.
Tali questioni, pertanto, non debbono investire unicamente
le competenze del consiglio comunale indicate all'articolo
42, comma 2, del TUEL, ma anche quelle che costituiscono
espressione dell'attività di indirizzo e di controllo
politico amministrativo ai sensi dell'articolo 42, comma 1,
e che non si concludono necessariamente con una
deliberazione o con un voto del consiglio, con l'unico
limite che le stesse non rechino un oggetto illecito,
impossibile o per legge manifestamente estraneo alle
competenze del consiglio.
---------------
[1] Cfr. TAR Puglia, Lecce, I sez., 04.02.2004, n. 1022;
studio del Servizio centrale consiglio comunale - Centro di
documentazione della Città di Torino 'L'iniziativa del
consigliere comunale nella legislazione, in dottrina ed in
giurisprudenza', del 27.03.2009, reperibile sul sito
internet www.comune.torino.it.
[2] Cfr. Pareri Anci 23.05.2006 e 26.10.2005.
[3] Nota prot. n. 15900/1517/1-bis/5.1.8 del 26.11.1998.
[4] Pareri del Ministero dell'Interno 09.01.2003,
28.01.2003, 23.03.2005, reperibili sul relativo sito
internet.
[5] Sentenze TAR Piemonte, sez. II, 24.04.1996, n. 268,
citata costantemente dal Ministero anche nei pareri più
recenti; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 25.07.2001, n. 4278.
[6] A titolo esemplificativo, si cita quanto espresso dal
Ministero dell'Interno con il parere del 07.11.2005
riguardante materie non espressamente di competenza del
consiglio comunale e, in particolare, l'argomento
'installazione di un ripetitore per la telefonia mobile',
nonché la citata sentenza TAR Puglia n. 1022/2004, che ha
ritenuto «legittima la questione pregiudiziale impeditiva
del passaggio in discussione di una mozione che abbia la
finalità di modificare una procedura tipizzata descritta da
legge, che incida su diritti ed interessi indisponibili
dalla stessa assemblea, sia in quanto posti a tutela dei
cittadini, sia in quanto posti a tutela delle prerogative
dei componenti dell'assemblea stessi» (18.12.2013
-
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PUBBLICO IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Autorizzazione ad apertura
ditta individuale.
Il Dipartimento della funzione pubblica
ha precisato che la partecipazione in società agricole a
conduzione familiare è compatibile con lo status di pubblico
dipendente solo qualora l'impegno richiesto sia modesto e
non abituale o continuato durante l'anno.
Qualora detta attività si configuri, invece, quale vera e
propria prestazione imprenditoriale autonoma, sarà
indispensabile procedere alla trasformazione del rapporto di
lavoro da tempo pieno in part-time non superiore al 50%.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di
autorizzare un dipendente con rapporto di lavoro a tempo
pieno e indeterminato ad intraprendere un'attività
esercitata nella forma di ditta individuale. L'Ente, nel
premettere di non aver approvato un proprio regolamento in
materia di incarichi autorizzabili, specifica che
l'interessato ha ereditato un piccolo fondo agricolo dal
padre, titolare di partita I.V.A. per la vendita di cereali.
Si tratterebbe di attività saltuaria, implicante un reddito
modesto e il lavoro concreto sarebbe comunque svolto da
terzisti.
Si ritiene utile preliminarmente richiamare quanto già
esposto in un precedente parere [1]
reso dallo scrivente su fattispecie analoga.
E' doveroso illustrare preventivamente i principi generali e
le regole specifiche che disciplinano il regime
dell'incompatibilità, per i pubblici dipendenti.
Per i pubblici dipendenti con rapporto di lavoro a tempo
pieno o a tempo parziale superiore al 50 % di quello a tempo
pieno, vige il principio dell'incompatibilità con altre
prestazioni lavorative. In un parere/circolare
[2], il
Dipartimento della funzione pubblica ha rimarcato come 'il
legislatore abbia posto, fra i diversi principi a tutela
dell'interesse pubblico, che deve essere costantemente
perseguito dalla pubblica amministrazione, quello del dovere
di esclusività delle prestazioni dei propri dipendenti, nel
senso dell'inconciliabilità tra l'impiego presso
l'amministrazione pubblica ed il contestuale svolgimento di
altre attività lavorative'.
Detto principio è stato espressamente affermato dall'art. 1,
comma 60, della L. n. 662/1996 e dall'art. 53 del D.Lgs. n.
165/2001. In particolare, il citato art. 53, nel ribadire
per tutti i dipendenti pubblici la disciplina vigente sulle
incompatibilità (dettata dall'art. 60 [3]
e seguenti del Testo Unico approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 10.01.1957, n. 3), prevede che
l'autorizzazione all'esercizio di attività
extraistituzionali dei dipendenti pubblici sia comunque
disposta dai rispettivi organi competenti delle pubbliche
amministrazioni, secondo criteri oggettivi e predeterminati,
che tengano conto della specifica professionalità del
dipendente, tali da escludere casi di incompatibilità, sia
di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento
della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto,
anche potenziale, di interessi, che pregiudichino
l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al
medesimo.
E' necessario, pertanto, che ciascun ente disciplini, con
specifiche norme regolamentari, le fattispecie di incarichi
che possono essere autorizzati ai propri dipendenti, nel
rispetto dei principi sopra illustrati.
Analizzando la su esposta disciplina, emerge, infatti, che
le pubbliche amministrazioni possono autorizzare i propri
dipendenti allo svolgimento di incarichi extraistituzionali,
nel rigoroso rispetto di determinati presupposti e
condizioni, in quanto il tradizionale dovere di esclusività
resta confermato nella sua portata generale, salvo appunto i
casi di deroga consentiti da specifiche disposizioni,
concernenti settori ben individuati.
Appare utile, inoltre, rammentare quanto rappresentato in
proposito dallo stesso Dipartimento della funzione pubblica
[4].
In particolare, al punto 6 della circolare n. 3 del 1997, si
precisa che le attività extraistituzionali sono da
considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti
della saltuarietà ed occasionalità e quando si riferiscono
allo svolgimento di libere professioni. Preme sottolineare
come la citata circolare evidenzi, inoltre, la gravità delle
sanzioni previste nel caso di inosservanza della disciplina
sopra descritta, con riferimento a quanto disposto dall'art.
1, comma 61, della L. n. 662/1996 [5].
In linea generale, si osserva che la dottrina
[6]
ritiene l'apertura della partita IVA indice per eccellenza
della non occasionalità dell'attività svolta.
Peraltro, ad avviso del Dipartimento della funzione
pubblica, con specifico riferimento alla fattispecie di
partecipazione in società agricole a conduzione familiare,
tale attività rientra tra quelle compatibili purché
l'impegno richiesto sia modesto e non abituale o continuato
durante l'anno.
Il giudice amministrativo [7]
inoltre, nel richiamare un parere espresso dal Dipartimento
della funzione pubblica, ha evidenziato nello specifico che,
in relazione all'esercizio di attività agricole, l'apertura
della partita I.V.A. di per sé non è un elemento che rende
incompatibile il suo esercizio, purché la stessa comporti un
impegno modesto e non abituale o continuato durante l'anno.
Pertanto, detta attività sarà autorizzabile con l'unico
limite che la stessa non richieda un impegno assiduo,
incompatibile, come tale, con lo svolgimento di un rapporto
di pubblico impiego a tempo pieno.
L'ANCI [8]
ha sottolineato come sia possibile autorizzare il proprio
dipendente a svolgere eccezionalmente l'attività di
imprenditore agricolo, al di fuori del normale orario di
lavoro, previa approvazione di adeguata norma regolamentare,
da parte dell'ente, che disciplini in dettaglio, con
regolamentazione valevole in generale e non solo per il caso
specifico, le varie fattispecie autorizzabili, a prescindere
dalla trasformazione del rapporto di lavoro del richiedente
da tempo pieno a part-time non superiore al 50 %
[9].
Secondo l'ANCI non configura ipotesi di incompatibilità il
caso molto ricorrente, in cui, ad es., un figlio si trovi ad
ereditare un fondo agricolo familiare pur non lavorando
sullo stesso, ma essendo costretto a tenerne in piedi
l'attività sino a successiva cessione, oppure in presenza di
gestione familiare del medesimo, ad opera di altri
congiunti. In ogni caso, anche se eccezionalmente
autorizzato, l'interessato deve ritenersi vincolato a
comunicare all'ente di appartenenza ogni possibile
variazione riguardo l'uso della partita IVA.
In conclusione, la compatibilità dell'attività di
imprenditore agricolo va valutata caso per caso, in
relazione alle modalità concrete nelle quali si effettua.
Ad ogni buon conto, per quelle aziende agricole, spesso
acquisite per successione ereditaria, che sono gestite con
il ricorso al contoterzismo e dunque senza fornire un
apporto lavorativo diretto, sembra siano rispettati i
principi generali posti dall'ordinamento vigente in materia
di incompatibilità.
Spetta, comunque, all'amministrazione di appartenenza
verificare e valutare attentamente che le modalità di
svolgimento di detta attività presentino caratteristiche
tali da non interferire con l'attività lavorativa ordinaria
del dipendente. In caso contrario, infatti, si
concretizzerebbero gli estremi di una vera e propria
incompatibilità col rapporto di pubblico impiego in essere.
---------------
[1] Cfr. n. prot. 9235 del 31.05.2010.
[2] Cfr. 15.12.2005, n. 220.
[3] Tale norma prevede che il dipendente pubblico non possa
esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione
o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare
cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si
tratti di cariche in società per le quali la nomina è
riservata all'ente di appartenenza.
[4] Cfr. circolare n. 3 del 19.02.1997, pubblicata in G. U.
n. 44 del 22.02.1997.
[5] Costituisce, infatti, giusta causa di licenziamento, la
violazione del divieto di svolgere attività ulteriore, che
non sia stata espressamente autorizzata.
[6] Cfr. Vito Tenore, Le incompatibilità nel pubblico
impiego, gli incarichi, le consulenze e l'anagrafe delle
prestazioni, EPC Libri.
[7] Cfr. TAR Basilicata, Potenza, sentenza n. 195 del 2003.
[8] Cfr. parere del 31.07.2007.
[9] Tale trasformazione si rende, infatti, necessaria
qualora la prestazione svolta, per le sue caratteristiche,
renda incompatibili le due posizioni rivestite dal
dipendente (18.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Articolo 53, comma 6, del d.lgs. 165/2001. Modifiche e
chiarimenti.
Ampliato il novero delle fattispecie
sottratte al regime di incompatibilità/incumulabilità,
laddove sono stati aggiunti gli incarichi di docenza e di
ricerca, limitando questi ultimi a quelli di natura
scientifica.
In riferimento alla vostra richiesta di chiarimento
relativamente alla modifica apportata all’articolo del
decreto legislativo in oggetto, si espone che l’art. 2, c.
13-quinquies, lett. b), del DL 31.08.2013, n. 101,
convertito, con modificazioni, dalla L. 30.10.2013, n. 125,
amplia, alla lettera f-bis, del comma 6, dell'art. 53, del
D.Lgs. 165/2001, il novero delle fattispecie sottratte al
regime di incompatibilità/incumulabilità, aggiungendo gli
incarichi di docenza e di ricerca, limitando questi ultimi a
quelli di natura scientifica (cfr. in proposito Camera dei
Deputati XVII legislatura, Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle
pubbliche amministrazioni, DL 101/2013 - A.C. 1682-A,
Documentazione per l'esame in assemblea).
Pertanto, non essendo previsto alcun divieto in tal senso,
si suggerisce di segnalare tali incarichi
all'Amministrazione di appartenenza
(16.12.2013 - link a www.perlapa.gov.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accordi transattivi tra enti pubblici e soggetti privati.
Ai sensi dell'art. 1965 del codice
civile la transazione è 'il contratto col quale le parti,
facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite
già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra
loro'.
Il giudice contabile ha affermato che la scelta in ordine al
procedere o meno alla transazione ed alla concreta
delimitazione dell'oggetto della stessa spetta
all'amministrazione e che trattasi di scelta discrezionale
non sindacabile dalla Corte dei conti a patto, però, che la
stessa non sia assolutamente irragionevole ed irrazionale.
La magistratura contabile ha altresì ritenuto gravemente
colposa la condotta di amministratori comunali consistita
nel non aver dato seguito ad una proposta transattiva in un
contesto sufficientemente rassicurante per ritenere
l'utilità e convenienza della risoluzione in via bonaria
della vertenza, sottovalutando i rischi connessi alla
possibilità tutt'altro che remota (in quello scenario) di
soccombenza nel giudizio civile.
Il Comune riferisce di aver stipulato con soggetto privato,
nel 1992, un contratto per la cessione della proprietà di
un'area comunale in zona P.E.E.P. (Piano Edilizia Economico
Popolare), in cui si precisava che una piccola porzione di
detto terreno, che costituiva bene demaniale dello Stato,
veniva attribuita a titolo di possesso, pattuendone per un
tempo successivo il conferimento in proprietà, non appena il
Comune avesse concluso l'iter di sdemanializzazione
dell'area medesima. Il privato contraente (rectius,
gli eredi), facendo affidamento sulla certa acquisizione
dell'area, in forza delle assicurazioni ricevute dal Comune,
procedeva a costruire un edificio su detta porzione e alla
successiva alienazione a terzi dello stesso.
Ora, poiché i soggetti alienanti hanno dovuto corrispondere
ai soggetti acquirenti le somme da questi ultimi spese per
divenire proprietari della parte di area demaniale e
dell'edificio sopra la stessa eretto, gli stessi alienanti
hanno attivato nei confronti del Comune una procedura di
mediazione volontaria, ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010
[1], per
la definizione della controversia, di cui hanno quantificato
unilateralmente il valore. Il Comune, nel precisare di non
essere responsabile del ritardo per la procedura di
sdemanializzazione dell'area in questione, imputabile, a suo
dire, all'amministrazione statale, chiede un parere circa la
legittimità della soluzione transattiva della controversia,
proponendo la misura riduttiva della pretesa della
controparte; ciò, poiché il Comune ritiene la controversia
di esito incerto e, dunque, ipotizzabile il rischio di
soccombenza, in caso di successiva azione legale, con
possibili più gravose conseguenze finanziarie.
Si premette, innanzitutto, che in alcun modo questo Servizio
può calarsi nella specificità delle fattispecie concrete
interessanti l'operare giuridico dei comuni, consistendo
l'attività di consulenza in una rappresentazione generale
del quadro normativo e giurisprudenziale afferente alle
diverse questioni di rilevanza giuridica poste dai comuni.
Per cui, si esporranno delle considerazioni, in termini
generali, sul corretto ricorso agli accordi transattivi,
restando inteso, sin da adesso, che compete unicamente
all'autonoma, responsabile, valutazione dell'Ente la scelta
della transazione quale mezzo solutorio della controversia
con la parte privata.
L'istituto della transazione è previsto dall'art. 1965 de
codice civile, che lo definisce come 'il contratto col
quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono
fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che
può sorgere tra loro'.
La Corte dei conti [2],
nell'osservare preliminarmente che anche gli enti pubblici
sono legittimati a concludere accordi transattivi relativi a
contenziosi giudiziali o stragiudiziali, ha affermato che la
scelta in ordine al procedere o meno alla transazione ed
alla concreta delimitazione dell'oggetto della stessa spetta
all'amministrazione, nell'ambito dello svolgimento della
ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte
discrezionali è sottratta al sindacato giurisdizionale, se
non limitatamente alla rispondenza delle stesse a criteri di
razionalità e congruità rilevabili dalla comune esperienza
amministrativa al fine di stabilire se la scelta risponda ai
criteri di prudente apprezzamento ai quali deve ispirarsi
sempre l'azione amministrativa. In tale ponderazione, il
Giudice contabile sottolinea, in particolare, tra gli
elementi da valutare, la convenienza economica della
transazione in relazione all'incertezza del giudizio.
Incertezza, che va intesa in senso relativo, da valutarsi
con riferimento alla natura delle pretese, alla chiarezza
della situazione normativa ed alla presenza di eventuali
orientamenti giurisprudenziali.
In particolare, in giurisprudenza, si è affermato che la
scelta discrezionale dell'amministrazione di addivenire ad
una composizione stragiudiziale della controversia non è
sindacabile, da parte della Corte dei conti, a patto, però,
che la stessa non sia assolutamente irragionevole ed
irrazionale [3].
Ed ancora e d'altro canto, la Corte dei conti
[4] ha
ritenuto gravemente colposa la condotta di amministratori
comunali consistita nel non aver dato seguito ad una
proposta transattiva in un contesto sufficientemente
rassicurante per ritenere l'utilità e convenienza della
risoluzione in via bonaria della vertenza, sottovalutando i
rischi connessi alla possibilità tutt'altro che remota (in
quello scenario) di soccombenza nel giudizio civile.
Alla luce dei richiamati indirizzi giurisprudenziali, l'Ente
potrà compiere, nel caso di specie, una valutazione
ponderata di tutti gli elementi di fatto e di diritto
presenti nella fattispecie concreta, che consentano di
apprezzare l'opportunità e convenienza economica della
transazione, in relazione all'alea dell'eventuale giudizio,
nonché l'adeguata definizione del contenuto delle reciproche
concessioni.
---------------
[1] D.Lgs. 04.03.2010, n. 28, recante: 'Attuazione
dell'articolo 60 della legge 18.06.2009, n. 69, in materia
di mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali'.
[2] Corte dei conti, Sez. reg. contr. per la Lombardia,
deliberazione n. 26/2008. Nello stesso senso, Corte dei
conti, Sez. reg. contr. per la regione Toscana, delibera n.
132/2010, secondo cui gli accordi transattivi presuppongono
la decisione dell'ente di pervenire ad un accordo con la
controparte, decisione assunta sulla base di una motivata
analisi di convenienza per l'ente di addivenire alla
conclusione dell'accordo.
[3] Corte dei conti, sez. giur. Regione Marche, 07.04.2008,
n. 188.
[4] Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, 21.01.2008, n. 215
(13.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OGGETTO: Accesso di consigliere comunale ad elenco di
istanze di insinuazione della massa passiva.
L’Organo Straordinario di liquidazione del Comune di
Fuscaldo espone che il Sindaco uscente dell’Amministrazione
comunale ha chiesto di accedere agli atti) con rilascio di
copia relativi alle istanze pervenute a seguito dell’avviso
pubblicato ai sensi dell’art. 254 del d.lgs. n. 267 del
2000.
A sostegno dell’istanza l’interessato fa presente che la
dichiarazione di dissesto deliberata dal Comune poterebbe
produrre nei suoi confronti gli effetti di cui all’art. 248
del citato d.lgs. e, inoltre, gli atti richiesti sono
necessari a scopo difensivo) avendo l’interessato stesso
proposto ricorso al TAR Calabria avverso la deliberazione di
dissesto assunta dal Consiglio comunale.
Tutto ciò premesso) l’Organo Straordinario di liquidazione
del Comune di Fuscaldo chiede di conoscere se gli atti
richiesti siano ostensibili e) in caso positivo) se debba
essere avviata la procedura di cui all’art. 3 del d.P.R. n.
184 del 2006.
Al riguardo) ad avviso della Commissione) l’interessato non
rivestendo più la qualifica di Consigliere comunale, non è
più destinatario della normativa contenuta nell’art. 43 del
d.lgs. n. 267 del 2000, che riconosce ai Consiglieri comunali
e provinciali un diritto di accesso dai confini più ampi
rispetto a quello riconosciuto a tutti gli altri soggetti,
finalizzato al migliore espletamento del mandato ricevuto.
Tuttavia) nel caso di specie non può neanche sostenersi che
l’istanza di accesso si risolva in una sorta di controllo
generalizzato sull’operato dell’Amministrazione) tenuto
conto che l’istanza stessa ha sostanzialmente per oggetto le
conseguenze connesse alla deliberazione di dissesto assunta
dal Consiglio comunale di Fuscaldo ed è finalizzata da un
lato ad evitare gli eventuali effetti negativi previsti
dall’art. 248 del d.lgs. n. 267/2000, dall’altro a tutelare
le situazioni giuridiche soggettive dell’accedente innanzi
al TAR Calabria) presso cui pende il ricorso avverso la
citata deliberazione di dissesto.
Ne deriva che l’istanza di accesso presentata dall’ex
Sindaco del Comune di Fuscaldo è sicuramente accoglibile,
con la conseguenza che l’Organo Straordinario di
Liquidazione dovrà avviare la procedura prevista dall’art. 3
del d.P.R. n. 184 del 2006 che prevede la partecipazione al
procedimento di accesso dei soggetti eventualmente
controinteressati
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 17.01.2013 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Accesso agli esposti ambientali.
L’Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia
Romagna Arpa, premesso di essere destinataria di numerosi
esposti e segnalazioni, da parte di singoli cittadini o di
comitati variamente organizzati, nei quali si evidenziano
specifici inconvenienti ambientali derivanti da realtà
produttive o commerciali, e che i titolari di queste
attività chiedono di esercitare il diritto di accesso
mediante l’estrazione di copia degli esposti o delle
segnalazioni che li riguardano) chiede se tali istanze di
accesso possano essere accolte e, in caso affermativo, se
gli esposti debbano essere messi a disposizione degli
accedenti integralmente ovvero espungendo la generalità
degli esponenti o con altre precauzioni.
Al riguardo la Commissione osserva che, in linea di
principio, non si ravvisano ragioni ostative all’esercizio
del diritto di accesso da parte dei destinatari di esposti o
segnalazioni) soprattutto se l’accesso è preordinato ad
esigenze difensive per resistere a giudizi già instaurati,
ovvero a verificare la sussistenza o meno delle necessarie
condizioni per intraprendere azioni giudiziarie sottese a
salvaguardare il proprio buon nome o la propria reputazione.
Né può sostenersi che, nei casi in questione, sorgano
particolari problemi di tutela della riservatezza, tenuto
conto che l’art. 60 del d.lgs. 30.06.2003, n.196 non
esclude il diritto di accesso neanche quando il trattamento
concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale, sempre che la situazione che si intende tutelare
sia di rango almeno pari ai diritti della personalità o
altro diritto o libertà fondamentale ed inviolabile
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 17.01.2013 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
GIURISPRUDENZA |
CONSIGLIERI COMUNALI:
La posizione del pubblico amministratore in
conflitto d’interessi rispetto all’adozione di una
determinata deliberazione ed obbligato ad astenersi dalla
relativa discussione e votazione non sia propriamente
sovrapponibile a quella del soggetto portatore di un
interesse giuridicamente qualificato, eguale e contrario a
quello per la cui tutela il ricorrente ha proposto
impugnazione, essendo, all’evidenza, diversa la ratio della
norma che impone l’astensione da quella che prescrive la
notifica del ricorso ai controinteressati.
Nel primo caso, ciò che viene in rilievo è, infatti,
l'esigenza di assicurare che il pubblico amministratore
possa operare senza condizionamenti di sorta e che sia
garantita la trasparenza dell'azione amministrativa, al di
là, dunque, della sussistenza della concreta ed effettiva
necessità per il medesimo di “difendere” la legittimità del
provvedimento impugnato.
Nel secondo, invece, quella di far necessariamente
partecipare al contraddittorio i soggetti che, in quanto
titolari di un interesse qualificato di segno opposto a
quello del/i ricorrente/i, potrebbero subire effetti
negativi nella propria sfera giuridica dall’annullamento del
provvedimento gravato.
Per costante quanto condivisa giurisprudenza, in materia
urbanistica vale, tuttavia, il principio per cui, di norma,
non sussistono controinteressati rispetto all'impugnazione
degli strumenti di programmazione, in quanto, il loro
carattere generale, li rende idonei ad incidere su una
pluralità di soggetti.
-----------------
Costituiscono principi immanenti dell’ordinamento quelli di
imparzialità, buona amministrazione e trasparenza, alla cui
concreta attuazione concorre la disposizione di cui all’art.
78, comma 2, seconda parte, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che
impone ai pubblici amministratori di astenersi dal prendere
parte alla discussione ed alla votazione di piani
urbanistici laddove sussista una correlazione immediata e
diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici
interessi dell'amministratore medesimo o di suoi parenti o
affini fino al quarto grado.
In giurisprudenza è stato, peraltro, condivisibilmente
affermato:
● che tale norma “è espressione di un obbligo generale di
astensione dei membri di collegi amministrativi che si
vengano a trovare in posizione di conflitto di interessi
perché portatori di interessi personali, diretti o
indiretti, in contrasto potenziale con l'interesse
pubblico”,
● che “il conflitto d'interessi, nei suoi termini essenziali
valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel
contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa
persona, uno dei quali di tipo <istituzionale> ed un altro
di tipo personale”,
● che “come emerge dal tenore letterale dell'art. 78, comma
2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola
generale è che l'amministratore debba astenersi al minimo
sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che
sia; la deroga divisata per gli atti generali e normativi,
oltre a non essere assoluta (perché qualora si profili il
concreto interesse personale si ripristina l'obbligo di
astensione), è da considerarsi tassativa ed incapace quindi,
di incidere sul perimetro della fattispecie ampliandolo
internamente” e
● che “la regola della astensione del consigliere comunale
deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il
consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in
posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da
adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto
di <interesse> del consigliere alla deliberazione comprende
ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni
personali, comportante una tensione della volontà, verso una
qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla
adozione di una delibera”.
Ne deriva che il dovere di astensione si impone, ex ante,
ogniqualvolta l'amministratore dell'ente locale rivesta una
posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un
conflitto di interesse ovvero qualora vi sia il pericolo che
la volontà del medesimo non sia immune da condizionamenti e
a nulla rileva che lo specifico fine privato sia stato o
meno realizzato e/o che si sia prodotto o meno un concreto
pregiudizio per la p.a..
Con specifico riguardo a tale ultimo profilo, il Collegio ritiene, in
particolare, che la posizione del pubblico amministratore in
conflitto d’interessi rispetto all’adozione di una
determinata deliberazione ed obbligato ad astenersi dalla
relativa discussione e votazione non sia propriamente
sovrapponibile a quella del soggetto portatore di un
interesse giuridicamente qualificato, eguale e contrario a
quello per la cui tutela il ricorrente ha proposto
impugnazione, essendo, all’evidenza, diversa la ratio della
norma che impone l’astensione da quella che prescrive la
notifica del ricorso ai controinteressati.
Nel primo caso, ciò che viene in rilievo è, infatti,
l'esigenza di assicurare che il pubblico amministratore
possa operare senza condizionamenti di sorta e che sia
garantita la trasparenza dell'azione amministrativa, al di
là, dunque, della sussistenza della concreta ed effettiva
necessità per il medesimo di “difendere” la legittimità del
provvedimento impugnato.
Nel secondo, invece, quella di far necessariamente
partecipare al contraddittorio i soggetti che, in quanto
titolari di un interesse qualificato di segno opposto a
quello del/i ricorrente/i, potrebbero subire effetti
negativi nella propria sfera giuridica dall’annullamento del
provvedimento gravato (Cons. Stato Sez. V 24.09.2003
n. 5462; idem 21.01.2002 n. 72).
Per costante quanto condivisa giurisprudenza, in materia
urbanistica vale, tuttavia, il principio per cui, di norma,
non sussistono controinteressati rispetto all'impugnazione
degli strumenti di programmazione, in quanto, il loro
carattere generale, li rende idonei ad incidere su una
pluralità di soggetti (principio affermato dall’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato con decisione dell’08.05.1996, n. 2 e più di recente ribadito dalla IV Sezione, nella
sentenza 05.03.2013, n. 1344).
E tale è, senza dubbio, l’ipotesi che ricorre nella
fattispecie in esame.
Vero è, in ogni caso, che, laddove si volesse riconoscere al
Sindaco e ai suoi parenti addirittura la qualifica di
controinteressati in senso tecnico (come preteso dalla
difesa dell’Amministrazione), allora il conflitto
d’interessi denunciato dai ricorrenti dovrebbe ritenersi
palese, grave e sussistente in re ipsa, anche al di là di
qualsiasi valutazione e/o apprezzamento da parte di questo
Collegio e, dunque, con conseguenze per i pretesi
“controinteressati” ben più gravi e pregiudizievoli di
quelle derivanti dall’eventuale annullamento del
provvedimento impugnato, atteso che potrebbero venire in
rilievo profili di responsabilità penale, estranei, di
norma, alla riconosciuta sussistenza del pericolo che la
volontà del pubblico amministratore non sia immune da
condizionamenti.
Le eccezioni di inammissibilità per carenza d’interesse e
per mancata notifica ai controinteressati vanno, in
definitiva, respinte.
Nel merito, è fondato e riveste carattere assorbente
rispetto agli ulteriori dedotti il primo motivo di gravame,
con cui i ricorrenti si dolgono del mancato allontanamento
dall’aula e della mancata astensione dalla discussione e
dalla votazione degli atti deliberativi che hanno portato
all’approvazione della Variante n. 42 da parte del Sindaco
in quel momento in carica.
Costituiscono, invero, principi immanenti dell’ordinamento
quelli di imparzialità, buona amministrazione e trasparenza,
alla cui concreta attuazione concorre la disposizione di cui
all’art. 78, comma 2, seconda parte, d.lgs. 18.08.2000,
n. 267, che impone ai pubblici amministratori di astenersi
dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di
piani urbanistici laddove sussista una correlazione
immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e
specifici interessi dell'amministratore medesimo o di suoi
parenti o affini fino al quarto grado.
In giurisprudenza (ex multis C.d.S., IV, 28.01.2011, n.
693) è stato, peraltro, condivisibilmente affermato:
● che tale
norma “è espressione di un obbligo generale di astensione
dei membri di collegi amministrativi che si vengano a
trovare in posizione di conflitto di interessi perché
portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in
contrasto potenziale con l'interesse pubblico (Cfr. Cons.
St., sez. II, 18.02.2004 n. 5486/2003; sez. IV, 07.10.1998 n. 1291)”,
● che “il conflitto d'interessi, nei
suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del
diritto, si individua nel contrasto tra due interessi
facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo
<istituzionale> ed un altro di tipo personale (cfr. Cass.,
18.05.2001, n. 6853 in materia condominiale; Cass. 28.12.2000, n. 16205, su casi di conflitto di interessi
relativi a titolari di cariche pubbliche)”,
● che “come emerge
dal tenore letterale dell'art. 78, comma 2, del d.lgs. n.
267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola generale è che
l'amministratore debba astenersi al minimo sentore di
conflitto di interessi, reale o potenziale che sia; la
deroga divisata per gli atti generali e normativi, oltre a
non essere assoluta (perché qualora si profili il concreto
interesse personale si ripristina l'obbligo di astensione),
è da considerarsi tassativa ed incapace quindi, di incidere
sul perimetro della fattispecie ampliandolo internamente
(Consiglio Stato, sez. V, 13.06.2008, n. 2970)” e
● che
“la regola della astensione del consigliere comunale deve
trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere,
per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta
serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura
discrezionale; in tal senso il concetto di <interesse> del
consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di
conflitto o di contrasto di situazioni personali,
comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi
utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione
di una delibera (Consiglio Stato , sez. V, 13.06.2008 ,
n. 2970)”.
Ne deriva che il dovere di astensione si impone, ex ante,
ogniqualvolta l'amministratore dell'ente locale rivesta una
posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un
conflitto di interesse ovvero qualora vi sia il pericolo che
la volontà del medesimo non sia immune da condizionamenti e
a nulla rileva che lo specifico fine privato sia stato o
meno realizzato e/o che si sia prodotto o meno un concreto
pregiudizio per la p.a. (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 23.12.2013 n. 679 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
E' illegittima la
sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per
mesi due con privazione della retribuzione laddove il
dipendente (dirigente sindacale) ha diffuso un comunicato
stampa con espressioni che, seppur vivaci e discutibili,
rientrano nel diritto di critica e più in generale nella
libertà di parola.
La libertà di parola e di critica,
libertà fondamentale e indiscutibile sulla base della
Costituzione e di numerosi trattati internazionali tra cui
quello relativo ai diritti dell'uomo, deve comunque
coniugarsi con il concetto di responsabilità, per cui la
libertà di espressione non può travalicare i limiti
dell'offesa per gli altri soggetti ovvero per le
istituzioni.
Orbene, nel caso in esame questo collegio rileva che le
espressioni contenute nel comunicato stampa, in particolare
laddove parla di una persecuzione ad opera
dell'amministrazione paragonando il suo caso è quello di
altri soggetti di altre amministrazioni, e laddove spiega
che l'invio alla visita medico psichiatrica e il deferimento
alla commissione disciplinare ministeriale sarebbero eventi
persecutori, con altresì il rischio di essere radiato dal
corpo, pur vivaci e discutibili, rientrano nel diritto di
critica e più in generale nella libertà di parola.
Ciò vale anche per la parte finale del comunicato stampa
dove si afferma che il comportamento dell'amministrazione
sarebbe esempio dell'arroganza di una casta che non
esiterebbe “a punire con il massimo della pena chi osa
denunciarne l'arroganza”.
... per l'annullamento della deliberazione del Ministero dell'Interno dd.
27.11.2008, con la quale il Ministero dell'Interno decreta
al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal
servizio per 2 mesi con privazione della retribuzione.
...
Il ricorrente, vigile del fuoco, impugna il provvedimento
del Ministero degli Interni, Dipartimento dei vigili del
fuoco, che gli ha irrogato la sanzione disciplinare della
sospensione dal servizio per mesi due con privazione della
retribuzione. Fa presente di essere dirigente sindacale e
che il provvedimento disciplinare è il frutto di un
procedimento disciplinare per il mancato rispetto
dell'obbligo di favorire l'instaurazione di rapporti di
fiducia tra l'amministrazione e i cittadini, per violazione
del segreto d'ufficio e del divieto di utilizzare per fini
privati le informazioni ufficio e per avere espresso
espressioni ingiuriose nei confronti dell'amministrazione e
infine per aver un persistente atteggiamento di calunnia e
di accusa, diffamando l'attività istituzionale oltre a
quella del comandante dei vigili del fuoco.
Nel provvedimento gravato si fa riferimento a un comunicato
stampa redatto dal ricorrente.
...
Oggetto del presente ricorso è il provvedimento del
Ministero degli Interni, Dipartimento dei vigili del fuoco,
che ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della
sospensione dal servizio per mesi due con privazione della
retribuzione.
Va da subito evidenziato come il ricorso risulta fondato.
Le doglianze prospettate dal ricorrente, che si possono
agevolmente esaminare congiuntamente, in sostanza si
concentrano sul diritto di critica e sui diritti sindacali
in capo al ricorrente in quanto rappresentante sindacale,
diritti che non sarebbero stati travalicati in alcun modo
dal suo comportamento. Va innanzitutto rilevato come le
vicende penali, conclusesi in modo favorevole alla
ricorrente, non rilevano nella vicenda disciplinare perché
diversi ne sono i presupposti.
Questo collegio osserva innanzitutto come la libertà di
parola e di critica, libertà fondamentale e indiscutibile
sulla base della Costituzione e di numerosi trattati
internazionali tra cui quello relativo ai diritti dell'uomo,
deve comunque coniugarsi con il concetto di responsabilità,
per cui la libertà di espressione non può travalicare i
limiti dell'offesa per gli altri soggetti ovvero per le
istituzioni.
Orbene, nel caso in esame, pur senza voler entrare nel
merito di valutazioni discrezionali, questo collegio rileva
che le espressioni contenute nel comunicato stampa del 14.09.2008, in particolare laddove parla di una
persecuzione ad opera dell'amministrazione paragonando il
suo caso è quello di altri soggetti di altre
amministrazioni, e laddove spiega che l'invio alla visita
medico psichiatrica e il deferimento alla commissione
disciplinare ministeriale sarebbero eventi persecutori, con
altresì il rischio di essere radiato dal corpo, pur vivaci e
discutibili, rientrano nel diritto di critica e più in
generale nella libertà di parola.
Ciò vale anche per la parte finale del comunicato stampa
dove si afferma che il comportamento dell'amministrazione
sarebbe esempio dell'arroganza di una casta che non
esiterebbe “a punire con il massimo della pena chi osa
denunciarne l'arroganza”.
Il ricorso va, pertanto, accolto con annullamento del
provvedimento gravato (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 23.12.2013 n. 668 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fatti salvi i casi di
espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo
negozio, anche il contratto di leasing costituisce un titolo
reale astrattamente idoneo a consentire interventi
sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing
non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing
è titolare di una relazione qualificata con il bene
medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta
legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al
ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
sempreché il singolo contratto di leasing contenga
specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
In secondo luogo, ai fini della legittimazione alla
presentazione della d.i.a,. si deve ricordare che, al di là
degli aspetti formali, ai sensi dell'art. 11, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, la legittimazione all'ottenimento del
titolo edificatorio spetta "al proprietario del'immobile
o a chi abbia titolo per richiederlo".
Al riguardo, alla luce degli orientamenti della Sezione in
casi analoghi (es.: comodatario, in Consiglio di Stato, Sez.
IV 20.07.2011 n. 4370; usufruttuario, in Consiglio di Stato,
Sez. IV 30.07.2012 n. 4287) si deve rilevare che -fatti
salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti
dal relativo negozio- anche il contratto di leasing
costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a
consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing
non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing
è titolare di una relazione qualificata con il bene
medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta
legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al
ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
sempreché il singolo contratto di leasing contenga
specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
Nel caso in esame, l’art. 8 del contratto di leasing
(puntualmente allegato sia in primo grado che in appello)
prevedeva l’obbligo dell’utilizzatore di provvedere alla “manutenzione
ordinaria e straordinaria… alla sostituzione ,rifacimento,
rimessione in pristino di tutte le parti interne ed esterne
dell’immobile incluse … le parti comuni.. compresi gli
adeguamenti, …. con riguardo alla sicurezza, alla
prevenzione degli infortuni,nonché alla sostituzione,
rifacimento,e rimessione in pristino degli impianti e di
ogni altro accessorie che si rendesse necessario” .
In tale ipotesi dunque, è rilevante la circostanza che il
contratto di leasing conferiva all’utilizzatore del bene,
dr. M., un diritto di reale di godimento del bene che
comprendeva la facoltà di far luogo a modifiche ed a
migliorie e quindi gli conferiva un titolo negoziale per
poter legittimamente richiedere un titolo edilizio,
dovendosi escludere nel caso la ricorrenza di un’espressa
opposizione della società concedente
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6165 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
Se è vero che il Comune ha l'obbligo di
verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti
privatistici, è anche vero che il controllo da parte
dell'Ente locale consiste in una semplice presa d'atto dei
titoli, senza che vi sia alcuna necessità di procedere ad
un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra
condomini.
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità
dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di
eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire.
---------------
Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio
condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti
“significative”, cioè devono alterare la particolare
struttura e la complessiva armonia che conferiscono al
fabbricato una propria specifica identità e, comunque, non
devono risolversi in apprezzabili limitazioni del normale
godimento della parte di bene di proprietà esclusiva.
Il profilo del decoro architettonico va poi valutato con
riferimento all'intero edificio condominiale, ed anche al
riguardo l'alterazione deve risultare “apprezzabile” alla
luce della necessità di trovare una situazione di equilibrio
tra i contrapposti interessi della comunità condominiale e
del singolo condomino.
Al riguardo, se è
vero che il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da
parte dell'istante dei limiti privatistici, è anche vero che
il controllo da parte dell'Ente locale consiste in una
semplice presa d'atto dei titoli, senza che vi sia alcuna
necessità di procedere ad un’accurata e approfondita
disamina dei rapporti tra condomini (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI 20/12/2011 n. 6731).
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del
Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità
dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di
eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 08/06/2011 n. 3508).
Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio
condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti “significative”,
cioè devono alterare la particolare struttura e la
complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una
propria specifica identità e, comunque, non devono
risolversi in apprezzabili limitazioni del normale godimento
della parte di bene di proprietà esclusiva (arg. Cassazione
Civile, ord. 30.01.2012, n. 1326). Il profilo del decoro
architettonico va poi valutato con riferimento all'intero
edificio condominiale, ed anche al riguardo l'alterazione
deve risultare “apprezzabile” alla luce della
necessità di trovare una situazione di equilibrio tra i
contrapposti interessi della comunità condominiale e del
singolo condomino (cfr. Cassazione Civile, Sezione 2,
27.12.2011, n. 28919).
Nella medesima scia ricostruttiva si osserva che non è
compito del Comune indagare se, ai sensi dell'art. 1102
c.c., l’innovazione alterasse o meno la destinazione della
porzione di giardino, o si risolvesse in una rilevante
limitazione dell’uso degli altri partecipanti al condominio
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6165 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori
entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire,
necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da
valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle
circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed
effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento
di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente
o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita
di efficacia del titolo.
---------------
L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un
interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri
programmatori spettanti all’Amministrazione comunale.
Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i
dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad
esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del
cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei
lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno.
---------------
La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura
vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento
che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato.
Per costante giurisprudenza, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei
lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire,
necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da
valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle
circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso,
deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e
comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e
non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di
evitare la temuta perdita di efficacia del titolo (cfr. per
tutte Cons. Stato, sez. V, 02.11.2004, n. 7748; Id.,
sez. IV, 15.04.2013, n. 2027, ove riferimenti
ulteriori).
---------------
L’effettivo
inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse
pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori
spettanti all’Amministrazione comunale. Per tale ragione, la
giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con
rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura
del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali
occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo
sbancamento del terreno (si veda più ampiamente Cons. Stato,
sez. IV, n. 2017 del 2013, cit.).
Non c’è dubbio che una pluralità di fattori abbia impedito
il reale avvio delle opere nel termine prescritto; essi sono
ricordati nelle dichiarazioni riferite nel verbale del 2008
(tardivo rilascio dell’immobile da parte degli occupanti,
problematiche inerenti la scarsa tenuta della rampa di
collegamento tra la via pubblica e il resede, mancata
acquisizione della deroga per i rumori).
Queste circostanze obiettive avrebbero potuto forse anche
giustificare la proroga del termine per l’inizio dei lavori
(come prevede l’art. 15, comma 2, secondo periodo, t.u., e
l’art. 6-quinquies del regolamento edilizio); ma la proroga
non risulta accordata e nemmeno richiesta, cosicché essi non
possono produrre alcuna giustificazione circa il mancato
rispetto del termine di legge.
---------------
Quanto,
infine, all’intervallo di tempo tra l’accertamento e la
dichiarazione di decadenza, che l’appello censura come
eccessivo, esso non appare comunque tale, alla luce della
scansione temporale della vicenda (come detto più volte, il
primo accertamento è del settembre 2008; il primo
provvedimento di decadenza del febbraio 2009; l’ispezione è
ripetuta nel luglio 2009 e la decadenza reiterata
nell’agosto successivo).
Peraltro, anche in disparte il
rilievo che precede, il Collegio esprime convinta adesione
all’orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente,
secondo cui la decadenza della concessione edilizia per
mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha
natura vincolata e opera di diritto, di tal che il
provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in
via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine
prefissato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2011, n. 5028; Id., sez. IV, 23.02.2012, n.
974; Id., sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Lo scarto
temporale lamentato dalla Società appellante, quindi, rimane
comunque irrilevante sul piano della disciplina giuridica
della vicenda (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6151 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sussiste difetto di
giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei
provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari
posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n.
285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale
misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e
dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con
riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento
del Comune che dispone la rimozione dell’impianto
pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23
costituisce un accessorio della sanzione amministrativa
pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico
proprietario della strada per assicurare il rispetto delle
disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che
l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi
del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n.
689/1981.
Il consolidato orientamento della Cassazione (Cass. Civ., sez. un.,
23.06.2010 n. 15170; 14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334;
06.06.2007 n. 13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721), condiviso dal
Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 31.10.2012, n.5556) è
nel senso che “sussiste difetto di giurisdizione del G.A.
con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione
di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi
dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine
deriva direttamente, quale misura consequenziale,
dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della
prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice
della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone
la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di
detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione
amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente
pubblico proprietario della strada per assicurare il
rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la
conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O.,
competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22
e 23 della legge n. 689/1981”.
L’assunto della ricorrente, secondo cui l’impianto non può
essere qualificato abusivo in quanto conforme ad
un’autorizzazione valida ed efficace, non muta i termini
della questione. Non venendo in discussione la legittimità
dell’autorizzazione, quella prospettata è, infatti, una
questione di merito relativa alla legittimità della
sanzione, pertanto inidonea ad incidere sulla giurisdizione.
Spetterà al giudice competente valutare se l’esistenza
dell’autorizzazione renda configurabile l’illecito
contestato e se sia quindi fondata la pretesa sanzionatoria
dell’ente.
La questione accede, pertanto, a quella pendente davanti al
giudice civile, definita in primo grado con l’annullamento
del verbale che costituisce i presupposto della diffida.
Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo, essendo la controversia di competenza del
giudice ordinario presso il quale può essere riassunta ex
art. 11 c.p.a. (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 19.12.2013 n. 1070 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Acclarata la illegittimità del silenzio serbato
dal Comune, relativamente alla domanda risarcitoria questo
TAR ha già in proposito affermato che l’art. 2-bis della L.
241/1990 protegge il bene “tempo” quale bene della vita
suscettibile di incidere sulla “progettualità” del privato e
sulla libera determinazione dell’assetto dei suoi interessi,
naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e
potenzialmente pregiudicato dai ritardi dello stesso.
Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato
rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a
rappresentare, giuridicamente, un danno “ingiusto” e, sul
piano economico, un costo “illegittimo” per quanto attiene
le prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in
quanto integranti motivo di forte condizionamento della loro
vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza
economica delle scelte preventivate, sia se il bene preteso
dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo stesso
venga negato, posto che l’incertezza sull’esito del
procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge
per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più
complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse
ed alternative.
Il bene protetto dalla norma è dunque il rispetto dei tempi
certi del procedimento, inteso quale tutela procedimentale
rispetto alle aspettative, alle scelte e alla progettualità
del privato, nonché quale mezzo per influire sull’esercizio
del potere, in modo da rendere possibile, in tempi ex ante
preventivabili, il conseguimento delle utilità sperate ove
queste risulteranno spettanti.
Su tali premesse, il superamento colpevole del tempo
previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A.
alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una
situazione soggettivamente e giuridicamente tutelata.
... per la declaratoria di illegittimità del silenzio
serbato dal Comune dell’Aquila in relazione a quanto
richiesto con istanza del 23.02.2012, notificata in data
24.02.2012, e per la condanna del Comune al risarcimento del
danno da ritardo.
...
Residua all’attenzione dei questo Collegio la domanda
risarcitoria spiegata dal ricorrente in cumulo con la
domanda, già definita con separata decisione, tesa alla
declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal
Comune dell’Aquila su istanza volta alla concessione del
contributo per la riparazione dell’immobile di proprietà,
danneggiato dal sisma del 2009 e adibito ad abitazione e
studio professionale di esso ricorrente.
Acclarata la illegittimità del silenzio serbato dal Comune
dell’Aquila, relativamente alla domanda risarcitoria, questo
TAR ha già in proposito affermato che l’art. 2-bis della L.
241/1990 protegge il bene “tempo” quale bene della vita
suscettibile di incidere sulla “progettualità” del privato e
sulla libera determinazione dell’assetto dei suoi interessi,
naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e
potenzialmente pregiudicato dai ritardi dello stesso (TAR
Abruzzo – L’AQUILA, n. 548/2011).
Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato
rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a
rappresentare, giuridicamente, un danno “ingiusto” e, sul
piano economico, un costo “illegittimo” per quanto attiene
le prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in
quanto integranti motivo di forte condizionamento della loro
vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza
economica delle scelte preventivate, sia se il bene preteso
dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo stesso
venga negato, posto che l’incertezza sull’esito del
procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge
per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più
complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse
ed alternative.
Il bene protetto dalla norma è dunque il rispetto dei tempi
certi del procedimento, inteso quale tutela procedimentale
rispetto alle aspettative, alle scelte e alla progettualità
del privato, nonché quale mezzo per influire sull’esercizio
del potere, in modo da rendere possibile, in tempi ex ante
preventivabili, il conseguimento delle utilità sperate ove
queste risulteranno spettanti.
Su tali premesse, il superamento colpevole del tempo
previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A.
alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una
situazione soggettivamente e giuridicamente tutelata (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 19.12.2013 n. 1064 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
E’ ben noto al Collegio che avveduta
giurisprudenza, al fine di scoraggiare pratiche dilatorie da
parte delle amministrazioni, ha puntualizzato che “nel
sistema dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 la
fissazione di un termine procedimentale di durata massima
del procedimento amministrativo, con evidenti finalità
acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là
della persistenza o meno del potere di provvedere in capo
all'amministrazione inadempiente), comporta la
qualificazione come inadempimento del fatto stesso
dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della
certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora
sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun
provvedimento, positivo o negativo. Per questa ragione, le
cause di interruzione o sospensione del termine per
provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione, e non
lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da
qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che
regola l'attività amministrativa.”.
Laddove però, si rientri nel paradigma normativo, il termine
finale di definizione del procedimento può essere
prolungato, con conseguente esclusione della formazione del
silenzio-inadempimento.
Si è detto in proposito che “il termine annuale, dell'art.
31, comma 2°, c.p.a., non inizia a decorrere se la
documentazione allegata all'istanza non corrisponde alle
previsioni legali e se le pertinenti richieste di
integrazione formulate dall'Amministrazione non trovano
adeguato riscontro”.
La cautela, in simili ipotesi, è d’obbligo, e costituisce
canone ermeneutico sostanziale cui improntare la valutazione
giudiziale non dovendosi sottacere a tal riguardo che il
rito ex art. 31 e 117 può comportare in teoria (ove si
tratti di pretesa incidente su attività vincolata o a basso
tasso di discrezionalità) un sovvertimento delle ordinarie
competenze ed una “espropriazione” del potere di emettere il
provvedimento spettante all’Amministrazione posto che
quest’ultimo verrebbe traslato al Giudice medesimo per il
tramite del Commissario ad acta.
E’ ben noto al Collegio che avveduta giurisprudenza, al fine
di scoraggiare pratiche dilatorie da parte delle
amministrazioni, ha puntualizzato che (TAR Lazio Roma
Sez. I, 29.03.2011, n. 2739) “nel sistema dell'art. 2 della
legge n. 241 del 1990 la fissazione di un termine
procedimentale di durata massima del procedimento
amministrativo, con evidenti finalità acceleratorie,
ancorché non perentorio (e dunque, al di là della
persistenza o meno del potere di provvedere in capo
all'amministrazione inadempiente), comporta la
qualificazione come inadempimento del fatto stesso
dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della
certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora
sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun
provvedimento, positivo o negativo. Per questa ragione, le
cause di interruzione o sospensione del termine per
provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione, e non
lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da
qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che
regola l'attività amministrativa.”.
Laddove però, si rientri nel paradigma normativo, il termine
finale di definizione del procedimento può essere
prolungato, con conseguente esclusione della formazione del
silenzio-inadempimento.
Si è detto in proposito che (Cons. Giust. Amm. Sic.,
30.05.2013, n. 528): “il termine annuale, dell'art. 31, comma
2°, c.p.a., non inizia a decorrere se la documentazione
allegata all'istanza non corrisponde alle previsioni legali
e se le pertinenti richieste di integrazione formulate
dall'Amministrazione non trovano adeguato riscontro”.
La cautela, in simili ipotesi, è d’obbligo, e costituisce
canone ermeneutico sostanziale cui improntare la valutazione
giudiziale non dovendosi sottacere a tal riguardo che il
rito ex art. 31 e 117 può comportare in teoria (ove si
tratti di pretesa incidente su attività vincolata o a basso
tasso di discrezionalità) un sovvertimento delle ordinarie
competenze ed una “espropriazione” del potere di emettere il
provvedimento spettante all’Amministrazione posto che
quest’ultimo verrebbe traslato al Giudice medesimo per il
tramite del Commissario ad acta.
E’ ben vero che questo approdo non sarebbe praticabile nel
caso in esame dove non può certo affermarsi che trattavasi
di attività a bassa discrezionalità o non necessitante di
approfondimenti istruttori.
Ciò che però si vuol significare è che la cautela nel
“sostituirsi” all’Amministrazione va praticata anche allorché si controverta su un asserito uso illegittimo del
potere istruttorio e di richiesta documentale.
Su tale punto è bene essere chiari: è ben vero che la Corte
Costituzionale, la Consulta, con più conformi pronunce
-Corte Cost., 25.05.1957, nn. 59 e 60; 21.03.1989, n.
143; 16.02.1993, n. 62; 24.02.1995, n. 63; 21.07.1995, n. 347- ha affermato la insussistenza di una
“riserva di amministrazione” posto che la Costituzione non
garantisce ai pubblici poteri l'esclusività delle pertinenti
attribuzioni gestorie: è pur vero però che un penetrante
sindacato, a monte sul potere istruttorio e di acquisizione
dell’Amministrazione, finalizzato alla completa acquisizione
di dati da ponderare compiutamente esiste e si giustifica se
ed in quanto ci si trovi al cospetto di richieste
palesemente ed abnormemente dilatorie.
La estrema ratio a fronte di una condotta riottosa e
palesemente inconcludente, che nel caso de quo non è
certamente riscontrabile (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.12.2013 n. 6105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
L'acquisto della proprietà per accessione avviene
a titolo originario senza la necessità di apposita
manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è
applicabile l'art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere
derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di
origine negoziale, con la conseguenza che la costruzione
realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di
comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di
proprietà personale di uno di essi è a sua volta proprietà
personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi
generali in materia di accessione, mentre al coniuge non
proprietario, che abbia contribuito all'onere della
costruzione, spetta, previo assolvimento dell'onere della
prova di aver fornito il proprio sostegno economico, il
diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le
somme spese a tal fine.
La concessione edilizia è stata chiesta ed ottenuta dal sig. Di N.,
sul presupposto che esso fosse il proprietario esclusivo del
suolo sul quale sarebbe sorto l’edificio. La circostanza che
la proprietà dell’edificio successivamente costruito sul
suolo, sia caduta in comunione in ragione dell’applicazione
dell’art. 177 Cc, non solo non è provata, ma è anche da
escludere alla luce della giurisprudenza civile ed
amministrativa, la quale ha affermato, al contrario, anche
in questo caso, l’operatività del principio di accessione di
cui all’art. 934 Cc, in forza del quale il proprietario del
suolo acquista ipso iure la proprietà della costruzione su
di esso edificata.
In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che
“l'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo
originario senza la necessità di apposita manifestazione di
volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art.
177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone
espressamente prevista una genesi di origine negoziale, con
la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di
matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i
coniugi sul terreno di proprietà personale di uno di essi è
a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo
in virtù dei principi generali in materia di accessione,
mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito
all'onere della costruzione, spetta, previo assolvimento
dell'onere della prova di aver fornito il proprio sostegno
economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro
coniuge le somme spese a tal fine” (Cfr. Cassazione civile,
sez. VI 03/07/2013, n. 16670; sez. II 30/05/2013, n. 13603;
sez. I 30.09.2010, n. 20508; sez. II 03.04.2008,
n. 8662; sez. I 14.04.2004, n. 7060; Cons. Stato Sez. V,
06.12.1993, n. 1253)
Essendo quindi, l’odierno opponente, un terzo
presuntivamente creditore (ma neanche di questo, invero, v’è
prova in atti) del titolare della concessione ad edificare,
impugnata e poi annullata, è certamente da escludere la sua
qualificazione quale controinteressato legittimato
all’opposizione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.12.2013 n. 6103 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diniego in materia paesaggistica difetta di
motivazione laddove, nella fattispecie, per un verso,
si fa riferimento sia a caratteristiche dei materiali
utilizzati per la realizzazione del manufatto, genericamente
definiti “inadeguati”, sia a caratteristiche estetiche delle forme
del manufatto, definite “rozze”; per altro verso, si
sottolinea la (mera) ubicazione dell’opera che
contribuirebbe a renderne intollerabile la presenza.
Ambedue i profili richiamati, tuttavia, non contribuiscono a
definire le ragioni ostative alla sanatoria, rappresentando
essi, nel primo caso, mere valutazioni non circostanziate da
elementi di fatto volti a supportare il giudizio negativo
formulato; nel secondo caso, una semplice descrizione di
luoghi, in relazione ai quali il concreto contrasto del
manufatto non risulta reso evidente.
L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al
primo motivo di impugnazione (sub a) dell’esposizione in
fatto), con il quale si è lamentato il difetto di
motivazione del provvedimento impugnato in I grado.
Orbene, tale provvedimento si fonda sul parere reso dalla
Commissione beni ambientali, secondo la quale il manufatto
soggetto a sanatoria sarebbe realizzato “con forme rozze e
materiali inadeguati per un contesto urbano” e tale aspetto
negativo sarebbe reso vieppiù intollerabile dalla “posizione
del manufatto”, tra vecchio edificio scolastico, chiesa di
Sant’Antonio e la centrale via Roma, in modo tale da rendere
“ancora più grave la presenza di esso”, acuendo il contrasto
“tra esso e gli edifici che lo circondano”.
Il Collegio –ribaditi i limiti del sindacato
giurisdizionale in ordine alle valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione, tali da evitare che il
giudice invada il cd. “merito amministrativo”– ritiene, nel
caso di specie, che il provvedimento impugnato
effettivamente presenti il lamentato difetto di motivazione.
Ed infatti, per un verso, si fa riferimento sia a
caratteristiche dei materiali utilizzati per la
realizzazione del manufatto, genericamente definiti
“inadeguati”, sia a caratteristiche estetiche delle forme
del manufatto, definite “rozze”; per altro verso, si
sottolinea la (mera) ubicazione dell’opera che
contribuirebbe a renderne intollerabile la presenza.
Ambedue i profili richiamati, tuttavia, non contribuiscono a
definire le ragioni ostative alla sanatoria, rappresentando
essi, nel primo caso, mere valutazioni non circostanziate da
elementi di fatto volti a supportare il giudizio negativo
formulato; nel secondo caso, una semplice descrizione di
luoghi, in relazione ai quali il concreto contrasto del
manufatto non risulta reso evidente.
Tale difetto di motivazione è stato, peraltro, pur senza
conseguenze -come rilevato anche dall’appellante-
riscontrato dalla stessa sentenza impugnata, che sul punto
ha rilevato:
- sia che i riferimenti alle forme rozze e ai materiali
inadeguati, contengono “intrinsecamente elementi di
imprecisione”;
- sia che i contrasti con i luoghi potrebbero essere, in
concreto, “contrasti inesistenti” (pur non ritenendo gli
stessi “connotazioni generiche”).
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto in
relazione al primo motivo proposto (con conseguente
assorbimento degli ulteriori motivi), e per l’effetto, in
riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il
ricorso instaurativo del giudizio di I grado, in relazione
al lamentato vizio di difetto di motivazione del
provvedimento impugnato con il medesimo ricorso (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.12.2013 n. 6065 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
La possibilità di realizzazione diretta delle
opere di urbanizzazione, a scomputo dei contributi, è sempre
condizionata al preventivo assenso comunale, avendo
l’Amministrazione anche il potere di indicare il tipo e
l’entità delle opere, le modalità di esecuzione e le
relative garanzie.
La realizzazione di opere di urbanizzazione <a scomputo> è prevista
dall’art. 16, comma 2, del DPR n. 380 del 2001, a mente del
quale “a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il
titolare del permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto
dell’art. 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109,
e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle
opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”.
La
giurisprudenza maggioritaria interpreta il dato normativo
nel senso che la possibilità di realizzazione diretta delle
opere di urbanizzazione, a scomputo dei contributi, è sempre
condizionata al preventivo assenso comunale, avendo
l’Amministrazione anche il potere di indicare il tipo e
l’entità delle opere, le modalità di esecuzione e le
relative garanzie. A tale impostazione si è ispirata anche
la Sezione (sentenze 14.09.2004, n. 3782 e 01.07.2010, n.
2252), con orientamento che il Collegio condivide e
ribadisce.
Nel caso di specie non vi è stata consenso del
Comune di Calcinaia in ordine alla realizzazione delle opere
a scomputo di cui alla domanda giudiziaria, il che preclude
quindi la possibilità di porre a carico dell’Amministrazione
il relativo onere economico. La pretesa di parte ricorrente
(che chiede il rimborso di opere realizzate senza il
consenso del Comune) contrasta peraltro con la condotta
seguita nella medesima vicenda in precedenti ipotesi, nelle
quali la società ricorrente aveva previamente ottenuto
l’assenso dell’Amministrazione alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione (con riferimento al marciapiede e
alla fognatura) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.12.2013 n. 1718 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Laddove le parti
controvertono in punto di sussistenza, nella fattispecie in
esame, di elementi fattuali idonei a integrare il
presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè
<l’avvio dei lavori>, ovverosia si abbiano posizioni diverse
sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a
costituire, appunto, <avvio dei lavori>, in siffatto
contesto il contraddittorio procedimentale risulta
certamente necessario, non potendosi seguire la difesa
dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non
risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza]
non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi
per legge”.
Al contrario il contraddittorio procedimentale risulta
utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente
in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei
presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i
presupposti per l’esercizio del potere.
Il Collegio ritiene di dover procedere al preliminare esame del
terzo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente
censura la gravata ordinanza per violazione dell’art. 7
della legge n. 241 del 1990, cioè per mancata comunicazione
di avvio del procedimento, necessaria in ipotesi in cui si
contesta la sussistenza dei presupposti fattuali idonei a
integrare i presupposti per l’emissione del provvedimento di
decadenza.
La censura è fondata.
È significativo rilevare, ai fini dello scrutinio della
presente doglianza, che le parti controvertono, come sopra
rilevato, in punto di sussistenza, nella fattispecie in
esame, di elementi fattuali idonei a integrare il
presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè
<l’avvio dei lavori>, in particolare avendo posizioni
diverse sulla idoneità degli svolti interventi di
demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>.
In
siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta
certamente necessario, non potendosi seguire la difesa
dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non
risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza]
non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi
per legge”; al contrario il contraddittorio procedimentale
risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la
presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione
dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i
presupposti per l’esercizio del potere.
La gravata
ordinanza, peraltro, non esclude la necessità partecipativa,
ma afferma che la precedente ordinanza di sospensione dei
lavori, la n. 9 del 2010, “aveva valore di comunicazione di
garanzia nei confronti dell’interessato, onde consentire la
partecipazione al procedimento tramite la presentazione di
scritti difensivi e quanto altro”. Anche questa
ricostruzione, tuttavia, non convince.
La richiamata
ordinanza di sospensione n. 9 del 2010, infatti, non attiene
in alcun modo al profilo di avvio dei lavori e del possibile
maturarsi del termine di decadenza, ma enuncia la
problematica della conformità del permesso di costruire
rilasciato rispetto agli artt. 33 e 12 delle NTA del PRG del
Comune di Montespertoli, sicché essa può valere come
comunicazione di avvio di un procedimento di annullamento
d’ufficio per illegittimità del titolo edilizio rilasciato,
non già rispetto all’atto di decadenza qui gravato (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.12.2013 n. 1714 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio non ha motivo di dissentire dal
consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa
che ha ulteriormente ribadito nella decisione di ricorsi
riguardanti il condono di abusi edilizi ricadenti sotto la
disciplina della n. 724 del 1994, che riguardo alle opere
realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione
l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono,
operando diversamente il disposto degli artt. 32 e 33 della
legge n. 47 del 1985 che ammette il condono stesso solo ove
le opere abusivamente realizzate non siano in contrasto con
i vincoli gravanti sull’area interessata dall’abuso,
assoggettandolo così al parere favorevole dell’Autorità
preposta alla tutela del vincolo.
---------------
Il parere della C.E.I. riportato nel provvedimento
impugnato, lungi dall’essere di stile è, seppure
succintamente, adeguatamente motivato sulle ragioni che
ostano alla condonabilità laddove evidenzia “che il
manufatto costituisce danno ambientale per l’eterogeneità
dei materiali e le sue caratteristiche volumetriche che mal
si inseriscono in un contesto paesaggistico collinare di
elevato valore ambientale paesaggistico”.
Si tratta di un giudizio di disvalore che si basa sulla
valutazione concreta delle caratteristiche costruttive
dell’intervento edilizio.
Anche se può accadere –e di fatto spesso accade– che la
connotazione relativa ai materiali utilizzati accomuni una
vasta gamma di interventi abusivi, tanto che la motivazione
adottata dall’autorità preposta alla tutela del vincolo si
presenti spesso “stereotipata” per un gran numero di casi,
siffatta circostanza trova giustificazione proprio nel fatto
che i medesimi elementi pregiudizievoli del paesaggio sono,
in effetti, riscontrabili in numerosi casi esaminati.
---------------
La necessità di una motivazione più penetrante ed esaustiva
si manifesta ineludibile proprio in caso di parere
favorevole (piuttosto che di parere negativo) reso per
modifiche del territorio che sono potenzialmente in
conflitto con i vincoli di protezione ambientale che il
relativo decreto impositivo del vincolo intende tutelare.
---------------
L’eventuale esistenza di altri abusi eventualmente condonati
pur avendo alterato l’originaria cornice ambientale per la
quale è stato imposto il vincolo, non giustifica la
tolleranza di ulteriori offese ai valori ambientali e quindi
l’adozione di un (ulteriore) atto illegittimo.
Quanto al primo motivo il Collegio non ha motivo di dissentire dal
consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa
che ha ulteriormente ribadito nella decisione di ricorsi
riguardanti il condono di abusi edilizi ricadenti sotto la
disciplina della n. 724 del 1994, che riguardo alle opere
realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione
l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono,
operando diversamente il disposto degli artt. 32 e 33 della
legge n. 47 del 1985 che ammette il condono stesso solo ove
le opere abusivamente realizzate non siano in contrasto con
i vincoli gravanti sull’area interessata dall’abuso,
assoggettandolo così al parere favorevole dell’Autorità
preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex multis, TAR
Puglia Bari, sez. II, 22.03.2011 n. 448; Consiglio Stato,
Sez. IV, 22.07.2010 n. 4823).
Relativamente al secondo motivo, va detto che il parere
della C.E.I. riportato nel provvedimento impugnato, lungi
dall’essere di stile è, seppure succintamente, adeguatamente
motivato sulle ragioni che ostano alla condonabilità laddove
evidenzia “che il manufatto costituisce danno ambientale per
l’eterogeneità dei materiali e le sue caratteristiche
volumetriche che mal si inseriscono in un contesto
paesaggistico collinare di elevato valore ambientale
paesaggistico”. Si tratta di un giudizio di disvalore che si
basa sulla valutazione concreta delle caratteristiche
costruttive dell’intervento edilizio. Anche se può accadere
–e di fatto spesso accade– che la connotazione relativa ai
materiali utilizzati accomuni una vasta gamma di interventi
abusivi, tanto che la motivazione adottata dall’autorità
preposta alla tutela del vincolo si presenti spesso
“stereotipata” per un gran numero di casi, siffatta
circostanza trova giustificazione proprio nel fatto che i
medesimi elementi pregiudizievoli del paesaggio sono, in
effetti, riscontrabili in numerosi casi esaminati (cfr., ex plurimis, TAR Toscana, III, 18.01.2010 n. 43; TAR
Toscana, III, 27.11.2006 n. 6052; TAR Toscana, I, 05.10.2006 n. 4228; TAR Toscana, III, 26.02.2002 n.
420).
In concreto parte ricorrente propugna una tesi
interpretativa delle norme che regolano il procedimento
relativo all’espressione del parere di compatibilità
paesaggistica richiesto che si basa sull’inversione
dell’obbligo di motivazione da parte dell’Autorità
competente in caso di parere negativo. In realtà la
necessità di una motivazione più penetrante ed esaustiva si
manifesta ineludibile proprio in caso di parere favorevole
reso per modifiche del territorio che sono potenzialmente in
conflitto con i vincoli di protezione ambientale che il
relativo decreto impositivo del vincolo intende tutelare
(sul punto si richiamano: Cons. Stato, sez. VI, 09.03.2011,
n. 1476; TAR Puglia - Bari, sez. III, 14.01.2011, n. 69; TAR
Toscana, sez. III, 14.05.2010, n. 1473; Cons. Stato, sez. V,
07.09.2009, n. 5232; TAR Toscana, sez. III, 29.01.2009, n. 118;
TAR Toscana, sez. III, 27.11.2006, n. 6052).
Quanto sopra rilevato esclude la fondatezza anche dei
profili attinenti alla disparità di trattamento
genericamente dedotta con riguardo ad un altro abuso
asseritamente qualificato analogo.
Si può aggiungere per
completezza che l’eventuale esistenza di altri abusi
eventualmente condonati pur avendo alterato l’originaria
cornice ambientale per la quale è stato imposto il vincolo,
non giustifica la tolleranza di ulteriori offese ai valori
ambientali e quindi l’adozione di un (ulteriore) atto
illegittimo (cfr. TAR Toscana, III, n. 1952 del 2001 e n.
450 del 2012) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.12.2013 n. 1712 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
La misura del vincolo idraulico varia a seconda che il corso
d’acqua sia disciplinato dal r.d. n. 523/1904 oppure dalle
disposizione sulle bonifiche di cui al r.d. n. 368/1904.
La disciplina delle fasce di rispetto
delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua fonte
normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e
nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali
facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n.
523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art.
133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima
da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d.
523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri.
Scrive il T.S.A.P.: “La disciplina delle fasce di
rispetto delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua
fonte normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e
nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali
facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n.
523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art.
133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima
da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d.
523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri“.
Nel caso del Comune contemplato nella sentenza solo un fiume
rientra nel campo di applicazione del r.d. 523 del 1904,
mentre tutti gli altri corsi d’acqua sono pertinenti alle
bonifiche.
Nel caso specifico, il Comune aveva modificato le n.t.a. del
P.R.G. e il Tribunale ha ritenuto le modifiche apportate
conformi alla normativa statale di riferimento sopra citata
(TSAP,
sentenza 05.12.2013 n. 202 - tratto da e link a http://venetoius.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Dipendenti pubblici: legittimo il divieto di esercitare la
professione forense.
È legittima la normativa nazionale che
prevede l’impossibilità per i dipendenti pubblici part-time
di svolgere contemporaneamente la professione forense.
Così hanno deciso le Sezioni Unite civili, della Corte di
Cassazione, con la
sentenza 05.12.2013 n. 27266.
Nel caso all’esame della Corte, un dipendente del Ministero
dei Trasporti a tempo parziale era iscritto dal 1997
nell’albo degli avvocati, in virtù della disposizione di cui
all’articolo 1, comma 56, della Legge 23.12.1996, n. 662,
che consentiva la doppia attività.
A seguito dell’entrata in vigore della Legge 25.11.2003, n.
339 di modifica della precedente, il ricorrente manifestava
la sua intenzione di continuare a mantenere il rapporto di
pubblico impiego, esercitando nel contempo anche la
professione di avvocato.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza,
ritenendo la sussistenza dell’incompatibilità, ordinava la
cancellazione dell’impiegato dall’albo.
Il dipendente, soccombente avanti al Consiglio nazionale
forense, ricorreva in Cassazione, sostenendo principalmente
che la legge del 2003:
1. introduce un limite all’iscrizione nell’albo degli
avvocati, ma non una sopravvenuta causa di incompatibilità;
2. comporta una lesione del principio di uguaglianza in
quanto viene stabilito un divieto di svolgimento della
professione forense non previsto per situazioni di maggiore
rilevanza pubblicistica, quali l’espletamento delle funzioni
di parlamentare o di ministro;
3. contrasta con il principio di ragionevolezza, tutela
dell’affidamento e della concorrenza e del buon andamento
della P.A.;
4. realizza la c.d. “discriminazione al contrario”,
perché gli avvocati stabiliti o integrati in Italia non
possono essere dipendenti pubblici, ma possono essere
dipendenti di corrispondenti istituzioni pubbliche nello
stato membro ove hanno acquisito la qualifica professionale
di avvocato.
Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, si sono
interrogate, in particolare, sulla possibilità di
un’abrogazione tacita della Legge n. 339/2003 (quanto
all’incompatibilità ivi sancita tra l’esercizio della
professione di avvocato e l’impiego pubblico part-time) per
effetto della normativa successiva (in particolare, D.l.
138/2011 e D.P.R. 137/2012), costituente ius supervenies.
La Suprema Corte ritiene di dover escludere l’intervenuta
abrogazione per il rilievo decisivo che l’incompatibilità
sancita dalla Legge 339/2003 “risponde ad esigenze
specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla
peculiare natura di tale attività privata.. in particolare
la suddetta disciplina mira ad evitare un contrasto tra
interesse privato del pubblico dipendente ed interesse della
p.a. ed è volta a garantire l’indipendenza del difensore
rispetto ad interessi contrastanti con quelli del cliente”.
Inoltre, come già rilevato dalla Corte Costituzionale, la
disciplina in esame, avendo concesso ai dipendenti pubblici
part-time già iscritti all’albo degli avvocati un primo
periodo di durata triennale, onde esercitare l’opzione per
l’uno o per l’altro percorso professionale e poi, ancora, un
altro di durata quinquennale, in caso di espressa scelta in
prima battuta della professione forense, ai fini
dell’eventuale richiesta di rientro in servizio, soddisfa
pienamente i requisiti di non irragionevolezza della scelta
normativa sottesa alla Legge 339/2003.
Infine, gli eventuali effetti anticoncorrenziali della
normativa in oggetto trovano la loro giustificazione alla
luce del rilievo che essi costituiscono l’invitabile
conseguenza della prioritaria esigenza di soddisfare
l’interesse pubblico a difendere i valori fondamentali della
professione di avvocato, quali i principi di indipendenza e
integrità (link a www.altalex.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Avvocato non può divulgare fatti appresi nell’esercizio
della professione.
L’art. 51 codice deontologico forense
(assunzione di incarichi contro ex clienti) oltre a tutelare
l’esigenza di non far conoscere all'esterno fatti personali,
che l'avvocato difensore apprenda per ragioni legate
all'esercizio della sua professione, impedisce all'avvocato
di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta
informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o meno
note all'opinione pubblica, comunque non possono essere
rivelate da un soggetto tenuto al segreto professionale.
In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite civili, della
Corte di Cassazione, nella
sentenza 18.11.2013 n. 25795.
Nel caso all’esame della Suprema Corte, un avvocato aveva
assistito un lavoratore, imputato, a distanza di anni, in un
procedimento penale, in cui il professionista stesso
difendeva ora il querelante. Durante il dibattimento,
l’avvocato in questione aveva rivolto all’ex cliente una
domanda sui fatti riferibili alla causa nella quale aveva
prestato assistenza.
L’ex cliente, allora, aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine
degli avvocati se tale condotta integrasse o meno l’illecito
disciplinare, di cui all’art. 51 ut supra citato.
Il Consiglio dell’Ordine di appartenenza censurava
l’avvocato per aver violato gli obblighi di segretezza,
riservatezza, correttezza e fedeltà propri dell’attività
forense, in quanto la domanda rivolta all’ex cliente durante
il processo penale aveva il precipuo scopo di denigrarlo,
utilizzando fatti conosciuti a causa della difesa
precedentemente svolta (seppur già divulgati dagli organi di
stampa).
Il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione,
sostituendo la sanzione della censura con quella meno grave
dell'avvertimento, sulla base del rilievo che la diffusione
della notizia del licenziamento a mezzo stampa aveva
determinato una riduzione dell’offensività della condotta.
A questo punto, l’avvocato proponeva ricorso per cassazione,
lamentando, in particolare, la genericità del capo d’incolpazione,
con conseguente lesione del diritto di difesa, “perché in
esso si faceva riferimento ai fatti del 2002, mentre in
quell'anno egli aveva prestato la propria attività
defensionale … in due cause”.
Osservano le Sezioni Unite, però, che, come la Corte stessa
ha avuto modo di chiarire in altre pronunce in materia, “nel
procedimento disciplinare a carico degli esercenti la
professione forense, la contestazione degli addebiti non
esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione
dei fatti che integrano l'illecito, essendo, invece,
sufficiente che l'incolpato, con la lettura
dell'imputazione, sia posto in grado di approntare la
propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere
condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli”.
Inoltre, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, già
espresso dal CNF nel provvedimento impugnato, che fa divieto
all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera
scorretta informazioni apprese nell’esercizio della
professione, ancorché già divulgate dagli organi di stampa
(link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 23.12.2013 |
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la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
PUBBLICO IMPIEGO:
R. Lasca,
IL DIPENDENTE PUBBLICO “COLLAUDATORE”
REMUNERATO AGGIUNTIVAMENTE DALLA PROPRIA P.A. DATORIALE O DA
ALTRA P.A. - Quando e quali compensi spettano
esattamente e quale regime pubblicitario vige sulla sezione
Amministrazione trasparente ex D.Lgs. 33/2013? (01.12.2013). |
AUTORITA' VIGILANZA
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Indicazioni agli operatori economici per l’utilizzo del
sistema AVCPASS di cui alla deliberazione n. 111 del
20.12.2012 (Presidente
dell’Autorità,
comunicato 16.12.2013
- link a www.avcp.it).
---------------
Il prossimo 01.01.2014 è previsto l’avvio, in regime di
obbligatorietà, del sistema AVCPASS nelle modalità previste
dalla deliberazione del Consiglio dell’Autorità n. 111 del
20.12.2012 e s.m.i.
Il comunicato fornisce indicazioni agli operatori economici
per l’utilizzo del sistema AVCPass. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
MATERIALI DA SCAVO - PROCEDURE SEMPLIFICATE INTRODOTTE DAL
“DECRETO DEL FARE” DAL 21.08.2013 - MODULISTICA PREDISPOSTA
DA ANCE LOMBARDIA (20.12.2013 - link a
www.ancebrescia.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Istruzioni per la Valutazione Affidabilistica della
Sicurezza Sismica di Edifici Esistenti (Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Commissione di studio per la
predisposizione e l'analisi di norme tecniche relative alle
costruzioni, 10.10.2013). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Determinazione,
per l’anno 2014 dei canoni da porre a base d’asta per
l’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica mediante
escavazione di materiale inerte dagli alvei dei corsi
d’acqua" (decreto
D.G. 19.12.2013 n. 12450). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Settimo
aggiornamento 2013 dell’elenco degli enti locali idonei
all’esercizio delle funzioni paesaggistiche (l.r. 12/2005,
art. 80)" (deliberazione
G.R. 17.12.2013 n. 12301). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Approvazione
delle modalità per la presentazione telematica delle domande
per il riconoscimento della figura di tecnico competente in
acustica ambientale" (decreto
D.S. 17.12.2013 n. 12284). |
INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
20.12.2013 n. 298 "Regolamento recante determinazione dei
corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di
affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi
all’architettura ed all’ingegneria" (Ministero
della Giustizia,
decreto 31.10.2013 n. 143). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: G.U.
20.12.2013 n. 298 "Modalità per la pubblicazione dello
scadenzario contenente l’indicazione delle date di efficacia
dei nuovi obblighi amministrativi introdotti, ai sensi del
comma 1 -bis dell’articolo 12, del decreto legislativo
14.03.2013, n. 33" (D.P.C.M.
08.11.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 19.12.2013,
"Direttiva per l’individuazione degli agglomerati, ai
sensi dell’art. 44 comma 1, lettera c), della l.r.
12.12.2003 n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse
economico generale. Norme in materia di gestione dei
rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse
idriche" (deliberazione
G.R. 12.12.2013 n. 1086). |
PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 18.12.2013,
"Approvazione iniziativa anno 2014 per l’accesso ai
contributi in conto capitale a fondo perduto per la
riqualificazione delle palestre scolastiche di uso pubblico
esistenti" (decreto
D.S. 13.12.2013 n. 12217). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 17.12.2013, "Approvazione
della modulistica per la presentazione della richiesta di
autorizzazione unica (AU) per la costruzione, installazione
ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica
alimentati da fonti rinnovabili di cui al punto 3.5 della
d.g.r. 3298/2012" (decreto
D.S. 06.12.2013 n. 11674). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 16.12.2013,
"Individuazione della data per lo svolgimento della Giornata
del verde pulito 2014 (l.r. 14/1991, art. 1)" (decreto
P.G.R. 11.12.2013 n. 12052). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
16.12.2013 n. 294 "Regolamento concernente specifiche
procedure autorizzative, con tempistica accelerata ed
adempimenti semplificati, per i casi di realizzazione di
impianti di produzione da fonti rinnovabili in sostituzione
di altri impianti energetici, anche alimentati da fonti
rinnovabili" (Ministero dello Sviluppo Economico,
decreto 09.10.2013 n. 139). |
APPALTI: G.U.U.E.
14.12.2013 n. L 335/17 "REGOLAMENTO
(UE) N. 1336/2013 DELLA COMMISSIONE del 13.12.2013
che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e
2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo
alle soglie di applicazione in materia di procedure di
aggiudicazione degli appalti". |
ENTI LOCALI - PATRIMONIO:
G.U. 14.12.2013 n. 293 "Testo
del decreto-legge 15.10.2013, n. 120, coordinato con la
legge di conversione 13.12.2013, n. 137, recante:
«Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica
nonché in materia di immigrazione»".
---------------
Di particolare interesse, si legga:
► Art. 2-bis - Facoltà di recesso delle pubbliche
amministrazioni da contratti di locazione |
VARI: G.U.
13.12.2013 n. 292 "Modifica del saggio di interesse
legale, con decorrenza dall'01.01.2014" (Ministero
dell'Economia e delle Finanze,
decreto 12.12.2013).
---------------
La misura del saggio degli interessi legali di cui
all’articolo 1284 del codice civile è fissata all’1 per
cento in ragione d’anno, con decorrenza dall'01.01.2014. |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 12.12.2013, "Approvazione
del programma di interventi di manutenzione straordinaria
nelle aree protette regionali e di conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche, nei siti di rete natura 2000. Biennio
2014/2015"
(deliberazione
G.R. 05.12.2013 n. 1030). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013,
"Modalità procedurali per l’approvazione e
l’autorizzazione dei progetti di bonifica dei siti
contaminati che prevedano opere sottoposte a valutazione di
impatto ambientale (VIA) e a verifica di assoggettabilità a
VIA, di cui agli allegati A e B della l.r. 5/2010, in
ottemperanza al comma 2 dell’art. 32 della l.r. 7/2012" (deliberazione
G.R. 05.12.2013 n. 1048). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013,
"Adozione delle misure di conservazione relative ai siti
di interesse comunitario e delle misure sito-specifiche per
46 siti di importanza comunitaria (SIC), ai sensi del d.p.r.
357/97 e s.m.i. e del d.m. 184/2007 e s.m.i." (deliberazione
G.R. 05.12.2013 n. 1029). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 10.12.2013, "Pubblicazione
ai sensi dell’articolo 5 del regolamento regionale
21.01.2001, n. 1, dell’elenco dei tecnici competenti in
acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia
alla data del 30.11.2013, in attuazione dell’articolo 2,
commi 6 e 7, della legge 26.10.1995, n. 447 e della
deliberazione di Giunta regionale 06.08.2012, n. IX/3935" (comunicato
regionale 05.12.2013 n. 142). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
10.12.2013 n. 289 "Disposizioni urgenti dirette a
fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a
favorire lo sviluppo delle aree interessate" (D.L.
10.12.2013 n. 136).
---------------
Di particolare interesse, si legga:
►
Art. 3 - Combustione illecita di rifiuti |
APPALTI SERVIZI:
Costo orario dei dipendenti da imprese e società
esercenti servizi ambientali per il settore pubblico, con
riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale
FEDERAMBIENTE, e per il settore privato, con riferimento ai
CCNL aventi come parte datoriale ASSOAMBIENTE- Sezione
Rifiuti Urbani, a valere dai mesi di luglio e di ottobre
2013 (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali,
decreto 22.11.2013). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
A. De Mestria,
Le energie rinnovabili (SOMMARIO: 1. Le fonti. 2. Il
conflitto d’interessi tra proprietà privata e tutela
paesaggistica. 3. Proprietà, impresa e fiscalità)
(16.12.2013 - link a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
L. M. Musso,
Occupazione appropriativa, occupazione acquisitiva e
accessione invertita: la fine di un'epoca (11.12.2013
- link a www.diritto.it). |
VARI: A.
Concas,
L’Usucapione, caratteri e disciplina giuridica
(09.12.2013 - link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Mantraga,
E’ illegittimo il diniego di trasferimento ex L. 104/1992 se
l’amministrazione non motiva in ordine all’asserita assenza
del requisito della indisponibilità all’assistenza da parte
di altri familiari (09.12.2013 - link a
www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: A.
Zambelli,
Licenziamento per il lavoratore che viola il
diritto alla riservatezza (Guida al
Lavoro n. 48/2013 - tratto da
http://static.ilsole24ore.com). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
APPALTI:
Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli appalti
pubblici dall'01.01.2014 (ANCE Bergamo,
circolare 20.12.2013 n. 278). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Modifiche in tema di appalti pubblici introdotti
dal cosiddetto “decreto del fare”. Specificazioni (ANCE
Bergamo,
circolare 20.12.2013 n. 277). |
EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI:
OGGETTO: Impianti fotovoltaici – Profili catastali e
aspetti fiscali (Agenzia delle Entrate,
circolare 19.12.2013 n. 36/E).
---------------
Pannelli solari: ecco la circolare che mette accordo tra
fisco e catasto.
Tra la vasta casistica affrontata dal
documento di prassi, specifica attenzione è rivolta al
trattamento tributario delle tariffe incentivanti previste
dal V Conto Energia.
L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 36/E del
19 dicembre, fa il punto sugli impianti per la produzione di
energia fotovoltaica, focalizzandosi, in particolare, sulle
conseguenze che derivano in materia catastale e tributaria a
seconda della qualificazione degli stessi come beni mobili o
immobili.
In via preliminare, per quanto riguarda i profili catastali,
l’odierno documento di prassi evidenzia come, ai fini del
censimento in catasto, non assume rilievo esclusivo la
facile amovibilità delle componenti degli impianti
fotovoltaici, né la circostanza che possano essere
posizionate in altro luogo mantenendo inalterata la loro
originale funzionalità e senza antieconomici interventi di
adattamento (circolare n. 4/T del 2006).
Dal punto di vista fiscale, invece, il requisito
dell’amovibilità ai fini della qualificazione degli impianti
fotovoltaici come beni mobili è essenziale (circolari n.
46/E del 2007 e n. 38/E del 2008).
Tale diversa impostazione ha pertanto reso opportuno un
intervento per dirimere le incertezze degli operatori. (...
continua) (link a www.fiscooggi.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
OGGETTO: Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge
n. 212 del 2000 – Imposta di bollo nell'ambito del Mercato
elettronico della Pubblica amministrazione (Agenzia
delle Entrate,
risoluzione 16.12.2013 n. 96/E).
---------------
Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Mercato
elettronico della PA, forniture digitali con bollo.
Sono da assoggettare a imposta di
bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in
formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori della
pubblica amministrazione sulla piattaforma del MEPA.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n.
96/E/2013.
La risoluzione risponde a un’istanza di interpello in merito
al corretto trattamento tributario applicabile, ai fini
dell’imposta di bollo, ai documenti di offerta e
accettazione per l’approvvigionamento di beni e servizi
scambiati tra Enti e fornitori all’interno del Mercato
Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA).
La società istante, nel dettaglio, ritenendo lo scambio
telematico tra le due parti non equiparabile alla
conclusione di un vero e proprio contratto riteneva che i
documenti in parola potessero essere ricondotti nell’ambito
di applicazione dell’art. 24 della Tariffa, parte seconda,
allegata al D.P.R. n. 642/1972 (nel novero degli atti sotto
forma di corrispondenza, dispacci telegrafici, ecc.) con
conseguente assoggettamento a imposta di bollo solo in caso
d’uso.
Di diverso avviso l’Agenzia delle entrate, secondo la quale
gli accordi in questione sono equiparabili a una scrittura
privata, da assoggettare a imposta di bollo ai sensi
dell’art. 2 della Tariffa, parte prima.
Occorre evidenziare, infatti, che nel MEPA possono accedere,
oltre alle pubbliche amministrazioni, esclusivamente aziende
fornitrici che siano state previamente abilitate a
presentare i propri beni o servizi, offerti sul sistema in
forma di cataloghi. Secondo la risoluzione pertanto, i
fornitori abilitati formulano, anche a seguito di specifiche
richieste da parte della pubblica amministrazione, delle
offerte pubbliche di beni e servizi. A seguito della
presentazione di tali offerte, la pubblica amministrazione
individua quella che risulta conforme alle proprie
richieste, procedendo alla conclusione del contratto,
tramite apposito “documento di stipula”. E tale documento,
benché recante la sola firma digitale dell’amministrazione,
può ritenersi sufficiente ad instaurare il rapporto
contrattuale, non essendo la controparte tenuta a
manifestare ulteriormente la propria volontà in tal senso.
Infine, la risoluzione ricorda che l’imposta assolta in
relazione a tale documento potrà essere addebitata al
soggetto che presenta l'offerta.
A pagare il bollo sarà dunque il fornitore aggiudicatario,
il quale è responsabile del corretto assolvimento del
tributo, come previsto dall’art. 53 del Regolamento sul
sistema di e-procurement della Pubblica Amministrazione.
Non scontano l’imposta di bollo, infine, le offerte
economiche presentate dagli operatori che non siano seguite
dall’accettazione da parte della PA (commento tratto da
www.ipsoa.it).
---------------
PA: non evitano l’imposta di bollo le forniture tramite
mercato digitale.
Gli scambi di documenti elettronici tra le parti confermano
il rapporto contrattuale e si concludono con la stipula di
un contratto che ha valore di scrittura privata.
Pagano l’imposta
di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in
formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori
all’interno del Mercato elettronico della pubblica
amministrazione (Mepa) per l’approvvigionamento di beni e
servizi.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n.
96/E del 16 dicembre, a una società che ritiene lo scambio
telematico tra le due parti non equiparabile alla
conclusione di un vero e proprio contratto, perché sul
documento conclusivo compare soltanto la firma digitale di
chi lo ha emesso, mentre manca la firma della controparte.
Questa circostanza, secondo l’interpellante, farebbe
ricadere l’atto non tra quelli indicati nell’articolo 2
della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642/1972, che
stabilisce l’applicazione dell’imposta di bollo per le
“Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni
anche unilaterali con le quali si creano, si modificano, si
estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici
di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari
destinati a far prova tra le parti che li hanno
sottoscritti”, ma tra quelli del successivo articolo 24
della tariffa, parte seconda, per i quali il tributo è
previsto solo in caso d’uso, ossia gli “Atti e documenti di
cui all'articolo 2 redatti sotto forma di corrispondenza o
di dispacci telegrafici, ancorché contenenti clausole di cui
all' articolo 1341 del codice civile”. (... continua) (link
a www.fiscooggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Rendimento energetico in edilizia - Attestato di
Prestazione Energetica (APE) - Studio n. 657-2013/C a cura
del Consiglio Nazionale del Notariato
(Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati,
nota 06.12.2013 n. 13132 di prot.). |
VARI:
Oggetto: Obbligo di catene o pneumatici da neve su strade
di competenza della Provincia di Bergamo (ANCE Bergamo,
circolare 13.12.2013 n. 267). |
SICUREZZA LAVORO:
Oggetto: Uso di scale a pioli nelle attività di cantiere
(ANCE Bergamo,
circolare 13.12.2013 n. 266). |
ENTI
LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Relazione del responsabile della prevenzione della
corruzione - chiarimenti (12.12.2013 - link a
www.funzionepubblica.gov.it). |
ENTI LOCALI:
Oggetto: Provvedimenti inerenti le gestioni associate
(ANCI Veneto,
nota 11.12.2013 n. 3503
di prot.). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: interpello ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n.
124/2001 – D.M. 24.10.2007 – cause ostative (Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali,
interpello 11.12.2013 n. 33/2013).
---------------
Rispondendo a una richiesta di interpello avanzata dal
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro,
il Ministero ha precisato che, in presenza di violazioni
definitivamente accertate, l’impresa non può ottenere il
DURC per il godimento di benefici normativi e contributivi
per un periodo di tempo fino a 24 mesi e che tale periodo
decorre dal momento in cui gli illeciti sono definitivamente
accertati con sentenza passata in giudicato o con ordinanza
ingiunzione non impugnata.
Una volta esaurito il periodo di non rilascio del DURC
l’impresa potrà tornare a godere dei benefici normativi e
contributivi, compresi quelli di cui è ancora possibile
fruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali
(commento tratto da www.lavoro24.ilsole24ore.com). |
TRIBUTI:
OGGETTO: Esenzione dall’imposta municipale propria (IMU)
per il cd “magazzino” delle imprese edili. Quesito
(Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle
Finanze, Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo
Fiscale,
risoluzione 11.12.2013 n. 11/DF). |
APPALTI:
Contratto pubblico di appalto in modalità
elettronica: proposta di Intesa.
La Conferenza delle Regioni in relazione al Contratto
pubblico di appalto in modalità elettronica ha approvato,
nella riunione del 05.12.2013, un
proposta di intesa Governo-Regioni-ANCI.
Tale documento è stato consegnato al Governo in occasione
della discussione in Conferenza Unificata dell’Intesa sulle
modalità di stipula dei contratti pubblici conclusi ai sensi
dell’articolo 6, comma 3, del decreto legge 18.10.2012, n.
179, convertito dalla legge 17.12.2012 n. 221 (tratto da
www.regioni.it).
---------------
La disposizione di cui all’articolo 11, comma 13, del
d.lgs. 12.04.2006 n. 163 così come modificata
dall’articolo 6 del decreto legge 18.10.2012 n. 179,
stabilisce che a partire dal 01.01.2013 "Il contratto è
stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma
pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante
dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura
privata”.
Il presente documento è finalizzato ad
offrire alle pubbliche amministrazioni indicazioni per
affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi
derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei
contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di
lavori, servizi e forniture.
A fini di inquadramento è opportuno evidenziare come il
contratto stipulato in modalità elettronica sia
riconducibile ai concetti più generali di documento
informatico, di cui al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82
Codice dell’Amministrazione Digitale ed alle relative regole
tecniche in corso di emanazione.
Il contratto stipulato in modalità elettronica è formato
tramite l’utilizzo di appositi strumenti software oppure
tramite acquisizione della copia per immagine su supporto
informatico di un contratto cartaceo.
Le indicazioni contenute nel presente documento possono
essere adottate anche per la stipula di accordi fra
amministrazioni di cui all’art. 15 L. 241/1990. (...
continua)
---------------
Obbligo dei contratti d’appalto in modalità elettronica:
arrivano le linee guida su come operare.
L’articolo 11, comma 13, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei
Contratti, come modificato dal D.L. 179/2012) stabilisce che
dall'01.01.2013 i contratti d’appalto debbano essere
stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile
informatico, ovvero in modalità elettronica secondo le norme
vigenti.
Con circa un anno di ritardo rispetto alla scadenza, la
Conferenza unificata nella seduta del 05.12.2013 ha definito
le modalità di stipula dei contratti elettronici con
apposite linee guida.
Il documento fornisce le indicazioni per affrontare i
diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla
stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici
relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e
forniture.
Secondo le nuove regole, il contratto deve essere generato
tramite l’uso di software o attraverso l’acquisizione
informatica del contratto cartaceo su supporto informatico.
Il contratto stipulato in modalità elettronica deve assumere
le caratteristiche di integrità e immodificabilità, in modo
che forma e contenuto non siano alterabili e ne sia
garantita l’integrità nella fase di conservazione.
Le tipologie di firma elettronica da utilizzare sono:
●
la firma digitale
●
la
firma elettronica qualificata
●
la firma elettronica avanzata
Per garantire l’interoperabilità, l’accesso e la leggibilità
dei documenti elettronici, i documenti dovranno essere
preferibilmente in uno dei seguenti formati:
●
pdf
●
rtf
●
txt
●
jpeg
●
xml
Vengono, inoltre, fornite indicazioni in merito a:
►
firma digitale del pubblico ufficiale rogante
►
firme elettroniche qualificate e digitali
►
acquisizione digitale della sottoscrizione autografa
►
atto pubblico amministrativo a mezzo Ufficiale Rogante
►
scritture private autenticate
►
scrittura privata
►
aggregato documentale informatico (12.12.2013 -
commento tratto da www.acca.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Oggetto:
Sentenza TAR Veneto n. 1312//2013, Ordine Ingegneri Verona
c/Comune Torri del Benaco e nei confronti Collegio Geometri
Verona - Deliberazione comunale n. 96, 09.07.2012
(Consiglio Nazionale Geometri e Geometri e Geometri
Laureati,
nota 28.11.2013 n. 12759 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Registrazione contratti di locazione a seguito
dell’introduzione dell’obbligo di allegazione dell’Attestato
di prestazione energetica (APE) (Agenzia delle Entrate,
risoluzione 22.11.2013 n. 83/E).
---------------
Attestato di prestazione energetica
senza bollo né registro
Niente bollo né imposta di registro sull'Attestato di
prestazione energetica (Ape), che dal 2013 va allegato
obbligatoriamente agli atti di trasferimento a titolo
gratuito e ai contratti di vendita e di locazione di
immobili.
Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione
22.11.2013 n. 83/E scorso, che risponde ai dubbi dei
contribuenti sul regime tributario da applicare
all’Attestato al momento della registrazione dei contratti
di affitto. La registrazione può avvenire in formato
cartaceo presso un ufficio dell’Agenzia, oppure per via
telematica, tramite le applicazioni online Locazioni web,
Siria e Iris.
L’attestato di prestazione energetica, allegato in originale
o in copia semplice, non è soggetto a imposta di bollo,
eccetto il caso in cui si tratti di una copia con
dichiarazione di conformità all’originale rilasciata da un
pubblico ufficiale. L’imposta di registro, infine, è dovuta
solo nel caso in cui, dopo aver registrato il contratto di
locazione, il contribuente decide di registrare l’Ape per
dare data certa all’attestato (commento tratto da
www.agenziaentrate.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: D.Lgs. n. 42/2004 - art. 146 - parere tardivo
della Soprintendenza e autorizzazione paesaggistica
(Mibac, Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti,
l'Architettura e l'Arte Contemporanea,
circolare 07.12.2011 n. 27). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: D.L. n. 70 del 2011 - Modifiche al procedimento
di autorizzazione paesaggistica
(Mibac, Segretariato Generale,
circolare 19.09.2011 n. 27). |
CORTE DEI CONTI |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
La Sezione ritiene che la
previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006
contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al
principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi
una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a
quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi
fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali – a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica.
---------------
Il Sindaco del Comune di Campagna Lupia (VE), formula a
questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi
dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito
alla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del
D.Lgs. n. 163/2006, in particolare:
- “se il riferimento ad "un atto di pianificazione"
contenuto al comma 6 dell'art. 92 è da intendersi limitato
agli atti che abbiano ad oggetto la pianificazione collegata
alla realizzazione di opere pubbliche (es. varianti per la
localizzazione di un'opera) con esclusione, quindi, degli
atti di pianificazione generale quali il Piano di Assetto
del Territorio e il Piano degli Interventi di cui alla L.R.
11/2004”;
- “se il Piano degli Interventi di cui alla L.R. 11/2004
art. 17, dovendosi rapportare con il Bilancio Pluriennale
Comunale, con il programma triennale delle opere pubbliche e
con altri strumenti comunali settoriali previsti da leggi
statali e regionali, nonché prevedendo al suo interno
l'individuazione di ambiti destinati ad opere pubbliche a
seguito di accordi pubblico/privato e di accordi di
programma di cui agli artt. 6 e 7 della medesima legge,
possa essere comunque considerato oggetto di pianificazione
collegato alla realizzazione di opere pubbliche”;
- “se l'attività di redazione di un Piano di cui alla L.R.
11/2004 (Piano di Assetto del Territorio - Piano degli
Interventi) possa essere affidata in parte al personale
interno e in parte attribuita all'esterno riducendo
proporzionalmente il premio incentivante attribuito ai
dipendenti.”
A tal fine il legale rappresentante del comune premette che:
“L'art. 92 del decreto legislativo 12/04/2006 n. 163 con
riferimento all'incentivo al personale per la progettazione
interna, al comma 6 disciplina tale incentivo con
riferimento agli atti di pianificazione, disponendo
solamente che "Il trenta per cento della tariffa
professionale relativa alla redazione di un atto di
pianificazione comunque denominato è ripartito, con le
modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al
comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice
che lo abbiano redatto".
Con deliberazione n. 337/2011/PAR
codesta Corte ha sottolineato la presenza dell'aspetto
urbanistico degli "atti di pianificazione" citati dalla
norma in questione: "come nell'individuazione, scaturente
dalla formulazione della norma, dei soggetti potenzialmente
beneficiari dell'incentivo, puntualmente remunerati in
materia di lavori pubblici, in materia urbanistica si ha
invece un impreciso e generico riferimento ai "dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che .... abbiano
redatto"... "un atto di pianificazione comunque denominato"
nonché "la maggiore complessità che appare, come detto,
nella valutazione del legislatore, superiore nel caso di
pianificazione urbanistica rispetto a quella di
progettazione di opera pubblica".
In base a recenti pareri
di altre Sezioni della Corte dei Conti (Puglia n. 1/2012,
Lombardia n. 72 e n. 452/2012, Toscana n. 213/2011, Piemonte
n. 290/2012) sembrerebbe che l'applicazione della
possibilità di premio relativa "alla redazione di un atto di
pianificazione comunque denominato" sia esclusiva al solo
settore dei lavori pubblici, escludendo le attività pianificatorie non attinenti alla progettazione di opere
pubbliche”.
...
4. Conclusivamente la Sezione ritiene che la previsione
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una
esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di
onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione
derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta
nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali – a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica
(Corte dei Conti, Sez. controllo veneto,
parere 03.12.2013 n. 382). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: La
Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del
D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di
incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività.
La norma introduce quindi una previsione derogatoria
autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5,
ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali – a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica.
---------------
Il Sindaco del Comune di Bassano del Grappa (VI), formula a
questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi
dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito
alla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della
tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di
pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i
dipendenti che lo hanno redatto.
In particolare si chiede “se l'attività di pianificazione
(pianificazione urbanistica (P.A.T., P.I., P.A.T.I.) e
relative varianti ovvero atti di pianificazione come il
piano del traffico urbano, il piano acustico comunale, il
piano di illuminazione pubblica, progetti di accordo
pubblico-privato di rilevante interesse pubblico da recepire
nello strumento urbanistico ex art. 6 L.R.V. n. 11/2004, atti
tutti ultimi citati di pianificazione comunque denominata
che si contemperano e si integrano con la pianificazione
urbanistica generale) debba essere direttamente ed
immediatamente collegata alla progettazione e realizzazione
di una puntuale opera pubblica o di rilevante interesse
pubblico; o se, invece, l'attività di pianificazione può
essere ricondotta alla progettazione e realizzazione, in via
generale ed astratta, "anche" di opere pubbliche o di
rilevante interesse pubblico in via mediata ed in una
prospettiva prodromica e funzionale alle stesse, così
assolvendo alla sua tipica funzione di pianificazione
complessa, variegata e multidisciplinare necessariamente
futura e generale del tessuto urbano che contempla, quindi,
anche lavori e opere pubbliche.
In quest'ultimo senso,
difatti, sì è espressa anche I'AVCP con parere 21.11.2012 n.
22 (AG 22/12) con il quale ha sostenuto l'inerenza, sia pure
in forma mediata, alle opere ed impianti pubblici della
pianificazione urbanistica” (…..…) ”Se, infatti, la ratio
della norma in oggetto è quella di incentivare i dipendenti
pubblici a svolgere attività di progettazione interna agli
uffici attinente alla realizzazione di opere pubbliche (art.
92, comma 5) e ad atti di pianificazione (art. 92, comma 6);
di valorizzare la complessità e diretta redazione di tali
atti quale maggior valore aggiunto e di carattere aggiuntivo
rispetto all'ordinaria attività d'ufficio; di diminuire i
costi di detta progettazione auspicando quindi prima il
ricorso al personale interno e solo dopo a professionisti
esterni; che, quindi, in definitiva, la ratio della norma è
quella di valorizzare, premiandolo, il valore aggiunto e la
professionalità del personale interno realizzando nel
contempo economie di spesa, visto che l'affidamento
all'esterno sarebbe maggiormente oneroso. Allora, se è vero
quanto sopra, nelle ipotesi delineate dovrebbe essere
legittimo, previo incarico aggiuntivo, corrispondere al
personale interno tale incentivo”.
In definitiva, si chiede “se l'incarico di redazione di atti
di pianificazione comunque denominati (pianificazione
urbanistica (P.A.T., P.I., P.A.T.1.) e relative varianti
ovvero atti di pianificazione come il piano del traffico
urbano, il piano acustico comunale, il piano di
illuminazione pubblica, progetti di accordo pubblico-privato
di rilevante interesse pubblico da recepire nello strumento
urbanistico ex art. 6 L.R.V. n. 11/2004, atti questi ultimi di
pianificazione comunque denominata che si contemperano e si
integrano con la pianificazione urbanistica generale)
costituisce deroga al principio generale della
onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti
pubblici e pertanto se può essere incentivato ai sensi
dell'art. 92, comma 6”.
...
4. Conclusivamente la Sezione ritiene che la previsione
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una
esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di
onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione
derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta
nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali – a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica
(Corte dei Conti, Sez. controllo veneto,
parere 03.12.2013 n. 381). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: La Sezione ritiene che la previsione
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una
esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di
onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione
derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta
nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali –a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica- non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica.
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Il Sindaco del Comune di Dueville (VI), formula a questa
Sezione una richiesta di parere, ai sensi dell'articolo 7,
comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta
interpretazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.
163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa
professionale relativa alla redazione di un atto di
pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i
dipendenti che lo hanno redatto.
Nello specifico si chiede
“quali atti di pianificazione urbanistica possano essere
oggetto di attribuzione dell'incentivo di cui all'art. 92,
comma 6, del Codice dei contratti pubblici e, in
particolare, se possano essere compresi atti diversi da
quelli "intimamente connessi" alla realizzazione di opere e
lavori pubblici”.
Il Sindaco premette che “sulla corretta
applicazione della disposizione di cui all'art. 92, comma 6,
del Codice dei contratti, in merito alla previsione
incentivante la progettazione urbanistica, si è formato nel
tempo un contrasto interpretativo:
- Secondo una tesi più restrittiva, è stata esclusa la
possibilità di riconoscere l'incentivo alla progettazione
urbanistica ex se, dovendo concorrere -insieme alla
redazione dell'atto di pianificazione- requisito ulteriore
individuato nella "intima connessione” tra lo strumento
urbanistico in corso di formazione e la realizzazione di
un'opera pubblica, per cui l’incentivo spetta all'Ufficio
solo ove sussista progettazione finalizzala alla costruzione
dell'Opera pubblica progettata e, quindi, il diritto
all'incentivo sussiste solo per l'attività di redazione
interna della variante puntuale propedeutica
all'approvazione dell'opera pubblica, non invece in ipotesi
di variante generale allo strumento urbanistico o
territoriale (cfr. ex plurimis, Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per il Piemonte, delibera n.
290/2012/SRCPIE/PAR del 29.08.2012; Corte dei conti,
sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera n.
452/2012/PAR del 23.10.2012 e delibera n. 72/2013/PAR
del 26.02.2013);(…..)
- Secondo altra ricostruzione, invece, viene affermata
l’applicabilità dell’art. 92, comma 6, del Codice dei
contratti alle attività di pianificazione "comunque
denominata", a prescindere dalla natura (puntuale o
generale) dello strumento in corso di formazione (cfr.
Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, deliberazione
21.11.2012, AG22/2012). Anche taluni pronunciamenti
delle Sezioni regionali della Corte dei Conti si sono
espressi in senso non difforme dall'AVLP: tra le altre,
codesta ill.ma Sezione di controllo per il Veneto, con
deliberazione n. 337/2011/PAR del 25.07.2011, ha
ritenuto che “(….) il comma 6 (…) (dell’art. 92 del Codice, n.d.r.) ha una valenza ben più ampia, esprimendo la
qualificazione operata dalla vigente normativa dell’attività
di pianificazione urbanistica e la similitudine con la
progettazione di lavori pubblici (…)”. (…). In conclusione,
secondo l'orientamento ora richiamato, la redazione di uno
strumento urbanistico o di una variante fa sorgere il
diritto all'incentivo anche ove non puntuale, anche se non
strumentale alla sola realizzazione di una singola opera
pubblica.
- Sul contrasto interpretativo si è espressa recentemente
anche l'ANCI della Regione Toscana che, in un documento del
20.06.2013, ha ritenuto che concorrenti e sostanziali
ragioni inducono a fondare, nell'art. 92, comma 6, D.lgs.
163/2006 il diritto del pubblico dipendente che ha redatto
l'atto a compartecipare, secondo i criteri e le modalità
stabilite nella fonte regolamentare locale, all'incentivo
per la progettazione Urbanistica o territoriale prestata,
anche ove di carattere non puntuale: in questo senso
inducono, inequivocabilmente, la ratio legis,
l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma,
l'evoluzione della previsione legislativa e l'esame dei
lavori preparatori, nonché -non per ultime- evidenti
ragioni sistematiche concernenti la straordinarietà
dell'impegno conseguente all'affidamento interno
dell'incarico di progettazione urbanistica generale”.
...
4. Conclusivamente la Sezione ritiene che la previsione
dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una
esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di
onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione
derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta
nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla
analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla
verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei
contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione
testuale della norma (atto di pianificazione comunque
denominato), nonché dalla previsione di una diversa
commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in
tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni
di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello
normativo nella documentazione che viene allegata alle
varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche
puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere
pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio
comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in
particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art.
36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione
generali –a differenza di quelle di progettazione di opera
pubblica- non sono ascrivibili alla specifica competenza di
un solo soggetto, ma richiedono una attività
multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna
attese le tassatività delle competenze professionali
stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque
una intensa attività di coordinamento che trova esplicita
conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle
modalità e criteri del regolamento di cui al comma
precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente
diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera
pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata
quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di
pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo
collegamento con un’opera pubblica (Corte dei Conti, Sez. controllo
veneto,
parere 03.12.2013 n. 380). |
QUESITI & PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Società operante in procedura semplificata nel settore del
recupero dei rifiuti.
Domanda
Sono il legale
rappresentante di una società che gestisce un impianto di
recupero che opera in procedura semplificata per la
formazione di rilevati e sottofondi stradali.
Di recente la provincia ha emanato alcuni provvedimenti con
i quali ha sostenuto che gli aggregati riciclati derivanti
da impianti operanti in procedura semplificata possono
essere utilizzati esclusivamente come materia prima
secondaria per l'edilizia e non per la formazione di
rilevati e sottofondi stradali.
Questa presa di posizione determina un grave danno per la
mia impresa: è corretta questa interpretazione?
Risposta
No,
l’interpretazione fornita dalla provincia non è corretta, e
il provvedimento nel quale è contenuto può essere dichiarato
illegittimo.
Di recente una questione analoga è stata affrontata dal TAR
di Milano, che con un’ordinanza ha accolto la richiesta di
alcune società, come la Sua operanti in procedura
semplificata nel settore del recupero dei rifiuti, che hanno
impugnato innanzi al GA un analogo atto della provincia, che
nei fatti ha impedito l’utilizzo degli aggregati riciclati
per la formazione di rilevati e sottofondi stradali. Il TAR
ha affermato che tali provvedimenti si fondano su una
normativa (DM 05.02.1998) dalla quale non emerge una
differenza rigorosa tra recupero dei materiali che devono
essere utilizzati per l’edilizia e quelli per la formazione
di sottofondi stradali, mentre è evidente la sostanziale
irragionevolezza nel discriminare:
a) la messa in riserva per la produzione di materie prime
secondarie per l’edilizia;
b) l’utilizzo per la realizzazione di rilevati e sottofondi
stradali e ferroviari e aeroportuali (previo trattamento)
dei rifiuti di cui al punto 7.1.1. del cit. DM 05.02.1998.
Già nel 2005 il ministero dell’ambiente, con una circolare
(n. 5205), nel dare indicazioni per l’operatività nel
settore edile, stradale e ambientale ai sensi del DM
203/2003, e nel fornire i criteri tecnici e prestazionali
che i materiali e i manufatti riciclati devono possedere per
ottenere l’iscrizione nel repertorio del riciclaggio, ha
fornito un elenco, non esaustivo, dei possibili riutilizzi
degli aggregati riciclati, fra i quali rientra a pieno
titolo la realizzazione del corpo dei rilevati stradali, dei
sottofondi stradali, degli strati di fondazione, recuperi
ambientali (13.12.2013 - tratto da www.ispoa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Incompatibilità tra carica politica e funzione
amministrativa. Forme collaborative.
Sussiste una causa d'incompatibilità tra
titolare di posizione organizzativa e componente della
giunta o del consiglio comunale di comune con popolazione
superiore ai 15.000 abitanti.
Il Comune chiede se sussista una causa d'incompatibilità tra
l'incarico di titolare di posizione organizzativa, in Comune
privo di figure dirigenziali, che fa parte di una
associazione intercomunale e la carica di componente della
Giunta o del Consiglio comunale in un diverso Comune, il
quale fa parte della medesima forma collaborativa in parola.
Sentito il Servizio elettorale di questa Direzione centrale,
si formulano le seguenti osservazioni.
Com'è noto, le cause d'incompatibilità, come precisato anche
dalla Corte costituzionale (sent. 201/2003), sono poste a
tutela dell'art. 97 della Costituzione e quindi a garanzia
dell'efficienza ed imparzialità dell'azione amministrativa.
A tale proposito, l'art. 12, comma 4, del decreto
legislativo 39/2013 così prevede: 'Gli incarichi
dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche
amministrazioni...di livello provinciale o comunale sono
incompatibili:...b) con la carica di componente della giunta
o del consiglio di...un comune con popolazione superiore ai
15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi
la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione
dell'amministrazione locale cha ha conferito l'incarico;...'.
Posto che, nel caso di specie, il titolare di PO lo è in 'un
Comune privo di figure dirigenziali', si ritiene che
egli rientri nella nozione di 'dirigente interno'
della PA, usata nell'art. 12, comma 4, del d.lgs. 39/2013.
Infatti, ai sensi del precedente art. 1, comma 2, lett. j),
del d.lgs. 39/2013 negli 'incarichi dirigenziali interni'
rientrano gli incarichi comunque denominati che comportano
l'esercizio in via esclusiva delle competenze di
amministrazione e gestione. Inoltre il successivo art. 2,
per gli enti locali, prevede un'assimilazione tra il
conferimento di incarichi dirigenziali e quello di funzioni
dirigenziali a personale non dirigenziale.
Posto che le norme sulle incompatibilità sono di stretta
interpretazione, si ritiene che sussista una causa
d'incompatibilità nel caso in cui il titolare di PO intenda
ricoprire la carica di componente della giunta o del
consiglio di un comune con popolazione superiore ai 15.000
abitanti [1].
---------------
[1] L'altra causa d'incompatibilità per la carica di
componente della giunta o del consiglio 'di una forma
associativa tra comuni...' si ritiene non si applichi alle
nostre associazioni intercomunali, disciplinate dalla legge
regionale 1/2006, perché senza personalità giuridica, prive
di dette organi politici, e quindi sprovviste della
specifica autonoma strutturazione richiesta dalla norma
statale (11.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI SERVIZI:
Modalità di gestione di un servizio pubblico locale di
rilevanza economica.
Allo stato attuale, la disciplina
generale di riferimento per la gestione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica non indica, nel rispetto del
diritto comunitario, una modalità predefinita per
l'individuazione delle modalità di affidamento del servizio.
Il Comune è parte di una forma collaborativa, dotata di
personalità giuridica, costituita per l'esercizio coordinato
di funzioni e servizi.
Il Comune precisa che un servizio pubblico locale di
rilevanza economica (d'ora innanzi 'spl economico'),
nello specifico 'raccolta e smaltimento dei rifiuti'
('urbani' si ritiene) è attualmente gestito
esternamente con contraente individuato con 'appalto
europeo'.
Ciò posto chiede se la predetta forma collaborativa possa
acquisire una partecipazione societaria in una società di
capitali, alla quale sarebbe affidato 'in house' il
spl economico in parola.
La materia dei spl economici è stata, in questi anni,
interessata da una serie di discipline nazionali che si sono
succedute nel tempo, determinando un quadro normativo di
riferimento non sempre chiarissimo [1].
Allo stato attuale, la materia è principalmente disciplinata
[2], per
quanto riguarda la legislazione nazionale, dall'art. 34,
commi 20 e 21, del decreto legge 18.10.2012, n. 179
[3], che
così dispone: '20. Per i servizi pubblici di rilevanza
economica, al fine di assicurare il rispetto della
disciplina europea, la parità tra gli operatori,
l'economicità della gestione e di garantire adeguata
informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento
del servizio è effettuata sulla base di apposita relazione,
pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà
conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma di
affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici
degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale,
indicando le compensazioni economiche se previste.
21. Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore
del presente decreto non conformi ai requisiti previsti
dalla normativa europea devono essere adeguati entro il
termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa
data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti
in cui non è prevista una data di scadenza gli enti
competenti provvedono contestualmente ad inserire nel
contratto di servizio o negli altri atti che regolano il
rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato
adempimento degli obblighi previsti nel presente comma
determinata la cessazione dell'affidamento alla data del
31.12.2013'.
Queste disposizioni recepiscono il principio comunitario
dell'indifferenza della forma utilizzata per la gestione dei
servizi di interesse economico generale da parte degli enti:
l'ente in sostanza è libero di auto organizzarsi, nel
rispetto del diritto comunitario, mediante l'auto produzione
o il ricorso al mercato. A tale proposito, la Corte
costituzionale (con sentenza 325/2010) ha statuito che il
diritto comunitario non ha mai espressamente ed univocamente
affermato che per i spl economici ci sia, in capo agli enti
locali, un obbligo assoluto ed inderogabile di affidarli a
terzi sul mercato con l'esclusione dell'affidamento diretto
a società in house.
Il Giudice amministrativo [4],
a commento dell'art. 34, commi 20 e 21, del dl 179/2012, ha
così precisato: 'L'ordinamento nazionale non indica un
modello preferibile -ossia non predilige né l'in house né la
piena espansione della concorrenza nel mercato e per il
mercato e neppure il partneriato pubblico privato- ma rinvia
alla scelta concreta del singolo ente affidante. In
definitiva, si profila una maggiore autonomia degli enti
locali nella direzione da intraprendere... La scelta tra i
differenti modelli va effettuata tenendo conto della
concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri
introdotti dall'art. 34, comma 20 del dl 179/2012 ossia la
parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e
l'adeguata informazione alla collettività di riferimento.
Detti obiettivi devono necessariamente essere correlati al
preminente interesse dell'utente del servizio a godere del
miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti
...'. L'ente locale quindi dovrà rispettare i principi
comunitari, l'obbligo di motivazione (del resto ogni scelta
discrezionale dell'ente locale deve essere sorretta da
adeguata istruttoria e motivazione [5]),
i principi di efficienza, efficacia ed economicità
dell'azione amministrativa.
Tra 'i requisiti dell'affidamento in house'
[6]
-sempre citando il TAR lombardo- ci si sofferma su quello
del 'controllo analogo da parte dei soci pubblici, che
secondo la giurisprudenza comunitaria costituisce potere
assoluto di direzione coordinamento e supervisione
dell'attività del soggetto partecipato e riguarda l'insieme
dei più importanti atti di gestione del medesimo...'. 'Per
controllo analogo si intende un rapporto equivalente...ad
una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione
si verifica quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario (C. St. sent. 25.1.2005, n. 168 ...)'.
[7] 'La
giurisprudenza comunitaria si è soffermata sulle modalità di
esercizio del controllo analogo in caso di una pluralità di
soci pubblici affrontando il tema se il controllo debba
essere individuale o possa essere congiunto e addivenendo
alla seconda soluzione...il controllo può essere esercitato
congiuntamene dalle stesse deliberando eventualmente a
maggioranza (C. Giust. CE, 13.11.2008 C-324/07)...si sono
ritenuti indici di controllo analogo, oltre che la
partecipazione totalitaria pubblica, taluni penetranti
poteri di vigilanza, quali: l'obbligo di trasmettere
mensilmente i verbali delle riunioni del consiglio di
amministrazione e del collegio sindacale... trimestralmente
al sindaco e all'assessore una relazione sull'andamento
della società con particolare riferimento alla qualità e
quantità dei servizi resi ai cittadini nonché dei costi di
gestione in relazione agli obiettivi fissati; i poteri di
nomina e revoca di un rilevante numero di amministratori e
sindaci...' [8].
Quindi si ribadisce che, per aversi un affidamento in
house, è indispensabile predefinire le modalità con le
quali l'ente locale determina quello strettissimo legame con
un soggetto terzo (e formalmente di diritto privato: un
organismo societario) tale da 'equipararlo' ad un
proprio ufficio: solo in tale caso si può derogare al
ricorso al mercato scegliendo l'autoproduzione del servizio
tramite il modello dello 'affidamento in house'.
L'art. 3-bis del dl 138/2011 [9]
poi, per i servizi pubblici a rete a rilevanza economica
(compresi quelli 'appartenenti al settore dei rifiuti
urbani'), ha demandato alle Regioni la definizione di
ambiti o bacini territoriali ottimali e della relativa
disciplina organizzativa (comprendente anche
l'individuazione dei relativi enti di governo).
La nostra Regione ha dettato la seguente disciplina (per il
solo servizio di gestione rifiuti urbani)
[10]: 'In
attuazione di quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 1,
terzo e quarto periodo, del decreto legge 138/2011...e sulla
base di deliberazioni degli enti locali interessati da
perfezionare con relativa assunzione entro il 31.12.2013,
nei casi di forme di cooperazione tra enti locali per la
gestione diretta ed in house dei servizi pubblici relativi
ai rifiuti urbani operanti per la raccolta differenziata ed
il recupero in attuazione delle direttive comunitarie in
materia, l'ambito unico di cui all'articolo 3, comma 51,
della l.r. 11/2011..., che viene confermato anche
successivamente al 31.12.2013 risulta articolato in zone
funzionali corrispondenti alle predette forme di
cooperazione. Le gestioni presenti in singoli Comuni non
facenti parte delle predette forme di cooperazione
proseguono o sono rinnovate in conformità alle norme vigenti
in materia, attuando l'organizzazione del servizio pubblico
su base sovracomunale anche mediante misure di integrazione
disposte dai livelli istituzionali competenti. Resta fermo
quanto previsto dalla normativa interna e comunitaria in
materia di servizi pubblici locali e in particolare
dall'articolo 34, commi 20 e seguenti, del decreto legge
179/2012...'.
Dal tenore di tali disposizioni, parrebbe evincersi che esse
abbiano un significato 'ricognitorio' della
situazione esistente in attesa dell'attuazione vera e
propria del nuovo assetto gestione del servizio rifiuti
urbani a livello unitario di ambito regionale. Le norme
infatti prevedono, in questo momento, che l'unico ambito
territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti
urbani (coincidente con il nostro territorio regionale) sia
articolato in zone funzionali corrispondenti 'alle forme
di cooperazione' in essere tra gli enti locali per la
gestione del servizio rifiuti urbani medesimo.
La ratio delle disposizioni infatti mira ad attuare
l'obbligo nazionale della gestione associata dei spl
economici.
Quindi, venendo al caso concreto (qui trattato per gli
aspetti riguardanti la disciplina comunitaria, nazionale e
regionale in materia di spl economici), se l'aggiudicazione
attualmente in essere è avvenuta con procedura ad evidenza
pubblica, come pare dal tenore del quesito, da parte di una
forma collaborativa (e non da 'singoli comuni'
[11]) essa
potrebbe proseguire fino a naturale scadenza in quanto
apparirebbe rispettosa della legislazione vigente: lo
strumento della gara rappresenta infatti attuazione della
regola della concorrenza imposta dal Trattato
[12].
In seguito, scaduta l'attuale aggiudicazione, la forma
collaborativa in parola, tramite i propri enti partecipanti,
potrà decidere come gestire il presente spl economico nel
rispetto della disciplina di fonte comunitaria, statale e
regionale, indicata.
Comunque per gli specifici aspetti interpretativi inerenti
la legislazione regionale in materia di rifiuti,
doverosamente, ci si rimette alle osservazioni che il
Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente
ed energia, al quale è anche inviato il parere, riterrà di
formulare essendo la materia di sua competenza.
Parimenti, per quanto riguarda la previsione recata art.
3-bis, comma 3, del dl 138/2011, che prevede che, nella
scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico
economico, l'evidenza pubblica costituisce elemento di
valutazione della virtuosità degli enti ai sensi dell'art.
20, comma 2, del d.l. 98/2011, conv. in legge 111/2011 (e
quindi comporterebbe la possibilità di sottostare a vincoli
di finanza pubblica meno gravosi) [13],
ci si rimette a quanto riterrà di formulare la Posizione
organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori
di questa Direzione centrale funzione pubblica, autonomie
locali e coordinamento delle riforme.
Si pregano quindi, per quanto di rispettiva competenza, il
Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente
ed energia e la Posizione organizzativa patto di stabilità e
indennità amministratori della Direzione centrale funzione
pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, di
voler dare direttamente riscontro all'Ente richiedente ed a
questo Servizio per conoscenza.
---------------
[1] L'art. 35 della legge 448/2001 aveva disciplinato,
all'interno di un unico articolo (art. 113 TUEL) un vero e
proprio corpus normativo di settore, che è stato in parte
poi abrogato dall'art. 23-bis del dl 112/2008 (attuato dal
dpr 168/2010). In seguito, nel giro di una manciata di anni,
si sono succeduti, freneticamente i seguenti interventi: il
referendum popolare abrogativo del 12-13.06.2011 (attuato
dal dpr 113/2011) aveva espunto dall'ordinamento giuridico
il predetto dall'art. 23-bis del dl 112/2008. In seguito, la
disciplina veniva dettata dall'art. 4 del dl 138/2011,
successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza
199/2012. E si giunge finalmente alla legislazione del 2012
come esposta nel prosieguo della parte narrativa del
presente parere.
[2] In via generale: restano tutt'ora vigenti singole
discipline di settore.
[3] Conv. con la legge 17.12.2012, n. 221. Si deve rilevare
che, ancora una volta, si è utilizzato lo strumento
improprio della decretazione d'urgenza, concentrando in una
manciata di commi, parte di una disciplina (quella dei
servizi pubblici locali a rilevanza economica), che
necessiterebbe invece in un intervento legislativo organico.
In altre norme sparse (alcune sempre in forma di
decretazione d'urgenza) infatti si trovano ulteriori
disposizioni sulla materia.
[4] TAR Lombardia, Brescia, sent. 11.06.2013, n. 558, alla
cui lettura integrale si rimanda. Ed ancora: 'Le autorità
nazionali, regionali e locali devono poter stabilire
liberamente i criteri di aggiudicazione.. secondo loro più
adeguati rispetto all'obiettivo del contratto' parere del
Comitato economico e sociale europeo del 26.04.2012 in merito
alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio per l'aggiudicazione dei contratti di concessione.
[5] Onde evitare illogicità o irrazionalità (si veda anche
TAR Campania, Napoli, sent. 1925/2013). Con il comma 20
dell'art. 4 del dl 179/2012 succitato 'si istituzionalizza
l'obbligo di motivare e pubblicizzare il ricorso
all'affidamento diretto o all'affidamento tramite gara' (C.
Volpe' La normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza
economica..', in 'Giustizia amministrativa, documentazione,
studi'), alla cui lettura si rimanda per una panoramica
riassuntiva della disciplina attualmente vigente sulla
materia. L'Autore peraltro fa anche rilevare comunque la
'stranezza della nuova normativa', che prevede la
motivazione anche per il ricorso alla gara. Inoltre l'Autore
evidenzia che 'se è vero che la scelta di non trasferire ad
un soggetto terzo la funzione amministrativa idonea a
soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio
costituisce per la PA una facoltà legittima, ciò non esclude
che comunque la decisione di ricorrere ad una società in
house anziché ad un soggetto terzo debba essere effettuata
previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi
offerti'.
[6] Oggetto di copiosissima giurisprudenza: i requisiti sono
capitale interamente pubblico, esercizio del controllo
analogo a quello esercitato dagli enti pubblici soci sui
propri uffici e parte più importante dell'attività svolta in
relazione alla sfera dei soci. Si vedano, per es., partendo
dalla prima pronuncia comunitaria sulla materia (sent.
Teckal 18.11.1999, C-107/98), molte altre sent. 11.02.2005
C-26/03 Stadt Halle, sent. 13.11.2008, C-324/07 Coditel
Brabant SA, sent. 13.10.2005 C-458/03 Parking Brixen per
arrivare a deliberazione C. Conti, sez. controllo Lombardia
del 07.10.2013, n. 411/PAR (tale ultima pronuncia tratteggia
anche utilmente i tratti salienti delle differenze tra
società che gestiscono spl economici e società strumentali,
le quali hanno una disciplina differente), TAR Lombardia,
Brescia, sent. 23.09.2013, n. 780.
[7] C. St., sent. 11.2.2013, 762.
[8] Sempre C. St., sent. 11.02.2013, 762, e anche alla
lettura integrale di tale sentenza si rimanda, contenendo
spunti interpretativi utili per la fattispecie: la questione
riguarda l'affidamento in house da parte di una comunità
montana. Sempre in merito al controllo esercitato
congiuntamente da più enti locali, si cita C. Giust.
europea, sent. 29.11.2012, n. 182, nella quale si ribadisce
la necessità per gli enti pubblici di esercitare un
controllo strutturale e funzionale effettivo sulla società.
[9] Conv. con legge 148/2011.
[10] Art. 3, comma 25, della l.r. 14/2012, come sostituito
dall'art. 4, comma 21, della l.r. 6/2013.
[11] Cfr. secondo periodo del comma 25 dell'art. 3 della
l.r. 14/2012.
[12] Art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea: 'Le imprese incaricate della gestione di servizi di
interesse economico generale ...sono sottoposte alle norme
dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza ,
nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti
all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della
specifica missione loro affidata' ('costituita dalla
soddisfazione dell'interesse generale...)' C.Volpe, op.cit..
[13] Facendo venire meno perciò sostanzialmente l'autonomia
degli enti nella scelta delle modalità di affidamento anche
se la norma non interviene sui presupposti dell'affidamento
(essa, a tale proposito, ha anche resistito ad una pronuncia
d'incostituzionalità: C.Cost. sent. 46/2013), ma sugli
effetti della scelta, introducendo un meccanismo di
premialità per gli enti 'virtuosi' (11.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Siti
contaminati.
Domanda
Il proprietario di un'area, incolpevole per la sua
contaminazione, quali misure deve adottare?
Risposta
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana,
Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012, numero
1551, dopo avere affermato che gli articoli 240 e seguenti
del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006,
citati, non consentono all'Amministrazione pubblica di
imporre ai privati non responsabili del fenomeno di
inquinamento contestato, individuati soltanto quali
proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione
geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi
di messa in sicurezza di emergenza, di rimozione e di
smaltimento di rifiuti e, in generale, di riduzione al
pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo posto
unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che
l'Autorità ha l'obbligo di ricercare e individuare, ha
puntualizzato che il proprietario dell'immobile, pur
incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella
procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze
della constatata contaminazione, dovendo egli attuare le
misure di prevenzione di cui all'articolo 242 del citato
decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006.
Le misure di prevenzione vanno individuate in quegli
interventi atti a «contrastare un evento, un atto o
un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la
salute o per l'ambiente, intesa come rischio
sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto
il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al
fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale
minaccia» (art. 240, citato, comma 1, lettera i)
(articolo ItaliaOggi Sette del
09.12.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Misure
di prevenzione.
Domanda.
Con quale criterio devono esser individuate le misure di
prevenzione che il proprietario, incolpevole, di un sito
contaminato deve adottare?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana,
Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012, numero
1551, ha precisato, come già scritto, che il proprietario
dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni
coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati
e dalle conseguenze della constatata contaminazione, dovendo
egli attuare le misure di prevenzione di cui all'articolo
242 del citato decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006.
Ci si pone la domanda circa il tipo di intervento che il
predetto proprietario incolpevole deve adottare.
Per la dottrina è ormai pacifico che il proprietario
incolpevole dell'inquinamento del suolo ha obblighi di
portata limitata, dato che le misure di prevenzione non
possono essere intese in modo estensivo fino a comprendere
misure che richiedano soluzioni tecniche incompatibili con
la salvaguardia immediata del bene. Se così fosse verrebbe
vanificato il principio «chi inquina paga».
Inoltre l'intervento volontario del soggetto, previsto
dall'articolo 245 del decreto legislativo su citato, che
riconosce: «La facoltà di intervenire in qualunque
momento volontariamente per la realizzazione degli
interventi di bonifica», «non può assurgere, come
scrivono i giudici del Tribunale regionale amministrativo
(Tar) della Lombardia, Milano, nella sentenza del
02.04.2008, numero 791, di per sé, in mancanza di altri
elementi univoci e precisi, ad affermazione di
responsabilità nell'inquinamento stesso, posto che sussiste
senza dubbio l'interesse del proprietario incolpevole a
limitare in ogni caso l'inquinamento sul proprio fondo,
anche per impedirne la perdita di valore economico».
Detti interventi non possono, però, assumere un'estensione
non prevedibile al momento in cui l'iniziativa è stata posta
in essere. Pertanto, l'atto volontario di impegno
all'intervento di messa in sicurezza implica l'assunzione di
un sacrificio patrimoniale, da contenere nei limiti della
normalità e prevedibilità. Si rimanda, al riguardo, alla
sentenza numero 291, del 16.03.2006, del citato Tribunale
regionale amministrativo (Tar) della Lombardia, Brescia
(articolo ItaliaOggi Sette del
09.12.2013). |
PATRIMONIO:
Contratto di locazione passiva.
Domanda
In caso di rinnovo del contratto di locazione passiva a un
Comune (conduttore) si applica la riduzione del 15% del
canone?
Risposta
L'art. 3, comma 4, del decreto legge n. 95/2012 prevede ai
fini del contenimento della spesa pubblica, l'ulteriore
misura della riduzione dei canoni pagati dalle
amministrazioni pubbliche, ivi previste, del 15% di quanto
attualmente in essere, dal primo gennaio 2015, salvo il
diritto di recesso garantito al locatore. La norma prevede,
poi, che a decorrere dal 15.08.2012 la riduzione del 15%
si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o
rinnovati dopo tale data.
Specificamente, l'art. 3, comma 4,
identifica le amministrazioni pubbliche coinvolte dalla
misura di contenimento della spesa indicando le
amministrazioni centrali inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1,
comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, nonché le
Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale
per le società e la borsa (Consob).
Per quanto concerne il quesito posto circa l'applicazione o
meno della riduzione del 15% agli enti locali, si segnala il
parere della Corte dei conti, sezione di controllo per la
Regione Lazio, n. 3 del 10.01.2013, in ordine ad una
richiesta proveniente da un sindaco e concernente
l'applicazione o meno agli enti locali delle disposizioni di
cui all'art. 3, commi 4, 5 e 6 del dl n. 95/2012.
In particolare, il giudice contabile circoscrive
l'attenzione sul comma 6, il quale, osserva, è espressamente
dettato per le amministrazioni richiamate dal comma 4, che
si riferisce alle amministrazioni centrali come individuate
dall'Istat ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge
31.12.2009, n. 196. Per cui, prosegue, il giudice contabile,
non rientrando i comuni tra le amministrazioni centrali, è
da ritenere che la disposizione di cui al comma 6 (riduzione
15% del canone) non possa ad essi applicarsi (articolo
ItaliaOggi Sette del 02.12.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Bonus ristrutturazioni.
Domanda
La detrazione Irpef per lavori di ristrutturazione da
eseguire dall'inquilino che sostiene le spese?
L'agevolazione spetta anche per la parcella dell'architetto
che ha progettato i lavori?
Risposta
La detrazione di
cui trattasi spetta a chi sostiene la spesa, quindi, non
solo ai proprietari degli immobili (o ai titolari di altri
diritti reali, come nuda proprietà, usufrutto, uso,
abitazione o superficie), ma anche ai locatari e ai
comodatari. Inoltre, se sostiene la spesa e i bonifici e le
fatture sono a lui intestate, ha diritto alla detrazione
anche il familiare convivente del possessore o detentore
dell'immobile su cui sono eseguiti i lavori.
Oltre alle spese necessarie per l'esecuzione dei lavori, è
possibile detrarre anche quelle per la progettazione, le
altre prestazioni professionali connesse e, in ogni caso, le
spese per prestazioni professionali comunque richieste dal
tipo di intervento (articolo ItaliaOggi Sette
del 02.12.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Potere dei sindaci.
Domanda
Il sindaco del mio paese con un'ordinanza urgente ha
vietato, ai commercianti, l'uso dei sacchetti di plastica
normali. Un tale provvedimento può essere considerato
legittimo?
Risposta
Alla luce della giurisprudenza amministrativa, non è
legittima l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal
sindaco per vietare a tutti gli esercenti attività
commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e
bevande la distribuzione di buste non biodegradabili,
realizzati senza l'osservanza delle norme UNI EN 13432-2002
e UNI EN 14995.
Al riguardo il Tribunale regionale amministrativo (Tar)
della Puglia, Sezione II, con la sentenza del 05.06.2012,
numero 1099, pronunciandosi su un'ordinanza contingibile e
urgente emessa da sindaco di Bari, ha precisato che la
predetta ordinanza non ha ragione di sussistere ove manchino
i necessari presupposti di urgenza atti a giustificare
l'adozione di misure improcrastinabili.
Si è già scritto in materia che il ricorso allo strumento
dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte dei sindaci
presuppone situazioni eccezionali e non prevedibili.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 04.04.2011,
numero 115, ha escluso che in tema di ordinanze sindacali contingibili e urgenti vi sia un potere generale dei
sindaci; ha dichiarato, pertanto, costituzionalmente
illegittimo l'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo
numero 267, del 2000, come sostituito dall'articolo 6 del
decreto legge n. 92, del 2008, convertito con legge
numero 125, del 2008, su cui detto potere extra ordinem si
fonda, nella parte relativa alla locuzione «anche» prima
delle parole «contingibili ed urgenti».
Infatti il contrasto della disposizione con il sistema delle
fonti del diritto delineato dalla Carta costituzionale fa
emergere il fatto incongruente di un potere dei Sindaci di
emettere provvedimenti con efficacia sull'intero territorio
comunale a tempo indeterminato, nonché in deroga alle leggi
vigenti in relazione agli ambiti materiali così
disciplinati, e ciò in violazione dei principi di legalità,
tipicità e delimitazione della discrezionalità di cui agli
articoli 23, 70, 76, 97, 117 della Costituzione (articolo ItaliaOggi
Sette del 02.12.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Siti contaminati.
Domanda
Il destinatario degli obblighi di risanamento di un terreno
contaminato può essere individuato nel proprietario del
terreno medesimo?
Risposta
In tema di siti contaminati, la disciplina legislativa
(articoli 240 e seguenti del decreto legislativo numero 152,
del 03.04.2006) si ispira al principio comunitario «chi
inquina paga». Pertanto, l'obbligo di adottare misure, sia
urgenti, sia definitive, idonee a fronteggiare la situazione
connessa all'inquinamento, va posto, esclusivamente, a
carico di colui che è il responsabile di detta situazione
per avervi dato causa a titolo di dolo e/o di colpa. Ne
consegue che non dovrebbe essere chiamato in causa il
proprietario dell'area o l'utilizzatore della stessa, ameno
che non sia provata una sua responsabilità.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana,
Sezione II, con la sentenza del 28.08.2012, numero 1491,
ha affermato che ai fini dell'individuazione del
destinatario degli obblighi di risanamento del terreno, è
illegittimo il ricorso al criterio dominicale, riconducibile
allo schema di cui all'articolo 2051 del codice civile, in
luogo di quello della responsabilità colpevole previsto
dalla disciplina in materia di bonifica dei siti contaminati
di cui agli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo
numero 152, del 03.04.2006.
Lo stesso Tribunale regionale amministrativo (Tar) della
Toscana, Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012,
numero 1551, ha puntualizzato che gli articoli 240 e
seguenti del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006, citati, non consentono all'Amministrazione pubblica di
imporre ai privati non responsabili del fenomeno contestato,
individuati soltanto quali proprietari o gestori o in
ragione della mera collocazione geografica del bene,
l'obbligo di porre in essere interventi di messa in
sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di
rifiuti e, in generale, di riduzione al pristino dello stato
dei luoghi, essendo tale obbligo posto unicamente in capo al
responsabile dell'inquinamento che l'Autorità ha l'obbligo
di ricercare ed individuare (articolo ItaliaOggi Sette
del 02.12.2013). |
APPALTI: Lodo arbitrale.
Domanda
Quali sono gli effetti del lodo arbitrale?
Risposta
Per rispondere alla domanda è necessario distinguere tra il
lodo arbitrale derivante da un procedimento c.d. «rituale» e
quello derivante da un procedimento c.d. «irrituale».
Nel primo caso, il lodo arbitrale ha la stessa efficacia di
una sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, così
come disciplinato dall'art. 824-bis del codice di procedura
civile. La statuizione degli arbitri sul merito della
controversia, crea un vincolo per le parti che, decorso il
termine per l'impugnazione (i.e. 90 giorni dalla data della
notifica ovvero un anno dalla data dell'ultima
sottoscrizione), diviene definitivo. L'art 825 c.p.c.
disciplina l'omologazione del lodo da parte del Tribunale
ordinario. Tale omologazione servirà alla parte che la
richiede, solo al fine di dare al lodo stesso efficacia
esecutiva, ovvero di richiederne la trascrizione in tutte le
ipotesi previste dal codice di rito per le sentenze del
giudice, o, infine di procedere all'iscrizione dell'ipoteca
nei casi previsti dalle norme civilistiche in tema di
pubblicità.
Nel secondo caso, il lodo derivante da procedimento di
arbitrato «irrituale» non ha efficacia di sentenza,
ma produce gli stessi effetti di una determinazione
contrattuale. In altre parole il lodo irrituale ha la stessa
forza di un contratto stipulato tra le parti.
Conseguentemente non sarà possibile per le parti richiedere
al Tribunale ordinario l'omologazione del lodo e
l'apposizione della formula esecutiva
(articolo ItaliaOggi Sette del
02.12.2013). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma regolamentare comunale, limitatamente alla parte in
cui vieta "comunque" l'installazione in zone residenziali di
impianti di teleradiocomunicazioni, quindi anche di
telefonia mobile, è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni
adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a
garantire "il corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e a minimizzare l'esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in esame si
è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso
orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti
c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo
qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate
dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione
di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo
urbanistico, zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con
riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti
delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a
disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle
previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla
localizzazione" degli impianti di telefonia mobile
relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio
comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione
giustificativa.
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela
l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del
territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che
impinge sulla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva
legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della
legge n. 36/2000.
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono
suffragare le relative disposizioni mediante adeguata
istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui
certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non
impediscano in concreto l'erogazione del servizio,
sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto
già si è detto, non già della determinazione di valori di
campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale,
ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti.
La casistica conosce due tipologie di previsioni
regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale.
In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti
generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per
telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio
comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali
indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati
edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale cui si intende qui aderire, l’introduzione
di generalizzati divieti di installazione delle stazioni
radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione residenziale, comprese
nel perimetro comunale, in quanto essenzialmente preordinata
a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili
fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che
l'amministrazione comunale può autonomamente esercitare, e
tale conclusione vale anche per l'introduzione di misure
che, pur essendo astrattamente e tipicamente urbanistiche,
quali le distanze, le altezze o le localizzazioni, non sono
in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla
tutela dei rischi dell'elettromagnetismo.
In particolare, appare meritevole di
accoglimento la censura dedotta con il primo motivo di
ricorso, riferito alla norma regolamentare presupposta.
Si tratta delle N.T.A. del vigente P.R.G.C., come
integrate dalla delibera C.C. n. 42 del 09.10.2003, le
quali, nel disciplinare le "Prescrizioni di zona",
dispongono che "da tutte le zone residenziali sono escluse
attrezzature e attività destinate a: …. – teleradiocomunicazioni per qualsiasi uso” (cfr. N.T.A.,
Destinazioni e prescrizioni di zona, capo II, zone
residenziali, pag. 27).
Il Comune di Pontecurone ha ricavato da tale previsione
l’incompatibilità dell’impianto Telecom con l’area
individuata in progetto, in quanto zona residenziale
qualificata R2. Ha inoltre negato, in replica alle
osservazioni della parte istante, la sussistenza di un
divieto generalizzato all’installazione di infrastrutture di
telecomunicazione, per effetto delle menzionate disposizioni
di piano, osservando come “le norme di cui trattasi
consentono invero la localizzazione dei predetti impianti
radioelettrici nelle zone agricole, dove, peraltro, già si
registrano analoghe iniziative”.
Osserva il Collegio che la predetta norma
regolamentare, limitatamente alla parte in cui vieta
"comunque" l'installazione in zone residenziali di impianti
di teleradiocomunicazioni, quindi anche di telefonia mobile,
è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della
legge 22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i
Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione
finalizzato a garantire "il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e a minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in
esame si è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso
orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti
c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo
qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate
dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione
di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo
urbanistico, zone e beni di particolare pregio
paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con
riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti
delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a
disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle
previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla
localizzazione" degli impianti di telefonia mobile
relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio
comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione
giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 07.11.2003,
n. 331; 07.10.2003, n. 307; 27.07.2005, n. 336).
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela
l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del
territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che
impinge sulla tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva
legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della
legge n. 36/2000 (in tal senso, tra le tante, Cons. St. sez.
VI, 09.01.2013 n. 44 e sez. III, 10.07.2013, n.
3690; id., sez. VI, 27.12.2010, n. 9414 e 15.06.2006, n. 3534; TAR Piemonte sez. I, 23.07.2013, n.
901).
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono
suffragare le relative disposizioni mediante adeguata
istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui
certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non
impediscano in concreto l'erogazione del servizio,
sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto
già si è detto, non già della determinazione di valori di
campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale,
ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti (TAR Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1923 e TAR Lecce, Sez. II,
03.11.2006, n. 5142).
La casistica conosce due tipologie di previsioni
regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale.
In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti
generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per
telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio
comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali
indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati
edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale cui si intende qui aderire,
l’introduzione di generalizzati divieti di installazione
delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in
tutte le zone territoriali omogenee a destinazione
residenziale, comprese nel perimetro comunale, in quanto
essenzialmente preordinata a garantire la tutela della
pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento, non
costituisce attribuzione che l'amministrazione comunale può
autonomamente esercitare, e tale conclusione vale anche per
l'introduzione di misure che, pur essendo astrattamente e
tipicamente urbanistiche, quali le distanze, le altezze o le
localizzazioni, non sono in realtà funzionali al governo del
territorio, ma alla tutela dei rischi dell'elettromagnetismo
(TAR Piemonte, sez. I 23.07.2013 n. 901; id., sez. I,
19.12.2008, n. 3150; TAR Catanzaro, sez. I, 03.10.2012, n. 981; Cons. St., sez, VI,
06.09.2010,
n. 6473).
Orbene, tenendo conto del quadro normativo e
interpretativo brevemente delineato, nella fattispecie in
esame il regolamento impugnato -introducendo un
generalizzato divieto di localizzazione degli impianti di
telefonia mobile all'interno di tutte le aree residenziali
del territorio comunale- pare tendere a disciplinare l'uso
del territorio sotto un profilo non strettamente
urbanistico, bensì sanitario, fondandosi sull'implicita ma
inequivocabile esigenza di rendere possibile la
localizzazione degli impianti esclusivamente in zone
agricole, quindi distanti dalle aree abitate e più
intensamente frequentate.
Il Comune, peraltro, non ha dimostrato di aver verificato
che i siti individuati fossero tecnicamente idonei alle
esigenze di funzionamento del servizio di telefonia in
argomento, né ha provato di aver tenuto in debito conto la
finalità, legislativamente prevista, di assicurare la
diffusione capillare del servizio nell'intero territorio
comunale
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: A
seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51,
L. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6,
comma 1, L. 15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45,
D.Lgs. 31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli
atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di
indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi
politici), la competenza al diniego o al rilascio della
concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei
provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è
più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni
sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del
responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la
menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente
precettiva.
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili
peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto
piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità
della struttura e organizzazione interna
dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate
da quest’ultima.
La sanzione applicata, prevista dalla l.r. Piemonte n.
20/1989 risulta infatti, come dedotto in ricorso, soggetta
alla disciplina introdotta nell’art. 51 della l. n. 142/1990
ad opera dell’art. 6 della l. n. 127/1997 che ha devoluto
alla dirigenza (e nei comuni privi di dette qualifiche ai
responsabili degli uffici e servizi) la complessiva attività
gestoria, ivi inclusa la materia edilizia e connesse
sanzioni.
Il provvedimento impugnato è stato emanato del Sindaco. In
giurisprudenza per tutte si veda Cons. St. sez. IV
31.03.2009, n. 2024, secondo cui: “a seguito del mutato
quadro normativo derivante dall'art. 51, L. 08.06.1990 n.
142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, L.
15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45, D.Lgs.
31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli atti di
gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di
indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi
politici), la competenza al diniego o al rilascio della
concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei
provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è
più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni
sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del
responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la
menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente
precettiva.”
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili
peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto
piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità
della struttura e organizzazione interna
dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate
da quest’ultima
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241,
l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo
non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della
legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e
concrete ragioni di interesse pubblico.
--------------
Nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della
concessione edilizia fino al sopralluogo comunale, la
ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere
sanzionate con il provvedimento impugnato, e anche di tale
circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel
bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere
(peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato)
e quello del privato alla loro conservazione.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il provvedimento impugnato si è fondato esclusivamente sulla
ritenuta “necessità di ripristinare la legalità violata”,
individuata dall’amministrazione comunale nell’assenza del
consenso dei proprietari confinanti all’edificazione
dell’autorimessa interrata n. 3 entro la fascia di rispetto
di cui all’art. 29 delle NdA del PRGC, con conseguente
violazione di quest’ultima norma.
L’interesse pubblico è stato fatto coincidere
dall’amministrazione con il mero ripristino della legalità
violata ed è stato ritenuto prevalente sull’interesse
privato dell’odierna ricorrente soltanto in ragione del
breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della
concessione edilizia, ritenuto dall’amministrazione inidoneo
a consolidare una posizione di affidamento tutelabile in
capo al privato.
Osserva il collegio che la prima di tali valutazioni è
illegittima, dal momento che ai sensi dell’art. 21-nonies L.
07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un
provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera
esigenza di ripristino della legalità violata, ma è
necessario che sussistano precise e concrete ragioni di
interesse pubblico (TAR Piemonte, sez. I, 23.07.2013, n.
905; Cons. Stato, sez. III, 30.07.2013 n. 4026), che nel
caso di specie non sono state evidenziate nella motivazione
dell’atto impugnato.
E’ illegittima anche la seconda di tali valutazioni, dal
momento che nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio
della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale del
17.07.2003, la ricorrente aveva già realizzato buona parte
delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato (cfr.
cod. 8), e anche di tale circostanza l’amministrazione
avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse
pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non
individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del
privato alla loro conservazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1351 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
presenza d'istanza di sanatoria edilizia, l'Amministrazione
non può adottare provvedimenti repressivi atteso che la
definizione del procedimento di adeguamento o di sanatoria
assume rilievo pregiudiziale rispetto alla disposizione
delle misure sanzionatorie, pena la violazione del principio
di economicità e coerenza dell'azione amministrativa.
Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità del
provvedimento che dispone la demolizione dei manufatti
abusivi, adottato senza che prima l'Amministrazione abbia
provveduto, neanche incidentalmente, sulle istanze di
adeguamento e di sanatoria.
Al riguardo, va confermato il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui “in presenza d'istanza di
sanatoria edilizia, l'Amministrazione non può adottare
provvedimenti repressivi atteso che la definizione del
procedimento di adeguamento o di sanatoria assume rilievo
pregiudiziale rispetto alla disposizione delle misure
sanzionatorie, pena la violazione del principio di
economicità e coerenza dell'azione amministrativa; di
conseguenza, va dichiarata l'illegittimità del provvedimento
che dispone la demolizione dei manufatti abusivi, adottato
senza che prima l'Amministrazione abbia provveduto, neanche
incidentalmente, sulle istanze di adeguamento e di sanatoria”
(da ultimo, TAR Lecce, sez. III, 19.06.2013, n. 1426, TAR
Napoli, sez. IV, 04.07.2013, n. 3439)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che
l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza
della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio
secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel
caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico.
---------------
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di
un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro
piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo
fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari
volumetria, composto da due piani fuori terra oltre
seminterrato.
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la
stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso
dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna
modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica
di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
... per l'annullamento del provvedimento di determinazione
degli oneri di urbanizzazione primaria/secondaria e di
costruzione, emanato dal Comune di Meina, nella persona del
responsabile del servizio tecnico, in data 11.02.2000 e in
pari data notificato al ricorrente (rif. pratica edilizia n.
11/1999);
...
Il ricorso è fondato.
Il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che
l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza
della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio
secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel
caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675
e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009;
Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Nel caso di specie, la documentazione versata in atti dal
ricorrente sembra obbiettivamente escludere che l’intervento
edilizio abbia comportato un aumento del carico urbanistico.
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di
un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro
piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo
fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari
volumetria, composto da due piani fuori terra oltre
seminterrato (cfr. relazione tecnica sub doc. 1 di parte
ricorrente).
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la
stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso
dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna
modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica
di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Per l’effetto, va
disposto l’annullamento dell’atto impugnato nella parte
relativa all’indicazione e alla quantificazione degli oneri
di urbanizzazione primaria e secondaria, e va inoltre
condannata l’amministrazione comunale a restituire al
ricorrente l’importo degli oneri da questi indebitamente
versato, in misura pari all’equivalente in Euro dell’importo
di Lire 23.118.503, con gli interessi legali dalla data
della domanda (07.04.2000) fino al saldo
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente
all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce
l'effetto di rendere inefficace tale ultimo provvedimento e,
quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse.
E ciò in quanto il riesame dell'abusività dell'opera
provocato dall'istanza di sanatoria, sia pure al fine di
verificare l'eventuale sanabilità di quanto costruito,
comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento
(di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare
il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, dal
momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento
di conformità l'Amministrazione dovrebbe emettere una nuova
ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini
per ottemperarvi.
In particolare, la presentazione dell'istanza di sanatoria
successivamente all'impugnazione dell'ordinanza di
demolizione produce l'effetto di rendere inefficace tale
ultimo provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione
stessa per sopravvenuta carenza di interesse; e ciò in
quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato
dall'istanza di sanatoria, sia pure al fine di verificare
l'eventuale sanabilità di quanto costruito, comporta la
necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di
accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, dal
momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento
di conformità l'Amministrazione dovrebbe emettere una nuova
ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini
per ottemperarvi (TAR Piemonte, sez. II, 24.09.2013, n.
1033; TAR Piemonte, sez. I, 12.07.2013, n. 880)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1343 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La destinazione a verde
agricolo di un'area non implica necessariamente che la
stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi
agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze
dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di
impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un
equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o
industriali.
La giurisprudenza è, invero, concorde
nell’affermare che la destinazione a verde agricolo di
un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi
in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del
territorio, quale –come è avvenuto nel caso di specie- la
necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree,
mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed
edificate o industriali (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 20.06.2012,
n. 1720)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Le osservazioni dei
privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero
apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e
non danno luogo a peculiari aspettative.
Da ciò consegue che il rigetto dell’osservazione non
richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste a base della
formazione del piano.
Quanto alla contestazione di insufficienza della motivazione
alla controdeduzione all’osservazione n. 247 si richiama la
costante giurisprudenza secondo cui le osservazioni dei
privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero
apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e
non danno luogo a peculiari aspettative. Da ciò consegue che
il rigetto dell’osservazione non richiede una specifica
motivazione, essendo sufficiente che esse siano state
esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della formazione del
piano (Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3358)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il ricorso avverso le
disposizioni di p.r.g. va notificato, oltre che al Comune,
anche alla Regione, in considerazione della natura complessa
dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi
gli enti alla sua formazione definitiva, e che l'omesso
assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del
ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle
autorità emananti.
I sig.ri G.T. e P.T.
impugnano la deliberazione n. 92 del 28.11.2003 con
cui il Consiglio Comunale di Somma Lombardo ha approvato una
variante al piano regolatore generale, nella parte in cui
disciplina un’area di loro proprietà, articolando censure di
violazione di legge ed eccesso di potere.
I ricorrenti chiedono, inoltre, il risarcimento dei danni
subiti.
Si è costituito in giudizio il Comune di Somma Lombardo,
deducendo, oltre all'infondatezza nel merito,
l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica alla
Regione Lombardia, che si è espressa sulla variante con la
deliberazione della Giunta Regionale del 17.09.2004
n. VII/18765.
All’udienza del 21.11.2013, il ricorso è stato
trattenuto in decisione.
L’eccezione sollevata dalla difesa dell’amministrazione
resistente è fondata.
Il ricorso è stato, difatti, notificato solo al Comune e non
anche alla Regione, quale autorità emanante il piano
regolatore.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso
avverso le disposizioni di p.r.g. vada notificato, oltre che
al Comune, anche alla Regione, in considerazione della
natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della
volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva,
e che l'omesso assolvimento di tale onere implica
l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata
notificazione ad una delle autorità emananti (Cons. Stato,
sez. V, 19.05.1998, n. 616; Sez. V, 28.02.1995, n.
304; Sez. VI, 15.06.1983, n. 493; Sez. V, 13.05.1977, n.
447; TAR Lombardia, Brescia, 26.08.2002, n. 1159)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.12.2013 n. 2806 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di sanzione per ritardato versamento oo.uu.
avendo scelto la formula della rateizzazione.
In materia di
obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato
ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore,
senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il
coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché
tardivo (salva l'esistenza di apposita clausola in tal
senso).
Si deve, quindi, ritenere che abbia agito correttamente il
Comune che, nell'applicare ad una società, la sanzione
prevista dall'art. 3, comma 2, lett. a), L. n. 47/1985, per
ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha
proceduto, prima dell'applicazione delle sanzioni, alla
preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la
società, a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta
scritta.
---------------
Nel caso di mancato pagamento delle rate di contributi di
concessione, non può considerarsi rilevante la circostanza
che il Comune non si sia attivato per la riscossione nei
confronti del fideiussore che ha concluso il contratto di
garanzia a prima richiesta.
Il contratto di garanzia a prima richiesta, infatti, ha
aggiunto una posizione debitoria a quella dei debitori
principali, i quali, a seguito del loro inadempimento, sono
risultati tenuti a pagare senz'altro le differenze dovute ai
sensi dell'art. 3 L. n. 47/1985, senza che questo, però,
comporti la doverosità della contestazione della pretesa
preventivamente nei confronti del garante.
Non sussiste, infine, la violazione dei principi di buona
fede e di diligenza ex artt. 1175, 1375, 1227 c.c.,
risultando chiara l’erronea impostazione dell’appellante che
confonde l’obbligo gravante sul garante che ha ad oggetto il
mancato adempimento dell’obbligo pecuniario convenuto con il
Comune, con il profilo sanzionatorio e, più in generale,
l’obbligo di pagamento con la sanzione amministrativa allo
stesso collegata.
Si tratta di profili, invece, del tutto distinti e già
scandagliati dalla giurisprudenza di questo Consiglio che ha
accertato come “in materia di obbligazioni pecuniarie, il
creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale
responsabilità del fideiussore, senza che possa invece
ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che
attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l'esistenza
di apposita clausola in tal senso). Si deve, quindi,
ritenere che abbia agito correttamente il Comune che,
nell'applicare ad una società, la sanzione prevista
dall'art. 3, comma 2, lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato
pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto,
prima dell'applicazione delle sanzioni, alla preventiva
richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la società, a
pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta”
(Cons. St., Sez. V, 16.07.2007, n. 4025).
Nello stesso senso anche Cons. St., Sez. IV, 10.08.2007, n.
4419 secondo la quale: “Nel caso di mancato pagamento
delle rate di contributi di concessione, non può
considerarsi rilevante la circostanza che il Comune non si
sia attivato per la riscossione nei confronti del
fideiussore che ha concluso il contratto di garanzia a prima
richiesta. Il contratto di garanzia a prima richiesta,
infatti, ha aggiunto una posizione debitoria a quella dei
debitori principali, i quali, a seguito del loro
inadempimento, sono risultati tenuti a pagare senz'altro le
differenze dovute ai sensi dell'art. 3 L. n. 47/1985, senza
che questo, però, comporti la doverosità della contestazione
della pretesa preventivamente nei confronti del garante”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.12.2013 n. 5880 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in sanatoria con effetti
temporanei o parziali - Illegittimità - Doppia conformità
agli strumenti urbanistici - Artt. 36, 44 e 45, lett. c),
d.p.r. n. 380/2001.
La sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. n. 380/2001
(riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 l.
28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva
che si basa sull'accertamento dell'inesistenza di danno
urbanistico mediante la verifica della doppia conformità
agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento del
rilascio della concessione in sanatoria sia al momento della
realizzazione dell'opera (Cass., sez. III, 21/10/2008 n.
42526; Cass., sez. III, 18/12/2003 n. 48499; Cass., sez. III,
18/03/2002 n. 11149), da ciò conseguendo che non ha effetto
estintivo il rilascio in sanatoria del permesso di costruire
in deroga agli strumenti urbanistici (Cass. sez. III,
31/03/2011 n. 16591) e che comunque il permesso non può
essere subordinato all'esecuzione di opere, che contrastano
con la conformità agli strumenti urbanistici che deve già
sussistere (Cass. sez. III, 27/04/2011 n. 19587: "È
illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio
ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo
soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o,
ancora, subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò
contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica"; conformi Cass.
sez. III, 26/11/2003-09/01/2004 n. 291; Cass., sez. III,
18/12/2003 n. 48499) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.10.2013 n. 44189 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono ambientale - Valutazione ex post -
Interventi minori - L. n. 308/2004 - Art. 181, c. 1, d.lgs.
n. 42/2004 – Art. 3 d.p.r. n. 380/2001.
L'articolo 1, commi 37, 38 e 39, I. 15.12.2004 n. 308 ha
introdotto il c.d. condono ambientale che è (pur permanendo
le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'art.
167) causa di estinzione del reato di cui all'articolo 181,
comma 1, d.lgs. 22.01.2004 n. 42, in tale articolo inserendo
i commi 1-ter e 1-quater che lo disciplinano (Cass. sez. III,
07/12/2007-09/01/2008 n. 583; Cass. sez. III, 10/05/2006 n.
15946; Cass. sez. III, 26/10/2005-03/02/2006 n. 4429), il
condono è configurato come diretto agli interventi minori,
che sono appunto quelli identificati nel comma 1-ter
dell'articolo 181, i quali possono essere oggetto, se
l'interessato attiva la procedura di cui al comma 1-quater,
di una valutazione ex post che ne accerti la limitata
incidenza sull'assetto ambientale così come vincolato (Cass.
sez. III, 29/11/2011-13/01/2012 n. 889, che in motivazione
qualifica gli interventi come minori "in quanto
caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto
sull'assetto del territorio vincolato rispetto agli altri
considerati nella medesima disposizione di legge").
Detti interventi sono i "lavori, realizzati in assenza o
difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non
abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli illegittimamente realizzati"
(comma 1-ter, lettera a), quelli che abbiano comportato "l'impiego
di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica"
(comma 1-ter, lettera b) e quelli che costituiscono "interventi
di manutenzione ordinaria o straordinaria" ex articolo 3
d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (c. 1-ter, lett. c).
Provvedimento di compatibilità
ambientale - emissione da parte della P.A. - Effetti.
L'emissione del provvedimento di compatibilità ambientale da
parte della P.A. non elide il potere-dovere del giudice di
verificare la sussistenza dei presupposti del condono
ambientale in termini di fatto e di diritto.
Reati paesaggistici - Condono ambientale
- Rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica
- Effetti - Art. 181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004.
In tema di reati paesaggistici, il rilascio del
provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina
automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in
quanto compete sempre al giudice l'accertamento dei
presupposti di fatto e giuridici legittimanti l'applicazione
del cosiddetto condono ambientale (Cass. sez. III,
27/05/2008 n. 27750; conforme Cass. sez. III,
29/11/2011-13/01/2012 n. 889).
Nozione di “superficie utile” -
Compromissione ambientale - Reato di pericolo - Art. 181, c.
1, d.lgs. n. 42/2004.
La nozione di superficie utile, va "individuata, in
mancanza di specifica definizione, con riferimento alla
finalità della disposizione che la contempla e, per quanto
riguarda la disciplina paesaggistica,...considerando
l'impatto dell'intervento sull'originario assetto
paesaggistico del territorio" tale da "determinare
una compromissione ambientale" (Cass. sez. III,
29/11/2011-13/01/2012 n. 889).
Né occorre, peraltro, accertare che, la "superficie utile"
realizzata, per essere qualificabile come tale, debba
inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in
cui viene inserita, poiché il concetto deve essere
rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la
sanatoria postuma, e l'articolo 181, comma 1, d.lgs. n.
42/2004 è un reato di pericolo (Cass. sez. III,
20.10.2009-22.01.2010 n. 2903; Cass. sez. VI, 03.04.2006 n.
19733) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.10.2013 n. 44189 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Modifica dei prospetti - Permesso di costruire –
Necessità - Trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio - Artt. 10, 44 lett. b), 64, 71, 65, 72, 93. 94 e
95 d.p.r. 380/2001.
Non può ritenersi sufficiente la mera denuncia d'inizio
attività per gli interventi edilizi comportanti una modifica
dei prospetti, in quanto tale non qualificabile come
ristrutturazione edilizia "minore", rientrando nella
previsione dell'art. 10, lett. c), DPR 380/2001 secondo cui
"Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di
costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che
portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici..." (Cass. Sez. 3, n. 834
del 04/12/2008) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Muro di recinzione - Permesso a costruire –
Necessità – Presupposto - Modificazione dell'assetto
urbanistico del territorio.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del
previo rilascio del permesso a costruire allorquando avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto
urbanistico del territorio (Cass. Sez. 3 n. 4755 del
13/12/2007) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Cisterna interrata in cemento armato - Permesso
di costruire – Necessità - Volume tecnico di rilevante
ingombro - Modificazione dell'assetto urbanistico del
territorio.
Integra il reato edilizio previsto dall'art. 44, comma
primo, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la
realizzazione, senza permesso di costruire, di un volume
tecnico di rilevante ingombro destinato ad incidere
oggettivamente in modo significativo sui luoghi esterni
(Cass. Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010).
Nella specie, realizzazione di una cisterna interrata in
cemento armato di metri quadrati 12 circa (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere di conglomerato cementizio armato, normale,
precompresso ed a struttura metallica - Escluse
dall'applicazione della normativa – Presupposti - Elementi
costruttivi di limitata importanza nel contesto statico del
manufatto - Artt. 53 e 64 d.P.R. n. 380/2001.
Sono escluse dall'applicazione della normativa relativa alle
opere di conglomerato cementizio armato, normale,
precompresso ed a struttura metallica previste dagli artt.
53 e 64 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 le opere costituite da
un'unica struttura, le membrature singole e gli elementi
costruttivi che assolvano ad una funzione di limitata
importanza nel contesto statico del manufatto (Cass. Sez. 3,
n. 6588 del 17/11/2011), pertanto, la prova sulla
sussistenza delle condizioni indicate è devoluta ad
accertamenti di natura fattuale che la Suprema Corte non può
essere chiamata a svolgere direttamente in sede di
legittimità (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della
riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico
legittimo presupposto imponibile è costituito dalla
sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico
urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un
fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve
tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale
e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e
interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque
trasformino la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della
sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei
contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione
dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
---------------
Sulla base del generale principio di correlare la dovutezza
degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione
edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione
allorché l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico, tenuto conto che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione,
comportante la divisione e il frazionamento di un immobile,
conseguenti ad una scissione societaria per essere
l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti
soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei
beni comuni si applicano le disposizioni della divisione
delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale
principio vale anche in caso di divisione per scissione
societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due
distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto
sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri.
---------------
L'imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è
causata anche da interventi edilizi interni di diversa
utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di
aumento del numero di unità abitative (da una a due),
determinante una variazione quantitativa e qualitativa del
carico urbanistico.
- Considerato che il giudice di primo grado ha rigettato il
ricorso avverso il provvedimento che confermava la
determinazione della dovutezza degli oneri di urbanizzazione
in relazione all’intervento di ristrutturazione realizzato
dalla ricorrente, a seguito di scissione societaria e
conseguente divisione e frazionamento dell’immobile,
ritenendo che concreti ristrutturazione edilizia la erezione
di tramezzature e la modificazione degli ingressi;
- Considerato che l’appellante ripropone le censure,
respinte in primo grado, con le quali sostiene che
l’intervento che non comporti aumento delle unità
immobiliari, consistente nella divisione in senso
orizzontale o verticale del fabbricato, senza ulteriore
apertura di ingressi (ma solo sfruttando i due ingressi
originari) non comporti un ulteriore carico urbanistico;
- Considerato che ai fini della riliquidazione o meno degli
oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto
imponibile è costituito dalla sussistenza o meno
dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato
dall’intervento, introdotto in un fabbricato già
autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto
esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di
un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma
anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà
strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con
conseguente necessità della sottoposizione della relativa
concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla
avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali
a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione
comporta sotto il profilo urbanistico (in tal senso C. di
Stato, V, 03.03.2003, n. 1180);
- Considerato e ritenuto che, sulla base del generale
principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico
urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il
pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché
l’intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico, e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione,
comportante la divisione e il frazionamento di un immobile,
conseguenti ad una scissione societaria per essere
l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti
soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei
beni comuni si applicano le disposizioni della divisione
delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale
principio vale anche in caso di divisione per scissione
societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due
distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto
sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri;
- Considerato e ritenuto che la imposizione di oneri
integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi
edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area
interessata, come nel caso di aumento del numero di unità
abitative (da una a due), determinante una variazione
quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (in tal
senso, C. Stato, V, 23.05.1997, n. 529) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 29.04.2004 n. 2611 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
discrimine tra le ipotesi della manutenzione straordinaria e
la ristrutturazione edilizia sta nel fatto che che
quest’ultima comporta il pagamento degli oneri di
urbanizzazione, allorché l’intervento abbia cagionato un
aumento del carico urbanistico.
---------------
Nel caso in questione la scissione dell’originaria società
indusse alla suddivisione dell’unico locale di vendita in
due parti, che vennero organizzate in modo da conferire
autonomo rilievo all’attività di impresa dei due distinti
soggetti che derivarono dall’operazione societaria.
Le opere riguardarono l’erezione di tramezze e la
modificazione degli ingressi, cosa che di per sé ha
comportato un aumento del carico urbanistico imposto
all’area.
Ne consegue che l’impugnazione non può trovare accoglimento,
atteso che il fondamento dell’atto di cui è chiesto
l’annullamento non pare in contrasto con le norme
denunciate.
In tal senso, del resto, si è orientata la giurisprudenza,
che ha ritenuto che la determinazione in merito
all’obbligazione relativa agli oneri va adottata istituendo
un discrimine tra i diversi interventi realizzabili, che ha
riguardo all’eventuale modifica del carico urbanistico.
Nel caso in questione le modificazioni apportate
all’immobile, soprattutto per quel che riguarda l’apertura
dei nuovi ingressi, confermano che si è realizzato un
aumento dell’impatto sul territorio.
... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,
del provvedimento 04.08.2003 prot. n. 21802 con cui il
Responsabile dell’Ufficio Pianificazione Urbanistica del
Comune di Cossato, esaminata “la questione di legittimità
relativa alla richiesta del pagamento di oneri di
urbanizzazione” in merito alla pratica edilizia
16.12.2002 n. 114/02 SUAP, ha confermato “quanto già
comunicato con nota n. 7590 del 5.3.2003 recante la
determinazione degli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per un totale di Euro 12.769,92”;
di ogni altro atto antecedente, preordinato, consequenziale
o comunque connesso del procedimento e, in particolare,
della nota 05.03.2003 n. 7590 con cui il Responsabile
dell’Ufficio Pianificazione Urbanistica del Comune di
Cossato, in relazione alla pratica edilizia 16.12.2002 n.
114/SUAP, ha quantificato gli oneri concessori in Euro
12.769,92;
...
- con l’unico ed articolato motivo di gravame l’interessata
lamenta l’insussistenza dei presupposti per la richiesta
degli oneri di urbanizzazione, per la realizzazione delle
opere edilizie assentite;
- in fatto risulta che le società derivate dalla scissione
dell’originaria proprietaria dell’immobile hanno suddiviso
il bene, così da poter organizzare l’attività di commercio
in modo autonomo ed indipendente;
- non è contestato che l’interessata ha posto in atto opere
di tramezzatura e di creazione di ambienti rinnovati, anche
se non risultano realizzati ulteriori vani;
- su tali presupposti la ricorrente rileva di aver dato
corso a lavori che non integrano una ristrutturazione
edilizia con aumento di unità immobiliari;
- il giudice rileva che la decisione della controversia non
può derivare dalla qualificazione attribuita al titolo
concessorio rilasciato dal Comune, posto che è corretta sul
punto al tesi difensiva della ricorrente, allorché osserva
che la concreta natura dei lavori eseguiti ha maggior
rilievo delle indicazione contenute nel titolo;
- la lettura che la giurisprudenza ha dato alle norme
denunciate mette in rilievo (ad es. Cons. Stato sez. V
05.03.2001, n. 1244) il discrimine tra le ipotesi della
manutenzione straordinaria e la ristrutturazione edilizia,
posto che quest’ultima comporta il pagamento degli oneri di
urbanizzazione, allorché l’intervento abbia cagionato un
aumento del carico urbanistico;
- nel caso in questione la scissione dell’originaria società
indusse alla suddivisione dell’unico locale di vendita in
due parti, che vennero organizzate in modo da conferire
autonomo rilievo all’attività di impresa dei due distinti
soggetti che derivarono dall’operazione societaria;
- le opere riguardarono l’erezione di tramezze e la
modificazione degli ingressi, cosa che di per sé ha
comportato un aumento del carico urbanistico imposto
all’area;
- ne consegue che l’impugnazione non può trovare
accoglimento, atteso che il fondamento dell’atto di cui è
chiesto l’annullamento non pare in contrasto con le norme
denunciate;
- in tal senso, del resto, si è orientata la giurisprudenza,
che ha ritenuto che la determinazione in merito
all’obbligazione relativa agli oneri va adottata istituendo
un discrimine tra i diversi interventi realizzabili, che ha
riguardo all’eventuale modifica del carico urbanistico;
- nel caso in questione le modificazioni apportate
all’immobile, soprattutto per quel che riguarda l’apertura
dei nuovi ingressi, confermano che si è realizzato un
aumento dell’impatto sul territorio;
- in conclusione il ricorso non può trovare accoglimento
(TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 26.11.2003 n. 1675
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 09.12.2013 |
ã |
Meglio tardi che mai !!
Anche in
Lombardia, adesso, sappiamo cosa fare
(burocraticamente parlando) con le terre e rocce da
scavo ... |
L'Arpa Regionale lombarda ha inserito lo scorso
06.12. sul proprio sito web istituzionale una
circolare esplicativa
[sottoscritta dal Direttore Generale ma non datata
(sic!)] ed il
modulo di
dichiarazione (sotto forma di "dichiarazione
sostitutiva dell'atto di notorietà") sicché si
possa tenere un uniforme comportamento in tutti i
comuni della regione.
Al riguardo, di seguito un breve commento (tratto
da www.acca.it): |
L’Arpa Lombardia ha
pubblicato un documento contenente le linee guida
sulla gestione di terre e rocce da scavo alla luce
della Legge 09.08.2013 n. 98 (Legge de Fare).
Il documento fornisce utili indicazioni operative
per la gestione delle “terre e rocce da scavo” e dei
“materiali da scavo” alla luce delle modifiche
introdotte in materia dall’art. 41 comma 2 e
dall’art. 41-bis del decreto legge n. 69/2013, così
come modificato dalla legge di conversione n. 98 del
2013.
La pubblicazione chiarisce che l'articolo 41, comma
2, della Legge del Fare prevede che il D.M. 161/2012
(Regolamento su terre e rocce da scavo) vada
applicato solo alle terre e rocce da scavo che
provengono da attività oppure opere soggette a VIA
(Valutazione d'Impatto Ambientale) o AIA
(Autorizzazione Integrata Ambientale).
Pertanto, le attività non soggette a VIA e/o AIA non
devono sottostare al D.M. 161/2012; quindi, in
questi casi, i materiali di scavo vanno considerati
come sottoprodotti e non rifiuti.
Tuttavia, come previsto dall’art. 41-bis, il
produttore deve dimostrare che sono soddisfatte
alcune condizioni attraverso una dichiarazione che
consenta di verificare il rispetto delle condizioni
previste dalla norma e più precisamente:
► quantità e qualità dei materiali da scavo
destinati all’utilizzo;
► sito di produzione, di deposito e di utilizzo
► provvedimenti, titoli in possesso del destinatario
per l’utilizzo dei materiali di scavo
► tempi previsti per l’utilizzo.
Al fine di uniformare le modalità ed i contenuti
della suddetta dichiarazione, Arpa Lombardia ha
predisposto un modello di Dichiarazione sostitutiva
di atto di notorietà da compilare per rispondere
alle richieste normative. |
Il suddetto modulo di dichiarazione dovrà essere
inviato, all'ARPA provinciale territorialmente
competente, mediante P.E.C. (Posta Elettronica
Certificata) i cui indirizzi sono consultabili
cliccando qui.
Comunque, il modulo di dichiarazione
di cui sopra è opportuno che sia inviato
-contestualmente- non solo all'ARPA provinciale ma
anche al Comune di produzione ed al Comune di
utilizzo (e, se diverso, anche al Comune di
deposito) delle terre e rocce da scavo poiché in
entrambi i casi sussiste necessariamente una pratica
edilizia e, quindi, è opportuno che la stessa sia
completa anche del modulo di dichiarazione di che
trattasi.
Altresì, è la stessa ARPA Regionale lombarda a
ricordarlo nella propria circolare: "ai sensi
del comma 3 dell’art. 41-bis, che il completamento
delle operazioni di utilizzo dovrà essere comunicato
alle Arpa territorialmente competenti, con
riferimento al luogo di produzione e di utilizzo"
ma in questo caso non è stato predisposto il fac-simile
di dichiarazione (sempre sotto forma di
dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà)
e, allora, si potrebbe utilizzare
il fac-simile di modulo predisposto dall'ARPA
Regionale veneta che è
scaricabile cliccando qui.
Infine, siccome ugualmente ricordato dalla circolare
esplicativa, "Arpa Lombardia ha predisposto un
modello di Dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà che l'Agenzia suggerisce ma che potrebbe
essere sostituito da altri modelli purché rispettino
i contenuti dell'art 41-bis della L. 98/2013 e del
D.P.R. 445/2000".
09.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
dite
la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
G. Benni,
Considerazioni
sull'incentivo alla progettazione interna dei pubblici
dipendenti (30.11.2013). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazioni, impianti, sicurezza. Ecco la guida per
realizzare immobili rispondenti alle norme tecniche e
legislative.
L'Ordine degli Ingegneri di Verona ha pubblicato una pratica
guida utile sia a professionisti ed imprese ma anche ai
cittadini per la progettazione, realizzazione e acquisto di
immobili conformi alle norme.
Il vademecum definisce tutto quanto concorre ad avere
come risultato un progetto certificato: dalla fase
progettuale a quella esecutiva, dalla documentazione
necessaria e obbligatoria alle figure professionali che
intervengono.
Vengono illustrate in maniera schematica:
●
autorizzazioni, progetti e ruoli (dal certificato di
agibilità, alla dichiarazione di conformità, al certificato
di collaudo)
●
caratteristiche delle strutture
●
tipologie di impianti termici e elettrici
●
requisiti acustici
●
requisiti antincendio
●
procedure e norme di sicurezza in edilizia
Nel documento, inoltre, sono analizzati gli elementi che
l’acquirente deve approfondire sotto il profilo della
sicurezza e del risparmio energetico (ad esempio: la
constatazione di avere impianti a norma con le disposizioni
di legge relative alla sicurezza antincendio, la
realizzazione dell’involucro edilizio nell’ottica
dell’efficienza energetica, etc.) per conoscere la qualità
dell’immobile che sta per acquistare e le spese che dovrà
sostenere per la gestione energetica
(05.12.2013 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedure e semplificazioni in edilizia: ecco il quadro
completo delle misure adottate dal 2009 ad oggi!
Nel corso degli ultimi anni sono state adottate una serie di
misure volte a semplificare le procedure amministrative
riguardanti l’edilizia, finalizzate a “sburocratizzare” e
rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di
disciplina dell'attività edilizia, paesaggistica ed
ambientale.
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha
presentato
un dossier contenente la mappa delle semplificazioni
legislative riguardanti l’edilizia, dal 2009 ad oggi.
All’interno del dossier, ANCE analizza gli interventi
relativi alla riforma del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R.
380/2001) sino a giungere alle novità del Decreto del Fare.
Il dossier fornisce per ogni singolo provvedimento legato
all’edilizia, al paesaggio ed all’ambiente, un prospetto
riepilogativo e le modifiche apportate alla norma di
riferimento.
In particolare, nel documento vengono sintetizzate le
semplificazioni introdotte dai seguenti interventi
normativi:
►
Legge 69/2009, recante modifiche alla Legge 241/1990 in
materia di procedimento amministrativo, con riduzione dei
tempi procedimentali, nuove responsabilità per omissione
della p.a. e modifiche alla Conferenza dei Servizi
►
D.P.R. 139/2010, che introduce la procedura semplificata per
l’autorizzazione paesaggistica
►
D.L. 40/2010 ("Decreto Incentivi"), che apporta modifiche al
D.P.R. 380/2001 ampliando la categoria degli interventi
edilizi soggetti ad attività edilizia libera e che introduce
la Comunicazione di Inizio Lavori (CIL)
►
D.L. 78/2010, che introduce la Segnalazione Certificata di
Inizio Attività (SCIA)
►
D.L. 70/2011 (Decreto Sviluppo), che fornisce chiarimenti
sulla SCIA, introduce il silenzio assenso sul Permesso di
Costruire, regolarizza le difformità rispetto al progetto
assentito nel limite del 2%, introduce semplificazioni
sull’autorizzazione paesaggistica
►
D.L. 201/2011 (Decreto salva-Italia)
►
D.L. 5/2012 (Decreto Semplificazioni), che introduce la
cedibilità dei parcheggi pertinenziali e alcune
semplificazioni nelle procedure amministrative mediante SCIA
►
D.L. 83/2012 (Decreto Sviluppo e Crescita), che introduce
modifiche allo Sportello Unico per l’Edilizia e semplifica
il procedimento di rilascio del Permesso di Costruire
►
D.P.R. 59/2013, che definisce l’Autorizzazione Unica
Ambientale
►
D.Lgs. 33/2013 sulla trasparenza nelle Pubbliche
Amministrazioni
►
D.L. 69/2013, (Decreto del Fare), che introduce deroghe in
materia di limiti di distanza tra i fabbricati, elimina il
vincolo del rispetto della sagoma, elimina l’obbligo della
dichiarazione di indipendenza nei rapporti lavorativi tra
progettista e committente o impresa, introduce
semplificazioni in tema di agibilità, proroga i termini di
scadenza dei titoli abilitativi, proroga le convenzioni
urbanistiche
(05.12.2013 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Schemi di procedure e documenti per avere le detrazioni
fiscali per interventi su serramenti, caldaie e isolamento
delle pareti.
L’Enea, ente preposto alla promozione delle politiche di
efficienza energetica, ha pubblicato i vademecum contenenti
schemi e procedure per la presentazione della documentazione
relativa ai lavori di riqualificazione energetica per
usufruire delle detrazioni fiscali del 65%.
Per ogni intervento sono descritti i requisiti generali e
tecnici, le opere agevolabili, la documentazione richiesta,
le modalità di compilazione e trasmissione, per chi vuole
realizzare uno dei seguenti lavori agevolati:
●
serramenti
●
caldaie a condensazione
●
caldaie a biomasse
●
pannelli solari
●
pompe di calore
●
coibentazione pareti
●
riqualificazione globale
In allegato a questa notizia proponiamo
la raccolta in formato “zip” contenente i vademecum
aggiornati a novembre 2013 relativi agli interventi di
riqualificazione energetica
(05.12.2013 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di Costruire e Sportello Unico per l’Edilizia: ecco lo
Speciale di BibLus-net, con tabelle di sintesi e schemi.
Lo Sportello Unico per l’Edilizia (SUE) è diventato
l’interlocutore principale per tutte le questioni relative
al rilascio dei titoli abilitativi e ai controlli
sull’attività edificatoria. È stato istituito oltre 10 anni
fa dal D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), con lo
scopo di curare i rapporti con i cittadini, i progettisti e
le imprese per tutto quanto attiene il disbrigo delle
pratiche edilizie. Uno dei compiti principali dello
Sportello Unico è quello di rilasciare il Permesso di
Costruire.
Nel corso del tempo il SUE ha subito diverse modifiche
finalizzate alla semplificazione.
In questo articolo proponiamo ai lettori
uno Speciale a cura della redazione di BibLus-net, utile
sia ai cittadini, per comprendere in maniera semplice come
funziona lo Sportello Unico e come viene rilasciato il
Permesso di Costruire, sia ai tecnici progettisti e ai
tecnici delle Amministrazioni Pubbliche, come promemoria di
sintesi, che illustra le funzioni dello Sportello Unico
dell’Edilizia, alla luce dei nuovi interventi normativi.
Alla fine del documento è presente una schematizzazione
delle fasi per il rilascio del Permesso di Costruire
(28.11.2013 - link a www.acca.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Indirizzi volti a favorire il superamento del
precariato. Reclutamento speciale per il personale in
possesso dei requisiti normativi. Proroghe dei contratti.
Articolo 4 del decreto-legge 31.08.2013, n. 101, convertito,
con modificazioni, dalla legge 30.10.2013, n. 125, recante
"Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di
razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni" e
articolo 35 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (circolare
21.11.2013 n. 5/2013). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Abrogati gli articoli del regolamento sui
contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti
delle categorie super specializzate ed i criteri di
affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria
(ANCE Bergamo,
circolare 06.12.2013 n. 253). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
GESTIONE DEI MATERIALI DA SCAVO alla luce della L.
09.08.2013 n. 98 di conversione, con modifiche, del D.L.
21.06.2013 n. 69 (cd "Decreto Fare"):
►
circolare esplicativa
►
modulo di
dichiarazione
(06.12.2013 - ARPA Lombardia). |
SINDACATI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della Funzione
Pubblica (CGIL-FP
di Bergamo,
novembre 2013). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I. Cacciavillani,
Il risarcimento del danno non patrimoniale da atto
amministrativo illegittimo: un tabù da sfatare (dicembre
2013 - link a www.lexitalia.it). |
APPALTI:
C. Tomasini,
Costo del personale: prime indicazioni per l’applicazione
dell’art. 82, comma 3-bis codice dei contratti pubblici
(Urbanistica e appalti n. 12/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. T. D'Urso,
La deroga alla onerosità della concessione edilizia ricorre
solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Oneri di urbanizzazione anche se l’impresa realizza un’opera
pubblica (Diritto e Pratica Amministrativa n. 10/2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
Sono sempre rifiuti gli abiti dismessi? (26.09.2013-
link a www.industrieambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Sanna,
Bonifica e danno ambientale (25.09.2013 - link a
www.industrieambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G. Amendola,
L'apoteosi del partito delle terre da scavo (23.09.2013
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Il "malloppo" degli oneri di urbanizzazione deve essere
restituito ai cittadini (19.09.2013 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
A chi compete il rilascio dell'autorizzazione simica? (12.09.2013
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Mauri,
Fiumi e torrenti: il vincolo paesaggistico sussiste a
prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque
pubbliche (10.09.2013 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Insostituibilità della preventiva autorizzazione simica
(03.09.2013 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
CONDONO EDILIZIO e CONCESSIONI A SANATORIA NULLE - (commento
alla sentenza n. 3845/2013 del Consiglio di Stato,
depositata il 15.07.2013) (13.08.2013 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
LA PERMANENZA DEL REATO DI COSTRUZIONE IN VIOLAZIONE DELLE
NORME TECNICHE ANTISISMICHE (07.08.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Palmisano,
Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione:
dal Tar Sicilia un provvedimento che fa bene alla salute (04.08.2013
- link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
SULL’OBBLIGO DELL’ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEI TITOLI
ABILITATIVI EDILIZIA (03.08.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
M. Sanna,
Materiale di demolizione. Recupero ed MPS (30.07.2013
- link a www.industrieambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Aiello,
Gestione illecita di rifiuti stoccaggio e deposito
temporaneo (30.07.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
Acque meteoriche e scarichi industriali: a che punto siamo? (29.07.2013
- link a
www.industrieambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Il parere vincolante del soprintendente nel procedimento di
autorizzazione paesaggistica (29.07.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
Una proposta costruttiva per svolgere l'attività di raccolta
e trasporto di rifiuti «in forma ambulante» (25.07.2013
- link a
www.lexambiente.it). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
07.12.2013 n. 287 "Seconda edizione delle Linee-Guida per
i controlli antimafia di cui all’art. 3-quinquies del
decreto-legge 25.09.2009, n. 135, convertito dalla legge
20.11.2009, n. 166, inerente la realizzazione delle opere e
degli interventi connessi allo svolgimento dell’EXPO Milano
2015" (Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comitato di
coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere,
deliberazione 20.11.2013). |
PATRIMONIO: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 49 del 03.12.2013, "Modifiche
alla legge regionale 04.12.2009, n. 27 (Testo unico delle
leggi regionali in materia di edilizia residenziale
pubblica)" (L.R.
02.12.2013 n. 17). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013,
"Adeguamento del valore del soprassuolo stabilito con
d.g.r. 675/2005" (decreto
D.S. 26.11.2013 n. 10975). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013, "Adeguamento
delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di danni
alle superfici boschive e ai terreni soggetti a vincolo
idrogeologico (art. 61, comma 14, l.r. n. 31/2008)"
(decreto
D.S. 26.11.2013 n. 10974). |
PATRIMONIO - TRIBUTI: G.U.
30.11.2013 n. 281 "Disposizioni urgenti concernenti
l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca
d’Italia" (D.L.
30.11.2013 n. 133). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
29.11.2013 n. 280 "Ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica proposto da AGI - Associazione imprese
generali ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri ed altri per l’annullamento del decreto del
Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207 ed in
particolare delle seguenti disposizioni in parte qua:
articolo 109, comma 2, articolo 107, comma 2; Allegato A,
articolo 79, commi 17, 19 e 20; articolo 85, commi 1 e 2;
articolo 86, comma 1, articolo 83, comma 4, articolo 357,
comma 12; articolo 92, comma 2" (D.P.R.
30.10.2013). |
QUESITI & PARERI |
SICUREZZA LAVORO:
Contravvenzione penale in materia di sicurezza del lavoro.
La magistratura contabile sottolinea il
carattere personale della responsabilità per le violazioni
in materia di sicurezza ed igiene del lavoro di cui al
D.Lgs. n. 758/1994, con la conseguenza che gli adempimenti
previsti da detto decreto per l'estinzione delle
contravvenzioni -adempimento della prescrizione impartita
dall'organo di vigilanza e pagamento dell'ammenda in misura
ridotta- hanno del pari carattere del tutto personale,
predisposti come essi sono ad evitare la sanzione penale
edittalmente prevista.
Pertanto l'ente pubblico, in presenza di una sanzione per
violazione della normativa sulla sicurezza de qua, a carico
della persona (dipendente o amministratore) individuata
dagli organi a ciò preposti quale contravventore, non può
assumersene l'onere senza cagionare un danno all'erario.
Il Consorzio riferisce che a un proprio dipendente è stato
notificato dall'organo di vigilanza competente un verbale di
accertamento di alcune contravvenzioni in materia di
sicurezza del lavoro, recante la prescrizione della
regolarizzazione delle situazioni di illegittimità
riscontrate, al fine di eliminare le contravvenzioni
accertate, ai sensi dell'art. 20, D.Lgs. n. 758/1994
[1]. A
seguito dell'accertamento positivo dell'adempimento delle
prescrizioni, l'organo di vigilanza ha comunicato al
dipendente (contravventore) l'ammissione al pagamento nel
termine di 30 giorni della sanzione amministrativa nella
misura ridotta ai sensi dell'art. 21 del decreto citato.
Poiché il dipendente ha chiesto al Consorzio di farsi carico
del pagamento della sanzione, l'Ente pone alcune questioni
circa la possibilità di procedere direttamente al pagamento
della stessa, ovvero, qualora a ciò debba provvedere il
dipendente, circa la possibilità di disporre, poi, nei suoi
confronti, il rimborso di quanto pagato.
Il D.Lgs. n. 758/1994 ha dettato con gli artt. 19 e ss. una
disciplina in tema di estinzione delle contravvenzioni in
materia di sicurezza ed igiene del lavoro. L'art. 20
prescrive che, allo scopo di eliminare la contravvenzione
accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle
funzioni di polizia giudiziaria, deve impartire al
contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la
regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di
tempo tecnicamente necessario, ma prorogabile in certi casi,
ed imponendo se del caso specifiche misure atte a far
cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei
lavoratori durante il lavoro [2].
La norma prevede che copia della prescrizione è notificata o
comunicata anche al rappresentante legale dell'ente
nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.
Il successivo art. 21 stabilisce, poi, che entro sessanta
giorni dalla scadenza del termine fissato nella
prescrizione, l'organo di vigilanza deve verificare se la
violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel
termine indicati, e in caso di riscontro positivo in tal
senso, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a
pagare, nel termine di 30 giorni, una sanzione, in sede
amministrativa, pari al quarto del massimo dell'ammenda
stabilita per la contravvenzione commessa
[3]. Ai sensi del
successivo art. 24, l'adempimento della prescrizione e il
pagamento della sanzione amministrativa determinano
l'estinzione della contravvenzione.
Nel caso concreto, l'adempimento della prescrizione imposta
dall'organo di vigilanza risulta avvenuto nelle modalità e
nel termine fissati, con conseguente ammissione del
trasgressore al pagamento della sanzione amministrativa in
misura ridotta.
Ciò premesso, si tratta di capire se l'Ente possa tenere
indenne il dipendente trasgressore dal pagamento della
sanzione.
Muovendo dall'espressione testuale delle disposizioni sopra
richiamate, si osserva che destinatario della prescrizione è
il contravventore (art. 20) che, in caso di adempimento
della prescrizione, è ammesso al pagamento in misura ridotta
(art. 21).
Come ha osservato la giurisprudenza [4],
le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 758/1994 individuano
inequivocabilmente il soggetto tenuto al pagamento della
sanzione pecuniaria (al fine di ottenere il beneficio
dell'estinzione del reato contravvenzionale commesso) in
colui che sia stato riconosciuto personalmente responsabile
di trasgressioni alle disposizioni vigenti in materia di
sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro
[5].
Per quanto concerne la posizione dell'Ente con cui
intercorre il rapporto di lavoro subordinato del dipendente
che ha ricevuto la notifica della prescrizione, il comma 2
dell'art. 20 ricordato prevede che copia della prescrizione
è notificata o comunicata anche al rappresentante legale
dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il
contravventore.
Pertanto, atteso che la normativa di cui al D.Lgs. n.
758/1994 pone quale destinatario esclusivo della
prescrizione il contravventore e che, dalla documentazione
acquisita dall'Ente, consta l'individuazione del
contravventore nella persona del dipendente, l'onere del
pagamento della sanzione graverà su quest'ultimo.
Per quanto concerne, infine, la possibilità di un eventuale
rimborso da parte dell'Ente al contravventore della somma
che questo è chiamato a pagare, si segnalano le
considerazioni espresse dalla Corte dei Conti nella materia
specifica delle contravvenzioni per violazioni della
normativa concernente la sicurezza nel luogo di lavoro.
Specificamente, i Giudici contabili, muovendo dal
riconoscimento del carattere personale della responsabilità
connessa alle suddette violazioni, spiegano che,
conseguentemente, anche il pagamento dell'ammenda in misura
ridotta, accompagnato dall'adempimento della prescrizione
impartita dall'organo di vigilanza, idoneo ad estinguere la
contravvenzione, ha del pari carattere del tutto personale,
predisposto come esso è ad evitare la sanzione penale
edittalmente prevista. Pertanto l'ente pubblico, in presenza
di una sanzione a carico del datore di lavoro per violazione
della normativa sulla sicurezza de qua, non può assumersene
l'onere, senza cagionare un danno all'erario
[6].
Ad ogni buon conto, stante la delicatezza della questione,
si suggerisce all'Ente di valutare l'opportunità di
richiedere un parere in ordine alla rimborsabilità di somme
pagate da dipendenti, nell'ambito della procedura stabilita
dal D.Lgs. n. 758/1994 in tema di estinzione delle
contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del
lavoro, alla Sezione regionale di controllo della Corte dei
conti [7],
muovendo dalla rappresentazione della fattispecie di fatto
in cui è consistita la violazione sanzionata, anche in
relazione alla rilevanza o meno della valutazione
dell'elemento soggettivo del dipendente/contravventore.
---------------
[1] D.Lgs. 19.12.1994, recante: 'Modificazioni alla
disciplina sanzionatoria in materia di lavoro'.
[2] Si ricorda che resta, ovviamente, fermo, l'obbligo
dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero
la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi
dell'art. 347, c.p.p..
[3] Quindi entro 120 giorni dalla scadenza del termine
fissato nella prescrizione, deve comunicare al pubblico
ministero l'adempimento della prescrizione e l'eventuale
pagamento della sanzione amministrativa.
[4] Corte dei Conti, sez, giurisd. per la Regione siciliana,
sentenza n. 1829/1998; Corte dei Conti, sez. giurisd. per la
Regione Calabria, sentenza n. 950/2008, che nel richiamare
l'art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 758/1994, commenta che la
contravvenzione si estingue se il contravventore (e non la
persona giuridica) adempie alla prescrizione impartita
dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede
al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2.
[5] Al riguardo, corre, peraltro, l'obbligo di segnalare
alcune osservazioni formulate in dottrina, secondo cui,
nell'ipotesi in cui sorgano dubbi sull'individuazione del
soggetto responsabile della violazione accertata, gli organi
di vigilanza emettono la prescrizione sulla base della
situazione di fatto e documentale verificata
nell'immediatezza in una logica di urgente intervento a
fronte di una situazione per la sicurezza dei lavoratori che
deve ritenersi prevalente rispetto alla piena e definitiva
cognizione dei vari profili di responsabilità in seno
all'ente. In siffatta ipotesi, il PM potrà, successivamente,
sollecitare, una più approfondita verifica, con possibilità
di successive integrazioni o modificazioni dei destinatari
della prescrizione stessa (Cfr, Pasquale Fimiani,
magistrato, L'accertamento delle contravvenzioni in materia
di sicurezza sul lavoro, 20.10.1999).
[6] Corte dei Conti, sez. giurisd., Regione Sicilia,
sentenza n. 1574/2010; Corte dei Conti, sez. contr., Emilia
Romagna, parere n. 276/2011.
[7] Ai sensi dell'art. 7, comma 8, L. n. 131/2003. Si
specifica, al riguardo, che, secondo gli indirizzi dettati
dalla Corte dei conti, ai fini dell'ammissibilità, la
richiesta di parere deve essere formulata prima che siano
assunti dall'ente richiedente comportamenti potenzialmente
illeciti sotto il profilo contabile (03.12.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Fallimento di soggetto creditore del Comune liquidazione
fattura.
Da un lato, sussiste la previsione per
cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare
qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore, cosicché
si apra il concorso di tutti i creditori in relazione al
patrimonio dell'imprenditore. Dall'altro lato, la specifica
disposizione di cui all'art. 4, c. 2, d.P.R. 207/2010, entra
in conflitto con la regola concorsuale della par condicio
creditorum, in considerazione della sua finalità
garantistica nei confronti dei diritti del lavoratore.
L'Ente deve procedere alla liquidazione di una fattura a
favore di un soggetto sottoposto a procedura fallimentare.
Il Comune domanda, pertanto, come comportarsi ai fini delle
procedure preliminari alla liquidazione, in particolare per
quanto attiene alle verifiche della regolarità contributiva
e per quanto concerne l'eventuale inadempimento, da parte
del proprio creditore, rispetto all'obbligo di versamento
contributivo.
In particolare, il soggetto instante chiede:
a) se, in seguito alle sopra citate verifiche, in caso di
riscontro di situazione debitoria contributiva, si debba
procedere alla liquidazione della somma dovuta, a favore
degli enti dai quali è vantato credito nei confronti del
fallito (INPS, INAIL, ecc.) e, quindi, a favore della
curatela fallimentare per la quota residua; ovvero
b) se, nel rispetto della par condicio creditorum, si
debba procedere alla liquidazione complessiva del debito a
favore della curatela fallimentare, lasciando l'onere
dell'insinuazione nella massa passiva in capo ai
summenzionati enti creditori.
Si anticipa, fin d'ora, che, sulla prospettata questione, lo
scrivente ha ritenuto di formulare un quesito all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, in considerazione della complessità della
evidenziata problematica, della sua portata di interesse
generale e del ruolo rivestito, nel nostro ordinamento
giuridico, dagli interessi ad essa sottesi, qui confliggenti
(applicazione del principio di par condicio creditorum
in sede fallimentare da un lato e tutela della posizione
contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro
dall'altro, garantita dallo strumento disciplinato
dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010, n. 207).
Si premette come l'applicazione della soluzione prospettata
sub a) piuttosto che di quella illustrata sub b) è
condizionata dall'interesse giuridico al quale si intende
dare prevalenza all'interno della delineata antinomia
(rispetto della par condicio creditorum in sede
fallimentare ovvero tutela della posizione contributiva ed
assicurativa del prestatore di lavoro). Le disposizioni che
tutelano i summenzionati interessi giuridici -nell'un caso
la legge fallimentare, nell'altro l'articolo 4, comma 2, del
decreto del Presidente della Repubblica 207/2010- sono
ambedue norme imperative poste a tutela di valori generali e
superiori del nostro ordinamento giuridico.
Poiché, dunque, nella fattispecie in esame, si assiste ad un
caso di conflitto tra norme, che tutelano, entrambe,
interessi superiori del nostro ordinamento giuridico, è
necessario delineare i confini dell'efficacia della
menzionata disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, in
quanto, nel caso ora in attenzione, si riscontra una
contrapposizione tra la procedura concorsuale instaurata nei
confronti dell'appaltatore e la particolare condizione
soggettiva di pubblica amministrazione del committente che
impone a quest'ultimo, in caso di inadempienza contributiva
dell'esecutore di un contratto, di porre in atto la
particolare tutela prevista dalla norma da ultimo citata,
consistente nel cosiddetto 'intervento contributivo
sostitutivo' [1].
Si tratta, quindi, di capire se, a fronte di una instaurata
procedura fallimentare, le disposizioni specifiche che la
disciplinano prevalgano o meno rispetto alla normativa di
settore degli appalti pubblici (nel cui alveo deve essere
ricondotta anche la disposizione qui in esame, contenuta nel
regolamento esecutivo ed attuativo del codice degli appalti
pubblici - decreto del Presidente della Repubblica
207/2010).
Si rammenta, anzitutto, che il decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010 [2]
-nella parte I- Disposizioni comuni - tra le novità di più
rilevante interesse ai fini della disciplina in tema di durc,
all'articolo 4, comma 2, ha introdotto il potere sostitutivo
della stazione appaltante in caso di inadempienza
contributiva dell'esecutore e del subappaltatore.
Il cosiddetto intervento sostituivo nei contratti pubblici
si concretizza nel pagamento, da parte della stazione
appaltante, direttamente ad Inail, Inps e Casse Edili,
dell'importo corrispondente alla inadempienza contributiva
segnalata nel durc. Oggetto dell'intervento è il pagamento
diretto, agli enti previdenziali, di quanto dovuto per le
inadempienze accertate, mediante il documento unico di
regolarità contributiva, nei confronti dell'operatore
economico. La somma che la stazione appaltante versa agli
enti previdenziali è trattenuta dal corrispettivo dovuto
all'operatore economico.
L'articolo 4, comma 2, introduce, pertanto, un particolare
meccanismo, attraverso il quale, in presenza di un documento
unico di regolarità contributiva che evidenzi delle
irregolarità nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle
Casse Edili, le stazioni appaltanti si sostituiscono al
debitore principale versando -in tutto o in parte- le somme
dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai
predetti Istituti e Casse [3].
L'obiettivo della norma è, attraverso la soddisfazione della
pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore
economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di
concorrere al recupero della regolarità contributiva del
medesimo [4].
L'articolo 4, comma 2, trova, dunque, ragion d'essere in
virtù dell'esigenza di garantire, in ogni caso, il
soddisfacimento del credito previdenziale anche a fronte
dell'eventuale inadempimento dell'appaltatore/debitore.
Si tratta di disposizione imperativa con finalità
pubblicistiche e garantistiche di tutela sociale (garantire
al lavoratore il versamento del credito previdenziale ed
assicurativo a favore di Inps e Inail). Assicurare
l'effettivo rispetto delle norme di tutela dei lavoratori è,
invero, un'esigenza di interesse pubblico.
La particolare tutela accordata dalla summenzionata
disposizione appare del resto conforme ai principi
fondamentali del nostro ordinamento, in tema di diritti del
lavoratore, quali si desumono dagli articoli 4, 35 e 36
della Costituzione.
Per quanto concerne, invece, la procedura concorsuale, si
precisa che, in essa, devono confluire tutte le posizioni
attive e passive afferenti al fallito. In considerazione
della regola generale di diritto e logica giuridica
ricavabile dal disposto degli articoli 51 e 52 della legge
fallimentare, nel procedimento concorsuale devono confluire
tutte le obbligazioni ed i crediti che incidono
sull'accertamento del passivo e dell'attivo, poiché è grazie
a tale confluenza che si realizza concretamente l'unità
dell'esecuzione sul patrimonio del fallito ed è, così,
soddisfatta in concreto l'esigenza della
par
condicio creditorum.
Con la dichiarazione di fallimento inizia, dunque, una
procedura concorsuale liquidatoria [5]
che coinvolge l'imprenditore con l'intero patrimonio ed i
suoi creditori [6].
La procedura è diretta all'accertamento dello stato di
insolvenza dell'imprenditore medesimo, all'accertamento dei
crediti vantati nei suoi confronti e alla loro successiva
liquidazione, secondo il criterio della par condicio
creditorum.
Da un lato, sussiste, quindi, la previsione per cui deve
essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi
credito vantato dal fallito/appaltatore nei confronti del
debitore/committente, somma per la quale si apre il concorso
dei creditori sul patrimonio del fallito stesso. Dall'altro
lato, la specifica previsione di cui all'articolo 4, comma
2, pare sovrapporsi alla regola concorsuale della par
condicio creditorum, in considerazione della sua
finalità garantistica.
Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che quella concorsuale
è una procedura speciale che determina l'interruzione delle
procedure legate all'esistenza dell'impresa e, quindi, anche
quelle relative ai contratti di appalto; in particolare la
procedura fallimentare prevale sulle disposizioni di cui
all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010, in quanto le disposizioni in materia di
appalti presuppongono l'esistenza dell'impresa. La parte non
fallita -ovvero la stazione appaltante- deve adempiere al
sinallagma contrattuale per le prestazioni antecedenti alla
dichiarazione di fallimento e l'adempimento corretto è
sicuramente quello reso nei confronti del curatore
fallimentare. Il pagamento del credito dovrà, pertanto,
essere effettuato dal Comune alla curatela fallimentare
[7].
Si evidenzia, inoltre, che, per l'Inail - Direzione Centrale
Rischi - Ufficio Entrate (circolare/nota di istruzioni
emanata in data 21.03.2012), eventuali interventi
contributivi sostitutivi, riguardanti soggetti per i quali
risultino procedure concorsuali, esulano dalle modalità di
pagamento indicate nella summenzionata circolare e 'devono
essere gestiti alla luce della rispettiva normativa di
riferimento, in relazione alla specificità del caso concreto'.
Vi è, tuttavia, chi rimarca che, nell'ipotesi di intervento
sostitutivo, i Comuni agiscono in forza di una disposizione
di legge -l'articolo 4, comma 2- emanata proprio per
consentire, agli enti previdenziali, il diretto recupero
delle somme contributive e che, in ogni caso, il 'fallimento
non subisce alcun danno, evitando l'insinuazione dell'Inps e
degli altri enti previdenziali, che essendo stati
soddisfatti, mancherà. Sottolineandosi inoltre come non si
evinca alcuna disposizione che nel conflitto tra le
disposizioni in esame dia favore all'applicazione delle
prescrizioni di cui alla legge fallimentare'.
[8]
Dando uno sguardo alla prassi, si sottolinea come, in
relazione a casi simili a quelli delineati dal soggetto
instante, siano state reperite sia determinazioni comunali
che dispongono direttamente il pagamento dell'intera somma
dovuta a favore della curatela fallimentare
[9] che
determinazioni comunali che, al contrario, danno
applicazione alla disposizione sull'intervento sostituivo
anche in caso di fallimento, prevedendo, pertanto, il
pagamento del debito contributivo a favore dell'ente
previdenziale e soltanto la corresponsione della differenza
a beneficio della curatela [10].
In conclusione, premesso che, trattandosi di normativa
nazionale, la soluzione della problematica esaminata può
essere indicata soltanto dai competenti uffici statali, nel
quadro di incertezza applicativa sopra delineato ed in
attesa di conoscere la presa di posizione dell'Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici, si ritiene di poter
propendere, in via meramente collaborativa, per la soluzione
sub b), riconoscendosi, pertanto, nel raffigurato contrasto,
prevalenza all'applicazione delle regole sottese alla
procedura fallimentare ed al principio della par condicio
creditorum.
---------------
[1] Si rammenta che, in base al tenore letterale
dell'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 207/2010, l'intervento sostitutivo contributivo è
un obbligo per la stazione appaltante. In tal senso, i
pareri Anci datati 26.07.2013 e 18.06.2013.
[2] Il regolamento è entrato in vigore l'08.06.2011.
[3] In tal senso, la circolare n. 3/2012 del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per
l'Attività Ispettiva.
[4] In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013,
18.06.2013 e 22.01.2013, reperibili all'indirizzo internet
www.ancitel.it
[5] Il fallimento è disciplinato dal regio decreto
16.03.1942, n. 267 (Legge fallimentare) e successive
modificazioni, tra cui si richiama il decreto legislativo
09.01.2006, n. 5 ed il decreto legislativo 12.09.2007, n.
169.
[6] L'articolo 42 del regio decreto 267/1942 è la prima
norma concernente gli effetti del fallimento per
l'imprenditore: 'La sentenza che dichiara il fallimento
priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della
disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di
dichiarazione del fallimento'. Questi effetti rientrano nel
concetto di spossessamento e decorrono dalla data di
pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento: il
fallito perde, così, la disponibilità dei propri diritti
patrimoniali. Gli effetti del fallimento, oltre che in capo
all'imprenditore, si producono anche nei confronti dei
creditori. Tali effetti sono regolati dal regio decreto
267/1942, negli articoli da 52 a 63.
[7] Si legga, in questo senso, il parere espresso dalla
Regione Toscana - Direzione Generale Organizzazione e
Risorse -Settore Contratti- datato 21.02.2012, reperibile
sul sito ufficiale dell'ente.
[8] Motivazioni tratte da un forum di diritto fallimentare.
[9] In tal senso, si veda la determinazione del Comune di
Cavagnolo, Provincia di Torino, n. 58 del 17.04.2013,
reperibile sul sito internet dell'ente.
[10] Così, la determinazione del Comune di Lecco n. 507
dell'08.08.2013, reperibile sul sito internet dell'ente
(29.11.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Liti, le spese sono a carico.
Nessun rimborso ai sindaci. Solo ai dipendenti.
Il beneficio per i lavoratori non è suscettibile di
estensione analogica.
Sono rimborsabili le spese legali sostenute per atti
compiuti in qualità di sindaco e presidente della
commissione di vigilanza sugli spettacoli?
Nell'ordinamento vigente non è dato rinvenire norme che
prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori
locali le spese sostenute per giudizi instaurati in
relazione a fatti asseritamente posti in essere
nell'esercizio delle proprie funzioni.
In passato, parte della giurisprudenza aveva ritenuto di
poter estendere in via analogica agli amministratori locali
la normativa che consente tale rimborso per i dipendenti
degli enti locali, sulla base dell'avverarsi di alcuni
presupposti, quali la sussistenza di una connessione con i
compiti d'ufficio dei fatti oggetto del processo penale, la
mancanza del conflitto d'interessi con l'amministrazione di
appartenenza, nonché la conclusione del processo penale con
una sentenza di assoluzione.
Secondo indirizzi ermeneutici più recenti, la possibilità di
tale ricorso all'analogia nella materia in questione è
preclusa.
In base a tali orientamenti è stato, infatti, ritenuto non
pertinente il richiamo all'analogia, che risulta
correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo
nell'ordinamento, vuoto che nella specie non è
configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a
dettare una diversa disciplina per due situazioni non
identiche fra loro, e la diversità non appare priva di
razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono
dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali
rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (cfr.
sent. Cass. civ. sez. I n. 12645 del 25/05/2010).
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Basilicata, con la più recente sentenza n. 165 del 15.10.2012, ha confermato tale orientamento, escludendo
un'interpretazione estensiva della disciplina prevista per i
dipendenti e ritenendo anche non condivisibile la tesi
dell'applicabilità, con il ricorso al procedimento
analogico, dell'art. 1720 del codice civile nella parte in
cui dispone che «il mandante deve inoltre risarcire i danni
che il mandatario ha subito a causa dell'incarico».
Tali principi si richiamano anche per la fattispecie in
oggetto, significando che, alla carica elettiva di sindaco
si ascrivono tutte le funzioni previste per legge,
esercitate nel rispetto del mandato pubblico conferito
(articolo ItaliaOggi del
29.11.2013). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Gruppi consiliari di due componenti.
È possibile costituire un nuovo gruppo consiliare,
distaccato da dall'originario gruppo di maggioranza, formato
da due componenti?
In linea di principio i mutamenti che possono sopravvenire
all'interno delle forze politiche presenti in consiglio
comunale per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo
di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi
consiliari ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti,
sono ammissibili.
Ciò secondo un principio fondamentale del nostro
ordinamento, confermato dalla giurisprudenza (vedi Tar
Lazio, sent. n. 649 del 21/7/2004) per il quale non è
configurabile alcun obbligo giuridico che vincoli l'eletto
al proprio partito, ovvero ai propri elettori, sicché «nulla
impedisce che, nel corso della consiliatura, uno o più
consiglieri abbandonino la coalizione d'origine e transitino
in altra coalizione».
In particolare, i consigli dovrebbero dotarsi di normativa
regolamentare per il loro funzionamento, così come previsto
dall'articolo 38, comma 2, del dlgs n. 267/2000, e per la
gestione di tutte le risorse assegnate agli stessi consigli
e ai gruppi regolarmente costituiti.
Nella fattispecie lo statuto dell'ente, pur prevedendo la
possibilità di costituzione di nuovi gruppi formati da
almeno tre componenti, ne subordina l'attuazione «a norma di
regolamento» che, nel caso in esame, non è mai stato
adottato.
Tuttavia, pur permanendo la grave carenza derivante dalla
mancata adozione del regolamento per il funzionamento del
consiglio comunale, previsto dal citato art. 38, ciò non può
considerarsi quale condizione preclusiva della disposizione
statutaria, secondo cui sono ammessi solo i gruppi formati
da almeno tre consiglieri, che risulta comunque
immediatamente applicabile
(articolo ItaliaOggi del
29.11.2013). |
VARI: Bonus
mobili con dubbi.
Domanda
Ho installato nella mia abitazione un impianto
anti-intrusione, per il quale usufruirò della detrazione
(50% per il recupero edilizio). Alla luce della circolare
29/E/2013, che sembra limitare il bonus arredi ai soli
interventi edilizi, ho richiesto al servizio di assistenza
dell'Agenzia entrate di chiarirmi se, in relazione
all'impianto anti intrusione, posso usufruire anche della
detrazione per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici. La
risposta è stata affermativa, mentre la circolare 29/E/2013
sembra limitare il bonus per gli arredi ai soli interventi
edilizi. Cosa ne pensate?
Risposta
Dalla lettura dell'art. 16 del dl 63/13 sembra potersi
addivenire a un'applicazione del bonus mobili più ampia di
quella desumibile dalla circolare 29/E/13, che appare
limitata ai soli interventi di natura edilizia. In tal
senso, prima dell'emanazione della circolare, si erano
espressi molti commentatori. Interpretazione basata sul
rinvio, da parte del 3° comma dell'art. 16 del dl 63/2013 (relativoa
mobili e grandi elettrodomestici), al 1° comma dello stesso
art. 16 e da quest'ultimo all'intero 1° comma dell'art.
16-bis del Tuir, comma quest'ultimo che ricomprende anche
interventi di carattere non edilizio. Tale interpretazione
valorizza il predetto ragionamento e minimizza la portata
del termine «ristrutturazione» usato dal legislatore nel dl
63/2013 in modo atecnico e, probabilmente, non restrittivo.
La
circolare sembra avere sposato una soluzione diversa, che non
convince del tutto, pur non essendo irragionevole: infatti,
anche essa interpreta il vocabolo «ristrutturazione» in
senso atecnico, tuttavia nell'espanderne il significato non
arriva al punto di ricomprendere la totalità degli
interventi presenti nel 1° comma dell'art. 16-bis del Tuir
(peraltro, la stessa circolare 29/E/13 riconosce che il
bonus mobili compete anche nel caso di cui al 3° comma
dell'art. 16-bis del Tuir relativo alla detrazione per
l'acquisto di fabbricati ristrutturati).
Condividiamo quindi l'interpretazione data via e-mail dal
servizio assistenza dell'Agenzia delle entrate, anche perché
non è chiaro cosa cambi, in concreto, rispetto all'acquisto
degli arredi, se si esegue un modesto intervento di
manutenzione straordinaria «edilizia» piuttosto che un
qualsiasi altro intervento, ancorché privo di tale natura
(come l'impianto anti intrusione), per il quale il
legislatore abbia comunque ritenuto di riconoscere il
36-50%.
La risposta del servizio assistenza non possiede però valore
giuridico di interpello (art. 11, legge 212/2000), per
ottenere il quale occorre rivolgersi alla Direzione
regionale competente per territorio
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Immobile
viziato.
Domanda
Vorrei sapere se, nel caso in cui le informazioni fornite in
un'asta immobiliare siano gravemente incomplete e omettano
di indicare l'esistenza di abusi edilizi non sanabili,
l'aggiudicatario può far valere la garanzia per i vizi.
Risposta
La risposta è affermativa ed è stata ribadita da una
recentissima pronuncia della Suprema corte (n. 23140/2013). In
caso di procedura esecutiva e di aggiudicazione di
un'immobile all'asta, la sanatoria non è concessa in via
automatica, ma è subordinata all'esistenza delle condizioni
di legge affinché l'aggiudicatario possa presentare la
necessaria istanza di sanatoria nei 120 giorni successivi
all'aggiudicazione, termine tassativo e decorrente dalla
data in cui al soggetto aggiudicatario è notificato il
decreto di trasferimento, non già dalla anteriore data di
deposito presso la cancelleria.
Può costituire oggetto di vendita forzata anche un immobile
viziato da abusi non sanabili, ma ciò deve essere dichiarato
nel bando di vendita. In caso contrario, ci si troverebbe di
fronte alla vendita di «una cosa per un'altra», nel qual
caso non opera più l'esclusione dell'aggiudicatario, ex art.
2922 c.c., dalla garanzia per vizi.
In passato, la Cassazione (sent. n. 11018/94) aveva già
osservato che all'esclusione da garanzia ex art. 2922 c.c.
resta estranea l'ipotesi che la cosa appartenga a un genere
del tutto diverso da quello indicato nell'ordinanza di
aggiudicazione o manchi delle particolari qualità necessarie
per assolvere alla sua naturale funzione economico–sociale,
ma anche se risulta del tutto compromessa la destinazione
all'uso indicato nell'ordinanza che abbia costituito
situazione determinante per l'offerta all'acquisto
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Detrazione
del 65%.
Domanda
In presenza di una ristrutturazione consistente anche
nell'ampliamento del fabbricato già esistente con relativa
riqualificazione energetica si può usufruire della
detrazione del 65% su tutti i costi sostenuti al riguardo?
Risposta
No. La spettanza della detrazione per gli interventi di
risparmio energetico è subordinata alla circostanza che i
predetti interventi siano realizzati su edifici esistenti.
Con la circolare n. 36/2007 l'Agenzia delle entrate ha,
infatti, precisato che nel caso di ristrutturazioni con
demolizione e ricostruzione si può accedere all'incentivo
solo nel caso di fedele ricostruzione, ravvisando nelle
altre fattispecie il concetto di nuova costruzione.
Conseguentemente: in caso di ampliamento non spetta la
detrazione in quanto l'intervento si considera «nuova
costruzione»; in caso di ristrutturazione senza demolizione
dell'esistente e ampliamento la detrazione spetta solo per
le spese riferibili alla parte dell'immobile già esistente
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
PATRIMONIO: Concessione
ad associazione.
Domanda
Un dirigente pubblico che concede un immobile del Comune in
uso gratuito a un'associazione privata commette danno
erariale?
Risposta
Al fine di rispondere al quesito posto è preliminarmente
opportuno precisare, come più volte ribadito dalla
Magistratura contabile, che le Pubbliche amministrazioni
sono tenute a valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico
e che tale valorizzazione consiste in primis nel ricavare un
reddito dalla gestione degli stessi.
La concessione e/o comodato a titolo gratuito è pertanto
vista come extrema ratio (cfr. parere Corti conti Veneto n.
33/2009). Solo in caso in cui l'utilità sociale per la
comunità è maggiore del ricavato economico (ex Università,
Croce Rossa) è ammessa la concessione e/o comodato a titolo
gratuito. Diversamente il comportamento tenuto
dall'Amministrazione costituisce danno erariale. È comunque
consigliabile prevedere i casi circoscritti in cui è ammesso
l'uso a titolo gratuito degli immobili pubblici, con
apposito regolamento, approvato dal Consiglio comunale.
In merito è inoltre opportuno precisare che la Corte dei
conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna , con una
recente sentenza (n. 234 del 16.09.2013), ha statuito che
non determina alcun danno erariale il dirigente comunale che
concede un immobile del Comune in uso gratuito a
un'associazione privata se da ciò deriva un corrispettivo
indiretto all'ente come lo svolgimento di servizi e attività
di utilità pubblica, nonché gli obblighi di gestione e
manutenzione dell'immobile in capo all'associazione stessa
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Demolizione
e ricostruzione.
Domanda
Alla luce della nuova normativa, essendo intenzionato a
effettuare una ristrutturazione edilizia del mio immobile,
consistente nella sua demolizione e ricostruzione, in modo
più efficiente dal punto di vista energetico, posso
usufruire della detrazione fiscale del 65%. Se l'intervento
rispetta la stessa sagoma che ha ora? La nuova costruzione
deve mantenere la stessa volumetria dell'immobile
preesistente?
Risposta
Il dl n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013, in vigore
dal 21/08/2013, ha rivisto la definizione di «ristrutturazione
edilizia» eliminando il previgente alla «sagoma»
dell'immobile da demolire. Ciò comporta che, da detta data,
sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione
edilizia fiscalmente agevolabili anche quelli che consistono
nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la
stessa volumetria di quello precedente, senza che sia
necessario rispettarne la sagoma; sempre che l'intervento
abbia le caratteristiche per, come prima precisato,
configurarsi come «ristrutturazione edilizia», non essendo
l'immobile soggetto a vincolo ai sensi del dlgs 42/2004 e
non ricadente nella zona A del dm 1444/1968)
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
L. n. 689/1981. Onere sanzione amministrativa elevata nei
confronti dell'autore della violazione e
dell'amministrazione di appartenenza.
In tema di sanzioni amministrative,
secondo la disciplina della L. n. 689/1981, vige il
principio della personalità della responsabilità
amministrativa, per cui autore della violazione può essere
soltanto la persona fisica, mentre, la persona giuridica in
nessun caso può essere chiamata a rispondere della sanzione
amministrativa in qualità di autore dell'illecito. La
circostanza che la persona fisica abbia agito come organo o
rappresentante di una persona giuridica spiega rilievo solo
al diverso fine della responsabilità solidale di
quest'ultima, ai sensi dell'art. 6 della legge 689.
Le posizioni dei condebitori solidali hanno carattere
autonomo e sorgono per effetto della contestazione della
violazione, con successiva emissione nei confronti di
ciascun coobbligato dell'ordinanza ingiunzione di pagamento,
che lo rende, altresì, legittimato all'opposizione.
L'ente pubblico per cui sia sorto l'obbligo di pagare, e che
abbia a ciò adempiuto, ha diritto (obbligo) di regresso per
l'intero nei confronti dell'autore della violazione, qualora
sia accertato l'elemento soggettivo del dolo o della colpa
grave in capo allo stesso.
Il Comune riferisce di aver ricevuto da parte
dell'amministrazione provinciale un'ordinanza ingiunzione di
pagamento di una sanzione amministrativa, ai sensi della L.
n. 689/1981 [1],
in veste di obbligato in solido, per un'infrazione ex art.
133, comma 2, D.Lgs. n. 152/1999 [2],
in relazione alla quale è stato individuato l'autore della
violazione nella persona del Sindaco pro tempore.
Quest'ultimo, riferisce l'Ente, non intende pagare la
sanzione: lo stesso ha infatti presentato ricorso avverso
l'ordinanza ingiunzione e successivo appello contro il
provvedimento di rigetto del ricorso. Il Comune è stato
sollecitato dall'amministrazione della provincia a pagare la
sanzione, per cui chiede se può procedere al pagamento della
stessa (con gli interessi maturati) ed in tal caso se deve
poi immediatamente procedere all'azione di regresso nei
confronti dell'autore della violazione oppure attendere
l'esito del giudizio di appello.
L'art. 3, L. n. 689/1981, sancisce il principio della
personalità della responsabilità da illecito amministrativo,
statuendo che ciascuno è responsabile della propria azione
od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o
colposa.
L'art. 6, L. n. 689/1981, prevede che "se la violazione è
commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona
giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o,
comunque, di un imprenditore, nell'esercizio delle proprie
funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o
l'imprenditore è obbligato in solido con l'autore della
violazione al pagamento della somma da questo dovuta"
(comma 3). L'ultimo comma dell'art. 6 richiamato attribuisce
al condebitore solidale, che ha pagato, il diritto di
regresso per l'intero nei confronti della violazione.
La disciplina della responsabilità solidale di cui all'art.
6 ricordato, unitamente al fatto che l'assoggettamento a
sanzione amministrativa è subordinato alla sussistenza
dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa (art. 3),
hanno fondato in giurisprudenza l'affermazione del principio
per cui nel sistema sanzionatorio delineato dalla L. n.
689/1981, l'autore della violazione, diretto destinatario
dell'ordinanza ingiunzione che irroga la sanzione pecuniaria
e ne intima il pagamento, può essere soltanto la persona
fisica, mentre la persona giuridica (o l'ente privo di
personalità giuridica) in nessun caso può essere chiamata a
rispondere della sanzione amministrativa in qualità di
autore dell'illecito [3].
La Corte di Cassazione ha, inoltre, chiarito che nel sistema
sanzionatorio in esame, l'art. 6 sancisce il principio della
responsabilità solidale della persona giuridica nell'ipotesi
in cui l'illecito amministrativo sia stato commesso dal suo
rappresentante o da un suo dipendente; tale responsabilità è
di carattere sussidiario e deve ritenersi sussistente ogni
qual volta sia stato commesso un illecito amministrativo da
persona ricollegabile all'ente per aver agito nell'esercizio
delle sue funzioni o incombenze [4].
Con particolare riferimento all'obbligo di regresso di cui
all'art. 6, comma 4, la Corte dei Conti ha riconosciuto
comunque, in ogni caso, la sussistenza di un danno per la
finanza di un comune, ogni qual volta il comune paghi una
sanzione senza disporre contestualmente l'azione di regresso
nei confronti del responsabile [5].
Si precisa, inoltre, che la causa giudiziale di opposizione
all'ordinanza ingiunzione instaurata dal Sindaco (allo
stato, in fase di trattazione davanti alla Corte di
Appello), non si ripercuote sull'obbligazione autonoma
[6] del
Comune di pagare la sanzione amministrativa in via solidale,
che sorge per effetto della contestazione della violazione,
con successiva emissione nei suoi confronti dell'ordinanza
ingiunzione di pagamento, che lo rende, altresì, legittimato
all'opposizione [7].
L'autonomia della posizione dei soggetti coobbligati in
solido impone, infatti, un'autonoma contestazione della
violazione [8],
ai sensi dell'art. 22, L. n. 689/1981, con possibilità di
chiedere, (e ottenere), nell'ambito del giudizio di
opposizione, ricorrendone i presupposti previsti, la
sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento
impugnato [9].
Nel caso di specie, non risulta che il Comune abbia proposto
opposizione all'ingiunzione, con la conseguenza che rimane
fermo il suo obbligo di pagare imposto dall'esecutività
dell'ingiunzione di cui è destinatario, in posizione
autonoma rispetto a quella del soggetto individuato quale
autore della violazione.
Tale adempimento dovrà essere accompagnato, per quanto detto
sopra, da contestuale azione di regresso avanti la Corte dei
Conti [10],
attraverso segnalazione (denuncia) al Procuratore regionale
della Corte dei Conti, titolare dell'azione pubblica di
danno [11].
Spetterà, infatti, alla Corte dei Conti, cui compete
l'accertamento dell'elemento soggettivo (colpa lieve, colpa
grave, dolo) [12]
delle condotte potenzialmente produttive di danno erariale,
valutarne la sussistenza nel caso concreto, assieme agli
altri presupposti di detto danno, secondo i termini di cui
alla L. n. 20/1994 [13].
---------------
[1] L. 24.11.1981, n. 689, recante: 'Modifiche al sistema
penale'.
[2] D.Lgs. 11.05.1999, n. 152, recante: 'Disposizioni sulla
tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della
direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque
reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai
nitrati provenienti da fonti agricole'.
[3] Cass. Civ., sez. V, 25.05.2007, n. 12264; Cass. Civ.,
sez. I, 28.04.2006, n. 9880; Cass. Civ., sez. I, 03.04.1996,
n. 3116.
[4] Cass. Civ., sez. II, 20.11.2006, n. 24573; Cass. Civ.,
sez. I, 30.05.2001, n. 7351.
Nello stesso senso, in dottrina, Stefania Pallotta, Manuale
delle sanzioni amministrative ambientali, Maggioli, 2011, la
quale osserva che, mentre l'autore della violazione è un
individuo cui è imputabile l'azione od omissione cosciente e
volontaria, invece il responsabile solidale è un individuo
oppure un ente coobbligato al versamento di un importo
corrispondente alle sanzioni applicate per un fatto illecito
che non ha commesso.
[5] Corte dei Conti, sez. giurisd. Abruzzo, 23.05.2005, n.
472; Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Calabria,
31.10.2007, n. 970.
[6] Sull'autonomia delle posizioni dei vari soggetti
coobbligati, cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 06.02.1992, n.
1318.
[7] Il vincolo di solidarietà intercorrente tra l'autore
materiale della violazione e la persona giuridica di cui lo
stesso è il rappresentante legale consente all'autorità
amministrativa di chiamare a rispondere dell'infrazione
ambedue gli obbligati oppure l'uno o l'altro di essi, ma
sempre, previa notifica della contestazione della
contravvenzione in funzione della successiva emissione
dell'ordinanza ingiunzione. L'obbligo di pagamento del
responsabile solidale sorge, pertanto, solo per effetto
della richiesta di pagamento che consegue alla notificazione
del provvedimento amministrativo e solo il soggetto nei
confronti del quale è stata emessa l'ordinanza ingiunzione è
tenuto al pagamento ed eventualmente all'opposizione (Corte
dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Calabria,
31.10.2007, n. 970, che, al riguardo, richiama
l'orientamento unanime della Cassazione).
[8] Cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 06.02.1992, n. 1318, che
rileva come l'autonomia della posizione dei vari soggetti
coobbligati sia testimoniata dalla necessità di un'autonoma
contestazione della violazione. (La sentenza è commentata
nella relazione della Corte Suprema di Cassazione n. 57 del
04.05.2009, Roma).
[9] L'art. 22, L. n. 689/1981, rinvia per la
regolamentazione del giudizio di opposizione all'art. 6,
D.Lgs. n. 150/2011.
[10] Corte dei Conti, sez. giurisd. Abruzzo, 23.05.2005, n.
472.
[11] L'azione per danno alla finanza pubblica, cagionato da
amministratori e dipendenti pubblici, compete, in via
esclusiva, al Procuratore Regionale/Generale della Corte dei
conti, su denuncia dell'amministrazione o di sua iniziativa.
Al riguardo, si richiama l'art. 43, R.D. n. 1038/1933,
'Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi
innanzi alla Corte dei conti', che così statuisce: 'Comma 1.
Il giudizio di responsabilità per danni cagionati allo Stato
dai suoi funzionari od agenti è istituito ad istanza del
procuratore generale presso la Corte dei conti.
Comma 2. L'istanza è proposta su denuncia
dell'amministrazione o ad iniziativa del procuratore
generale, mediante atto di citazione a comparire avanti la
sezione competente'.
[12] L'Amministrazione non si può sostituire alla
magistratura contabile in questa valutazione.
[13] Ai sensi dell'art. 1, L. n. 20/1994, la responsabilità
dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei
conti in materia di contabilità pubblica è personale e
limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con
colpa grave (21.11.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
URBANISTICA:
Oggetto: Piani attuativi. Art. 24, 2° comma, legge
28.02.1985, n. 47. Parere regionale. Quesito.
La Corte Costituzionale, con sentenza 29.07.2005 n. 343, ha
dichiarato che “è costituzionalmente illegittima la norma
della legge regionale (nel caso di specie gli articoli 4 e
30 della legge Regione Marche 05.08.1992, n. 34) che non
preveda che copia dei piani attuativi sia trasmessa dai
Comuni alla Regione (o alla Provincia delegata) ai fini di
eventuali osservazioni sulle quali il Comune deve dare
puntuale riscontro (pur senza l'obbligo di recepirle)".
Mi domando, quindi, se l’articolo 24 della legge 28.02.1985,
n. 47, richiamato nella sentenza, sia compatibile con la
vigente disciplina urbanistica regionale e se, di
conseguenza, debba trovare applicazione.
In caso affermativo, gradirei sapere quali procedure
seguire, posto che ad oggi vige l’obbligo di trasmettere
alla Regione (e alla Provincia) la delibera di approvazione
finale e la scheda di controllo a fini esclusivamente
informativi.
Confidando in un riscontro alla presente, porgo cordiali
saluti (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e
Urbanistica,
nota 02.11.2005 n. 32330
di prot. - tratto da www.studiospallino.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Casa, più garanzie per chi compra.
Per tutelare l'acquirente il denaro resterà al notaio fino a
trascrizione del contratto.
PROBLEMA EVITATO/ Quando il proprietario di un fabbricato lo
vende due volte, chi trascrive l'atto per secondo perde
l'affare ma recupera i soldi spesi.
Il venditore di un immobile o di un'azienda non riceverà più
il prezzo dall'acquirente al momento della firma del
contratto di compravendita: a pagare sarà il notaio, che
riceverà il denaro dall'acquirente e lo terrà depositato
fino a quando il contratto non è sottoposto alla prescritta
pubblicità nei Registri Immobiliari o nel Registro delle
Imprese.
Lo prescriverà la legge di Stabilità, almeno nella
versione approvata in prima lettura dal Senato che verrà
discussa dalla settimana prossima alla Camera.
Parafrasando una frase celebre, è un piccolo passo che
inaugura un grande cammino verso la certezza del diritto e
di una maggior civiltà giuridica del nostro ordinamento. Ed
è in linea con ciò che si fa in altri Paesi.
Infatti, il copione della "liturgia" della contrattazione
immobiliare finora praticata prevede che, nel momento in cui
si firma il contratto di compravendita, il venditore metta
sul tavolo le chiavi e che l'acquirente vi metta i soldi: si
tratta però di una prassi che, pur probabilmente
"giustificata" sotto un punto di vista commerciale o
psicologico, ha però scarso fondamento giuridico. Questo
perché, se è vero che la firma del contratto provoca il
passaggio della proprietà dell'immobile dal venditore
all'acquirente, è pure vero che l'acquirente può (sono,
beninteso, casi eccezionali) restare con il cerino acceso in
mano, senza soldi e senza immobile.
Il motivo è che il Codice civile (articolo 2643 e seguenti)
dispone, tra due acquirenti di contrastanti diritti sul
medesimo immobile, la prevalenza non di chi firma (e quindi
li acquista) per primo, ma di chi per primo esegue la
pubblicità del suo acquisto nei Registri Immobiliari. E
così, se Tizio vende lo stesso immobile a Caio prima e a
Sempronio poi, tra Caio e Sempronio (entrambi hanno pagato
il prezzo a Tizio) vince chi prioritariamente trascrive il
suo acquisto. È poi vero che l'altro "acquirente" dovrebbe
ricevere la restituzione del prezzo da Tizio, ma in questi
casi, di solito, capita che il venditore si renda
improvvisamente irreperibile.
Ancora, se Tizio vende un immobile a Caio il 1° dicembre e
questa compravendita viene trascritta il 4 dicembre nei
Registri Immobiliari, ma il 3 dicembre Mevio (creditore di
Tizio, ad esempio una banca) ha iscritto –a cautela del suo
credito– una ipoteca giudiziale a carico del venditore
Tizio, l'acquirente Caio (che ha pagato il prezzo a Tizio)
si trova ad aver comprato un bene ipotecato, anche se, il 1°
dicembre, al momento del rogito, nessuna ipoteca gravava sul
bene da lui acquistato.
È chiaro che i notai fanno da sempre ogni possibile sforzo
per mettere in sicurezza i loro rogiti:
-
nella fase istruttoria dei contratti, moltiplicando le
ispezioni immobiliari ed eseguendole nel momento più
prossimo possibile alla data di stipula;
-
dopo la stipula, cercando di eseguirne rapidamente la
pubblicità.
Ma esiste comunque un inevitabile "buco nero" (tra il
momento dell'ultima ispezione e quello di esecuzione della
pubblicità), che non è tecnicamente possibile colmare, se
non appunto mediante l'adozione (spontanea o per obbligo di
legge) di una prassi che preveda il pagamento non al momento
della firma del contratto, ma posteriormente alla "messa in
sicurezza" del contratto mediante la sua prescritta
pubblicità.
Il "buco nero", quindi, compromette la sicurezza delle
contrattazioni, in quanto rappresenta un'inefficienza del
sistema che lascia spazio all'organizzazione di vere e
proprie truffe o comunque a eventi imprevisti o
imprevedibili, quali appunto il sopraggiungere di
pignoramenti, sequestri, ipoteche e domande giudiziali a
danno del malcapitato acquirente. Il quale ha pagato un
prezzo, ma per non acquistare nulla o per avere acquistato
un bene gravato da vincoli prevalenti e inconciliabili con
il suo acquisto.
Con la legge di Stabilità, dopo che sarà emanato il
regolamento attuativo (la norma parla di 120 giorni, ma come
di consueto non è vincolante), l'acquirente depositerà il
prezzo al notaio, che consegnerà il denaro al venditore dopo
aver eseguito le formalità pubblicitarie occorrenti e
controllato l'assenza di vincoli pregiudizievoli
all'acquirente. Questa disciplina dovrebbe riguardare
peraltro solo gli importi da versarsi in sede di contratto
definitivo (compresi quelli che l'acquirente ottiene dalla
banca alla quale abbia richiesto un mutuo) e che siano di
valore superiore a 100mila euro: sono quindi esclusi gli
importi da versarsi anteriormente al contratto definitivo
(in particolare, quelli da corrispondersi in sede di
contrattazione preliminare o nel periodo tra il
"compromesso" e il rogito) e pure quelli che i contraenti
abbiano concordato da versarsi posteriormente al rogito,
come, ad esempio, nel caso di una vendita "a rate".
---------------
Il sistema. Interessi a supporto del credito.
Conto dedicato per le somme.
Il nuovo obbligo di deposito del prezzo presso il notaio,
che pagherà il venditore solo dopo la pubblicazione del
contratto nei Registri Immobiliari, è affiancato da una
serie di misure per l'ottimale gestione e sicurezza di
queste somme. In sostanza, si eleva al rango di legge la
prassi già da tempo messa spontaneamente in uso da singoli
notai, quindi riconoscendone validità ed efficacia.
Anzitutto, è prescritto che il notaio debba tenere un «conto
corrente dedicato» e quindi un "recipiente" che non abbia
movimentazioni diverse da quelle per le quali il conto va
tenuto. Questo per stimolare una gestione efficiente e
trasparente di tale conto.
Inoltre, viene disposto che gli importi depositati in questo
conto dedicato «costituiscono patrimonio separato» e quindi
rappresentano un'entità sottratta alla vicende personali del
titolare del conto ed estranea alle sorti del suo patrimonio
"generale". Ne consegue che, ad esempio:
-
se il notaio muore, le somme di questo conto non fanno parte
della sua massa ereditaria;
-
se il notaio è coniugato in regime di comunione legale dei
beni, le somme in questione restano estranee al regime
patrimoniale del matrimonio del notaio;
-
se il notaio ha creditori "personali", le ragioni di costoro
non possono essere soddisfatte con l'utilizzo di queste
somme, le quali quindi sono designate dalla legge ad essere
«assolutamente impignorabili» (l'avverbio è giuridicamente
del tutto inutile, ma è significativo dello spirito con il
quale il legislatore intende considerare questa materia).
Il legislatore non si è poi dimenticato nemmeno del fatto
che le somme in questione possono produrre interessi. Tali
interessi, al netto delle spese di gestione del conto,
secondo quanto prevede la versione attuale della legge,
dovranno essere (probabilmente mediante una ritenuta che ne
farà la banca) finalizzati «a rifinanziare i fondi di
credito agevolato, riducendo i tassi della provvista
dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie
imprese».
È poi importante notare che sul conto dedicato non
affluiranno solo i prezzi delle compravendite di immobili e
di aziende. Infatti, su questo conto dovranno essere
veicolate anche:
- tutte le somme dovute al notaio a titolo di onorari,
rimborsi spese e tributi dei quali il notaio sia sostituto o
responsabile d'imposta in relazione agli atti ricevuti e che
siano soggetti a pubblicità immobiliare;
- ogni somma affidata in deposito al notaio: si pensi a un
deposito ai fini di garanzia oppure a un deposito di somme
destinate al pagamento di imposte relative a una
dichiarazione di successione
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.12.2013). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Tornano le giunte nei mini-enti.
Due assessori anche nei comuni sotto i 1.000 abitanti.
Ok in commissione alla camera al ddl Delrio. Guerra:
ripristinata la democrazia.
Nei piccolissimi comuni tornano le giunte, eliminate nel
2011 dall'ultima manovra del governo Berlusconi (dl
138/2011) con l'obiettivo di tagliare i costi della
politica. Negli enti fino a 1.000 abitanti il sindaco potrà
essere affiancato da due assessori, mentre oggi per avere la
giunta i mini-enti devono avere più di 1.000 abitanti. Anche
il cammino verso l'associazionismo obbligatorio si fa più
soft. Entro il 30.06.2014 i municipi fino a 5.000
abitanti (3.000 se montani) dovranno mettere insieme tre
funzioni fondamentali, per poi arrivare a gestirle tutte in
forma associata entro fine anno. Le convenzioni, infine,
torneranno ad avere pari dignità rispetto alle unioni.
Scompare infatti l'obbligo per i comuni che abbiano scelto
la strada della convenzione di costituire un'unione dopo
cinque anni. Addio anche alle unioni speciali, vissute dai
sindaci dei piccoli comuni come il primo passo verso la
fusione forzata.
Sono queste le novità principali degli
emendamenti al ddl Delrio (il cosiddetto «svuota-province»)
approvato giovedì sera dalla commissione affari
costituzionali della camera. Le proposte di modifica,
presentate dai deputati Pd Enrico Borghi e Mauro Guerra
(rispettivamente presidente dell'Uncem e coordinatore Anci
per i piccoli comuni) ricalcano in toto il pacchetto di
modifiche discusso in Conferenza unificata il 26 settembre
scorso e anticipato su questo giornale (si veda ItaliaOggi
del 25/09/2013). Con in più la novità del ripristino delle
giunte nei piccolissimi comuni che non saranno più retti da
«sindaci-podestà».
«L'obiettivo era riportare un minimo di
democrazia in questi centri dove la politica è puro
volontariato e dove dal 2011 i famigerati tagli alle
poltrone hanno generato solo instabilità», spiega Guerra.
Non solo per la riduzione delle giunte, ma anche per il
taglio dei consiglieri che ormai «nei piccolissimi comuni
sono talmente ridotti all'osso che basta un semplice cambio
di casacca per mandare in crisi la maggioranza. «Ecco
perché», prosegue, «chiediamo che nei comuni fino a 3.000
abitanti il numero di consiglieri venga riportato a dieci,
dato che gli attuali sei sono troppo pochi per garantire
stabilità politica».
La riforma dei piccoli comuni contenuta nel ddl Delrio
contiene ulteriori incentivi all'associazionismo. Gli enti
che prima di mettersi insieme godevano di particolari regimi
agevolativi (o potevano accedere a speciali finanziamenti)
in ragione della loro classe demografica, li manterranno
anche dopo aver costituito l'unione. Per esempio, potranno
accedere ai fondi del bando «6000 campanili» anche gli enti
in origine al di sotto di 5.000 abitanti che superano la
fatidica soglia dopo aver costituito un'unione. E ancora, le
unioni potranno avere un responsabile anticorruzione unico e
un unico collegio di revisori dei conti.
Insomma, un grande
rafforzamento della dimensione sovraccomunale, «legato a
doppio filo con la prospettiva dell'eliminazione delle
province», osserva Guerra, «perché venendo meno gli enti
intermedi saranno le unioni a svolgere le funzioni di enti
di area vasta». Ma proprio lo stretto legame con una riforma
da sempre spinosa come quella delle province potrebbe alla
fine risultare un boomerang. Dopo il sì della prima
commissione di Montecitorio, il cammino del disegno di legge
del ministro per gli affari regionali sembra in discesa, ma
il pericolo di imboscate parlamentari è sempre dietro
l'angolo soprattutto dopo il passaggio di Forza Italia
all'opposizione. Graziano Delrio è ottimista.
«Sono certo che il parlamento intenderà rispettare
l'impegno assunto e arrivare alla prima approvazione entro
la fine dell'anno», si augura il ministro. Il pericolo
che nelle province commissariate potessero ritornare i
vecchi organi è stato scongiurato dalla legge di stabilità
(le gestioni commissariali sono state prorogate al 30
giugno). Ma dal 1° gennaio c'è da far partire le città
metropolitane. E questa sembra al momento un'impresa più
ardua
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'Ape solo dai tecnici abilitati. Corsi tenuti da atenei,
enti di ricerca e collegi professionali.
Lo Sviluppo economico ha approvato lo schema di
autorizzazione per le attività formative.
Al via le autorizzazioni per lo svolgimento dei corsi di
formazione per certificatori energetici. Tenuti a livello
nazionale dalle università, organismi ed enti di ricerca e
consigli, ordini e collegi professionali . I corsi vengono
autorizzati dal ministero dello sviluppo economico, d'intesa
con il ministeri dell'ambiente e delle infrastrutture.
L'autorizzazione ai corsi per certificatori ha durata
triennale e permette, entro tale periodo di validità, di
replicare il corso secondo le modalità autorizzate dai
ministeri.
Questo è quanto si legge nello «Schema di
procedura per il rilascio dell'autorizzazione allo
svolgimento dei corsi di formazione per la certificazione
energetica degli edifici a livello nazionale» approvato il
21 novembre scorso dal Mise, di concerto con il ministero
ambiente e infrastrutture.
La richiesta di autorizzazione,
sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto
richiedente, deve essere inoltrata alla divisione VII –
efficienza energetica e risparmio energetico–dipartimento
per l'energia del MiSe, via Molise 2 - 00187 Roma. L'elenco
dei corsi autorizzati viene pubblicato sul sito web del MiSe.
Al fine di assicurare all'utente una corretta informazione,
qualsiasi pubblicizzazione del corso da parte dell'ente
erogante deve riportare la dicitura «corso accreditato MISE
- MATTM- MIT ai sensi dell'art 2, comma 5,del dpr n.
75/2013» (come anticipato da ItaliaOggi il 29.06.2013).
Il MiSe effettua le verifiche a campione sui corsi
autorizzati per accertare il rispetto dei requisiti minimi,
anche avvalendosi di altre amministrazioni o soggetti
pubblici qualificati. In caso di accertata inosservanza dei
requisiti minimi, il ministero indice idonea conferenza di
servizi a cui partecipano il ministero ambiente e delle
infrastrutture attraverso propri soggetti delegati al fine
di valutare, la sospensione o la revoca della
autorizzazione. Il soggetto autorizzato allo svolgimento del
corso, è l'unico responsabile nei confronti delle
amministrazioni che hanno concesso l'autorizzazione stessa.
L'attestato di prestazione energetica degli edifici è uno
tra gli strumenti più importanti per valorizzare, anche a
fini commerciali, la qualità energetica e ambientale di un
immobile
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Bonus energetico per molti, non per tutti.
Raffica di pareri Enea sui requisiti per accedere
all'agevolazione per la riqualificazione degli edifici.
Gli interventi di riqualificazione energetica per usufruire
della detrazione del 65% debbono rispondere a determinati
requisiti. Solo con il rispetto di questi il soggetto ha
diritto al riconoscimento della detrazione fiscale. Nel caso
di coibentazione di pareti verticali, tetti e solai gli
interventi devono conferire all'edificio una buona capacità
di isolamento che cambia a seconda della fascia climatica in
cui è inserita la costruzione.
I lavori devono rispettare limiti di dispersione che sono
chiaramente tabellati o per l'intero edificio o per il
singolo elemento costruttivo oggetto dell'intervento. Anche
nel caso di installazione di pannelli solari o di
sostituzione della caldaia tali impianti devono rispondere
alle specifiche tecniche. Il rispetto dei limiti di
dispersione e delle specifiche tecniche deve essere
asseverato da un tecnico abilitato, iscritto al proprio
ordine o collegio professionale. Per alcuni semplici
interventi, tale asseverazione può essere sostituita da una
dichiarazione del produttore dell'elemento posto in opera.
Sono ammessi anche interventi su interi edifici ma in questo
caso ciò che deve essere valutata è l'efficienza energetica
complessiva al termine dei lavori.
Questi sono alcuni dei
principi che emergono da un
vademecum Enea per i lavori
incentivanti aggiornato al 26.11.2013 con le diverse Faq redatte dai suoi tecnici in questi mesi.
Il vademecum è
composto da sette schede riepilogative (serramenti e
infissi, caldaie a condensazione, caldaie a biomassa,
pannelli solari, pompe di calore, coibentazione pareti e
coperture e riqualificazione globale) dei requisiti tecnici
richiesti e della documentazione da approntare per usufruire
della detrazione del 65%. L'immobile oggetto della
qualificazione energetica alla data della richiesta della
detrazione del 65%, sottolineano i tecnici dell'Enea deve
essere «esistente», ossia accatastato o con richiesta di
accatastamento in corso.
Deve essere in regola con il
pagamento di eventuali tributi. Deve essere dotato di
impianto di riscaldamento. In caso di demolizione, dal 21.08.2013, qualora l'intervento abbia le caratteristiche
per configurarsi come «ristrutturazione edilizia» (ossia
l'immobile non sia soggetto a vincolo ai sensi del dlgs
42/2004 e non ricada nella zona A del dm 1444/1968) è
agevolabile la ricostruzione dell'immobile con il solo
rispetto della volumetria di quello preesistente.
In caso di ristrutturazione senza demolizione, se essa
presenta ampliamenti la detrazione del 65% e valida per le
spese riferibili alla parte esistente A proposito del
requisiti richiesti nel caso di installazione di caldaia a
biomassa l'intervento deve assicurare un indice di
prestazione energetica per la climatizzazione invernale non
superiore ai valori limite riportati in tabella all'allegato
A di cui al dm 11/03/2008
(articolo ItaliaOggi del
29.11.2013). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Sulle assunzioni flessibili Corte conti in ordine sparso.
Sulle assunzioni flessibili da calcolare nel tetto di spesa
del personale vi sono numerosi contrasti tra le varie
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: si
crea così una condizione di grave incertezza tra gli
operatori degli enti locali, nei cui confronti possono
maturare addirittura ipotesi di responsabilità
amministrativa.
È acquisito che queste voci vanno calcolate
ai fini del tetto alla spesa rispetto all'anno precedente e
del rapporto tra questa e la spesa corrente complessiva. I
contrasti si manifestano sulla inclusione o meno di tali
oneri ai fini della determinazione dello specifico tetto
alla spesa per le assunzioni flessibili, tetto che
l'articolo 9, comma 28, del dl n. 78/2010 fissa nel 50% di
quanto ogni singolo ente ha speso nel 2009.
La gravità della
condizione di incertezza è sottolineata dal fatto che
l'eventuale superamento di tale vincolo determina come
conseguenza la maturazione di responsabilità amministrativa
in capo ai soggetti individuati come responsabili.
Ricordiamo che questa disposizione stabilisce che le spese
per assunzioni a tempo determinato, convenzioni, contratti
di somministrazione, contratti di collaborazione coordinata
e continuativa, contratti di formazione e lavoro, lavoro
accessorio ed altri rapporti formativi non debba superare la
metà di quanto speso allo stesso titolo nel 2009, fatte
salve le deroghe espressamente volute dal legislatore.
Le
assunzioni flessibili possono essere attivate dalle
pubbliche amministrazioni locali sulla base di specifiche
disposizioni di legge statale e/o regionale; spesso queste
norme prevedono finanziamenti specifici che possono coprire
integralmente o parzialmente tali oneri. Per la inclusione
di questa voce nel tetto alla spesa per le assunzioni
flessibili si sono espresse le sezioni della magistratura
contabile delle seguenti regioni: Lombardia (delibera n.
13/2012); Emilia-Romagna (n. 26/2013) e Basilicata (n.
170/2012). Invece la tesi opposta è stata fatta propria
dalle sezioni regionali di controllo della Liguria (delibera
n. 9/2012), Toscana (n. 10/2012), Lazio (n. 23/2012), Puglia
(n. 91/2011), Campania (n. 22/2013) e implicitamente dalla
sezione autonomie (delibera n. 18/2013).
I comuni possono
dare corso alla gestione associata di funzioni fondamentali
tramite convenzioni, che possono riguardare l'intero
servizio (articolo 30 del dlgs n. 267/2000, Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), ovvero il
solo responsabile (per come previsto dal Ccnl 22/01/2004).
Sulla inclusione o meno di tali oneri nel tetto alla spesa
per le assunzioni flessibili abbiamo opinioni che vanno
dalla risposta positiva a quella negativa a quella di
considerare inutilizzabili per altre finalità di gestione
del personale i risparmi che eventualmente vengono
realizzati.
Tali conclusioni sono contenute nelle deliberazioni delle
sezioni regionali di controllo della magistratura contabile
della Campania (parere n. 180/2012), del Piemonte (n.
223/2012), della Liguria (n. 56/2013) e della Lombardia
(pareri n. 448/2013 e recentissimo n. 477/2013). Il comma
557 offre la possibilità ai comuni fino a 5.000 abitanti di
utilizzare, in aggiunta al normale orario di lavoro,
dipendenti di altri enti locali. Gli oneri determinati dalla
utilizzazione di questa possibilità vanno inclusi per le
sezioni della Sicilia (4/2013), del Piemonte (223/2012) e
della Toscana (6/2012); vanno invece esclusi per la sezione
Lombardia (delibere 448/2013 e 118/2012).
Analoghe incertezze per il calcolo della spesa sostenuta per
i comandi: vanno inclusi in tale tetto per le sezioni
Campania (497/2011) e Lombardia (187/2012); mentre vanno
esclusi per le sezioni Toscana (6/2012) e Liguria (7/2012).
I comuni possono finanziare le assunzioni flessibili dei
vigili destinando a tale scopo una quota degli incassi
derivanti dalle sanzioni per le inosservanze del codice
della strada. Per la sezione regionale di controllo della
Corte dei conti della Lombardia questi oneri vanno compresi
nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili
(deliberazione n. 21/2012); diametralmente opposte le
conclusioni cui è arrivata nello stesso periodo la Corte dei
conti della Toscana (parere n. 10/2012)
(articolo ItaliaOggi del
29.11.2013). |
ENTI LOCALI: Con l'election day i comuni risparmieranno sul personale.
Le misure del governo per ridurre la spesa pubblica passano
anche da un restyling delle operazioni di voto. Dal prossimo
anno, infatti, non si potrà più votare nella giornata di
lunedì, in quanto le operazioni elettorali dovranno
svolgersi esclusivamente nella sola giornata della domenica,
a partire dalle 7 per concludersi alle 23. Risparmi attesi
anche dal taglio alle prestazioni di lavoro straordinario
previste per i dipendenti comunali coinvolti nella macchina
organizzativa delle elezioni e dall'imminente
ridimensionamento della scheda elettorale per le elezioni
comunali. Questa dovrà essere più piccola, grazie a una
riallocazione dei contrassegni elettorali.
Sono alcune delle
novità introdotte dal maxiemendamento al disegno di legge di
stabilità 2014, approvato nella notte di mercoledì scorso
dal senato. Il testo del comma 269 è perentorio. Dal 2014,
le operazioni di votazione, incluse quelle referendarie,
devono svolgersi solo la domenica.
Con una serie di
rimodulazioni, il maxiemendamento dispone che in caso di
svolgimento delle elezioni politiche, le operazioni di
scrutinio dovranno completarsi entro le ore 14 del lunedì
successivo alla votazione. Invece, in caso di contemporaneo
svolgimento delle predette elezioni politiche con quelle per
il rinnovo dei consigli regionali, provinciali e comunali,
lo scrutinio viene rinviato al lunedì successivo, con inizio
alle ore 14. Tagli in vista anche per i comuni impegnati
nella macchina elettorale delle elezioni politiche e
referendarie le cui spese, per effetto dell'articolo 17
della legge n. 136/1976, sono a carico dello stato.
A tal
fine, un apposito decreto del mininterno fisserà un tetto
massimo rimborsabile a ciascun comune, sulla base di
parametri quali il numero delle sezioni elettorali e quello
degli elettori. Si riduce, altresì, il tetto massimo
previsto per lo straordinario dei dipendenti comunali
impegnati nella macchina elettorale. Dal prossimo anno, i
comuni potranno autorizzare in media 40 ore mensili per
ciascun dipendente, sino a un massimo individuale di 60 ore
mensili. Straordinario che potrà essere effettuato dal 55°
giorno antecedente la data di svolgimento delle elezioni,
sino al quinto giorno successivo alla predetta data (il
cosiddetto periodo elettorale).
Tutte le spese anticipate dai comuni saranno rimborsate
entro quattro mesi dalla presentazione dell'apposito
rendiconto. I risparmi che il governo intende ottenere, si
riflettono anche negli orari straordinari di apertura al
pubblico degli uffici elettorali comunali. Per il rilascio
di nuovi certificati elettorali, qualunque sia la causa,
questi dovranno essere aperti solo nei due giorni
antecedenti la votazione e per tutta la durata della stessa.
Si interviene, inoltre, sul numero massimo degli spazi
riservati alla propaganda elettorale. Nei comuni tra 3.001 e
10.000 abitanti, questi dovranno essere almeno tre e non più
di cinque, in tutti gli altri comuni, si opererà un
riduzione alla metà o al terzo dei parametri sino ad oggi
fissati dalla legge n. 212 del 1956
(articolo ItaliaOggi del
28.11.2013). |
ENTI LOCALI: P.a., resta il divieto di detenere partecipazioni non
necessarie.
Addio agli obblighi di dismissione delle società partecipate
dai comuni medio-piccoli e di quelle strumentali. Ma rimane,
per tutte le p.a., il divieto di detenere o acquisire
partecipazioni non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Il
maxi-emendamento al disegno di legge di stabilità 2014
approvato al senato rivoluziona nuovamente il quadro degli
strumenti di controllo e razionalizzazione delle società a
partecipazione pubblica. Anziché puntare tutto sulle
operazioni di alienazione e/o liquidazione forzata, il
legislatore cambia prospettiva e scommette sul controllo dei
bilanci operato sia in via diretta (obbligando anche le
società a concorrere al risanamento dei conti pubblici), sia
indirettamente, attraverso l'obbligo per gli enti
proprietari di accantonare fondi di riserva a garanzia delle
perdite delle società stesse (si veda ItaliaOggi del
16/11/2013).
In questo quadro, non trovano più posto gli
obblighi di dismissione previsti (dall'art. 14, comma 32,
del dl 78/2010) a carico dei comuni con meno di 50 mila
abitanti (ulteriormente differenziati sopra e sotto la
soglia di 30 mila residenti). E neppure quelli riguardanti
le cosiddette società strumentali, ovvero, a mente dell'art.
4 del dl 95/2012, quelle che realizzano un fatturato da
prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni
superiore al 90%. Il ddl fa, quindi, piazza pulita del
confuso valzer di termini previsti nelle diverse fattispecie
(30/09/2013, quindi già scaduto, per le società dei comuni
fino a 30 mila abitanti, 31/12/2013 per le strumentali e
31/12/2014 per quelle dei comuni fra 30 mila e 50 mila
abitanti).
Il colpo di spugna, però, non cancellerà la
disciplina di cui all'art. 3, commi da 27 a 32, della legge
244/2007, che ha imposto a tutte le pubbliche
amministrazioni il divieto di assumere e/o l'obbligo di
cedere a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza
pubblica, le partecipazioni non strettamente necessarie per
il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. In
teoria, la scadenza per adempiere era fissata a fine 2011,
ma molte amministrazioni continuano a detenere quote in
società assolutamente estranee al proprio core business.
Peraltro, la giurisprudenza contabile ha avuto modo di
precisare che tale termine non riveste carattere perentorio,
ma è da ritenersi ordinatorio. Entro la suddetta data,
pertanto, l'unico obbligo era quello di avviare le procedure
di dismissione, ma non obbligatoriamente di completarne
l'iter, anche per evitare svendite o speculazioni da parte
di terzi nella determinazione del prezzo di acquisto.
In ogni caso, il mantenimento delle partecipazioni in essere
(così come l'assunzione di nuove partecipazioni) presuppone
una valutazione che va operata in concreto (e non in
astratto) attraverso un'attenta disamina degli atti
costitutivi sia dell'ente partecipante che del soggetto
partecipato. Per gli enti locali occorre, inoltre, accertare
l'inerenza territoriale. La scelta deve essere validata
dagli organi di vertice (per gli enti locali, la competenza
spetta al consiglio) con deliberazione motivata in ordine
alla sussistenza dei ricordati presupposti e da trasmettere
alla sezione Corte dei conti
(articolo ItaliaOggi del
28.11.2013). |
ENTI LOCALI: LEGGE DI STABILITA'/
Ai piccoli comuni sei mesi in più per gestire insieme le
funzioni.
Slitta di un anno (fino al 2014) l'addio di Equitalia alla
riscossione dei tributi comunali, mentre i piccoli comuni
guadagnano sei mesi di tempo (fino al prossimo 1° luglio)
per mettere in gestione associata le loro funzioni
fondamentali.
È una doppia proroga «di peso» quella prevista
da due emendamenti al disegno di legge di stabilità 2014
approvati in Commissione «Bilancio» al Senato.
Equitalia.
Il primo correttivo è stato presentato direttamente dal
governo per evitare il caos negli oltre 5 mila comuni che si
appoggiano ad Equitalia per la riscossione (spontanea e/o
coattiva) delle proprie entrate. In base a quanto previsto
dal dl 70/2011, dal 01.01.2012, l'agente nazionale
avrebbe dovuto cessare di effettuare le attività di
accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate,
tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da
essi partecipate. Tale termine è stato ripetutamente
prorogato, da ultimo al 31.12.2013 dall'art. 10, comma
2-ter del dl 35/2013 (come modificato dall'art. 53 del dl
69/2013).
Questo slittamento avrebbe dovuto essere l'ultimo,
dato che la nuova scadenza è espressamente definita come
«inderogabile». Ma la nuova proroga era, come detto
inevitabile, tanto da essere data ampiamente per scontata
dagli addetti ai lavori (si veda ItaliaOggi Sette del 18.11.2013): al momento, infatti, non vi sono alternative
gestionali credibili, in attesa che la delega fiscale
completi il suo iter e ridefinisca il quadro normativo in un
settore che da troppo tempo attende una riforma organica.
In
base all'emendamento approvato a palazzo Madama, quindi,
l'uscita di campo di Equitalia è stata rimandata alla fine
del 2014. Sull'attività degli agenti della riscossione,
comunque, vigileranno le Ragionerie territoriali dello Stato
che potranno svolgere, congiuntamente con l'Agenzia delle
entrate, controlli finalizzati a migliorare l'efficienza.
Piccoli comuni. Il secondo emendamento, invece, è stato
presentato dai senatori Manassero, Vaccari e Zanoni (tutti
del Pd) e sposta al 01.07.2014 il termine (previsto
dall'art. 14, comma 31-ter, lett. b), del dl 78/2010) entro
il quale i comuni con meno di 5 mila abitanti (limite che
scende a 3 mila per i municipi appartenenti o appartenuti a
comunità montane) dovranno obbligatoriamente gestire in
forma associata, mediante unione o convenzione, la totalità
delle proprie funzioni fondamentali. Anche in tal caso, non
si tratta della prima proroga: la normativa originaria non
prevedeva una scadenza fissa, rinviando a un dpcm la sua
fissazione.
Successivamente, sono intervenute diverse
modifiche (prima da parte del dl 98/2011 e poi del dl
138/2011), prima dell'ultima (ad opera dell'art. 19 del dl
95/2012) che aveva previsto un percorso a tappe: entro il 01.01.2013 ameno tre funzioni fondamentali, tutte le altre
entro il 01.01.2014. Ora, la seconda scadenza è
destinata a slittare nuovamente di altri sei mesi, il che
pone non poche perplessità, dal momento che le
amministrazioni interessate potrebbero decidere un cambio di
regime a metà dell'esercizio finanziario, con notevoli
complicazioni organizzative, gestionali e contabili.
Invero,
il testo iniziale presentato dai tre senatori prevedeva,
come per Equitalia, un extra time di un anno, che
però è stato dimezzato nella versione approvata dalla
Commissione. In materia, peraltro, si attende la pronuncia
della Corte costituzionale, chiamata a valutare la
legittimità costituzionale dell'intera normativa
sull'associazionismo coatto: l'udienza pubblica è fissata
per il prossimo 3 dicembre
(articolo ItaliaOggi del
26.11.2013). |
PUBBLICO IMPIEGO: Congedi straordinari allargati ai parenti di terzo grado.
Il congedo straordinario di durata non superiore a due anni,
previsto dall'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo
n. 151 del 26.03.2001 per assistere una persona disabile
in situazione di gravità, può essere chiesto, in caso di
mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti
degli altri soggetti che prioritariamente ne hanno titolo,
anche da parenti e affini entro il terzo grado purché
conviventi con la persona disabile.
Lo ha comunicato l'Inps con la
circolare
15.11.2013 n. 159.
Con l'estensione anche ai parenti o affini entro il terzo
grado del diritto a fruire del congedo straordinario,
l'istituto di previdenza sociale ha opportunamente
provveduto a coprire il vuoto normativo che si era venuto a
creare a seguito della sentenza della Corte costituzionale
n. 2013/2013 con la quale i giudici della Consulta avevano
dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato comma 5
nella parte in cui non include nel novero dei soggetti
legittimati a fruire del congedo ivi previsto il parente o
l'affine entro il terzo grado convivente con la persona
disabile.
Con la circolare l'istituto delinea anche il quadro -da
considerare ormai pienamente aderente alle norme di legge, a
quelle dei singoli contratti nazionali di lavoro e alle
numerose decisioni dei giudici ordinari e costituzionali-
entro il quale i lavoratori pubblici e privati, ivi compreso
il personale della scuola, potranno chiedere di fruire del
congedo straordinario.
I soggetti aventi diritto al congedo e relativi requisiti.
Nella circolare l'istituto di previdenza sociale sottolinea
come il congedo può essere riconosciuto anche ai familiari o
affini entro il terzo grado convivente del disabile in
situazione di gravità solo in caso di mancanza, decesso o in
presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti
legittimati a fruirne e individuati dalla norma nel seguente
ordine di priorità:
1- coniuge convivente della persona disabile in situazione
di gravità;
2- il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, del
disabile, in caso di mancanza, decesso o in presenza di
patologie invalidanti del coniuge convivente;
3- uno dei figli conviventi della persona disabile, nel caso
in assenza dei soggetti di cui ai punti 1 e 2;
4- uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona
disabile in assenza dei soggetti di cui ai punti precedenti.
Precisa inoltre che il requisito della convivenza continuerà
ad essere accertato d'ufficio previa indicazione da parte
dell'interessato degli elementi indispensabili per il
reperimento dei dati inerenti la residenza anagrafica,
ovvero l'eventuale dimora temporanea, ove diversa dalla
dimora abituale(residenza) del dipendente o del disabile.
Quanto concerne la mancanza dei soggetti di cui ai punti 1,
2, 3 e 4, l'istituto ribadisce che tale deve essere intesa
non solo come situazione di assenza naturale o
giuridica(celibato o stato di figlio naturale non
riconosciuto) ma deve ricomprendere anche ogni altra
condizione ad essa giuridicamente assimilabile,continuativa
e debitamente certificata dall'autorità giudiziaria o da
altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale
o abbandono
(articolo ItaliaOggi del
26.11.2013). |
CONDOMINIO: Terzo responsabile, restano escluse le società di persone.
Condominio. Impianti di riscaldamento.
LE RESTRIZIONI/
Potranno svolgere la funzione solo le società per azioni e
in accomandita per azioni, le Srl e le Coop a responsabilità
limitata.
Il «terzo responsabile» per il riscaldamento non potrà
essere una società di persone.
Dal 12.07.2013 (data di entrata in vigore del Dpr 16.04.2013 n. 74, attuativo del Dlgs 192/2005) sono
cambiate le competenze del terzo responsabile. Queste
risultano ora essere: esercizio, conduzione, controllo,
manutenzione dell'impianto termico, rispetto delle
disposizioni di legge in materia di efficienza energetica,
sicurezza e tutela dell'ambiente. La nomina è una facoltà e
non un obbligo.
Nel caso di impianti termici con potenza nominale superiore
a 350 kW è necessario essere in possesso di certificazione
UNI EN ISO 9001 relativa all'attività di gestione e
manutenzione degli impianti termici, o attestazione
rilasciata ai sensi del Dpr 207/2010.
La delega non è consentita nel caso di singole unità
immobiliari residenziali in cui il generatore o i generatori
non siano installati in locale tecnico esclusivamente
dedicato.
Il ruolo di terzo responsabile di un impianto è
incompatibile con il ruolo di venditore di energia per il
medesimo impianto, e con le società a qualsiasi titolo
legate al ruolo di venditore, in qualità di partecipate o
controllate o associate in Associazione Temporanea di
Impresa o aventi stessa partecipazione proprietaria o aventi
in essere un contratto di collaborazione, a meno che la
fornitura sia effettuata nell'ambito di un contratto di
«servizio energia» (Dlgs 115/2008).
Cosa diversa è, invece, la conduzione degli impianti termici
civili. Nel caso in cui la potenza termica sia superiore a
0.232 MW, l'incaricato deve essere munito di un patentino di
abilitazione.
Ma l'individuazione del soggetto che può assumere l'incarico
è determinato dall'allegato A del Dlgs 192/2005,
recentemente modificato dal Dm del 22.11.2012. Secondo
la norma il terzo responsabile dell'impianto termico è una
«persona giuridica» in possesso dei requisiti. Ma se la
precedente versione comprendeva anche le "persone fisiche",
queste, ora, sono escluse. Il termine "persona giuridica"
sta ad indicare un complesso organizzato di persone e di
beni al quale l'ordinamento giuridico attribuisce la
capacità giuridica, cioè la possibilità per un soggetto di
essere titolare di diritti e doveri. E secondo il codice
civile, sono persone giuridiche solo le Società a
Responsabilità Limitata, le Società per Azioni, le Società
in Accomandita per Azioni e le Società Cooperative a
Responsabilità limitata.
Quindi non possono assumere l'incarico di terzo responsabile
le imprese individuali, le Società in Nome Collettivo, le
Società Semplici e le Società in Accomandita Semplice. È
stata operata una restrizione di non poco conto, andando a
escludere molte attività dalla possibilità di ricoprire
l'incarico che, sino a pochi mesi addietro, hanno svolto.
Soprattutto considerando che nell'ambito dell'artigianato,
quindi con organizzazioni societarie personali e non
giuridiche, non sono poche le realtà imprenditoriali che
svolgono attività di «terzo responsabile» dell'impianto di
riscaldamento.
Tra le associazioni che si sono poste la
questione, l'Anaci (Associazione degli amministratori
condominiali) è arrivata alla conclusione di dare
indicazione agli associati di non stipulare contratti con
soggetti diversi dalle persone giuridiche
(articolo Il Sole 24 Ore del
26.11.2013). |
ENTI LOCALI: Società in house sotto pressione.
Ma la gestione deve essere controllata in maniera analoga
agli uffici pubblici. Cassazione. Gli amministratori possono essere chiamati a
rispondere dalla Corte dei conti per responsabilità erariale
L'amministratore di una società in house può essere chiamato
a rispondere verso l'Erario. Ad assumere spessore, quando la
società è costituita da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi, con forme di controllo
analoghe a quelle che questi ultimi esercitano sui propri
uffici, è la veste pubblica dell'attività manageriale.
A
queste conclusioni sono approdate le Sezioni unite con
l'importante
sentenza
25.11.2013 n. 26283 e
scritta dall'ex commissario Consob Renato Rordorf.
La pronuncia che scioglie un contrasto in giurisprudenza e
contribuisce a fare chiarezza su un tema "caldo" anche della
cronaca parlamentare (di forme di responsabilità per i
manager pubblici si discute nella Legge di stabilità)
sottolinea, tra l'altro, l'opportunità di un punto di
partenza europeo per affrontare quel fenomeno giuridico che
ha preso tanto più corpo in questi ultimi anni rappresentato
dall'in house providing.
La direttiva 2006/123/Ce lascia
infatti liberi gli Stati membri sulle modalità organizzative
della prestazione dei servizi di interesse economico
generale, aprendo quindi a diverse forme di
esternalizzazione compreso l'affidamento a società
partecipate dall'ente pubblico stesso.
In particolare le società in house, figura inizialmente
giurprudenziale poi destinata ad acquistare consistenza
anche nella legislazione nazionale, si caratterizza,
ricordano le Sezioni Unite, per tre caratteristiche
fondamentali. La prima è rappresentata dalla titolarità
delle partecipazioni sociali a enti pubblici, con il
conseguente divieto disposto dallo statuto della possibilità
di cessione a privati delle relative quote. Serve poi che,
almeno in misura prevalente anche se non esclusiva,
l'attività sia prestata a favore dell'ente o degli enti
partecipanti della società. L'attività accessoria non deve
cioè avere come conseguenza una «significativa» presenza
della società come concorrente di altre imprese sul mercato
di beni e servizi.
Infine, quanto al tema delicato del controllo analogo, il
punto determinante è che l'ente pubblico partecipante deve
avere, per statuto, il potere di dettare le linee
strategiche e le scelte operative della società in house.
Così, gli organi amministrativi si vengono a trovare in una
posizione di vera e propria subordinazione gerarchica.
«L'espressione "controllo" –avverte la sentenza– non
allude, perciò, in questo caso all'influenza dominante che
il titolare della partecipazione maggioritaria (o
totalitaria) è di regola in grado di esercitare
sull'assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta
degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di
comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente
come modalità e con un'intensità non riconducibili ai
diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio».
Tutti elementi, riconoscono le Sezioni unite, che mettono in
evidenza l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama
del diritto societario. E a mitigarla non soccorrono aspetti
come l'eterodirezione conosciuta nell'ambito delle holding:
in questi casi, infatti, precisa la sentenza, il potere di
direzione e coordinamento che spetta alla capogruppo non
annulla del tutto l'autonomia gestionale della controllata.
E allora, i limiti alla giurisdizione contabile non possono
valere nei confronti di enti che della società hanno solo
l'involucro esteriore, ma che, in realtà, rappresentano
delle vere e proprie articolazioni della pubblica
amministrazione. Gli organi di queste società dunque,
«assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo
alla pubblica amministrazione, neppure possono essere
considerati, a differenza di quanto accade per gli
amministratori delle altre società a partecipazione
pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente
a un rapporto di natura negoziale instaurato con la
medesima società».
Possono pertanto essere considerati
legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di
servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi
direttamente erogati dall'ente pubblico
(articolo Il Sole 24 Ore del
26.11.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, stretta sul mercurio.
Misure speciali di contenimento. In attesa della Seveso.
Gli effetti delle nuove regole sullo stoccaggio temporaneo
contenute nel dm Ambiente.
Serbatoi ad hoc, siti protetti e monitoraggio continuo. Ai
quali si aggiunge l'obbligo di adottare le misure di
prevenzione degli incidenti rilevanti previste dalla
disciplina «Seveso» nei casi di maggior pericolo
d'inquinamento.
Scattano con il nuovo dm Ambiente 29.07.2013 (G.U. del 15.11.2013, n. 268) le nuove regole per
lo stoccaggio duraturo dei rifiuti costituiti da mercurio
metallico. Il provvedimento adottato dal dicastero per
l'ambiente in attuazione della direttiva 2011/97/Ce
riformula direttamente (in virtù del potere conferitogli
dalla legge 234/2012) lo storico dlgs 36/2003 sulle
discariche di rifiuti, unitamente al relativo decreto
attuativo del 2010.
Il nuovo stoccaggio dei rifiuti di mercurio. La stretta
sullo stoccaggio vale per i depositi temporanei (ossia in
vista di successivo avvio a trattamento) di rifiuti
costituiti da mercurio metallico superiori a un anno,
termine temporale a partire dal quale lo stoccaggio diventa
tecnicamente una discarica ai fini e per l'applicazione
(anche) delle relative norme dettate dal dlgs 36/2003 (e
provvedimenti satellite). Ricorrendo tali condizioni il
gestore dell'impianto deve quindi adottare in relazione alla
sostanza tossica in questione tutte le nuove precauzioni
sancite dai riformulati dlgs 36/2003 e relativo dm 27.09.2010.
In primis il deposito del mercurio metallico
deve, ex nuovo dlgs 36/2003, avvenire in modo separato dagli
altri rifiuti, in serbatoi ad hoc anticorrosione posti in
bacini di raccolta opportunamente impermeabilizzati e
ospitati in siti provvisti di barriere naturali o
artificiali. La gestione dei rifiuti deve inoltre essere
monitorata tramite sistemi di controllo continuo dei vapori
di mercurio e ispezione visiva almeno mensile, nonché
presidiata da piani di emergenza e dispositivi di
protezione.
Il tutto secondo le caratteristiche tecniche di
serbatoi, procedure di ammissione in discarica e
documentazione di accompagnamento analiticamente precisate
dal rinnovato dm Ambiente 27.09.2010. Lo stoccaggio
dei rifiuti al di sotto della soglia temporale più sopra
delineata, lo ricordiamo, soggiace comunque alle più
generali regole sul deposito di rifiuti sancite dal dlgs
152/2006 (cd. «Codice ambientale»).
L'applicazione della «Seveso». Il regolamento Ce n.
1102/2008 sulla gestione del mercurio metallico (dallo
scorso marzo presidiato dalle sanzioni nazionali introdotte
mediante dlgs 25/2013) prevede una deroga a favore della
sostanza contro il generale divieto di ammissibilità in
discarica sancito a monte dalla direttiva 1999/31/Ce per
tutti i «rifiuti liquidi».
Ma ciò stabilendo al contempo il
principio per cui gli impianti di stoccaggio in superficie
per più di un anno della sostanza siano sottoposti alla
severa disciplina sul «controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose»
(meglio nota come disciplina «Seveso») recata dalla
96/82/Ce. A dettare le norme tecniche per rendere operativo
tale principio è stata proprio la citata direttiva
2011/97/Ce ora tradotta sul piano nazionale per il tramite
del dm Ambiente 29.07.2013 in esame.
Con il nuovo
decreto scatta dunque l'obbligo per i gestori degli impianti
di stoccaggio di rifiuti di mercurio metallico di rispettare
le norme di prevenzione stabilite dal dlgs 334/1999,
l'attuale provvedimento nazionale di recepimento delle
regole «Seveso» comunitarie (oggetto di prossima revisione
per ospitare le ultime novità in materia sancite sempre
dall'Ue con la direttiva 2012/18/Ue, che impone maggiore
analiticità nella documentazione di prevenzione degli
incidenti e controlli esterni più invasivi).
Le novità in arrivo per le discariche. Sempre in tema di
discariche e relativa disciplina dettata dal dlgs 36/2003,
si ricorda che il ddl recante il cd. Collegato ambientale
alla legge di Stabilità 2014 licenziato lo scorso 15.11.2013 e ora al vaglio del Parlamento prevede un
dietrofront sul tema del cd. «addio alla discarica», ossia
della non ammissibilità di alcuni rifiuti in detti impianti
ai fini dello stoccaggio. L'articolo 24 del disegno di legge
in itinere stabilisce infatti la totale rimozione dal dlgs
36/2003 del divieto di conferire in discarica a partire dal
31.12.2013 i rifiuti con Pci (Potere calorifico
inferiore) > 13.000 kJ/kg.
L'abrogazione definitiva del
divieto (oggetto di continue proroghe dal 2010), emerge
dalla relazione che accompagna il provvedimento, si rende
necessaria per non impedire il legittimo conferimento in
discarica di rifiuti che dopo il necessario trattamento
(come impongono le ultime norme in materia, ricordate dal MinAmbiente
con la circolare dello scorso 06.08.2013, ndr) continuano ad
avere un tenore calorifico che ostacolerebbe il loro
stoccaggio in detti impianti
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
ENTI LOCALI - VARI: Multe stradali, cartelle leggere.
Non va inclusa la maggiorazione semestrale del 10%.
Il parere dell'Avvocatura dello stato rischia di scatenare
nuovo contenzioso con Equitalia.
Nella cartella esattoriale per il mancato pagamento di una
multa stradale non va inclusa la maggiorazione semestrale
del 10% di cui all'art. 27 della legge n. 689/1981. Lo
afferma l'Avvocatura dello stato con il controverso
parere
31.07.2013 n. CS 32494/13 di prot., solo ora reso noto,
che rischia di generare un forte contenzioso fra gli
automobilisti debitori da un lato ed Equitalia ed enti
creditori dall'altro.
Ma la posizione dell'Avvocatura non sembra esente da alcune
criticità. L'art. 203, comma 3, del Codice della strada
dispone che, qualora nei termini previsti non sia stato
proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura
ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui
all'art. 17 della legge n. 689 del 24.11.1981,
costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà
del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le
spese di procedimento.
D'altro canto, l'art. 206, comma 1,
del codice stradale prevede che se il pagamento non è
effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204 la
riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione
amministrativa pecuniaria è regolata dall'art. 27 della
legge n. 689/1981, che prevede la maggiorazione della somma
dovuta di un decimo ogni semestre da quello in cui la
sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il
ruolo è trasmesso all'esattore. Sulla legittimità
dell'applicazione della maggiorazione semestrale del 10%
sulle somme da riscuotere per multe stradali non pagate la
Cassazione, sez. II civile, si era espressa favorevolmente
con la sentenza n. 22100 del 22.10.2007.
Peraltro, con
una precedente sentenza n. 3701 del 16.02.2007, la
stessa Cassazione, sez. II civile, era pervenuta a
conclusioni di segno opposto. La questione era stata
originata da un ricorso che la Prefettura di Benevento aveva
proposto agli ermellini contro la decisione del giudice di
pace che aveva dichiarato la nullità di una cartella
esattoriale per multe stradale, ritenendo illegittima la
maggiorazione per interessi operata sulla somma stabilita
dalla legge.
La Cassazione, con la sentenza n. 3701/2007, ha
respinto il ricorso della Prefettura affermando che alle
sanzioni stradali, si applica l'art. 203, comma 3, Cds, che
in caso di ritardo nel pagamento della sanzione irrogata
nell'ordinanza–ingiunzione, in deroga all'art. 27 della
legge n. 689/1981, prevede, l'iscrizione a ruolo della sola
metà del massimo edittale e non anche degli aumenti
semestrali del 10%. Ora l'Avvocatura dello stato, con il
parere prot. n. CS 32494/13 del 31.07.2013 divulgato
dalla Prefettura di Novara con la
nota 09.10.2013 n. 41901 di prot.., richiama e
ribadisce la validità della sentenza n. 3701/2013 della
Cassazione, ritenendo che non vi siano motivi per non darvi
corso.
Le conclusioni cui giunge l'Avvocatura dello stato,
pur munite della connaturata autorevolezza, destano qualche
perplessità. Innanzitutto, nel valutare l'applicabilità
dell'art. 27 della legge n. 689/1981, occorrerebbe
contemplare in modo non disgiunto gli artt. 203 e 206 del
codice della strada, che disciplinano due differenti fasi
procedurali, rispettivamente il momento in cui un verbale
diventa titolo esecutivo e il momento della riscossione.
Dalla lettura combinata si ricava che la maggiorazione
semestrale del 10% si applica non nel momento in cui il
verbale diventa titolo esecutivo (ex art. 203, comma 3),
come invece sembra dedurre l'Avvocatura dello Stato, ma dal
momento in cui si inizia la procedura della riscossione (ex
art. 206, comma 6).
In quest'ottica, non si può non
adempiere a quanto prescritto dall'art. 27 della legge n.
689/1981 (cui l'art. 206, comma 6, Cds espressamente
rimanda): «Salvo quanto previsto nell'art. 26, in caso di
ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un
decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la
sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il
ruolo è trasmesso all'esattore. La maggiorazione assorbe gli
interessi eventualmente previsti dalle disposizioni
vigenti».
Tuttavia, il recente parere dell'Avvocatura dello
stato rischia di aprire una fase di contenzioso di grande
rilevanza, considerate le cifre considerevoli in gioco. Di
fronte a un'eventuale richiesta di sgravio parziale della
cartella esattoriale motivata sulla base del parere reso
dall'Avvocatura dello stato, l'amministrazione pubblica
dovrà scegliere fra due alternative: continuare a ritenere
legittima la maggiorazione del 10%, anche resistendo in
giudizio di fronte ad eventuali opposizioni, oppure
accogliere la richiesta di sgravio, esponendosi però in tal
modo a un rischio di responsabilità erariale.
---------------
Maggiorazione, non sono interessi.
La maggiorazione del 10% semestrale viene talora considerata
eccessiva in rapporto all'attuale tasso di inflazione.
Tuttavia, tale considerazione è errata, in quanto non si
tratta di interessi, ma di una misura sanzionatoria a causa
della condotta del debitore, tenuto all'adempimento
dell'obbligazione.
Con l'ordinanza n. 308 del 14.07.1999
la Corte costituzionale ha affermato che la maggiorazione
per ritardo prevista dall'art. 27, comma sei, della legge n.
689/1981 a carico dell'autore dell'illecito amministrativo,
cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, non ha
funzione risarcitoria o corrispettiva, ma funzione di
sanzione aggiuntiva.
La Corte di cassazione, sez. II civile, con la sentenza n.
28389 del 22.12.2011 ha quindi evidenziato che la questione
di legittimità costituzionale dedotta, ancorché rilevante
(siccome concernente la diretta applicabilità dell'art. 27,
comma 6, della legge n. 689 del 1981), è, tuttavia, da
ritenersi manifestamente infondata, «avendola già
ritenuta tale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 308
del 1999, sulla scorta della quale la denuncia della
questione muove dalla erronea premessa dell'identità di
natura e funzione dell'istituto degli interessi moratori o
di pieno diritto nelle obbligazioni tra privati e
dell'istituto delle maggiorazioni delle sanzioni
amministrative pecuniarie in caso di ritardo nel pagamento,
mentre la maggiorazione per ritardo prevista dall'art. 27
citato a carico dell'autore dell'illecito amministrativo,
cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione
non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione
aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la
sanzione principale».
Alla stregua di tale decisiva argomentazione, il giudice
delle leggi ha, perciò, concluso per la mancanza di
omogeneità dei termini di raffronto necessaria a fondare un
eventuale giudizio di disparità di trattamento
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.11.2013). |
APPALTI: Appalti, l'Antitrust stringe sui cartelli.
Vigilanza su eventuali distorsioni da subappalti e
associazioni temporanee.
Lavori pubblici. Le ricadute sulle
imprese del vademecum diffuso dell'Autorità per contrastare
i comportamenti sospetti.
Nel settore degli appalti pubblici si innalza il livello dei
controlli sui "cartelli". L'Autorità garante della
concorrenza e del mercato ha recentemente pubblicato un
vademecum in cui sono indicati alcuni comportamenti
sospetti, che potrebbero essere rivelatori di condotte
illecite e restrittive della concorrenza.
Le pratiche nel mirino
Per le stazioni appaltanti il vademecum è uno strumento per
individuare i comportamenti da segnalare all'Autorità,
mentre alle imprese fornisce chiare indicazioni sui
comportamenti da evitare, per non venire sanzionate. In
realtà, la maggior parte dei comportamenti elencati nel
vademecum ha una chiara valenza anticoncorrenziale. Appare
ovvio che il boicottaggio della gara, le offerte di comodo,
la rotazione congiunta delle offerte o la ripartizione del
mercato e le anomalie delle offerte segnalate dall'Autorità
siano conseguenza di una strategia comune e segreta per
alterare il regolare svolgimento della gara e siano la prova
dell'esistenza di un cartello tra due o più operatori del
mercato degli appalti pubblici.
Ma altre prassi appaiono a prima vista del tutto lecite.
L'Associazione temporanea di imprese (Ati) e il subappalto,
ad esempio, sono strumenti disciplinati dal Codice degli
appalti pubblici, che nella finalità del legislatore, anche
comunitario, sono portatori di benefici pro concorrenziali
in quanto consentono a un numero più elevato di imprese,
soprattutto a quelle piccole e medie, di partecipare alle
gare. Ma l'Antitrust teme che questi strumenti vengano
utilizzati illegittimamente per suggellare alleanze tra
imprese che, invece di competere, si accordano per la
spartizione del mercato o della singola commessa. In altra
parole, si vuole evitare che un'Ati o un accordo di
subappalto altro non siano che la facciata di un'intesa
illecita.
In questo contesto la valutazione della legittimità dell'Ati
o del subappalto è particolarmente complessa. Gli indizi che
l'Autorità indica come sintomatici di una possibile
violazione del diritto della concorrenza, come essa stesse
ammette, potrebbero essere anche letti come comportamenti
genuinamente concorrenziali. La stessa giurisprudenza
amministrativa ha, ad esempio, ritenuto lecito il
raggruppamento di imprese già qualificatesi in modo
separato. Infine le Ati tra i maggiori operatori –che
l'Autorità vede con sospetto in quanto possibile strumento
di una strategia escludente, cioè tesa a impedire a imprese
minori di aggiudicarsi l'appalto– potrebbero invece
consentire di offrire alla Pa la migliore combinazione di
prodotti o servizi disponibile.
L'intervento dell'Antitrust si giustifica con l'importanza
che hanno gli appalti pubblici per l'economia nazionale,
essendo per l'appunto utilizzate risorse pubbliche. Infatti,
collusioni illecite tra gli offerenti non fanno altro che
aumentare il prezzo che l'amministrazione si ritroverà a
pagare per la fornitura, senza che ciò sia accompagnato da
un miglioramento qualitativo dell'offerta.
Ora l'Antitrust si attende un elevato numero di
segnalazioni: sia dalle stazioni appaltanti, sia da soggetti
terzi, ad esempio un'impresa che non si è aggiudicata la
fornitura. È ammessa anche la segnalazione anonima. Per
questo, l'Autorità ha deciso in un primo momento di limitare
i controlli agli appalti il cui valore superi la soglia
comunitaria e che presentino determinati profili di rischio.
I fenomeni che dovranno essere segnalati non sono, infatti,
ipotesi remote, ma si verificano frequentemente nel settore
degli appalti pubblici, specialmente quando il mercato
interessato è caratterizzato da pochi concorrenti con
analoghe efficienze e dimensioni, i prodotti sono omogenei,
le imprese che partecipano alle gare sono sempre le stesse,
l'appalto è ripartito in più lotti dal valore economico
simile.
L'esame delle segnalazioni
Spetterà all'Antitrust esaminare scrupolosamente le
segnalazioni che riceverà e che comunque non
giustificheranno l'interruzione della gara né la rinuncia ad
assegnare l'appalto all'impresa risultata aggiudicataria.
È prevedibile allora che le imprese siano destinatarie di
richieste di informazioni, siano cioè chiamate a fornire
spiegazioni convincenti delle strategie adottate nelle gare.
Se poi l'Antitrust dovesse accertare un'infrazione, nel caso
in cui l'appalto fosse stato già aggiudicato la stazione
appaltante potrà chiedere di essere risarcita dei danni
subiti dalle imprese che hanno attuato una condotta
anticoncorrenziale.
Il vademecum deve essere accolto con favore: già la sola
pubblicazione ha un forte valore di deterrenza nei confronti
dei partecipanti alle gare, che saranno ora coscienti che
comportamenti anomali saranno segnalati all'Antitrust.
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Gli indizi
rivelatori
I casi analizzati dal Garante nel vademecum
BOICOTTAGGIO DELLA GARA
Sono vietati comportamenti e accordi volti a vanificare la
gara e a prolungare il contratto con il vecchio fornitore o
per ripartire pro-quota il lavoro o la fornitura tra tutte
le imprese interessate.
Campanelli d'allarme di un tentativo di boicottaggio sono:
- mancata presentazione di offerte;
- presentazione di una sola offerta o di un numero di
offerte insufficiente per aggiudicare;
- presentazione di offerte dello stesso importo
OFFERTE DI COMODO
Sono offerte che celano un innalzamento artificiale dei
prezzi
in presenza di un'apparente regolarità concorrenziale della
gara. Possono essere indizi di questa pratica:
- una sequenza di gare aggiudicate alla stessa impresa;
- presenza di offerte per importi palesemente troppo
elevati;
- offerte caratterizzate da condizioni che ne rendono certa
l'esclusione;
- offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino
SUBAPPALTI O ATI
Subappalto e associazione temporanea di impresa possono,
secondo l'Antitrust, essere utilizzati in modo distorto per
spartirsi il mercato.
Sono indizi del meccanismo spartitorio:
- imprese in grado di partecipare singolarmente alla gara ma
che optano per la partecipazione in Ati o per il subappalto;
- imprese che svolgono la stessa attività prevalente;
- impresa che si ritira dalla gara e diventa poi
subappaltatrice;
- nelle aggiudicazioni all'offerta economicamente più
vantaggiosa,
presenza di Ati costituita dai maggiori operatori per
impedire alle imprese minori di raggiungere il necessario
punteggio qualitativo
SPARTIZIONE DEL MERCATO
Indicano una potenziale spartizione del mercato le seguenti
situazioni:
- negli accordi di rotazione delle offerte, le imprese
continuano a partecipare alle gare ma decidono di presentare
a turno l'offerta vincente. Gli accordi possono essere
attuati in modi diversi;
- un'attenta analisi può far emergere una "regolarità"
sospetta nella successione delle aggiudicatarie così come
nella ripartizione in lotti;
- le regolarità sospette possono riguardare tanto il numero
delle aggiudicazioni quanto la somma dei relativi importi
MODALITÀ SOSPETTE
L'illecita concertazione tra concorrenti nel formulare
un'offerta può essere tradita da banali disattenzioni che
emergono fin dalla lettura del bando, come ad esempio:
- medesimi errori di battitura o di calcolo;
- stessa grafia;
- riferimento a domande di altri partecipanti alla gara;
- consegna contemporanea di più offerte
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
VARI: L'affitto del terreno blocca l'usucapione.
Possesso. Il fabbricato costruito sull'area.
Chi costruisce a proprie spese un edificio su un fondo
agricolo altrui esercita un possesso utile all'usucapione;
ma se poi sottoscrive un contratto di affitto con il
proprietario del terreno sul quale ha costruito, da quel
momento riconosce il diritto altrui e dovrà considerarsi
solo detentore qualificato e non possessore.
Lo ha affermato
il Tribunale monocratico civile di Catania (giudice Dipietro)
che, con la sentenza 10.10.2013, ha respinto la
domanda di usucapione promossa dai ricorrenti che
sostenevano di avere posseduto un terreno, anche a mezzo dei
loro danti causa, sin dal 1951. Ne era proprietario un
Comune, che aveva eccepito la natura demaniale del bene,
sostenendo che per questo non fosse suscettibile di
usucapione.
Il giudice ha ritenuto secondaria la questione della
demanialità del fondo, perché ha verificato una circostanza
di fatto, a suo avviso risolutiva. L'appezzamento era stato
concesso in affitto ai danti causa degli attori con
contratti sottoscritti nel 1948. Sul terreno erano stati
costruiti degli edifici su iniziativa degli affittuari che
avevano sostenuto le spese e poi ne avevano fatto uso
esclusivo. Nel giudizio tuttavia non era stata data prova
specifica di quando fossero stati iniziati e portati a
termine i lavori. La sentenza segnala però che, nelle loro
memorie, gli attori avevano articolato prove per dimostrare
che i manufatti erano esistenti sin dal 1940.
Il giudice si sofferma sull'interversione del possesso,
disciplinata dall'articolo 1141 del Codice civile, e afferma
che il detentore di un fondo altrui si può trasformare in
possessore se manifesta l'intenzione di tenere la cosa come
propria, con un comportamento inequivoco e chiaramente
percepibile dal proprietario. Rientra tra questi
comportamenti l'attività edificatoria non autorizzata e non
prevista dal contratto di affitto, che il detentore decida
di svolgere sul terreno altrui. Scrive il giudice che queste
condotte sono «astrattamente idonee a manifestare all'avente
diritto, in modo inequivoco e riconoscibile» l'intenzione
del detentore «di esercitare il potere sulla cosa nomine
proprio».
Tuttavia, non essendo provato che la costruzione
sia stata eretta dopo i contratti del 1948, rimane
plausibile che essa sia avvenuta prima. Dal momento in cui
con la sottoscrizione del contratto di affitto i danti causa
degli attori hanno riconosciuto il diritto di proprietà
altrui hanno assunto rispetto al fondo la qualità di
detentori qualificati; e tale riconoscimento opera anche se
negli anni precedenti il possesso è stato esercitato sulla
cosa come se fosse propria. Infine, il giudice rileva che
dal 1948 in poi non risultava alcun altro comportamento
idoneo a integrare l'interversione. È così arrivato il no
alla domanda di usucapione
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
CONDOMINIO: Ex amministratore, carte da consegnare.
Condominio. Sì alla tutela d'urgenza.
È ammissibile il ricorso al procedimento d'urgenza previsto
dall'articolo 700 del Codice di procedura civile per
ottenere la consegna dei documenti relativi al condominio
dall'amministratore cessato dall'incarico.
Lo sostiene il
Tribunale di Reggio Calabria (giudice Minutoli) in
un'ordinanza del 4 novembre.
Nei fatti, il condominio aveva chiesto che al proprio
precedente amministratore, a cui era stato revocato il
mandato, fosse ordinato di restituire la documentazione
sulla gestione dello stabile; questo per proporre un'azione
di merito per accertare l'inadempimento contrattuale e
ottenere il risarcimento del danno.
Il tribunale, «pur nella
consapevolezza di contrarie opinioni giurisprudenziali (che
prospettano, ad esempio, la possibilità del ricorso al
procedimento per decreto ingiuntivo)», premette che si può
ritenere consentito agire in via d'urgenza. Infatti, «in
relazione alle notorie incombenze del l'amministrazione di
un condominio», la mancata disponibilità della
documentazione contabile può determinare, per il condominio
e per ciascun condomino, un grave pregiudizio «non
agevolmente commisurabile né dunque facilmente riparabile,
se non altro per la possibilità che essa determini una
situazione di impasse durevole nel tempo».
Circa la verosimile fondatezza del diritto (fumus boni iuris),
il giudice osserva che l'amministratore ricopre «un ufficio
di diritto privato assimilabile al mandato con
rappresentanza» e deve quindi rendere in originale ciò che
ha ricevuto per conto del condominio (articolo 1713 del
Codice civile), con responsabilità per i danni che derivino
dall'omessa o tardiva restituzione.
Quanto al pregiudizio
nel ritardo (periculum in mora), il giudice riconosce che si
rischiano danni di natura pecuniaria, non tutelabili, di per
sé, in via d'urgenza. Ma, aggiunge, la condotta omissiva del
precedente amministratore può comportare anche danni che
trascendono i profili economici. In altri termini, il tempo
necessario per il giudizio a cognizione piena potrebbe
pregiudicare il diritto alla conoscenza di crediti o
provocare decadenze o altre conseguenze legate a mancate
iniziative processuali o extragiudiziali.
In accoglimento della domanda, all'ex amministratore è
quindi ordinata la consegna dei documenti
amministrativo-contabili relativi alla sua gestione
condominiale. La questione è stata più volte trattata dalla
giurisprudenza di merito, che perlopiù l'ha risolta come il
tribunale reggino. E la riforma del condominio (legge
220/2012), nel riscrivere l'articolo 1129 del Codice civile,
ha previsto che, alla cessazione del l'incarico,
l'amministratore deve consegnare tutta la documentazione in
suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini
e a eseguire le attività urgenti per evitare pregiudizi agli
interessi comuni (articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
ENTI
LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Niente premi di risultato se manca la valutazione.
Personale. Le indicazioni Aran sui
titolari di posizione.
LO STOP/ Nei casi in cui non è stato istituito l'Oiv non è
consentito erogare l'indennità aggiuntiva ai «funzionari»
I titolari di posizione organizzativa possono essere
remunerati per gli incarichi ad interim solamente con una
maggiorazione della retribuzione di risultato. Nel caso in
cui nell'ente non fosse stato istituito l'organismo di
valutazione, ai titolari di posizione organizzativa non può
essere corrisposta l'indennità di risultato.
Sono queste le
indicazioni, assai restrittive, dettate dall'Aran in
risposta ai quesiti posti dalle amministrazioni estendendo i
principi dettati dai contratti collettivi nazionali dei
dirigenti.
I titolari di posizione organizzativa possono essere
destinatari di incarichi ad interim per la sostituzione di
colleghi assenti e/o per la copertura di posti vacanti. In
analogia a quanto previsto per i dirigenti il parere
04.11.2013 n. 1610 esclude innanzitutto la possibilità
di corresponsione di una doppia indennità: è questa una
conclusione pienamente coerente con i presupposti
contrattuali che vietano la erogazione di più di un compenso
di posizione.
In analogia con i contratti dei dirigenti
l'unica possibilità di remunerazione è individuata nella
maggiorazione della retribuzione di risultato in una misura
che deve essere "strettamente connessa agli obiettivi
raggiunti nella misura in cui sia dimostrabile la
riconduzione degli stessi al suo operato ed alla sua
responsabilità". Lo stesso parere aggiunge che, mentre per i
dirigenti non vi è un tetto alla misura della indennità di
risultato, per i titolari di posizione organizzativa tale
tetto esiste ed è fissato nel 25% della indennità di
posizione.
Tetto che, per le alte professionalità e per i
responsabili di gestioni associate, arriva fino al 30%. Da
qui la conclusione assai rigida: "in base all'articolo 10
del contratto nazionale del 31.03.1999, la retribuzione
di risultato che può essere erogata al dipendente titolare
di posizione organizzativa non può in alcun modo superare il
limite massimo del 25% della retribuzione di posizione
connessa all'incarico attribuito. Tale vincolo, in mancanza
di diverse indicazioni contrattuali, attualmente, non sembra
poter essere superato neppure nel caso di conferimento al
dipendente già titolare di posizione organizzativa di un
incarico relativo ad altra posizione organizzativa". Il che
rischia di determinare conseguenze negative in termini di
motivazione e, non a caso, il parere si conclude con
l'auspicio che nel prossimo contratto questo tetto possa
essere derogato per gli affidamenti di interim.
Il parere 28.10.2013 n. 1548 nega la possibilità
che la valutazione dei titolari di posizione organizzativa
possa essere effettuata da un organismo che è stato
istituito successivamente all'anno. Viene ricordato che il
contratto nazionale del 31.03.1999 subordinava la
istituzione stessa delle posizioni organizzativa alla
attivazione dei nuclei di valutazione. Per cui «la mancanza
effettiva di tali organismi impediva, in partenza, ogni
possibilità di attivazione del nuovo istituto».
Il che
determina la conclusione che «viene meno la possibilità di
ogni valutazione delle attività svolte e dell'effettivo
conseguimento dei risultati conseguiti dal titolare di
posizione organizzativa e conseguentemente anche ogni
possibilità di erogazione della retribuzione di risultato».
E, per l'assenza di previsioni contrattuali, si deve
escludere «la possibilità di interventi in sanatoria» (articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
GIURISPRUDENZA |
ESPROPRIAZIONE: Cassazione. Le Sezioni unite chiariscono che le date da
rispettare devono essere definite prima dell'inizio della
procedura
Termini più certi sugli espropri.
Scatta il risarcimento se la scadenza non è rispettata, ma
sarà possibile la proroga.
Si può espropriare un terreno per realizzare una strada, ma
i termini per procedere devono esser definiti fin
dall'inizio.
Questo è il principio espresso dalla Sezioni
unite civili della Corte di Cassazione nella
sentenza 29.11.2013 n.
26778, relativa a un intervento in un Comune lombardo.
Alcuni privati lamentavano di aver perso un'area occupata
abusivamente da una strada: l'opera, prevista da una
convenzione di lottizzazione, non era stata infatti
preceduta da una specifica indicazione di un progetto con
termini per l'esecuzione degli espropri.
Questi termini, secondo il Comune chiamato in giudizio,
erano desumibili dalla convenzione di lottizzazione e
comunque erano coerenti all'insediamento urbanistico da
realizzare. Ma questa tesi dell'ente locale non è stata
condivisa dalle Sezioni unite, le quali hanno sottolineato
che in materia di esecuzione di opere pubbliche la proprietà
privata viene meno solo se il potere di esproprio ha termini
certi, relativi all'inizio e compimento delle procedure.
Se tali termini vengono violati, decorrendo inutilmente
senza che l'opera venga eseguita o l'espropriazione ultimata
con il passaggio di proprietà, viene meno la pubblica
utilità dell'opera e l'area va restituita al precedente
proprietario.
Se i termini sono fissati e sono insufficienti, prima della
loro scadenza possono essere motivatamente prorogati (ad
esempio per difficoltà di esecuzione), ma con termini già
scaduti non è più possibile ritenere legittima
l'espropriazione e il privato ha diritto al risarcimento del
danno.
Quando le opere pubbliche avevano uno specifico progetto
approvato (una strada, un canale eccetera) i termini per
l'esproprio e l'ultimazione dei lavori erano agevolmente
individuabili negli atti progettuali. Quando invece le
singole opere pubbliche sono inserite in disegni più ampi,
che comprendono edifici, urbanizzazioni, parchi, parcheggi,
diventa complesso individuare in quale provvedimento
amministrativo inserire i termini per le espropriazioni.
La difficoltà sorge in quanto da un lato alcune opere (ad
esempio una strada) sono indispensabili, ma dall'altro non
vi è certezza sui tempi dei finanziamenti e quindi
sull'effettiva eseguibilità dei lavori. Per opere pubbliche
quindi inserite in più ampi contesti, i termini per le
espropriazioni sono desumibili dall'atto di pianificazione
generale (un tracciato ferroviario, un'opera idraulica, un
parco tematico); ma quando il contesto generale è a sua
volta indefinito, viene meno la certezza dei termini e
quindi l'esproprio diventa un rischio per le pubbliche
amministrazioni.
Appunto ciò è quanto avvenuto nel Comune lombardo, in cui
alcuni privati avevano ottenuto l'approvazione di una
convenzione, impegnandosi a eseguire anche una strada: i
tempi per la realizzazione dell'intervento edilizio,
comprensivo della viabilità, non erano tuttavia certi,
perché il piano di lottizzazione era stato più volte
variato.
Il privato proprietario dell'area diventata strada, ha
quindi visto riconosciuto il proprio diritto ad ottenere il
risarcimento del danno, facendo cadere il procedimento
espropriativo per mancanza di termini certi di esproprio (articolo Il Sole 24 Ore del
30.11.2013). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a., sul blocco dei contratti deciderà la Consulta.
Se i contratti del pubblico impiego sono economicamente
bloccati da quattro anni, fondando tale decisione
sull'eccezionalità della situazione economica che rischia di
minare la stabilità dei conti pubblici italiani, vi è allora
la necessità di accollare tale onere sulla collettività nel
suo insieme e non solo su una parte di essi, ovvero i
pubblici dipendenti.
È quanto ha sottolineato il Tribunale
di Roma, Sez. lavoro, nell'ordinanza
27.11.2013 a seguito del
ricorso proposto dalla Federazione lavoratori pubblici e
funzioni pubbliche (Flp) e dalla Fialp, Federazione italiana
lavoratori pubblici.
Il giudice ha dichiarato rilevante e
non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'articolo 9, commi 1 e 17, del dl n.
78/2010, nonché l'articolo 16, comma 1, del dl n. 98/2011
(ovvero tutte le misure che i governi succedutisi in questi
anni hanno messo in campo per bloccare gli aumenti dei
pubblici dipendenti) per contrasto con gli articoli 2, 3,
35, 36, 39 e 53 della Costituzione, disponendo l'immediata
trasmissione degli atti alla Consulta.
Per il tribunale, la reiterata sospensione della possibilità
di negoziare, anche solo in ordine agli incrementi
retributivi, determina, a conti fatti, «un'anomala
interruzione» dell'efficacia delle disposizioni richiamate
al testo del dlgs n. 165/2001 in materia di contrattazione
collettiva. Interruzione qui determinata dalla particolare
posizione dello stato nella veste di datore di lavoro. A
maggior ragione, tale blocco interviene in un regime
normativo nel quale la retribuzione è determinata tramite
accordi di categoria e, quindi, fa cadere il rispetto del
principio costituzionale tra proporzionalità del lavoro
svolto e la sua remunerazione. In pratica, l'inibizione
prolungata degli adeguamenti dei trattamenti retributivi dei
pubblici dipendenti, solleva una violazione del principio di
proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Inoltre,
il reiterato blocco solleva ulteriori dubbi per violazione
dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e solidarietà
sociale, previsti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Il ragionamento del Tribunale, in pratica, è in questi
termini: se il governo ha la necessità di emanare
disposizioni di contenimento della spesa pubblica, a causa
dell'eccezionale crisi economica che rischia di inglobare il
nostro Paese, deve accollare tale onere su tutta la
collettività, non solo su di una parte di essi, nel caso
particolare i dipendenti pubblici.
Grande soddisfazione è stata espressa dal segretario
generale della Flp, Marco Carlomagno: «È stato
riconosciuto un fondamentale diritto e cioè che i sacrifici
della crisi economica non possono essere addossati sui soli
pubblici dipendenti. Adesso speriamo in una «ispirata»
decisione della Corte costituzionale»
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2013). |
ENTI LOCALI: "Restituita" alla Corte dei conti la giurisdizione sulle
società in house. Sulle società in house spazio a Corte conti.
IL CHIARIMENTO/
Secondo le Sezioni unite per i danni causati da
amministratori e dipendenti decide il giudice contabile.
È questo l'importante e atteso verdetto
con cui le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno fissato, con
la
sentenza
25.11.2013 n. 26283, il punto di
mediazione in tema di riparto di giurisdizione fra giudice
contabile e giudice ordinario.
Si tratta a tutti gli effetti di un parziale revirement,
perché se da un lato le Sezioni Unite tornano sui propri
passi a proposito delle società in house vere e proprie
(cioè contraddistinte da tutti i requisiti prescritti allo
scopo dal diritto Ue), ammettendo che per i danni ad esse
inferti da amministratori e dipendenti la giurisdizione
spetta al giudice contabile, dall'altro lato ribadiscono
invece espressamente l'orientamento opposto ormai
consolidatosi a proposito delle società a partecipazione
pubblica diverse da quelle in house.
Ancorché parziale, il revirement è in ogni caso di rilevante
importanza applicativa e muove dall'esatta constatazione,
maturata anche grazie alla perseveranza dei Pm contabili,
che con le società vere e proprie quelle in house hanno in
comune solo la forma esteriore, mentre sul piano
sostanziale, essendo strutturalmente prive di potere
decisionale autonomo, non si pongono in rapporto di alterità
soggettiva rispetto all'ente pubblico partecipante, e
finiscono con l'essere, rispetto a quest'ultimo, null'altro
che una mera articolazione interna. Di qui, l'equazione
conclusiva fra danno al patrimonio della società in house e
danno erariale.
Provando a sistematizzare, dopo questa decisione si può
tracciare un quadro che declina la giurisdizione di danno
della Corte dei conti, riguardo alle società a
partecipazione pubblica complessivamente intese, su almeno
quattro piani. Il primo, è quello che attiene ai casi in cui
il danno è in sé ravvisabile nella stessa costituzione della
società (ad esempio perché creata contravvenendo ad un
divieto legale, oppure per il conseguimento di uno scopo
manifestamente inutile o impossibile).
Il secondo piano riguarda invece le società in house, nelle
quali la responsabilità per danno erariale sarà, come detto,
governata esattamente dagli stessi paradigmi valevoli negli
enti pubblici soci.
Il terzo è quello che concerne le società a partecipazione
pubblica diverse da quelle in house, laddove restano
assoggettati alla giurisdizione della Corte dei conti i
comportamenti che abbiano cagionato un danno direttamente
all'ente pubblico socio (si pensi al danno all'immagine),
nonché quelli di colpevole trascuratezza nell'esercizio dei
diritti spettanti al socio, da cui sia rimasto pregiudicato
il valore della partecipazione.
Il quarto piano, infine, attiene alle ipotesi puntuali di
responsabilità per danno erariale previste genericamente in
ambito societario, introdotte da singole norme speciali al
di fuori di un disegno organico di intervento (si veda, ad
esempio, l'articolo 4, comma 12, del Dl 95/2012).
Si tratta, come si può notare, di un'ampia area di
intervento, ancorché diversificata, nell'ambito della quale
la Corte dei conti riespande dunque il suo ruolo di presidio
della sana e corretta gestione di una finanza pubblica
resasi ormai multiforme (articolo Il Sole 24 Ore del
27.11.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Regolamenti battuti sul tempo.
Impugnabili dalle associazioni prima che abbiano effetti.
La sentenza del Consiglio di stato in merito ai diritti in
capo agli enti esponenziali.
Le associazioni possono impugnare direttamente i
regolamenti, senza aspettare che danneggino il singolo
aderente. E se il regolamento ha effetti diversi sugli
appartenenti alla categoria tutelata dall'associazione
(qualcuno è danneggiato, ma qualcuno, invece, ottiene
benefici), questa può ugualmente impugnare il provvedimento
davanti al giudice amministrativo.
È quanto ha deciso il
Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza
18.11.2013 n. 5451, che, nel pronunciarsi sul ricorso relativo al
reclutamento dei dirigenti degli uffici finanziari proposto
da Dirpublica (il Sindacato unitario dei funzionari, dei
professionisti, delle alte qualifiche e dei dirigenti delle
pubbliche amministrazioni e delle agenzie), ha affrontato
alcune questioni processuali di grande importanza.
La prima questione riguarda se i cosiddetti enti
esponenziali, che rappresentano gli interessi diffusi agli
appartenenti a una data categoria, possano impugnare
direttamente un regolamento. Questa strada, infatti, è
negata al singolo che deve aspettare un provvedimento
amministrativo che, in attuazione del regolamento, gli
provoca una lesione (per esempio, perché non viene accettata
un'istanza o perché viene applicata una sanzione). La strada
è, invece, percorribile da parte delle associazioni di
categoria: nel caso specifico un'associazione sindacale
Il Consiglio di stato precisa che una norma regolamentare
non può, per il suo carattere generale, provocare un
pregiudizio immediato in capo al singolo. Di conseguenza,
quindi, lo stesso può impugnare solo il successivo
provvedimento applicativo e, con esso, anche il regolamento
a monte. Il regolamento, però, può, dettare prescrizioni che
colpiscono subito indistintamente l'interesse omogeneo di
tutti gli appartenenti alla categoria. La lesione
dell'interesse diffuso non può essere fatta valere dal
singolo, ma può certamente essere fatta valere dall'ente di
riferimento della categoria. In questo caso, infatti, la
legittimazione al ricorso nasce proprio dalla lesione
dell'interesse collettivo, che è una immediata e diretta
conseguenza dell'introduzione nell'ordinamento della
prescrizione generale e astratta.
La seconda questione concerne la possibilità per un ente a
tutela di interessi diffusi di impugnare un regolamento che
contemporaneamente porta benefici a qualcuno e danni a
qualcun altro, tutti appartenenti alla categoria
rappresentata. Il Consiglio di stato risponde
affermativamente. Tendenzialmente è vero che un ente può
fare un ricorso al giudice amministrativo solo quando fa
valere un interesse omogeneo della categoria. Questo, però,
non significa che l'associazione può impugnare l'atto
amministrativo solo se lede l'interesse di tutti e non solo
di alcuni degli aderenti. La distinzione è sottile, ma
importante, perché può tenere in piedi il ricorso. Un ente
esponenziale può far valere in giudizio diritti e interessi,
appartenenti a ciascun componente della collettività da esso
rappresentata, tutelabili dunque sia dall'ente sia da
ciascun singolo componente, ma può far valere diritti e
interessi di cui è titolare in via esclusiva: sono gli
interessi collettivi propriamente detti, la cui titolarità è
solo dell'ente.
E in questa seconda ipotesi si colloca il caso in cui viene
adottato da una pubblica amministrazione un atto
amministrativo che si pone in contrasto con l'interesse
collettivo, anche se esso risulta produttivo di effetti
favorevoli per una parte (o anche uno solo) degli
appartenenti alla categoria. L'associazione può fare ricorso
lo stesso. Altrimenti pretendere che lo possa fare solo
qualora l'atto leda l'interesse di tutti e non solo di
alcuni appartenenti alla categoria porterebbe all'assurdo
che l'ente esponenziale non è legittimato a impugnare un
atto, ritenuto illegittimo, e lesivo degli interessi
collettivi, solo perché esso porta vantaggi a una parte dei
suoi componenti.
Altra conseguenza assurda sarebbe che, allora, potrebbero
proporre un ricorso amministrativo solo associazioni di
ristrette categorie dello stesso settore, se non addirittura
associazioni di portatori di interessi particolari, mentre
non potrebbero proporre un ricorso le associazioni più
grandi e proprio per questo più in grado di tutelare
l'interesse collettivo
(articolo ItaliaOggi del 26.11.2013). |
APPALTI: Idoneità da verificare anche per i procuratori.
Consiglio di Stato. Il bando può chiedere controlli sulle
condizioni generali.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la
sentenza 16.10.2013 n. 23 è intervenuta su uno dei punti più
controversi del Dlgs n. 163/2006 (Codice degli appalti
pubblici) sul quale per anni ha regnato l'incertezza degli
orientamenti giurisprudenziali che hanno alimentato una
enorme litigiosità: il dubbio se anche i procuratori
dell'impresa concorrente siano tenuti a possedere i
requisiti morali e professionali di idoneità alle gare
previsti dall'articolo 38 lettere b) e c) del Codice.
La norma prescrive che l'accertamento sui requisiti (in
particolare l'assenza di misure di prevenzione o di condanne
per reati che incidono sulla moralità professionale) è
svolto nei confronti «degli amministratori muniti del potere
di rappresentanza o del direttore tecnico». Su di essa si
sono formati due orientamenti giurisprudenziali
contrapposti. Quello formale predilige un'interpretazione
restrittiva e letterale della norma e limita l'obbligo del
possesso dei requisiti di moralità ai soli amministratori
muniti di potere di rappresentanza a cui fa riferimento
l'articolo 2380-bis del Codice civile, con l'esclusione dei
procuratori.
La tesi estensiva invece –in linea con
l'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE– valorizza quei
soggetti che, pur non rivestendo le qualifiche formali
previste dall'articolo 38, sono dotati di poteri così ampi e
incisivi da coincidere sotto il profilo sostanziale con
quelli dei veri e propri amministratori. In questo
caso, l'esigenza da salvaguardare è di evitare che
l'amministrazione possa firmare un contratto con una società
governata in sostanza da persone prive dei necessari
requisiti di onorabilità e affidabilità morale e
professionale, che si giovino dello schermo di chi riveste
la qualifica formale di amministratore con potere di
rappresentanza. In base a questa seconda tesi anche i
procuratori/amministratori sono quindi tenuti a soddisfare i
requisiti di moralità prescritti dall'articolo 38.
Il Consiglio di Stato giunge però questa volta a una
soluzione di compromesso, sollecitato da una «prassi che
mostra figure di procuratori muniti di poteri decisionali di
particolare ampiezza di spessore superiore a quelli che lo
statuto assegna agli amministratori»: i requisiti di
moralità vanno accertati anche nei confronti dei
procuratori/amministratori, ma l'obbligo da parte loro di
prestare la dichiarazione sussiste solo se nel bando vi sia
un'espressa previsione in questo senso. In caso contrario,
l'omessa dichiarazione da parte dei
procuratori/amministratori non potrà essere causa di
esclusione dalla gara. L'esclusione potrà invece essere
disposta nel caso in cui venisse in concreto effettivamente
riscontrata l'assenza del requisito.
Con questa scelta il giudice rimette alle singole
amministrazioni il non agevole compito di verificare i
poteri di cui sono titolari tutti i procuratori della
singola impresa concorrente, di analizzarli per poi
identificare i soggetti che sono stati investiti di poteri
assimilabili a quelli degli amministratori. Il rischio è che
le amministrazioni, spesso prive di strutture adeguate e
chiamate ora a svolgere un "lavoro" che fuoriesce dalle loro
normali competenze, si trovino a rallentare i tempi delle
procedure. Senza contare che le diverse e disomogenee
interpretazioni che verranno adottate dalle amministrazioni
sull'ampiezza dei poteri dei procuratori potrebbero essere
ancora fonte di contenzioso, a scapito della certezza del
diritto
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
APPALTI: In caso di gare requisiti «in prestito» da più imprese.
Corte europea. Sì all'avvalimento plurimo.
Non più una sola impresa in soccorso per prestare a un'altra
i requisiti necessari a partecipare a una gara d'appalto di
lavori. Da quando la Corte di giustizia europea ha bocciato
il divieto italiano di avvalimento plurimo (ovvero di
prestito dei requisiti tecnici) ora è possibile presentarsi
in gara con più imprese ausiliarie.
Dopo la
sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 della Corte di giustizia è caduta la previsione contenuta
al l'articolo 49, comma 6, del Dlgs 163/2006 (Codice degli
Appalti), secondo cui il concorrente che partecipa a una
gara di appalto di lavori per soddisfare i requisiti si può
avvalere di una sola impresa ausiliaria per ciascuna
categoria di qualificazione indicata nel bando. La norma è
stata ritenuta in contrasto con la direttiva 2004/18/CE.
L'attuale formulazione del l'articolo 49, comma 6, era
peraltro già il frutto di un adeguamento dell'originaria
previsione che limitava l'avvalimento plurimo anche agli
appalti di servizi e di forniture. All'esito di una
procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea
con il Dlgs 152/2008 il legislatore aveva modificato la
previsione nel senso oggi vigente.
Il contrasto tra le due legislazioni, quella comunitaria e
quella nazionale, riflette due diverse esigenze. Infatti il
legislatore italiano si preoccupa di tutelare la stazione
appaltante che deve poter selezionare un operatore privato
in grado di eseguire correttamente il contratto di appalto:
questa esigenza sarebbe messa a rischio nel caso in cui il
concorrente né direttamente né tramite l'ausiliaria sia in
grado di possedere integralmente i requisiti di
qualificazione richiesti.
L'obiettivo principale della direttiva comunitaria è,
invece, «l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza
nella misura più ampia possibile» in modo da «facilitare
l'accesso delle piccole e medie imprese». Imporre invece
un'impresa ausiliaria unica significherebbe non solo
introdurre un vincolo che non trova corrispondenza in alcuna
previsione della direttiva, ma significherebbe anche
frustrare questo obiettivo.
Secondo la Corte quindi l'avvalimento deve essere utilizzato
in modo coerente con la finalità di favorire la più ampia
apertura del mercato, il che significa che di regola gli
operatori potranno dimostrare il possesso dei requisiti di
qualificazione richiesti, avvalendosi di due o più imprese e
quindi sommando le loro attestazioni Soa al fine di
raggiungere la categoria e la classifica richieste. Allo
stesso modo, sarà possibile per il concorrente cumulare i
propri requisiti a quelli della o delle imprese ausiliarie.
Indipendentemente dal numero delle ausiliarie, a dover
essere sempre verificata sarà invece l'effettiva messa a
disposizione delle risorse, in modo da evitare che i
contratti di avvalimento si traducano in mere previsioni di
stile.
Certo, la Corte non nega che si possano manifestare
situazioni in cui, in considerazione del l'importo dei
lavori o della peculiarità degli stessi, sia necessario –prevedendolo prima nel bando– che i requisiti debbano
essere posseduti da un unico soggetto (o da un numero
limitato di soggetti). Ma si tratta comunque di ipotesi
eccezionali lasciate alla discrezionalità della stazione
appaltante che andranno motivate (articolo Il Sole 24 Ore del
25.11.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi in zona inclusa tra quelle a basso
indice sismico.
Il reato di omessa denuncia lavori in zona sismica (art. 93,
d.P.R. 06.06.2001, n. 380) è configurabile anche in caso
di esecuzione di lavori in zona inclusa tra quelle a basso
indice sismico.
Qualsiasi intervento edilizio in zona
sismica, comportante o meno l'esecuzione di opere in
conglomerato cementizio amato, ad eccezione di quelli di
manutenzione ordinaria, deve essere previamente denunciato
al competente ufficio al fine di consentire i preventivi
controlli e necessita del rilascio del preventivo titolo
abilitativo, conseguendone, in difetto, la violazione
dell'art. 95 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Va esclusa anche la rilevanza della distinzione circa la
natura dei lavori (ovvero che si tratti d'interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ovvero d'interventi
di nuova costruzione), in quanto la violazione delle norme
antisismiche e sul cemento armato presuppone soltanto
l'esecuzione di lavori edilizi in zona sismica ovvero che
comportino l'utilizzo del cemento armato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.09.2013 n. 37385 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Nozione onnicomprensiva di area boscata.
L'impostazione “onnicomprensiva” della nozione di bosco è
condivisibile poiché quel che rileva, in ultima analisi, è
l'identità di ratio che accomuna-la tutela dei terreni
coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree
inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo
arbustivo (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2013 n. 32807 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione in zona sismica senza preventivo
deposito del progetto.
il reato previsto dagli artt. 93 d.P.R.
380/2001 ha natura di reato permanente, la cui consumazione
si protrae sino a quando chi intraprende l'intervento
edilizio in zona sismica non presenta la relativa denuncia
con l'allegato progetto ovvero non termina l'intervento
medesimo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.07.2013 n. 29737 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Destinatari dell'obbligo di esposizione del
cartello di cantiere.
La violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante
gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata
sotto la vigenza dell'ormai abrogata legge 47/1985, è tuttora
punita dall'art. 44, lettera a), del d.P.R. 380/2001 in
ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente
tra le diverse disposizioni.
I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare
del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore
e nel direttore dei lavori (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.07.2013 n. 29730 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento.
Sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i reflui
stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del
caso delle acque di scarico, ossia quelle oggetto di diretta
immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria
mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento.
L'individuazione della disciplina da applicare in concreto è
evidentemente legata all'accertamento di aspetti fattuali
che non può essere rimesso al giudice di legittimità (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2013 n. 29415 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parcheggio adiacente all’attività alberghiera,
inapplicabilità legge n. 122/1989.
Al parcheggio realizzato al piano terra di un edificio
diverso, sebbene adiacente, da quello oggetto dell’attività
alberghiera, non può applicarsi la norma contenuta nell’art.
9 della legge n. 122/1989, che prevede, per la realizzazione
di parcheggi, il loro assoggettamento ad autorizzazione
gratuita e non a concessione.
Infatti, la norma trova applicazione solo nei casi
espressamente e tassativamente considerati, trattandosi di
norma eccezionale che deroga agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi vigenti.
In particolare essa presuppone che il parcheggio venga
realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità
immobiliari di cui il parcheggio costituisce pertinenza,
mentre nella fattispecie è stato realizzato nel quadro di un
intervento ristrutturativo di altro edificio seppur
adiacente (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.07.2013 n. 3672 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Giudice amministrativo ed ordine di demolizione.
Anche la sospensiva da parte del giudice amministrativo del
silenzio rigetto sull'istanza di concessione in sanatoria
non produce effetti automatici sul potere dovere del giudice
penale di disporre ed attuare l’ordine di demolizione,
atteso che in tal caso occorre accertare, anche con
riferimento alle argomentazioni svolte nel ricorso proposto
al giudice amministrativo se il provvedimento cautelare di
sospensione sia stato emesso per la sussistenza di vizi
formali o sostanziali dell'atto impugnato o se derivi da
carenza di motivazione senza incidenza sulla concedibilità o
meno della richiesta concessione in sanatoria (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.07.2013 n. 28955 - tratto da
www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Mobbing una tantum, la Cassazione riconosce anche lo
“straining”.
Chi viene pesantemente emarginato e
vessato sul luogo di lavoro può aver diritto a un
risarcimento per le «lesioni» subite.
Lo si evince dalla sentenza 28603/2013 con cui la Cassazione
ha accolto il ricorso di un dipendente di banca, il quale
era stato 'messo all'angolo’ fino a essere relegato a
lavorare in un «vero e proprio sgabuzzino, spoglio e
sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente
esecutive e ripetitive».
Nella sentenza, depositata oggi dalla sesta sezione penale,
i supremi giudici definiscono il fenomeno con il termine di
'straining', ossia una forma di 'mobbing'
attenuata.
Al centro del processo alcuni «comportamenti discriminatori»
subiti dal lavoratore: la «sottrazione di responsabilità in
favore di un'altra dipendente, ingiustificatamente favorita
dai dirigenti», le «ingiuste ed aspre critiche» alla
professionalità dell'uomo, la «convocazione di un incontro
intersindacale finalizzato a criticare» la condotta del
dipendente «proprio nel periodo in cui si era messo in
ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai
superiori», l'«estromissione» dal servizio di cui
si era occupato, con il successivo «inserimento in
mansioni dequalificanti».
Secondo l'accusa, da questi episodi era «derivata la
grave lesione» del lavoratore «consistita nella
causazione di un'incapacità di attendere alle proprie
ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40
giorni». I diretti superiori dell'uomo, funzionario
amministrativo di una filiale di una grande banca, erano
dunque finiti sotto processo per maltrattamenti, ma erano
stati assolti dal tribunale di Milano, sentenza confermata
in appello (Corte
di Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 03.07.2013 n. 28603 - tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Illegittimità diniego installazione
s.r.b. senza verifica tecnica copertura segnale UMTS.
E’ illegittimo il diniego all’installazione di una stazione
radio base per la telefonia mobile motivato dal fato che
l’area individuata dal gestore per l’installazione, risulta
in contrasto con il Programma comunale delle Installazioni.
Il Comune non poteva limitarsi al mero richiamo della
regolamentazione comunale, attribuendo ad essa assoluto
valore cogente e non derogabile, ma doveva valutare i
concreti aspetti tecnici collegati alla istanza, tenendo
conto delle specifiche esigenze di connettività sul
territorio e di sviluppo della rete di telecomunicazione del
gestore, che implicavano, come da verifica tecnica
effettuata, la realizzazione dell’impianto radio base nel
sito indicato, in quanto unico a consentire la efficace
copertura dell’intero territorio comunale secondo i criteri
indicati dalla licenza di esercizio UMTS (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.07.2013 n. 3575 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Impianti di frantumazione mobili.
Gli impianti mobili adibiti alla macinatura, vagliatura e
deferrizzazione dei materiali inerti prodotti da cantieri
edili di demolizione debbono munirsi dell’autorizzazione
prevista dal comma 15 dell'art. 208 del d.lgs. 03.04.2006,
n. 152, in quanto gli stessi non possono essere considerati
impianti che effettuano le semplice riduzione volumetrica e
separazione di eventuali frazioni estranee, ma operano una
vera trasformazione del materiali (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.06.2013 n. 28205 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sospensione condizionale della pena e termine
per adempiere all'obbligo di demolizione.
Il termine per adempiere all'obbligo di demolizione del
manufatto abusivo, cui sia stato subordinato il beneficio
della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui
il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione
deve essere individuato in giorni novanta dal passaggio in
giudicato della sentenza, termine corrispondente a quello
previsto dall'art. 31, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.06.2013 n. 25930 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimità ordinanza demolizione di una serie di
manufatti localizzati in un impianto di lavorazione inerti.
L'aggiunta di una vasca completamente interrata per lo
stoccaggio degli inerti, di un nastro trasportatore per
l'alimentazione dell'impianto e di una vasca per il lavaggio
degli automezzi in posizione differente dalla precedente,
all’interno di un impianto di lavorazione inerti, si
collocano concettualmente al di fuori del concetto di
manutenzione straordinaria.
Tale nozione, già data dall’art. 31, comma 1, lettera b),
della l. 05.08.1978 n. 457, è ora espressa dall’art. 3,
comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2011 e comprende
“le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e
sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e
tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici
delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche
delle destinazioni di uso”.
La giurisprudenza interpreta tale nozione nel senso di
imporre la necessaria esistenza di un duplice ordine di
limiti, uno di carattere funzionale, costituito dalla
necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione
o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro di
carattere strutturale, consistente nella proibizione di
alterare i volumi e le superfici delle singole unità
immobiliari o di mutare la loro destinazione (tratto da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.06.2013 n. 3270 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione urbanistica come strumento di
realizzazione di valori costituzionali espressi dagli
articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo,
Cost..
L’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di
pianificazione, non possono essere intesi, sul piano
giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità
edificatorie connesse al diritto di proprietà, così
offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere
ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul
proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo
ed armonico del medesimo.
Uno sviluppo che tenga conto sia
delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto,
bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione
della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia di
valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela
della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia
delle esigenze economico–sociali della comunità radicata sul
territorio (tra le quali certamente rientra l’aspirazione,
anche in proprietà, alla casa di abitazione), sia, in
definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere
ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia,
tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro”
sulla propria stessa essenza, svolta, per autorappresentazione ed autodeterminazione, dalla comunità
medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi
e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini
al procedimento pianificatorio.
In sostanza, il potere di
pianificazione urbanistica non è funzionale solo
all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del
territorio in considerazione delle diverse tipologie di
edificazione distinte per finalità (civile abitazione,
uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.),
ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione
contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che
trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente
garantiti.
Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè
nel senso di ritenere il potere di pianificazione
urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe
la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di
realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno
quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44,
47, comma secondo, Cost. (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.06.2013 n. 3262 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Delibera consiliare dichiarativa dell'esistenza
di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino
dell'assetto urbanistico violato.
La situazione particolare che viene a determinarsi in
conseguenza della deliberazione comunale, sottraendo l'opera
abusiva la suo normale destino, che è la demolizione,
presuppone che la valutazione effettuata
dall'amministrazione comunale sia estremamente rigorosa e,
oltre a rispettare le condizioni indicate dalla
giurisprudenza appena richiamata, deve essere puntualmente
riferita al singolo manufatto, il quale va precisamente
individuato, dando atto delle specifiche esigenze che
giustificano la scelta, dovendosi escludere che possano
assumere rilievo determinazioni di carattere generale
riguardanti, ad esempio, più edifici o fondate su
valutazioni di carattere generale (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.06.2013 n. 25824 -
tratto da www.lexambiente.it). |
LAVORI PUBBLICI URBANISTICA:
Centro Raccolta Materiali in aree destinate a
standard in zona P.I.P..
Il Centro di Raccolta Materiali asservito all’attività di
gestione dei rifiuti urbani, qualificabile come servizio
pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate dal
gestore privato, rientra nel novero delle “attività
collettive” ex art. 5 D.M. n. 1444/1968; pertanto, la sua
realizzazione è compatibile con la destinazione dell’area a
standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale.
Ciò tanto più alla luce dell’attuale
tendenza dell’ordinamento al superamento della rigida
zonizzazione del territorio e del principio di fungibilità
delle opere pubbliche, già positivizzato dall’art. 1, co. 4,
della legge n. 1/1978, quale poi ribadito dalla successiva
legislazione regionale (massima tratta da www.lexambiente.it -
TRIBUNALE di Brindisi, Sez. Riesame,
ordinanza 06.06.2013). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Competenza professionale dei geometri in materia
di progettazione e direzione dei lavori di opere edili.
La competenza professionale dei geometri in materia di
progettazione e direzione dei lavori di opere edili è
circoscritta alle costruzioni in cemento armato con
destinazione agricola, in quanto non richiedenti particolari
operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non
comportino pericolo per la incolumità delle persone, mentre
per le costruzioni civili con struttura portante in cemento
armato, ancorché di modeste dimensioni, ogni competenza è
riservata ad ingegneri ed architetti.
Inoltre, la legge n. 1086/1971 (“Norme per la disciplina
delle opere di conglomerato cementizio armato”), non ha
innovato la ripartizione di competenze tra geometri da una
parte ed architetti ed ingegneri dall’altra quale definita
dai citati testi legislativi del 1929, ma la ha
semplicemente recepita (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2617 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimità ordinanza del Sindaco per
demolizione di opere abusive su strada pubblica.
E’ legittima l’ordinanza del Sindaco per la demolizione di
opere abusive su strada pubblica e il ripristino dei luoghi.
La circostanza che il Comune non sia intervenuto
tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino
della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione
delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle
strade pubbliche, ma, secondo i consolidati principi
elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere
alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi
significativi sono l’esistenza di una strada vicinale
iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso
da parte della collettività uti cives, la concreta
idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale
interesse per il collegamento con la pubblica via del
santuario dell’acqua nera e l’interruzione e trasformazione
da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a
mezzo la realizzazione sull’area stradale di opere edilizie
abusive (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2611 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Illegittimità mantenimento annuale delle
strutture funzionali all'attività estiva di balneazione.
E’ illegittimo il mantenimento annuale delle strutture
funzionali all'attività estiva di balneazione nel caso in
cui tali strutture rimangano “montate” oltre il
periodo estivo, infatti, l'esistenza di una autorizzazione
che attesti la compatibilità ambientale e paesaggistica
delle opere in questione per il solo periodo estivo non
comporta necessariamente che tale compatibilità sussista
anche per il periodo invernale.
La limitazione temporale dell'autorizzazione al solo periodo
estivo risulta, infatti, frutto di un complessivo
bilanciamento fra gli interessi dei privati e quelli
pubblici connessi con la necessità di tutela del paesaggio
garantita dall'art. 9 della Costituzione, che ha trovato il
suo punto di equilibrio proprio nella limitata incidenza
temporale del manufatto sull’ambiente circostante (massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2013 n. 2564 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Chiusura sottoscala e muretto di recinzione
dell’area cortilizia non rientrano nel concetto di
risanamento.
La totale chiusura del “portico” (galleria ricavata sotto il
corpo scala esterno, tipica delle abitazioni di vecchia
concezione), con un infisso in alluminio, ha certamente
determinato un volume aggiuntivo rispetto al preesistente.
Tale intervento edilizio insieme alla realizzazione di un
muretto di recinzione dell’area cortilizia non rientrano nel
concetto di risanamento, trattandosi di opere murarie nuove
che non valgono a “conservare l'organismo edilizio”
né ad “assicurarne la funzionalità”, come richiesto
dalla legge per il risanamento (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 09.05.2013 n. 2513 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deroga al contributo di costruzione, requisiti
del titolare concessione e tipologia delle opere.
Un complesso immobiliare di circa 16.000 metri cubi da
destinare a “residenze e servizi per anziani” della
superficie di metri quadrati 22.710, articolata in 36 mono-alloggi
e 36 camere multiple dotate di bagni e servizio autonomo di
cucina, dal punto di vista strutturale evidenzia una
prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale,
piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo
quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi
destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari,
mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono
complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi
residenziali che coprono in tutto una superficie pari a
6.700 metri quadrati.
Inoltre, se il titolare della concessione edilizia non
riveste lo status di soggetto pubblico o equiparato,
essendo invece una società privata che svolge un’attività
commerciale, dunque non sussistono i requisiti per la deroga
alla onerosità della concessione.
Il contributo di costruzione è posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae,
la deroga alla onerosità della concessione ricorre nelle
ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per quanto
attiene in particolare l'art. 9, lettera f), della l.
28.01.1977, n. 10, se ricorrano due requisiti che devono
entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di
gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo, per
effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente e l'altro di carattere
oggettivo per effetto del quale la costruzione deve
riguardare opere pubbliche o di interesse generale (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 07.05.2013 n. 2467 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Vincolo paesistico sopravvenuto assoluto e
relativo.
Quanto ai vincoli paesistici di inedificabilità assoluta,
questo Consiglio di Stato ha più volte chiarito che se è
vero che alla stregua dell’art. 33 l. n. 47 del 1985 il
vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo
retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per
il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che
paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili
gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime
più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da
vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa).
Pertanto,
se il vincolo di inedificabilità assoluto sopravvenuto non
può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne
discende che gli va applicato lo stesso regime della
previsione generale dell’art. 32, comma 1, della stessa
legge n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della
concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a
vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla
tutela del vincolo medesimo (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.05.2013 n. 2409 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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