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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di DICEMBRE 2013

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aggiornamento al 30.12.2013

aggiornamento al 23.12.2013

aggiornamento al 09.12.2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.12.2013

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dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

EDILIZIA PRIVATA: M. Viviani e A. Bagnasco, La ristrutturazione con modifica di destinazione d’uso secondo l’ultimo comma dell’art. 9 DPR n. 380/2001 (29.12.2013).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Approvazione, ai sensi degli articoli 84 e 85 della lr 12/2005, della modulistica utile alla predisposizione degli atti e delle determinazioni che gli enti locali lombardi debbono assumere nei procedimenti paesaggistici di loro competenza" (decreto D.G. 24.12.2013 n. 12746).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Criteri per la redazione del progetto preliminare di bonifica dei siti inquinati, di cui all’art. 93 del d.lgs. 163/2006 (art. 5 del r.r. 2/2012)" (deliberazione G.R. 20.12.2013 n. 1119).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 53 del 30.12.2013, "Aggiornamento delle disposizioni per l’esercizio, il controllo, la manutenzione e l’ispezione degli impianti termici" (deliberazione G.R. 20.12.2013 n. 1118).

VARI: G.U. 28.12.2013 n. 303 "Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore" (D.L. 28.12.2013 n. 149).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord n. 89, "Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2014" (D.P.C.M. 12.12.2013).

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO - TRIBUTI: G.U. 27.12.2013 n. 302, suppl. ord. n. 87/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)" (L. 27.12.2013 n. 147).

ENTI LOCALI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Differimento al 28.02.2014 del termine per la deliberazione del bilancio di previsione per gli enti locali" (Ministero dell'Interno, decreto 19.12.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati giudiziari da parte di privati, di enti pubblici economici e di soggetti pubblici" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 7/2013).
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Ambiti nei quali e/o per i quali è rilasciata l’autorizzazione.
Capo I - RAPPORTI DI LAVORO
Capo II - ORGANISMI DI TIPO ASSOCIATIVO E FONDAZIONI
Capo III - LIBERI PROFESSIONISTI
Capo IV - MEDIAZIONE FINALIZZATA ALLA CONCILIAZIONE DELLE CONTROVERSIE CIVILI E COMMERCIALI
Capo V - IMPRESE BANCARIE ED ASSICURATIVE ED ALTRI TITOLARI DEI TRATTAMENTI
Capo VI - DOCUMENTAZIONE GIURIDICA

VARI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte di diverse categorie di titolari" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 5/2013).
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Soggetti ai quali è rilasciata l’autorizzazione.
   a) imprese autorizzate all’esercizio dell’attività bancaria e creditizia o assicurativa ed organismi che le riuniscono, anche se in stato di liquidazione coatta amministrativa;
   b) società ed altri organismi che gestiscono fondi-pensione o di assistenza, ovvero fondi o casse di previdenza;
   c) società ed altri organismi di intermediazione finanziaria, in particolare per la gestione o l’intermediazione di fondi comuni di investimento o di valori mobiliari;
   d) società ed altri organismi che emettono carte di credito, altri mezzi di pagamento o che consentono forme di pagamento e ne gestiscono le relative operazioni;
   e) imprese che svolgono autonome attività strettamente connesse e strumentali a quelle indicate nelle precedenti lettere, e relative alla rilevazione dei rischi, al recupero dei crediti, a lavorazioni massive di documenti, alla trasmissione dati, all’imbustamento o allo smistamento della corrispondenza, nonché alla gestione di esattorie o tesorerie;
   f) imprese che operano nel settore turistico o alberghiero o del trasporto, agenzie di viaggio e operatori turistici;
   g) operatori economici autorizzati a svolgere la propria attività in base ad autorizzazione comunque resa ai sensi delle norme contenute nel regio decreto 18.06.1931, n. 773 (T.u.l.p.s.) o nel decreto legislativo 31.03.1998, n. 112.

INCARICHI PROFESSIONALI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi professionisti" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 4/2013).
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Ambito di applicazione.
   L’autorizzazione è rilasciata, anche senza richiesta, ai liberi professionisti tenuti ad iscriversi in albi o elenchi per l’esercizio di un’attività professionale in forma individuale o associata, anche in conformità al decreto legislativo 02.02.2001, n. 96, o alle norme di attuazione dell’art. 24, comma 2, della legge 07.08.1997, n. 266, in tema di attività di assistenza e consulenza.
   Sono equiparati ai liberi professionisti i soggetti iscritti nei corrispondenti albi o elenchi speciali istituiti anche ai sensi dell’art. 34 del regio decreto-legge 27.11.1933, n. 1578 e successive modificazioni e integrazioni, recante l’ordinamento della professione di avvocato.
   L’autorizzazione è rilasciata anche ai sostituti e agli ausiliari che collaborano con il libero professionista ai sensi dell’art. 2232 del codice civile, ai praticanti e ai tirocinanti presso il libero professionista, qualora tali soggetti siano titolari di un autonomo trattamento o siano contitolari del trattamento effettuato dal libero professionista.
   Il presente provvedimento non si applica al trattamento dei dati sensibili effettuato:
a) dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli psicologi, dal personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, ai quali si riferisce l’autorizzazione generale n. 2/2013;
b) per la gestione delle prestazioni di lavoro o di collaborazione di cui si avvale il libero professionista o taluno dei soggetti sopra indicati, alla quale si riferisce l’autorizzazione generale n. 1/2013;
c) da soggetti privati che svolgono attività investigative, dai giornalisti, dai pubblicisti e dai praticanti giornalisti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 03.02.1963, n. 69.

VARI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo e delle fondazioni" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 3/2013).
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Ambito di applicazione.
   La presente autorizzazione è rilasciata:
a) alle associazioni anche non riconosciute, ai partiti e ai movimenti politici, alle associazioni e alle organizzazioni sindacali, ai patronati e alle associazioni di categoria, alle casse di previdenza, alle organizzazioni assistenziali o di volontariato, nonché alle federazioni e confederazioni nelle quali tali soggetti sono riuniti in conformità, ove esistenti, allo statuto, all’atto costitutivo o ad un contratto collettivo;
b) alle fondazioni, ai comitati e ad ogni altro ente, consorzio od organismo senza scopo di lucro, dotati o meno di personalità giuridica, ivi comprese le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus);
c) alle cooperative sociali e alle società di mutuo soccorso di cui, rispettivamente, alle leggi 08.11.1991, n. 381 e 15.04.1886, n. 3818.
   L’autorizzazione è rilasciata altresì agli istituti scolastici, limitatamente al trattamento dei dati idonei a rivelare le convinzioni religiose e per le operazioni strettamente necessarie per l’applicazione dell’art. 310 del decreto legislativo 16.04.1994, n. 297 e degli articoli 3 e 10 del decreto legislativo 19.02.2004, n. 59.
   Resta fermo l’obbligo per le confessioni religiose di determinare, ai sensi dell’art. 26, comma 3, lettera a) del Codice, idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati nel rispetto dei principi indicati con la presente autorizzazione.
   Ai sensi dell’art. 181, comma 6, del Codice, le confessioni religiose che, prima dell’adozione del medesimo Codice, abbiano determinato e adottato nell’ambito del rispettivo ordinamento le garanzie di cui all’art. 26, comma 3, lettera a), del Codice possono proseguire l’attività di trattamento effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente riconosciuti, nel rispetto delle medesime.

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 1/2013).
---------------
Ambito di applicazione.
   La presente autorizzazione è rilasciata:
a) alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, anche sociali, agli enti, alle associazioni e agli organismi che sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee, o che comunque conferiscono un incarico professionale alle figure indicate al successivo punto 2, lettere b) e c);
b) ad organismi paritetici o che gestiscono osservatori in materia di lavoro, previsti dalla normativa comunitaria, dalle leggi, dai regolamenti o dai contratti collettivi anche aziendali;
   l’autorizzazione riguarda anche l’attività svolta:
c) dal medico competente in materia di igiene e di sicurezza del lavoro, in qualità di libero professionista o di dipendente dei soggetti di cui alla lettera a) o di strutture convenzionate;
d) dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche territoriale e di sito;
e) da associazioni, organizzazioni, federazioni o confederazioni rappresentative di categorie di datori di lavoro, al solo fine di perseguire le finalità di cui al punto 3), lettera h).

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 52 del 27.12.2013, "Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della legge regionale 31.03.1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) - Collegato 2014" (L.R. 24.12.2013 n. 19).
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Di particolare interesse, si leggano:
Art. 1 - (Disposizioni per la pianificazione dei comuni di nuova istituzione. Modifica alla l.r. 12/2005)
Art. 3 - (Misure di razionalizzazione della spesa per le comunità montane)
Art. 15 - (Disposizioni transitorie e finali)

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 23.12.2013 n. 300 "Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015" (D.L. 23.12.2013 n. 145).
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Di particolare interesse, si leggano:
Art. 1. - Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, per gli indirizzi strategici dell’energia geotermica, in materia di certificazione energetica degli edifici e di condominio, e per lo sviluppo di tecnologie di maggior tutela ambientale
Art. 4. - Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e misure particolari per l’area di crisi complessa del porto di Trieste
Art. 13. - Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo
Art. 14. - Misure di contrasto al lavoro sommerso e irregolare

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Assegni familiari e quote di maggiorazione di pensione per l'anno 2014 (INPS, circolare 24.12.2013 n. 182 - link a www.inps.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Attestazioni OIV sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per l’anno 2013 e attività di vigilanza e controllo dell’Autorità (Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, delibera 12.12.2013 n. 77/2013 - link a www.civit.it).
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La delibera fornisce indicazioni per la predisposizione, da parte degli OIV o di strutture che svolgono funzioni analoghe, delle attestazioni sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione al 31.12.2013 nelle amministrazioni pubbliche e in altri enti e società indicati dal d.lgs. n. 33/2013, stabilendo le modalità attraverso cui l’Autorità eserciterà la propria attività di vigilanza e controllo muovendo anche dagli esiti delle predette attestazioni.
Ferma restando l’immediata precettività degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente, con lo stesso spirito di gradualità che ha contraddistinto la delibera n. 71/2013, anche la delibera n. 77/2013 prevede che le attestazioni riguardino un numero circoscritto di obblighi i pubblicazione di significativo rilievo sotto il profilo economico e sociale.
Nei prossimi mesi l’Autorità indicherà ulteriori obblighi di pubblicazione di cui gli OIV e le strutture che svolgono funzioni analoghe dovranno attestare l’assolvimento.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: N. Durante, AMBITI DI DISCREZIONALITA’ IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA PER LE IMPRESE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: R. Greco, PROBLEMI PROCESSUALI IN TEMA DI IMPUGNAZIONE DEGLI STRUMENTI URBANISTICI (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E. De Falco, I costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso d'asta (Quaderni di Legislazione Tecnica n. 4/2013).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: M. Pipino, Il punto sul DURC: dal D.L. 210/2002 al D.L. 69/2013 (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 12/2013).

EDILIZIA PRIVATA: P. de Paolis, Classificazione, regime e procedure per la realizzazione degli interventi edilizi (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 12/2013).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Anche in Sardegna, come nel resto d'Italia, l'incentivo al personale dipendente per le ipotesi di attività di pianificazione è intimamente connessa con la progettazione delle opere pubbliche.
La Sezione ritiene di non poter aderire alle argomentazioni in base alle quale tali recenti interpretazioni (ndr: della Corte dei Conti Veneto) giungono alla conclusione di poter riconoscere l’applicabilità della disciplina incentivante dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006 anche agli atti di pianificazione generale non direttamente connessi con la realizzazione delle opere pubbliche.
Si deve infatti concludere, alla stregua di una corretta ricostruzione storico-sistematica dell’evoluzione normativa delle abrogate disposizioni dell’art. 18 della legge 109/1994, trasfuso poi nell’art. 92 del D.Lgs. 165/2001, che i commi 5 e 6 della predetta disposizione non prevedano due diverse ipotesi di incentivazione, distinte quanto a presupposti operativi. Bensì, semplicemente, due diverse modalità di incentivazione, differentemente regolate per via del differente contenuto dell’attività tecnica espletata nei due casi contemplati, ma in ogni caso sempre direttamente legate alla realizzazione di un’opera pubblica.
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In Sardegna già nel passato si era già indicato, alla luce della collocazione sistematica, che “E’ di tutta evidenza, poi, che la normativa contenuta nella citata L.R. sarda n. 5/2007, inclusa la previsione di cui all’art. 12 relativa agli incentivi per la progettazione, non possa trovare applicazione al di fuori della materia degli appalti pubblici”.
Aveva inoltre osservato la Sezione “… che la norma in esame ha carattere tassativo e che il suo ambito di applicazione è limitato all’attività di progettazione di opere e lavori pubblici e che, pertanto, non è possibile estendere analogicamente tale deroga all’onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti nel caso di contratti di servizio o di forniture”.
Riferendosi al dato testuale dell’art. 12 qui in esame, occorre premettere che la norma regionale, salvo il suo periodo finale, non riveste particolari peculiarità rispetto alle disciplina statale di cui all’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006. E del resto non potrebbe così non essere, considerato che la disciplina dei compensi incentivanti di cui all’art. 92 del D.lgs. 163/2006 è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale una materia di ordinamento civile con le sentenze n. 341/2009 e n. 401/2007, come tale rimessa all’ordinamento statale quanto meno per la determinazione dei suoi presupposti applicativi.
Conseguentemente la previsione di compensi incentivanti al di là delle ipotesi espressamente consentite dalla disciplina statale porrebbe non pochi problemi di coordinamento con i principi costituzionali.

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Il Presidente della Regione Sardegna ha richiesto un parere sulla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 e dell’art. 12, comma 3, della L.R. 07.08.2007 n. 5 avvalendosi delle previsioni dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n. 131 che conferiscono alle Sezioni regionali della Corte dei conti un potere/dovere di natura consultiva nella materia della contabilità pubblica.
Ha premesso il Presidente della Regione Sardegna che alcune Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti avrebbero recentemente prospettato un’interpretazione restrittiva delle disposizioni statali, riconoscendo l’incentivabilità delle prestazioni tecniche del personale dipendente unicamente in presenza di atti di pianificazione contestualizzati nell’ambito dei lavori pubblici ed in un rapporto di necessaria strumentalità con l’attività di progettazione di opere pubbliche.
Poiché tuttavia non risulta intervenuto alcun pronunciamento interpretativo con riferimento alla disciplina regionale contenuta nell’art. 12, comma 3, della L.R. 07.08.2007 n. 8, regolante la medesima fattispecie in ambito regionale, chiede che la Sezione voglia fornire chiarimenti in merito all’interpretazione della predetta norma, specialmente con riferimento all’individuazione degli “atti di pianificazione comunque denominati” la cui redazione, ai sensi della normativa regionale, consente l’erogazione dell’incentivo.
...
3. Nel merito è opportuno, in via preliminare, esaminare il testo della normativa statale al fine di verificarne poi i tratti comuni e differenziali rispetto alla previsione regionale.
4. L’art. 92 del D.Lgs. 163/2006, rubricato “Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle stazioni appaltanti”, è inserito nel testo normativo all’interno della Sezione I del Capo IV, relativa alla “Progettazione interna ed esterna, livelli di progettazione” nella materia dei lavori pubblici, come anche reso palese dall’art. 90 del decreto, cui l’art. 92 implicitamente effettua riferimento, regolando i riflessi incentivanti delle attività tecniche affidate ai dipendenti della pubblica amministrazione.
5. Il comma 6 dell’art. 92 citato, in particolare, prevede che “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
La disposizione è stata coerentemente interpretata dall’orientamento pressoché univoco delle Sezioni di controllo della Corte dei conti quale disciplina regolante gli incentivi al personale dipendente per le ipotesi di attività pianificazione intimamente connessa con la progettazione delle opere pubbliche. In tal senso i precedenti più recenti, che la Sezione condivide, sono contenuti nel parere 15.10.2013 n. 442 della Sezione Lombardia, parere 23.10.2013 n. 125 della Sezione Umbria, parere 11.11.2013 n. 80 della Sezione Liguria, parere 23.10.2013 n. 276 della Sezione Toscana. La lettura di tali precedenti rende immediatamente percepibile l’esistenza di un’interpretazione oramai consolidata che la Sezione di controllo della Sardegna ritiene debba essere ribadita.
Infatti non solo la collocazione sistematica della disposizione, ma anche ulteriori elementi interpretativi, conducono a tale conclusione: ci si riferisce sia ad aspetti prettamente testuali, poiché il riferimento alle “amministrazioni aggiudicatrici” non può che indicare la necessità di una pianificazione connessa alla realizzazione ed all’affidamento di un appalto per la realizzazione dell’opera pubblica, sia ad aspetti logico-sistematici: la mera pianificazione territoriale rientra tra i compiti d’ufficio ed è dunque soggetta al principio di onnicomprensività della retribuzione, così come al contrario l’eccezionalità della previsione normativa che legittima l’attribuzione di compensi incentivanti non ne consente in via interpretativa la sua applicazione oltre i casi espressamente contemplati.
Sui precedenti aspetti valga il richiamo alle precedenti deliberazioni adottate dalle diverse Sezioni regionali che hanno compiutamente esaminato la citata disciplina, fermo restando che il primo incontrovertibile criterio interpretativo è quello contenuto nell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile che espressamente prevede che “Nell’applicare una legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”.
Or bene,
il senso delle parole utilizzate dal legislatore, e l’esame delle intenzioni del legislatore rese palesi attraverso l’esame sistematico dell’art. 92 del D.lgs. 163/2006, come detto, non possono che condurre all’interpretazione che gli incentivi alla progettazione, sia nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 92, che in quella qui in esame del comma 6, sono entrambe indissolubilmente e strettamente legate alla pianificazione, alla progettazione ed alla realizzazione delle opere pubbliche.
6. Non ignora la Sezione l’esistenza di alcune diverse interpretazioni, assolutamente minoritarie, che ricostruiscono diversamente l’art. 92, comma 6 citato (
parere 26.07.2011 n. 337 della Sezione di controllo della Corte dei conti Sezione Veneto e i successivi parere 22.11.2013 n. 361, parere 03.12.2013 n. 380, parere 03.12.2013 n. 381, parere 03.12.2013 n. 382, parere sulla normativa 21.11.2012 - rif. AG-22/12 dell'AVCP, parere 20.06.2013 dell'ANCI Toscana), conferendo ad esso il rilievo di consentire l’erogazione di incentivi al personale tecnico anche per la redazione di atti di pianificazione anche solo mediatamente legati alla realizzazione di opere pubbliche.
Anche alla luce di tali difformi precedenti l’Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici -che per la verità con il suo citato parere del 21.11.2012 si preoccupava più di escludere dalla possibile applicazione delle disposizioni incentivanti le pianificazioni non legate, neanche mediatamente, con la realizzazione delle opere pubbliche, piuttosto che ricomprendervi gli atti di pianificazione generale solo indirettamente legati alla loro realizzazione– ha formulato l'atto di segnalazione 25.09.2013 n. 4 al Governo avvalendosi della speciale procedura di cui all’art. 6, comma 7, lettera f, del D.lgs. 163/2006.
7. Pur condividendo la prospettata esigenza di chiarificazione, la Sezione ritiene di non poter aderire alle argomentazioni in base alla quale tali recenti interpretazioni giungono alla conclusione di poter riconoscere l’applicabilità della disciplina incentivante dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006 anche agli atti di pianificazione generale non direttamente connessi con la realizzazione delle opere pubbliche. Si deve infatti concludere, alla stregua di una corretta ricostruzione storico-sistematica dell’evoluzione normativa delle abrogate disposizioni dell’art. 18 della legge 109/1994, trasfuso poi nell’art. 92 del D.Lgs. 165/2001, che i commi 5 e 6 della predetta disposizione non prevedano due diverse ipotesi di incentivazione, distinte quanto a presupposti operativi. Bensì, semplicemente, due diverse modalità di incentivazione, differentemente regolate per via del differente contenuto dell’attività tecnica espletata nei due casi contemplati, ma in ogni caso sempre direttamente legate alla realizzazione di un’opera pubblica.
Sotto altro profilo, con riferimento ai profili retributivi del personale dipendente, occorre considerare che la retribuzione delle professionalità interne all’amministrazione è oggi assolutamente garantita da diverse previsioni contrattuali di comparto (si vedano, ad esempio, gli artt. 10 ed 11 del CCNL 22.01.1994).
8. Ritiene per altro la Sezione non necessario sviluppare tali argomentazioni in ragione della specificità delle previsioni dell’art. 12 della L.R. 07.08.2007 n. 5 -in riferimento al quale è stata proposta la richiesta di parere– il cui contenuto conferma che l’incentivo in questione è stato previsto esclusivamente per il caso in cui l’attività di pianificazione, comunque denominata, sia direttamente connessa alla realizzazione di un’opera pubblica.
9. La norma trova collocazione sistematica nel titolo II della legge regionale n. 5/2007, rubricato “Programmazione e progettazione di lavori, forniture e servizi pubblici”. Il comma 3 della citata disposizione prevede che “Il 35 per cento della tariffa professionale, al lordo di tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, compresa la quota a carico dell’amministrazione erogante, relativo alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità previste dal regolamento di cui al comma 1, tra i dipendenti dell’amministrazione che lo abbiano redatto. Nelle more dell’emanazione di tale regolamento, le amministrazioni applicano quello del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.
10. La Sezione Regionale di controllo si era in qualche modo già espressa sulla previsione regionale, senza tuttavia affrontare direttamente l’esegesi del testo normativo.
Nondimeno
si era già indicato, alla luce della collocazione sistematica, che “E’ di tutta evidenza, poi, che la normativa contenuta nella citata L.R. n. 5/2007, inclusa la previsione di cui all’art. 12 relativa agli incentivi per la progettazione, non possa trovare applicazione al di fuori della materia degli appalti pubblici” (deliberazione n. 73/2009). Aveva inoltre osservato la Sezione… che la norma in esame ha carattere tassativo e che il suo ambito di applicazione è limitato all’attività di progettazione di opere e lavori pubblici e che, pertanto, non è possibile estendere analogicamente tale deroga all’onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti nel caso di contratti di servizio o di forniture” (deliberazione n. 99/2012).
11. Riferendosi al dato testuale dell’art. 12 qui in esame, occorre premettere che la norma regionale, salvo il suo periodo finale, non riveste particolari peculiarità rispetto alle disciplina statale di cui all’art. 92, comma 6, del D.Lgs. 163/2006. E del resto non potrebbe così non essere, considerato che la disciplina dei compensi incentivanti di cui all’art. 92 del D.lgs. 163/2006 è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale una materia di ordinamento civile con le sentenze n. 341/2009 e n. 401/2007, come tale rimessa all’ordinamento statale quanto meno per la determinazione dei suoi presupposti applicativi. Conseguentemente la previsione di compensi incentivanti al di là delle ipotesi espressamente consentite dalla disciplina statale porrebbe non pochi problemi di coordinamento con i principi costituzionali.
Gli unici profili dissonanti rispetto al testo della previsione statale, al di là del la percentuale della tariffa applicata per la determinazione dell’incentivo (35% in luogo del 30%), sono costituiti dall’inciso che gli emolumenti incentivanti debbono ritenersi al lordo degli oneri accessori (principio comunque applicato anche in ambito statale alla luce di diverse disposizioni interpretative delle leggi finanziarie), e soprattutto dalla previsione finale che dispone l’applicazione del regolamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nelle more dell’emanazione del regolamento interno.
12. Lasciando da parte i primi due aspetti (percentuale della tariffa professionale e ammontare, lordo, del compenso incentivante), ritiene la Sezione di doversi soffermare sulla previsione espressa che, per l’ipotesi di mancata adozione del regolamento interno, si debba fare applicazione delle previsioni del regolamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
In tale peculiare previsione della legge regionale, che connota il quesito posto dalla Regione Sardegna rispetto alla tematica in ambito statale,
si deve infatti ritrovare ulteriore conferma che gli atti di pianificazione rilevanti ai fini della liquidazione del compenso incentivante, anche secondo la disciplina regionale, siano solo ed esclusivamente quelli connessi alla realizzazione delle opere pubbliche. Ciò in quanto il regolamento vigente all’epoca dell’introduzione della norma, ovvero il D.M. 02.11.1999 n. 555 del Ministero dei Lavori Pubblici, esauriva il suo campo di applicazione con riguardo “…alla sola progettazione esecutiva e, comunque, ai soli lavori effettivamente appaltati, compresa l’eventuale redazione di perizie di variante e suppletive (art. 1 del regolamento), prendendo in considerazione le sole attività pianificatorie o progettuali direttamente connesse con la realizzazione delle opere pubbliche.
Analoga finalità è oggi confermata dall’art. 1 del vigente regolamento del Ministero delle Infrastrutture, adottato con D.M. 17.03.2008 n. 84, il cui art. 1 ribadisce che il regolamento stesso si applica “…nei casi di redazione di progetti di opere o lavori a cura del personale interno (Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna, parere 20.12.2013 n. 85).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Personale degli enti locali. Permessi ex art. 33, comma 3, della l. 104/1992.
L'ARAN ritiene che l'art. 19, comma 6, del CCNL del 06.07.1995, che prevede la possibilità di fruire anche ad ore dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della l. 104/1992, vada interpretato nel senso di non consentire comunque la fruizione dei medesimi per frazioni di tempo inferiori all'ora.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di fruire dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della l. 104/1992 anche per frazioni di ora.
Sentito il Servizio organizzazione, formazione e relazioni sindacali comparto, si esprime quanto segue.
L'ARAN, nell'orientamento interpretativo
[1] richiamato dall'Ente istante, ha rimarcato come la norma contrattuale contemplata all'art. 19, comma 6, del CCNL del 06.07.1995 [2], si riferisca esclusivamente ad una fruizione 'oraria', in alternativa alle tre giornate di permesso mensile, previste dalla disciplina in esame.
La citata Agenzia ritiene, pertanto, che la predetta disposizione vada interpretata nel senso di non consentire la fruizione dei permessi in argomento anche per frazioni di tempo inferiori all'ora.
Siffatto orientamento deriva dalla perplessità derivante in ordine all'utilità di permessi quantificati e fruiti a minuti, stante la specifica finalità riconosciuta ai permessi medesimi.
Non si rinvengono diverse motivazioni, per discostarsi dall'illustrata interpretazione.
Conseguentemente, si ritiene che i permessi in argomento possano essere richiesti a moduli di ora e multipli di ora (un'ora, due, ore, tre ore, ecc.), non essendo consentita la fruizione per frazioni di ora, cioè a minuti.
---------------
[1] Cfr. RAL1622 e RAL1594, consultabili sul sito: www.aranagenzia.it.
[2] Detta clausola contrattuale stabilisce che i permessi di cui all'art. 33, comma 3, della l. 104/1992 possono essere fruiti anche ad ore, nel limite massimo di 18 ore mensili. La norma in argomento si applica anche agli enti locali del comparto unico, atteso il disposto di cui all'art. 83 del CCRL del 07.12.2006
(19.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Diritto di accesso dei consiglieri comunali.
La disciplina generale di riferimento per l'accesso agli atti dei consiglieri comunali prevede un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere di utilità all'espletamento del loro mandato al fine di permettere loro di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio e per promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il consigliere di un Comune ha formulato una richiesta in ordine al diritto di accesso dei consiglieri comunali ed ai tempi di risposta degli uffici comunali interessati.
La disciplina di riferimento si trova nell'articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, il quale prevede che 'i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificatamente determinati dalla legge.'
Esiste una consolidata giurisprudenza sulla questione, che riconosce ai consiglieri comunali un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere di utilità all'espletamento del loro mandato.
Un tanto al fine di permettere loro di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio e per promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell'ente, attraverso i proprio uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale
[1].
La norma sul diritto di accesso dei consiglieri comunali si pone, pertanto, come speciale e trasversale rispetto alle disposizioni relative alla non accessibilità di determinate categorie di documenti, tanto che tale diritto non incontra alcuna limitazione derivante dalla natura riservata delle informazioni richieste, posto che il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto.
Tuttavia, pur trattandosi di un diritto di accesso più ampio rispetto a quello riconosciuto alla generalità dei cittadini, l'esercizio dello stesso deve sempre essere strumentale all'attività istituzionale svolta dal consigliere e i dati acquisiti devono essere utilizzati per le sole finalità collegate all'esercizio del mandato.
Ne discende che il consigliere non può utilizzare le informazioni e i documenti richiesti per fini privati o comunque diversi da quelli istituzionali, non può avvalersi del diritto di accesso al solo scopo di realizzare strategie ostruzionistiche, con istanze ripetute, che a causa del loro numero, possano tradursi in un aggravio, se non nella paralisi, del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte.
La norma statale non ha previsto uno specifico procedimento per far valere il diritto di accesso da parte del consigliere comunale, riconoscendo a ciascun ente locale, nell'esercizio della propria potestà regolamentare, di disciplinare le modalità concrete di esercizio del diritto di accesso.
La regolamentazione dell'ente locale deve tener conto dei criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo che l'esibizione di documenti, il rilascio di copie e l'accesso alle informazioni richieste avvenga con il minor aggravio possibile, sia organizzativo che economico, per gli uffici comunali e contestualmente non impedisca o ritardi l'effettivo esercizio del diritto di accesso del consigliere.
Nel caso concreto il Comune in parola disciplina nel 'Regolamento per la disciplina dei procedimenti e per il diritto di accesso ai documenti', il diritto di accesso dei consiglieri, stabilendo che 'l'esercizio del diritto..., nel periodo che intercorre dalla convocazione alla riunione del Consiglio deve avvenire in maniera immediata alla presentazione della richiesta anche verbale, al responsabile del procedimento per l'accesso'
[2] e che 'In ogni altro caso il responsabile del procedimento concorda con i consiglieri i tempi e le modalità per l'esame dei documenti e degli atti e per il rilascio delle copie' [3].
In ultimo, si ritiene che l'attuazione delle sopra citate disposizioni regolamentari, non prevedendo termini puntuali di risposta alle richieste dei consiglieri comunali, dovrà essere effettuata perseguendo quale fine ultimo quello di assicurare un razionale e giusto contemperamento fra le esigenze di garanzia e di controllo, cui è informato il diritto di accesso, spettante a ciascun consigliere comunale, e la necessità di arrecare il minor aggravio possibile agli uffici comunali che collaborano all'attuazione del suddetto diritto.
[4]
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[1] TAR Salerno, sez. II, del 04/06/2013, n. 1234; TAR Salerno, sez. I, del 19/12/2011, n. 2042; TAR Trento sez. I, del 07/05/2009, n. 143; TAR Torino, sez. II, del 04/12/2006, n. 3324.
[2] Art. 50, 3° comma, del Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso ai documenti.
[3] Art. 51, comma 1 del Regolamento richiamato nella precedente nota.
[4] Si evidenzia, infine, che sul portale del Sistema delle Autonomie locali, nella sezione 'consulenza agli enti locali', sono consultabili numerosi pareri concernenti la materia del diritto d'accesso dei consiglieri comunali all'indirizzo: http://autonomielocali.regione.fvg.it
(18.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Richiesta di convocazione da parte di un quinto dei consiglieri.
Di fronte alla richiesta di convocazione del consiglio comunale da parte di un quinto dei consiglieri, ai sensi dell'art. 39, comma 2, del D.Lgs 267/2000, il presidente del consiglio può soltanto accertare, sotto il profilo formale, che la stessa provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l'oggetto, atteso che spetta all'organo consiliare la verifica della propria competenza e, quindi, l'ammissibilità delle questioni da trattare.
Di conseguenza, rimane preclusa al presidente del consiglio una valutazione di merito circa l'ammissibilità delle questioni, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze del consiglio, in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno.
Le questioni per le quali è richiesto l'inserimento all'ordine del giorno non investono unicamente le competenze del consiglio comunale indicate all'art. 42, comma 2, del TUEL, ma anche quelle che costituiscono espressione dell'attività di indirizzo e di controllo politico amministrativo ai sensi dell'art. 42, comma 1, e che non si concludono necessariamente con una deliberazione o con un voto del consiglio.

La S.V. chiede un parere in ordine alla richiesta di convocazione del consiglio, avanzata da un quinto dei consiglieri, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267. In particolare chiede una conferma o meno degli orientamenti ministeriali e giurisprudenziali susseguitisi negli anni sulla portata della locuzione 'questioni', utilizzata dal legislatore relativamente all'inserimento delle stesse all'ordine del giorno e, comunque, se le 'questioni' debbano riguardare l'ambito territoriale comunale, se debbano essere rapportabili alle materie di competenza del consiglio ai sensi dell'articolo 42 e se vi sia la possibilità per il presidente del consiglio di non procedere a convocazione nell'ipotesi in cui la questione non possa poi sfociare in un voto né tradursi in una deliberazione.
Sentito il Servizio elettorale, si formulano le seguenti osservazioni di carattere generale, in quanto, trattandosi di problematiche concernenti il concreto funzionamento dell'organo consiliare, ogni valutazione dovrebbe essere rapportata al verificarsi di ciascuna singola fattispecie.
Atteso il riferimento nel quesito formulato all'istituto della mozione, si ritiene utile preliminarmente riportare la definizione dello stesso, elaborata da dottrina e giurisprudenza
[1], che hanno inteso tale istituto quale invito rivolto al sindaco o alla giunta e diretto a promuovere un'ampia discussione su un argomento di particolare importanza, anche se ha già formato oggetto di interrogazione o di interpellanza. Tale richiesta può sfociare in una proposta di deliberazione volta a promuovere su un certo argomento, da parte del consiglio comunale, una pronuncia o una decisione, ovvero un voto diretto a sollecitare o impegnare l'attività dell'amministrazione secondo un determinato orientamento. In ogni caso è sottoposta all'approvazione del consiglio nelle forme previste per la votazione delle deliberazioni.
Secondo la citata sentenza del TAR Puglia, n. 1022/2004, la mozione è un istituto non a contenuto specificato, trattandosi di un potere a tutela della minoranza per situazioni non predefinibili, a differenza di altri strumenti più a valenza di mera conoscenza (quali l'interrogazione o la interpellanza), essendo strumento di 'introduzione ad un dibattito' che si conclude con un voto, che è ragione ed effetto proprio della mozione.
La mozione può quindi avere come obiettivo la formulazione di un voto in merito a criteri seguiti o che si intendono seguire nella trattazione di determinati argomenti o di un voto politico amministrativo, attraverso cui si realizza la possibilità per il consiglio comunale, organo politico rappresentativo della comunità locale, di esprimere opinioni in relazione a questioni, fatti o problemi, ai quali la comunità stessa è interessata
[2].
In relazione alla richiesta di convocazione del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto legislativo 267/2000, com'è noto, il Ministero dell'Interno ha affermato in passato che, in linea di principio, le richieste di convocazione straordinaria del consiglio dovessero ritenersi ammissibili soltanto se finalizzate all'assunzione di determinazioni di competenza dell'organo consiliare e fossero, quindi, idonee a tradursi in concrete proposte di delibere da adottare.
[3]
Successivamente il medesimo Ministero si è espresso in senso più ampio, affermando che «la dizione legislativa questioni' e non deliberazioni o atti formali conforta nel ritenere che la trattazione di argomenti non rientranti nella previsione del citato comma 2 dell'articolo 42 del TUEL non debba necessariamente essere subordinata alla successiva adozione di provvedimenti da parte del consiglio comunale». Infatti, secondo il Ministero, la trattazione di questioni che, pur non comprese nell'elencazione di cui all'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 267/2000, attengano all'ambito del controllo rientra nella competenza del consiglio comunale, in qualità di organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 42.
[4]
Pertanto, nell'ipotesi in cui sia richiesto l'inserimento all'ordine del giorno di argomenti non strettamente rientranti nelle competenze del consiglio, investendo la competenza di altri organi di governo o degli uffici, gli stessi dovrebbero comunque essere ammessi dal presidente, qualora si concretizzino nella generica determinazione di atti di indirizzo o nell'espletamento di un'attività di controllo politico, ai sensi dell'articolo 42, comma 1, del decreto legislativo 267/2000 (ad esempio, interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, ecc.).
Risulta pertanto confermato negli anni l'orientamento ministeriale secondo cui le istanze possono essere dichiarate improcedibili da parte del presidente del consiglio comunale o del sindaco soltanto «qualora le richieste stesse vertano o su un oggetto che per legge è manifestamente estraneo alle competenze del collegio consiliare oppure su un oggetto illecito o impossibile», non potendo tali soggetti sindacare nel merito le richieste avanzate dal prescritto quorum di consiglieri.
Il Ministero dell'Interno ha inteso recepire quanto affermato da giurisprudenza altrettanto costante,
[5] secondo la quale, di fronte alla richiesta di convocazione, il presidente del consiglio può soltanto verificare, sotto il profilo formale, che la stessa provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non potrà sindacarne l'oggetto, atteso che spetta al consiglio comunale la verifica della propria competenza e, quindi, l'ammissibilità delle questioni da trattare.
Di conseguenza, rimane preclusa al presidente del consiglio, destinatario della richiesta di convocazione, una valutazione di merito circa l'ammissibilità delle questioni, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze del consiglio, in nessun caso potrebbe essere posto all'ordine del giorno, neppure su autonoma iniziativa del presidente stesso
[6].
In relazione a quanto sopra, non risultano sussistere elementi dai quali poter desumere variazioni negli orientamenti ministeriali e giurisprudenziali già noti. Pertanto, in relazione ai particolari aspetti sui quali la S.V. ha richiesto un parere, si puntualizza che, ai fini della convocazione del consiglio comunali ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del decreto legislativo 267/2000, le 'questioni' per le quali è richiesto l'inserimento all'ordine del giorno dovranno riguardare gli interessi della comunità locale che il comune rappresenta.
Tali questioni, pertanto, non debbono investire unicamente le competenze del consiglio comunale indicate all'articolo 42, comma 2, del TUEL, ma anche quelle che costituiscono espressione dell'attività di indirizzo e di controllo politico amministrativo ai sensi dell'articolo 42, comma 1, e che non si concludono necessariamente con una deliberazione o con un voto del consiglio, con l'unico limite che le stesse non rechino un oggetto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze del consiglio.
---------------
[1] Cfr. TAR Puglia, Lecce, I sez., 04.02.2004, n. 1022; studio del Servizio centrale consiglio comunale - Centro di documentazione della Città di Torino 'L'iniziativa del consigliere comunale nella legislazione, in dottrina ed in giurisprudenza', del 27.03.2009, reperibile sul sito internet www.comune.torino.it.
[2] Cfr. Pareri Anci 23.05.2006 e 26.10.2005.
[3] Nota prot. n. 15900/1517/1-bis/5.1.8 del 26.11.1998.
[4] Pareri del Ministero dell'Interno 09.01.2003, 28.01.2003, 23.03.2005, reperibili sul relativo sito internet.
[5] Sentenze TAR Piemonte, sez. II, 24.04.1996, n. 268, citata costantemente dal Ministero anche nei pareri più recenti; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 25.07.2001, n. 4278.
[6] A titolo esemplificativo, si cita quanto espresso dal Ministero dell'Interno con il parere del 07.11.2005 riguardante materie non espressamente di competenza del consiglio comunale e, in particolare, l'argomento 'installazione di un ripetitore per la telefonia mobile', nonché la citata sentenza TAR Puglia n. 1022/2004, che ha ritenuto «legittima la questione pregiudiziale impeditiva del passaggio in discussione di una mozione che abbia la finalità di modificare una procedura tipizzata descritta da legge, che incida su diritti ed interessi indisponibili dalla stessa assemblea, sia in quanto posti a tutela dei cittadini, sia in quanto posti a tutela delle prerogative dei componenti dell'assemblea stessi»
(18.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Personale degli enti locali. Autorizzazione ad apertura ditta individuale.
Il Dipartimento della funzione pubblica ha precisato che la partecipazione in società agricole a conduzione familiare è compatibile con lo status di pubblico dipendente solo qualora l'impegno richiesto sia modesto e non abituale o continuato durante l'anno.
Qualora detta attività si configuri, invece, quale vera e propria prestazione imprenditoriale autonoma, sarà indispensabile procedere alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time non superiore al 50%.

Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di autorizzare un dipendente con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato ad intraprendere un'attività esercitata nella forma di ditta individuale. L'Ente, nel premettere di non aver approvato un proprio regolamento in materia di incarichi autorizzabili, specifica che l'interessato ha ereditato un piccolo fondo agricolo dal padre, titolare di partita I.V.A. per la vendita di cereali. Si tratterebbe di attività saltuaria, implicante un reddito modesto e il lavoro concreto sarebbe comunque svolto da terzisti.
Si ritiene utile preliminarmente richiamare quanto già esposto in un precedente parere
[1] reso dallo scrivente su fattispecie analoga.
E' doveroso illustrare preventivamente i principi generali e le regole specifiche che disciplinano il regime dell'incompatibilità, per i pubblici dipendenti.
Per i pubblici dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale superiore al 50 % di quello a tempo pieno, vige il principio dell'incompatibilità con altre prestazioni lavorative. In un parere/circolare
[2], il Dipartimento della funzione pubblica ha rimarcato come 'il legislatore abbia posto, fra i diversi principi a tutela dell'interesse pubblico, che deve essere costantemente perseguito dalla pubblica amministrazione, quello del dovere di esclusività delle prestazioni dei propri dipendenti, nel senso dell'inconciliabilità tra l'impiego presso l'amministrazione pubblica ed il contestuale svolgimento di altre attività lavorative'.
Detto principio è stato espressamente affermato dall'art. 1, comma 60, della L. n. 662/1996 e dall'art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001. In particolare, il citato art. 53, nel ribadire per tutti i dipendenti pubblici la disciplina vigente sulle incompatibilità (dettata dall'art. 60
[3] e seguenti del Testo Unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10.01.1957, n. 3), prevede che l'autorizzazione all'esercizio di attività extraistituzionali dei dipendenti pubblici sia comunque disposta dai rispettivi organi competenti delle pubbliche amministrazioni, secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità del dipendente, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al medesimo.
E' necessario, pertanto, che ciascun ente disciplini, con specifiche norme regolamentari, le fattispecie di incarichi che possono essere autorizzati ai propri dipendenti, nel rispetto dei principi sopra illustrati.
Analizzando la su esposta disciplina, emerge, infatti, che le pubbliche amministrazioni possono autorizzare i propri dipendenti allo svolgimento di incarichi extraistituzionali, nel rigoroso rispetto di determinati presupposti e condizioni, in quanto il tradizionale dovere di esclusività resta confermato nella sua portata generale, salvo appunto i casi di deroga consentiti da specifiche disposizioni, concernenti settori ben individuati.
Appare utile, inoltre, rammentare quanto rappresentato in proposito dallo stesso Dipartimento della funzione pubblica
[4].
In particolare, al punto 6 della circolare n. 3 del 1997, si precisa che le attività extraistituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà ed occasionalità e quando si riferiscono allo svolgimento di libere professioni. Preme sottolineare come la citata circolare evidenzi, inoltre, la gravità delle sanzioni previste nel caso di inosservanza della disciplina sopra descritta, con riferimento a quanto disposto dall'art. 1, comma 61, della L. n. 662/1996
[5].
In linea generale, si osserva che la dottrina
[6] ritiene l'apertura della partita IVA indice per eccellenza della non occasionalità dell'attività svolta.
Peraltro, ad avviso del Dipartimento della funzione pubblica, con specifico riferimento alla fattispecie di partecipazione in società agricole a conduzione familiare, tale attività rientra tra quelle compatibili purché l'impegno richiesto sia modesto e non abituale o continuato durante l'anno.
Il giudice amministrativo
[7] inoltre, nel richiamare un parere espresso dal Dipartimento della funzione pubblica, ha evidenziato nello specifico che, in relazione all'esercizio di attività agricole, l'apertura della partita I.V.A. di per sé non è un elemento che rende incompatibile il suo esercizio, purché la stessa comporti un impegno modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Pertanto, detta attività sarà autorizzabile con l'unico limite che la stessa non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno.
L'ANCI
[8] ha sottolineato come sia possibile autorizzare il proprio dipendente a svolgere eccezionalmente l'attività di imprenditore agricolo, al di fuori del normale orario di lavoro, previa approvazione di adeguata norma regolamentare, da parte dell'ente, che disciplini in dettaglio, con regolamentazione valevole in generale e non solo per il caso specifico, le varie fattispecie autorizzabili, a prescindere dalla trasformazione del rapporto di lavoro del richiedente da tempo pieno a part-time non superiore al 50 % [9]. Secondo l'ANCI non configura ipotesi di incompatibilità il caso molto ricorrente, in cui, ad es., un figlio si trovi ad ereditare un fondo agricolo familiare pur non lavorando sullo stesso, ma essendo costretto a tenerne in piedi l'attività sino a successiva cessione, oppure in presenza di gestione familiare del medesimo, ad opera di altri congiunti. In ogni caso, anche se eccezionalmente autorizzato, l'interessato deve ritenersi vincolato a comunicare all'ente di appartenenza ogni possibile variazione riguardo l'uso della partita IVA.
In conclusione, la compatibilità dell'attività di imprenditore agricolo va valutata caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si effettua.
Ad ogni buon conto, per quelle aziende agricole, spesso acquisite per successione ereditaria, che sono gestite con il ricorso al contoterzismo e dunque senza fornire un apporto lavorativo diretto, sembra siano rispettati i principi generali posti dall'ordinamento vigente in materia di incompatibilità.
Spetta, comunque, all'amministrazione di appartenenza verificare e valutare attentamente che le modalità di svolgimento di detta attività presentino caratteristiche tali da non interferire con l'attività lavorativa ordinaria del dipendente. In caso contrario, infatti, si concretizzerebbero gli estremi di una vera e propria incompatibilità col rapporto di pubblico impiego in essere.
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[1] Cfr. n. prot. 9235 del 31.05.2010.
[2] Cfr. 15.12.2005, n. 220.
[3] Tale norma prevede che il dipendente pubblico non possa esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società per le quali la nomina è riservata all'ente di appartenenza.
[4] Cfr. circolare n. 3 del 19.02.1997, pubblicata in G. U. n. 44 del 22.02.1997.
[5] Costituisce, infatti, giusta causa di licenziamento, la violazione del divieto di svolgere attività ulteriore, che non sia stata espressamente autorizzata.
[6] Cfr. Vito Tenore, Le incompatibilità nel pubblico impiego, gli incarichi, le consulenze e l'anagrafe delle prestazioni, EPC Libri.
[7] Cfr. TAR Basilicata, Potenza, sentenza n. 195 del 2003.
[8] Cfr. parere del 31.07.2007.
[9] Tale trasformazione si rende, infatti, necessaria qualora la prestazione svolta, per le sue caratteristiche, renda incompatibili le due posizioni rivestite dal dipendente
(18.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Articolo 53, comma 6, del d.lgs. 165/2001. Modifiche e chiarimenti.
Ampliato il novero delle fattispecie sottratte al regime di incompatibilità/incumulabilità, laddove sono stati aggiunti gli incarichi di docenza e di ricerca, limitando questi ultimi a quelli di natura scientifica.
In riferimento alla vostra richiesta di chiarimento relativamente alla modifica apportata all’articolo del decreto legislativo in oggetto, si espone che l’art. 2, c. 13-quinquies, lett. b), del DL 31.08.2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla L. 30.10.2013, n. 125, amplia, alla lettera f-bis, del comma 6, dell'art. 53, del D.Lgs. 165/2001, il novero delle fattispecie sottratte al regime di incompatibilità/incumulabilità, aggiungendo gli incarichi di docenza e di ricerca, limitando questi ultimi a quelli di natura scientifica (cfr. in proposito Camera dei Deputati XVII legislatura, Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, DL 101/2013 - A.C. 1682-A, Documentazione per l'esame in assemblea).
Pertanto, non essendo previsto alcun divieto in tal senso,
si suggerisce di segnalare tali incarichi all'Amministrazione di appartenenza (16.12.2013 - link a www.perlapa.gov.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accordi transattivi tra enti pubblici e soggetti privati.
Ai sensi dell'art. 1965 del codice civile la transazione è 'il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro'.
Il giudice contabile ha affermato che la scelta in ordine al procedere o meno alla transazione ed alla concreta delimitazione dell'oggetto della stessa spetta all'amministrazione e che trattasi di scelta discrezionale non sindacabile dalla Corte dei conti a patto, però, che la stessa non sia assolutamente irragionevole ed irrazionale.
La magistratura contabile ha altresì ritenuto gravemente colposa la condotta di amministratori comunali consistita nel non aver dato seguito ad una proposta transattiva in un contesto sufficientemente rassicurante per ritenere l'utilità e convenienza della risoluzione in via bonaria della vertenza, sottovalutando i rischi connessi alla possibilità tutt'altro che remota (in quello scenario) di soccombenza nel giudizio civile.

Il Comune riferisce di aver stipulato con soggetto privato, nel 1992, un contratto per la cessione della proprietà di un'area comunale in zona P.E.E.P. (Piano Edilizia Economico Popolare), in cui si precisava che una piccola porzione di detto terreno, che costituiva bene demaniale dello Stato, veniva attribuita a titolo di possesso, pattuendone per un tempo successivo il conferimento in proprietà, non appena il Comune avesse concluso l'iter di sdemanializzazione dell'area medesima. Il privato contraente (rectius, gli eredi), facendo affidamento sulla certa acquisizione dell'area, in forza delle assicurazioni ricevute dal Comune, procedeva a costruire un edificio su detta porzione e alla successiva alienazione a terzi dello stesso.
Ora, poiché i soggetti alienanti hanno dovuto corrispondere ai soggetti acquirenti le somme da questi ultimi spese per divenire proprietari della parte di area demaniale e dell'edificio sopra la stessa eretto, gli stessi alienanti hanno attivato nei confronti del Comune una procedura di mediazione volontaria, ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010
[1], per la definizione della controversia, di cui hanno quantificato unilateralmente il valore. Il Comune, nel precisare di non essere responsabile del ritardo per la procedura di sdemanializzazione dell'area in questione, imputabile, a suo dire, all'amministrazione statale, chiede un parere circa la legittimità della soluzione transattiva della controversia, proponendo la misura riduttiva della pretesa della controparte; ciò, poiché il Comune ritiene la controversia di esito incerto e, dunque, ipotizzabile il rischio di soccombenza, in caso di successiva azione legale, con possibili più gravose conseguenze finanziarie.
Si premette, innanzitutto, che in alcun modo questo Servizio può calarsi nella specificità delle fattispecie concrete interessanti l'operare giuridico dei comuni, consistendo l'attività di consulenza in una rappresentazione generale del quadro normativo e giurisprudenziale afferente alle diverse questioni di rilevanza giuridica poste dai comuni.
Per cui, si esporranno delle considerazioni, in termini generali, sul corretto ricorso agli accordi transattivi, restando inteso, sin da adesso, che compete unicamente all'autonoma, responsabile, valutazione dell'Ente la scelta della transazione quale mezzo solutorio della controversia con la parte privata.
L'istituto della transazione è previsto dall'art. 1965 de codice civile, che lo definisce come 'il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro'.
La Corte dei conti
[2], nell'osservare preliminarmente che anche gli enti pubblici sono legittimati a concludere accordi transattivi relativi a contenziosi giudiziali o stragiudiziali, ha affermato che la scelta in ordine al procedere o meno alla transazione ed alla concreta delimitazione dell'oggetto della stessa spetta all'amministrazione, nell'ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali è sottratta al sindacato giurisdizionale, se non limitatamente alla rispondenza delle stesse a criteri di razionalità e congruità rilevabili dalla comune esperienza amministrativa al fine di stabilire se la scelta risponda ai criteri di prudente apprezzamento ai quali deve ispirarsi sempre l'azione amministrativa. In tale ponderazione, il Giudice contabile sottolinea, in particolare, tra gli elementi da valutare, la convenienza economica della transazione in relazione all'incertezza del giudizio. Incertezza, che va intesa in senso relativo, da valutarsi con riferimento alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa ed alla presenza di eventuali orientamenti giurisprudenziali.
In particolare, in giurisprudenza, si è affermato che la scelta discrezionale dell'amministrazione di addivenire ad una composizione stragiudiziale della controversia non è sindacabile, da parte della Corte dei conti, a patto, però, che la stessa non sia assolutamente irragionevole ed irrazionale
[3].
Ed ancora e d'altro canto, la Corte dei conti
[4] ha ritenuto gravemente colposa la condotta di amministratori comunali consistita nel non aver dato seguito ad una proposta transattiva in un contesto sufficientemente rassicurante per ritenere l'utilità e convenienza della risoluzione in via bonaria della vertenza, sottovalutando i rischi connessi alla possibilità tutt'altro che remota (in quello scenario) di soccombenza nel giudizio civile.
Alla luce dei richiamati indirizzi giurisprudenziali, l'Ente potrà compiere, nel caso di specie, una valutazione ponderata di tutti gli elementi di fatto e di diritto presenti nella fattispecie concreta, che consentano di apprezzare l'opportunità e convenienza economica della transazione, in relazione all'alea dell'eventuale giudizio, nonché l'adeguata definizione del contenuto delle reciproche concessioni.
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[1] D.Lgs. 04.03.2010, n. 28, recante: 'Attuazione dell'articolo 60 della legge 18.06.2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali'.
[2] Corte dei conti, Sez. reg. contr. per la Lombardia, deliberazione n. 26/2008. Nello stesso senso, Corte dei conti, Sez. reg. contr. per la regione Toscana, delibera n. 132/2010, secondo cui gli accordi transattivi presuppongono la decisione dell'ente di pervenire ad un accordo con la controparte, decisione assunta sulla base di una motivata analisi di convenienza per l'ente di addivenire alla conclusione dell'accordo.
[3] Corte dei conti, sez. giur. Regione Marche, 07.04.2008, n. 188.
[4] Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, 21.01.2008, n. 215
(13.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OGGETTO: Accesso di consigliere comunale ad elenco di istanze di insinuazione della massa passiva.
L’Organo Straordinario di liquidazione del Comune di Fuscaldo espone che il Sindaco uscente dell’Amministrazione comunale ha chiesto di accedere agli atti) con rilascio di copia relativi alle istanze pervenute a seguito dell’avviso pubblicato ai sensi dell’art. 254 del d.lgs. n. 267 del 2000.
A sostegno dell’istanza l’interessato fa presente che la dichiarazione di dissesto deliberata dal Comune poterebbe produrre nei suoi confronti gli effetti di cui all’art. 248 del citato d.lgs. e, inoltre, gli atti richiesti sono necessari a scopo difensivo) avendo l’interessato stesso proposto ricorso al TAR Calabria avverso la deliberazione di dissesto assunta dal Consiglio comunale.
Tutto ciò premesso) l’Organo Straordinario di liquidazione del Comune di Fuscaldo chiede di conoscere se gli atti richiesti siano ostensibili e) in caso positivo) se debba essere avviata la procedura di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006.
Al riguardo) ad avviso della Commissione) l’interessato non rivestendo più la qualifica di Consigliere comunale, non è più destinatario della normativa contenuta nell’art. 43 del d.lgs. n. 267 del 2000, che riconosce ai Consiglieri comunali e provinciali un diritto di accesso dai confini più ampi rispetto a quello riconosciuto a tutti gli altri soggetti, finalizzato al migliore espletamento del mandato ricevuto.
Tuttavia) nel caso di specie non può neanche sostenersi che l’istanza di accesso si risolva in una sorta di controllo generalizzato sull’operato dell’Amministrazione) tenuto conto che l’istanza stessa ha sostanzialmente per oggetto le conseguenze connesse alla deliberazione di dissesto assunta dal Consiglio comunale di Fuscaldo ed è finalizzata da un lato ad evitare gli eventuali effetti negativi previsti dall’art. 248 del d.lgs. n. 267/2000, dall’altro a tutelare le situazioni giuridiche soggettive dell’accedente innanzi al TAR Calabria) presso cui pende il ricorso avverso la citata deliberazione di dissesto.
Ne deriva che l’istanza di accesso presentata dall’ex Sindaco del Comune di Fuscaldo è sicuramente accoglibile, con la conseguenza che l’Organo Straordinario di Liquidazione dovrà avviare la procedura prevista dall’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006 che prevede la partecipazione al procedimento di accesso dei soggetti eventualmente controinteressati
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 17.01.2013 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Accesso agli esposti ambientali.
L’Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia Romagna Arpa, premesso di essere destinataria di numerosi esposti e segnalazioni, da parte di singoli cittadini o di comitati variamente organizzati, nei quali si evidenziano specifici inconvenienti ambientali derivanti da realtà produttive o commerciali, e che i titolari di queste attività chiedono di esercitare il diritto di accesso mediante l’estrazione di copia degli esposti o delle segnalazioni che li riguardano) chiede se tali istanze di accesso possano essere accolte e, in caso affermativo, se gli esposti debbano essere messi a disposizione degli accedenti integralmente ovvero espungendo la generalità degli esponenti o con altre precauzioni.
Al riguardo la Commissione osserva che, in linea di principio, non si ravvisano ragioni ostative all’esercizio del diritto di accesso da parte dei destinatari di esposti o segnalazioni) soprattutto se l’accesso è preordinato ad esigenze difensive per resistere a giudizi già instaurati, ovvero a verificare la sussistenza o meno delle necessarie condizioni per intraprendere azioni giudiziarie sottese a salvaguardare il proprio buon nome o la propria reputazione.
Né può sostenersi che, nei casi in questione, sorgano particolari problemi di tutela della riservatezza, tenuto conto che l’art. 60 del d.lgs. 30.06.2003, n.196 non esclude il diritto di accesso neanche quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, sempre che la situazione che si intende tutelare sia di rango almeno pari ai diritti della personalità o altro diritto o libertà fondamentale ed inviolabile
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 17.01.2013 - link a www.commissioneaccesso.it).

GIURISPRUDENZA

CONSIGLIERI COMUNALI: La posizione del pubblico amministratore in conflitto d’interessi rispetto all’adozione di una determinata deliberazione ed obbligato ad astenersi dalla relativa discussione e votazione non sia propriamente sovrapponibile a quella del soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato, eguale e contrario a quello per la cui tutela il ricorrente ha proposto impugnazione, essendo, all’evidenza, diversa la ratio della norma che impone l’astensione da quella che prescrive la notifica del ricorso ai controinteressati.
Nel primo caso, ciò che viene in rilievo è, infatti, l'esigenza di assicurare che il pubblico amministratore possa operare senza condizionamenti di sorta e che sia garantita la trasparenza dell'azione amministrativa, al di là, dunque, della sussistenza della concreta ed effettiva necessità per il medesimo di “difendere” la legittimità del provvedimento impugnato.
Nel secondo, invece, quella di far necessariamente partecipare al contraddittorio i soggetti che, in quanto titolari di un interesse qualificato di segno opposto a quello del/i ricorrente/i, potrebbero subire effetti negativi nella propria sfera giuridica dall’annullamento del provvedimento gravato.
Per costante quanto condivisa giurisprudenza, in materia urbanistica vale, tuttavia, il principio per cui, di norma, non sussistono controinteressati rispetto all'impugnazione degli strumenti di programmazione, in quanto, il loro carattere generale, li rende idonei ad incidere su una pluralità di soggetti.
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Costituiscono principi immanenti dell’ordinamento quelli di imparzialità, buona amministrazione e trasparenza, alla cui concreta attuazione concorre la disposizione di cui all’art. 78, comma 2, seconda parte, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che impone ai pubblici amministratori di astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di piani urbanistici laddove sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore medesimo o di suoi parenti o affini fino al quarto grado.
In giurisprudenza è stato, peraltro, condivisibilmente affermato:
● che tale norma “è espressione di un obbligo generale di astensione dei membri di collegi amministrativi che si vengano a trovare in posizione di conflitto di interessi perché portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto potenziale con l'interesse pubblico”,
● che “il conflitto d'interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo <istituzionale> ed un altro di tipo personale”,
● che “come emerge dal tenore letterale dell'art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola generale è che l'amministratore debba astenersi al minimo sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che sia; la deroga divisata per gli atti generali e normativi, oltre a non essere assoluta (perché qualora si profili il concreto interesse personale si ripristina l'obbligo di astensione), è da considerarsi tassativa ed incapace quindi, di incidere sul perimetro della fattispecie ampliandolo internamente” e
● che “la regola della astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto di <interesse> del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera”.
Ne deriva che il dovere di astensione si impone, ex ante, ogniqualvolta l'amministratore dell'ente locale rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse ovvero qualora vi sia il pericolo che la volontà del medesimo non sia immune da condizionamenti e a nulla rileva che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e/o che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la p.a..

Con specifico riguardo a tale ultimo profilo, il Collegio ritiene, in particolare, che la posizione del pubblico amministratore in conflitto d’interessi rispetto all’adozione di una determinata deliberazione ed obbligato ad astenersi dalla relativa discussione e votazione non sia propriamente sovrapponibile a quella del soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato, eguale e contrario a quello per la cui tutela il ricorrente ha proposto impugnazione, essendo, all’evidenza, diversa la ratio della norma che impone l’astensione da quella che prescrive la notifica del ricorso ai controinteressati.
Nel primo caso, ciò che viene in rilievo è, infatti, l'esigenza di assicurare che il pubblico amministratore possa operare senza condizionamenti di sorta e che sia garantita la trasparenza dell'azione amministrativa, al di là, dunque, della sussistenza della concreta ed effettiva necessità per il medesimo di “difendere” la legittimità del provvedimento impugnato.
Nel secondo, invece, quella di far necessariamente partecipare al contraddittorio i soggetti che, in quanto titolari di un interesse qualificato di segno opposto a quello del/i ricorrente/i, potrebbero subire effetti negativi nella propria sfera giuridica dall’annullamento del provvedimento gravato (Cons. Stato Sez. V 24.09.2003 n. 5462; idem 21.01.2002 n. 72).
Per costante quanto condivisa giurisprudenza, in materia urbanistica vale, tuttavia, il principio per cui, di norma, non sussistono controinteressati rispetto all'impugnazione degli strumenti di programmazione, in quanto, il loro carattere generale, li rende idonei ad incidere su una pluralità di soggetti (principio affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con decisione dell’08.05.1996, n. 2 e più di recente ribadito dalla IV Sezione, nella sentenza 05.03.2013, n. 1344).
E tale è, senza dubbio, l’ipotesi che ricorre nella fattispecie in esame.
Vero è, in ogni caso, che, laddove si volesse riconoscere al Sindaco e ai suoi parenti addirittura la qualifica di controinteressati in senso tecnico (come preteso dalla difesa dell’Amministrazione), allora il conflitto d’interessi denunciato dai ricorrenti dovrebbe ritenersi palese, grave e sussistente in re ipsa, anche al di là di qualsiasi valutazione e/o apprezzamento da parte di questo Collegio e, dunque, con conseguenze per i pretesi “controinteressati” ben più gravi e pregiudizievoli di quelle derivanti dall’eventuale annullamento del provvedimento impugnato, atteso che potrebbero venire in rilievo profili di responsabilità penale, estranei, di norma, alla riconosciuta sussistenza del pericolo che la volontà del pubblico amministratore non sia immune da condizionamenti.
Le eccezioni di inammissibilità per carenza d’interesse e per mancata notifica ai controinteressati vanno, in definitiva, respinte.
Nel merito, è fondato e riveste carattere assorbente rispetto agli ulteriori dedotti il primo motivo di gravame, con cui i ricorrenti si dolgono del mancato allontanamento dall’aula e della mancata astensione dalla discussione e dalla votazione degli atti deliberativi che hanno portato all’approvazione della Variante n. 42 da parte del Sindaco in quel momento in carica.
Costituiscono, invero, principi immanenti dell’ordinamento quelli di imparzialità, buona amministrazione e trasparenza, alla cui concreta attuazione concorre la disposizione di cui all’art. 78, comma 2, seconda parte, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, che impone ai pubblici amministratori di astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di piani urbanistici laddove sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore medesimo o di suoi parenti o affini fino al quarto grado.
In giurisprudenza (ex multis C.d.S., IV, 28.01.2011, n. 693) è stato, peraltro, condivisibilmente affermato:
che tale norma “è espressione di un obbligo generale di astensione dei membri di collegi amministrativi che si vengano a trovare in posizione di conflitto di interessi perché portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto potenziale con l'interesse pubblico (Cfr. Cons. St., sez. II, 18.02.2004 n. 5486/2003; sez. IV, 07.10.1998 n. 1291)”,
che “il conflitto d'interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo <istituzionale> ed un altro di tipo personale (cfr. Cass., 18.05.2001, n. 6853 in materia condominiale; Cass. 28.12.2000, n. 16205, su casi di conflitto di interessi relativi a titolari di cariche pubbliche)”,
che “come emerge dal tenore letterale dell'art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola generale è che l'amministratore debba astenersi al minimo sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che sia; la deroga divisata per gli atti generali e normativi, oltre a non essere assoluta (perché qualora si profili il concreto interesse personale si ripristina l'obbligo di astensione), è da considerarsi tassativa ed incapace quindi, di incidere sul perimetro della fattispecie ampliandolo internamente (Consiglio Stato, sez. V, 13.06.2008, n. 2970)” e
che “la regola della astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto di <interesse> del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera (Consiglio Stato , sez. V, 13.06.2008 , n. 2970)”.
Ne deriva che il dovere di astensione si impone, ex ante, ogniqualvolta l'amministratore dell'ente locale rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse ovvero qualora vi sia il pericolo che la volontà del medesimo non sia immune da condizionamenti e a nulla rileva che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e/o che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la p.a. (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 23.12.2013 n. 679 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: E' illegittima la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi due con privazione della retribuzione laddove il dipendente (dirigente sindacale) ha diffuso un comunicato stampa con espressioni che, seppur vivaci e discutibili, rientrano nel diritto di critica e più in generale nella libertà di parola.
La libertà di parola e di critica, libertà fondamentale e indiscutibile sulla base della Costituzione e di numerosi trattati internazionali tra cui quello relativo ai diritti dell'uomo, deve comunque coniugarsi con il concetto di responsabilità, per cui la libertà di espressione non può travalicare i limiti dell'offesa per gli altri soggetti ovvero per le istituzioni.
Orbene, nel caso in esame questo collegio rileva che le espressioni contenute nel comunicato stampa, in particolare laddove parla di una persecuzione ad opera dell'amministrazione paragonando il suo caso è quello di altri soggetti di altre amministrazioni, e laddove spiega che l'invio alla visita medico psichiatrica e il deferimento alla commissione disciplinare ministeriale sarebbero eventi persecutori, con altresì il rischio di essere radiato dal corpo, pur vivaci e discutibili, rientrano nel diritto di critica e più in generale nella libertà di parola.
Ciò vale anche per la parte finale del comunicato stampa dove si afferma che il comportamento dell'amministrazione sarebbe esempio dell'arroganza di una casta che non esiterebbe “a punire con il massimo della pena chi osa denunciarne l'arroganza”.

... per l'annullamento della deliberazione del Ministero dell'Interno dd. 27.11.2008, con la quale il Ministero dell'Interno decreta al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per 2 mesi con privazione della retribuzione.
...
Il ricorrente, vigile del fuoco, impugna il provvedimento del Ministero degli Interni, Dipartimento dei vigili del fuoco, che gli ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi due con privazione della retribuzione. Fa presente di essere dirigente sindacale e che il provvedimento disciplinare è il frutto di un procedimento disciplinare per il mancato rispetto dell'obbligo di favorire l'instaurazione di rapporti di fiducia tra l'amministrazione e i cittadini, per violazione del segreto d'ufficio e del divieto di utilizzare per fini privati le informazioni ufficio e per avere espresso espressioni ingiuriose nei confronti dell'amministrazione e infine per aver un persistente atteggiamento di calunnia e di accusa, diffamando l'attività istituzionale oltre a quella del comandante dei vigili del fuoco.
Nel provvedimento gravato si fa riferimento a un comunicato stampa redatto dal ricorrente.
...
Oggetto del presente ricorso è il provvedimento del Ministero degli Interni, Dipartimento dei vigili del fuoco, che ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi due con privazione della retribuzione.
Va da subito evidenziato come il ricorso risulta fondato.
Le doglianze prospettate dal ricorrente, che si possono agevolmente esaminare congiuntamente, in sostanza si concentrano sul diritto di critica e sui diritti sindacali in capo al ricorrente in quanto rappresentante sindacale, diritti che non sarebbero stati travalicati in alcun modo dal suo comportamento. Va innanzitutto rilevato come le vicende penali, conclusesi in modo favorevole alla ricorrente, non rilevano nella vicenda disciplinare perché diversi ne sono i presupposti.
Questo collegio osserva innanzitutto come la libertà di parola e di critica, libertà fondamentale e indiscutibile sulla base della Costituzione e di numerosi trattati internazionali tra cui quello relativo ai diritti dell'uomo, deve comunque coniugarsi con il concetto di responsabilità, per cui la libertà di espressione non può travalicare i limiti dell'offesa per gli altri soggetti ovvero per le istituzioni.
Orbene, nel caso in esame, pur senza voler entrare nel merito di valutazioni discrezionali, questo collegio rileva che le espressioni contenute nel comunicato stampa del 14.09.2008, in particolare laddove parla di una persecuzione ad opera dell'amministrazione paragonando il suo caso è quello di altri soggetti di altre amministrazioni, e laddove spiega che l'invio alla visita medico psichiatrica e il deferimento alla commissione disciplinare ministeriale sarebbero eventi persecutori, con altresì il rischio di essere radiato dal corpo, pur vivaci e discutibili, rientrano nel diritto di critica e più in generale nella libertà di parola.
Ciò vale anche per la parte finale del comunicato stampa dove si afferma che il comportamento dell'amministrazione sarebbe esempio dell'arroganza di una casta che non esiterebbe “a punire con il massimo della pena chi osa denunciarne l'arroganza”.
Il ricorso va, pertanto, accolto con annullamento del provvedimento gravato (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 23.12.2013 n. 668 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fatti salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo negozio, anche il contratto di leasing costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing è titolare di una relazione qualificata con il bene medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, sempreché il singolo contratto di leasing contenga specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.

In secondo luogo, ai fini della legittimazione alla presentazione della d.i.a,. si deve ricordare che, al di là degli aspetti formali, ai sensi dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, la legittimazione all'ottenimento del titolo edificatorio spetta "al proprietario del'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
Al riguardo, alla luce degli orientamenti della Sezione in casi analoghi (es.: comodatario, in Consiglio di Stato, Sez. IV 20.07.2011 n. 4370; usufruttuario, in Consiglio di Stato, Sez. IV 30.07.2012 n. 4287) si deve rilevare che -fatti salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo negozio- anche il contratto di leasing costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing è titolare di una relazione qualificata con il bene medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, sempreché il singolo contratto di leasing contenga specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
Nel caso in esame, l’art. 8 del contratto di leasing (puntualmente allegato sia in primo grado che in appello) prevedeva l’obbligo dell’utilizzatore di provvedere alla “manutenzione ordinaria e straordinaria… alla sostituzione ,rifacimento, rimessione in pristino di tutte le parti interne ed esterne dell’immobile incluse … le parti comuni.. compresi gli adeguamenti, …. con riguardo alla sicurezza, alla prevenzione degli infortuni,nonché alla sostituzione, rifacimento,e rimessione in pristino degli impianti e di ogni altro accessorie che si rendesse necessario” .
In tale ipotesi dunque, è rilevante la circostanza che il contratto di leasing conferiva all’utilizzatore del bene, dr. M., un diritto di reale di godimento del bene che comprendeva la facoltà di far luogo a modifiche ed a migliorie e quindi gli conferiva un titolo negoziale per poter legittimamente richiedere un titolo edilizio, dovendosi escludere nel caso la ricorrenza di un’espressa opposizione della società concedente
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Se è vero che il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, è anche vero che il controllo da parte dell'Ente locale consiste in una semplice presa d'atto dei titoli, senza che vi sia alcuna necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra condomini.
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire.
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Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti “significative”, cioè devono alterare la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità e, comunque, non devono risolversi in apprezzabili limitazioni del normale godimento della parte di bene di proprietà esclusiva.
Il profilo del decoro architettonico va poi valutato con riferimento all'intero edificio condominiale, ed anche al riguardo l'alterazione deve risultare “apprezzabile” alla luce della necessità di trovare una situazione di equilibrio tra i contrapposti interessi della comunità condominiale e del singolo condomino.

Al riguardo, se è vero che il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, è anche vero che il controllo da parte dell'Ente locale consiste in una semplice presa d'atto dei titoli, senza che vi sia alcuna necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra condomini (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI 20/12/2011 n. 6731).
In particolare deve del tutto escludersi l’obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero di prodigarsi nella ricerca di eventuali limitazioni negoziali al diritto di costruire (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 08/06/2011 n. 3508).
Le innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, per essere rilevanti, devono essere infatti “significative”, cioè devono alterare la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità e, comunque, non devono risolversi in apprezzabili limitazioni del normale godimento della parte di bene di proprietà esclusiva (arg. Cassazione Civile, ord. 30.01.2012, n. 1326). Il profilo del decoro architettonico va poi valutato con riferimento all'intero edificio condominiale, ed anche al riguardo l'alterazione deve risultare “apprezzabile” alla luce della necessità di trovare una situazione di equilibrio tra i contrapposti interessi della comunità condominiale e del singolo condomino (cfr. Cassazione Civile, Sezione 2, 27.12.2011, n. 28919).
Nella medesima scia ricostruttiva si osserva che non è compito del Comune indagare se, ai sensi dell'art. 1102 c.c., l’innovazione alterasse o meno la destinazione della porzione di giardino, o si risolvesse in una rilevante limitazione dell’uso degli altri partecipanti al condominio
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo.
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L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori spettanti all’Amministrazione comunale.
Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno.
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La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato.

Per costante giurisprudenza, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 02.11.2004, n. 7748; Id., sez. IV, 15.04.2013, n. 2027, ove riferimenti ulteriori).
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L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori spettanti all’Amministrazione comunale. Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno (si veda più ampiamente Cons. Stato, sez. IV, n. 2017 del 2013, cit.).
Non c’è dubbio che una pluralità di fattori abbia impedito il reale avvio delle opere nel termine prescritto; essi sono ricordati nelle dichiarazioni riferite nel verbale del 2008 (tardivo rilascio dell’immobile da parte degli occupanti, problematiche inerenti la scarsa tenuta della rampa di collegamento tra la via pubblica e il resede, mancata acquisizione della deroga per i rumori).
Queste circostanze obiettive avrebbero potuto forse anche giustificare la proroga del termine per l’inizio dei lavori (come prevede l’art. 15, comma 2, secondo periodo, t.u., e l’art. 6-quinquies del regolamento edilizio); ma la proroga non risulta accordata e nemmeno richiesta, cosicché essi non possono produrre alcuna giustificazione circa il mancato rispetto del termine di legge.
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Quanto, infine, all’intervallo di tempo tra l’accertamento e la dichiarazione di decadenza, che l’appello censura come eccessivo, esso non appare comunque tale, alla luce della scansione temporale della vicenda (come detto più volte, il primo accertamento è del settembre 2008; il primo provvedimento di decadenza del febbraio 2009; l’ispezione è ripetuta nel luglio 2009 e la decadenza reiterata nell’agosto successivo).
Peraltro, anche in disparte il rilievo che precede, il Collegio esprime convinta adesione all’orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente, secondo cui la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2011, n. 5028; Id., sez. IV, 23.02.2012, n. 974; Id., sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Lo scarto temporale lamentato dalla Società appellante, quindi, rimane comunque irrilevante sul piano della disciplina giuridica della vicenda
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981.
Il consolidato orientamento della Cassazione (Cass. Civ., sez. un., 23.06.2010 n. 15170; 14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334; 06.06.2007 n. 13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721), condiviso dal Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 31.10.2012, n.5556) è nel senso che “sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981”.
L’assunto della ricorrente, secondo cui l’impianto non può essere qualificato abusivo in quanto conforme ad un’autorizzazione valida ed efficace, non muta i termini della questione. Non venendo in discussione la legittimità dell’autorizzazione, quella prospettata è, infatti, una questione di merito relativa alla legittimità della sanzione, pertanto inidonea ad incidere sulla giurisdizione. Spetterà al giudice competente valutare se l’esistenza dell’autorizzazione renda configurabile l’illecito contestato e se sia quindi fondata la pretesa sanzionatoria dell’ente.
La questione accede, pertanto, a quella pendente davanti al giudice civile, definita in primo grado con l’annullamento del verbale che costituisce i presupposto della diffida.
Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo la controversia di competenza del giudice ordinario presso il quale può essere riassunta ex art. 11 c.p.a. (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 19.12.2013 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Acclarata la illegittimità del silenzio serbato dal Comune, relativamente alla domanda risarcitoria questo TAR ha già in proposito affermato che l’art. 2-bis della L. 241/1990 protegge il bene “tempo” quale bene della vita suscettibile di incidere sulla “progettualità” del privato e sulla libera determinazione dell’assetto dei suoi interessi, naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e potenzialmente pregiudicato dai ritardi dello stesso.
Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a rappresentare, giuridicamente, un danno “ingiusto” e, sul piano economico, un costo “illegittimo” per quanto attiene le prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in quanto integranti motivo di forte condizionamento della loro vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza economica delle scelte preventivate, sia se il bene preteso dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo stesso venga negato, posto che l’incertezza sull’esito del procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse ed alternative.
Il bene protetto dalla norma è dunque il rispetto dei tempi certi del procedimento, inteso quale tutela procedimentale rispetto alle aspettative, alle scelte e alla progettualità del privato, nonché quale mezzo per influire sull’esercizio del potere, in modo da rendere possibile, in tempi ex ante preventivabili, il conseguimento delle utilità sperate ove queste risulteranno spettanti.
Su tali premesse, il superamento colpevole del tempo previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A. alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettivamente e giuridicamente tutelata.

... per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune dell’Aquila in relazione a quanto richiesto con istanza del 23.02.2012, notificata in data 24.02.2012, e per la condanna del Comune al risarcimento del danno da ritardo.
...
Residua all’attenzione dei questo Collegio la domanda risarcitoria spiegata dal ricorrente in cumulo con la domanda, già definita con separata decisione, tesa alla declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune dell’Aquila su istanza volta alla concessione del contributo per la riparazione dell’immobile di proprietà, danneggiato dal sisma del 2009 e adibito ad abitazione e studio professionale di esso ricorrente.
Acclarata la illegittimità del silenzio serbato dal Comune dell’Aquila, relativamente alla domanda risarcitoria, questo TAR ha già in proposito affermato che l’art. 2-bis della L. 241/1990 protegge il bene “tempo” quale bene della vita suscettibile di incidere sulla “progettualità” del privato e sulla libera determinazione dell’assetto dei suoi interessi, naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e potenzialmente pregiudicato dai ritardi dello stesso (TAR Abruzzo – L’AQUILA, n. 548/2011).
Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a rappresentare, giuridicamente, un danno “ingiusto” e, sul piano economico, un costo “illegittimo” per quanto attiene le prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in quanto integranti motivo di forte condizionamento della loro vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza economica delle scelte preventivate, sia se il bene preteso dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo stesso venga negato, posto che l’incertezza sull’esito del procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse ed alternative.
Il bene protetto dalla norma è dunque il rispetto dei tempi certi del procedimento, inteso quale tutela procedimentale rispetto alle aspettative, alle scelte e alla progettualità del privato, nonché quale mezzo per influire sull’esercizio del potere, in modo da rendere possibile, in tempi ex ante preventivabili, il conseguimento delle utilità sperate ove queste risulteranno spettanti.
Su tali premesse, il superamento colpevole del tempo previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A. alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettivamente e giuridicamente tutelata (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 19.12.2013 n. 1064 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: E’ ben noto al Collegio che avveduta giurisprudenza, al fine di scoraggiare pratiche dilatorie da parte delle amministrazioni, ha puntualizzato che “nel sistema dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 la fissazione di un termine procedimentale di durata massima del procedimento amministrativo, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del potere di provvedere in capo all'amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo. Per questa ragione, le cause di interruzione o sospensione del termine per provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione, e non lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l'attività amministrativa.”.
Laddove però, si rientri nel paradigma normativo, il termine finale di definizione del procedimento può essere prolungato, con conseguente esclusione della formazione del silenzio-inadempimento.
Si è detto in proposito che “il termine annuale, dell'art. 31, comma 2°, c.p.a., non inizia a decorrere se la documentazione allegata all'istanza non corrisponde alle previsioni legali e se le pertinenti richieste di integrazione formulate dall'Amministrazione non trovano adeguato riscontro”.
La cautela, in simili ipotesi, è d’obbligo, e costituisce canone ermeneutico sostanziale cui improntare la valutazione giudiziale non dovendosi sottacere a tal riguardo che il rito ex art. 31 e 117 può comportare in teoria (ove si tratti di pretesa incidente su attività vincolata o a basso tasso di discrezionalità) un sovvertimento delle ordinarie competenze ed una “espropriazione” del potere di emettere il provvedimento spettante all’Amministrazione posto che quest’ultimo verrebbe traslato al Giudice medesimo per il tramite del Commissario ad acta.

E’ ben noto al Collegio che avveduta giurisprudenza, al fine di scoraggiare pratiche dilatorie da parte delle amministrazioni, ha puntualizzato che (TAR Lazio Roma Sez. I, 29.03.2011, n. 2739) “nel sistema dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 la fissazione di un termine procedimentale di durata massima del procedimento amministrativo, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del potere di provvedere in capo all'amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo. Per questa ragione, le cause di interruzione o sospensione del termine per provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione, e non lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l'attività amministrativa.”.
Laddove però, si rientri nel paradigma normativo, il termine finale di definizione del procedimento può essere prolungato, con conseguente esclusione della formazione del silenzio-inadempimento.
Si è detto in proposito che (Cons. Giust. Amm. Sic., 30.05.2013, n. 528): “il termine annuale, dell'art. 31, comma 2°, c.p.a., non inizia a decorrere se la documentazione allegata all'istanza non corrisponde alle previsioni legali e se le pertinenti richieste di integrazione formulate dall'Amministrazione non trovano adeguato riscontro”.
La cautela, in simili ipotesi, è d’obbligo, e costituisce canone ermeneutico sostanziale cui improntare la valutazione giudiziale non dovendosi sottacere a tal riguardo che il rito ex art. 31 e 117 può comportare in teoria (ove si tratti di pretesa incidente su attività vincolata o a basso tasso di discrezionalità) un sovvertimento delle ordinarie competenze ed una “espropriazione” del potere di emettere il provvedimento spettante all’Amministrazione posto che quest’ultimo verrebbe traslato al Giudice medesimo per il tramite del Commissario ad acta.
E’ ben vero che questo approdo non sarebbe praticabile nel caso in esame dove non può certo affermarsi che trattavasi di attività a bassa discrezionalità o non necessitante di approfondimenti istruttori.
Ciò che però si vuol significare è che la cautela nel “sostituirsi” all’Amministrazione va praticata anche allorché si controverta su un asserito uso illegittimo del potere istruttorio e di richiesta documentale.
Su tale punto è bene essere chiari: è ben vero che la Corte Costituzionale, la Consulta, con più conformi pronunce -Corte Cost., 25.05.1957, nn. 59 e 60; 21.03.1989, n. 143; 16.02.1993, n. 62; 24.02.1995, n. 63; 21.07.1995, n. 347- ha affermato la insussistenza di una “riserva di amministrazione” posto che la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l'esclusività delle pertinenti attribuzioni gestorie: è pur vero però che un penetrante sindacato, a monte sul potere istruttorio e di acquisizione dell’Amministrazione, finalizzato alla completa acquisizione di dati da ponderare compiutamente esiste e si giustifica se ed in quanto ci si trovi al cospetto di richieste palesemente ed abnormemente dilatorie.
La estrema ratio a fronte di una condotta riottosa e palesemente inconcludente, che nel caso de quo non è certamente riscontrabile (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.12.2013 n. 6105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - VARI: L'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di origine negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta, previo assolvimento dell'onere della prova di aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese a tal fine.
La concessione edilizia è stata chiesta ed ottenuta dal sig. Di N., sul presupposto che esso fosse il proprietario esclusivo del suolo sul quale sarebbe sorto l’edificio. La circostanza che la proprietà dell’edificio successivamente costruito sul suolo, sia caduta in comunione in ragione dell’applicazione dell’art. 177 Cc, non solo non è provata, ma è anche da escludere alla luce della giurisprudenza civile ed amministrativa, la quale ha affermato, al contrario, anche in questo caso, l’operatività del principio di accessione di cui all’art. 934 Cc, in forza del quale il proprietario del suolo acquista ipso iure la proprietà della costruzione su di esso edificata.
In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che “l'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di origine negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta, previo assolvimento dell'onere della prova di aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese a tal fine” (Cfr. Cassazione civile, sez. VI 03/07/2013, n. 16670; sez. II 30/05/2013, n. 13603; sez. I 30.09.2010, n. 20508; sez. II 03.04.2008, n. 8662; sez. I 14.04.2004, n. 7060; Cons. Stato Sez. V, 06.12.1993, n. 1253)
Essendo quindi, l’odierno opponente, un terzo presuntivamente creditore (ma neanche di questo, invero, v’è prova in atti) del titolare della concessione ad edificare, impugnata e poi annullata, è certamente da escludere la sua qualificazione quale controinteressato legittimato all’opposizione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.12.2013 n. 6103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diniego in materia paesaggistica difetta di motivazione laddove, nella fattispecie, per un verso, si fa riferimento sia a caratteristiche dei materiali utilizzati per la realizzazione del manufatto, genericamente definiti “inadeguati”, sia a caratteristiche estetiche delle forme del manufatto, definite “rozze”; per altro verso, si sottolinea la (mera) ubicazione dell’opera che contribuirebbe a renderne intollerabile la presenza.
Ambedue i profili richiamati, tuttavia, non contribuiscono a definire le ragioni ostative alla sanatoria, rappresentando essi, nel primo caso, mere valutazioni non circostanziate da elementi di fatto volti a supportare il giudizio negativo formulato; nel secondo caso, una semplice descrizione di luoghi, in relazione ai quali il concreto contrasto del manufatto non risulta reso evidente.

L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al primo motivo di impugnazione (sub a) dell’esposizione in fatto), con il quale si è lamentato il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in I grado.
Orbene, tale provvedimento si fonda sul parere reso dalla Commissione beni ambientali, secondo la quale il manufatto soggetto a sanatoria sarebbe realizzato “con forme rozze e materiali inadeguati per un contesto urbano” e tale aspetto negativo sarebbe reso vieppiù intollerabile dalla “posizione del manufatto”, tra vecchio edificio scolastico, chiesa di Sant’Antonio e la centrale via Roma, in modo tale da rendere “ancora più grave la presenza di esso”, acuendo il contrasto “tra esso e gli edifici che lo circondano”.
Il Collegio –ribaditi i limiti del sindacato giurisdizionale in ordine alle valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione, tali da evitare che il giudice invada il cd. “merito amministrativo”– ritiene, nel caso di specie, che il provvedimento impugnato effettivamente presenti il lamentato difetto di motivazione.
Ed infatti, per un verso, si fa riferimento sia a caratteristiche dei materiali utilizzati per la realizzazione del manufatto, genericamente definiti “inadeguati”, sia a caratteristiche estetiche delle forme del manufatto, definite “rozze”; per altro verso, si sottolinea la (mera) ubicazione dell’opera che contribuirebbe a renderne intollerabile la presenza.
Ambedue i profili richiamati, tuttavia, non contribuiscono a definire le ragioni ostative alla sanatoria, rappresentando essi, nel primo caso, mere valutazioni non circostanziate da elementi di fatto volti a supportare il giudizio negativo formulato; nel secondo caso, una semplice descrizione di luoghi, in relazione ai quali il concreto contrasto del manufatto non risulta reso evidente.
Tale difetto di motivazione è stato, peraltro, pur senza conseguenze -come rilevato anche dall’appellante- riscontrato dalla stessa sentenza impugnata, che sul punto ha rilevato:
- sia che i riferimenti alle forme rozze e ai materiali inadeguati, contengono “intrinsecamente elementi di imprecisione”;
- sia che i contrasti con i luoghi potrebbero essere, in concreto, “contrasti inesistenti” (pur non ritenendo gli stessi “connotazioni generiche”).
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto in relazione al primo motivo proposto (con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi), e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, in relazione al lamentato vizio di difetto di motivazione del provvedimento impugnato con il medesimo ricorso (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.12.2013 n. 6065 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La possibilità di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione, a scomputo dei contributi, è sempre condizionata al preventivo assenso comunale, avendo l’Amministrazione anche il potere di indicare il tipo e l’entità delle opere, le modalità di esecuzione e le relative garanzie.
La realizzazione di opere di urbanizzazione <a scomputo> è prevista dall’art. 16, comma 2, del DPR n. 380 del 2001, a mente del quale “a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’art. 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”.
La giurisprudenza maggioritaria interpreta il dato normativo nel senso che la possibilità di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione, a scomputo dei contributi, è sempre condizionata al preventivo assenso comunale, avendo l’Amministrazione anche il potere di indicare il tipo e l’entità delle opere, le modalità di esecuzione e le relative garanzie. A tale impostazione si è ispirata anche la Sezione (sentenze 14.09.2004, n. 3782 e 01.07.2010, n. 2252), con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce.
Nel caso di specie non vi è stata consenso del Comune di Calcinaia in ordine alla realizzazione delle opere a scomputo di cui alla domanda giudiziaria, il che preclude quindi la possibilità di porre a carico dell’Amministrazione il relativo onere economico. La pretesa di parte ricorrente (che chiede il rimborso di opere realizzate senza il consenso del Comune) contrasta peraltro con la condotta seguita nella medesima vicenda in precedenti ipotesi, nelle quali la società ricorrente aveva previamente ottenuto l’assenso dell’Amministrazione alla realizzazione delle opere di urbanizzazione (con riferimento al marciapiede e alla fognatura) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.12.2013 n. 1718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Laddove le parti controvertono in punto di sussistenza, nella fattispecie in esame, di elementi fattuali idonei a integrare il presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè <l’avvio dei lavori>, ovverosia si abbiano posizioni diverse sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>, in siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta certamente necessario, non potendosi seguire la difesa dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza] non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi per legge”.
Al contrario il contraddittorio procedimentale risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i presupposti per l’esercizio del potere.

Il Collegio ritiene di dover procedere al preliminare esame del terzo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente censura la gravata ordinanza per violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, cioè per mancata comunicazione di avvio del procedimento, necessaria in ipotesi in cui si contesta la sussistenza dei presupposti fattuali idonei a integrare i presupposti per l’emissione del provvedimento di decadenza.
La censura è fondata.
È significativo rilevare, ai fini dello scrutinio della presente doglianza, che le parti controvertono, come sopra rilevato, in punto di sussistenza, nella fattispecie in esame, di elementi fattuali idonei a integrare il presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè <l’avvio dei lavori>, in particolare avendo posizioni diverse sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>.
In siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta certamente necessario, non potendosi seguire la difesa dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza] non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi per legge”; al contrario il contraddittorio procedimentale risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i presupposti per l’esercizio del potere.
La gravata ordinanza, peraltro, non esclude la necessità partecipativa, ma afferma che la precedente ordinanza di sospensione dei lavori, la n. 9 del 2010, “aveva valore di comunicazione di garanzia nei confronti dell’interessato, onde consentire la partecipazione al procedimento tramite la presentazione di scritti difensivi e quanto altro”. Anche questa ricostruzione, tuttavia, non convince.
La richiamata ordinanza di sospensione n. 9 del 2010, infatti, non attiene in alcun modo al profilo di avvio dei lavori e del possibile maturarsi del termine di decadenza, ma enuncia la problematica della conformità del permesso di costruire rilasciato rispetto agli artt. 33 e 12 delle NTA del PRG del Comune di Montespertoli, sicché essa può valere come comunicazione di avvio di un procedimento di annullamento d’ufficio per illegittimità del titolo edilizio rilasciato, non già rispetto all’atto di decadenza qui gravato (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.12.2013 n. 1714 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio non ha motivo di dissentire dal consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa che ha ulteriormente ribadito nella decisione di ricorsi riguardanti il condono di abusi edilizi ricadenti sotto la disciplina della n. 724 del 1994, che riguardo alle opere realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono, operando diversamente il disposto degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 che ammette il condono stesso solo ove le opere abusivamente realizzate non siano in contrasto con i vincoli gravanti sull’area interessata dall’abuso, assoggettandolo così al parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
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Il parere della C.E.I. riportato nel provvedimento impugnato, lungi dall’essere di stile è, seppure succintamente, adeguatamente motivato sulle ragioni che ostano alla condonabilità laddove evidenzia “che il manufatto costituisce danno ambientale per l’eterogeneità dei materiali e le sue caratteristiche volumetriche che mal si inseriscono in un contesto paesaggistico collinare di elevato valore ambientale paesaggistico”.
Si tratta di un giudizio di disvalore che si basa sulla valutazione concreta delle caratteristiche costruttive dell’intervento edilizio.
Anche se può accadere –e di fatto spesso accade– che la connotazione relativa ai materiali utilizzati accomuni una vasta gamma di interventi abusivi, tanto che la motivazione adottata dall’autorità preposta alla tutela del vincolo si presenti spesso “stereotipata” per un gran numero di casi, siffatta circostanza trova giustificazione proprio nel fatto che i medesimi elementi pregiudizievoli del paesaggio sono, in effetti, riscontrabili in numerosi casi esaminati.
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La necessità di una motivazione più penetrante ed esaustiva si manifesta ineludibile proprio in caso di parere favorevole (piuttosto che di parere negativo) reso per modifiche del territorio che sono potenzialmente in conflitto con i vincoli di protezione ambientale che il relativo decreto impositivo del vincolo intende tutelare.
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L’eventuale esistenza di altri abusi eventualmente condonati pur avendo alterato l’originaria cornice ambientale per la quale è stato imposto il vincolo, non giustifica la tolleranza di ulteriori offese ai valori ambientali e quindi l’adozione di un (ulteriore) atto illegittimo.

Quanto al primo motivo il Collegio non ha motivo di dissentire dal consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa che ha ulteriormente ribadito nella decisione di ricorsi riguardanti il condono di abusi edilizi ricadenti sotto la disciplina della n. 724 del 1994, che riguardo alle opere realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono, operando diversamente il disposto degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 che ammette il condono stesso solo ove le opere abusivamente realizzate non siano in contrasto con i vincoli gravanti sull’area interessata dall’abuso, assoggettandolo così al parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex multis, TAR Puglia Bari, sez. II, 22.03.2011 n. 448; Consiglio Stato, Sez. IV, 22.07.2010 n. 4823).
Relativamente al secondo motivo, va detto che il parere della C.E.I. riportato nel provvedimento impugnato, lungi dall’essere di stile è, seppure succintamente, adeguatamente motivato sulle ragioni che ostano alla condonabilità laddove evidenzia “che il manufatto costituisce danno ambientale per l’eterogeneità dei materiali e le sue caratteristiche volumetriche che mal si inseriscono in un contesto paesaggistico collinare di elevato valore ambientale paesaggistico”. Si tratta di un giudizio di disvalore che si basa sulla valutazione concreta delle caratteristiche costruttive dell’intervento edilizio. Anche se può accadere –e di fatto spesso accade– che la connotazione relativa ai materiali utilizzati accomuni una vasta gamma di interventi abusivi, tanto che la motivazione adottata dall’autorità preposta alla tutela del vincolo si presenti spesso “stereotipata” per un gran numero di casi, siffatta circostanza trova giustificazione proprio nel fatto che i medesimi elementi pregiudizievoli del paesaggio sono, in effetti, riscontrabili in numerosi casi esaminati (cfr., ex plurimis, TAR Toscana, III, 18.01.2010 n. 43; TAR Toscana, III, 27.11.2006 n. 6052; TAR Toscana, I, 05.10.2006 n. 4228; TAR Toscana, III, 26.02.2002 n. 420).
In concreto parte ricorrente propugna una tesi interpretativa delle norme che regolano il procedimento relativo all’espressione del parere di compatibilità paesaggistica richiesto che si basa sull’inversione dell’obbligo di motivazione da parte dell’Autorità competente in caso di parere negativo. In realtà la necessità di una motivazione più penetrante ed esaustiva si manifesta ineludibile proprio in caso di parere favorevole reso per modifiche del territorio che sono potenzialmente in conflitto con i vincoli di protezione ambientale che il relativo decreto impositivo del vincolo intende tutelare (sul punto si richiamano: Cons. Stato, sez. VI, 09.03.2011, n. 1476; TAR Puglia - Bari, sez. III, 14.01.2011, n. 69; TAR Toscana, sez. III, 14.05.2010, n. 1473; Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5232; TAR Toscana, sez. III, 29.01.2009, n. 118; TAR Toscana, sez. III, 27.11.2006, n. 6052).
Quanto sopra rilevato esclude la fondatezza anche dei profili attinenti alla disparità di trattamento genericamente dedotta con riguardo ad un altro abuso asseritamente qualificato analogo.
Si può aggiungere per completezza che l’eventuale esistenza di altri abusi eventualmente condonati pur avendo alterato l’originaria cornice ambientale per la quale è stato imposto il vincolo, non giustifica la tolleranza di ulteriori offese ai valori ambientali e quindi l’adozione di un (ulteriore) atto illegittimo (cfr. TAR Toscana, III, n. 1952 del 2001 e n. 450 del 2012) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.12.2013 n. 1712 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La misura del vincolo idraulico varia a seconda che il corso d’acqua sia disciplinato dal r.d. n. 523/1904 oppure dalle disposizione sulle bonifiche di cui al r.d. n. 368/1904.
La disciplina delle fasce di rispetto delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua fonte normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n. 523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d. 523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri.

Scrive il T.S.A.P.: “La disciplina delle fasce di rispetto delle costruzioni dai corsi d'acqua trova la sua fonte normativa nell'art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 e nell'art. 96, lett. f), r.d. n. 523/1904.
Il r.d. n. 368/1904 si applica ai corsi d’acqua/canali facenti parte del sistema di bonifica, mentre il r.d. n. 523/1904 di applica i restanti corsi d’acqua.
Per i corsi d’acqua pertinenti alla bonificazione, l’art. 133, lett. a), r.d. n. 368/1904 prevede una distanza minima da 4 a 10 metri, secondo l’importanza del corso d’acqua.
Per i restanti corsi d’acqua l’art. 96, lett. f), r.d. 523/1904 prevede la distanza minima di dieci metri
“.
Nel caso del Comune contemplato nella sentenza solo un fiume rientra nel campo di applicazione del r.d. 523 del 1904, mentre tutti gli altri corsi d’acqua sono pertinenti alle bonifiche.
Nel caso specifico, il Comune aveva modificato le n.t.a. del P.R.G. e il Tribunale ha ritenuto le modifiche apportate conformi alla normativa statale di riferimento sopra citata (TSAP, sentenza 05.12.2013 n. 202 - tratto da e link a http://venetoius.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti pubblici: legittimo il divieto di esercitare la professione forense.
È legittima la normativa nazionale che prevede l’impossibilità per i dipendenti pubblici part-time di svolgere contemporaneamente la professione forense.
Così hanno deciso le Sezioni Unite civili, della Corte di Cassazione, con la sentenza 05.12.2013 n. 27266.
Nel caso all’esame della Corte, un dipendente del Ministero dei Trasporti a tempo parziale era iscritto dal 1997 nell’albo degli avvocati, in virtù della disposizione di cui all’articolo 1, comma 56, della Legge 23.12.1996, n. 662, che consentiva la doppia attività.
A seguito dell’entrata in vigore della Legge 25.11.2003, n. 339 di modifica della precedente, il ricorrente manifestava la sua intenzione di continuare a mantenere il rapporto di pubblico impiego, esercitando nel contempo anche la professione di avvocato.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza, ritenendo la sussistenza dell’incompatibilità, ordinava la cancellazione dell’impiegato dall’albo.
Il dipendente, soccombente avanti al Consiglio nazionale forense, ricorreva in Cassazione, sostenendo principalmente che la legge del 2003:
1. introduce un limite all’iscrizione nell’albo degli avvocati, ma non una sopravvenuta causa di incompatibilità;
2. comporta una lesione del principio di uguaglianza in quanto viene stabilito un divieto di svolgimento della professione forense non previsto per situazioni di maggiore rilevanza pubblicistica, quali l’espletamento delle funzioni di parlamentare o di ministro;
3. contrasta con il principio di ragionevolezza, tutela dell’affidamento e della concorrenza e del buon andamento della P.A.;
4. realizza la c.d. “discriminazione al contrario”, perché gli avvocati stabiliti o integrati in Italia non possono essere dipendenti pubblici, ma possono essere dipendenti di corrispondenti istituzioni pubbliche nello stato membro ove hanno acquisito la qualifica professionale di avvocato.
Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, si sono interrogate, in particolare, sulla possibilità di un’abrogazione tacita della Legge n. 339/2003 (quanto all’incompatibilità ivi sancita tra l’esercizio della professione di avvocato e l’impiego pubblico part-time) per effetto della normativa successiva (in particolare, D.l. 138/2011 e D.P.R. 137/2012), costituente ius supervenies.
La Suprema Corte ritiene di dover escludere l’intervenuta abrogazione per il rilievo decisivo che l’incompatibilità sancita dalla Legge 339/2003 “risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata.. in particolare la suddetta disciplina mira ad evitare un contrasto tra interesse privato del pubblico dipendente ed interesse della p.a. ed è volta a garantire l’indipendenza del difensore rispetto ad interessi contrastanti con quelli del cliente”.
Inoltre, come già rilevato dalla Corte Costituzionale, la disciplina in esame, avendo concesso ai dipendenti pubblici part-time già iscritti all’albo degli avvocati un primo periodo di durata triennale, onde esercitare l’opzione per l’uno o per l’altro percorso professionale e poi, ancora, un altro di durata quinquennale, in caso di espressa scelta in prima battuta della professione forense, ai fini dell’eventuale richiesta di rientro in servizio, soddisfa pienamente i requisiti di non irragionevolezza della scelta normativa sottesa alla Legge 339/2003.
Infine, gli eventuali effetti anticoncorrenziali della normativa in oggetto trovano la loro giustificazione alla luce del rilievo che essi costituiscono l’invitabile conseguenza della prioritaria esigenza di soddisfare l’interesse pubblico a difendere i valori fondamentali della professione di avvocato, quali i principi di indipendenza e integrità (link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocato non può divulgare fatti appresi nell’esercizio della professione.
L’art. 51 codice deontologico forense (assunzione di incarichi contro ex clienti) oltre a tutelare l’esigenza di non far conoscere all'esterno fatti personali, che l'avvocato difensore apprenda per ragioni legate all'esercizio della sua professione, impedisce all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o meno note all'opinione pubblica, comunque non possono essere rivelate da un soggetto tenuto al segreto professionale.
In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite civili, della Corte di Cassazione, nella sentenza 18.11.2013 n. 25795.
Nel caso all’esame della Suprema Corte, un avvocato aveva assistito un lavoratore, imputato, a distanza di anni, in un procedimento penale, in cui il professionista stesso difendeva ora il querelante. Durante il dibattimento, l’avvocato in questione aveva rivolto all’ex cliente una domanda sui fatti riferibili alla causa nella quale aveva prestato assistenza.
L’ex cliente, allora, aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati se tale condotta integrasse o meno l’illecito disciplinare, di cui all’art. 51 ut supra citato.
Il Consiglio dell’Ordine di appartenenza censurava l’avvocato per aver violato gli obblighi di segretezza, riservatezza, correttezza e fedeltà propri dell’attività forense, in quanto la domanda rivolta all’ex cliente durante il processo penale aveva il precipuo scopo di denigrarlo, utilizzando fatti conosciuti a causa della difesa precedentemente svolta (seppur già divulgati dagli organi di stampa).
Il Consiglio Nazionale Forense confermava la decisione, sostituendo la sanzione della censura con quella meno grave dell'avvertimento, sulla base del rilievo che la diffusione della notizia del licenziamento a mezzo stampa aveva determinato una riduzione dell’offensività della condotta.
A questo punto, l’avvocato proponeva ricorso per cassazione, lamentando, in particolare, la genericità del capo d’incolpazione, con conseguente lesione del diritto di difesa, “perché in esso si faceva riferimento ai fatti del 2002, mentre in quell'anno egli aveva prestato la propria attività defensionale … in due cause”.
Osservano le Sezioni Unite, però, che, come la Corte stessa ha avuto modo di chiarire in altre pronunce in materia, “nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense, la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l'illecito, essendo, invece, sufficiente che l'incolpato, con la lettura dell'imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli”.
Inoltre, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, già espresso dal CNF nel provvedimento impugnato, che fa divieto all'avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta informazioni apprese nell’esercizio della professione, ancorché già divulgate dagli organi di stampa (link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 23.12.2013

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dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

PUBBLICO IMPIEGO: R. Lasca, IL DIPENDENTE PUBBLICO “COLLAUDATORE” REMUNERATO AGGIUNTIVAMENTE DALLA PROPRIA P.A. DATORIALE O DA ALTRA P.A. - Quando e quali compensi spettano esattamente e quale regime pubblicitario vige sulla sezione Amministrazione trasparente ex D.Lgs. 33/2013? (01.12.2013).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Indicazioni agli operatori economici per l’utilizzo del sistema AVCPASS di cui alla deliberazione n. 111 del 20.12.2012 (Presidente dell’Autorità, comunicato 16.12.2013 - link a www.avcp.it).
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Il prossimo 01.01.2014 è previsto l’avvio, in regime di obbligatorietà, del sistema AVCPASS nelle modalità previste dalla deliberazione del Consiglio dell’Autorità n. 111 del 20.12.2012 e s.m.i.
Il comunicato fornisce indicazioni agli operatori economici per l’utilizzo del sistema AVCPass.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: MATERIALI DA SCAVO - PROCEDURE SEMPLIFICATE INTRODOTTE DAL “DECRETO DEL FARE” DAL 21.08.2013 - MODULISTICA PREDISPOSTA DA ANCE LOMBARDIA (20.12.2013 - link a www.ancebrescia.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Istruzioni per la Valutazione Affidabilistica della Sicurezza Sismica di Edifici Esistenti (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Commissione di studio per la predisposizione e l'analisi di norme tecniche relative alle costruzioni, 10.10.2013).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Determinazione, per l’anno 2014 dei canoni da porre a base d’asta per l’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica mediante escavazione di materiale inerte dagli alvei dei corsi d’acqua" (decreto D.G. 19.12.2013 n. 12450).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Settimo aggiornamento 2013 dell’elenco degli enti locali idonei all’esercizio delle funzioni paesaggistiche (l.r. 12/2005, art. 80)" (deliberazione G.R. 17.12.2013 n. 12301).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 23.12.2013, "Approvazione delle modalità per la presentazione telematica delle domande per il riconoscimento della figura di tecnico competente in acustica ambientale" (decreto D.S. 17.12.2013 n. 12284).

INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 20.12.2013 n. 298 "Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria" (Ministero della Giustizia, decreto 31.10.2013 n. 143).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: G.U. 20.12.2013 n. 298 "Modalità per la pubblicazione dello scadenzario contenente l’indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti, ai sensi del comma 1 -bis dell’articolo 12, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33" (D.P.C.M. 08.11.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 19.12.2013, "Direttiva per l’individuazione degli agglomerati, ai sensi dell’art. 44 comma 1, lettera c), della l.r. 12.12.2003 n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche" (deliberazione G.R. 12.12.2013 n. 1086).

PATRIMONIO: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 18.12.2013, "Approvazione iniziativa anno 2014 per l’accesso ai contributi in conto capitale a fondo perduto per la riqualificazione delle palestre scolastiche di uso pubblico esistenti" (decreto D.S. 13.12.2013 n. 12217).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 17.12.2013, "Approvazione della modulistica per la presentazione della richiesta di autorizzazione unica (AU) per la costruzione, installazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili di cui al punto 3.5 della d.g.r. 3298/2012" (decreto D.S. 06.12.2013 n. 11674).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 51 del 16.12.2013, "Individuazione della data per lo svolgimento della Giornata del verde pulito 2014 (l.r. 14/1991, art. 1)" (decreto P.G.R. 11.12.2013 n. 12052).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 16.12.2013 n. 294 "Regolamento concernente specifiche procedure autorizzative, con tempistica accelerata ed adempimenti semplificati, per i casi di realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili in sostituzione di altri impianti energetici, anche alimentati da fonti rinnovabili" (Ministero dello Sviluppo Economico, decreto 09.10.2013 n. 139).

APPALTI: G.U.U.E. 14.12.2013 n. L 335/17 "REGOLAMENTO (UE) N. 1336/2013 DELLA COMMISSIONE del 13.12.2013 che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti".

ENTI LOCALI - PATRIMONIO: G.U. 14.12.2013 n. 293 "Testo del decreto-legge 15.10.2013, n. 120, coordinato con la legge di conversione 13.12.2013, n. 137, recante: «Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione»".
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Di particolare interesse, si legga:
Art. 2-bis - Facoltà di recesso delle pubbliche amministrazioni da contratti di locazione

VARI: G.U. 13.12.2013 n. 292 "Modifica del saggio di interesse legale, con decorrenza dall'01.01.2014" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 12.12.2013).
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La misura del saggio degli interessi legali di cui all’articolo 1284 del codice civile è fissata all’1 per cento in ragione d’anno, con decorrenza dall'01.01.2014.

AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 12.12.2013, "Approvazione del programma di interventi di manutenzione straordinaria nelle aree protette regionali e di conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nei siti di rete natura 2000. Biennio 2014/2015" (deliberazione G.R. 05.12.2013 n. 1030).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013, "Modalità procedurali per l’approvazione e l’autorizzazione dei progetti di bonifica dei siti contaminati che prevedano opere sottoposte a valutazione di impatto ambientale (VIA) e a verifica di assoggettabilità a VIA, di cui agli allegati A e B della l.r. 5/2010, in ottemperanza al comma 2 dell’art. 32 della l.r. 7/2012" (deliberazione G.R. 05.12.2013 n. 1048).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013, "Adozione delle misure di conservazione relative ai siti di interesse comunitario e delle misure sito-specifiche per 46 siti di importanza comunitaria (SIC), ai sensi del d.p.r. 357/97 e s.m.i. e del d.m. 184/2007 e s.m.i." (deliberazione G.R. 05.12.2013 n. 1029).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 10.12.2013, "Pubblicazione ai sensi dell’articolo 5 del regolamento regionale 21.01.2001, n. 1, dell’elenco dei tecnici competenti in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 30.11.2013, in attuazione dell’articolo 2, commi 6 e 7, della legge 26.10.1995, n. 447 e della deliberazione di Giunta regionale 06.08.2012, n. IX/3935" (comunicato regionale 05.12.2013 n. 142).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 10.12.2013 n. 289 "Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate" (D.L. 10.12.2013 n. 136).
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Di particolare interesse, si legga:
Art. 3 - Combustione illecita di rifiuti

APPALTI SERVIZI: Costo orario dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali per il settore pubblico, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale FEDERAMBIENTE, e per il settore privato, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale ASSOAMBIENTE- Sezione Rifiuti Urbani, a valere dai mesi di luglio e di ottobre 2013 (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, decreto 22.11.2013).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: A. De Mestria, Le energie rinnovabili (SOMMARIO: 1. Le fonti. 2. Il conflitto d’interessi tra proprietà privata e tutela paesaggistica. 3. Proprietà, impresa e fiscalità) (16.12.2013 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: L. M. Musso, Occupazione appropriativa, occupazione acquisitiva e accessione invertita: la fine di un'epoca (11.12.2013 - link a www.diritto.it).

VARI: A. Concas, L’Usucapione, caratteri e disciplina giuridica (09.12.2013 - link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Mantraga, E’ illegittimo il diniego di trasferimento ex L. 104/1992 se l’amministrazione non motiva in ordine all’asserita assenza del requisito della indisponibilità all’assistenza da parte di altri familiari (09.12.2013 - link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Zambelli, Licenziamento per il lavoratore che viola il diritto alla riservatezza (Guida al Lavoro n. 48/2013 - tratto da http://static.ilsole24ore.com).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI: Oggetto: Nuove soglie comunitarie per gli appalti pubblici dall'01.01.2014 (ANCE Bergamo, circolare 20.12.2013 n. 278).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Modifiche in tema di appalti pubblici introdotti dal cosiddetto “decreto del fare”. Specificazioni (ANCE Bergamo, circolare 20.12.2013 n. 277).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: OGGETTO: Impianti fotovoltaici – Profili catastali e aspetti fiscali (Agenzia delle Entrate, circolare 19.12.2013 n. 36/E).
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Pannelli solari: ecco la circolare che mette accordo tra fisco e catasto.
Tra la vasta casistica affrontata dal documento di prassi, specifica attenzione è rivolta al trattamento tributario delle tariffe incentivanti previste dal V Conto Energia.
L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 36/E del 19 dicembre, fa il punto sugli impianti per la produzione di energia fotovoltaica, focalizzandosi, in particolare, sulle conseguenze che derivano in materia catastale e tributaria a seconda della qualificazione degli stessi come beni mobili o immobili.
In via preliminare, per quanto riguarda i profili catastali, l’odierno documento di prassi evidenzia come, ai fini del censimento in catasto, non assume rilievo esclusivo la facile amovibilità delle componenti degli impianti fotovoltaici, né la circostanza che possano essere posizionate in altro luogo mantenendo inalterata la loro originale funzionalità e senza antieconomici interventi di adattamento (circolare n. 4/T del 2006).
Dal punto di vista fiscale, invece, il requisito dell’amovibilità ai fini della qualificazione degli impianti fotovoltaici come beni mobili è essenziale (circolari n. 46/E del 2007 e n. 38/E del 2008).
Tale diversa impostazione ha pertanto reso opportuno un intervento per dirimere le incertezze degli operatori. (... continua) (link a www.fiscooggi.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: OGGETTO: Interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 – Imposta di bollo nell'ambito del Mercato elettronico della Pubblica amministrazione (Agenzia delle Entrate, risoluzione 16.12.2013 n. 96/E).
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Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Mercato elettronico della PA, forniture digitali con bollo.
Sono da assoggettare a imposta di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori della pubblica amministrazione sulla piattaforma del MEPA.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 96/E/2013.
La risoluzione risponde a un’istanza di interpello in merito al corretto trattamento tributario applicabile, ai fini dell’imposta di bollo, ai documenti di offerta e accettazione per l’approvvigionamento di beni e servizi scambiati tra Enti e fornitori all’interno del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA).
La società istante, nel dettaglio, ritenendo lo scambio telematico tra le due parti non equiparabile alla conclusione di un vero e proprio contratto riteneva che i documenti in parola potessero essere ricondotti nell’ambito di applicazione dell’art. 24 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972 (nel novero degli atti sotto forma di corrispondenza, dispacci telegrafici, ecc.) con conseguente assoggettamento a imposta di bollo solo in caso d’uso.
Di diverso avviso l’Agenzia delle entrate, secondo la quale gli accordi in questione sono equiparabili a una scrittura privata, da assoggettare a imposta di bollo ai sensi dell’art. 2 della Tariffa, parte prima.
Occorre evidenziare, infatti, che nel MEPA possono accedere, oltre alle pubbliche amministrazioni, esclusivamente aziende fornitrici che siano state previamente abilitate a presentare i propri beni o servizi, offerti sul sistema in forma di cataloghi. Secondo la risoluzione pertanto, i fornitori abilitati formulano, anche a seguito di specifiche richieste da parte della pubblica amministrazione, delle offerte pubbliche di beni e servizi. A seguito della presentazione di tali offerte, la pubblica amministrazione individua quella che risulta conforme alle proprie richieste, procedendo alla conclusione del contratto, tramite apposito “documento di stipula”. E tale documento, benché recante la sola firma digitale dell’amministrazione, può ritenersi sufficiente ad instaurare il rapporto contrattuale, non essendo la controparte tenuta a manifestare ulteriormente la propria volontà in tal senso.
Infine, la risoluzione ricorda che l’imposta assolta in relazione a tale documento potrà essere addebitata al soggetto che presenta l'offerta.
A pagare il bollo sarà dunque il fornitore aggiudicatario, il quale è responsabile del corretto assolvimento del tributo, come previsto dall’art. 53 del Regolamento sul sistema di e-procurement della Pubblica Amministrazione.
Non scontano l’imposta di bollo, infine, le offerte economiche presentate dagli operatori che non siano seguite dall’accettazione da parte della PA (commento tratto da www.ipsoa.it).
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PA: non evitano l’imposta di bollo le forniture tramite mercato digitale.
Gli scambi di documenti elettronici tra le parti confermano il rapporto contrattuale e si concludono con la stipula di un contratto che ha valore di scrittura privata.
Pagano l’imposta di bollo i documenti di offerta e accettazione, redatti in formato elettronico, scambiati tra enti e fornitori all’interno del Mercato elettronico della pubblica amministrazione (Mepa) per l’approvvigionamento di beni e servizi.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 96/E del 16 dicembre, a una società che ritiene lo scambio telematico tra le due parti non equiparabile alla conclusione di un vero e proprio contratto, perché sul documento conclusivo compare soltanto la firma digitale di chi lo ha emesso, mentre manca la firma della controparte.
Questa circostanza, secondo l’interpellante, farebbe ricadere l’atto non tra quelli indicati nell’articolo 2 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642/1972, che stabilisce l’applicazione dell’imposta di bollo per le “Scritture private contenenti convenzioni o dichiarazioni anche unilaterali con le quali si creano, si modificano, si estinguono, si accertano o si documentano rapporti giuridici di ogni specie, descrizioni, constatazioni e inventari destinati a far prova tra le parti che li hanno sottoscritti”, ma tra quelli del successivo articolo 24 della tariffa, parte seconda, per i quali il tributo è previsto solo in caso d’uso, ossia gli “Atti e documenti di cui all'articolo 2 redatti sotto forma di corrispondenza o di dispacci telegrafici, ancorché contenenti clausole di cui all' articolo 1341 del codice civile”. (... continua) (link a www.fiscooggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Rendimento energetico in edilizia - Attestato di Prestazione Energetica (APE) - Studio n. 657-2013/C a cura del Consiglio Nazionale del Notariato (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, nota 06.12.2013 n. 13132 di prot.).

VARI: Oggetto: Obbligo di catene o pneumatici da neve su strade di competenza della Provincia di Bergamo (ANCE Bergamo, circolare 13.12.2013 n. 267).

SICUREZZA LAVORO: Oggetto: Uso di scale a pioli nelle attività di cantiere (ANCE Bergamo, circolare 13.12.2013 n. 266).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Relazione del responsabile della prevenzione della corruzione - chiarimenti (12.12.2013 - link a www.funzionepubblica.gov.it).

ENTI LOCALI: Oggetto: Provvedimenti inerenti le gestioni associate (ANCI Veneto, nota 11.12.2013 n. 3503 di prot.).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: interpello ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 124/2001 – D.M. 24.10.2007 – cause ostative (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello 11.12.2013 n. 33/2013).
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Rispondendo a una richiesta di interpello avanzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, il Ministero ha precisato che, in presenza di violazioni definitivamente accertate, l’impresa non può ottenere il DURC per il godimento di benefici normativi e contributivi per un periodo di tempo fino a 24 mesi e che tale periodo decorre dal momento in cui gli illeciti sono definitivamente accertati con sentenza passata in giudicato o con ordinanza ingiunzione non impugnata.
Una volta esaurito il periodo di non rilascio del DURC l’impresa potrà tornare a godere dei benefici normativi e contributivi, compresi quelli di cui è ancora possibile fruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali (commento tratto da www.lavoro24.ilsole24ore.com).

TRIBUTI: OGGETTO: Esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per il cd “magazzino” delle imprese edili. Quesito (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze, Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale, risoluzione 11.12.2013 n. 11/DF).

APPALTI: Contratto pubblico di appalto in modalità elettronica: proposta di Intesa.
La Conferenza delle Regioni in relazione al Contratto pubblico di appalto in modalità elettronica ha approvato, nella riunione del 05.12.2013, un proposta di intesa Governo-Regioni-ANCI.
Tale documento è stato consegnato al Governo in occasione della discussione in Conferenza Unificata dell’Intesa sulle modalità di stipula dei contratti pubblici conclusi ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legge 18.10.2012, n. 179, convertito dalla legge 17.12.2012 n. 221 (tratto da www.regioni.it).
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La disposizione di cui all’articolo 11, comma 13, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 così come modificata dall’articolo 6 del decreto legge 18.10.2012 n. 179, stabilisce che a partire dal 01.01.2013 "Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Il presente documento è finalizzato ad offrire alle pubbliche amministrazioni indicazioni per affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture.
A fini di inquadramento è opportuno evidenziare come il contratto stipulato in modalità elettronica sia riconducibile ai concetti più generali di documento informatico, di cui al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 Codice dell’Amministrazione Digitale ed alle relative regole tecniche in corso di emanazione.
Il contratto stipulato in modalità elettronica è formato tramite l’utilizzo di appositi strumenti software oppure tramite acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un contratto cartaceo.
Le indicazioni contenute nel presente documento possono essere adottate anche per la stipula di accordi fra amministrazioni di cui all’art. 15 L. 241/1990. (... continua)
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Obbligo dei contratti d’appalto in modalità elettronica: arrivano le linee guida su come operare.
L’articolo 11, comma 13, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti, come modificato dal D.L. 179/2012) stabilisce che dall'01.01.2013 i contratti d’appalto debbano essere stipulati, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero in modalità elettronica secondo le norme vigenti.
Con circa un anno di ritardo rispetto alla scadenza, la Conferenza unificata nella seduta del 05.12.2013 ha definito le modalità di stipula dei contratti elettronici con apposite linee guida.
Il documento fornisce le indicazioni per affrontare i diversi aspetti operativi e organizzativi derivanti dalla stipula in modalità elettronica dei contratti pubblici relativi ad appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture.
Secondo le nuove regole, il contratto deve essere generato tramite l’uso di software o attraverso l’acquisizione informatica del contratto cartaceo su supporto informatico.
Il contratto stipulato in modalità elettronica deve assumere le caratteristiche di integrità e immodificabilità, in modo che forma e contenuto non siano alterabili e ne sia garantita l’integrità nella fase di conservazione.
Le tipologie di firma elettronica da utilizzare sono:
la firma digitale
la firma elettronica qualificata
la firma elettronica avanzata
Per garantire l’interoperabilità, l’accesso e la leggibilità dei documenti elettronici, i documenti dovranno essere preferibilmente in uno dei seguenti formati:
pdf
rtf
txt
jpeg
xml
Vengono, inoltre, fornite indicazioni in merito a:
firma digitale del pubblico ufficiale rogante
firme elettroniche qualificate e digitali
acquisizione digitale della sottoscrizione autografa
atto pubblico amministrativo a mezzo Ufficiale Rogante
scritture private autenticate
scrittura privata
aggregato documentale informatico (12.12.2013 - commento tratto da www.acca.it).

COMPETENZE PROGETTUALIOggetto: Sentenza TAR Veneto n. 1312//2013, Ordine Ingegneri Verona c/Comune Torri del Benaco e nei confronti Collegio Geometri Verona - Deliberazione comunale n. 96, 09.07.2012 (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri e Geometri Laureati, nota 28.11.2013 n. 12759 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Registrazione contratti di locazione a seguito dell’introduzione dell’obbligo di allegazione dell’Attestato di prestazione energetica (APE) (Agenzia delle Entrate, risoluzione 22.11.2013 n. 83/E).
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Attestato di prestazione energetica senza bollo né registro
Niente bollo né imposta di registro sull'Attestato di prestazione energetica (Ape), che dal 2013 va allegato obbligatoriamente agli atti di trasferimento a titolo gratuito e ai contratti di vendita e di locazione di immobili.

Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 22.11.2013 n. 83/E scorso, che risponde ai dubbi dei contribuenti sul regime tributario da applicare all’Attestato al momento della registrazione dei contratti di affitto. La registrazione può avvenire in formato cartaceo presso un ufficio dell’Agenzia, oppure per via telematica, tramite le applicazioni online Locazioni web, Siria e Iris.
L’attestato di prestazione energetica, allegato in originale o in copia semplice, non è soggetto a imposta di bollo, eccetto il caso in cui si tratti di una copia con dichiarazione di conformità all’originale rilasciata da un pubblico ufficiale. L’imposta di registro, infine, è dovuta solo nel caso in cui, dopo aver registrato il contratto di locazione, il contribuente decide di registrare l’Ape per dare data certa all’attestato (commento tratto da www.agenziaentrate.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: D.Lgs. n. 42/2004 - art. 146 - parere tardivo della Soprintendenza e autorizzazione paesaggistica (Mibac, Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte Contemporanea, circolare 07.12.2011 n. 27).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: D.L. n. 70 del 2011 - Modifiche al procedimento di autorizzazione paesaggistica (Mibac, Segretariato Generale, circolare 19.09.2011 n. 27).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: La Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali – a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica.
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Il Sindaco del Comune di Campagna Lupia (VE), formula a questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, in particolare:
- “se il riferimento ad "un atto di pianificazione" contenuto al comma 6 dell'art. 92 è da intendersi limitato agli atti che abbiano ad oggetto la pianificazione collegata alla realizzazione di opere pubbliche (es. varianti per la localizzazione di un'opera) con esclusione, quindi, degli atti di pianificazione generale quali il Piano di Assetto del Territorio e il Piano degli Interventi di cui alla L.R. 11/2004”;
- “se il Piano degli Interventi di cui alla L.R. 11/2004 art. 17, dovendosi rapportare con il Bilancio Pluriennale Comunale, con il programma triennale delle opere pubbliche e con altri strumenti comunali settoriali previsti da leggi statali e regionali, nonché prevedendo al suo interno l'individuazione di ambiti destinati ad opere pubbliche a seguito di accordi pubblico/privato e di accordi di programma di cui agli artt. 6 e 7 della medesima legge, possa essere comunque considerato oggetto di pianificazione collegato alla realizzazione di opere pubbliche”;
- “se l'attività di redazione di un Piano di cui alla L.R. 11/2004 (Piano di Assetto del Territorio - Piano degli Interventi) possa essere affidata in parte al personale interno e in parte attribuita all'esterno riducendo proporzionalmente il premio incentivante attribuito ai dipendenti.”
A tal fine il legale rappresentante del comune premette che: “L'art. 92 del decreto legislativo 12/04/2006 n. 163 con riferimento all'incentivo al personale per la progettazione interna, al comma 6 disciplina tale incentivo con riferimento agli atti di pianificazione, disponendo solamente che "Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto".
Con deliberazione n. 337/2011/PAR codesta Corte ha sottolineato la presenza dell'aspetto urbanistico degli "atti di pianificazione" citati dalla norma in questione: "come nell'individuazione, scaturente dalla formulazione della norma, dei soggetti potenzialmente beneficiari dell'incentivo, puntualmente remunerati in materia di lavori pubblici, in materia urbanistica si ha invece un impreciso e generico riferimento ai "dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che .... abbiano redatto"... "un atto di pianificazione comunque denominato" nonché "la maggiore complessità che appare, come detto, nella valutazione del legislatore, superiore nel caso di pianificazione urbanistica rispetto a quella di progettazione di opera pubblica".
In base a recenti pareri di altre Sezioni della Corte dei Conti (Puglia n. 1/2012, Lombardia n. 72 e n. 452/2012, Toscana n. 213/2011, Piemonte n. 290/2012) sembrerebbe che l'applicazione della possibilità di premio relativa "alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato" sia esclusiva al solo settore dei lavori pubblici, escludendo le attività pianificatorie non attinenti alla progettazione di opere pubbliche
”.
...
4. Conclusivamente
la Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali – a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica
(Corte dei Conti, Sez. controllo veneto, parere 03.12.2013 n. 382).

INCENTIVO PROGETTAZIONELa Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali – a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica.

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Il Sindaco del Comune di Bassano del Grappa (VI), formula a questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
In particolare si chiede “se l'attività di pianificazione (pianificazione urbanistica (P.A.T., P.I., P.A.T.I.) e relative varianti ovvero atti di pianificazione come il piano del traffico urbano, il piano acustico comunale, il piano di illuminazione pubblica, progetti di accordo pubblico-privato di rilevante interesse pubblico da recepire nello strumento urbanistico ex art. 6 L.R.V. n. 11/2004, atti tutti ultimi citati di pianificazione comunque denominata che si contemperano e si integrano con la pianificazione urbanistica generale) debba essere direttamente ed immediatamente collegata alla progettazione e realizzazione di una puntuale opera pubblica o di rilevante interesse pubblico; o se, invece, l'attività di pianificazione può essere ricondotta alla progettazione e realizzazione, in via generale ed astratta, "anche" di opere pubbliche o di rilevante interesse pubblico in via mediata ed in una prospettiva prodromica e funzionale alle stesse, così assolvendo alla sua tipica funzione di pianificazione complessa, variegata e multidisciplinare necessariamente futura e generale del tessuto urbano che contempla, quindi, anche lavori e opere pubbliche.
In quest'ultimo senso, difatti, sì è espressa anche I'AVCP con parere 21.11.2012 n. 22 (AG 22/12) con il quale ha sostenuto l'inerenza, sia pure in forma mediata, alle opere ed impianti pubblici della pianificazione urbanistica” (…..…) ”Se, infatti, la ratio della norma in oggetto è quella di incentivare i dipendenti pubblici a svolgere attività di progettazione interna agli uffici attinente alla realizzazione di opere pubbliche (art. 92, comma 5) e ad atti di pianificazione (art. 92, comma 6); di valorizzare la complessità e diretta redazione di tali atti quale maggior valore aggiunto e di carattere aggiuntivo rispetto all'ordinaria attività d'ufficio; di diminuire i costi di detta progettazione auspicando quindi prima il ricorso al personale interno e solo dopo a professionisti esterni; che, quindi, in definitiva, la ratio della norma è quella di valorizzare, premiandolo, il valore aggiunto e la professionalità del personale interno realizzando nel contempo economie di spesa, visto che l'affidamento all'esterno sarebbe maggiormente oneroso. Allora, se è vero quanto sopra, nelle ipotesi delineate dovrebbe essere legittimo, previo incarico aggiuntivo, corrispondere al personale interno tale incentivo
”.
In definitiva, si chiede “se l'incarico di redazione di atti di pianificazione comunque denominati (pianificazione urbanistica (P.A.T., P.I., P.A.T.1.) e relative varianti ovvero atti di pianificazione come il piano del traffico urbano, il piano acustico comunale, il piano di illuminazione pubblica, progetti di accordo pubblico-privato di rilevante interesse pubblico da recepire nello strumento urbanistico ex art. 6 L.R.V. n. 11/2004, atti questi ultimi di pianificazione comunque denominata che si contemperano e si integrano con la pianificazione urbanistica generale) costituisce deroga al principio generale della onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti pubblici e pertanto se può essere incentivato ai sensi dell'art. 92, comma 6.
...
4. Conclusivamente
la Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali – a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica - non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica
(Corte dei Conti, Sez. controllo veneto, parere 03.12.2013 n. 381).

INCENTIVO PROGETTAZIONELa Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali –a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica- non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica.

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Il Sindaco del Comune di Dueville (VI), formula a questa Sezione una richiesta di parere, ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
Nello specifico si chiede “quali atti di pianificazione urbanistica possano essere oggetto di attribuzione dell'incentivo di cui all'art. 92, comma 6, del Codice dei contratti pubblici e, in particolare, se possano essere compresi atti diversi da quelli "intimamente connessi" alla realizzazione di opere e lavori pubblici.
Il Sindaco premette che “sulla corretta applicazione della disposizione di cui all'art. 92, comma 6, del Codice dei contratti, in merito alla previsione incentivante la progettazione urbanistica, si è formato nel tempo un contrasto interpretativo:
- Secondo una tesi più restrittiva, è stata esclusa la possibilità di riconoscere l'incentivo alla progettazione urbanistica ex se, dovendo concorrere -insieme alla redazione dell'atto di pianificazione- requisito ulteriore individuato nella "intima connessione” tra lo strumento urbanistico in corso di formazione e la realizzazione di un'opera pubblica, per cui l’incentivo spetta all'Ufficio solo ove sussista progettazione finalizzala alla costruzione dell'Opera pubblica progettata e, quindi, il diritto all'incentivo sussiste solo per l'attività di redazione interna della variante puntuale propedeutica all'approvazione dell'opera pubblica, non invece in ipotesi di variante generale allo strumento urbanistico o territoriale (cfr. ex plurimis, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, delibera n. 290/2012/SRCPIE/PAR del 29.08.2012; Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera n. 452/2012/PAR del 23.10.2012 e delibera n. 72/2013/PAR del 26.02.2013);(…..)
- Secondo altra ricostruzione, invece, viene affermata l’applicabilità dell’art. 92, comma 6, del Codice dei contratti alle attività di pianificazione "comunque denominata", a prescindere dalla natura (puntuale o generale) dello strumento in corso di formazione (cfr. Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, deliberazione 21.11.2012, AG22/2012). Anche taluni pronunciamenti delle Sezioni regionali della Corte dei Conti si sono espressi in senso non difforme dall'AVLP: tra le altre, codesta ill.ma Sezione di controllo per il Veneto, con deliberazione n. 337/2011/PAR del 25.07.2011, ha ritenuto che “(….) il comma 6 (…) (dell’art. 92 del Codice, n.d.r.) ha una valenza ben più ampia, esprimendo la qualificazione operata dalla vigente normativa dell’attività di pianificazione urbanistica e la similitudine con la progettazione di lavori pubblici (…)”. (…). In conclusione, secondo l'orientamento ora richiamato, la redazione di uno strumento urbanistico o di una variante fa sorgere il diritto all'incentivo anche ove non puntuale, anche se non strumentale alla sola realizzazione di una singola opera pubblica.
- Sul contrasto interpretativo si è espressa recentemente anche l'ANCI della Regione Toscana che, in un documento del 20.06.2013, ha ritenuto che concorrenti e sostanziali ragioni inducono a fondare, nell'art. 92, comma 6, D.lgs. 163/2006 il diritto del pubblico dipendente che ha redatto l'atto a compartecipare, secondo i criteri e le modalità stabilite nella fonte regolamentare locale, all'incentivo per la progettazione Urbanistica o territoriale prestata, anche ove di carattere non puntuale: in questo senso inducono, inequivocabilmente, la ratio legis, l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, l'evoluzione della previsione legislativa e l'esame dei lavori preparatori, nonché -non per ultime- evidenti ragioni sistematiche concernenti la straordinarietà dell'impegno conseguente all'affidamento interno dell'incarico di progettazione urbanistica generale”.
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4. Conclusivamente
la Sezione ritiene che la previsione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 contenga una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività. La norma introduce quindi una previsione derogatoria autonoma e distinta rispetto a quella contenuta nel comma 5, ricavabile da numerosi fattori.
Tale conclusione è avvalorata, in particolare, sia dalla analisi dell’evoluzione storica della norma che dalla verifica della sua trasposizione nel corpus del codice dei contratti.
Essa trova conferma altresì nella esplicita previsione testuale della norma (atto di pianificazione comunque denominato), nonché dalla previsione di una diversa commisurazione del compenso rispetto a quanto previsto in tema di progettazione di opere pubbliche.
L’oggettiva e dimostrata maggiore complessità delle funzioni di pianificazione trova una sua esplicitazione a livello normativo nella documentazione che viene allegata alle varianti agli strumenti urbanistici rispetto alle modifiche puntuali di essi connesse alla progettazione delle opere pubbliche.
Tali attività di elaborazione sono pertanto di uno scrutinio comparativo alla luce dei principi dell’ordinamento e in particolare di ragionevolezza e di quelli enunciati all’art. 36 della Costituzione.
Anche sul piano soggettivo, le mansioni di pianificazione generali –a differenza di quelle di progettazione di opera pubblica- non sono ascrivibili alla specifica competenza di un solo soggetto, ma richiedono una attività multidisciplinare, che non potrebbe trovare deroga alcuna attese le tassatività delle competenze professionali stabilite dalla legge. Peraltro, esse richiedono comunque una intensa attività di coordinamento che trova esplicita conferma testuale nella norma del comma 6 nel rinvio alle modalità e criteri del regolamento di cui al comma precedente.
La stessa commisurazione del compenso, in modo sensibilmente diverso rispetto a quella di progettazione dell’opera pubblica, dimostra come l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica
(Corte dei Conti, Sez. controllo veneto, parere 03.12.2013 n. 380).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Società operante in procedura semplificata nel settore del recupero dei rifiuti.
Domanda
Sono il legale rappresentante di una società che gestisce un impianto di recupero che opera in procedura semplificata per la formazione di rilevati e sottofondi stradali.
Di recente la provincia ha emanato alcuni provvedimenti con i quali ha sostenuto che gli aggregati riciclati derivanti da impianti operanti in procedura semplificata possono essere utilizzati esclusivamente come materia prima secondaria per l'edilizia e non per la formazione di rilevati e sottofondi stradali.
Questa presa di posizione determina un grave danno per la mia impresa: è corretta questa interpretazione?
Risposta
No, l’interpretazione fornita dalla provincia non è corretta, e il provvedimento nel quale è contenuto può essere dichiarato illegittimo.
Di recente una questione analoga è stata affrontata dal TAR di Milano, che con un’ordinanza ha accolto la richiesta di alcune società, come la Sua operanti in procedura semplificata nel settore del recupero dei rifiuti, che hanno impugnato innanzi al GA un analogo atto della provincia, che nei fatti ha impedito l’utilizzo degli aggregati riciclati per la formazione di rilevati e sottofondi stradali. Il TAR ha affermato che tali provvedimenti si fondano su una normativa (DM 05.02.1998) dalla quale non emerge una differenza rigorosa tra recupero dei materiali che devono essere utilizzati per l’edilizia e quelli per la formazione di sottofondi stradali, mentre è evidente la sostanziale irragionevolezza nel discriminare:
a) la messa in riserva per la produzione di materie prime secondarie per l’edilizia;
b) l’utilizzo per la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali e ferroviari e aeroportuali (previo trattamento) dei rifiuti di cui al punto 7.1.1. del cit. DM 05.02.1998.
Già nel 2005 il ministero dell’ambiente, con una circolare (n. 5205), nel dare indicazioni per l’operatività nel settore edile, stradale e ambientale ai sensi del DM 203/2003, e nel fornire i criteri tecnici e prestazionali che i materiali e i manufatti riciclati devono possedere per ottenere l’iscrizione nel repertorio del riciclaggio, ha fornito un elenco, non esaustivo, dei possibili riutilizzi degli aggregati riciclati, fra i quali rientra a pieno titolo la realizzazione del corpo dei rilevati stradali, dei sottofondi stradali, degli strati di fondazione, recuperi ambientali (13.12.2013 - tratto da www.ispoa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incompatibilità tra carica politica e funzione amministrativa. Forme collaborative.
Sussiste una causa d'incompatibilità tra titolare di posizione organizzativa e componente della giunta o del consiglio comunale di comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti.
Il Comune chiede se sussista una causa d'incompatibilità tra l'incarico di titolare di posizione organizzativa, in Comune privo di figure dirigenziali, che fa parte di una associazione intercomunale e la carica di componente della Giunta o del Consiglio comunale in un diverso Comune, il quale fa parte della medesima forma collaborativa in parola.
Sentito il Servizio elettorale di questa Direzione centrale, si formulano le seguenti osservazioni.
Com'è noto, le cause d'incompatibilità, come precisato anche dalla Corte costituzionale (sent. 201/2003), sono poste a tutela dell'art. 97 della Costituzione e quindi a garanzia dell'efficienza ed imparzialità dell'azione amministrativa.
A tale proposito, l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo 39/2013 così prevede: 'Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni...di livello provinciale o comunale sono incompatibili:...b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di...un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale cha ha conferito l'incarico;...'.
Posto che, nel caso di specie, il titolare di PO lo è in 'un Comune privo di figure dirigenziali', si ritiene che egli rientri nella nozione di 'dirigente interno' della PA, usata nell'art. 12, comma 4, del d.lgs. 39/2013.
Infatti, ai sensi del precedente art. 1, comma 2, lett. j), del d.lgs. 39/2013 negli 'incarichi dirigenziali interni' rientrano gli incarichi comunque denominati che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione. Inoltre il successivo art. 2, per gli enti locali, prevede un'assimilazione tra il conferimento di incarichi dirigenziali e quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale.
Posto che le norme sulle incompatibilità sono di stretta interpretazione, si ritiene che sussista una causa d'incompatibilità nel caso in cui il titolare di PO intenda ricoprire la carica di componente della giunta o del consiglio di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti
[1].
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[1] L'altra causa d'incompatibilità per la carica di componente della giunta o del consiglio 'di una forma associativa tra comuni...' si ritiene non si applichi alle nostre associazioni intercomunali, disciplinate dalla legge regionale 1/2006, perché senza personalità giuridica, prive di dette organi politici, e quindi sprovviste della specifica autonoma strutturazione richiesta dalla norma statale (11.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI SERVIZI: Modalità di gestione di un servizio pubblico locale di rilevanza economica.
Allo stato attuale, la disciplina generale di riferimento per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica non indica, nel rispetto del diritto comunitario, una modalità predefinita per l'individuazione delle modalità di affidamento del servizio.
Il Comune è parte di una forma collaborativa, dotata di personalità giuridica, costituita per l'esercizio coordinato di funzioni e servizi.
Il Comune precisa che un servizio pubblico locale di rilevanza economica (d'ora innanzi 'spl economico'), nello specifico 'raccolta e smaltimento dei rifiuti' ('urbani' si ritiene) è attualmente gestito esternamente con contraente individuato con 'appalto europeo'.
Ciò posto chiede se la predetta forma collaborativa possa acquisire una partecipazione societaria in una società di capitali, alla quale sarebbe affidato 'in house' il spl economico in parola.
La materia dei spl economici è stata, in questi anni, interessata da una serie di discipline nazionali che si sono succedute nel tempo, determinando un quadro normativo di riferimento non sempre chiarissimo
[1].
Allo stato attuale, la materia è principalmente disciplinata
[2], per quanto riguarda la legislazione nazionale, dall'art. 34, commi 20 e 21, del decreto legge 18.10.2012, n. 179 [3], che così dispone: '20. Per i servizi pubblici di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuata sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
21. Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determinata la cessazione dell'affidamento alla data del 31.12.2013
'.
Queste disposizioni recepiscono il principio comunitario dell'indifferenza della forma utilizzata per la gestione dei servizi di interesse economico generale da parte degli enti: l'ente in sostanza è libero di auto organizzarsi, nel rispetto del diritto comunitario, mediante l'auto produzione o il ricorso al mercato. A tale proposito, la Corte costituzionale (con sentenza 325/2010) ha statuito che il diritto comunitario non ha mai espressamente ed univocamente affermato che per i spl economici ci sia, in capo agli enti locali, un obbligo assoluto ed inderogabile di affidarli a terzi sul mercato con l'esclusione dell'affidamento diretto a società in house.
Il Giudice amministrativo
[4], a commento dell'art. 34, commi 20 e 21, del dl 179/2012, ha così precisato: 'L'ordinamento nazionale non indica un modello preferibile -ossia non predilige né l'in house né la piena espansione della concorrenza nel mercato e per il mercato e neppure il partneriato pubblico privato- ma rinvia alla scelta concreta del singolo ente affidante. In definitiva, si profila una maggiore autonomia degli enti locali nella direzione da intraprendere... La scelta tra i differenti modelli va effettuata tenendo conto della concreta situazione di fatto, nel rispetto dei criteri introdotti dall'art. 34, comma 20 del dl 179/2012 ossia la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e l'adeguata informazione alla collettività di riferimento. Detti obiettivi devono necessariamente essere correlati al preminente interesse dell'utente del servizio a godere del miglior servizio possibile alle condizioni più convenienti ...'. L'ente locale quindi dovrà rispettare i principi comunitari, l'obbligo di motivazione (del resto ogni scelta discrezionale dell'ente locale deve essere sorretta da adeguata istruttoria e motivazione [5]), i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
Tra 'i requisiti dell'affidamento in house'
[6] -sempre citando il TAR lombardo- ci si sofferma su quello del 'controllo analogo da parte dei soci pubblici, che secondo la giurisprudenza comunitaria costituisce potere assoluto di direzione coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato e riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo...'. 'Per controllo analogo si intende un rapporto equivalente...ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario (C. St. sent. 25.1.2005, n. 168 ...)'. [7] 'La giurisprudenza comunitaria si è soffermata sulle modalità di esercizio del controllo analogo in caso di una pluralità di soci pubblici affrontando il tema se il controllo debba essere individuale o possa essere congiunto e addivenendo alla seconda soluzione...il controllo può essere esercitato congiuntamene dalle stesse deliberando eventualmente a maggioranza (C. Giust. CE, 13.11.2008 C-324/07)...si sono ritenuti indici di controllo analogo, oltre che la partecipazione totalitaria pubblica, taluni penetranti poteri di vigilanza, quali: l'obbligo di trasmettere mensilmente i verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale... trimestralmente al sindaco e all'assessore una relazione sull'andamento della società con particolare riferimento alla qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini nonché dei costi di gestione in relazione agli obiettivi fissati; i poteri di nomina e revoca di un rilevante numero di amministratori e sindaci...' [8].
Quindi si ribadisce che, per aversi un affidamento in house, è indispensabile predefinire le modalità con le quali l'ente locale determina quello strettissimo legame con un soggetto terzo (e formalmente di diritto privato: un organismo societario) tale da 'equipararlo' ad un proprio ufficio: solo in tale caso si può derogare al ricorso al mercato scegliendo l'autoproduzione del servizio tramite il modello dello 'affidamento in house'.
L'art. 3-bis del dl 138/2011
[9] poi, per i servizi pubblici a rete a rilevanza economica (compresi quelli 'appartenenti al settore dei rifiuti urbani'), ha demandato alle Regioni la definizione di ambiti o bacini territoriali ottimali e della relativa disciplina organizzativa (comprendente anche l'individuazione dei relativi enti di governo).
La nostra Regione ha dettato la seguente disciplina (per il solo servizio di gestione rifiuti urbani)
[10]: 'In attuazione di quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 1, terzo e quarto periodo, del decreto legge 138/2011...e sulla base di deliberazioni degli enti locali interessati da perfezionare con relativa assunzione entro il 31.12.2013, nei casi di forme di cooperazione tra enti locali per la gestione diretta ed in house dei servizi pubblici relativi ai rifiuti urbani operanti per la raccolta differenziata ed il recupero in attuazione delle direttive comunitarie in materia, l'ambito unico di cui all'articolo 3, comma 51, della l.r. 11/2011..., che viene confermato anche successivamente al 31.12.2013 risulta articolato in zone funzionali corrispondenti alle predette forme di cooperazione. Le gestioni presenti in singoli Comuni non facenti parte delle predette forme di cooperazione proseguono o sono rinnovate in conformità alle norme vigenti in materia, attuando l'organizzazione del servizio pubblico su base sovracomunale anche mediante misure di integrazione disposte dai livelli istituzionali competenti. Resta fermo quanto previsto dalla normativa interna e comunitaria in materia di servizi pubblici locali e in particolare dall'articolo 34, commi 20 e seguenti, del decreto legge 179/2012...'.
Dal tenore di tali disposizioni, parrebbe evincersi che esse abbiano un significato 'ricognitorio' della situazione esistente in attesa dell'attuazione vera e propria del nuovo assetto gestione del servizio rifiuti urbani a livello unitario di ambito regionale. Le norme infatti prevedono, in questo momento, che l'unico ambito territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti urbani (coincidente con il nostro territorio regionale) sia articolato in zone funzionali corrispondenti 'alle forme di cooperazione' in essere tra gli enti locali per la gestione del servizio rifiuti urbani medesimo.
La ratio delle disposizioni infatti mira ad attuare l'obbligo nazionale della gestione associata dei spl economici.
Quindi, venendo al caso concreto (qui trattato per gli aspetti riguardanti la disciplina comunitaria, nazionale e regionale in materia di spl economici), se l'aggiudicazione attualmente in essere è avvenuta con procedura ad evidenza pubblica, come pare dal tenore del quesito, da parte di una forma collaborativa (e non da 'singoli comuni'
[11]) essa potrebbe proseguire fino a naturale scadenza in quanto apparirebbe rispettosa della legislazione vigente: lo strumento della gara rappresenta infatti attuazione della regola della concorrenza imposta dal Trattato [12].
In seguito, scaduta l'attuale aggiudicazione, la forma collaborativa in parola, tramite i propri enti partecipanti, potrà decidere come gestire il presente spl economico nel rispetto della disciplina di fonte comunitaria, statale e regionale, indicata.
Comunque per gli specifici aspetti interpretativi inerenti la legislazione regionale in materia di rifiuti, doverosamente, ci si rimette alle osservazioni che il Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente ed energia, al quale è anche inviato il parere, riterrà di formulare essendo la materia di sua competenza.
Parimenti, per quanto riguarda la previsione recata art. 3-bis, comma 3, del dl 138/2011, che prevede che, nella scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico economico, l'evidenza pubblica costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli enti ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. 98/2011, conv. in legge 111/2011 (e quindi comporterebbe la possibilità di sottostare a vincoli di finanza pubblica meno gravosi)
[13], ci si rimette a quanto riterrà di formulare la Posizione organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori di questa Direzione centrale funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme.
Si pregano quindi, per quanto di rispettiva competenza, il Servizio gestione rifiuti della Direzione centrale ambiente ed energia e la Posizione organizzativa patto di stabilità e indennità amministratori della Direzione centrale funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle riforme, di voler dare direttamente riscontro all'Ente richiedente ed a questo Servizio per conoscenza.
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[1] L'art. 35 della legge 448/2001 aveva disciplinato, all'interno di un unico articolo (art. 113 TUEL) un vero e proprio corpus normativo di settore, che è stato in parte poi abrogato dall'art. 23-bis del dl 112/2008 (attuato dal dpr 168/2010). In seguito, nel giro di una manciata di anni, si sono succeduti, freneticamente i seguenti interventi: il referendum popolare abrogativo del 12-13.06.2011 (attuato dal dpr 113/2011) aveva espunto dall'ordinamento giuridico il predetto dall'art. 23-bis del dl 112/2008. In seguito, la disciplina veniva dettata dall'art. 4 del dl 138/2011, successivamente dichiarato incostituzionale con sentenza 199/2012. E si giunge finalmente alla legislazione del 2012 come esposta nel prosieguo della parte narrativa del presente parere.
[2] In via generale: restano tutt'ora vigenti singole discipline di settore.
[3] Conv. con la legge 17.12.2012, n. 221. Si deve rilevare che, ancora una volta, si è utilizzato lo strumento improprio della decretazione d'urgenza, concentrando in una manciata di commi, parte di una disciplina (quella dei servizi pubblici locali a rilevanza economica), che necessiterebbe invece in un intervento legislativo organico. In altre norme sparse (alcune sempre in forma di decretazione d'urgenza) infatti si trovano ulteriori disposizioni sulla materia.
[4] TAR Lombardia, Brescia, sent. 11.06.2013, n. 558, alla cui lettura integrale si rimanda. Ed ancora: 'Le autorità nazionali, regionali e locali devono poter stabilire liberamente i criteri di aggiudicazione.. secondo loro più adeguati rispetto all'obiettivo del contratto' parere del Comitato economico e sociale europeo del 26.04.2012 in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per l'aggiudicazione dei contratti di concessione.
[5] Onde evitare illogicità o irrazionalità (si veda anche TAR Campania, Napoli, sent. 1925/2013). Con il comma 20 dell'art. 4 del dl 179/2012 succitato 'si istituzionalizza l'obbligo di motivare e pubblicizzare il ricorso all'affidamento diretto o all'affidamento tramite gara' (C. Volpe' La normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza economica..', in 'Giustizia amministrativa, documentazione, studi'), alla cui lettura si rimanda per una panoramica riassuntiva della disciplina attualmente vigente sulla materia. L'Autore peraltro fa anche rilevare comunque la 'stranezza della nuova normativa', che prevede la motivazione anche per il ricorso alla gara. Inoltre l'Autore evidenzia che 'se è vero che la scelta di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa idonea a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la PA una facoltà legittima, ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società in house anziché ad un soggetto terzo debba essere effettuata previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti'.
[6] Oggetto di copiosissima giurisprudenza: i requisiti sono capitale interamente pubblico, esercizio del controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici soci sui propri uffici e parte più importante dell'attività svolta in relazione alla sfera dei soci. Si vedano, per es., partendo dalla prima pronuncia comunitaria sulla materia (sent. Teckal 18.11.1999, C-107/98), molte altre sent. 11.02.2005 C-26/03 Stadt Halle, sent. 13.11.2008, C-324/07 Coditel Brabant SA, sent. 13.10.2005 C-458/03 Parking Brixen per arrivare a deliberazione C. Conti, sez. controllo Lombardia del 07.10.2013, n. 411/PAR (tale ultima pronuncia tratteggia anche utilmente i tratti salienti delle differenze tra società che gestiscono spl economici e società strumentali, le quali hanno una disciplina differente), TAR Lombardia, Brescia, sent. 23.09.2013, n. 780.
[7] C. St., sent. 11.2.2013, 762.
[8] Sempre C. St., sent. 11.02.2013, 762, e anche alla lettura integrale di tale sentenza si rimanda, contenendo spunti interpretativi utili per la fattispecie: la questione riguarda l'affidamento in house da parte di una comunità montana. Sempre in merito al controllo esercitato congiuntamente da più enti locali, si cita C. Giust. europea, sent. 29.11.2012, n. 182, nella quale si ribadisce la necessità per gli enti pubblici di esercitare un controllo strutturale e funzionale effettivo sulla società.
[9] Conv. con legge 148/2011.
[10] Art. 3, comma 25, della l.r. 14/2012, come sostituito dall'art. 4, comma 21, della l.r. 6/2013.
[11] Cfr. secondo periodo del comma 25 dell'art. 3 della l.r. 14/2012.
[12] Art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: 'Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale ...sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza , nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata' ('costituita dalla soddisfazione dell'interesse generale...)' C.Volpe, op.cit..
[13] Facendo venire meno perciò sostanzialmente l'autonomia degli enti nella scelta delle modalità di affidamento anche se la norma non interviene sui presupposti dell'affidamento (essa, a tale proposito, ha anche resistito ad una pronuncia d'incostituzionalità: C.Cost. sent. 46/2013), ma sugli effetti della scelta, introducendo un meccanismo di premialità per gli enti 'virtuosi'
(11.12.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Siti contaminati.
Domanda
Il proprietario di un'area, incolpevole per la sua contaminazione, quali misure deve adottare?
Risposta
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana, Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012, numero 1551, dopo avere affermato che gli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006, citati, non consentono all'Amministrazione pubblica di imporre ai privati non responsabili del fenomeno di inquinamento contestato, individuati soltanto quali proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di rifiuti e, in generale, di riduzione al pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che l'Autorità ha l'obbligo di ricercare e individuare, ha puntualizzato che il proprietario dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione, dovendo egli attuare le misure di prevenzione di cui all'articolo 242 del citato decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006.
Le misure di prevenzione vanno individuate in quegli interventi atti a «contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia» (art. 240, citato, comma 1, lettera i) (articolo ItaliaOggi Sette del 09.12.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Misure di prevenzione.
Domanda.
Con quale criterio devono esser individuate le misure di prevenzione che il proprietario, incolpevole, di un sito contaminato deve adottare?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana, Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012, numero 1551, ha precisato, come già scritto, che il proprietario dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione, dovendo egli attuare le misure di prevenzione di cui all'articolo 242 del citato decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006.
Ci si pone la domanda circa il tipo di intervento che il predetto proprietario incolpevole deve adottare.
Per la dottrina è ormai pacifico che il proprietario incolpevole dell'inquinamento del suolo ha obblighi di portata limitata, dato che le misure di prevenzione non possono essere intese in modo estensivo fino a comprendere misure che richiedano soluzioni tecniche incompatibili con la salvaguardia immediata del bene. Se così fosse verrebbe vanificato il principio «chi inquina paga».
Inoltre l'intervento volontario del soggetto, previsto dall'articolo 245 del decreto legislativo su citato, che riconosce: «La facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica», «non può assurgere, come scrivono i giudici del Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Lombardia, Milano, nella sentenza del 02.04.2008, numero 791, di per sé, in mancanza di altri elementi univoci e precisi, ad affermazione di responsabilità nell'inquinamento stesso, posto che sussiste senza dubbio l'interesse del proprietario incolpevole a limitare in ogni caso l'inquinamento sul proprio fondo, anche per impedirne la perdita di valore economico».
Detti interventi non possono, però, assumere un'estensione non prevedibile al momento in cui l'iniziativa è stata posta in essere. Pertanto, l'atto volontario di impegno all'intervento di messa in sicurezza implica l'assunzione di un sacrificio patrimoniale, da contenere nei limiti della normalità e prevedibilità. Si rimanda, al riguardo, alla sentenza numero 291, del 16.03.2006, del citato Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Lombardia, Brescia (articolo ItaliaOggi Sette del 09.12.2013).

PATRIMONIO: Contratto di locazione passiva.
Domanda
In caso di rinnovo del contratto di locazione passiva a un Comune (conduttore) si applica la riduzione del 15% del canone?
Risposta
L'art. 3, comma 4, del decreto legge n. 95/2012 prevede ai fini del contenimento della spesa pubblica, l'ulteriore misura della riduzione dei canoni pagati dalle amministrazioni pubbliche, ivi previste, del 15% di quanto attualmente in essere, dal primo gennaio 2015, salvo il diritto di recesso garantito al locatore. La norma prevede, poi, che a decorrere dal 15.08.2012 la riduzione del 15% si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data.
Specificamente, l'art. 3, comma 4, identifica le amministrazioni pubbliche coinvolte dalla misura di contenimento della spesa indicando le amministrazioni centrali inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, nonché le Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).

Per quanto concerne il quesito posto circa l'applicazione o meno della riduzione del 15% agli enti locali, si segnala il parere della Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Lazio, n. 3 del 10.01.2013, in ordine ad una richiesta proveniente da un sindaco e concernente l'applicazione o meno agli enti locali delle disposizioni di cui all'art. 3, commi 4, 5 e 6 del dl n. 95/2012.

In particolare, il giudice contabile circoscrive l'attenzione sul comma 6, il quale, osserva, è espressamente dettato per le amministrazioni richiamate dal comma 4, che si riferisce alle amministrazioni centrali come individuate dall'Istat ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196. Per cui, prosegue, il giudice contabile, non rientrando i comuni tra le amministrazioni centrali, è da ritenere che la disposizione di cui al comma 6 (riduzione 15% del canone) non possa ad essi applicarsi (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Bonus ristrutturazioni.
Domanda
La detrazione Irpef per lavori di ristrutturazione da eseguire dall'inquilino che sostiene le spese? L'agevolazione spetta anche per la parcella dell'architetto che ha progettato i lavori?
Risposta
La detrazione di cui trattasi spetta a chi sostiene la spesa, quindi, non solo ai proprietari degli immobili (o ai titolari di altri diritti reali, come nuda proprietà, usufrutto, uso, abitazione o superficie), ma anche ai locatari e ai comodatari. Inoltre, se sostiene la spesa e i bonifici e le fatture sono a lui intestate, ha diritto alla detrazione anche il familiare convivente del possessore o detentore dell'immobile su cui sono eseguiti i lavori.
Oltre alle spese necessarie per l'esecuzione dei lavori, è possibile detrarre anche quelle per la progettazione, le altre prestazioni professionali connesse e, in ogni caso, le spese per prestazioni professionali comunque richieste dal tipo di intervento (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: Potere dei sindaci.
Domanda
Il sindaco del mio paese con un'ordinanza urgente ha vietato, ai commercianti, l'uso dei sacchetti di plastica normali. Un tale provvedimento può essere considerato legittimo?
Risposta
Alla luce della giurisprudenza amministrativa, non è legittima l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco per vietare a tutti gli esercenti attività commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande la distribuzione di buste non biodegradabili, realizzati senza l'osservanza delle norme UNI EN 13432-2002 e UNI EN 14995.
Al riguardo il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Puglia, Sezione II, con la sentenza del 05.06.2012, numero 1099, pronunciandosi su un'ordinanza contingibile e urgente emessa da sindaco di Bari, ha precisato che la predetta ordinanza non ha ragione di sussistere ove manchino i necessari presupposti di urgenza atti a giustificare l'adozione di misure improcrastinabili.
Si è già scritto in materia che il ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente da parte dei sindaci presuppone situazioni eccezionali e non prevedibili.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 04.04.2011, numero 115, ha escluso che in tema di ordinanze sindacali contingibili e urgenti vi sia un potere generale dei sindaci; ha dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo l'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo numero 267, del 2000, come sostituito dall'articolo 6 del decreto legge n. 92, del 2008, convertito con legge numero 125, del 2008, su cui detto potere extra ordinem si fonda, nella parte relativa alla locuzione «anche» prima delle parole «contingibili ed urgenti».
Infatti il contrasto della disposizione con il sistema delle fonti del diritto delineato dalla Carta costituzionale fa emergere il fatto incongruente di un potere dei Sindaci di emettere provvedimenti con efficacia sull'intero territorio comunale a tempo indeterminato, nonché in deroga alle leggi vigenti in relazione agli ambiti materiali così disciplinati, e ciò in violazione dei principi di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità di cui agli articoli 23, 70, 76, 97, 117 della Costituzione (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Siti contaminati.
Domanda
Il destinatario degli obblighi di risanamento di un terreno contaminato può essere individuato nel proprietario del terreno medesimo?
Risposta
In tema di siti contaminati, la disciplina legislativa (articoli 240 e seguenti del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006) si ispira al principio comunitario «chi inquina paga». Pertanto, l'obbligo di adottare misure, sia urgenti, sia definitive, idonee a fronteggiare la situazione connessa all'inquinamento, va posto, esclusivamente, a carico di colui che è il responsabile di detta situazione per avervi dato causa a titolo di dolo e/o di colpa. Ne consegue che non dovrebbe essere chiamato in causa il proprietario dell'area o l'utilizzatore della stessa, ameno che non sia provata una sua responsabilità.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana, Sezione II, con la sentenza del 28.08.2012, numero 1491, ha affermato che ai fini dell'individuazione del destinatario degli obblighi di risanamento del terreno, è illegittimo il ricorso al criterio dominicale, riconducibile allo schema di cui all'articolo 2051 del codice civile, in luogo di quello della responsabilità colpevole previsto dalla disciplina in materia di bonifica dei siti contaminati di cui agli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006.
Lo stesso Tribunale regionale amministrativo (Tar) della Toscana, Sezione II, con la sentenza del 19.09.2012, numero 1551, ha puntualizzato che gli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006, citati, non consentono all'Amministrazione pubblica di imporre ai privati non responsabili del fenomeno contestato, individuati soltanto quali proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di rifiuti e, in generale, di riduzione al pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che l'Autorità ha l'obbligo di ricercare ed individuare (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

APPALTI: Lodo arbitrale.
Domanda
Quali sono gli effetti del lodo arbitrale?
Risposta
Per rispondere alla domanda è necessario distinguere tra il lodo arbitrale derivante da un procedimento c.d. «rituale» e quello derivante da un procedimento c.d. «irrituale».
Nel primo caso, il lodo arbitrale ha la stessa efficacia di una sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria, così come disciplinato dall'art. 824-bis del codice di procedura civile. La statuizione degli arbitri sul merito della controversia, crea un vincolo per le parti che, decorso il termine per l'impugnazione (i.e. 90 giorni dalla data della notifica ovvero un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione), diviene definitivo. L'art 825 c.p.c. disciplina l'omologazione del lodo da parte del Tribunale ordinario. Tale omologazione servirà alla parte che la richiede, solo al fine di dare al lodo stesso efficacia esecutiva, ovvero di richiederne la trascrizione in tutte le ipotesi previste dal codice di rito per le sentenze del giudice, o, infine di procedere all'iscrizione dell'ipoteca nei casi previsti dalle norme civilistiche in tema di pubblicità.
Nel secondo caso, il lodo derivante da procedimento di arbitrato «irrituale» non ha efficacia di sentenza, ma produce gli stessi effetti di una determinazione contrattuale. In altre parole il lodo irrituale ha la stessa forza di un contratto stipulato tra le parti. Conseguentemente non sarà possibile per le parti richiedere al Tribunale ordinario l'omologazione del lodo e l'apposizione della formula esecutiva (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2013).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATALa norma regolamentare comunale, limitatamente alla parte in cui vieta "comunque" l'installazione in zone residenziali di impianti di teleradiocomunicazioni, quindi anche di telefonia mobile, è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e a minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in esame si è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo urbanistico, zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa.
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che impinge sulla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della legge n. 36/2000.
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono suffragare le relative disposizioni mediante adeguata istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non impediscano in concreto l'erogazione del servizio, sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto già si è detto, non già della determinazione di valori di campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale, ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti.
La casistica conosce due tipologie di previsioni regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale. In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale cui si intende qui aderire, l’introduzione di generalizzati divieti di installazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, comprese nel perimetro comunale, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che l'amministrazione comunale può autonomamente esercitare, e tale conclusione vale anche per l'introduzione di misure che, pur essendo astrattamente e tipicamente urbanistiche, quali le distanze, le altezze o le localizzazioni, non sono in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla tutela dei rischi dell'elettromagnetismo.

In particolare, appare meritevole di accoglimento la censura dedotta con il primo motivo di ricorso, riferito alla norma regolamentare presupposta.
Si tratta delle N.T.A. del vigente P.R.G.C., come integrate dalla delibera C.C. n. 42 del 09.10.2003, le quali, nel disciplinare le "Prescrizioni di zona", dispongono che "da tutte le zone residenziali sono escluse attrezzature e attività destinate a: …. – teleradiocomunicazioni per qualsiasi uso” (cfr. N.T.A., Destinazioni e prescrizioni di zona, capo II, zone residenziali, pag. 27).
Il Comune di Pontecurone ha ricavato da tale previsione l’incompatibilità dell’impianto Telecom con l’area individuata in progetto, in quanto zona residenziale qualificata R2. Ha inoltre negato, in replica alle osservazioni della parte istante, la sussistenza di un divieto generalizzato all’installazione di infrastrutture di telecomunicazione, per effetto delle menzionate disposizioni di piano, osservando come “le norme di cui trattasi consentono invero la localizzazione dei predetti impianti radioelettrici nelle zone agricole, dove, peraltro, già si registrano analoghe iniziative”.
Osserva il Collegio che la predetta norma regolamentare, limitatamente alla parte in cui vieta "comunque" l'installazione in zone residenziali di impianti di teleradiocomunicazioni, quindi anche di telefonia mobile, è illegittima e va annullata.
E’ opportuno ricordare che l'art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e a minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
In merito all’interpretazione della disposizione in esame si è ormai consolidato in giurisprudenza un condiviso orientamento secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendano a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio è ritenuta lecita l’introduzione di regole finalizzate a tutelare, sotto il profilo urbanistico, zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico, ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici, volte a controllare il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici.
Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni che si sostanzino in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 07.11.2003, n. 331; 07.10.2003, n. 307; 27.07.2005, n. 336).
In ipotesi siffatte, sotto il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, si cela l’introduzione di deroghe ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, materia questa che esula dal governo del territorio (sul quale i Comuni hanno competenza) e che impinge sulla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo, materia soggetta a riserva legislativa in favore dello Stato in forza dell'art. 4 della legge n. 36/2000 (in tal senso, tra le tante, Cons. St. sez. VI, 09.01.2013 n. 44 e sez. III, 10.07.2013, n. 3690; id., sez. VI, 27.12.2010, n. 9414 e 15.06.2006, n. 3534; TAR Piemonte sez. I, 23.07.2013, n. 901).
Va poi osservato che i regolamenti comunali devono suffragare le relative disposizioni mediante adeguata istruttoria tecnica che dia conto delle ragioni per cui certe localizzazioni siano da preferire ad altre e non impediscano in concreto l'erogazione del servizio, sussistendo in particolare l'obbligo di effettuare approfondimenti tecnico-scientifici in funzione, per quanto già si è detto, non già della determinazione di valori di campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale, ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti (TAR Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1923 e TAR Lecce, Sez. II, 03.11.2006, n. 5142).
La casistica conosce due tipologie di previsioni regolamentari eccedenti i limiti della competenza comunale. In alcuni casi di tratta di norme recanti divieti generalizzati di installazione delle stazioni radio-base per telefonia cellulare in vaste zone omogenee del territorio comunale; in altri casi, si tratta di limiti distanziali indifferenziati e fissi, da osservare rispetto a determinati edifici o siti genericamente classificati per tipologie.
Dunque, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale cui si intende qui aderire, l’introduzione di generalizzati divieti di installazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, comprese nel perimetro comunale, in quanto essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento, non costituisce attribuzione che l'amministrazione comunale può autonomamente esercitare, e tale conclusione vale anche per l'introduzione di misure che, pur essendo astrattamente e tipicamente urbanistiche, quali le distanze, le altezze o le localizzazioni, non sono in realtà funzionali al governo del territorio, ma alla tutela dei rischi dell'elettromagnetismo (TAR Piemonte, sez. I 23.07.2013 n. 901; id., sez. I, 19.12.2008, n. 3150; TAR Catanzaro, sez. I, 03.10.2012, n. 981; Cons. St., sez, VI, 06.09.2010, n. 6473).
Orbene, tenendo conto del quadro normativo e interpretativo brevemente delineato, nella fattispecie in esame il regolamento impugnato -introducendo un generalizzato divieto di localizzazione degli impianti di telefonia mobile all'interno di tutte le aree residenziali del territorio comunale- pare tendere a disciplinare l'uso del territorio sotto un profilo non strettamente urbanistico, bensì sanitario, fondandosi sull'implicita ma inequivocabile esigenza di rendere possibile la localizzazione degli impianti esclusivamente in zone agricole, quindi distanti dalle aree abitate e più intensamente frequentate.
Il Comune, peraltro, non ha dimostrato di aver verificato che i siti individuati fossero tecnicamente idonei alle esigenze di funzionamento del servizio di telefonia in argomento, né ha provato di aver tenuto in debito conto la finalità, legislativamente prevista, di assicurare la diffusione capillare del servizio nell'intero territorio comunale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIA seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51, L. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, L. 15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45, D.Lgs. 31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi politici), la competenza al diniego o al rilascio della concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente precettiva.
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità della struttura e organizzazione interna dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate da quest’ultima.

La sanzione applicata, prevista dalla l.r. Piemonte n. 20/1989 risulta infatti, come dedotto in ricorso, soggetta alla disciplina introdotta nell’art. 51 della l. n. 142/1990 ad opera dell’art. 6 della l. n. 127/1997 che ha devoluto alla dirigenza (e nei comuni privi di dette qualifiche ai responsabili degli uffici e servizi) la complessiva attività gestoria, ivi inclusa la materia edilizia e connesse sanzioni.
Il provvedimento impugnato è stato emanato del Sindaco. In giurisprudenza per tutte si veda Cons. St. sez. IV 31.03.2009, n. 2024, secondo cui: “a seguito del mutato quadro normativo derivante dall'art. 51, L. 08.06.1990 n. 142, nel testo modificato dall'art. 6, comma 1, L. 15.05.1997, n. 127, e del successivo art. 45, D.Lgs. 31.03.1998, n. 80 (che, com'è noto, ha distinto gli atti di gestione, di competenza dei dirigenti, da quelli di indirizzo e di controllo, di pertinenza degli organi politici), la competenza al diniego o al rilascio della concessione di costruzione (anche in sanatoria) e dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi non è più del Sindaco, ma del dirigente, ovvero, nei Comuni sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, del responsabile di ufficio o servizio, dal momento che la menzionata disposizione di cui all'art. 51 è immediatamente precettiva.”
La giurisprudenza non ha del tutto escluso possibili peculiarità in relazione a Comuni di dimensioni molto piccole, peculiarità che tuttavia presuppongono specificità della struttura e organizzazione interna dell’amministrazione che non potrebbero che essere indicate da quest’ultima (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1358 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e concrete ragioni di interesse pubblico.
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Nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale, la ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato, e anche di tale circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del privato alla loro conservazione.

Il ricorso è fondato e va accolto.
Il provvedimento impugnato si è fondato esclusivamente sulla ritenuta “necessità di ripristinare la legalità violata”, individuata dall’amministrazione comunale nell’assenza del consenso dei proprietari confinanti all’edificazione dell’autorimessa interrata n. 3 entro la fascia di rispetto di cui all’art. 29 delle NdA del PRGC, con conseguente violazione di quest’ultima norma.
L’interesse pubblico è stato fatto coincidere dall’amministrazione con il mero ripristino della legalità violata ed è stato ritenuto prevalente sull’interesse privato dell’odierna ricorrente soltanto in ragione del breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia, ritenuto dall’amministrazione inidoneo a consolidare una posizione di affidamento tutelabile in capo al privato.
Osserva il collegio che la prima di tali valutazioni è illegittima, dal momento che ai sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e concrete ragioni di interesse pubblico (TAR Piemonte, sez. I, 23.07.2013, n. 905; Cons. Stato, sez. III, 30.07.2013 n. 4026), che nel caso di specie non sono state evidenziate nella motivazione dell’atto impugnato.
E’ illegittima anche la seconda di tali valutazioni, dal momento che nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale del 17.07.2003, la ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato (cfr. cod. 8), e anche di tale circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del privato alla loro conservazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn presenza d'istanza di sanatoria edilizia, l'Amministrazione non può adottare provvedimenti repressivi atteso che la definizione del procedimento di adeguamento o di sanatoria assume rilievo pregiudiziale rispetto alla disposizione delle misure sanzionatorie, pena la violazione del principio di economicità e coerenza dell'azione amministrativa.
Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità del provvedimento che dispone la demolizione dei manufatti abusivi, adottato senza che prima l'Amministrazione abbia provveduto, neanche incidentalmente, sulle istanze di adeguamento e di sanatoria.

Al riguardo, va confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “in presenza d'istanza di sanatoria edilizia, l'Amministrazione non può adottare provvedimenti repressivi atteso che la definizione del procedimento di adeguamento o di sanatoria assume rilievo pregiudiziale rispetto alla disposizione delle misure sanzionatorie, pena la violazione del principio di economicità e coerenza dell'azione amministrativa; di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità del provvedimento che dispone la demolizione dei manufatti abusivi, adottato senza che prima l'Amministrazione abbia provveduto, neanche incidentalmente, sulle istanze di adeguamento e di sanatoria” (da ultimo, TAR Lecce, sez. III, 19.06.2013, n. 1426, TAR Napoli, sez. IV, 04.07.2013, n. 3439) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
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L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato.
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.

... per l'annullamento del provvedimento di determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria/secondaria e di costruzione, emanato dal Comune di Meina, nella persona del responsabile del servizio tecnico, in data 11.02.2000 e in pari data notificato al ricorrente (rif. pratica edilizia n. 11/1999);
...
Il ricorso è fondato.
Il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009; Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Nel caso di specie, la documentazione versata in atti dal ricorrente sembra obbiettivamente escludere che l’intervento edilizio abbia comportato un aumento del carico urbanistico.
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato (cfr. relazione tecnica sub doc. 1 di parte ricorrente).
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Per l’effetto, va disposto l’annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa all’indicazione e alla quantificazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, e va inoltre condannata l’amministrazione comunale a restituire al ricorrente l’importo degli oneri da questi indebitamente versato, in misura pari all’equivalente in Euro dell’importo di Lire 23.118.503, con gli interessi legali dalla data della domanda (07.04.2000) fino al saldo (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce l'effetto di rendere inefficace tale ultimo provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse.
E ciò in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria, sia pure al fine di verificare l'eventuale sanabilità di quanto costruito, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, dal momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità l'Amministrazione dovrebbe emettere una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi.

In particolare, la presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce l'effetto di rendere inefficace tale ultimo provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse; e ciò in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria, sia pure al fine di verificare l'eventuale sanabilità di quanto costruito, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, dal momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità l'Amministrazione dovrebbe emettere una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi (TAR Piemonte, sez. II, 24.09.2013, n. 1033; TAR Piemonte, sez. I, 12.07.2013, n. 880) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La destinazione a verde agricolo di un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali.
La giurisprudenza è, invero, concorde nell’affermare che la destinazione a verde agricolo di un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale –come è avvenuto nel caso di specie- la necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 20.06.2012, n. 1720) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative.
Da ciò consegue che il rigetto dell’osservazione non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.

Quanto alla contestazione di insufficienza della motivazione alla controdeduzione all’osservazione n. 247 si richiama la costante giurisprudenza secondo cui le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative. Da ciò consegue che il rigetto dell’osservazione non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3358) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. va notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva, e che l'omesso assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti.
I sig.ri G.T. e P.T. impugnano la deliberazione n. 92 del 28.11.2003 con cui il Consiglio Comunale di Somma Lombardo ha approvato una variante al piano regolatore generale, nella parte in cui disciplina un’area di loro proprietà, articolando censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
I ricorrenti chiedono, inoltre, il risarcimento dei danni subiti.
Si è costituito in giudizio il Comune di Somma Lombardo, deducendo, oltre all'infondatezza nel merito, l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica alla Regione Lombardia, che si è espressa sulla variante con la deliberazione della Giunta Regionale del 17.09.2004 n. VII/18765.
All’udienza del 21.11.2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
L’eccezione sollevata dalla difesa dell’amministrazione resistente è fondata.
Il ricorso è stato, difatti, notificato solo al Comune e non anche alla Regione, quale autorità emanante il piano regolatore.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. vada notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva, e che l'omesso assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti (Cons. Stato, sez. V, 19.05.1998, n. 616; Sez. V, 28.02.1995, n. 304; Sez. VI, 15.06.1983, n. 493; Sez. V, 13.05.1977, n. 447; TAR Lombardia, Brescia, 26.08.2002, n. 1159) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.12.2013 n. 2806 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di sanzione per ritardato versamento oo.uu. avendo scelto la formula della rateizzazione.
In materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso).
Si deve, quindi, ritenere che abbia agito correttamente il Comune che, nell'applicare ad una società, la sanzione prevista dall'art. 3, comma 2, lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell'applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la società, a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta.
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Nel caso di mancato pagamento delle rate di contributi di concessione, non può considerarsi rilevante la circostanza che il Comune non si sia attivato per la riscossione nei confronti del fideiussore che ha concluso il contratto di garanzia a prima richiesta.
Il contratto di garanzia a prima richiesta, infatti, ha aggiunto una posizione debitoria a quella dei debitori principali, i quali, a seguito del loro inadempimento, sono risultati tenuti a pagare senz'altro le differenze dovute ai sensi dell'art. 3 L. n. 47/1985, senza che questo, però, comporti la doverosità della contestazione della pretesa preventivamente nei confronti del garante.

Non sussiste, infine, la violazione dei principi di buona fede e di diligenza ex artt. 1175, 1375, 1227 c.c., risultando chiara l’erronea impostazione dell’appellante che confonde l’obbligo gravante sul garante che ha ad oggetto il mancato adempimento dell’obbligo pecuniario convenuto con il Comune, con il profilo sanzionatorio e, più in generale, l’obbligo di pagamento con la sanzione amministrativa allo stesso collegata.
Si tratta di profili, invece, del tutto distinti e già scandagliati dalla giurisprudenza di questo Consiglio che ha accertato come “in materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso). Si deve, quindi, ritenere che abbia agito correttamente il Comune che, nell'applicare ad una società, la sanzione prevista dall'art. 3, comma 2, lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell'applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la società, a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta” (Cons. St., Sez. V, 16.07.2007, n. 4025).
Nello stesso senso anche Cons. St., Sez. IV, 10.08.2007, n. 4419 secondo la quale: “Nel caso di mancato pagamento delle rate di contributi di concessione, non può considerarsi rilevante la circostanza che il Comune non si sia attivato per la riscossione nei confronti del fideiussore che ha concluso il contratto di garanzia a prima richiesta. Il contratto di garanzia a prima richiesta, infatti, ha aggiunto una posizione debitoria a quella dei debitori principali, i quali, a seguito del loro inadempimento, sono risultati tenuti a pagare senz'altro le differenze dovute ai sensi dell'art. 3 L. n. 47/1985, senza che questo, però, comporti la doverosità della contestazione della pretesa preventivamente nei confronti del garante” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.12.2013 n. 5880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o parziali - Illegittimità - Doppia conformità agli strumenti urbanistici - Artt. 36, 44 e 45, lett. c), d.p.r. n. 380/2001.
La sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. n. 380/2001 (riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 l. 28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva che si basa sull'accertamento dell'inesistenza di danno urbanistico mediante la verifica della doppia conformità agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento del rilascio della concessione in sanatoria sia al momento della realizzazione dell'opera (Cass., sez. III, 21/10/2008 n. 42526; Cass., sez. III, 18/12/2003 n. 48499; Cass., sez. III, 18/03/2002 n. 11149), da ciò conseguendo che non ha effetto estintivo il rilascio in sanatoria del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (Cass. sez. III, 31/03/2011 n. 16591) e che comunque il permesso non può essere subordinato all'esecuzione di opere, che contrastano con la conformità agli strumenti urbanistici che deve già sussistere (Cass. sez. III, 27/04/2011 n. 19587: "È illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o, ancora, subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica"; conformi Cass. sez. III, 26/11/2003-09/01/2004 n. 291; Cass., sez. III, 18/12/2003 n. 48499) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.10.2013 n. 44189 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono ambientale - Valutazione ex post - Interventi minori - L. n. 308/2004 - Art. 181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004 – Art. 3 d.p.r. n. 380/2001.
L'articolo 1, commi 37, 38 e 39, I. 15.12.2004 n. 308 ha introdotto il c.d. condono ambientale che è (pur permanendo le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'art. 167) causa di estinzione del reato di cui all'articolo 181, comma 1, d.lgs. 22.01.2004 n. 42, in tale articolo inserendo i commi 1-ter e 1-quater che lo disciplinano (Cass. sez. III, 07/12/2007-09/01/2008 n. 583; Cass. sez. III, 10/05/2006 n. 15946; Cass. sez. III, 26/10/2005-03/02/2006 n. 4429), il condono è configurato come diretto agli interventi minori, che sono appunto quelli identificati nel comma 1-ter dell'articolo 181, i quali possono essere oggetto, se l'interessato attiva la procedura di cui al comma 1-quater, di una valutazione ex post che ne accerti la limitata incidenza sull'assetto ambientale così come vincolato (Cass. sez. III, 29/11/2011-13/01/2012 n. 889, che in motivazione qualifica gli interventi come minori "in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull'assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di legge").
Detti interventi sono i "lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli illegittimamente realizzati" (comma 1-ter, lettera a), quelli che abbiano comportato "l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica" (comma 1-ter, lettera b) e quelli che costituiscono "interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria" ex articolo 3 d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (c. 1-ter, lett. c).
Provvedimento di compatibilità ambientale - emissione da parte della P.A. - Effetti.
L'emissione del provvedimento di compatibilità ambientale da parte della P.A. non elide il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti del condono ambientale in termini di fatto e di diritto.
Reati paesaggistici - Condono ambientale - Rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica - Effetti - Art. 181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004.
In tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l'accertamento dei presupposti di fatto e giuridici legittimanti l'applicazione del cosiddetto condono ambientale (Cass. sez. III, 27/05/2008 n. 27750; conforme Cass. sez. III, 29/11/2011-13/01/2012 n. 889).
Nozione di “superficie utile” - Compromissione ambientale - Reato di pericolo - Art. 181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004.
La nozione di superficie utile, va "individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica,...considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio" tale da "determinare una compromissione ambientale" (Cass. sez. III, 29/11/2011-13/01/2012 n. 889).
Né occorre, peraltro, accertare che, la "superficie utile" realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e l'articolo 181, comma 1, d.lgs. n. 42/2004 è un reato di pericolo (Cass. sez. III, 20.10.2009-22.01.2010 n. 2903; Cass. sez. VI, 03.04.2006 n. 19733) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.10.2013 n. 44189 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Modifica dei prospetti - Permesso di costruire – Necessità - Trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio - Artt. 10, 44 lett. b), 64, 71, 65, 72, 93. 94 e 95 d.p.r. 380/2001.
Non può ritenersi sufficiente la mera denuncia d'inizio attività per gli interventi edilizi comportanti una modifica dei prospetti, in quanto tale non qualificabile come ristrutturazione edilizia "minore", rientrando nella previsione dell'art. 10, lett. c), DPR 380/2001 secondo cui "Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici..." (Cass. Sez. 3, n. 834 del 04/12/2008) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2013 n. 38338 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di recinzione - Permesso a costruire – Necessità – Presupposto - Modificazione dell'assetto urbanistico del territorio.
La realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio del permesso a costruire allorquando avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso sia tale da modificare l'assetto urbanistico del territorio (Cass. Sez. 3 n. 4755 del 13/12/2007) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2013 n. 38338 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cisterna interrata in cemento armato - Permesso di costruire – Necessità - Volume tecnico di rilevante ingombro - Modificazione dell'assetto urbanistico del territorio.
Integra il reato edilizio previsto dall'art. 44, comma primo, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la realizzazione, senza permesso di costruire, di un volume tecnico di rilevante ingombro destinato ad incidere oggettivamente in modo significativo sui luoghi esterni (Cass. Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010).
Nella specie, realizzazione di una cisterna interrata in cemento armato di metri quadrati 12 circa (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2013 n. 38338 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica - Escluse dall'applicazione della normativa – Presupposti - Elementi costruttivi di limitata importanza nel contesto statico del manufatto - Artt. 53 e 64 d.P.R. n. 380/2001.
Sono escluse dall'applicazione della normativa relativa alle opere di conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica previste dagli artt. 53 e 64 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 le opere costituite da un'unica struttura, le membrature singole e gli elementi costruttivi che assolvano ad una funzione di limitata importanza nel contesto statico del manufatto (Cass. Sez. 3, n. 6588 del 17/11/2011), pertanto, la prova sulla sussistenza delle condizioni indicate è devoluta ad accertamenti di natura fattuale che la Suprema Corte non può essere chiamata a svolgere direttamente in sede di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2013 n. 38338 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
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Sulla base del generale principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, tenuto conto che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione, comportante la divisione e il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei beni comuni si applicano le disposizioni della divisione delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale principio vale anche in caso di divisione per scissione societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri.
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L'imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di aumento del numero di unità abitative (da una a due), determinante una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.

- Considerato che il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento che confermava la determinazione della dovutezza degli oneri di urbanizzazione in relazione all’intervento di ristrutturazione realizzato dalla ricorrente, a seguito di scissione societaria e conseguente divisione e frazionamento dell’immobile, ritenendo che concreti ristrutturazione edilizia la erezione di tramezzature e la modificazione degli ingressi;
- Considerato che l’appellante ripropone le censure, respinte in primo grado, con le quali sostiene che l’intervento che non comporti aumento delle unità immobiliari, consistente nella divisione in senso orizzontale o verticale del fabbricato, senza ulteriore apertura di ingressi (ma solo sfruttando i due ingressi originari) non comporti un ulteriore carico urbanistico;
- Considerato che ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (in tal senso C. di Stato, V, 03.03.2003, n. 1180);
- Considerato e ritenuto che, sulla base del generale principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione, comportante la divisione e il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei beni comuni si applicano le disposizioni della divisione delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale principio vale anche in caso di divisione per scissione societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri;
- Considerato e ritenuto che la imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di aumento del numero di unità abitative (da una a due), determinante una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (in tal senso, C. Stato, V, 23.05.1997, n. 529) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.04.2004 n. 2611 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl discrimine tra le ipotesi della manutenzione straordinaria e la ristrutturazione edilizia sta nel fatto che che quest’ultima comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione, allorché l’intervento abbia cagionato un aumento del carico urbanistico.
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Nel caso in questione la scissione dell’originaria società indusse alla suddivisione dell’unico locale di vendita in due parti, che vennero organizzate in modo da conferire autonomo rilievo all’attività di impresa dei due distinti soggetti che derivarono dall’operazione societaria.
Le opere riguardarono l’erezione di tramezze e la modificazione degli ingressi, cosa che di per sé ha comportato un aumento del carico urbanistico imposto all’area.
Ne consegue che l’impugnazione non può trovare accoglimento, atteso che il fondamento dell’atto di cui è chiesto l’annullamento non pare in contrasto con le norme denunciate.
In tal senso, del resto, si è orientata la giurisprudenza, che ha ritenuto che la determinazione in merito all’obbligazione relativa agli oneri va adottata istituendo un discrimine tra i diversi interventi realizzabili, che ha riguardo all’eventuale modifica del carico urbanistico.
Nel caso in questione le modificazioni apportate all’immobile, soprattutto per quel che riguarda l’apertura dei nuovi ingressi, confermano che si è realizzato un aumento dell’impatto sul territorio.

... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, del provvedimento 04.08.2003 prot. n. 21802 con cui il Responsabile dell’Ufficio Pianificazione Urbanistica del Comune di Cossato, esaminata “la questione di legittimità relativa alla richiesta del pagamento di oneri di urbanizzazione” in merito alla pratica edilizia 16.12.2002 n. 114/02 SUAP, ha confermato “quanto già comunicato con nota n. 7590 del 5.3.2003 recante la determinazione degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per un totale di Euro 12.769,92”;
di ogni altro atto antecedente, preordinato, consequenziale o comunque connesso del procedimento e, in particolare, della nota 05.03.2003 n. 7590 con cui il Responsabile dell’Ufficio Pianificazione Urbanistica del Comune di Cossato, in relazione alla pratica edilizia 16.12.2002 n. 114/SUAP, ha quantificato gli oneri concessori in Euro 12.769,92;
...
- con l’unico ed articolato motivo di gravame l’interessata lamenta l’insussistenza dei presupposti per la richiesta degli oneri di urbanizzazione, per la realizzazione delle opere edilizie assentite;
- in fatto risulta che le società derivate dalla scissione dell’originaria proprietaria dell’immobile hanno suddiviso il bene, così da poter organizzare l’attività di commercio in modo autonomo ed indipendente;
- non è contestato che l’interessata ha posto in atto opere di tramezzatura e di creazione di ambienti rinnovati, anche se non risultano realizzati ulteriori vani;
- su tali presupposti la ricorrente rileva di aver dato corso a lavori che non integrano una ristrutturazione edilizia con aumento di unità immobiliari;
- il giudice rileva che la decisione della controversia non può derivare dalla qualificazione attribuita al titolo concessorio rilasciato dal Comune, posto che è corretta sul punto al tesi difensiva della ricorrente, allorché osserva che la concreta natura dei lavori eseguiti ha maggior rilievo delle indicazione contenute nel titolo;
- la lettura che la giurisprudenza ha dato alle norme denunciate mette in rilievo (ad es. Cons. Stato sez. V 05.03.2001, n. 1244) il discrimine tra le ipotesi della manutenzione straordinaria e la ristrutturazione edilizia, posto che quest’ultima comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione, allorché l’intervento abbia cagionato un aumento del carico urbanistico;
- nel caso in questione la scissione dell’originaria società indusse alla suddivisione dell’unico locale di vendita in due parti, che vennero organizzate in modo da conferire autonomo rilievo all’attività di impresa dei due distinti soggetti che derivarono dall’operazione societaria;
- le opere riguardarono l’erezione di tramezze e la modificazione degli ingressi, cosa che di per sé ha comportato un aumento del carico urbanistico imposto all’area;
- ne consegue che l’impugnazione non può trovare accoglimento, atteso che il fondamento dell’atto di cui è chiesto l’annullamento non pare in contrasto con le norme denunciate;
- in tal senso, del resto, si è orientata la giurisprudenza, che ha ritenuto che la determinazione in merito all’obbligazione relativa agli oneri va adottata istituendo un discrimine tra i diversi interventi realizzabili, che ha riguardo all’eventuale modifica del carico urbanistico;
- nel caso in questione le modificazioni apportate all’immobile, soprattutto per quel che riguarda l’apertura dei nuovi ingressi, confermano che si è realizzato un aumento dell’impatto sul territorio;
- in conclusione il ricorso non può trovare accoglimento (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.11.2003 n. 1675 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 09.12.2013

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Meglio tardi che mai !!
Anche in Lombardia, adesso, sappiamo cosa fare (burocraticamente parlando) con le terre e rocce da scavo ...

     L'Arpa Regionale lombarda ha inserito lo scorso 06.12. sul proprio sito web istituzionale una circolare esplicativa [sottoscritta dal Direttore Generale ma non datata (sic!)] ed il modulo di dichiarazione (sotto forma di "dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà") sicché si possa tenere un uniforme comportamento in tutti i comuni della regione.
      Al riguardo, di seguito un breve commento (tratto da www.acca.it):

L’Arpa Lombardia ha pubblicato un documento contenente le linee guida sulla gestione di terre e rocce da scavo alla luce della Legge 09.08.2013 n. 98 (Legge de Fare).
Il documento fornisce utili indicazioni operative per la gestione delle “terre e rocce da scavo” e dei “materiali da scavo” alla luce delle modifiche introdotte in materia dall’art. 41 comma 2 e dall’art. 41-bis del decreto legge n. 69/2013, così come modificato dalla legge di conversione n. 98 del 2013.
La pubblicazione chiarisce che l'articolo 41, comma 2, della Legge del Fare prevede che il D.M. 161/2012 (Regolamento su terre e rocce da scavo) vada applicato solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività oppure opere soggette a VIA (Valutazione d'Impatto Ambientale) o AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale).
Pertanto, le attività non soggette a VIA e/o AIA non devono sottostare al D.M. 161/2012; quindi, in questi casi, i materiali di scavo vanno considerati come sottoprodotti e non rifiuti.
Tuttavia, come previsto dall’art. 41-bis, il produttore deve dimostrare che sono soddisfatte alcune condizioni attraverso una dichiarazione che consenta di verificare il rispetto delle condizioni previste dalla norma e più precisamente:
► quantità e qualità dei materiali da scavo destinati all’utilizzo;
► sito di produzione, di deposito e di utilizzo
► provvedimenti, titoli in possesso del destinatario per l’utilizzo dei materiali di scavo
► tempi previsti per l’utilizzo.
Al fine di uniformare le modalità ed i contenuti della suddetta dichiarazione, Arpa Lombardia ha predisposto un modello di Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da compilare per rispondere alle richieste normative.

     Il suddetto modulo di dichiarazione dovrà essere inviato, all'ARPA provinciale territorialmente competente, mediante P.E.C. (Posta Elettronica Certificata) i cui indirizzi sono consultabili cliccando qui.
     Comunque, il modulo di dichiarazione di cui sopra è opportuno che sia inviato -contestualmente- non solo all'ARPA provinciale ma anche al Comune di produzione ed al Comune di utilizzo (e, se diverso, anche al Comune di deposito) delle terre e rocce da scavo poiché in entrambi i casi sussiste necessariamente una pratica edilizia e, quindi, è opportuno che la stessa sia completa anche del modulo di dichiarazione di che trattasi.
     Altresì, è la stessa ARPA Regionale lombarda a ricordarlo nella propria circolare: "ai sensi del comma 3 dell’art. 41-bis, che il completamento delle operazioni di utilizzo dovrà essere comunicato alle Arpa territorialmente competenti, con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo" ma in questo caso non è stato predisposto il fac-simile di dichiarazione (sempre sotto forma di dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà) e, allora, si potrebbe utilizzare il fac-simile di modulo predisposto dall'ARPA Regionale veneta che è scaricabile cliccando qui.
     Infine, siccome ugualmente ricordato dalla circolare esplicativa, "Arpa Lombardia ha predisposto un modello di Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che l'Agenzia suggerisce ma che potrebbe essere sostituito da altri modelli purché rispettino i contenuti dell'art 41-bis della L. 98/2013 e del D.P.R. 445/2000".
09.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

INCENTIVO PROGETTAZIONE: G. Benni, Considerazioni sull'incentivo alla progettazione interna dei pubblici dipendenti (30.11.2013).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazioni, impianti, sicurezza. Ecco la guida per realizzare immobili rispondenti alle norme tecniche e legislative.
L'Ordine degli Ingegneri di Verona ha pubblicato una pratica guida utile sia a professionisti ed imprese ma anche ai cittadini per la progettazione, realizzazione e acquisto di immobili conformi alle norme.
Il vademecum definisce tutto quanto concorre ad avere come risultato un progetto certificato: dalla fase progettuale a quella esecutiva, dalla documentazione necessaria e obbligatoria alle figure professionali che intervengono.
Vengono illustrate in maniera schematica:
autorizzazioni, progetti e ruoli (dal certificato di agibilità, alla dichiarazione di conformità, al certificato di collaudo)
caratteristiche delle strutture
tipologie di impianti termici e elettrici
requisiti acustici
requisiti antincendio
procedure e norme di sicurezza in edilizia
Nel documento, inoltre, sono analizzati gli elementi che l’acquirente deve approfondire sotto il profilo della sicurezza e del risparmio energetico (ad esempio: la constatazione di avere impianti a norma con le disposizioni di legge relative alla sicurezza antincendio, la realizzazione dell’involucro edilizio nell’ottica dell’efficienza energetica, etc.) per conoscere la qualità dell’immobile che sta per acquistare e le spese che dovrà sostenere per la gestione energetica
(05.12.2013 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Procedure e semplificazioni in edilizia: ecco il quadro completo delle misure adottate dal 2009 ad oggi!
Nel corso degli ultimi anni sono state adottate una serie di misure volte a semplificare le procedure amministrative riguardanti l’edilizia, finalizzate a “sburocratizzare” e rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attività edilizia, paesaggistica ed ambientale.
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha presentato un dossier contenente la mappa delle semplificazioni legislative riguardanti l’edilizia, dal 2009 ad oggi.
All’interno del dossier, ANCE analizza gli interventi relativi alla riforma del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) sino a giungere alle novità del Decreto del Fare.
Il dossier fornisce per ogni singolo provvedimento legato all’edilizia, al paesaggio ed all’ambiente, un prospetto riepilogativo e le modifiche apportate alla norma di riferimento.
In particolare, nel documento vengono sintetizzate le semplificazioni introdotte dai seguenti interventi normativi:
Legge 69/2009, recante modifiche alla Legge 241/1990 in materia di procedimento amministrativo, con riduzione dei tempi procedimentali, nuove responsabilità per omissione della p.a. e modifiche alla Conferenza dei Servizi
D.P.R. 139/2010, che introduce la procedura semplificata per l’autorizzazione paesaggistica
D.L. 40/2010 ("Decreto Incentivi"), che apporta modifiche al D.P.R. 380/2001 ampliando la categoria degli interventi edilizi soggetti ad attività edilizia libera e che introduce la Comunicazione di Inizio Lavori (CIL)
D.L. 78/2010, che introduce la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA)
D.L. 70/2011 (Decreto Sviluppo), che fornisce chiarimenti sulla SCIA, introduce il silenzio assenso sul Permesso di Costruire, regolarizza le difformità rispetto al progetto assentito nel limite del 2%, introduce semplificazioni sull’autorizzazione paesaggistica
D.L. 201/2011 (Decreto salva-Italia)
D.L. 5/2012 (Decreto Semplificazioni), che introduce la cedibilità dei parcheggi pertinenziali e alcune semplificazioni nelle procedure amministrative mediante SCIA
D.L. 83/2012 (Decreto Sviluppo e Crescita), che introduce modifiche allo Sportello Unico per l’Edilizia e semplifica il procedimento di rilascio del Permesso di Costruire
D.P.R. 59/2013, che definisce l’Autorizzazione Unica Ambientale
D.Lgs. 33/2013 sulla trasparenza nelle Pubbliche Amministrazioni
D.L. 69/2013, (Decreto del Fare), che introduce deroghe in materia di limiti di distanza tra i fabbricati, elimina il vincolo del rispetto della sagoma, elimina l’obbligo della dichiarazione di indipendenza nei rapporti lavorativi tra progettista e committente o impresa, introduce semplificazioni in tema di agibilità, proroga i termini di scadenza dei titoli abilitativi, proroga le convenzioni urbanistiche
(05.12.2013 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Schemi di procedure e documenti per avere le detrazioni fiscali per interventi su serramenti, caldaie e isolamento delle pareti.
L’Enea, ente preposto alla promozione delle politiche di efficienza energetica, ha pubblicato i vademecum contenenti schemi e procedure per la presentazione della documentazione relativa ai lavori di riqualificazione energetica per usufruire delle detrazioni fiscali del 65%.
Per ogni intervento sono descritti i requisiti generali e tecnici, le opere agevolabili, la documentazione richiesta, le modalità di compilazione e trasmissione, per chi vuole realizzare uno dei seguenti lavori agevolati:
serramenti
caldaie a condensazione
caldaie a biomasse
pannelli solari
pompe di calore
coibentazione pareti
riqualificazione globale
In allegato a questa notizia proponiamo la raccolta in formato “zip” contenente i vademecum aggiornati a novembre 2013 relativi agli interventi di riqualificazione energetica
(05.12.2013 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAPermesso di Costruire e Sportello Unico per l’Edilizia: ecco lo Speciale di BibLus-net, con tabelle di sintesi e schemi.
Lo Sportello Unico per l’Edilizia (SUE) è diventato l’interlocutore principale per tutte le questioni relative al rilascio dei titoli abilitativi e ai controlli sull’attività edificatoria. È stato istituito oltre 10 anni fa dal D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), con lo scopo di curare i rapporti con i cittadini, i progettisti e le imprese per tutto quanto attiene il disbrigo delle pratiche edilizie. Uno dei compiti principali dello Sportello Unico è quello di rilasciare il Permesso di Costruire.
Nel corso del tempo il SUE ha subito diverse modifiche finalizzate alla semplificazione.
In questo articolo proponiamo ai lettori uno Speciale a cura della redazione di BibLus-net, utile sia ai cittadini, per comprendere in maniera semplice come funziona lo Sportello Unico e come viene rilasciato il Permesso di Costruire, sia ai tecnici progettisti e ai tecnici delle Amministrazioni Pubbliche, come promemoria di sintesi, che illustra le funzioni dello Sportello Unico dell’Edilizia, alla luce dei nuovi interventi normativi.
Alla fine del documento è presente una schematizzazione delle fasi per il rilascio del Permesso di Costruire (28.11.2013 - link a www.acca.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Indirizzi volti a favorire il superamento del precariato. Reclutamento speciale per il personale in possesso dei requisiti normativi. Proroghe dei contratti. Articolo 4 del decreto-legge 31.08.2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.10.2013, n. 125, recante "Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni" e articolo 35 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (circolare 21.11.2013 n. 5/2013).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Abrogati gli articoli del regolamento sui contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti delle categorie super specializzate ed i criteri di affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria (ANCE Bergamo, circolare 06.12.2013 n. 253).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: GESTIONE DEI MATERIALI DA SCAVO alla luce della L. 09.08.2013 n. 98 di conversione, con modifiche, del D.L. 21.06.2013 n. 69 (cd "Decreto Fare"):
circolare esplicativa
modulo di dichiarazione (06.12.2013 - ARPA Lombardia).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, novembre 2013).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI:  I. Cacciavillani, Il risarcimento del danno non patrimoniale da atto amministrativo illegittimo: un tabù da sfatare (dicembre 2013 - link a www.lexitalia.it).

APPALTI: C. Tomasini, Costo del personale: prime indicazioni per l’applicazione dell’art. 82, comma 3-bis codice dei contratti pubblici (Urbanistica e appalti n. 12/2013).

EDILIZIA PRIVATA: M. T. D'Urso, La deroga alla onerosità della concessione edilizia ricorre solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge. Oneri di urbanizzazione anche se l’impresa realizza un’opera pubblica (Diritto e Pratica Amministrativa n. 10/2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Amendola, Sono sempre rifiuti gli abiti dismessi? (26.09.2013- link a www.industrieambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Sanna, Bonifica e danno ambientale (25.09.2013 - link a www.industrieambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G. Amendola, L'apoteosi del partito delle terre da scavo (23.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Il "malloppo" degli oneri di urbanizzazione deve essere restituito ai cittadini (19.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, A chi compete il rilascio dell'autorizzazione simica? (12.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Mauri, Fiumi e torrenti: il vincolo paesaggistico sussiste a prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche (10.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Insostituibilità della preventiva autorizzazione simica (03.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, CONDONO EDILIZIO e CONCESSIONI A SANATORIA NULLE - (commento alla sentenza n. 3845/2013 del Consiglio di Stato, depositata il 15.07.2013) (13.08.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, LA PERMANENZA DEL REATO DI COSTRUZIONE IN VIOLAZIONE DELLE NORME TECNICHE ANTISISMICHE (07.08.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Palmisano, Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione: dal Tar Sicilia un provvedimento che fa bene alla salute (04.08.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, SULL’OBBLIGO DELL’ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEI TITOLI ABILITATIVI EDILIZIA (03.08.2013 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: M. Sanna, Materiale di demolizione. Recupero ed MPS (30.07.2013 - link a www.industrieambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Aiello, Gestione illecita di rifiuti stoccaggio e deposito temporaneo (30.07.2013 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Amendola, Acque meteoriche e scarichi industriali: a che punto siamo? (29.07.2013 - link a www.industrieambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Il parere vincolante del soprintendente nel procedimento di autorizzazione paesaggistica (29.07.2013 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Paone, Una proposta costruttiva per svolgere l'attività di raccolta e trasporto di rifiuti «in forma ambulante» (25.07.2013 - link a www.lexambiente.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 07.12.2013 n. 287 "Seconda edizione delle Linee-Guida per i controlli antimafia di cui all’art. 3-quinquies del decreto-legge 25.09.2009, n. 135, convertito dalla legge 20.11.2009, n. 166, inerente la realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’EXPO Milano 2015" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, deliberazione 20.11.2013).

PATRIMONIO: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 49 del 03.12.2013, "Modifiche alla legge regionale 04.12.2009, n. 27 (Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica)" (L.R. 02.12.2013 n. 17).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013, "Adeguamento del valore del soprassuolo stabilito con d.g.r. 675/2005" (decreto D.S. 26.11.2013 n. 10975).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013, "Adeguamento delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di danni alle superfici boschive e ai terreni soggetti a vincolo idrogeologico (art. 61, comma 14, l.r. n. 31/2008)" (decreto D.S. 26.11.2013 n. 10974).

PATRIMONIO - TRIBUTI: G.U. 30.11.2013 n. 281 "Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia" (D.L. 30.11.2013 n. 133).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 29.11.2013 n. 280 "Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da AGI - Associazione imprese generali ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri per l’annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207 ed in particolare delle seguenti disposizioni in parte qua: articolo 109, comma 2, articolo 107, comma 2; Allegato A, articolo 79, commi 17, 19 e 20; articolo 85, commi 1 e 2; articolo 86, comma 1, articolo 83, comma 4, articolo 357, comma 12; articolo 92, comma 2" (D.P.R. 30.10.2013).

QUESITI & PARERI

SICUREZZA LAVORO: Contravvenzione penale in materia di sicurezza del lavoro.
La magistratura contabile sottolinea il carattere personale della responsabilità per le violazioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro di cui al D.Lgs. n. 758/1994, con la conseguenza che gli adempimenti previsti da detto decreto per l'estinzione delle contravvenzioni -adempimento della prescrizione impartita dall'organo di vigilanza e pagamento dell'ammenda in misura ridotta- hanno del pari carattere del tutto personale, predisposti come essi sono ad evitare la sanzione penale edittalmente prevista.
Pertanto l'ente pubblico, in presenza di una sanzione per violazione della normativa sulla sicurezza de qua, a carico della persona (dipendente o amministratore) individuata dagli organi a ciò preposti quale contravventore, non può assumersene l'onere senza cagionare un danno all'erario.

Il Consorzio riferisce che a un proprio dipendente è stato notificato dall'organo di vigilanza competente un verbale di accertamento di alcune contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro, recante la prescrizione della regolarizzazione delle situazioni di illegittimità riscontrate, al fine di eliminare le contravvenzioni accertate, ai sensi dell'art. 20, D.Lgs. n. 758/1994
[1]. A seguito dell'accertamento positivo dell'adempimento delle prescrizioni, l'organo di vigilanza ha comunicato al dipendente (contravventore) l'ammissione al pagamento nel termine di 30 giorni della sanzione amministrativa nella misura ridotta ai sensi dell'art. 21 del decreto citato.
Poiché il dipendente ha chiesto al Consorzio di farsi carico del pagamento della sanzione, l'Ente pone alcune questioni circa la possibilità di procedere direttamente al pagamento della stessa, ovvero, qualora a ciò debba provvedere il dipendente, circa la possibilità di disporre, poi, nei suoi confronti, il rimborso di quanto pagato.
Il D.Lgs. n. 758/1994 ha dettato con gli artt. 19 e ss. una disciplina in tema di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. L'art. 20 prescrive che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, deve impartire al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, ma prorogabile in certi casi, ed imponendo se del caso specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro
[2]. La norma prevede che copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.
Il successivo art. 21 stabilisce, poi, che entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza deve verificare se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati, e in caso di riscontro positivo in tal senso, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, nel termine di 30 giorni, una sanzione, in sede amministrativa, pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa
[3]. Ai sensi del successivo art. 24, l'adempimento della prescrizione e il pagamento della sanzione amministrativa determinano l'estinzione della contravvenzione.
Nel caso concreto, l'adempimento della prescrizione imposta dall'organo di vigilanza risulta avvenuto nelle modalità e nel termine fissati, con conseguente ammissione del trasgressore al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta.
Ciò premesso, si tratta di capire se l'Ente possa tenere indenne il dipendente trasgressore dal pagamento della sanzione.
Muovendo dall'espressione testuale delle disposizioni sopra richiamate, si osserva che destinatario della prescrizione è il contravventore (art. 20) che, in caso di adempimento della prescrizione, è ammesso al pagamento in misura ridotta (art. 21).
Come ha osservato la giurisprudenza
[4], le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 758/1994 individuano inequivocabilmente il soggetto tenuto al pagamento della sanzione pecuniaria (al fine di ottenere il beneficio dell'estinzione del reato contravvenzionale commesso) in colui che sia stato riconosciuto personalmente responsabile di trasgressioni alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro [5].
Per quanto concerne la posizione dell'Ente con cui intercorre il rapporto di lavoro subordinato del dipendente che ha ricevuto la notifica della prescrizione, il comma 2 dell'art. 20 ricordato prevede che copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.
Pertanto, atteso che la normativa di cui al D.Lgs. n. 758/1994 pone quale destinatario esclusivo della prescrizione il contravventore e che, dalla documentazione acquisita dall'Ente, consta l'individuazione del contravventore nella persona del dipendente, l'onere del pagamento della sanzione graverà su quest'ultimo.
Per quanto concerne, infine, la possibilità di un eventuale rimborso da parte dell'Ente al contravventore della somma che questo è chiamato a pagare, si segnalano le considerazioni espresse dalla Corte dei Conti nella materia specifica delle contravvenzioni per violazioni della normativa concernente la sicurezza nel luogo di lavoro.
Specificamente, i Giudici contabili, muovendo dal riconoscimento del carattere personale della responsabilità connessa alle suddette violazioni, spiegano che, conseguentemente, anche il pagamento dell'ammenda in misura ridotta, accompagnato dall'adempimento della prescrizione impartita dall'organo di vigilanza, idoneo ad estinguere la contravvenzione, ha del pari carattere del tutto personale, predisposto come esso è ad evitare la sanzione penale edittalmente prevista. Pertanto l'ente pubblico, in presenza di una sanzione a carico del datore di lavoro per violazione della normativa sulla sicurezza de qua, non può assumersene l'onere, senza cagionare un danno all'erario
[6].
Ad ogni buon conto, stante la delicatezza della questione, si suggerisce all'Ente di valutare l'opportunità di richiedere un parere in ordine alla rimborsabilità di somme pagate da dipendenti, nell'ambito della procedura stabilita dal D.Lgs. n. 758/1994 in tema di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti
[7], muovendo dalla rappresentazione della fattispecie di fatto in cui è consistita la violazione sanzionata, anche in relazione alla rilevanza o meno della valutazione dell'elemento soggettivo del dipendente/contravventore.
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[1] D.Lgs. 19.12.1994, recante: 'Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro'.
[2] Si ricorda che resta, ovviamente, fermo, l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347, c.p.p..
[3] Quindi entro 120 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, deve comunicare al pubblico ministero l'adempimento della prescrizione e l'eventuale pagamento della sanzione amministrativa.
[4] Corte dei Conti, sez, giurisd. per la Regione siciliana, sentenza n. 1829/1998; Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Calabria, sentenza n. 950/2008, che nel richiamare l'art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 758/1994, commenta che la contravvenzione si estingue se il contravventore (e non la persona giuridica) adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2.
[5] Al riguardo, corre, peraltro, l'obbligo di segnalare alcune osservazioni formulate in dottrina, secondo cui, nell'ipotesi in cui sorgano dubbi sull'individuazione del soggetto responsabile della violazione accertata, gli organi di vigilanza emettono la prescrizione sulla base della situazione di fatto e documentale verificata nell'immediatezza in una logica di urgente intervento a fronte di una situazione per la sicurezza dei lavoratori che deve ritenersi prevalente rispetto alla piena e definitiva cognizione dei vari profili di responsabilità in seno all'ente. In siffatta ipotesi, il PM potrà, successivamente, sollecitare, una più approfondita verifica, con possibilità di successive integrazioni o modificazioni dei destinatari della prescrizione stessa (Cfr, Pasquale Fimiani, magistrato, L'accertamento delle contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro, 20.10.1999).
[6] Corte dei Conti, sez. giurisd., Regione Sicilia, sentenza n. 1574/2010; Corte dei Conti, sez. contr., Emilia Romagna, parere n. 276/2011.
[7] Ai sensi dell'art. 7, comma 8, L. n. 131/2003. Si specifica, al riguardo, che, secondo gli indirizzi dettati dalla Corte dei conti, ai fini dell'ammissibilità, la richiesta di parere deve essere formulata prima che siano assunti dall'ente richiedente comportamenti potenzialmente illeciti sotto il profilo contabile
(03.12.2013 -
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APPALTI: Fallimento di soggetto creditore del Comune liquidazione fattura.
Da un lato, sussiste la previsione per cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore, cosicché si apra il concorso di tutti i creditori in relazione al patrimonio dell'imprenditore. Dall'altro lato, la specifica disposizione di cui all'art. 4, c. 2, d.P.R. 207/2010, entra in conflitto con la regola concorsuale della par condicio creditorum, in considerazione della sua finalità garantistica nei confronti dei diritti del lavoratore.
L'Ente deve procedere alla liquidazione di una fattura a favore di un soggetto sottoposto a procedura fallimentare. Il Comune domanda, pertanto, come comportarsi ai fini delle procedure preliminari alla liquidazione, in particolare per quanto attiene alle verifiche della regolarità contributiva e per quanto concerne l'eventuale inadempimento, da parte del proprio creditore, rispetto all'obbligo di versamento contributivo.
In particolare, il soggetto instante chiede:
a) se, in seguito alle sopra citate verifiche, in caso di riscontro di situazione debitoria contributiva, si debba procedere alla liquidazione della somma dovuta, a favore degli enti dai quali è vantato credito nei confronti del fallito (INPS, INAIL, ecc.) e, quindi, a favore della curatela fallimentare per la quota residua; ovvero
b) se, nel rispetto della par condicio creditorum, si debba procedere alla liquidazione complessiva del debito a favore della curatela fallimentare, lasciando l'onere dell'insinuazione nella massa passiva in capo ai summenzionati enti creditori.
Si anticipa, fin d'ora, che, sulla prospettata questione, lo scrivente ha ritenuto di formulare un quesito all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in considerazione della complessità della evidenziata problematica, della sua portata di interesse generale e del ruolo rivestito, nel nostro ordinamento giuridico, dagli interessi ad essa sottesi, qui confliggenti (applicazione del principio di par condicio creditorum in sede fallimentare da un lato e tutela della posizione contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro dall'altro, garantita dallo strumento disciplinato dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207).
Si premette come l'applicazione della soluzione prospettata sub a) piuttosto che di quella illustrata sub b) è condizionata dall'interesse giuridico al quale si intende dare prevalenza all'interno della delineata antinomia (rispetto della par condicio creditorum in sede fallimentare ovvero tutela della posizione contributiva ed assicurativa del prestatore di lavoro). Le disposizioni che tutelano i summenzionati interessi giuridici -nell'un caso la legge fallimentare, nell'altro l'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010- sono ambedue norme imperative poste a tutela di valori generali e superiori del nostro ordinamento giuridico.
Poiché, dunque, nella fattispecie in esame, si assiste ad un caso di conflitto tra norme, che tutelano, entrambe, interessi superiori del nostro ordinamento giuridico, è necessario delineare i confini dell'efficacia della menzionata disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, in quanto, nel caso ora in attenzione, si riscontra una contrapposizione tra la procedura concorsuale instaurata nei confronti dell'appaltatore e la particolare condizione soggettiva di pubblica amministrazione del committente che impone a quest'ultimo, in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore di un contratto, di porre in atto la particolare tutela prevista dalla norma da ultimo citata, consistente nel cosiddetto 'intervento contributivo sostitutivo'
[1].
Si tratta, quindi, di capire se, a fronte di una instaurata procedura fallimentare, le disposizioni specifiche che la disciplinano prevalgano o meno rispetto alla normativa di settore degli appalti pubblici (nel cui alveo deve essere ricondotta anche la disposizione qui in esame, contenuta nel regolamento esecutivo ed attuativo del codice degli appalti pubblici - decreto del Presidente della Repubblica 207/2010).
Si rammenta, anzitutto, che il decreto del Presidente della Repubblica 207/2010
[2] -nella parte I- Disposizioni comuni - tra le novità di più rilevante interesse ai fini della disciplina in tema di durc, all'articolo 4, comma 2, ha introdotto il potere sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappaltatore.
Il cosiddetto intervento sostituivo nei contratti pubblici si concretizza nel pagamento, da parte della stazione appaltante, direttamente ad Inail, Inps e Casse Edili, dell'importo corrispondente alla inadempienza contributiva segnalata nel durc. Oggetto dell'intervento è il pagamento diretto, agli enti previdenziali, di quanto dovuto per le inadempienze accertate, mediante il documento unico di regolarità contributiva, nei confronti dell'operatore economico. La somma che la stazione appaltante versa agli enti previdenziali è trattenuta dal corrispettivo dovuto all'operatore economico.
L'articolo 4, comma 2, introduce, pertanto, un particolare meccanismo, attraverso il quale, in presenza di un documento unico di regolarità contributiva che evidenzi delle irregolarità nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle Casse Edili, le stazioni appaltanti si sostituiscono al debitore principale versando -in tutto o in parte- le somme dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai predetti Istituti e Casse
[3].
L'obiettivo della norma è, attraverso la soddisfazione della pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di concorrere al recupero della regolarità contributiva del medesimo
[4].
L'articolo 4, comma 2, trova, dunque, ragion d'essere in virtù dell'esigenza di garantire, in ogni caso, il soddisfacimento del credito previdenziale anche a fronte dell'eventuale inadempimento dell'appaltatore/debitore.
Si tratta di disposizione imperativa con finalità pubblicistiche e garantistiche di tutela sociale (garantire al lavoratore il versamento del credito previdenziale ed assicurativo a favore di Inps e Inail). Assicurare l'effettivo rispetto delle norme di tutela dei lavoratori è, invero, un'esigenza di interesse pubblico.
La particolare tutela accordata dalla summenzionata disposizione appare del resto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento, in tema di diritti del lavoratore, quali si desumono dagli articoli 4, 35 e 36 della Costituzione.
Per quanto concerne, invece, la procedura concorsuale, si precisa che, in essa, devono confluire tutte le posizioni attive e passive afferenti al fallito. In considerazione della regola generale di diritto e logica giuridica ricavabile dal disposto degli articoli 51 e 52 della legge fallimentare, nel procedimento concorsuale devono confluire tutte le obbligazioni ed i crediti che incidono sull'accertamento del passivo e dell'attivo, poiché è grazie a tale confluenza che si realizza concretamente l'unità dell'esecuzione sul patrimonio del fallito ed è, così, soddisfatta in concreto l'esigenza della
par condicio creditorum.
Con la dichiarazione di fallimento inizia, dunque, una procedura concorsuale liquidatoria
[5] che coinvolge l'imprenditore con l'intero patrimonio ed i suoi creditori [6]. La procedura è diretta all'accertamento dello stato di insolvenza dell'imprenditore medesimo, all'accertamento dei crediti vantati nei suoi confronti e alla loro successiva liquidazione, secondo il criterio della par condicio creditorum.
Da un lato, sussiste, quindi, la previsione per cui deve essere ricompreso nel compendio fallimentare qualsiasi credito vantato dal fallito/appaltatore nei confronti del debitore/committente, somma per la quale si apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito stesso. Dall'altro lato, la specifica previsione di cui all'articolo 4, comma 2, pare sovrapporsi alla regola concorsuale della par condicio creditorum, in considerazione della sua finalità garantistica.
Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che quella concorsuale è una procedura speciale che determina l'interruzione delle procedure legate all'esistenza dell'impresa e, quindi, anche quelle relative ai contratti di appalto; in particolare la procedura fallimentare prevale sulle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010, in quanto le disposizioni in materia di appalti presuppongono l'esistenza dell'impresa. La parte non fallita -ovvero la stazione appaltante- deve adempiere al sinallagma contrattuale per le prestazioni antecedenti alla dichiarazione di fallimento e l'adempimento corretto è sicuramente quello reso nei confronti del curatore fallimentare. Il pagamento del credito dovrà, pertanto, essere effettuato dal Comune alla curatela fallimentare
[7].
Si evidenzia, inoltre, che, per l'Inail - Direzione Centrale Rischi - Ufficio Entrate (circolare/nota di istruzioni emanata in data 21.03.2012), eventuali interventi contributivi sostitutivi, riguardanti soggetti per i quali risultino procedure concorsuali, esulano dalle modalità di pagamento indicate nella summenzionata circolare e 'devono essere gestiti alla luce della rispettiva normativa di riferimento, in relazione alla specificità del caso concreto'.
Vi è, tuttavia, chi rimarca che, nell'ipotesi di intervento sostitutivo, i Comuni agiscono in forza di una disposizione di legge -l'articolo 4, comma 2- emanata proprio per consentire, agli enti previdenziali, il diretto recupero delle somme contributive e che, in ogni caso, il 'fallimento non subisce alcun danno, evitando l'insinuazione dell'Inps e degli altri enti previdenziali, che essendo stati soddisfatti, mancherà. Sottolineandosi inoltre come non si evinca alcuna disposizione che nel conflitto tra le disposizioni in esame dia favore all'applicazione delle prescrizioni di cui alla legge fallimentare'.
[8]
Dando uno sguardo alla prassi, si sottolinea come, in relazione a casi simili a quelli delineati dal soggetto instante, siano state reperite sia determinazioni comunali che dispongono direttamente il pagamento dell'intera somma dovuta a favore della curatela fallimentare
[9] che determinazioni comunali che, al contrario, danno applicazione alla disposizione sull'intervento sostituivo anche in caso di fallimento, prevedendo, pertanto, il pagamento del debito contributivo a favore dell'ente previdenziale e soltanto la corresponsione della differenza a beneficio della curatela [10].
In conclusione, premesso che, trattandosi di normativa nazionale, la soluzione della problematica esaminata può essere indicata soltanto dai competenti uffici statali, nel quadro di incertezza applicativa sopra delineato ed in attesa di conoscere la presa di posizione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, si ritiene di poter propendere, in via meramente collaborativa, per la soluzione sub b), riconoscendosi, pertanto, nel raffigurato contrasto, prevalenza all'applicazione delle regole sottese alla procedura fallimentare ed al principio della par condicio creditorum.
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[1] Si rammenta che, in base al tenore letterale dell'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010, l'intervento sostitutivo contributivo è un obbligo per la stazione appaltante. In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013 e 18.06.2013.
[2] Il regolamento è entrato in vigore l'08.06.2011.
[3] In tal senso, la circolare n. 3/2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per l'Attività Ispettiva.
[4] In tal senso, i pareri Anci datati 26.07.2013, 18.06.2013 e 22.01.2013, reperibili all'indirizzo internet www.ancitel.it
[5] Il fallimento è disciplinato dal regio decreto 16.03.1942, n. 267 (Legge fallimentare) e successive modificazioni, tra cui si richiama il decreto legislativo 09.01.2006, n. 5 ed il decreto legislativo 12.09.2007, n. 169.
[6] L'articolo 42 del regio decreto 267/1942 è la prima norma concernente gli effetti del fallimento per l'imprenditore: 'La sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento'. Questi effetti rientrano nel concetto di spossessamento e decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento: il fallito perde, così, la disponibilità dei propri diritti patrimoniali. Gli effetti del fallimento, oltre che in capo all'imprenditore, si producono anche nei confronti dei creditori. Tali effetti sono regolati dal regio decreto 267/1942, negli articoli da 52 a 63.
[7] Si legga, in questo senso, il parere espresso dalla Regione Toscana - Direzione Generale Organizzazione e Risorse -Settore Contratti- datato 21.02.2012, reperibile sul sito ufficiale dell'ente.
[8] Motivazioni tratte da un forum di diritto fallimentare.
[9] In tal senso, si veda la determinazione del Comune di Cavagnolo, Provincia di Torino, n. 58 del 17.04.2013, reperibile sul sito internet dell'ente.
[10] Così, la determinazione del Comune di Lecco n. 507 dell'08.08.2013, reperibile sul sito internet dell'ente
(29.11.2013 -
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CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Liti, le spese sono a carico. Nessun rimborso ai sindaci. Solo ai dipendenti. Il beneficio per i lavoratori non è suscettibile di estensione analogica.
Sono rimborsabili le spese legali sostenute per atti compiuti in qualità di sindaco e presidente della commissione di vigilanza sugli spettacoli?

Nell'ordinamento vigente non è dato rinvenire norme che prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori locali le spese sostenute per giudizi instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in essere nell'esercizio delle proprie funzioni.
In passato, parte della giurisprudenza aveva ritenuto di poter estendere in via analogica agli amministratori locali la normativa che consente tale rimborso per i dipendenti degli enti locali, sulla base dell'avverarsi di alcuni presupposti, quali la sussistenza di una connessione con i compiti d'ufficio dei fatti oggetto del processo penale, la mancanza del conflitto d'interessi con l'amministrazione di appartenenza, nonché la conclusione del processo penale con una sentenza di assoluzione.
Secondo indirizzi ermeneutici più recenti, la possibilità di tale ricorso all'analogia nella materia in questione è preclusa.
In base a tali orientamenti è stato, infatti, ritenuto non pertinente il richiamo all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell'ordinamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e la diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (cfr. sent. Cass. civ. sez. I n. 12645 del 25/05/2010).
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Basilicata, con la più recente sentenza n. 165 del 15.10.2012, ha confermato tale orientamento, escludendo un'interpretazione estensiva della disciplina prevista per i dipendenti e ritenendo anche non condivisibile la tesi dell'applicabilità, con il ricorso al procedimento analogico, dell'art. 1720 del codice civile nella parte in cui dispone che «il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico».
Tali principi si richiamano anche per la fattispecie in oggetto, significando che, alla carica elettiva di sindaco si ascrivono tutte le funzioni previste per legge, esercitate nel rispetto del mandato pubblico conferito (articolo ItaliaOggi del 29.11.2013).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi consiliari di due componenti.
È possibile costituire un nuovo gruppo consiliare, distaccato da dall'originario gruppo di maggioranza, formato da due componenti?

In linea di principio i mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti, sono ammissibili.
Ciò secondo un principio fondamentale del nostro ordinamento, confermato dalla giurisprudenza (vedi Tar Lazio, sent. n. 649 del 21/7/2004) per il quale non è configurabile alcun obbligo giuridico che vincoli l'eletto al proprio partito, ovvero ai propri elettori, sicché «nulla impedisce che, nel corso della consiliatura, uno o più consiglieri abbandonino la coalizione d'origine e transitino in altra coalizione».
In particolare, i consigli dovrebbero dotarsi di normativa regolamentare per il loro funzionamento, così come previsto dall'articolo 38, comma 2, del dlgs n. 267/2000, e per la gestione di tutte le risorse assegnate agli stessi consigli e ai gruppi regolarmente costituiti.
Nella fattispecie lo statuto dell'ente, pur prevedendo la possibilità di costituzione di nuovi gruppi formati da almeno tre componenti, ne subordina l'attuazione «a norma di regolamento» che, nel caso in esame, non è mai stato adottato.
Tuttavia, pur permanendo la grave carenza derivante dalla mancata adozione del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale, previsto dal citato art. 38, ciò non può considerarsi quale condizione preclusiva della disposizione statutaria, secondo cui sono ammessi solo i gruppi formati da almeno tre consiglieri, che risulta comunque immediatamente applicabile (articolo ItaliaOggi del 29.11.2013).

VARI: Bonus mobili con dubbi.
Domanda
Ho installato nella mia abitazione un impianto anti-intrusione, per il quale usufruirò della detrazione (50% per il recupero edilizio). Alla luce della circolare 29/E/2013, che sembra limitare il bonus arredi ai soli interventi edilizi, ho richiesto al servizio di assistenza dell'Agenzia entrate di chiarirmi se, in relazione all'impianto anti intrusione, posso usufruire anche della detrazione per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici. La risposta è stata affermativa, mentre la circolare 29/E/2013 sembra limitare il bonus per gli arredi ai soli interventi edilizi. Cosa ne pensate?
Risposta
Dalla lettura dell'art. 16 del dl 63/13 sembra potersi addivenire a un'applicazione del bonus mobili più ampia di quella desumibile dalla circolare 29/E/13, che appare limitata ai soli interventi di natura edilizia. In tal senso, prima dell'emanazione della circolare, si erano espressi molti commentatori. Interpretazione basata sul rinvio, da parte del 3° comma dell'art. 16 del dl 63/2013 (relativoa mobili e grandi elettrodomestici), al 1° comma dello stesso art. 16 e da quest'ultimo all'intero 1° comma dell'art. 16-bis del Tuir, comma quest'ultimo che ricomprende anche interventi di carattere non edilizio. Tale interpretazione valorizza il predetto ragionamento e minimizza la portata del termine «ristrutturazione» usato dal legislatore nel dl 63/2013 in modo atecnico e, probabilmente, non restrittivo.
La circolare sembra avere sposato una soluzione diversa, che non convince del tutto, pur non essendo irragionevole: infatti, anche essa interpreta il vocabolo «ristrutturazione» in senso atecnico, tuttavia nell'espanderne il significato non arriva al punto di ricomprendere la totalità degli interventi presenti nel 1° comma dell'art. 16-bis del Tuir (peraltro, la stessa circolare 29/E/13 riconosce che il bonus mobili compete anche nel caso di cui al 3° comma dell'art. 16-bis del Tuir relativo alla detrazione per l'acquisto di fabbricati ristrutturati).
Condividiamo quindi l'interpretazione data via e-mail dal servizio assistenza dell'Agenzia delle entrate, anche perché non è chiaro cosa cambi, in concreto, rispetto all'acquisto degli arredi, se si esegue un modesto intervento di manutenzione straordinaria «edilizia» piuttosto che un qualsiasi altro intervento, ancorché privo di tale natura (come l'impianto anti intrusione), per il quale il legislatore abbia comunque ritenuto di riconoscere il 36-50%.
La risposta del servizio assistenza non possiede però valore giuridico di interpello (art. 11, legge 212/2000), per ottenere il quale occorre rivolgersi alla Direzione regionale competente per territorio (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Immobile viziato.
Domanda
Vorrei sapere se, nel caso in cui le informazioni fornite in un'asta immobiliare siano gravemente incomplete e omettano di indicare l'esistenza di abusi edilizi non sanabili, l'aggiudicatario può far valere la garanzia per i vizi.
Risposta
La risposta è affermativa ed è stata ribadita da una recentissima pronuncia della Suprema corte (n. 23140/2013). In caso di procedura esecutiva e di aggiudicazione di un'immobile all'asta, la sanatoria non è concessa in via automatica, ma è subordinata all'esistenza delle condizioni di legge affinché l'aggiudicatario possa presentare la necessaria istanza di sanatoria nei 120 giorni successivi all'aggiudicazione, termine tassativo e decorrente dalla data in cui al soggetto aggiudicatario è notificato il decreto di trasferimento, non già dalla anteriore data di deposito presso la cancelleria.
Può costituire oggetto di vendita forzata anche un immobile viziato da abusi non sanabili, ma ciò deve essere dichiarato nel bando di vendita. In caso contrario, ci si troverebbe di fronte alla vendita di «una cosa per un'altra», nel qual caso non opera più l'esclusione dell'aggiudicatario, ex art. 2922 c.c., dalla garanzia per vizi.
In passato, la Cassazione (sent. n. 11018/94) aveva già osservato che all'esclusione da garanzia ex art. 2922 c.c. resta estranea l'ipotesi che la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da quello indicato nell'ordinanza di aggiudicazione o manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico–sociale, ma anche se risulta del tutto compromessa la destinazione all'uso indicato nell'ordinanza che abbia costituito situazione determinante per l'offerta all'acquisto (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Detrazione del 65%.
Domanda
In presenza di una ristrutturazione consistente anche nell'ampliamento del fabbricato già esistente con relativa riqualificazione energetica si può usufruire della detrazione del 65% su tutti i costi sostenuti al riguardo?
Risposta
No. La spettanza della detrazione per gli interventi di risparmio energetico è subordinata alla circostanza che i predetti interventi siano realizzati su edifici esistenti. Con la circolare n. 36/2007 l'Agenzia delle entrate ha, infatti, precisato che nel caso di ristrutturazioni con demolizione e ricostruzione si può accedere all'incentivo solo nel caso di fedele ricostruzione, ravvisando nelle altre fattispecie il concetto di nuova costruzione. Conseguentemente: in caso di ampliamento non spetta la detrazione in quanto l'intervento si considera «nuova costruzione»; in caso di ristrutturazione senza demolizione dell'esistente e ampliamento la detrazione spetta solo per le spese riferibili alla parte dell'immobile già esistente (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

PATRIMONIO: Concessione ad associazione.
Domanda
Un dirigente pubblico che concede un immobile del Comune in uso gratuito a un'associazione privata commette danno erariale?
Risposta
Al fine di rispondere al quesito posto è preliminarmente opportuno precisare, come più volte ribadito dalla Magistratura contabile, che le Pubbliche amministrazioni sono tenute a valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico e che tale valorizzazione consiste in primis nel ricavare un reddito dalla gestione degli stessi.
La concessione e/o comodato a titolo gratuito è pertanto vista come extrema ratio (cfr. parere Corti conti Veneto n. 33/2009). Solo in caso in cui l'utilità sociale per la comunità è maggiore del ricavato economico (ex Università, Croce Rossa) è ammessa la concessione e/o comodato a titolo gratuito. Diversamente il comportamento tenuto dall'Amministrazione costituisce danno erariale. È comunque consigliabile prevedere i casi circoscritti in cui è ammesso l'uso a titolo gratuito degli immobili pubblici, con apposito regolamento, approvato dal Consiglio comunale.
In merito è inoltre opportuno precisare che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna , con una recente sentenza (n. 234 del 16.09.2013), ha statuito che non determina alcun danno erariale il dirigente comunale che concede un immobile del Comune in uso gratuito a un'associazione privata se da ciò deriva un corrispettivo indiretto all'ente come lo svolgimento di servizi e attività di utilità pubblica, nonché gli obblighi di gestione e manutenzione dell'immobile in capo all'associazione stessa (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione e ricostruzione.
Domanda
Alla luce della nuova normativa, essendo intenzionato a effettuare una ristrutturazione edilizia del mio immobile, consistente nella sua demolizione e ricostruzione, in modo più efficiente dal punto di vista energetico, posso usufruire della detrazione fiscale del 65%. Se l'intervento rispetta la stessa sagoma che ha ora? La nuova costruzione deve mantenere la stessa volumetria dell'immobile preesistente?
Risposta
Il dl n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013, in vigore dal 21/08/2013, ha rivisto la definizione di «ristrutturazione edilizia» eliminando il previgente alla «sagoma» dell'immobile da demolire. Ciò comporta che, da detta data, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia fiscalmente agevolabili anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma; sempre che l'intervento abbia le caratteristiche per, come prima precisato, configurarsi come «ristrutturazione edilizia», non essendo l'immobile soggetto a vincolo ai sensi del dlgs 42/2004 e non ricadente nella zona A del dm 1444/1968) (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: L. n. 689/1981. Onere sanzione amministrativa elevata nei confronti dell'autore della violazione e dell'amministrazione di appartenenza.
In tema di sanzioni amministrative, secondo la disciplina della L. n. 689/1981, vige il principio della personalità della responsabilità amministrativa, per cui autore della violazione può essere soltanto la persona fisica, mentre, la persona giuridica in nessun caso può essere chiamata a rispondere della sanzione amministrativa in qualità di autore dell'illecito. La circostanza che la persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica spiega rilievo solo al diverso fine della responsabilità solidale di quest'ultima, ai sensi dell'art. 6 della legge 689.
Le posizioni dei condebitori solidali hanno carattere autonomo e sorgono per effetto della contestazione della violazione, con successiva emissione nei confronti di ciascun coobbligato dell'ordinanza ingiunzione di pagamento, che lo rende, altresì, legittimato all'opposizione.
L'ente pubblico per cui sia sorto l'obbligo di pagare, e che abbia a ciò adempiuto, ha diritto (obbligo) di regresso per l'intero nei confronti dell'autore della violazione, qualora sia accertato l'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo allo stesso.

Il Comune riferisce di aver ricevuto da parte dell'amministrazione provinciale un'ordinanza ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa, ai sensi della L. n. 689/1981
[1], in veste di obbligato in solido, per un'infrazione ex art. 133, comma 2, D.Lgs. n. 152/1999 [2], in relazione alla quale è stato individuato l'autore della violazione nella persona del Sindaco pro tempore.
Quest'ultimo, riferisce l'Ente, non intende pagare la sanzione: lo stesso ha infatti presentato ricorso avverso l'ordinanza ingiunzione e successivo appello contro il provvedimento di rigetto del ricorso. Il Comune è stato sollecitato dall'amministrazione della provincia a pagare la sanzione, per cui chiede se può procedere al pagamento della stessa (con gli interessi maturati) ed in tal caso se deve poi immediatamente procedere all'azione di regresso nei confronti dell'autore della violazione oppure attendere l'esito del giudizio di appello.
L'art. 3, L. n. 689/1981, sancisce il principio della personalità della responsabilità da illecito amministrativo, statuendo che ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
L'art. 6, L. n. 689/1981, prevede che "se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta" (comma 3). L'ultimo comma dell'art. 6 richiamato attribuisce al condebitore solidale, che ha pagato, il diritto di regresso per l'intero nei confronti della violazione.
La disciplina della responsabilità solidale di cui all'art. 6 ricordato, unitamente al fatto che l'assoggettamento a sanzione amministrativa è subordinato alla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa (art. 3), hanno fondato in giurisprudenza l'affermazione del principio per cui nel sistema sanzionatorio delineato dalla L. n. 689/1981, l'autore della violazione, diretto destinatario dell'ordinanza ingiunzione che irroga la sanzione pecuniaria e ne intima il pagamento, può essere soltanto la persona fisica, mentre la persona giuridica (o l'ente privo di personalità giuridica) in nessun caso può essere chiamata a rispondere della sanzione amministrativa in qualità di autore dell'illecito
[3].
La Corte di Cassazione ha, inoltre, chiarito che nel sistema sanzionatorio in esame, l'art. 6 sancisce il principio della responsabilità solidale della persona giuridica nell'ipotesi in cui l'illecito amministrativo sia stato commesso dal suo rappresentante o da un suo dipendente; tale responsabilità è di carattere sussidiario e deve ritenersi sussistente ogni qual volta sia stato commesso un illecito amministrativo da persona ricollegabile all'ente per aver agito nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze
[4].
Con particolare riferimento all'obbligo di regresso di cui all'art. 6, comma 4, la Corte dei Conti ha riconosciuto comunque, in ogni caso, la sussistenza di un danno per la finanza di un comune, ogni qual volta il comune paghi una sanzione senza disporre contestualmente l'azione di regresso nei confronti del responsabile
[5].
Si precisa, inoltre, che la causa giudiziale di opposizione all'ordinanza ingiunzione instaurata dal Sindaco (allo stato, in fase di trattazione davanti alla Corte di Appello), non si ripercuote sull'obbligazione autonoma
[6] del Comune di pagare la sanzione amministrativa in via solidale, che sorge per effetto della contestazione della violazione, con successiva emissione nei suoi confronti dell'ordinanza ingiunzione di pagamento, che lo rende, altresì, legittimato all'opposizione [7].
L'autonomia della posizione dei soggetti coobbligati in solido impone, infatti, un'autonoma contestazione della violazione
[8], ai sensi dell'art. 22, L. n. 689/1981, con possibilità di chiedere, (e ottenere), nell'ambito del giudizio di opposizione, ricorrendone i presupposti previsti, la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato [9]. Nel caso di specie, non risulta che il Comune abbia proposto opposizione all'ingiunzione, con la conseguenza che rimane fermo il suo obbligo di pagare imposto dall'esecutività dell'ingiunzione di cui è destinatario, in posizione autonoma rispetto a quella del soggetto individuato quale autore della violazione.
Tale adempimento dovrà essere accompagnato, per quanto detto sopra, da contestuale azione di regresso avanti la Corte dei Conti
[10], attraverso segnalazione (denuncia) al Procuratore regionale della Corte dei Conti, titolare dell'azione pubblica di danno [11]. Spetterà, infatti, alla Corte dei Conti, cui compete l'accertamento dell'elemento soggettivo (colpa lieve, colpa grave, dolo) [12] delle condotte potenzialmente produttive di danno erariale, valutarne la sussistenza nel caso concreto, assieme agli altri presupposti di detto danno, secondo i termini di cui alla L. n. 20/1994 [13].
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[1] L. 24.11.1981, n. 689, recante: 'Modifiche al sistema penale'.
[2] D.Lgs. 11.05.1999, n. 152, recante: 'Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole'.
[3] Cass. Civ., sez. V, 25.05.2007, n. 12264; Cass. Civ., sez. I, 28.04.2006, n. 9880; Cass. Civ., sez. I, 03.04.1996, n. 3116.
[4] Cass. Civ., sez. II, 20.11.2006, n. 24573; Cass. Civ., sez. I, 30.05.2001, n. 7351.
Nello stesso senso, in dottrina, Stefania Pallotta, Manuale delle sanzioni amministrative ambientali, Maggioli, 2011, la quale osserva che, mentre l'autore della violazione è un individuo cui è imputabile l'azione od omissione cosciente e volontaria, invece il responsabile solidale è un individuo oppure un ente coobbligato al versamento di un importo corrispondente alle sanzioni applicate per un fatto illecito che non ha commesso.
[5] Corte dei Conti, sez. giurisd. Abruzzo, 23.05.2005, n. 472; Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Calabria, 31.10.2007, n. 970.
[6] Sull'autonomia delle posizioni dei vari soggetti coobbligati, cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 06.02.1992, n. 1318.
[7] Il vincolo di solidarietà intercorrente tra l'autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui lo stesso è il rappresentante legale consente all'autorità amministrativa di chiamare a rispondere dell'infrazione ambedue gli obbligati oppure l'uno o l'altro di essi, ma sempre, previa notifica della contestazione della contravvenzione in funzione della successiva emissione dell'ordinanza ingiunzione. L'obbligo di pagamento del responsabile solidale sorge, pertanto, solo per effetto della richiesta di pagamento che consegue alla notificazione del provvedimento amministrativo e solo il soggetto nei confronti del quale è stata emessa l'ordinanza ingiunzione è tenuto al pagamento ed eventualmente all'opposizione (Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Calabria, 31.10.2007, n. 970, che, al riguardo, richiama l'orientamento unanime della Cassazione).
[8] Cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 06.02.1992, n. 1318, che rileva come l'autonomia della posizione dei vari soggetti coobbligati sia testimoniata dalla necessità di un'autonoma contestazione della violazione. (La sentenza è commentata nella relazione della Corte Suprema di Cassazione n. 57 del 04.05.2009, Roma).
[9] L'art. 22, L. n. 689/1981, rinvia per la regolamentazione del giudizio di opposizione all'art. 6, D.Lgs. n. 150/2011.
[10] Corte dei Conti, sez. giurisd. Abruzzo, 23.05.2005, n. 472.
[11] L'azione per danno alla finanza pubblica, cagionato da amministratori e dipendenti pubblici, compete, in via esclusiva, al Procuratore Regionale/Generale della Corte dei conti, su denuncia dell'amministrazione o di sua iniziativa. Al riguardo, si richiama l'art. 43, R.D. n. 1038/1933, 'Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti', che così statuisce: 'Comma 1. Il giudizio di responsabilità per danni cagionati allo Stato dai suoi funzionari od agenti è istituito ad istanza del procuratore generale presso la Corte dei conti.
Comma 2. L'istanza è proposta su denuncia dell'amministrazione o ad iniziativa del procuratore generale, mediante atto di citazione a comparire avanti la sezione competente'.
[12] L'Amministrazione non si può sostituire alla magistratura contabile in questa valutazione.
[13] Ai sensi dell'art. 1, L. n. 20/1994, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave
(21.11.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

URBANISTICA: Oggetto: Piani attuativi. Art. 24, 2° comma, legge 28.02.1985, n. 47. Parere regionale. Quesito.
La Corte Costituzionale, con sentenza 29.07.2005 n. 343, ha dichiarato che “è costituzionalmente illegittima la norma della legge regionale (nel caso di specie gli articoli 4 e 30 della legge Regione Marche 05.08.1992, n. 34) che non preveda che copia dei piani attuativi sia trasmessa dai Comuni alla Regione (o alla Provincia delegata) ai fini di eventuali osservazioni sulle quali il Comune deve dare puntuale riscontro (pur senza l'obbligo di recepirle)".
Mi domando, quindi, se l’articolo 24 della legge 28.02.1985, n. 47, richiamato nella sentenza, sia compatibile con la vigente disciplina urbanistica regionale e se, di conseguenza, debba trovare applicazione.
In caso affermativo, gradirei sapere quali procedure seguire, posto che ad oggi vige l’obbligo di trasmettere alla Regione (e alla Provincia) la delibera di approvazione finale e la scheda di controllo a fini esclusivamente informativi.
Confidando in un riscontro alla presente, porgo cordiali saluti (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 02.11.2005 n. 32330 di prot. - tratto da www.studiospallino.it).

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EDILIZIA PRIVATA - VARI: Casa, più garanzie per chi compra. Per tutelare l'acquirente il denaro resterà al notaio fino a trascrizione del contratto.
PROBLEMA EVITATO/ Quando il proprietario di un fabbricato lo vende due volte, chi trascrive l'atto per secondo perde l'affare ma recupera i soldi spesi.
Il venditore di un immobile o di un'azienda non riceverà più il prezzo dall'acquirente al momento della firma del contratto di compravendita: a pagare sarà il notaio, che riceverà il denaro dall'acquirente e lo terrà depositato fino a quando il contratto non è sottoposto alla prescritta pubblicità nei Registri Immobiliari o nel Registro delle Imprese.

Lo prescriverà la legge di Stabilità, almeno nella versione approvata in prima lettura dal Senato che verrà discussa dalla settimana prossima alla Camera.
Parafrasando una frase celebre, è un piccolo passo che inaugura un grande cammino verso la certezza del diritto e di una maggior civiltà giuridica del nostro ordinamento. Ed è in linea con ciò che si fa in altri Paesi.
Infatti, il copione della "liturgia" della contrattazione immobiliare finora praticata prevede che, nel momento in cui si firma il contratto di compravendita, il venditore metta sul tavolo le chiavi e che l'acquirente vi metta i soldi: si tratta però di una prassi che, pur probabilmente "giustificata" sotto un punto di vista commerciale o psicologico, ha però scarso fondamento giuridico. Questo perché, se è vero che la firma del contratto provoca il passaggio della proprietà dell'immobile dal venditore all'acquirente, è pure vero che l'acquirente può (sono, beninteso, casi eccezionali) restare con il cerino acceso in mano, senza soldi e senza immobile.
Il motivo è che il Codice civile (articolo 2643 e seguenti) dispone, tra due acquirenti di contrastanti diritti sul medesimo immobile, la prevalenza non di chi firma (e quindi li acquista) per primo, ma di chi per primo esegue la pubblicità del suo acquisto nei Registri Immobiliari. E così, se Tizio vende lo stesso immobile a Caio prima e a Sempronio poi, tra Caio e Sempronio (entrambi hanno pagato il prezzo a Tizio) vince chi prioritariamente trascrive il suo acquisto. È poi vero che l'altro "acquirente" dovrebbe ricevere la restituzione del prezzo da Tizio, ma in questi casi, di solito, capita che il venditore si renda improvvisamente irreperibile.
Ancora, se Tizio vende un immobile a Caio il 1° dicembre e questa compravendita viene trascritta il 4 dicembre nei Registri Immobiliari, ma il 3 dicembre Mevio (creditore di Tizio, ad esempio una banca) ha iscritto –a cautela del suo credito– una ipoteca giudiziale a carico del venditore Tizio, l'acquirente Caio (che ha pagato il prezzo a Tizio) si trova ad aver comprato un bene ipotecato, anche se, il 1° dicembre, al momento del rogito, nessuna ipoteca gravava sul bene da lui acquistato.
È chiaro che i notai fanno da sempre ogni possibile sforzo per mettere in sicurezza i loro rogiti:
- nella fase istruttoria dei contratti, moltiplicando le ispezioni immobiliari ed eseguendole nel momento più prossimo possibile alla data di stipula;
- dopo la stipula, cercando di eseguirne rapidamente la pubblicità.
Ma esiste comunque un inevitabile "buco nero" (tra il momento dell'ultima ispezione e quello di esecuzione della pubblicità), che non è tecnicamente possibile colmare, se non appunto mediante l'adozione (spontanea o per obbligo di legge) di una prassi che preveda il pagamento non al momento della firma del contratto, ma posteriormente alla "messa in sicurezza" del contratto mediante la sua prescritta pubblicità.
Il "buco nero", quindi, compromette la sicurezza delle contrattazioni, in quanto rappresenta un'inefficienza del sistema che lascia spazio all'organizzazione di vere e proprie truffe o comunque a eventi imprevisti o imprevedibili, quali appunto il sopraggiungere di pignoramenti, sequestri, ipoteche e domande giudiziali a danno del malcapitato acquirente. Il quale ha pagato un prezzo, ma per non acquistare nulla o per avere acquistato un bene gravato da vincoli prevalenti e inconciliabili con il suo acquisto.
Con la legge di Stabilità, dopo che sarà emanato il regolamento attuativo (la norma parla di 120 giorni, ma come di consueto non è vincolante), l'acquirente depositerà il prezzo al notaio, che consegnerà il denaro al venditore dopo aver eseguito le formalità pubblicitarie occorrenti e controllato l'assenza di vincoli pregiudizievoli all'acquirente. Questa disciplina dovrebbe riguardare peraltro solo gli importi da versarsi in sede di contratto definitivo (compresi quelli che l'acquirente ottiene dalla banca alla quale abbia richiesto un mutuo) e che siano di valore superiore a 100mila euro: sono quindi esclusi gli importi da versarsi anteriormente al contratto definitivo (in particolare, quelli da corrispondersi in sede di contrattazione preliminare o nel periodo tra il "compromesso" e il rogito) e pure quelli che i contraenti abbiano concordato da versarsi posteriormente al rogito, come, ad esempio, nel caso di una vendita "a rate".
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Il sistema. Interessi a supporto del credito.
Conto dedicato per le somme.

Il nuovo obbligo di deposito del prezzo presso il notaio, che pagherà il venditore solo dopo la pubblicazione del contratto nei Registri Immobiliari, è affiancato da una serie di misure per l'ottimale gestione e sicurezza di queste somme. In sostanza, si eleva al rango di legge la prassi già da tempo messa spontaneamente in uso da singoli notai, quindi riconoscendone validità ed efficacia.
Anzitutto, è prescritto che il notaio debba tenere un «conto corrente dedicato» e quindi un "recipiente" che non abbia movimentazioni diverse da quelle per le quali il conto va tenuto. Questo per stimolare una gestione efficiente e trasparente di tale conto.
Inoltre, viene disposto che gli importi depositati in questo conto dedicato «costituiscono patrimonio separato» e quindi rappresentano un'entità sottratta alla vicende personali del titolare del conto ed estranea alle sorti del suo patrimonio "generale". Ne consegue che, ad esempio:
- se il notaio muore, le somme di questo conto non fanno parte della sua massa ereditaria;
- se il notaio è coniugato in regime di comunione legale dei beni, le somme in questione restano estranee al regime patrimoniale del matrimonio del notaio;
- se il notaio ha creditori "personali", le ragioni di costoro non possono essere soddisfatte con l'utilizzo di queste somme, le quali quindi sono designate dalla legge ad essere «assolutamente impignorabili» (l'avverbio è giuridicamente del tutto inutile, ma è significativo dello spirito con il quale il legislatore intende considerare questa materia).
Il legislatore non si è poi dimenticato nemmeno del fatto che le somme in questione possono produrre interessi. Tali interessi, al netto delle spese di gestione del conto, secondo quanto prevede la versione attuale della legge, dovranno essere (probabilmente mediante una ritenuta che ne farà la banca) finalizzati «a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducendo i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese».
È poi importante notare che sul conto dedicato non affluiranno solo i prezzi delle compravendite di immobili e di aziende. Infatti, su questo conto dovranno essere veicolate anche:
- tutte le somme dovute al notaio a titolo di onorari, rimborsi spese e tributi dei quali il notaio sia sostituto o responsabile d'imposta in relazione agli atti ricevuti e che siano soggetti a pubblicità immobiliare;
- ogni somma affidata in deposito al notaio: si pensi a un deposito ai fini di garanzia oppure a un deposito di somme destinate al pagamento di imposte relative a una dichiarazione di successione (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.12.2013).

CONSIGLIERI COMUNALITornano le giunte nei mini-enti. Due assessori anche nei comuni sotto i 1.000 abitanti. Ok in commissione alla camera al ddl Delrio. Guerra: ripristinata la democrazia.
Nei piccolissimi comuni tornano le giunte, eliminate nel 2011 dall'ultima manovra del governo Berlusconi (dl 138/2011) con l'obiettivo di tagliare i costi della politica. Negli enti fino a 1.000 abitanti il sindaco potrà essere affiancato da due assessori, mentre oggi per avere la giunta i mini-enti devono avere più di 1.000 abitanti. Anche il cammino verso l'associazionismo obbligatorio si fa più soft. Entro il 30.06.2014 i municipi fino a 5.000 abitanti (3.000 se montani) dovranno mettere insieme tre funzioni fondamentali, per poi arrivare a gestirle tutte in forma associata entro fine anno. Le convenzioni, infine, torneranno ad avere pari dignità rispetto alle unioni. Scompare infatti l'obbligo per i comuni che abbiano scelto la strada della convenzione di costituire un'unione dopo cinque anni. Addio anche alle unioni speciali, vissute dai sindaci dei piccoli comuni come il primo passo verso la fusione forzata.

Sono queste le novità principali degli emendamenti al ddl Delrio (il cosiddetto «svuota-province») approvato giovedì sera dalla commissione affari costituzionali della camera. Le proposte di modifica, presentate dai deputati Pd Enrico Borghi e Mauro Guerra (rispettivamente presidente dell'Uncem e coordinatore Anci per i piccoli comuni) ricalcano in toto il pacchetto di modifiche discusso in Conferenza unificata il 26 settembre scorso e anticipato su questo giornale (si veda ItaliaOggi del 25/09/2013). Con in più la novità del ripristino delle giunte nei piccolissimi comuni che non saranno più retti da «sindaci-podestà».
«L'obiettivo era riportare un minimo di democrazia in questi centri dove la politica è puro volontariato e dove dal 2011 i famigerati tagli alle poltrone hanno generato solo instabilità», spiega Guerra. Non solo per la riduzione delle giunte, ma anche per il taglio dei consiglieri che ormai «nei piccolissimi comuni sono talmente ridotti all'osso che basta un semplice cambio di casacca per mandare in crisi la maggioranza. «Ecco perché», prosegue, «chiediamo che nei comuni fino a 3.000 abitanti il numero di consiglieri venga riportato a dieci, dato che gli attuali sei sono troppo pochi per garantire stabilità politica».
La riforma dei piccoli comuni contenuta nel ddl Delrio contiene ulteriori incentivi all'associazionismo. Gli enti che prima di mettersi insieme godevano di particolari regimi agevolativi (o potevano accedere a speciali finanziamenti) in ragione della loro classe demografica, li manterranno anche dopo aver costituito l'unione. Per esempio, potranno accedere ai fondi del bando «6000 campanili» anche gli enti in origine al di sotto di 5.000 abitanti che superano la fatidica soglia dopo aver costituito un'unione. E ancora, le unioni potranno avere un responsabile anticorruzione unico e un unico collegio di revisori dei conti.
Insomma, un grande rafforzamento della dimensione sovraccomunale, «legato a doppio filo con la prospettiva dell'eliminazione delle province», osserva Guerra, «perché venendo meno gli enti intermedi saranno le unioni a svolgere le funzioni di enti di area vasta». Ma proprio lo stretto legame con una riforma da sempre spinosa come quella delle province potrebbe alla fine risultare un boomerang. Dopo il sì della prima commissione di Montecitorio, il cammino del disegno di legge del ministro per gli affari regionali sembra in discesa, ma il pericolo di imboscate parlamentari è sempre dietro l'angolo soprattutto dopo il passaggio di Forza Italia all'opposizione. Graziano Delrio è ottimista.
«Sono certo che il parlamento intenderà rispettare l'impegno assunto e arrivare alla prima approvazione entro la fine dell'anno», si augura il ministro. Il pericolo che nelle province commissariate potessero ritornare i vecchi organi è stato scongiurato dalla legge di stabilità (le gestioni commissariali sono state prorogate al 30 giugno). Ma dal 1° gennaio c'è da far partire le città metropolitane. E questa sembra al momento un'impresa più ardua (articolo ItaliaOggi del 30.11.2013).

EDILIZIA PRIVATA: L'Ape solo dai tecnici abilitati. Corsi tenuti da atenei, enti di ricerca e collegi professionali. Lo Sviluppo economico ha approvato lo schema di autorizzazione per le attività formative.
Al via le autorizzazioni per lo svolgimento dei corsi di formazione per certificatori energetici. Tenuti a livello nazionale dalle università, organismi ed enti di ricerca e consigli, ordini e collegi professionali . I corsi vengono autorizzati dal ministero dello sviluppo economico, d'intesa con il ministeri dell'ambiente e delle infrastrutture. L'autorizzazione ai corsi per certificatori ha durata triennale e permette, entro tale periodo di validità, di replicare il corso secondo le modalità autorizzate dai ministeri.
Questo è quanto si legge nello «Schema di procedura per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dei corsi di formazione per la certificazione energetica degli edifici a livello nazionale» approvato il 21 novembre scorso dal Mise, di concerto con il ministero ambiente e infrastrutture.
La richiesta di autorizzazione, sottoscritta dal legale rappresentante del soggetto richiedente, deve essere inoltrata alla divisione VII – efficienza energetica e risparmio energetico–dipartimento per l'energia del MiSe, via Molise 2 - 00187 Roma. L'elenco dei corsi autorizzati viene pubblicato sul sito web del MiSe. Al fine di assicurare all'utente una corretta informazione, qualsiasi pubblicizzazione del corso da parte dell'ente erogante deve riportare la dicitura «corso accreditato MISE - MATTM- MIT ai sensi dell'art 2, comma 5,del dpr n. 75/2013» (come anticipato da ItaliaOggi il 29.06.2013).
Il MiSe effettua le verifiche a campione sui corsi autorizzati per accertare il rispetto dei requisiti minimi, anche avvalendosi di altre amministrazioni o soggetti pubblici qualificati. In caso di accertata inosservanza dei requisiti minimi, il ministero indice idonea conferenza di servizi a cui partecipano il ministero ambiente e delle infrastrutture attraverso propri soggetti delegati al fine di valutare, la sospensione o la revoca della autorizzazione. Il soggetto autorizzato allo svolgimento del corso, è l'unico responsabile nei confronti delle amministrazioni che hanno concesso l'autorizzazione stessa. L'attestato di prestazione energetica degli edifici è uno tra gli strumenti più importanti per valorizzare, anche a fini commerciali, la qualità energetica e ambientale di un immobile (articolo ItaliaOggi del 30.11.2013).

EDILIZIA PRIVATABonus energetico per molti, non per tutti. Raffica di pareri Enea sui requisiti per accedere all'agevolazione per la riqualificazione degli edifici.
Gli interventi di riqualificazione energetica per usufruire della detrazione del 65% debbono rispondere a determinati requisiti. Solo con il rispetto di questi il soggetto ha diritto al riconoscimento della detrazione fiscale. Nel caso di coibentazione di pareti verticali, tetti e solai gli interventi devono conferire all'edificio una buona capacità di isolamento che cambia a seconda della fascia climatica in cui è inserita la costruzione.
I lavori devono rispettare limiti di dispersione che sono chiaramente tabellati o per l'intero edificio o per il singolo elemento costruttivo oggetto dell'intervento. Anche nel caso di installazione di pannelli solari o di sostituzione della caldaia tali impianti devono rispondere alle specifiche tecniche. Il rispetto dei limiti di dispersione e delle specifiche tecniche deve essere asseverato da un tecnico abilitato, iscritto al proprio ordine o collegio professionale. Per alcuni semplici interventi, tale asseverazione può essere sostituita da una dichiarazione del produttore dell'elemento posto in opera. Sono ammessi anche interventi su interi edifici ma in questo caso ciò che deve essere valutata è l'efficienza energetica complessiva al termine dei lavori.

Questi sono alcuni dei principi che emergono da un vademecum Enea per i lavori incentivanti aggiornato al 26.11.2013 con le diverse Faq redatte dai suoi tecnici in questi mesi.
Il vademecum è composto da sette schede riepilogative (serramenti e infissi, caldaie a condensazione, caldaie a biomassa, pannelli solari, pompe di calore, coibentazione pareti e coperture e riqualificazione globale) dei requisiti tecnici richiesti e della documentazione da approntare per usufruire della detrazione del 65%. L'immobile oggetto della qualificazione energetica alla data della richiesta della detrazione del 65%, sottolineano i tecnici dell'Enea deve essere «esistente», ossia accatastato o con richiesta di accatastamento in corso.
Deve essere in regola con il pagamento di eventuali tributi. Deve essere dotato di impianto di riscaldamento. In caso di demolizione, dal 21.08.2013, qualora l'intervento abbia le caratteristiche per configurarsi come «ristrutturazione edilizia» (ossia l'immobile non sia soggetto a vincolo ai sensi del dlgs 42/2004 e non ricada nella zona A del dm 1444/1968) è agevolabile la ricostruzione dell'immobile con il solo rispetto della volumetria di quello preesistente.
In caso di ristrutturazione senza demolizione, se essa presenta ampliamenti la detrazione del 65% e valida per le spese riferibili alla parte esistente A proposito del requisiti richiesti nel caso di installazione di caldaia a biomassa l'intervento deve assicurare un indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale non superiore ai valori limite riportati in tabella all'allegato A di cui al dm 11/03/2008 (articolo ItaliaOggi del 29.11.2013).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSulle assunzioni flessibili Corte conti in ordine sparso.
Sulle assunzioni flessibili da calcolare nel tetto di spesa del personale vi sono numerosi contrasti tra le varie sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: si crea così una condizione di grave incertezza tra gli operatori degli enti locali, nei cui confronti possono maturare addirittura ipotesi di responsabilità amministrativa.
È acquisito che queste voci vanno calcolate ai fini del tetto alla spesa rispetto all'anno precedente e del rapporto tra questa e la spesa corrente complessiva. I contrasti si manifestano sulla inclusione o meno di tali oneri ai fini della determinazione dello specifico tetto alla spesa per le assunzioni flessibili, tetto che l'articolo 9, comma 28, del dl n. 78/2010 fissa nel 50% di quanto ogni singolo ente ha speso nel 2009.
La gravità della condizione di incertezza è sottolineata dal fatto che l'eventuale superamento di tale vincolo determina come conseguenza la maturazione di responsabilità amministrativa in capo ai soggetti individuati come responsabili. Ricordiamo che questa disposizione stabilisce che le spese per assunzioni a tempo determinato, convenzioni, contratti di somministrazione, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, contratti di formazione e lavoro, lavoro accessorio ed altri rapporti formativi non debba superare la metà di quanto speso allo stesso titolo nel 2009, fatte salve le deroghe espressamente volute dal legislatore.
Le assunzioni flessibili possono essere attivate dalle pubbliche amministrazioni locali sulla base di specifiche disposizioni di legge statale e/o regionale; spesso queste norme prevedono finanziamenti specifici che possono coprire integralmente o parzialmente tali oneri. Per la inclusione di questa voce nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili si sono espresse le sezioni della magistratura contabile delle seguenti regioni: Lombardia (delibera n. 13/2012); Emilia-Romagna (n. 26/2013) e Basilicata (n. 170/2012). Invece la tesi opposta è stata fatta propria dalle sezioni regionali di controllo della Liguria (delibera n. 9/2012), Toscana (n. 10/2012), Lazio (n. 23/2012), Puglia (n. 91/2011), Campania (n. 22/2013) e implicitamente dalla sezione autonomie (delibera n. 18/2013).
I comuni possono dare corso alla gestione associata di funzioni fondamentali tramite convenzioni, che possono riguardare l'intero servizio (articolo 30 del dlgs n. 267/2000, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), ovvero il solo responsabile (per come previsto dal Ccnl 22/01/2004). Sulla inclusione o meno di tali oneri nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili abbiamo opinioni che vanno dalla risposta positiva a quella negativa a quella di considerare inutilizzabili per altre finalità di gestione del personale i risparmi che eventualmente vengono realizzati.
Tali conclusioni sono contenute nelle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo della magistratura contabile della Campania (parere n. 180/2012), del Piemonte (n. 223/2012), della Liguria (n. 56/2013) e della Lombardia (pareri n. 448/2013 e recentissimo n. 477/2013). Il comma 557 offre la possibilità ai comuni fino a 5.000 abitanti di utilizzare, in aggiunta al normale orario di lavoro, dipendenti di altri enti locali. Gli oneri determinati dalla utilizzazione di questa possibilità vanno inclusi per le sezioni della Sicilia (4/2013), del Piemonte (223/2012) e della Toscana (6/2012); vanno invece esclusi per la sezione Lombardia (delibere 448/2013 e 118/2012).
Analoghe incertezze per il calcolo della spesa sostenuta per i comandi: vanno inclusi in tale tetto per le sezioni Campania (497/2011) e Lombardia (187/2012); mentre vanno esclusi per le sezioni Toscana (6/2012) e Liguria (7/2012). I comuni possono finanziare le assunzioni flessibili dei vigili destinando a tale scopo una quota degli incassi derivanti dalle sanzioni per le inosservanze del codice della strada. Per la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia questi oneri vanno compresi nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili (deliberazione n. 21/2012); diametralmente opposte le conclusioni cui è arrivata nello stesso periodo la Corte dei conti della Toscana (parere n. 10/2012) (articolo ItaliaOggi del 29.11.2013).

ENTI LOCALICon l'election day i comuni risparmieranno sul personale.
Le misure del governo per ridurre la spesa pubblica passano anche da un restyling delle operazioni di voto. Dal prossimo anno, infatti, non si potrà più votare nella giornata di lunedì, in quanto le operazioni elettorali dovranno svolgersi esclusivamente nella sola giornata della domenica, a partire dalle 7 per concludersi alle 23. Risparmi attesi anche dal taglio alle prestazioni di lavoro straordinario previste per i dipendenti comunali coinvolti nella macchina organizzativa delle elezioni e dall'imminente ridimensionamento della scheda elettorale per le elezioni comunali. Questa dovrà essere più piccola, grazie a una riallocazione dei contrassegni elettorali.

Sono alcune delle novità introdotte dal maxiemendamento al disegno di legge di stabilità 2014, approvato nella notte di mercoledì scorso dal senato. Il testo del comma 269 è perentorio. Dal 2014, le operazioni di votazione, incluse quelle referendarie, devono svolgersi solo la domenica.
Con una serie di rimodulazioni, il maxiemendamento dispone che in caso di svolgimento delle elezioni politiche, le operazioni di scrutinio dovranno completarsi entro le ore 14 del lunedì successivo alla votazione. Invece, in caso di contemporaneo svolgimento delle predette elezioni politiche con quelle per il rinnovo dei consigli regionali, provinciali e comunali, lo scrutinio viene rinviato al lunedì successivo, con inizio alle ore 14. Tagli in vista anche per i comuni impegnati nella macchina elettorale delle elezioni politiche e referendarie le cui spese, per effetto dell'articolo 17 della legge n. 136/1976, sono a carico dello stato.
A tal fine, un apposito decreto del mininterno fisserà un tetto massimo rimborsabile a ciascun comune, sulla base di parametri quali il numero delle sezioni elettorali e quello degli elettori. Si riduce, altresì, il tetto massimo previsto per lo straordinario dei dipendenti comunali impegnati nella macchina elettorale. Dal prossimo anno, i comuni potranno autorizzare in media 40 ore mensili per ciascun dipendente, sino a un massimo individuale di 60 ore mensili. Straordinario che potrà essere effettuato dal 55° giorno antecedente la data di svolgimento delle elezioni, sino al quinto giorno successivo alla predetta data (il cosiddetto periodo elettorale).
Tutte le spese anticipate dai comuni saranno rimborsate entro quattro mesi dalla presentazione dell'apposito rendiconto. I risparmi che il governo intende ottenere, si riflettono anche negli orari straordinari di apertura al pubblico degli uffici elettorali comunali. Per il rilascio di nuovi certificati elettorali, qualunque sia la causa, questi dovranno essere aperti solo nei due giorni antecedenti la votazione e per tutta la durata della stessa.
Si interviene, inoltre, sul numero massimo degli spazi riservati alla propaganda elettorale. Nei comuni tra 3.001 e 10.000 abitanti, questi dovranno essere almeno tre e non più di cinque, in tutti gli altri comuni, si opererà un riduzione alla metà o al terzo dei parametri sino ad oggi fissati dalla legge n. 212 del 1956 (articolo ItaliaOggi del 28.11.2013).

ENTI LOCALIP.a., resta il divieto di detenere partecipazioni non necessarie.
Addio agli obblighi di dismissione delle società partecipate dai comuni medio-piccoli e di quelle strumentali. Ma rimane, per tutte le p.a., il divieto di detenere o acquisire partecipazioni non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.

Il maxi-emendamento al disegno di legge di stabilità 2014 approvato al senato rivoluziona nuovamente il quadro degli strumenti di controllo e razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica. Anziché puntare tutto sulle operazioni di alienazione e/o liquidazione forzata, il legislatore cambia prospettiva e scommette sul controllo dei bilanci operato sia in via diretta (obbligando anche le società a concorrere al risanamento dei conti pubblici), sia indirettamente, attraverso l'obbligo per gli enti proprietari di accantonare fondi di riserva a garanzia delle perdite delle società stesse (si veda ItaliaOggi del 16/11/2013).
In questo quadro, non trovano più posto gli obblighi di dismissione previsti (dall'art. 14, comma 32, del dl 78/2010) a carico dei comuni con meno di 50 mila abitanti (ulteriormente differenziati sopra e sotto la soglia di 30 mila residenti). E neppure quelli riguardanti le cosiddette società strumentali, ovvero, a mente dell'art. 4 del dl 95/2012, quelle che realizzano un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90%. Il ddl fa, quindi, piazza pulita del confuso valzer di termini previsti nelle diverse fattispecie (30/09/2013, quindi già scaduto, per le società dei comuni fino a 30 mila abitanti, 31/12/2013 per le strumentali e 31/12/2014 per quelle dei comuni fra 30 mila e 50 mila abitanti).
Il colpo di spugna, però, non cancellerà la disciplina di cui all'art. 3, commi da 27 a 32, della legge 244/2007, che ha imposto a tutte le pubbliche amministrazioni il divieto di assumere e/o l'obbligo di cedere a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le partecipazioni non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. In teoria, la scadenza per adempiere era fissata a fine 2011, ma molte amministrazioni continuano a detenere quote in società assolutamente estranee al proprio core business.
Peraltro, la giurisprudenza contabile ha avuto modo di precisare che tale termine non riveste carattere perentorio, ma è da ritenersi ordinatorio. Entro la suddetta data, pertanto, l'unico obbligo era quello di avviare le procedure di dismissione, ma non obbligatoriamente di completarne l'iter, anche per evitare svendite o speculazioni da parte di terzi nella determinazione del prezzo di acquisto.
In ogni caso, il mantenimento delle partecipazioni in essere (così come l'assunzione di nuove partecipazioni) presuppone una valutazione che va operata in concreto (e non in astratto) attraverso un'attenta disamina degli atti costitutivi sia dell'ente partecipante che del soggetto partecipato. Per gli enti locali occorre, inoltre, accertare l'inerenza territoriale. La scelta deve essere validata dagli organi di vertice (per gli enti locali, la competenza spetta al consiglio) con deliberazione motivata in ordine alla sussistenza dei ricordati presupposti e da trasmettere alla sezione Corte dei conti (articolo ItaliaOggi del 28.11.2013).

ENTI LOCALILEGGE DI STABILITA'/ Ai piccoli comuni sei mesi in più per gestire insieme le funzioni.
Slitta di un anno (fino al 2014) l'addio di Equitalia alla riscossione dei tributi comunali, mentre i piccoli comuni guadagnano sei mesi di tempo (fino al prossimo 1° luglio) per mettere in gestione associata le loro funzioni fondamentali.

È una doppia proroga «di peso» quella prevista da due emendamenti al disegno di legge di stabilità 2014 approvati in Commissione «Bilancio» al Senato.
Equitalia. Il primo correttivo è stato presentato direttamente dal governo per evitare il caos negli oltre 5 mila comuni che si appoggiano ad Equitalia per la riscossione (spontanea e/o coattiva) delle proprie entrate. In base a quanto previsto dal dl 70/2011, dal 01.01.2012, l'agente nazionale avrebbe dovuto cessare di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate. Tale termine è stato ripetutamente prorogato, da ultimo al 31.12.2013 dall'art. 10, comma 2-ter del dl 35/2013 (come modificato dall'art. 53 del dl 69/2013).
Questo slittamento avrebbe dovuto essere l'ultimo, dato che la nuova scadenza è espressamente definita come «inderogabile». Ma la nuova proroga era, come detto inevitabile, tanto da essere data ampiamente per scontata dagli addetti ai lavori (si veda ItaliaOggi Sette del 18.11.2013): al momento, infatti, non vi sono alternative gestionali credibili, in attesa che la delega fiscale completi il suo iter e ridefinisca il quadro normativo in un settore che da troppo tempo attende una riforma organica.
In base all'emendamento approvato a palazzo Madama, quindi, l'uscita di campo di Equitalia è stata rimandata alla fine del 2014. Sull'attività degli agenti della riscossione, comunque, vigileranno le Ragionerie territoriali dello Stato che potranno svolgere, congiuntamente con l'Agenzia delle entrate, controlli finalizzati a migliorare l'efficienza.
Piccoli comuni. Il secondo emendamento, invece, è stato presentato dai senatori Manassero, Vaccari e Zanoni (tutti del Pd) e sposta al 01.07.2014 il termine (previsto dall'art. 14, comma 31-ter, lett. b), del dl 78/2010) entro il quale i comuni con meno di 5 mila abitanti (limite che scende a 3 mila per i municipi appartenenti o appartenuti a comunità montane) dovranno obbligatoriamente gestire in forma associata, mediante unione o convenzione, la totalità delle proprie funzioni fondamentali. Anche in tal caso, non si tratta della prima proroga: la normativa originaria non prevedeva una scadenza fissa, rinviando a un dpcm la sua fissazione.
Successivamente, sono intervenute diverse modifiche (prima da parte del dl 98/2011 e poi del dl 138/2011), prima dell'ultima (ad opera dell'art. 19 del dl 95/2012) che aveva previsto un percorso a tappe: entro il 01.01.2013 ameno tre funzioni fondamentali, tutte le altre entro il 01.01.2014. Ora, la seconda scadenza è destinata a slittare nuovamente di altri sei mesi, il che pone non poche perplessità, dal momento che le amministrazioni interessate potrebbero decidere un cambio di regime a metà dell'esercizio finanziario, con notevoli complicazioni organizzative, gestionali e contabili.
Invero, il testo iniziale presentato dai tre senatori prevedeva, come per Equitalia, un extra time di un anno, che però è stato dimezzato nella versione approvata dalla Commissione. In materia, peraltro, si attende la pronuncia della Corte costituzionale, chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell'intera normativa sull'associazionismo coatto: l'udienza pubblica è fissata per il prossimo 3 dicembre (articolo ItaliaOggi del 26.11.2013).

PUBBLICO IMPIEGOCongedi straordinari allargati ai parenti di terzo grado.
Il congedo straordinario di durata non superiore a due anni, previsto dall'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 26.03.2001 per assistere una persona disabile in situazione di gravità, può essere chiesto, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti che prioritariamente ne hanno titolo, anche da parenti e affini entro il terzo grado purché conviventi con la persona disabile.

Lo ha comunicato l'Inps con la circolare 15.11.2013 n. 159.
Con l'estensione anche ai parenti o affini entro il terzo grado del diritto a fruire del congedo straordinario, l'istituto di previdenza sociale ha opportunamente provveduto a coprire il vuoto normativo che si era venuto a creare a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 2013/2013 con la quale i giudici della Consulta avevano dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato comma 5 nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il parente o l'affine entro il terzo grado convivente con la persona disabile.
Con la circolare l'istituto delinea anche il quadro -da considerare ormai pienamente aderente alle norme di legge, a quelle dei singoli contratti nazionali di lavoro e alle numerose decisioni dei giudici ordinari e costituzionali- entro il quale i lavoratori pubblici e privati, ivi compreso il personale della scuola, potranno chiedere di fruire del congedo straordinario.
I soggetti aventi diritto al congedo e relativi requisiti.
Nella circolare l'istituto di previdenza sociale sottolinea come il congedo può essere riconosciuto anche ai familiari o affini entro il terzo grado convivente del disabile in situazione di gravità solo in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti legittimati a fruirne e individuati dalla norma nel seguente ordine di priorità:
1- coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità;
2- il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, del disabile, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;
3- uno dei figli conviventi della persona disabile, nel caso in assenza dei soggetti di cui ai punti 1 e 2;
4- uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in assenza dei soggetti di cui ai punti precedenti.
Precisa inoltre che il requisito della convivenza continuerà ad essere accertato d'ufficio previa indicazione da parte dell'interessato degli elementi indispensabili per il reperimento dei dati inerenti la residenza anagrafica, ovvero l'eventuale dimora temporanea, ove diversa dalla dimora abituale(residenza) del dipendente o del disabile.
Quanto concerne la mancanza dei soggetti di cui ai punti 1, 2, 3 e 4, l'istituto ribadisce che tale deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale o giuridica(celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto) ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile,continuativa e debitamente certificata dall'autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono (articolo ItaliaOggi del 26.11.2013).

CONDOMINIOTerzo responsabile, restano escluse le società di persone. Condominio. Impianti di riscaldamento.
LE RESTRIZIONI/ Potranno svolgere la funzione solo le società per azioni e in accomandita per azioni, le Srl e le Coop a responsabilità limitata.

Il «terzo responsabile» per il riscaldamento non potrà essere una società di persone.
Dal 12.07.2013 (data di entrata in vigore del Dpr 16.04.2013 n. 74, attuativo del Dlgs 192/2005) sono cambiate le competenze del terzo responsabile. Queste risultano ora essere: esercizio, conduzione, controllo, manutenzione dell'impianto termico, rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica, sicurezza e tutela dell'ambiente. La nomina è una facoltà e non un obbligo.
Nel caso di impianti termici con potenza nominale superiore a 350 kW è necessario essere in possesso di certificazione UNI EN ISO 9001 relativa all'attività di gestione e manutenzione degli impianti termici, o attestazione rilasciata ai sensi del Dpr 207/2010.
La delega non è consentita nel caso di singole unità immobiliari residenziali in cui il generatore o i generatori non siano installati in locale tecnico esclusivamente dedicato.
Il ruolo di terzo responsabile di un impianto è incompatibile con il ruolo di venditore di energia per il medesimo impianto, e con le società a qualsiasi titolo legate al ruolo di venditore, in qualità di partecipate o controllate o associate in Associazione Temporanea di Impresa o aventi stessa partecipazione proprietaria o aventi in essere un contratto di collaborazione, a meno che la fornitura sia effettuata nell'ambito di un contratto di «servizio energia» (Dlgs 115/2008).
Cosa diversa è, invece, la conduzione degli impianti termici civili. Nel caso in cui la potenza termica sia superiore a 0.232 MW, l'incaricato deve essere munito di un patentino di abilitazione.
Ma l'individuazione del soggetto che può assumere l'incarico è determinato dall'allegato A del Dlgs 192/2005, recentemente modificato dal Dm del 22.11.2012. Secondo la norma il terzo responsabile dell'impianto termico è una «persona giuridica» in possesso dei requisiti. Ma se la precedente versione comprendeva anche le "persone fisiche", queste, ora, sono escluse. Il termine "persona giuridica" sta ad indicare un complesso organizzato di persone e di beni al quale l'ordinamento giuridico attribuisce la capacità giuridica, cioè la possibilità per un soggetto di essere titolare di diritti e doveri. E secondo il codice civile, sono persone giuridiche solo le Società a Responsabilità Limitata, le Società per Azioni, le Società in Accomandita per Azioni e le Società Cooperative a Responsabilità limitata.
Quindi non possono assumere l'incarico di terzo responsabile le imprese individuali, le Società in Nome Collettivo, le Società Semplici e le Società in Accomandita Semplice. È stata operata una restrizione di non poco conto, andando a escludere molte attività dalla possibilità di ricoprire l'incarico che, sino a pochi mesi addietro, hanno svolto. Soprattutto considerando che nell'ambito dell'artigianato, quindi con organizzazioni societarie personali e non giuridiche, non sono poche le realtà imprenditoriali che svolgono attività di «terzo responsabile» dell'impianto di riscaldamento.
Tra le associazioni che si sono poste la questione, l'Anaci (Associazione degli amministratori condominiali) è arrivata alla conclusione di dare indicazione agli associati di non stipulare contratti con soggetti diversi dalle persone giuridiche (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2013).

ENTI LOCALISocietà in house sotto pressione. Ma la gestione deve essere controllata in maniera analoga agli uffici pubblici. Cassazione. Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere dalla Corte dei conti per responsabilità erariale
L'amministratore di una società in house può essere chiamato a rispondere verso l'Erario. Ad assumere spessore, quando la società è costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, con forme di controllo analoghe a quelle che questi ultimi esercitano sui propri uffici, è la veste pubblica dell'attività manageriale.
A queste conclusioni sono approdate le Sezioni unite con l'importante sentenza 25.11.2013 n. 26283 e scritta dall'ex commissario Consob Renato Rordorf.
La pronuncia che scioglie un contrasto in giurisprudenza e contribuisce a fare chiarezza su un tema "caldo" anche della cronaca parlamentare (di forme di responsabilità per i manager pubblici si discute nella Legge di stabilità) sottolinea, tra l'altro, l'opportunità di un punto di partenza europeo per affrontare quel fenomeno giuridico che ha preso tanto più corpo in questi ultimi anni rappresentato dall'in house providing.
La direttiva 2006/123/Ce lascia infatti liberi gli Stati membri sulle modalità organizzative della prestazione dei servizi di interesse economico generale, aprendo quindi a diverse forme di esternalizzazione compreso l'affidamento a società partecipate dall'ente pubblico stesso.
In particolare le società in house, figura inizialmente giurprudenziale poi destinata ad acquistare consistenza anche nella legislazione nazionale, si caratterizza, ricordano le Sezioni Unite, per tre caratteristiche fondamentali. La prima è rappresentata dalla titolarità delle partecipazioni sociali a enti pubblici, con il conseguente divieto disposto dallo statuto della possibilità di cessione a privati delle relative quote. Serve poi che, almeno in misura prevalente anche se non esclusiva, l'attività sia prestata a favore dell'ente o degli enti partecipanti della società. L'attività accessoria non deve cioè avere come conseguenza una «significativa» presenza della società come concorrente di altre imprese sul mercato di beni e servizi.
Infine, quanto al tema delicato del controllo analogo, il punto determinante è che l'ente pubblico partecipante deve avere, per statuto, il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house. Così, gli organi amministrativi si vengono a trovare in una posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. «L'espressione "controllo" –avverte la sentenza– non allude, perciò, in questo caso all'influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull'assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell'ente come modalità e con un'intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio».
Tutti elementi, riconoscono le Sezioni unite, che mettono in evidenza l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama del diritto societario. E a mitigarla non soccorrono aspetti come l'eterodirezione conosciuta nell'ambito delle holding: in questi casi, infatti, precisa la sentenza, il potere di direzione e coordinamento che spetta alla capogruppo non annulla del tutto l'autonomia gestionale della controllata.
E allora, i limiti alla giurisdizione contabile non possono valere nei confronti di enti che della società hanno solo l'involucro esteriore, ma che, in realtà, rappresentano delle vere e proprie articolazioni della pubblica amministrazione. Gli organi di queste società dunque, «assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente a un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società».
Possono pertanto essere considerati legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio come avviene per i dirigenti preposti ai servizi direttamente erogati dall'ente pubblico (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, stretta sul mercurio. Misure speciali di contenimento. In attesa della Seveso. Gli effetti delle nuove regole sullo stoccaggio temporaneo contenute nel dm Ambiente.
Serbatoi ad hoc, siti protetti e monitoraggio continuo. Ai quali si aggiunge l'obbligo di adottare le misure di prevenzione degli incidenti rilevanti previste dalla disciplina «Seveso» nei casi di maggior pericolo d'inquinamento.

Scattano con il nuovo dm Ambiente 29.07.2013 (G.U. del 15.11.2013, n. 268) le nuove regole per lo stoccaggio duraturo dei rifiuti costituiti da mercurio metallico. Il provvedimento adottato dal dicastero per l'ambiente in attuazione della direttiva 2011/97/Ce riformula direttamente (in virtù del potere conferitogli dalla legge 234/2012) lo storico dlgs 36/2003 sulle discariche di rifiuti, unitamente al relativo decreto attuativo del 2010.
Il nuovo stoccaggio dei rifiuti di mercurio. La stretta sullo stoccaggio vale per i depositi temporanei (ossia in vista di successivo avvio a trattamento) di rifiuti costituiti da mercurio metallico superiori a un anno, termine temporale a partire dal quale lo stoccaggio diventa tecnicamente una discarica ai fini e per l'applicazione (anche) delle relative norme dettate dal dlgs 36/2003 (e provvedimenti satellite). Ricorrendo tali condizioni il gestore dell'impianto deve quindi adottare in relazione alla sostanza tossica in questione tutte le nuove precauzioni sancite dai riformulati dlgs 36/2003 e relativo dm 27.09.2010.
In primis il deposito del mercurio metallico deve, ex nuovo dlgs 36/2003, avvenire in modo separato dagli altri rifiuti, in serbatoi ad hoc anticorrosione posti in bacini di raccolta opportunamente impermeabilizzati e ospitati in siti provvisti di barriere naturali o artificiali. La gestione dei rifiuti deve inoltre essere monitorata tramite sistemi di controllo continuo dei vapori di mercurio e ispezione visiva almeno mensile, nonché presidiata da piani di emergenza e dispositivi di protezione.
Il tutto secondo le caratteristiche tecniche di serbatoi, procedure di ammissione in discarica e documentazione di accompagnamento analiticamente precisate dal rinnovato dm Ambiente 27.09.2010. Lo stoccaggio dei rifiuti al di sotto della soglia temporale più sopra delineata, lo ricordiamo, soggiace comunque alle più generali regole sul deposito di rifiuti sancite dal dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale»).
L'applicazione della «Seveso». Il regolamento Ce n. 1102/2008 sulla gestione del mercurio metallico (dallo scorso marzo presidiato dalle sanzioni nazionali introdotte mediante dlgs 25/2013) prevede una deroga a favore della sostanza contro il generale divieto di ammissibilità in discarica sancito a monte dalla direttiva 1999/31/Ce per tutti i «rifiuti liquidi».
Ma ciò stabilendo al contempo il principio per cui gli impianti di stoccaggio in superficie per più di un anno della sostanza siano sottoposti alla severa disciplina sul «controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose» (meglio nota come disciplina «Seveso») recata dalla 96/82/Ce. A dettare le norme tecniche per rendere operativo tale principio è stata proprio la citata direttiva 2011/97/Ce ora tradotta sul piano nazionale per il tramite del dm Ambiente 29.07.2013 in esame.
Con il nuovo decreto scatta dunque l'obbligo per i gestori degli impianti di stoccaggio di rifiuti di mercurio metallico di rispettare le norme di prevenzione stabilite dal dlgs 334/1999, l'attuale provvedimento nazionale di recepimento delle regole «Seveso» comunitarie (oggetto di prossima revisione per ospitare le ultime novità in materia sancite sempre dall'Ue con la direttiva 2012/18/Ue, che impone maggiore analiticità nella documentazione di prevenzione degli incidenti e controlli esterni più invasivi).
Le novità in arrivo per le discariche. Sempre in tema di discariche e relativa disciplina dettata dal dlgs 36/2003, si ricorda che il ddl recante il cd. Collegato ambientale alla legge di Stabilità 2014 licenziato lo scorso 15.11.2013 e ora al vaglio del Parlamento prevede un dietrofront sul tema del cd. «addio alla discarica», ossia della non ammissibilità di alcuni rifiuti in detti impianti ai fini dello stoccaggio. L'articolo 24 del disegno di legge in itinere stabilisce infatti la totale rimozione dal dlgs 36/2003 del divieto di conferire in discarica a partire dal 31.12.2013 i rifiuti con Pci (Potere calorifico inferiore) > 13.000 kJ/kg.
L'abrogazione definitiva del divieto (oggetto di continue proroghe dal 2010), emerge dalla relazione che accompagna il provvedimento, si rende necessaria per non impedire il legittimo conferimento in discarica di rifiuti che dopo il necessario trattamento (come impongono le ultime norme in materia, ricordate dal MinAmbiente con la circolare dello scorso 06.08.2013, ndr) continuano ad avere un tenore calorifico che ostacolerebbe il loro stoccaggio in detti impianti (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

ENTI LOCALI - VARIMulte stradali, cartelle leggere. Non va inclusa la maggiorazione semestrale del 10%. Il parere dell'Avvocatura dello stato rischia di scatenare nuovo contenzioso con Equitalia.
Nella cartella esattoriale per il mancato pagamento di una multa stradale non va inclusa la maggiorazione semestrale del 10% di cui all'art. 27 della legge n. 689/1981. Lo afferma l'Avvocatura dello stato con il controverso parere 31.07.2013 n. CS 32494/13 di prot., solo ora reso noto, che rischia di generare un forte contenzioso fra gli automobilisti debitori da un lato ed Equitalia ed enti creditori dall'altro.
Ma la posizione dell'Avvocatura non sembra esente da alcune criticità. L'art. 203, comma 3, del Codice della strada dispone che, qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all'art. 17 della legge n. 689 del 24.11.1981, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento.
D'altro canto, l'art. 206, comma 1, del codice stradale prevede che se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204 la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall'art. 27 della legge n. 689/1981, che prevede la maggiorazione della somma dovuta di un decimo ogni semestre da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. Sulla legittimità dell'applicazione della maggiorazione semestrale del 10% sulle somme da riscuotere per multe stradali non pagate la Cassazione, sez. II civile, si era espressa favorevolmente con la sentenza n. 22100 del 22.10.2007.
Peraltro, con una precedente sentenza n. 3701 del 16.02.2007, la stessa Cassazione, sez. II civile, era pervenuta a conclusioni di segno opposto. La questione era stata originata da un ricorso che la Prefettura di Benevento aveva proposto agli ermellini contro la decisione del giudice di pace che aveva dichiarato la nullità di una cartella esattoriale per multe stradale, ritenendo illegittima la maggiorazione per interessi operata sulla somma stabilita dalla legge.
La Cassazione, con la sentenza n. 3701/2007, ha respinto il ricorso della Prefettura affermando che alle sanzioni stradali, si applica l'art. 203, comma 3, Cds, che in caso di ritardo nel pagamento della sanzione irrogata nell'ordinanza–ingiunzione, in deroga all'art. 27 della legge n. 689/1981, prevede, l'iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10%. Ora l'Avvocatura dello stato, con il parere prot. n. CS 32494/13 del 31.07.2013 divulgato dalla Prefettura di Novara con la nota 09.10.2013 n. 41901 di prot.., richiama e ribadisce la validità della sentenza n. 3701/2013 della Cassazione, ritenendo che non vi siano motivi per non darvi corso.
Le conclusioni cui giunge l'Avvocatura dello stato, pur munite della connaturata autorevolezza, destano qualche perplessità. Innanzitutto, nel valutare l'applicabilità dell'art. 27 della legge n. 689/1981, occorrerebbe contemplare in modo non disgiunto gli artt. 203 e 206 del codice della strada, che disciplinano due differenti fasi procedurali, rispettivamente il momento in cui un verbale diventa titolo esecutivo e il momento della riscossione. Dalla lettura combinata si ricava che la maggiorazione semestrale del 10% si applica non nel momento in cui il verbale diventa titolo esecutivo (ex art. 203, comma 3), come invece sembra dedurre l'Avvocatura dello Stato, ma dal momento in cui si inizia la procedura della riscossione (ex art. 206, comma 6).
In quest'ottica, non si può non adempiere a quanto prescritto dall'art. 27 della legge n. 689/1981 (cui l'art. 206, comma 6, Cds espressamente rimanda): «Salvo quanto previsto nell'art. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti».
Tuttavia, il recente parere dell'Avvocatura dello stato rischia di aprire una fase di contenzioso di grande rilevanza, considerate le cifre considerevoli in gioco. Di fronte a un'eventuale richiesta di sgravio parziale della cartella esattoriale motivata sulla base del parere reso dall'Avvocatura dello stato, l'amministrazione pubblica dovrà scegliere fra due alternative: continuare a ritenere legittima la maggiorazione del 10%, anche resistendo in giudizio di fronte ad eventuali opposizioni, oppure accogliere la richiesta di sgravio, esponendosi però in tal modo a un rischio di responsabilità erariale.
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Maggiorazione, non sono interessi.
La maggiorazione del 10% semestrale viene talora considerata eccessiva in rapporto all'attuale tasso di inflazione. Tuttavia, tale considerazione è errata, in quanto non si tratta di interessi, ma di una misura sanzionatoria a causa della condotta del debitore, tenuto all'adempimento dell'obbligazione.
Con l'ordinanza n. 308 del 14.07.1999 la Corte costituzionale ha affermato che la maggiorazione per ritardo prevista dall'art. 27, comma sei, della legge n. 689/1981 a carico dell'autore dell'illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, non ha funzione risarcitoria o corrispettiva, ma funzione di sanzione aggiuntiva.
La Corte di cassazione, sez. II civile, con la sentenza n. 28389 del 22.12.2011 ha quindi evidenziato che la questione di legittimità costituzionale dedotta, ancorché rilevante (siccome concernente la diretta applicabilità dell'art. 27, comma 6, della legge n. 689 del 1981), è, tuttavia, da ritenersi manifestamente infondata, «avendola già ritenuta tale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 308 del 1999, sulla scorta della quale la denuncia della questione muove dalla erronea premessa dell'identità di natura e funzione dell'istituto degli interessi moratori o di pieno diritto nelle obbligazioni tra privati e dell'istituto delle maggiorazioni delle sanzioni amministrative pecuniarie in caso di ritardo nel pagamento, mentre la maggiorazione per ritardo prevista dall'art. 27 citato a carico dell'autore dell'illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale».
Alla stregua di tale decisiva argomentazione, il giudice delle leggi ha, perciò, concluso per la mancanza di omogeneità dei termini di raffronto necessaria a fondare un eventuale giudizio di disparità di trattamento (articolo ItaliaOggi Sette del 25.11.2013).

APPALTIAppalti, l'Antitrust stringe sui cartelli. Vigilanza su eventuali distorsioni da subappalti e associazioni temporanee.
Lavori pubblici. Le ricadute sulle imprese del vademecum diffuso dell'Autorità per contrastare i comportamenti sospetti.
Nel settore degli appalti pubblici si innalza il livello dei controlli sui "cartelli". L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente pubblicato un vademecum in cui sono indicati alcuni comportamenti sospetti, che potrebbero essere rivelatori di condotte illecite e restrittive della concorrenza.
Le pratiche nel mirino
Per le stazioni appaltanti il vademecum è uno strumento per individuare i comportamenti da segnalare all'Autorità, mentre alle imprese fornisce chiare indicazioni sui comportamenti da evitare, per non venire sanzionate. In realtà, la maggior parte dei comportamenti elencati nel vademecum ha una chiara valenza anticoncorrenziale. Appare ovvio che il boicottaggio della gara, le offerte di comodo, la rotazione congiunta delle offerte o la ripartizione del mercato e le anomalie delle offerte segnalate dall'Autorità siano conseguenza di una strategia comune e segreta per alterare il regolare svolgimento della gara e siano la prova dell'esistenza di un cartello tra due o più operatori del mercato degli appalti pubblici.
Ma altre prassi appaiono a prima vista del tutto lecite. L'Associazione temporanea di imprese (Ati) e il subappalto, ad esempio, sono strumenti disciplinati dal Codice degli appalti pubblici, che nella finalità del legislatore, anche comunitario, sono portatori di benefici pro concorrenziali in quanto consentono a un numero più elevato di imprese, soprattutto a quelle piccole e medie, di partecipare alle gare. Ma l'Antitrust teme che questi strumenti vengano utilizzati illegittimamente per suggellare alleanze tra imprese che, invece di competere, si accordano per la spartizione del mercato o della singola commessa. In altra parole, si vuole evitare che un'Ati o un accordo di subappalto altro non siano che la facciata di un'intesa illecita.
In questo contesto la valutazione della legittimità dell'Ati o del subappalto è particolarmente complessa. Gli indizi che l'Autorità indica come sintomatici di una possibile violazione del diritto della concorrenza, come essa stesse ammette, potrebbero essere anche letti come comportamenti genuinamente concorrenziali. La stessa giurisprudenza amministrativa ha, ad esempio, ritenuto lecito il raggruppamento di imprese già qualificatesi in modo separato. Infine le Ati tra i maggiori operatori –che l'Autorità vede con sospetto in quanto possibile strumento di una strategia escludente, cioè tesa a impedire a imprese minori di aggiudicarsi l'appalto– potrebbero invece consentire di offrire alla Pa la migliore combinazione di prodotti o servizi disponibile.
L'intervento dell'Antitrust si giustifica con l'importanza che hanno gli appalti pubblici per l'economia nazionale, essendo per l'appunto utilizzate risorse pubbliche. Infatti, collusioni illecite tra gli offerenti non fanno altro che aumentare il prezzo che l'amministrazione si ritroverà a pagare per la fornitura, senza che ciò sia accompagnato da un miglioramento qualitativo dell'offerta.
Ora l'Antitrust si attende un elevato numero di segnalazioni: sia dalle stazioni appaltanti, sia da soggetti terzi, ad esempio un'impresa che non si è aggiudicata la fornitura. È ammessa anche la segnalazione anonima. Per questo, l'Autorità ha deciso in un primo momento di limitare i controlli agli appalti il cui valore superi la soglia comunitaria e che presentino determinati profili di rischio. I fenomeni che dovranno essere segnalati non sono, infatti, ipotesi remote, ma si verificano frequentemente nel settore degli appalti pubblici, specialmente quando il mercato interessato è caratterizzato da pochi concorrenti con analoghe efficienze e dimensioni, i prodotti sono omogenei, le imprese che partecipano alle gare sono sempre le stesse, l'appalto è ripartito in più lotti dal valore economico simile.
L'esame delle segnalazioni
Spetterà all'Antitrust esaminare scrupolosamente le segnalazioni che riceverà e che comunque non giustificheranno l'interruzione della gara né la rinuncia ad assegnare l'appalto all'impresa risultata aggiudicataria.
È prevedibile allora che le imprese siano destinatarie di richieste di informazioni, siano cioè chiamate a fornire spiegazioni convincenti delle strategie adottate nelle gare. Se poi l'Antitrust dovesse accertare un'infrazione, nel caso in cui l'appalto fosse stato già aggiudicato la stazione appaltante potrà chiedere di essere risarcita dei danni subiti dalle imprese che hanno attuato una condotta anticoncorrenziale.
Il vademecum deve essere accolto con favore: già la sola pubblicazione ha un forte valore di deterrenza nei confronti dei partecipanti alle gare, che saranno ora coscienti che comportamenti anomali saranno segnalati all'Antitrust.
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Gli indizi rivelatori
I casi analizzati dal Garante nel vademecum
BOICOTTAGGIO DELLA GARA
Sono vietati comportamenti e accordi volti a vanificare la gara e a prolungare il contratto con il vecchio fornitore o per ripartire pro-quota il lavoro o la fornitura tra tutte le imprese interessate.
Campanelli d'allarme di un tentativo di boicottaggio sono:
- mancata presentazione di offerte;
-  presentazione di una sola offerta o di un numero di offerte insufficiente per aggiudicare;
- presentazione di offerte dello stesso importo
OFFERTE DI COMODO
Sono offerte che celano un innalzamento artificiale dei prezzi in presenza di un'apparente regolarità concorrenziale della gara. Possono essere indizi di questa pratica:
- una sequenza di gare aggiudicate alla stessa impresa;
- presenza di offerte per importi palesemente troppo elevati;
- offerte caratterizzate da condizioni che ne rendono certa l'esclusione;
- offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino
SUBAPPALTI O ATI
Subappalto e associazione temporanea di impresa possono, secondo l'Antitrust, essere utilizzati in modo distorto per spartirsi il mercato.
Sono indizi del meccanismo spartitorio:
- imprese in grado di partecipare singolarmente alla gara ma che optano per la partecipazione in Ati o per il subappalto;
- imprese che svolgono la stessa attività prevalente;
- impresa che si ritira dalla gara e diventa poi subappaltatrice;
- nelle aggiudicazioni all'offerta economicamente più vantaggiosa,
presenza di Ati costituita dai maggiori operatori per impedire alle imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo
SPARTIZIONE DEL MERCATO
Indicano una potenziale spartizione del mercato le seguenti situazioni:
- negli accordi di rotazione delle offerte, le imprese continuano a partecipare alle gare ma decidono di presentare a turno l'offerta vincente. Gli accordi possono essere attuati in modi diversi;
- un'attenta analisi può far emergere una "regolarità" sospetta nella successione delle aggiudicatarie così come nella ripartizione in lotti;
- le regolarità sospette possono riguardare tanto il numero delle aggiudicazioni quanto la somma dei relativi importi
MODALITÀ SOSPETTE
L'illecita concertazione tra concorrenti nel formulare un'offerta può essere tradita da banali disattenzioni che emergono fin dalla lettura del bando, come ad esempio:
- medesimi errori di battitura o di calcolo;
- stessa grafia;
- riferimento a domande di altri partecipanti alla gara;
- consegna contemporanea di più offerte (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

VARIL'affitto del terreno blocca l'usucapione. Possesso. Il fabbricato costruito sull'area.
Chi costruisce a proprie spese un edificio su un fondo agricolo altrui esercita un possesso utile all'usucapione; ma se poi sottoscrive un contratto di affitto con il proprietario del terreno sul quale ha costruito, da quel momento riconosce il diritto altrui e dovrà considerarsi solo detentore qualificato e non possessore.

Lo ha affermato il Tribunale monocratico civile di Catania (giudice Dipietro) che, con la sentenza 10.10.2013, ha respinto la domanda di usucapione promossa dai ricorrenti che sostenevano di avere posseduto un terreno, anche a mezzo dei loro danti causa, sin dal 1951. Ne era proprietario un Comune, che aveva eccepito la natura demaniale del bene, sostenendo che per questo non fosse suscettibile di usucapione.
Il giudice ha ritenuto secondaria la questione della demanialità del fondo, perché ha verificato una circostanza di fatto, a suo avviso risolutiva. L'appezzamento era stato concesso in affitto ai danti causa degli attori con contratti sottoscritti nel 1948. Sul terreno erano stati costruiti degli edifici su iniziativa degli affittuari che avevano sostenuto le spese e poi ne avevano fatto uso esclusivo. Nel giudizio tuttavia non era stata data prova specifica di quando fossero stati iniziati e portati a termine i lavori. La sentenza segnala però che, nelle loro memorie, gli attori avevano articolato prove per dimostrare che i manufatti erano esistenti sin dal 1940.
Il giudice si sofferma sull'interversione del possesso, disciplinata dall'articolo 1141 del Codice civile, e afferma che il detentore di un fondo altrui si può trasformare in possessore se manifesta l'intenzione di tenere la cosa come propria, con un comportamento inequivoco e chiaramente percepibile dal proprietario. Rientra tra questi comportamenti l'attività edificatoria non autorizzata e non prevista dal contratto di affitto, che il detentore decida di svolgere sul terreno altrui. Scrive il giudice che queste condotte sono «astrattamente idonee a manifestare all'avente diritto, in modo inequivoco e riconoscibile» l'intenzione del detentore «di esercitare il potere sulla cosa nomine proprio».
Tuttavia, non essendo provato che la costruzione sia stata eretta dopo i contratti del 1948, rimane plausibile che essa sia avvenuta prima. Dal momento in cui con la sottoscrizione del contratto di affitto i danti causa degli attori hanno riconosciuto il diritto di proprietà altrui hanno assunto rispetto al fondo la qualità di detentori qualificati; e tale riconoscimento opera anche se negli anni precedenti il possesso è stato esercitato sulla cosa come se fosse propria. Infine, il giudice rileva che dal 1948 in poi non risultava alcun altro comportamento idoneo a integrare l'interversione. È così arrivato il no alla domanda di usucapione (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

CONDOMINIOEx amministratore, carte da consegnare. Condominio. Sì alla tutela d'urgenza.
È ammissibile il ricorso al procedimento d'urgenza previsto dall'articolo 700 del Codice di procedura civile per ottenere la consegna dei documenti relativi al condominio dall'amministratore cessato dall'incarico.

Lo sostiene il Tribunale di Reggio Calabria (giudice Minutoli) in un'ordinanza del 4 novembre.
Nei fatti, il condominio aveva chiesto che al proprio precedente amministratore, a cui era stato revocato il mandato, fosse ordinato di restituire la documentazione sulla gestione dello stabile; questo per proporre un'azione di merito per accertare l'inadempimento contrattuale e ottenere il risarcimento del danno.
Il tribunale, «pur nella consapevolezza di contrarie opinioni giurisprudenziali (che prospettano, ad esempio, la possibilità del ricorso al procedimento per decreto ingiuntivo)», premette che si può ritenere consentito agire in via d'urgenza. Infatti, «in relazione alle notorie incombenze del l'amministrazione di un condominio», la mancata disponibilità della documentazione contabile può determinare, per il condominio e per ciascun condomino, un grave pregiudizio «non agevolmente commisurabile né dunque facilmente riparabile, se non altro per la possibilità che essa determini una situazione di impasse durevole nel tempo».
Circa la verosimile fondatezza del diritto (fumus boni iuris), il giudice osserva che l'amministratore ricopre «un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza» e deve quindi rendere in originale ciò che ha ricevuto per conto del condominio (articolo 1713 del Codice civile), con responsabilità per i danni che derivino dall'omessa o tardiva restituzione.
Quanto al pregiudizio nel ritardo (periculum in mora), il giudice riconosce che si rischiano danni di natura pecuniaria, non tutelabili, di per sé, in via d'urgenza. Ma, aggiunge, la condotta omissiva del precedente amministratore può comportare anche danni che trascendono i profili economici. In altri termini, il tempo necessario per il giudizio a cognizione piena potrebbe pregiudicare il diritto alla conoscenza di crediti o provocare decadenze o altre conseguenze legate a mancate iniziative processuali o extragiudiziali.
In accoglimento della domanda, all'ex amministratore è quindi ordinata la consegna dei documenti amministrativo-contabili relativi alla sua gestione condominiale. La questione è stata più volte trattata dalla giurisprudenza di merito, che perlopiù l'ha risolta come il tribunale reggino. E la riforma del condominio (legge 220/2012), nel riscrivere l'articolo 1129 del Codice civile, ha previsto che, alla cessazione del l'incarico, l'amministratore deve consegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e a eseguire le attività urgenti per evitare pregiudizi agli interessi comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente premi di risultato se manca la valutazione. Personale. Le indicazioni Aran sui titolari di posizione.
LO STOP/ Nei casi in cui non è stato istituito l'Oiv non è consentito erogare l'indennità aggiuntiva ai «funzionari»
I titolari di posizione organizzativa possono essere remunerati per gli incarichi ad interim solamente con una maggiorazione della retribuzione di risultato. Nel caso in cui nell'ente non fosse stato istituito l'organismo di valutazione, ai titolari di posizione organizzativa non può essere corrisposta l'indennità di risultato.

Sono queste le indicazioni, assai restrittive, dettate dall'Aran in risposta ai quesiti posti dalle amministrazioni estendendo i principi dettati dai contratti collettivi nazionali dei dirigenti.
I titolari di posizione organizzativa possono essere destinatari di incarichi ad interim per la sostituzione di colleghi assenti e/o per la copertura di posti vacanti. In analogia a quanto previsto per i dirigenti il parere 04.11.2013 n. 1610 esclude innanzitutto la possibilità di corresponsione di una doppia indennità: è questa una conclusione pienamente coerente con i presupposti contrattuali che vietano la erogazione di più di un compenso di posizione.
In analogia con i contratti dei dirigenti l'unica possibilità di remunerazione è individuata nella maggiorazione della retribuzione di risultato in una misura che deve essere "strettamente connessa agli obiettivi raggiunti nella misura in cui sia dimostrabile la riconduzione degli stessi al suo operato ed alla sua responsabilità". Lo stesso parere aggiunge che, mentre per i dirigenti non vi è un tetto alla misura della indennità di risultato, per i titolari di posizione organizzativa tale tetto esiste ed è fissato nel 25% della indennità di posizione.
Tetto che, per le alte professionalità e per i responsabili di gestioni associate, arriva fino al 30%. Da qui la conclusione assai rigida: "in base all'articolo 10 del contratto nazionale del 31.03.1999, la retribuzione di risultato che può essere erogata al dipendente titolare di posizione organizzativa non può in alcun modo superare il limite massimo del 25% della retribuzione di posizione connessa all'incarico attribuito. Tale vincolo, in mancanza di diverse indicazioni contrattuali, attualmente, non sembra poter essere superato neppure nel caso di conferimento al dipendente già titolare di posizione organizzativa di un incarico relativo ad altra posizione organizzativa". Il che rischia di determinare conseguenze negative in termini di motivazione e, non a caso, il parere si conclude con l'auspicio che nel prossimo contratto questo tetto possa essere derogato per gli affidamenti di interim.
Il parere 28.10.2013 n. 1548 nega la possibilità che la valutazione dei titolari di posizione organizzativa possa essere effettuata da un organismo che è stato istituito successivamente all'anno. Viene ricordato che il contratto nazionale del 31.03.1999 subordinava la istituzione stessa delle posizioni organizzativa alla attivazione dei nuclei di valutazione. Per cui «la mancanza effettiva di tali organismi impediva, in partenza, ogni possibilità di attivazione del nuovo istituto».
Il che determina la conclusione che «viene meno la possibilità di ogni valutazione delle attività svolte e dell'effettivo conseguimento dei risultati conseguiti dal titolare di posizione organizzativa e conseguentemente anche ogni possibilità di erogazione della retribuzione di risultato». E, per l'assenza di previsioni contrattuali, si deve escludere «la possibilità di interventi in sanatoria» (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

GIURISPRUDENZA

ESPROPRIAZIONECassazione. Le Sezioni unite chiariscono che le date da rispettare devono essere definite prima dell'inizio della procedura
Termini più certi sugli espropri. Scatta il risarcimento se la scadenza non è rispettata, ma sarà possibile la proroga.
Si può espropriare un terreno per realizzare una strada, ma i termini per procedere devono esser definiti fin dall'inizio.

Questo è il principio espresso dalla Sezioni unite civili della Corte di Cassazione nella sentenza 29.11.2013 n. 26778, relativa a un intervento in un Comune lombardo. Alcuni privati lamentavano di aver perso un'area occupata abusivamente da una strada: l'opera, prevista da una convenzione di lottizzazione, non era stata infatti preceduta da una specifica indicazione di un progetto con termini per l'esecuzione degli espropri.
Questi termini, secondo il Comune chiamato in giudizio, erano desumibili dalla convenzione di lottizzazione e comunque erano coerenti all'insediamento urbanistico da realizzare. Ma questa tesi dell'ente locale non è stata condivisa dalle Sezioni unite, le quali hanno sottolineato che in materia di esecuzione di opere pubbliche la proprietà privata viene meno solo se il potere di esproprio ha termini certi, relativi all'inizio e compimento delle procedure.
Se tali termini vengono violati, decorrendo inutilmente senza che l'opera venga eseguita o l'espropriazione ultimata con il passaggio di proprietà, viene meno la pubblica utilità dell'opera e l'area va restituita al precedente proprietario.
Se i termini sono fissati e sono insufficienti, prima della loro scadenza possono essere motivatamente prorogati (ad esempio per difficoltà di esecuzione), ma con termini già scaduti non è più possibile ritenere legittima l'espropriazione e il privato ha diritto al risarcimento del danno.
Quando le opere pubbliche avevano uno specifico progetto approvato (una strada, un canale eccetera) i termini per l'esproprio e l'ultimazione dei lavori erano agevolmente individuabili negli atti progettuali. Quando invece le singole opere pubbliche sono inserite in disegni più ampi, che comprendono edifici, urbanizzazioni, parchi, parcheggi, diventa complesso individuare in quale provvedimento amministrativo inserire i termini per le espropriazioni.
La difficoltà sorge in quanto da un lato alcune opere (ad esempio una strada) sono indispensabili, ma dall'altro non vi è certezza sui tempi dei finanziamenti e quindi sull'effettiva eseguibilità dei lavori. Per opere pubbliche quindi inserite in più ampi contesti, i termini per le espropriazioni sono desumibili dall'atto di pianificazione generale (un tracciato ferroviario, un'opera idraulica, un parco tematico); ma quando il contesto generale è a sua volta indefinito, viene meno la certezza dei termini e quindi l'esproprio diventa un rischio per le pubbliche amministrazioni.
Appunto ciò è quanto avvenuto nel Comune lombardo, in cui alcuni privati avevano ottenuto l'approvazione di una convenzione, impegnandosi a eseguire anche una strada: i tempi per la realizzazione dell'intervento edilizio, comprensivo della viabilità, non erano tuttavia certi, perché il piano di lottizzazione era stato più volte variato.
Il privato proprietario dell'area diventata strada, ha quindi visto riconosciuto il proprio diritto ad ottenere il risarcimento del danno, facendo cadere il procedimento espropriativo per mancanza di termini certi di esproprio (articolo Il Sole 24 Ore del 30.11.2013).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., sul blocco dei contratti deciderà la Consulta.
Se i contratti del pubblico impiego sono economicamente bloccati da quattro anni, fondando tale decisione sull'eccezionalità della situazione economica che rischia di minare la stabilità dei conti pubblici italiani, vi è allora la necessità di accollare tale onere sulla collettività nel suo insieme e non solo su una parte di essi, ovvero i pubblici dipendenti.

È quanto ha sottolineato il Tribunale di Roma, Sez. lavoro, nell'ordinanza 27.11.2013 a seguito del ricorso proposto dalla Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche (Flp) e dalla Fialp, Federazione italiana lavoratori pubblici.
Il giudice ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 1 e 17, del dl n. 78/2010, nonché l'articolo 16, comma 1, del dl n. 98/2011 (ovvero tutte le misure che i governi succedutisi in questi anni hanno messo in campo per bloccare gli aumenti dei pubblici dipendenti) per contrasto con gli articoli 2, 3, 35, 36, 39 e 53 della Costituzione, disponendo l'immediata trasmissione degli atti alla Consulta.
Per il tribunale, la reiterata sospensione della possibilità di negoziare, anche solo in ordine agli incrementi retributivi, determina, a conti fatti, «un'anomala interruzione» dell'efficacia delle disposizioni richiamate al testo del dlgs n. 165/2001 in materia di contrattazione collettiva. Interruzione qui determinata dalla particolare posizione dello stato nella veste di datore di lavoro. A maggior ragione, tale blocco interviene in un regime normativo nel quale la retribuzione è determinata tramite accordi di categoria e, quindi, fa cadere il rispetto del principio costituzionale tra proporzionalità del lavoro svolto e la sua remunerazione. In pratica, l'inibizione prolungata degli adeguamenti dei trattamenti retributivi dei pubblici dipendenti, solleva una violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Inoltre, il reiterato blocco solleva ulteriori dubbi per violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e solidarietà sociale, previsti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il ragionamento del Tribunale, in pratica, è in questi termini: se il governo ha la necessità di emanare disposizioni di contenimento della spesa pubblica, a causa dell'eccezionale crisi economica che rischia di inglobare il nostro Paese, deve accollare tale onere su tutta la collettività, non solo su di una parte di essi, nel caso particolare i dipendenti pubblici.
Grande soddisfazione è stata espressa dal segretario generale della Flp, Marco Carlomagno: «È stato riconosciuto un fondamentale diritto e cioè che i sacrifici della crisi economica non possono essere addossati sui soli pubblici dipendenti. Adesso speriamo in una «ispirata» decisione della Corte costituzionale» (articolo ItaliaOggi del 30.11.2013).

ENTI LOCALI"Restituita" alla Corte dei conti la giurisdizione sulle società in house. Sulle società in house spazio a Corte conti.
IL CHIARIMENTO/ Secondo le Sezioni unite per i danni causati da amministratori e dipendenti decide il giudice contabile.

È questo l'importante e atteso verdetto con cui le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno fissato, con la sentenza 25.11.2013 n. 26283, il punto di mediazione in tema di riparto di giurisdizione fra giudice contabile e giudice ordinario.
Si tratta a tutti gli effetti di un parziale revirement, perché se da un lato le Sezioni Unite tornano sui propri passi a proposito delle società in house vere e proprie (cioè contraddistinte da tutti i requisiti prescritti allo scopo dal diritto Ue), ammettendo che per i danni ad esse inferti da amministratori e dipendenti la giurisdizione spetta al giudice contabile, dall'altro lato ribadiscono invece espressamente l'orientamento opposto ormai consolidatosi a proposito delle società a partecipazione pubblica diverse da quelle in house.
Ancorché parziale, il revirement è in ogni caso di rilevante importanza applicativa e muove dall'esatta constatazione, maturata anche grazie alla perseveranza dei Pm contabili, che con le società vere e proprie quelle in house hanno in comune solo la forma esteriore, mentre sul piano sostanziale, essendo strutturalmente prive di potere decisionale autonomo, non si pongono in rapporto di alterità soggettiva rispetto all'ente pubblico partecipante, e finiscono con l'essere, rispetto a quest'ultimo, null'altro che una mera articolazione interna. Di qui, l'equazione conclusiva fra danno al patrimonio della società in house e danno erariale.
Provando a sistematizzare, dopo questa decisione si può tracciare un quadro che declina la giurisdizione di danno della Corte dei conti, riguardo alle società a partecipazione pubblica complessivamente intese, su almeno quattro piani. Il primo, è quello che attiene ai casi in cui il danno è in sé ravvisabile nella stessa costituzione della società (ad esempio perché creata contravvenendo ad un divieto legale, oppure per il conseguimento di uno scopo manifestamente inutile o impossibile).
Il secondo piano riguarda invece le società in house, nelle quali la responsabilità per danno erariale sarà, come detto, governata esattamente dagli stessi paradigmi valevoli negli enti pubblici soci.
Il terzo è quello che concerne le società a partecipazione pubblica diverse da quelle in house, laddove restano assoggettati alla giurisdizione della Corte dei conti i comportamenti che abbiano cagionato un danno direttamente all'ente pubblico socio (si pensi al danno all'immagine), nonché quelli di colpevole trascuratezza nell'esercizio dei diritti spettanti al socio, da cui sia rimasto pregiudicato il valore della partecipazione.
Il quarto piano, infine, attiene alle ipotesi puntuali di responsabilità per danno erariale previste genericamente in ambito societario, introdotte da singole norme speciali al di fuori di un disegno organico di intervento (si veda, ad esempio, l'articolo 4, comma 12, del Dl 95/2012).
Si tratta, come si può notare, di un'ampia area di intervento, ancorché diversificata, nell'ambito della quale la Corte dei conti riespande dunque il suo ruolo di presidio della sana e corretta gestione di una finanza pubblica resasi ormai multiforme (articolo Il Sole 24 Ore del 27.11.2013).

ATTI AMMINISTRATIVIRegolamenti battuti sul tempo. Impugnabili dalle associazioni prima che abbiano effetti. La sentenza del Consiglio di stato in merito ai diritti in capo agli enti esponenziali.
Le associazioni possono impugnare direttamente i regolamenti, senza aspettare che danneggino il singolo aderente. E se il regolamento ha effetti diversi sugli appartenenti alla categoria tutelata dall'associazione (qualcuno è danneggiato, ma qualcuno, invece, ottiene benefici), questa può ugualmente impugnare il provvedimento davanti al giudice amministrativo.
È quanto ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 18.11.2013 n. 5451, che, nel pronunciarsi sul ricorso relativo al reclutamento dei dirigenti degli uffici finanziari proposto da Dirpublica (il Sindacato unitario dei funzionari, dei professionisti, delle alte qualifiche e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e delle agenzie), ha affrontato alcune questioni processuali di grande importanza.
La prima questione riguarda se i cosiddetti enti esponenziali, che rappresentano gli interessi diffusi agli appartenenti a una data categoria, possano impugnare direttamente un regolamento. Questa strada, infatti, è negata al singolo che deve aspettare un provvedimento amministrativo che, in attuazione del regolamento, gli provoca una lesione (per esempio, perché non viene accettata un'istanza o perché viene applicata una sanzione). La strada è, invece, percorribile da parte delle associazioni di categoria: nel caso specifico un'associazione sindacale
Il Consiglio di stato precisa che una norma regolamentare non può, per il suo carattere generale, provocare un pregiudizio immediato in capo al singolo. Di conseguenza, quindi, lo stesso può impugnare solo il successivo provvedimento applicativo e, con esso, anche il regolamento a monte. Il regolamento, però, può, dettare prescrizioni che colpiscono subito indistintamente l'interesse omogeneo di tutti gli appartenenti alla categoria. La lesione dell'interesse diffuso non può essere fatta valere dal singolo, ma può certamente essere fatta valere dall'ente di riferimento della categoria. In questo caso, infatti, la legittimazione al ricorso nasce proprio dalla lesione dell'interesse collettivo, che è una immediata e diretta conseguenza dell'introduzione nell'ordinamento della prescrizione generale e astratta.
La seconda questione concerne la possibilità per un ente a tutela di interessi diffusi di impugnare un regolamento che contemporaneamente porta benefici a qualcuno e danni a qualcun altro, tutti appartenenti alla categoria rappresentata. Il Consiglio di stato risponde affermativamente. Tendenzialmente è vero che un ente può fare un ricorso al giudice amministrativo solo quando fa valere un interesse omogeneo della categoria. Questo, però, non significa che l'associazione può impugnare l'atto amministrativo solo se lede l'interesse di tutti e non solo di alcuni degli aderenti. La distinzione è sottile, ma importante, perché può tenere in piedi il ricorso. Un ente esponenziale può far valere in giudizio diritti e interessi, appartenenti a ciascun componente della collettività da esso rappresentata, tutelabili dunque sia dall'ente sia da ciascun singolo componente, ma può far valere diritti e interessi di cui è titolare in via esclusiva: sono gli interessi collettivi propriamente detti, la cui titolarità è solo dell'ente.
E in questa seconda ipotesi si colloca il caso in cui viene adottato da una pubblica amministrazione un atto amministrativo che si pone in contrasto con l'interesse collettivo, anche se esso risulta produttivo di effetti favorevoli per una parte (o anche uno solo) degli appartenenti alla categoria. L'associazione può fare ricorso lo stesso. Altrimenti pretendere che lo possa fare solo qualora l'atto leda l'interesse di tutti e non solo di alcuni appartenenti alla categoria porterebbe all'assurdo che l'ente esponenziale non è legittimato a impugnare un atto, ritenuto illegittimo, e lesivo degli interessi collettivi, solo perché esso porta vantaggi a una parte dei suoi componenti.
Altra conseguenza assurda sarebbe che, allora, potrebbero proporre un ricorso amministrativo solo associazioni di ristrette categorie dello stesso settore, se non addirittura associazioni di portatori di interessi particolari, mentre non potrebbero proporre un ricorso le associazioni più grandi e proprio per questo più in grado di tutelare l'interesse collettivo (articolo ItaliaOggi del 26.11.2013).

APPALTIIdoneità da verificare anche per i procuratori. Consiglio di Stato. Il bando può chiedere controlli sulle condizioni generali.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 16.10.2013 n. 23 è intervenuta su uno dei punti più controversi del Dlgs n. 163/2006 (Codice degli appalti pubblici) sul quale per anni ha regnato l'incertezza degli orientamenti giurisprudenziali che hanno alimentato una enorme litigiosità: il dubbio se anche i procuratori dell'impresa concorrente siano tenuti a possedere i requisiti morali e professionali di idoneità alle gare previsti dall'articolo 38 lettere b) e c) del Codice.
La norma prescrive che l'accertamento sui requisiti (in particolare l'assenza di misure di prevenzione o di condanne per reati che incidono sulla moralità professionale) è svolto nei confronti «degli amministratori muniti del potere di rappresentanza o del direttore tecnico». Su di essa si sono formati due orientamenti giurisprudenziali contrapposti. Quello formale predilige un'interpretazione restrittiva e letterale della norma e limita l'obbligo del possesso dei requisiti di moralità ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza a cui fa riferimento l'articolo 2380-bis del Codice civile, con l'esclusione dei procuratori.
La tesi estensiva invece –in linea con l'articolo 45 della direttiva 2004/18/CE– valorizza quei soggetti che, pur non rivestendo le qualifiche formali previste dall'articolo 38, sono dotati di poteri così ampi e incisivi da coincidere sotto il profilo sostanziale con quelli dei veri e propri amministratori. In questo caso, l'esigenza da salvaguardare è di evitare che l'amministrazione possa firmare un contratto con una società governata in sostanza da persone prive dei necessari requisiti di onorabilità e affidabilità morale e professionale, che si giovino dello schermo di chi riveste la qualifica formale di amministratore con potere di rappresentanza. In base a questa seconda tesi anche i procuratori/amministratori sono quindi tenuti a soddisfare i requisiti di moralità prescritti dall'articolo 38.
Il Consiglio di Stato giunge però questa volta a una soluzione di compromesso, sollecitato da una «prassi che mostra figure di procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza di spessore superiore a quelli che lo statuto assegna agli amministratori»: i requisiti di moralità vanno accertati anche nei confronti dei procuratori/amministratori, ma l'obbligo da parte loro di prestare la dichiarazione sussiste solo se nel bando vi sia un'espressa previsione in questo senso. In caso contrario, l'omessa dichiarazione da parte dei procuratori/amministratori non potrà essere causa di esclusione dalla gara. L'esclusione potrà invece essere disposta nel caso in cui venisse in concreto effettivamente riscontrata l'assenza del requisito.
Con questa scelta il giudice rimette alle singole amministrazioni il non agevole compito di verificare i poteri di cui sono titolari tutti i procuratori della singola impresa concorrente, di analizzarli per poi identificare i soggetti che sono stati investiti di poteri assimilabili a quelli degli amministratori. Il rischio è che le amministrazioni, spesso prive di strutture adeguate e chiamate ora a svolgere un "lavoro" che fuoriesce dalle loro normali competenze, si trovino a rallentare i tempi delle procedure. Senza contare che le diverse e disomogenee interpretazioni che verranno adottate dalle amministrazioni sull'ampiezza dei poteri dei procuratori potrebbero essere ancora fonte di contenzioso, a scapito della certezza del diritto (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

APPALTIIn caso di gare requisiti «in prestito» da più imprese. Corte europea. Sì all'avvalimento plurimo.
Non più una sola impresa in soccorso per prestare a un'altra i requisiti necessari a partecipare a una gara d'appalto di lavori. Da quando la Corte di giustizia europea ha bocciato il divieto italiano di avvalimento plurimo (ovvero di prestito dei requisiti tecnici) ora è possibile presentarsi in gara con più imprese ausiliarie.

Dopo la sentenza 10.10.2013 n. C-94/12 della Corte di giustizia è caduta la previsione contenuta al l'articolo 49, comma 6, del Dlgs 163/2006 (Codice degli Appalti), secondo cui il concorrente che partecipa a una gara di appalto di lavori per soddisfare i requisiti si può avvalere di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione indicata nel bando. La norma è stata ritenuta in contrasto con la direttiva 2004/18/CE.
L'attuale formulazione del l'articolo 49, comma 6, era peraltro già il frutto di un adeguamento dell'originaria previsione che limitava l'avvalimento plurimo anche agli appalti di servizi e di forniture. All'esito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea con il Dlgs 152/2008 il legislatore aveva modificato la previsione nel senso oggi vigente.
Il contrasto tra le due legislazioni, quella comunitaria e quella nazionale, riflette due diverse esigenze. Infatti il legislatore italiano si preoccupa di tutelare la stazione appaltante che deve poter selezionare un operatore privato in grado di eseguire correttamente il contratto di appalto: questa esigenza sarebbe messa a rischio nel caso in cui il concorrente né direttamente né tramite l'ausiliaria sia in grado di possedere integralmente i requisiti di qualificazione richiesti.
L'obiettivo principale della direttiva comunitaria è, invece, «l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile» in modo da «facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese». Imporre invece un'impresa ausiliaria unica significherebbe non solo introdurre un vincolo che non trova corrispondenza in alcuna previsione della direttiva, ma significherebbe anche frustrare questo obiettivo.
Secondo la Corte quindi l'avvalimento deve essere utilizzato in modo coerente con la finalità di favorire la più ampia apertura del mercato, il che significa che di regola gli operatori potranno dimostrare il possesso dei requisiti di qualificazione richiesti, avvalendosi di due o più imprese e quindi sommando le loro attestazioni Soa al fine di raggiungere la categoria e la classifica richieste. Allo stesso modo, sarà possibile per il concorrente cumulare i propri requisiti a quelli della o delle imprese ausiliarie. Indipendentemente dal numero delle ausiliarie, a dover essere sempre verificata sarà invece l'effettiva messa a disposizione delle risorse, in modo da evitare che i contratti di avvalimento si traducano in mere previsioni di stile.
Certo, la Corte non nega che si possano manifestare situazioni in cui, in considerazione del l'importo dei lavori o della peculiarità degli stessi, sia necessario –prevedendolo prima nel bando– che i requisiti debbano essere posseduti da un unico soggetto (o da un numero limitato di soggetti). Ma si tratta comunque di ipotesi eccezionali lasciate alla discrezionalità della stazione appaltante che andranno motivate (articolo Il Sole 24 Ore del 25.11.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi in zona inclusa tra quelle a basso indice sismico.
Il reato di omessa denuncia lavori in zona sismica (art. 93, d.P.R. 06.06.2001, n. 380) è configurabile anche in caso di esecuzione di lavori in zona inclusa tra quelle a basso indice sismico.
Qualsiasi intervento edilizio in zona sismica, comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio amato, ad eccezione di quelli di manutenzione ordinaria, deve essere previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire i preventivi controlli e necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo, conseguendone, in difetto, la violazione dell'art. 95 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Va esclusa anche la rilevanza della distinzione circa la natura dei lavori (ovvero che si tratti d'interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ovvero d'interventi di nuova costruzione), in quanto la violazione delle norme antisismiche e sul cemento armato presuppone soltanto l'esecuzione di lavori edilizi in zona sismica ovvero che comportino l'utilizzo del cemento armato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.09.2013 n. 37385 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione onnicomprensiva di area boscata.
L'impostazione “onnicomprensiva” della nozione di bosco è condivisibile poiché quel che rileva, in ultima analisi, è l'identità di ratio che accomuna-la tutela dei terreni coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo arbustivo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2013 n. 32807 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione in zona sismica senza preventivo deposito del progetto.
il reato previsto dagli artt. 93 d.P.R. 380/2001 ha natura di reato permanente, la cui consumazione si protrae sino a quando chi intraprende l'intervento edilizio in zona sismica non presenta la relativa denuncia con l'allegato progetto ovvero non termina l'intervento medesimo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.07.2013 n. 29737 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Destinatari dell'obbligo di esposizione del cartello di cantiere.
La violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai abrogata legge 47/1985, è tuttora punita dall'art. 44, lettera a), del d.P.R. 380/2001 in ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente tra le diverse disposizioni.
I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.07.2013 n. 29730 - tratto da www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento.
Sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque di scarico, ossia quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento.
L'individuazione della disciplina da applicare in concreto è evidentemente legata all'accertamento di aspetti fattuali che non può essere rimesso al giudice di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2013 n. 29415 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parcheggio adiacente all’attività alberghiera, inapplicabilità legge n. 122/1989.
Al parcheggio realizzato al piano terra di un edificio diverso, sebbene adiacente, da quello oggetto dell’attività alberghiera, non può applicarsi la norma contenuta nell’art. 9 della legge n. 122/1989, che prevede, per la realizzazione di parcheggi, il loro assoggettamento ad autorizzazione gratuita e non a concessione.
Infatti, la norma trova applicazione solo nei casi espressamente e tassativamente considerati, trattandosi di norma eccezionale che deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti.
In particolare essa presuppone che il parcheggio venga realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità immobiliari di cui il parcheggio costituisce pertinenza, mentre nella fattispecie è stato realizzato nel quadro di un intervento ristrutturativo di altro edificio seppur adiacente (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.07.2013 n. 3672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Giudice amministrativo ed ordine di demolizione.
Anche la sospensiva da parte del giudice amministrativo del silenzio rigetto sull'istanza di concessione in sanatoria non produce effetti automatici sul potere dovere del giudice penale di disporre ed attuare l’ordine di demolizione, atteso che in tal caso occorre accertare, anche con riferimento alle argomentazioni svolte nel ricorso proposto al giudice amministrativo se il provvedimento cautelare di sospensione sia stato emesso per la sussistenza di vizi formali o sostanziali dell'atto impugnato o se derivi da carenza di motivazione senza incidenza sulla concedibilità o meno della richiesta concessione in sanatoria (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.07.2013 n. 28955 - tratto da www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing una tantum, la Cassazione riconosce anche lo “straining”.
Chi viene pesantemente emarginato e vessato sul luogo di lavoro può aver diritto a un risarcimento per le «lesioni» subite.
Lo si evince dalla sentenza 28603/2013 con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di un dipendente di banca, il quale era stato 'messo all'angolo’ fino a essere relegato a lavorare in un «vero e proprio sgabuzzino, spoglio e sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente esecutive e ripetitive».
Nella sentenza, depositata oggi dalla sesta sezione penale, i supremi giudici definiscono il fenomeno con il termine di 'straining', ossia una forma di 'mobbing' attenuata.
Al centro del processo alcuni «comportamenti discriminatori» subiti dal lavoratore: la «sottrazione di responsabilità in favore di un'altra dipendente, ingiustificatamente favorita dai dirigenti», le «ingiuste ed aspre critiche» alla professionalità dell'uomo, la «convocazione di un incontro intersindacale finalizzato a criticare» la condotta del dipendente «proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai superiori», l'«estromissione» dal servizio di cui si era occupato, con il successivo «inserimento in mansioni dequalificanti».
Secondo l'accusa, da questi episodi era «derivata la grave lesione» del lavoratore «consistita nella causazione di un'incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni». I diretti superiori dell'uomo, funzionario amministrativo di una filiale di una grande banca, erano dunque finiti sotto processo per maltrattamenti, ma erano stati assolti dal tribunale di Milano, sentenza confermata in appello
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 03.07.2013 n. 28603 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Illegittimità diniego installazione s.r.b. senza verifica tecnica copertura segnale UMTS.
E’ illegittimo il diniego all’installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile motivato dal fato che l’area individuata dal gestore per l’installazione, risulta in contrasto con il Programma comunale delle Installazioni.
Il Comune non poteva limitarsi al mero richiamo della regolamentazione comunale, attribuendo ad essa assoluto valore cogente e non derogabile, ma doveva valutare i concreti aspetti tecnici collegati alla istanza, tenendo conto delle specifiche esigenze di connettività sul territorio e di sviluppo della rete di telecomunicazione del gestore, che implicavano, come da verifica tecnica effettuata, la realizzazione dell’impianto radio base nel sito indicato, in quanto unico a consentire la efficace copertura dell’intero territorio comunale secondo i criteri indicati dalla licenza di esercizio UMTS (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.07.2013 n. 3575 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Impianti di frantumazione mobili.
Gli impianti mobili adibiti alla macinatura, vagliatura e deferrizzazione dei materiali inerti prodotti da cantieri edili di demolizione debbono munirsi dell’autorizzazione prevista dal comma 15 dell'art. 208 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152, in quanto gli stessi non possono essere considerati impianti che effettuano le semplice riduzione volumetrica e separazione di eventuali frazioni estranee, ma operano una vera trasformazione del materiali (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.06.2013 n. 28205 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sospensione condizionale della pena e termine per adempiere all'obbligo di demolizione.
Il termine per adempiere all'obbligo di demolizione del manufatto abusivo, cui sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione deve essere individuato in giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, termine corrispondente a quello previsto dall'art. 31, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.06.2013 n. 25930 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità ordinanza demolizione di una serie di manufatti localizzati in un impianto di lavorazione inerti.
L'aggiunta di una vasca completamente interrata per lo stoccaggio degli inerti, di un nastro trasportatore per l'alimentazione dell'impianto e di una vasca per il lavaggio degli automezzi in posizione differente dalla precedente, all’interno di un impianto di lavorazione inerti, si collocano concettualmente al di fuori del concetto di manutenzione straordinaria.
Tale nozione, già data dall’art. 31, comma 1, lettera b), della l. 05.08.1978 n. 457, è ora espressa dall’art. 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2011 e comprende “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”.
La giurisprudenza interpreta tale nozione nel senso di imporre la necessaria esistenza di un duplice ordine di limiti, uno di carattere funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro di carattere strutturale, consistente nella proibizione di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione (tratto da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.06.2013 n. 3270 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Pianificazione urbanistica come strumento di realizzazione di valori costituzionali espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost..
L’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.
Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico–sociali della comunità radicata sul territorio (tra le quali certamente rientra l’aspirazione, anche in proprietà, alla casa di abitazione), sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta, per autorappresentazione ed autodeterminazione, dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.
In sostanza, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti.
Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost. (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.06.2013 n. 3262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Delibera consiliare dichiarativa dell'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell'assetto urbanistico violato.
La situazione particolare che viene a determinarsi in conseguenza della deliberazione comunale, sottraendo l'opera abusiva la suo normale destino, che è la demolizione, presuppone che la valutazione effettuata dall'amministrazione comunale sia estremamente rigorosa e, oltre a rispettare le condizioni indicate dalla giurisprudenza appena richiamata, deve essere puntualmente riferita al singolo manufatto, il quale va precisamente individuato, dando atto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta, dovendosi escludere che possano assumere rilievo determinazioni di carattere generale riguardanti, ad esempio, più edifici o fondate su valutazioni di carattere generale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.06.2013 n. 25824 - tratto da www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI URBANISTICA: Centro Raccolta Materiali in aree destinate a standard in zona P.I.P..
Il Centro di Raccolta Materiali asservito all’attività di gestione dei rifiuti urbani, qualificabile come servizio pubblico anche quando le prestazioni siano effettuate dal gestore privato, rientra nel novero delle “attività collettive” ex art. 5 D.M. n. 1444/1968; pertanto, la sua realizzazione è compatibile con la destinazione dell’area a standard (“verde pubblico” e/o “parcheggi”) nell’ambito del P.I.P. comunale.
Ciò tanto più alla luce dell’attuale tendenza dell’ordinamento al superamento della rigida zonizzazione del territorio e del principio di fungibilità delle opere pubbliche, già positivizzato dall’art. 1, co. 4, della legge n. 1/1978, quale poi ribadito dalla successiva legislazione regionale (massima tratta da www.lexambiente.it - TRIBUNALE di Brindisi, Sez. Riesame, ordinanza 06.06.2013).

COMPETENZE PROGETTUALI: Competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili.
La competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili è circoscritta alle costruzioni in cemento armato con destinazione agricola, in quanto non richiedenti particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per la incolumità delle persone, mentre per le costruzioni civili con struttura portante in cemento armato, ancorché di modeste dimensioni, ogni competenza è riservata ad ingegneri ed architetti.
Inoltre, la legge n. 1086/1971 (“Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato”), non ha innovato la ripartizione di competenze tra geometri da una parte ed architetti ed ingegneri dall’altra quale definita dai citati testi legislativi del 1929, ma la ha semplicemente recepita (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità ordinanza del Sindaco per demolizione di opere abusive su strada pubblica.
E’ legittima l’ordinanza del Sindaco per la demolizione di opere abusive su strada pubblica e il ripristino dei luoghi.
La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche, ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l’esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua nera e l’interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive (massima tratta da www.lexambiente.it - 
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2611 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Illegittimità mantenimento annuale delle strutture funzionali all'attività estiva di balneazione.
E’ illegittimo il mantenimento annuale delle strutture funzionali all'attività estiva di balneazione nel caso in cui tali strutture rimangano “montate” oltre il periodo estivo, infatti, l'esistenza di una autorizzazione che attesti la compatibilità ambientale e paesaggistica delle opere in questione per il solo periodo estivo non comporta necessariamente che tale compatibilità sussista anche per il periodo invernale.
La limitazione temporale dell'autorizzazione al solo periodo estivo risulta, infatti, frutto di un complessivo bilanciamento fra gli interessi dei privati e quelli pubblici connessi con la necessità di tutela del paesaggio garantita dall'art. 9 della Costituzione, che ha trovato il suo punto di equilibrio proprio nella limitata incidenza temporale del manufatto sull’ambiente circostante (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.05.2013 n. 2564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Chiusura sottoscala e muretto di recinzione dell’area cortilizia non rientrano nel concetto di risanamento.
La totale chiusura del “portico” (galleria ricavata sotto il corpo scala esterno, tipica delle abitazioni di vecchia concezione), con un infisso in alluminio, ha certamente determinato un volume aggiuntivo rispetto al preesistente.
Tale intervento edilizio insieme alla realizzazione di un muretto di recinzione dell’area cortilizia non rientrano nel concetto di risanamento, trattandosi di opere murarie nuove che non valgono a “conservare l'organismo edilizio” né ad “assicurarne la funzionalità”, come richiesto dalla legge per il risanamento (massima tratta da www.lexambiente.it - 
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.05.2013 n. 2513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deroga al contributo di costruzione, requisiti del titolare concessione e tipologia delle opere.
Un complesso immobiliare di circa 16.000 metri cubi da destinare a “residenze e servizi per anziani” della superficie di metri quadrati 22.710, articolata in 36 mono-alloggi e 36 camere multiple dotate di bagni e servizio autonomo di cucina, dal punto di vista strutturale evidenzia una prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale, piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari, mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi residenziali che coprono in tutto una superficie pari a 6.700 metri quadrati.
Inoltre, se il titolare della concessione edilizia non riveste lo status di soggetto pubblico o equiparato, essendo invece una società privata che svolge un’attività commerciale, dunque non sussistono i requisiti per la deroga alla onerosità della concessione.
Il contributo di costruzione è posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, la deroga alla onerosità della concessione ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per quanto attiene in particolare l'art. 9, lettera f), della l. 28.01.1977, n. 10, se ricorrano due requisiti che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente e l'altro di carattere oggettivo per effetto del quale la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale (massima tratta da www.lexambiente.it - 
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.05.2013 n. 2467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Vincolo paesistico sopravvenuto assoluto e relativo.
Quanto ai vincoli paesistici di inedificabilità assoluta, questo Consiglio di Stato ha più volte chiarito che se è vero che alla stregua dell’art. 33 l. n. 47 del 1985 il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa).
Pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluto sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell’art. 32, comma 1, della stessa legge n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.05.2013 n. 2409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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